atene e gerusalemme

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ATENE E GERUSALEMME
PENSIERO ANTICO E PALEOCRISTIANO

Direttore
Giuseppe G
Università Vita–Salute San Raffaele di Milano
Comitato scientifico
Werner B
Ludwig–Maximilians–Universität München
Elisabetta C
Università di Cagliari
Maurizio M
Università di Macerata
Roberto R
Università Cattolica di Milano
Comitato redazionale
Vito L
Università Vita–Salute San Raffaele di Milano
ATENE E GERUSALEMME
PENSIERO ANTICO E PALEOCRISTIANO
La civiltà europea occidentale è nata dall’incontro e dalla
fusione di due sorgenti originariamente distinte, la cultura ellenica e la cultura ebraica, con le rispettive punte
di diamante, ossia la filosofia greca e la religione biblica.
L’avvento di Gesù Cristo, presentato nei Vangeli contemporaneamente come il Lógos dei Greci che si è fatto uomo
e il Messia degli Ebrei che ha compiuto le profezie, segnò il momento culmine dell’incontro delle due civiltà in
una nuova prospettiva. Il Cristianesimo delle origini, nelle
grandi figure dei Padri della Chiesa ha svolto il compito
di fondere insieme le due diverse radici in una nuova sintesi, facendo in modo tale che l’uomo occidentale senta
ormai di appartenere contemporaneamente ad “Atene” e
a “Gerusalemme”.
Luciano Albanese
I Misteri egiziani di Giamblico
Guida alla lettura
Copyright © MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 
Alla sacra memoria di mio padre
Indice

Premessa

Introduzione

Libro I

Libro II

Libro III

Libro IV

Libro V

Libro VI

Libro VII

Libro VIII

Libro IX

Libro X

Bibliografia

Indice dei nomi e delle cose notevoli

Premessa
Il presente lavoro è una rielaborazione, con numerose aggiunte e modifiche, delle lezioni da me tenute sui Misteri di
Giamblico presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma–La Sapienza nell’anno accademico /.
Nel corso dell’analisi del testo di Giamblico ho potuto
trarre grande giovamento dal compendio dei Misteri pubblicato dall’amico e collega Pietro Mander nel volume
L. Albanese, P. Mander, M. Nuzzolo La teurgia nel mondo
antico, ECIG, Genova .
Mentre questo testo era in stampa, sono uscite: una
nuova edizione, a cura di Giuseppe Girgenti (Milano )
della traduzione e del commento dei Misteri di Angelo
Raffaele Sodano, con testo greco di des Places e traduzione latina di Ficino; una nuova edizione della Lettera a
Anebo a cura di H. D Saffrey e A-Ph. Segonds (†) nella
Collection Budé (Paris ) e, sempre nella stessa Collection
Budé (Paris ), una nuova edizione dei Misteri, con nuovo testo greco, dal titolo Réponse à Porphyre, a cura di di
H. D Saffrey, A-Ph. Segonds (†) e A. Lecerf. Mentre del
commento di Sodano avevo già dato conto, sulla base della
vecchia ed. Rusconi, delle nuove edizioni francesi — che
ho esaminato attentamente — ho tenuto conto per quanto
era compatibile con le prove di stampa in corso d’opera.

Introduzione
Giamblico nasce intorno al  a Calcide, in Celesiria (zona dell’antica Siria tra il Libano e l’Antilibano, situata a
est di Antiochia) da famiglia benestante verosimilmente
risalente al regno arabo degli Iturei, che entrò successivamente sotto il dominio romano (lo stesso nome Iamblichus
potrebbe avere origini arabe). Ebbe come maestri Anatolio,
autore di una Teologia dell’aritmetica, e Porfirio (–), di
cui probabilmente frequentò le lezioni a Roma nel /.
In seguito lasciò Roma e fondò una scuola ad Apamea in
Siria (la patria di Numenio). La data della morte oscilla tra
il  e il .
Scrisse vari commenti a Platone, in particolare al Sofista, al Timeo e al Parmenide, e alle opere logiche di Aristotele: di entrambi restano numerosi frammenti. Della
imponente Silloge delle dottrine pitagoriche restano La vita di Pitagora, il Protreptico (nel quale per nostra fortuna
Giamblico ha rifuso buona parte del Protreptico di Aristotele considerato perduto), La scienza matematica comune, l’Introduzione all’aritmetica di Nicomaco (di Gerasa), la
Teologia dell’aritmetica.
Ampi frammenti del Trattato sull’anima sono conser. Notizie più particolareggiate sulla vita e le opere di Giamblico sono
reperibili nell’Introduzione di John D ai frammenti dei commentari di
Giamblico (Iamblichi Chalcidensis In Platonis dialogos commentariorum fragmenta, Leiden ) e in quella di Francesco R a G, Summa
pitagorica, Milano . Vedi anche S .


Introduzione
vati da Stobeo, cosi come ampi frammenti dalle Epistole.
Interamente perduti sono invece il Commento agli Oracoli
caldaici in  libri (da cui proviene però il fr.  degli Oracoli
caldaici) e l’opera Sugli dèi. Di altre opere, come il trattato
Perì agalmaton, conosciamo solo il titolo grazie al patriarca
Fozio.
Veniamo ora ai Misteri degli egiziani. Com’è noto questo titolo è stato dato all’opera da Marsilio Ficino, che la
tradusse nel . Il titolo presente in alcuni manoscritti
è invece più lungo e più preciso: Risposta di Abammone,
suo professore, alla lettera indirizzata da Porfirio ad Anebo e
soluzione delle aporie sollevate in essa. E in effetti l’opera —
nella quale a conti fatti la presenza dell’Egitto non è poi
preponderante, fatti salvi gli ultimi libri — si articola come
una serie di risposte a una cinquantina di questioni sollevate soprattutto sulla natura degli dèi, sul loro culto e sulla
divinazione, sorrette quasi tutte da un motivo ricorrente,
la polemica verso la teurgia.
Nell’opera il nome di Anebo è presente, ma invano si
cercherebbero quelli di Giamblico, di Porfirio e di Abammone. Questi nomi compaiono invece nella notizia di
Michele Psello (–) relativa all’origine dell’opera, che
molto opportunamente des Places ha riportato come preambolo alla sua edizione dell’opera. Una seconda testimonianza importante è quella di Agostino, che non perde
l’occasione di usare la lettera in funzione antipagana, elogiando Porfirio per aver ‘smascherato’ contro Giamblico
le ciarlatanerie della teurgia.
Sulla base di queste due testimonianze, e di un’altra
notizia di Proclo che vedremo successivamente, i Misteri
vengono oggi quasi concordemente (con l’autorevole eccezione di Sodano) ritenuti opera di Giamblico, che nelle
vesti di un sacerdote egiziano, Abammone (sul significato
Introduzione

di questo pseudonimo si sono fatte varie ipotesi, ma nessuna è più convincente delle altre) , ribatte punto per punto
alle aporie sollevate da Porfirio nel tentativo di instillare
dubbi in un allievo di Giamblico, Anebo appunto.
I Misteri egiziani sono probabilmente l’opera più famosa di Giamblico, quella che ha maggiormente contribuito
a caratterizzare come ‘irrazionalistico’ il suo pensiero e
quello dei filosofi che a lui si riallacciano, in particolare
Giuliano Imperatore e Proclo. In effetti nei Misteri Giamblico recupera e sviluppa la teurgia presente sia nel Corpus
Hermeticum che negli Oracoli caldaici, che propugnavano
un approccio non solo teoretico, ma soprattutto operativo
verso gli dèi, tramite le due branche fondamentali della medianica (uso di medium) e della telestica (animazione
di statue). Probabilmente non è eccessivo affermare che,
a partire dall’opera di Giamblico, «la teurgia emerge come il tratto religioso distintivo della filosofia tardoantica» .
Questa circostanza aveva contribuito, tradizionalmente, a
prospettare l’esistenza di una ‘forbice’ tra il neoplatonismo
di Plotino e quello di Giamblico — ‘razionale’ il primo,
‘irrazionale’ il secondo. Oggi questa forbice si sta in parte
richiudendo. Da un lato, infatti, la vera differenza fra i due
momenti del neoplatonismo non risiede nello scopo finale, l’ascesi mistica verso l’Uno — irrazionale in Plotino o
Porfirio non meno che in Giamblico — ma nei mezzi con
cui arrivarci. Secondo Giamblico «non esiste per l’uomo
comune ascensione spirituale senza culto materiale: non è
possibile avanzare lungo la scala che conduce al cielo sal. Vedi per tutti H.D. S, Abamon, pseudonyme de Jamblique, in
Recherches sur le néoplatonisme après Plotin, Paris , pp. –.
. S. K, Filosofia, religione, teurgia, in R. Chiaradonna (a cura di),
Filosofia tardoantica, Roma , p. .

Introduzione
tandone i pioli» . La scala ‘si potrà gettare solo dopo esserci
saliti’, mai prima.
Dall’altro, una visione ‘operativa’ della religione non
può essere considerata un corpo estraneo all’interno della
religiosità classica. Un noto detto di Servio mette bene
in risalto che, alle origini, la «religione» altro non era che
attività pratica. Tale idea è esposta molto bene da Cotta,
Pontefice Massimo, al quale in apertura del III libro del De
natura deorum Cicerone fa dire (in polemica con gli stoici)
che la religione romana non ha bisogno di fondamenti speculativi e filosofici, perché consiste essenzialmente negli
atti di culto: gli auspici presi per la prima volta da Romolo, i riti (sacra) fissati una volta per sempre da Numa, e
gli oracoli della Sibilla . L’esempio della Sibilla cumana
basterebbe, da solo, a dimostrare che la teurgia dei due
Giuliani fa riferimento a pratiche antichissime consolidate
dalla tradizione. La Sibilla romana, come la Pizia e le altre
sacerdotesse sparse a pioggia nel mondo antico erano esattamente delle medium, e la medianica aveva salde radici
nelle pratiche religiose del mondo greco–romano.
Un discorso analogo vale per la telestica, cioè la fabbricazione e animazione di statue. Anche questa pratica è
antichissima, e forse non a caso i due Giuliani venivano anche chiamati ‘gli Assiri’ . Tale pratica è infatti attestata tanto
nei testi cuneiformi dei Sumeri e degli Assiro–babilonesi
quanto nei documenti dell’Egitto faraonico risalenti agli
. Ivi, p. .
. In Georgica III . Thilo–Hagen III p. : «Maiores enim expugnantes
religionem totum in experientia collocabant» [‘Infatti gli antenati, vincendo il
timore superstizioso, riponevano tutto nell’azione’].
. M. Tullius C De natura deorum III , p.  Ax.
. Cfr. L , Excursus I, p. .
Introduzione

inizi della IV dinastia ( a.C. circa) . Da questo punto
di vista, ci sarebbero buone ragioni per concludere che
la vera novità introdotta dai due Giuliani nel mondo greco–romano del II secolo sia il termine ‘teurgia’, più che le
pratiche ad esso collegate.
***
La struttura dei Misteri, come ho detto, segue l’ordine
delle domande poste nella Lettera ad Anebo. Se l’autore della Lettera è Porfirio, essa non può che appartenere al primo
periodo romano della sua attività (/ d.C.), caratterizzato dalla forte influenza di Plotino. L’interesse di Porfirio
(– d.C.) per la teurgia conosce fasi diverse. Una prima
fase, anteriore alla frequentazione con Plotino, registra un
grande interesse di Porfirio per questo tipo di letteratura.
Porfirio compone la Filosofia degli oracoli, scrive il trattato Peri agalmaton, sulla composizione e animazione delle
statue, cioè un trattato di telestica, e probabilmente scrive
un intero commento agli Oracoli caldaici stessi. Dopo l’incontro con Plotino sembra cambiare radicalmente idea,
e nella Lettera a Anebo, come vedremo, sferra un violento
attacco contro la teurgia sollevando questioni sicuramente interessanti, ma risultando più plotiniano dello stesso
Plotino, ad es. nella critica della stessa ‘teologia astrale’.
Morto Plotino sembra essersi liberato di un grosso peso,
e torna ai primi amori, scrivendo il De regressu animae e
forse addirittura una biografia su Giuliano padre, Giuliano
il Caldeo. Anche il Commento al Parmenide contenuto nel
. Cfr. L. A, P. M, M. N, La teurgia nel mondo
antico, Genova .
. Cfr. Pierre H, Porphyre et Victorinus (Études Augustiniennes),
Paris .

Introduzione
‘palinsesto di Torino’ — ammesso che sia suo — rivela un
nuovo interesse per gli Oracoli. Ma è soprattutto il § 
delle Sentenze a riprendere estesamente gli sviluppi della
teoria del corpo astrale (ochema) elaborati dagli Oracoli. La
stessa opera, peraltro, appare spesso compatibile con le
tesi sostenute da Giamblico e tuttavia combattute da Porfirio nella Lettera, e nel corso del commento avrò modo
di evidenziare i punti di concordanza. Questa circostanza
non deve stupire più di tanto, perché la natura ‘ondivaga’
di Porfirio è universalmente nota.
Al di là delle oscillazioni di Porfirio, la Lettera resta nell’insieme molto ostile verso la teurgia, al punto che, come
ho detto, Agostino poté utilizzarla nella polemica contro il
paganesimo. Nonostante ciò, o proprio per questo, essa si
rivelò molto utile a Giamblico per fare il punto su alcune
questioni di estrema importanza per la tradizione platonica
— il che voleva dire per buona parte del pensiero filosofico
e religioso pagano. Va rilevato, tra l’altro, che la risposta di
Giamblico alla Lettera arriva, come sembra accertato, dopo
parecchi anni dalla sua prima stesura (la data di composizione dei Misteri va collocata dopo il  d.C.). Una circostanza,
questa, che induce a pensare che Giamblico abbia deciso di
rispondere a Porfirio nel momento giudicato più opportuno. In primo luogo, dopo la morte di Porfirio ( d.C.), non
tanto e non solo per evitare una polemica col suo maestro,
ma anche per non incrinare il ‘fronte pagano’ contro i cristiani. In secondo luogo, per fornire a questo stesso fronte una
sorta di ‘guida dei perplessi’, che permettesse di rispondere
in modo adeguato alle critiche dei cristiani.
. Cfr. C. M, Introduzione a G, I misteri degli egiziani,
Milano  p. . Di diverso avviso è D , cit., p.  e S  p.
XXXII.
Introduzione

Tra i problemi affrontati, perché suggeriti dalla Lettera, fanno spicco la natura degli dèi, il rapporto fra dèi e
demoni e più in generale fra le gerarchie divine, la forma delle autofanie divine, e soprattutto il significato della
teurgia (che Giamblico ha cura di distinguere nettamente
dalla goezia) . A tale proposito, anzi, bisogna dire che il
testo di Giamblico, evidenziando e discutendo una serie
di aporie o di problemi nascosti nelle pieghe degli Oracoli
caldaici (che se non vengono quasi mai citati apertamente
sono il principale punto di riferimento dell’opera) e dei
testi ermetici, è sostanzialmente l’unica opera del pensiero antico che si presenti come il più serio tentativo di
fissare i compiti e i limiti della teurgia, chiarendo in tal
modo, come ho già accennato, il rapporto fra teologia,
prassi cultuale, e ascesi mistica. Anche o soprattutto per
queste ragioni, definizioni dei Misteri come ‘il manifesto
dell’irrazionalismo’ , che troviamo ancora recepite dai
manuali, appaiono troppo riduttive, e del resto il risveglio
di interesse per quest’opera, manifestatosi negli ultimi anni, è il segno del crescente ‘mutamento di paradigma’ in
atto nei confronti di Giamblico e più in generale di tutto il
pensiero tardoantico.
. Il termine non aveva in origine connotazioni negative (cfr. P,
Simposio a), ma successivamente le aveva acquisite (cfr. Fritz G, La
magia nel mondo antico, Roma–Bari ).
. La definizione, come è noto e senza nulla togliere all’importanza
sia dell’opera che dell’autore„ risale a Eric D (I greci e l’irrazionale, II
Appendice). Anche N, nella sua Storia della religione greca, usa tale
espressione.
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