la v crociata: la campagna d`acri e la conquista di damietta

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“ LA V CROCIATA: LA CAMPAGNA D’ACRI
E LA CONQUISTA DI DAMIETTA”
PROF. MARCELLO PACIFICO
La V crociata: la campagna d’Acri
e la conquista di Damietta
Università Telematica Pegaso
Indice
1
LA CROCIATA DI DAMIETTA ------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA CAMPAGNA D’ACRI E LA CAMPAGNA D’EGITTO ---------------------------------------------------------- 6
3
I CROCIATI CONQUISTANO DAMIETTA --------------------------------------------------------------------------- 10
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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La V crociata: la campagna d’Acri
e la conquista di Damietta
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1 La crociata di Damietta
La campagna della quinta crociata inizia due anni dopo la sua proclamazione al Concilio
Laterano, allo scadere della tregua tra Franchi e Saraceni in Palestina, attesa dagli abitanti del regno
di Acri per il rinnovo della pace con il sultano d’Egitto, e dalla cristianità nel clima messianico
descritto dalle pagine della Historia damiatina dello scolastico di Colonia.
La Gerusalemme, luogo di zaffiri, pietre della terra, posseduta dai patriarchi, nutrice dei
profeti, maestra degli apostoli, madre della fede, aspetta di essere liberata dai pellegrini, soldati di
Cristo, martiri del Signore, servi del Dio vivente che opera nella storia, del Cristo giudice,
comandante e combattente, del sommo Re che vive, regna, impera e vince ma si dimostra anche
pietoso e misericordioso nei confronti del suo popolo sofferente e peccatore.
Le prime operazioni militari, iniziate, nel novembre 1217, senza l’imperatore Federico II che
è individuato dal papa come il capo della crociata, s’interrompono nella primavera successiva per il
repentino rientro in Europa del re d’Ungheria e per la morte del re di Cipro. L’arrivo di una nuova
flotta dall’Occidente convince i crociati a sferrare sotto il re di Gerusalemme, Giovanni di Brienne,
un attacco diretto alla fonte del potere ayyûbita, l’Egitto, per aprire le trattative per la restituzione
della città santa. I tempi sembrano maturi perché il nuovo sultano al-Kâmil, subite alcune sconfitte e
sventata una congiura, fedele alla politica della sua dinastia, si mostra favorevole a trattare e a
cedere Gerusalemme ai Franchi senza le sue difese. La crociata potrebbe raggiungere il suo fine, se
non fosse per l’opposizione del legato apostolico, il vescovo Pelagio, convinto del favore di Dio,
della prossima conquista della terra del Faraone e del prossimo avvento del regno di pace e di
giustizia delle profezie. Durante la crociata, mentre il rappresentante del papa chiede ai cavalieri
cristiani di combattere senza fermarsi fino alla caduta di Babilonia, il vescovo Giacomo di Vitry,
frate Francesco d’Assisi, lo scolastico Oliviero di Paderbon, invece, in momenti diversi, nel
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perseguire lo stesso obiettivo, preparano l’umanità al giorno del giudizio, attraverso la conversione
alla fede di Cristo dei catecumeni musulmani - come del sultano. Sebbene il legato apostolico
dibatta animatamente con il re di Gerusalemme sulla strategia d’adottare e Federico II si trattenga in
Germania per rassicurare la base del suo potere, i pellegrini rifiutano le proposte di pace del sultano
e marciano contro Damietta che è conquistata secondo le profezie vaticinate: la strada sembra
pronta perché si realizzi la stagione di pace e possano incontrarsi in Terra santa il Prete Gianni e lo
stesso Federico II, quel re d’Oriente e quell’imperatore degli ultimi giorni che dovranno seppellire
le loro armi davanti al Sepolcro di Cristo. L’amministrazione del territorio egiziano conquistato,
d’altronde, è affidata dal legato apostolico soltanto pro tempore al re di Gerusalemme, in attesa
dell’arrivo dell’imperatore del sacro romano impero. Nel frattempo, Giovanni di Brienne ritorna nel
regno di Acri a causa della lotta di successione dinastica alla corona armena che oppone principi
cristiani e i frati dell’Ospedale e del Tempio, al di là della pace di Dio e nonostante la crociata.
In Europa, Onorio III provvede con impegno ed efficienza al sostegno richiesto dal legato
Pelagio: affida la decima raccolta dalla chiesa ai frati-cavalieri degli Ordini secolari e ai diversi
baroni che partono nei passaggi estivi e invernali, e invita più volte Federico II a recarsi in Egitto. Il
sovrano normanno-svevo, però, prende tempo e promette di partire dopo aver consumato l’unzione
imperiale a Roma e aver ripreso la croce da campione della cristianità e da imperatore delle Sacre
scritture. I preparativi della crociata procedono, ma la partenza del sovrano normanno-svevo è
rinviata nuovamente per la rivolta dei Saraceni delle montagne siciliane, senza eccessive
rimostranze del papa. La flotta imperiale parte nel nono passaggio generale, nell’estate del 1221,
senza l’imperatore degli ultimi tempi, ma approda troppo tardi a Damietta, quando ormai la città è
promessa dal re di Gerusalemme al sultano d’Egitto, secondo la pace siglata all’indomani della
disfatta di Baramûn, della campagna militare voluta ad ogni costo dal legato apostolico per la
conquista del Cairo. L’esercito cristiano ritorna incolume nel regno di Acri senza quella città santa
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offerta più volte dal sultano al-Kâmil: i pellegrini evacuano l’Egitto e una nuova tregua di otto anni
segna le relazioni tra Cristiani e Musulmani in Palestina. Quattro anni dopo il suo inizio, la crociata
pensata da Innocenzo III e realizzata da Onorio III, si conclude con il rinnovo dello status quo ante,
ma lascia il suo segno, tanto che Oliviero di Paderbon si affretta a riproporre al sultano di Babilonia
la consegna pacifica di Gerusalemme, secondo delle prospettive politiche e profetiche di una
stagione messianica ancora viva e presente.
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2 La campagna d’Acri e la campagna d’Egitto
I primi pellegrini che rispondono alla bolla Quia Maior di papa Innocenzo III, alla
costituzione Ad liberandam del IV Concilio Laterano e agli appelli di papa Onorio III, giungono in
Palestina nell’estate 1217, allo spirare della tregua esistente tra Franchi e Saraceni, attesi dal
vescovo Giacomo di Vitry e da Oliviero di Paderbon, cronisti d’eccezione dell’intera campagna
militare. Diversi sovrani, nobili ed ecclesiastici dell’Occidente cristiano partecipano alla nuova
crociata, e partono nel primo passaggio generale da Brindisi, da Spalato e da Marsiglia, mentre
l’eletto imperatore e re di Sicilia, Federico II, conferma al papa il voto promesso di recarsi al più
presto in Oriente per guidare i pellegrini.1 Lo scolastico da Colonia annota la gioia della cristianità e
l’attesa per le grandi opere del Signore, che devono essere raccontate perché ogni essere vivente
possa recare lode a Dio, illuminarsi della sua virtù e ringraziarne la benevolenza.2
Il 23 agosto 1217, i cittadini di Acri accolgono con gioia l’arrivo di re Andrea d’Ungheria
che, giunto su grandi navi allestite a Venezia e ad Ancona,3 convoca in qualità di rappresentante
dell’imperatore una curia per decidere come attuare la campagna militare per il recupero dei Luoghi
santi.
La strategia dei crociati per recuperare la città santa è chiara: iniziare una campagna in Siria,
tra Gerusalemme e Damasco, per impegnare l’esercito del figlio del sultano e poi assediare
l’importante città portuale di Damietta per colpire il centro del potere ayyûbita, all’arrivo della
flotta dei Frisoni.
1
Jacques de Vitry, 273; Lettres de Jacques de Vitry, 94-95. Matteo Paris, l’autore dell’Estoire, della Cronica sancti
Petri Erfordensis (i cui racconti spesso combaciano), Oliviero di Paderbon concordano sull’inizio delle ostilità dopo lo
scadere della tregua, al contrario di al-Maqrîzî, cfr: Ex Matthei Paris majori Anglicana Historia, 733; Estoire, 321;
Cronica S. Petri Erfordensis, 385-386; Oliviero da Colonia, La storia di Damietta, in I Cristiani e il favoloso Egitto, 62;
Al-Maqrîzî, IX, 466-467.
2
Oliviero da Colonia, 61-62.
3
Ex Thomae historia pont. Salonitanorum et Spalatinorum, in MGH-SS, XXIX, 577-579.
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Il 1° novembre 1217, durante la rituale e simbolica festa d’Ognissanti, inizia in Palestina la
campagna dei pellegrini, dell’esercito del Dio vivente, dei cavalieri di Cristo - come li definisce lo
scolastico di Colonia - con la processione del legno della Croce, celebrata dal patriarca di
Gerusalemme: l’esercito, composto da duemila cavalieri, mille sergenti a cavallo e ventimila fanti,
per un totale di trentamila unità - incluse le donne - parte da Acri e raggiunge i castra Domini o
Campi del Signore che precedono Tell-Kurdany.
Il 6 novembre, i pellegrini proseguono per il territorio musulmano di Bethsan che è
devastato per tre giorni. Il 2 dicembre 1217, durante il ramadhân, i Franchi effettuano una seconda
spedizione con la cavalleria, decisi a scontrarsi direttamente ai piedi del monte Thabor con i
Saraceni. I tentativi di cacciare gli Egiziani dalla Palestina falliscono miseramente, e l’esercito di
Dio o del Signore,4 dopo aver marciato compatto nei primi due mesi, si scioglie come neve al sole.
All’inizio del nuovo anno, anche re Andrea parte, il più importante signore giunto dall’Occidente
con più di diecimila uomini.
I pellegrini rimasti in Palestina rafforzano le fortificazioni in rovina: i tedeschi del duca
d’Austria, dei vescovi di Bamberga, di Munster e di Utrecht, insieme ai cavalieri di re Giovanni e
agli Ospedalieri fortificano il castello di Cesarea,5 mentre Templari e Teutonici fortificano Athlît6 .
Tra la primavera e l’estate del 1218, in Terra santa approdano, almeno, quaranta navi con a
bordo migliaia di pellegrini alla guida dei conti Guglielmo d’Olanda e Giorgio di Wied. Il 15 aprile
1218, i Frisoni partono dal porto siciliano di Siracusa alla volta di Acri.
4
Oliviero da Colonia, 65-66.
Il 2 febbraio 1218, il re con i vescovi celebra la festa della Purificazione di Maria nella chiesa di San Pietro, cfr.:
Oliviero da Colonia, 67; Jacques de Vitry, 278. Lì muore il teologo, dottore saggio e illustre maestro Tommaso, mentre
il vescovo di Munster muore a Cesarea (Ivi, 280).
6
Castrum Filii Dei, Districtum, Castel Pellegrino, tra Hayfa e Cesarea su un promontorio largo, attorniato da rocce
eccetto che ad Est dove vi è una torre costruita e posseduta dai Templari. I frati durante i lavori di scavo attorno alla
torre, durati sette settimane, scoprono nelle fondamenta una muraglia antica, lunga e spessa, e proseguendo, un’altra
meno spesso e dell’acqua che copre lo spazio vuoto, e monete antiche sconosciute ai moderni e pietre e cemento tali da
costruire davanti all’entrata due torri quadrate, di 100 piedi di altezza e 74 di larghezza, più alte del promontorio, unite
da mura scorrevoli e accessibili, armate da alcune scale, cfr.: Ivi, 279-280.
5
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Onorio III mostra un impegno costante nell’organizzazione della crociata orientale e non
tollera defezioni: nel maggio 1218, affida le 25.000 marche d’argento, raccolte da Innocenzo III, al
legato Pelagio. Il giovane imperatore Federico II, invece, prende tempo e non si fa trasportare da
facili entusiasmi perché è impegnato in Germania ad assicurare il giuramento di fedeltà della nobiltà
tedesca al figlio Enrico che, è richiamato dalla Sicilia, già nel luglio 1216, insieme alla madre
Costanza d’Aragona, per cingere la corona imperiale ed assicurare la discendenza dinastica sveva
prima dell’attesa partenza del sovrano in Oriente.7
All’arrivo in Palestina di nuovi crociati frisoni, tedeschi e italiani, è indetta una nuova curia
ad Acri alla presenza del re e del patriarca di Gerusalemme, dei maestri degli Ordini secolari,
dell’arcivescovo Eustorgio di Nicosia, dei vescovi Ranieri di Betlemme e Giacomo di Acri, del
duca d’Austria: si decide di salpare in direzione di Damietta per fine maggio, dopo l’Ascensione,
così come aveva consigliato il papa al Concilio Laterano, e come era stato previsto all’inizio della
crociata, nel caso fosse stata messa a disposizione una flotta imponente. Il 30 maggio 1218, i
crociati approdano in un isolotto davanti al porto di Damietta. L’invasione delle coste egiziane è
programmata nel tentativo di strappare le chiavi di Gerusalemme custodite gelosamente al Cairo.8
L’attacco è funzionale alla restituzione di Gerusalemme e non mira alla conquista della terra
egiziana perché ha l’obiettivo di distogliere l’attenzione del sultano dal regno di Acri e indebolirne
la forza militare, al punto da costringerlo a trattare la cessione della Terra promessa secondo l’attesa
escatologica vissuta.
Nell’estate del 1218 si consuma lo scontro tra Franchi e Saraceni: un primo assalto è
condotto dal duca Leopoldo e dagli Ospedalieri su due navi, le cui scale sono bruciate dal fuoco
Riccardo di San Germano, 69; Pacifico, Costanza d’Aragona, 96.
Richard, La croisade: l’évolution…, 23-24. Papa Onorio III avrebbe considerato l’Egitto come parte della Terra
Santa (D. Norman, The legal and Political Theory of the Crusade, in A History of the crusades, VI, 11).
7
8
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greco; un secondo, portato da Frisoni e Tedeschi guidati dal conte Alfonso di Berg,9 è respinto
ugualmente, un terzo, infine, rinnovato durante la piena del fiume dal duca austriaco, il 24 agosto,
per la festa di san Bartolomeo, respinge una controffensiva dei Saraceni e costringe alla resa i
difensori della fortezza - tra cui più di cento nobili, che sono catturati e inviati ad Acri, mentre altri
meno nobili sono liberati.10
Per i cronisti franchi, il sultano al-‘Adîl, definito un «usurpatore del regno d’Asia per aver
tradito la sua stirpe», non si riprende dalla sconfitta e muore qualche giorno dopo nei pressi di
Damasco, non prima di aver ordinato al figlio al-Mu‘azzam di portare soccorso all’Egitto, di
consegnare quelle terre riconquistate e richieste dai Cristiani perché è «meglio dare meno per
trattenere di più»,11 e di abbattere la fortificazione del monte Thabor, visto l’elevato costo della
guarnigione.12
La morte del sultano al-‘Adîl apre la strada al potere ai numerosi figli nei diversi regni e
principati dell’Asia e dell’Africa.
9
Adolfo del Monte, fratello dell’arcivescovo di Colonia, morto prima della conquista della Torre, si offre come gli
altri pellegrini pronto al martirio (Oliviero da Colonia, 74).
10
Estoire, 328; Matteo Paris, III, 37-39; Cronica S. Petri Erfordensis, 387; Riccardo di San Germano, 67-68;
Annales S. Rudberti Salisburgenses, in MGH-SS, IX, 780-781; BDC-Chroniques arabes, 387-92.
11
Estoire, 330.
12
Matteo Paris, III, 39-40; Annales Stadenses, in MGH-SS, XVI, 356; Lettres de Jacques de Vitry, 110.
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3 I crociati conquistano Damietta
Il sultano d’Egitto, con il consenso del fratello al-Mu‘azzam,13 cerca una soluzione
diplomatica al conflitto sia perché la siccità del Nilo minaccia l’intero raccolto, e quindi,
l’approvvigionamento dell’esercito, sia perché la lunga permanenza del nemico nelle terre occupate
rende instabile il governo del Paese. Durante l’autunno, ambascerie composte da nobili ed emiri si
muovono freneticamente tra il campo cristiano e quello musulmano: secondo il racconto di alcuni
Templari e Ospedalieri, durante uno di questi viaggi, 600 cavalieri saraceni riescono ad entrare
nell’assediata città di Damietta.14 Nella delegazione egiziana sono presenti un prigioniero cristiano, il
visconte Rodolfo di Belmont15 e l’interprete Beiram, mentre in quella franca, l’angioino Amelin de
Riorte, il poulain Guglielmo di Gibelet e l’interprete Mostar.16 In cambio del ritiro dall’Egitto, alKâmil offre una tregua di dieci anni e tutti i territori conquistati dal Saladino, inclusa Gerusalemme,
eccetto al-Karak e Shaûbak, fortezze necessarie alla protezione dei pellegrini in viaggio per La
Mecca; successivamente, aggiunge nel piatto la vera Croce, presa dal Saladino al momento della
battaglia di Hattîn, una rendita annuale di 12.000 bisanti17 da esigere dalla porta di Damasco in
cambio del fortezze non cedute, e la consegna in ostaggio di alcuni dignitari del lignaggio ayyûbita
per tutto il tempo necessario alla ricostruzione delle mura delle città riconsegnate. I giudizi dei
cronisti cristiani su queste generose offerte e sul loro rifiuto sono discordanti: Matteo Paris e
l’autore dell’Estoire ritengono che il sultano voglia dimostrare quanto siano arroganti i Cristiani e
sprezzanti del timore di Dio, mentre Giacomo di Vitry e l’autore della Cronaca S. Petri Erfordensis
13
Oliviero da Colonia, 97.
Gesta obsidionis Damiatiae, 119-120.
15
Il suo nome compare nel solo racconto di Giacomo di Vitry, posteriore alla conquista di Damietta (Lettres de
Jacques de Vitry, 141-149).
16
Estoire, 338. La presenza d’Andrea di Nanteuil e Giovanni di Arsiccio è errata (Van Cleve, The Fifth Crusade,
415).
17
Rispettivamente 15.000 o 30.000 (Riley-Smith, Breve storia delle crociate, 205; Mayer, The Crusades, 223-224).
14
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rimarcano la cattiva malizia dell’orientale al-Kâmil che vuole dividere l’esercito cristiano.18 Di
fatto, la nobiltà franca, inglese e tedesca si schiera con il re di Gerusalemme, pronto a contrarre
un’alleanza con il sultano a garanzia della pacifica esistenza del suo regno; il clero, gli Italici, i
Templari e gli Ospedalieri approvano il consiglio del legato apostolico di aprire le trattative soltanto
dopo la conquista di Damietta, specialmente dopo l’incursione nel campo cristiano di 300 saraceni che sono trucidati.19 Anche il giudizio sul comportamento di Pelagio è contraddittorio: biasimato,
perché rifiuta il compromesso, «trasportato dal desiderio morboso di prendere Damietta»,20 e
giustificato, perché saggiamente si riserva di siglare il compromesso da una posizione di forza con
l’arrivo di nuovi uomini e denari.21 L’attesa di nuove truppe come la mancata restituzione delle
roccaforti d’al-Karak e di Shaûbak, ad ogni modo, diventano pretestuose perché trasformano la
crociata da opus pacis in una guerra di conquista dell’intero Egitto, non più funzionale alla custodia
di Gerusalemme, ingenerosamente rifiutata.22
Il rifiuto delle proposte di pace del sultano è seguito da un nuovo assalto alla città portuale
egiziana che risulta decisivo: il 5 novembre 1219,23 i Franchi, su esortazione del legato, prendono la
città di Damietta dalle doppie mura e dalle trentadue torri, dalla popolazione stremata e piena d’oro,
dalle pietre preziose e da ricchezze quantificabili in 400.000 bisanti saracenati, mentre al-Kâmil si
ritira a Sud, dopo aver bruciato l’accampamento militare. I crociati trovano in città 3.000 delle
70.000 persone della popolazione originaria, compreso un centinaio di cavalieri rimasti in sua
18
Matteo Paris, III, 52-54; Estoire, 338-343; Lettres de Jacques de Vitry, 124; Cronica S. Petri Erfordensis, 388-
389.
19
(1220) Ernoul, 434-438; Gesta obsidionis Damiatiae, 104-105, 119-120; Ex chronologia Roberti
Altissiodorensis, 288; BBTS, 95; Chronicon Faventinum del Maestro Tolosano, in RIS, 28/1, 142; BDC-Chroniques
arabes, 400-407; Storici arabi delle crociate, a cura di F. Gabrieli, Torino 2000, 258.
20
Matteo Paris, III, 52-54.
21
Roberti autissiodorensis cronici, 285. L’idea che il legato rifiuti la pace perché ritiene imminente l’arrivo
dell’imperatore Federico (Van Cleve, The Fifth Crusade, 415) è errata visto che i pellegrini sono informati subito dal
papa della nuova proroga concessa al sovrano.
22
Die Schriften des Kölner Domscholasters Oliverus, 305.
23
Allorché regnava il Salvatore del mondo (Oliviero da Colonia, 98).
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difesa;24 catturano diversi nobili per ottenerne il riscatto,25 - molti fanciulli - che sono purificati dal
vescovo di Acri con l’acqua del battesimo-,26 malati, donne e vecchi che sono resi schiavi.27
Trovano conferma le prediche dello scolastico di Colonia che adduce la vittoria alla potente mano,
all’aiuto prestato ai cavalieri, ai fedeli di Cristo da Dio, dal Re dei Re, dal Signore dei Signori,
pronto a consegnare per la terza volta Damietta ai suoi servi al comando di Gesù che vive, regna,
impera e vince per la gioia della chiesa universale. E la conquista avviene senza un saccheggio, una
capitolazione, una strenua difesa perché la vittoria sia chiaramente attribuita al figlio di Dio.28
Damietta non è strappata con violenza al suo wâlî, ma da lui consegnata pacificamente al nobile
Baliano di Sidone, in rappresentanza dell’assente re Giovanni, a condizione che i suoi cittadini
siano trattati come nel regno di Acri.29 Contrariamente al carattere sanguinario della conquista
evocato da T. C. Van Cleve,30 la popolazione musulmana che decide di rimanere è protetta dai capi
militari dell’esercito cristiano, come in Sicilia o negli altri regni latini, in qualità di specialis fidelis
della corona.
Questa coesistenza, rimarcata anche dai cronisti arabi al di là del naturale sentimento di
revanche, mitiga il carattere guerresco delle operazioni militari, esclude ogni carattere religioso,
confessionale o etnico del conflitto e sconfessa la visione mitica di una società d’apart-heid,
insediata ante-litteram, nell’Oriente arabo-latino: ciò non toglie che il predicatore Sibt Ibn alDjawzî tenti, invano, di risvegliare la retorica della jihâd nel descrivere la morte straziante di tutti i
musulmani e lo stupro delle loro donne, che Ibn al-‘Athîr preferisca segnalare il solo esilio degli
24
Dei 45.000 abitanti, la città ne conserva 15.000 per lo più malati, donne e bambini mentre sono sterminati 200
uomini del sultano che entrano di nascosto per soccorrerli (Ex chronico Alberici Trium-Fontium monachi, 789).
25
Quasi 400 uomini.
26
Oliviero da Colonia, 100.
27
Lettres de Jacques de Vitry, 126-127; Riccardo di San Germano, 69-70; Ex chronologia Roberti Altissiodorensis,
289; Matteo Paris, III, 54-55; Iohannes de Tulbia, De domino Iohanne, rege Ierusalem, in Quinti Belli Sacri Scriptores,
138; Iohannes Codagnelli …, 501; Cronica S. Petri Erfordensis, 389.
28
Oliviero da Colonia, 80, 93, 98-100.
29
Estoire, 344, 346.
30
Van Cleve, The Fifth Crusade, 418-419.
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abitanti o che al-Maqrîzî e ‘Abou-l-feda ne approfittino per sottolineare con fierezza la condizione
di schiavitù dei vinti, un tempo liberi, e la resistenza eroica di sedici mesi e ventidue giorni degli
assediati. La perdita dell’importante città portuale egiziana colpisce il mondo musulmano. Il
sultano, scosso e timoroso, si posiziona subito all’interno, alla confluenza del canale di AshmûnTannâh con quello di Damietta, per allestire la nuova fortezza di al-Mansûra (la Vittoriosa), chiude
il porto del Cairo e comincia a diffidare apertamente dei Cristiani, che imprigiona perché sospetta di
complottare o parteggiare per il nemico.31 I cronisti adducono la sua sconfitta alla superiorità
numerica dei Franchi, 200.000 uomini e 10.000 cavalieri, a dispetto dei 40.000 cavalieri
musulmani,32 e sottolineano la pronta solidarietà che riceve al-Kâmil da tutto il Dâr al-Islâm: nel suo
accampamento giungono gli emiri di al-Ashraf da Khelât, di al-Mu‘azzam da Damasco, di alMûdjhâhid da Homs, di al-Mansûr da Hama, di al-‘Amdjad da Ba’albek. Nel frattempo, l’impero
ayyûbita è in pericolo perché i Selgiuchidi dei Rûm continuano ad attaccare i territori di Aleppo e i
Tartari di Gengis-Khân entrano in Iraq dopo aver sconfitto il Kharezm-Shâh ‘Alâ al-Dîn.33 La
situazione è così tragica che Abou-l-feda chiosa amaramente: «dalla creazione dell’Islamismo mai i
Musulmani si erano trovati a subire una tale prova. I Franchi non si fermano, anzi, dopo Damietta
non pensano ad altro che alla conquista dell’Egitto, dirigendosi da tutte le valli e da tutti i luoghi
come se fosse il tempo della loro egira, della loro migrazione».34
Il 23 novembre 1219, in effetti, una spedizione di 1.000 uomini parte dalla città di Damietta
appena conquistata e occupa un punto vitale per i collegamenti tra Acri e l’Egitto, la fortezza di
Tinnis,35 al di là del lago Menzaleh, munita di otto torri, a un giorno di navigazione dalla Terra
31
Al-Maqrîzî, IX, 480-482.
Nel primo contro-attacco cattura più di 2.200 uomini tra i Franchi.
33
Al-Makin ibn al-‘Amîd, 31-32; Ibn al-Athîr, 119; Sibt Ibn al-Jawzî, 619-620.
34
Abou’l-Feda, 91-92.
35
Città medievale egiziana, oggi corrispondente al quartiere sud-occidentale di Porto Said, a un giorno di cammino
da Damietta (Oliviero da Colonia, 108-109).
32
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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santa, luogo dove ha vissuto Mosè al tempo del regno dei faraoni.36 I Cristiani sono così tranquilli
che il conte Ranulfo di Chester, dopo un solo anno trascorso in Oriente, con molti altri cavalieri può
ritornare in Occidente con il beneplacito del legato apostolico.37 E’ evidente a tutti, secondo
Oliviero di Paderbon, che questo santo pellegrinaggio è gradito a Dio, all’Altissimo che opera
meraviglie (Ps 76,15), che è mirabile nel suo agire sui figli dell’uomo (Ps 65,5), che ha manifestato
i suoi miracoli, ha consegnato la città egiziana contro anche il volere di certi pseudo-cristiani grazie
a Cristo, unico condottiero, sommo re e giudice.38
36
Ex chronico Alberici Trium-Fontium monachi, 789; Regesto cronologico, 95; Ex chronologia Roberti
Altissiodorensis, 289.
37
Matteo Paris, III, 55-56.
38
Oliviero da Colonia, 104, 108, 111.
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Estoire de Eracles Empereur, in Historiens occidentaux, Paris 1819; ed. Académie des
inscriptions et belles lettres, Imprimérie Nationale, t. II, Paris 1859
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