STORIA ROMANA DALLE CIVILTÀ PREROMANE A ROMOLO AUGUSTOLO © GSCATULLO PICNUPIA ( Paolo Franchi II BC Ana Maria Dragomir Storia Romana Essenziale Le Civiltà dell’Italia Pre-Romana La storia della ''prima Italia'' fu una storia scritta da vincitori, nella quale la fondazione di Roma appariva come la fondazione stessa della civiltà. Tuttavia, negli ultimi decenni, un serie di scoperte archeologiche ha cambiato questa prospettiva, mostrando che, le popolazioni preromane, o almeno alcune di esse, avevano raggiunto un livello di sviluppo molto elevato, anche grazie ai contatti con le popolazioni straniere. Dunque, al giorno d'oggi la nascita di Roma è vista in una posizione meno centrale, e l'attenzione viene rivolta anche verso le popolazioni che la precedettero. L'Italia infatti, a differenza dalla Grecia, (abitata da un solo popolo) era un mosaico di genti diverse tra loro per razza, lingua, civiltà: Etruschi, Celti, Sanniti, Liguri, Veneti, Sardi e altri, nati dalla suddivisione di una stessa stirpe, coesistettero fino a quando vennero sottomesse dai Romani. E quando Roma divenne lo stato dominante esse vennero ''livellate'' e ''romanizzate'' dunque al potere e alla civiltà di Roma. I primi abitatori neolitici dell'Italia, furono coloro che durante l'8° millennio a.C., provenienti dalle coste del Libano e dalla Siria, si stanziarono nelle Puglie (nel Tavoliere), e ovviamente l'attività principale da loro praticata era l'agricoltura. Al nord della penisola invece, ricordiamo insediamenti a Pienza, Grotta delle Arene Candide e presso Fiorano. Nel corso del 3° millennio a.C. nell'Italia meridionale, si verificò l'importante svolta determinata dall’apprendimento delle tecniche per la lavorazione del metallo, probabilmente grazie ai contatti con le coste dell'Asia Minore, molto più evolute da questo punto di vista. Nacque dunque inevitabilmente la fiugura dell'artigiano specializzato che si spostava di villaggio in villaggio offrendo i sui servizi; la necessità di procurarsi metallo, aumentò gli scambi commerciali e culturali. Nel 2° millennio a.C. in Italia si erano già stanziate alcune popolazioni di stirpe non indoeuropea: i Liguri, stanziati nel territorio compreso tra la foce dell'Arno e alla Provenza, i Sardi stanziati in Sardegna, gli Elmi nella Sicilia occidentale, i Falsci Latini, aggiuntisi verso la fine del millennio e di stirpe indoeuropea, stanziati nella zona sud del Tevere, i Siculi Sicani, nella Sicilia orientale e centrale, e gli Itali-Enotri in Calabria. Nell'attuale Lombardia e Veneto gli abitanti vivevano in abitazioni di legno dette palafitte, (sostenute da paletti infitti nei terreni paludosi, fiumi e laghi). La loro funzione era quella di proteggere gli abitanti dai nemici e dagli animali feroci, assicurando al contempo una costante riserva idrica. A partire dal 1600 a.C. nell'odierna Emilia, le palafitte iniziarono ad essere costruite anche su terra, per evitare il rischio di straripamento delle acque; in seguito questi insediamenti vennero circondati da argini possenti a loro volta racchiusi da un fossato profondo. Così prese vita la civiltà detta terramaricola dall'espressione ''terra marna'' ovvero ''terra grassa'' dal dialetto emiliano, che riconduce alle motagnole di terra ricche di sostituzioni organiche. A differenza della civiltà palafitticola, che viveva principalmente di caccia, la città dell ''terramare'' praticava anche l'allevamento e l'agricoltura. Sempre nel 1600 a.C., lungo l'Appennino si sviluppò anche la civiltà appenninica basata invece sulla pastorizia; essa praticava la transumanza e usava le sepolture dette a dolmen (due lastre verticali poggiate l'una sull'altra). Attorno al 1000 a.C. giunse in Italia il popolo degli Umbri, stanziati nella regione del Po, nell'odierna Bologna. Lì si sviluppò la civiltà detta Villanoviana da Villanova (il luogo dove vennero rinvenuti i suoi resti). Gli Umbri non praticavano l'inumazione, ma la cremazione dei defunti, i cui resti venivano conservati in urne. I Villanoviani sapevano usare il ferro che appresero grazie ai Dori. Il periodo di massimo splendore di questa civiltà viene collocato tra l'XI e VIII secolo a.C. mentre la sua fine, risale al VI secolo a.C. ad opera degli Etruschi. Sempre attorno al 1000 a.C. giunsero nella penisola alcune popolazioni di stirpe illirica: i Veneti, in Italia nordorientale, e gli Japigi in Puglia. Nell'VIII secolo anche i Greci iniziarono a fondare colonie in Italia (soprattutto quella meridionale), come avevano iniziato i Micenei a partire dal XVI secolo a.C. insediandosi presso Taranto, Thapsos, Siracusa, Saroch e Cagliari. In Sardegna invece, si sviluppò la civiltà nuragica dal nome delle sue costruzioni più antiche, i nuraghi: torri in forma di cono tronco, costruite con grandi blocchi di pietra sovrapposti senza uso di calce e servivano fondamentalmente per proteggere la popolazione in caso di pericolo. Questa civiltà, divideva la sua popolazione in due classi: pastori e agricoltori (a cui era affidata la produzione delle risorse necessarie al sostentamento del gruppo) e i guerrieri (che vivevano nelle nuraghe e proteggevano la popolazione in caso di pericolo). Grazie alle risorse della regione, la civiltà nuragica era molto ricca, sviluppò persino un'avanzata tecnica per la lavorazione del metalli. Gli Etruschi Nel II millennio a.C. nell’Italia centro-settentrionale (nella zona che oggi corrisponde alla Toscana) si stanziarono gli Etruschi (originariamente chiamati rasenna ovvero ''popolo'' I Greci tuttavia, li chiamavano ''tirreni'' e poi ''tusci''. Essi parlavano una lingua la cui scrittura era simile al greco, e tuttora non pienamente compresa. Gli Etruschi erano organizzati in città-stato ( come le poleis greche), fra le più importanti ricordiamo: Veio,Tarquinia, Perugia e Volterra. Venivano comandati da un re detto ''lucumone'' eletto a vita e detenitore del potere giudiziario e militare. Quest'ultimo veniva assistito da un consiglio degli anziani, formato ovviamente da esponenti aristocratici. (La classe aristocratica, era composta da grandi gruppi simili alle gentes romane.) All'inizio del VI secolo a.C. il lucumone venne sostituito da magistrati eletti annualmente detti zilhat e maru (quelli con funzioni religiose) e l'originaria monarchia divenne una repubblica aristocratica, il cui potere risiedeva nelle mani di un organismo simile al Senato romano. Gli etruschi non formarono mai uno stato unitario, forse perché avevano una posizione tale da non necessitare un'organizzazione centralizzata. In Etruria, nacque una confederazione di dodici città, i cui rappresentanti si univano una volta l'anno. Gli scopi di questa federazione erano più religiosi e politici che economici. Dunque le città Etrusche, seppur nate come centri agricoli, grazie alla straordinaria fertilità del territorio svilupparono nel tempo una fiorente attività commerciale, (sia marittima che terrestre), basta principalmente sulla ricchezza del suo suolo ricco di rame, piombo e ferro. Nell storia dell’Italia, gli Etruschi furono il primo popolo a tentare di unificare il territorio della penisola (processo che riuscirono poi i Romani). Dopo aver fondato alcune città nel loro percorso di espansione, giunti in Campania si scontrarono con le colonie Greche (Cuma e Napoli), riuscendo a dominare per un periodo grazie alla loro fortissima flotta, fino ad occupare la fascia orientale della Corsica dove nel 540 a.C. sconfissero i Greci nella famosa battaglia presso Alalia. Questo fu il periodo di massimo splendore del popolo etrusco,mentre il loro declino iniziò già dal 5° secolo: nel 509 vennero cacciati da Roma e nel 474 la loro flotta venne distrutta dai Greci, nonostante fossero alleati con Cartagine, non riuscirono mai a riacquistare la loro potenza. Inoltre alla fine del 6° sec a.C. iniziarono ad essere minacciati dall'arrivo di nuovi popoli quali i Celti. Infine, possiamo dire che ebbero una decadenza lenta ma inesorabile che si concluse nella seconda parte del III secolo a.C. Il culto dei morti aveva un'importante parte nella loro cultura, come del resto anche il sistema onomastico, nel quale, a differenza di quello romano, erano accettate anche le donne (presenza del matronimico). Le donne etrusche si distinguevano dalle altre dell'anitichità per la libertà concessa loro, sia fisica che economica. E' giusto dire che gli Etruschi ebbero non poca influenza sui Romani, (il latino cerimonia deriva dal nome della città etrusca Cere). Essi trasmisero ai romani la pratica dell'aruspicina, ovvero la divinazione attraverso il volo degli uccelli o attraverso l'osservazione delle viscere di animali sacrificati. Per quanto riguarda la religione, è noto che gli Etruschi possedessero un pantheon di divinità antropomorfe. Essi sostenevano che la vita dopo la morte fosse cupa e squallida. Dal punto di vista artistico invece, avevano tecniche raffinate e ricche. Roma Monarchica Origini I primi insediamenti sul colle Palatino risalgono al X e all’XI secolo a.C. ciò fa ritenere che Roma inglobò le civilà già stanziate nella zona. L'insediamento primitivo si trova nella pianura del Lazio (latus-largo) , che aveva risorse molto ultili ad iniziare dalla fondamentale presenza del Tevere, che costituiva una strada navigabile lunga più di 400 km. Roma sorse dunque tra il Tevere e l'Aniene, ai piedi di sette colli (Quirinale, Viminale, Esquilino, Palatino, Capitolino, Aventino, Celio) Per quanto riguarda il primo periodo della monarchia (sotto Anco Marzio) poco più a valle dell'isola Tiberina (che facilitava la navigazione) venne costruito il famoso ponte Sublicio che favoriva ulteriormente la navigazione. In più, la vicinanza del mare consentiva alle navi di risalire il fiume e di trasportarvi il sale( all'epoca considerata grande mezzo di scambio). La città dunque costituiva un passaggio obbligato del commercio tra Nord e Sud. Durante l'VIII e VII secolo a.C. l'insediamento di pastori e agricoltori nel Palatino si allargò fino ad inglobare gli abitanti di Esquilino, Celio e Viminale ed inseguito Quirinale, Capitolino ed Aventino. Questo nuovo nucleo di genti, per difendersi dai nemici fondarono una lega detta settimonzio (delle sette cime) quest'ultimi decisero di nominare un capo unico detto rex. Sopravvivevano grazie all'agricoltura e alla pastorizia. Gli scambi avvenivano ovviamente mediante baratto. Le istituzioni politiche e sociali Nei primi secoli della sua storia, Roma fu una città stato monarchica, ovvero il popolo, era titolare del potere sovrano; l'esercizio di questo venne poi delegato dal popolo a un magistrato unico detto rex, che aveva due compiti fondamentali: comando dell'esercito (imperium) e diritto di vita e di morte sui cittadini. La tradizione riconosce sette re di Roma: Romolo, il fondatore, colui che introdusse il matrimonio monogamico e la legge sulle proprietà private dei terreni, e la successione per ereditarietà; Numa Pompilio, che si concentrò sulle istituzioni religiose introducendo nuovi culti (come quello di Giano) e che formò il calendario; Tullo Ostilio, che conquista Alba Longa; Anco Marzio, promuove importanti opere pubbliche, come le mura della città, la costruzione del ponte Sublicio e la fondazione di Ostia; Tarquinio Prisco, che costruì il Tempio di Giove, il Circo Massimo, la Cloaca Massima e aumenta il numero dei senatori fino a 100; Servio Tullio, che costruì nuove mura, dette serviane e porta il numero dei senatori a 300; Tarquinio il Superbo, infine, fu un despota crudele che instaura un regime tirannico e introducendo le torture. Il Senato Il Senato era un'assemblea ristretta alla quale partecipavano solo i capi dei diversi gruppi famigliari detti senatori: le gentes, gruppi di persone libere appartenenti alla stessa famiglia, e le familiae, gruppi minori di persone che sottostavano al pater familias. Prima che la città nascesse questi gruppi avevano la funzione di garantire l'ordine e di provvedere alla difesa in caso di pericolo. Roma riconobbe diritti politici alle sole gentes, guidate dai patres gentis, e alle familiae con a capo i pater familias. Tutte gli altri gruppi di persone non furono rappresentate in Senato. Inizialmente il Senato era composto da 100 senatori e nel corso del tempo divennero 300. Questo veniva consultato dal re per questioni di politica interna ed estera, e doveva inoltre esprimere il proprio parere sulle leggi proposte dal sovrano. In caso di morte del rex, nel periodo detto interregnum, inoltre, esercitava il potere. La Popolazione La popolazione romana era divisa in base alla propria origine in tre grandi agglomerati sociali chiamati tribù: esse erano i tities, latini ed autoctoni, i ramnes, probabilmente sabini, ed i luceres, di origine incerta, forse etruschi. Ogni tribù era quindi divisa in dieci curie (dal latino co-viria ovvero “adunanza di uomini”), che svolgevano diverse funzioni politiche e legislative. Quest’ultima funzione era svolta dalle assemblee di tutte le curie di Roma: i comizi curiati. A queste assemblee prendeva parte – o almeno poteva prendervi parte probabilmente tutta la popolazione, mentre aveva diritto di voto soltanto la classe patrizia. Ogni curia forniva inoltre alla città 10 cavalieri e 100 fanti detti Centuria per il numero. Dunque l’esercito romano si ritrovava composto da 300 cavalieri e 3000 fanti. Infine le curie eleggevano i senatori, 10 ognuna. La Cacciata dei Tarquini Secondo la tradizione romana la cacciata dei re etruschi si ebbe a causa del principe Sesto Tarquinio figlio di Tarquinio il Superbo. Surante l’assedio d’Ardea infatti, mentre si riposava con i suoi compagni, discutette con Collatino su quale delle loro mogli fosse di maggiori virtù. Collatino asserì che Lucrezia, sua moglie, era imparegiabile da qualsiasi altra donna. Esso propose inoltre di prendere i cavalli e di controllare personalmente il comportamento che tenevano le loro donne in assenza dei mariti. Arrivati al luogo dove si trovavano le donne banchettanti, Lucrezia era in disparte rispetto alle altre e filava la lana assieme alle sue ancelle. Sesto Tarquinio si innamorò dunque di lei a prima vista e la iniziò a corteggiare. Questa però, essendo fedele al marito, rifiutò le proposte che il principe le faceva. Lui allora la minacciò di farla trovare sgozzata affianco ad uno schiavo nudo e morto anch’esso così che sarebbe stata accusata dalla folla di un ignobile adulterio. Lei allora gli si concedette. Andò poi dal padre e dal marito e gli spiegò i fatti asserendo che il suo animo non aveva peccato, estrasse poi un coltello e trafiggendosi il petto spirò. Lucio Giunio Bruto, un suo parente che aveva assistito alla scena, estrasse il pugnale dal cadavere esanime della fanciulla e brandendolo come una spada giurando che mai più Roma sarebbe stata governata da un re. Giurarono con lui Collatino, Lucrezio e Lucio Valerio. Quando il popolo fu informato dell’accaduto scacciò i re stranieri e mise al potere come consoli Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Questo è un racconto didattico usato dai romani per tramandare una morale: non va quindi preso per verità storica. Gli studiosi sono divisi sul come avvenne la fine della monarchia a Roma: alcuni sostengono che essa sia stata un passaggio graduale e come prova portano l’esistenza del rex sacrorum che altro non era che l’evoluzione della figura reale con una modificazione dei suoi compiti; altri invece sostengono un passaggio brusco e a riprova di ciò riportano l’esistenza di movimenti monarchici durante i primi periodi della repubblica. È certo tuttavia che attorno al 509 a.C. il potere monocratico dei re fu sostituito da una nuova forma di magistratura chiamat: consolato. Probabilmente dietro la cacciata dei re etruschi ci fu l’intervento di un’aristocrazia scontenta della politica bellicosa all’estero e della riduzione del loro potere in favore della plebe. I primi secoli della Repubblica Il Consolato Dopo la cacciata dei re etruschi, il potere passò all’aristocrazia latina, che altro non erano che le gens dei patrizi, sostituendo al re una magistratura collegiale. L’evoluzione politica di Roma è del tutto simile a quella delle altre città-stato antiche: da una fase monarchica ad una divisione oligarchica del potere. I Consoli, questo il nome della magistratura, dal latino “Coloro che si consultano”, erano rinnovati annualmente tramite libere elezioni ed avevano pieni poteri. Tuttavia ogni loro decisione, per essere valida, doveva essere unanime. Spesso per praticitità i consoli si dividevano i compiti mantenendo tuttavia il diritto di veto sulle decisione del rispettivo collega. In caso di litigio il potere era esercitato a periodi eguali ed alterni. Indine in caso di guerra i consoli rinunciavano al loro potere assoluto in favore di un dictator nominato dal Senato per un periodo non superiore ai sei mesi, al termine dei quali restituiva il potere ai due consoli. Al consolato si affiancavano poi diverse cariche per facilitarne lo svolgimento dei compiti. È importante sottolineare come la fine della monarchia a Roma non voleva dire affatto che ci fosse la democrazia, questa infatti non raggiunse mai uno sviluppo simile al corrispettivo greco. La storia della Repubblica Romana è infatti costellata da continui contrasti con il popolo (la plebe), mentre la vita politica restava dominata dai patrizi. Porsenna Mentre durante il regno dei Re Etruschi Roma non conobbe rivalità ed ostacoli, durante la prima fase della Repubblica fu minacciata dagli Etruschi, dai Latini e dalle popolazioni appenniniche, trovandosi quindi costretta a limitare il suo campo di azione nel Lazio. Da un punto di vista edilizio poi, sotto gli ultimi tre re a Roma fu costruito il grande tempio di Giove Capitolino mentre nel periodo repubblicano la città subì un crollo della sua prosperità ed un conseguente impoverimento. I Tarquini poi, narra la leggenda, per riconquistare Roma chiesero aiuto a Porsenna, re di Chiusi, ma furono fermati dall’eroismo di Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia. La realtà però sembra essere ben diversa: risulta infatti che per un breve lasso di tempo, sino alla sconfitta di Ariccia nel 504 a.C., Porsenna abbia effettivamente preso il comando di Roma. La Lega Latina Nel 496 a.C. i Romani si scontrarono con i Latini nella battaglia del Lago Regillo. Lo storico Tito Livio, romano, ci riporta una gloriosa vittoria di Roma grazie all’intervento dei Dioscuri; sembra però che l’esito della battaglia sia stato piuttosto incerto. Le due popolazioni strinsero un accordo di alleanza e formarono una Lega Latina, questa prevedeva un bilanciamento delle due parti ed era stata fondata con il fine di fronteggiare le popolazione appenniniche (Equi, Volsci e Sabini), esse infatti avevano occupato Tivoli ed Anzio e minacciavano la capitale. L’esistenza della Lega Latina permise sporadiche battaglie con essa dal 490 al 430 a.C. e permise alla Repubblica di sopravvivere. Patrizi e Plebe: i problemi interni Mentre la politica espansionistica romana era oramai avviata e nonostante sussistevano forti nemici esterni, la politica interna fece assai fatica a cementarsi. Dopo la pace con i Latini poi, i patrizi avevano emanato una legge che riservava a loro il consolato ed escludeva i plebei da altre cariche. I Plebei iniziarono quindi a chiedere un codice di legge scritto che limitasse il potere arbitrario patrizio, l’abolizione della schiavitù per debiti e l’inclusione nell’ager publicus (ovvero le terre sottratte ai nemici e ridistribuite al popolo). Queste lotte continuarono per quasi due secoli, già nel V secolo a.C. i plebei fecero quello che si potrebbe definire il “primo sciopero della storia”: si ritirarono sul monte Aventino rifiutandosi di lavorare. Fu solo l’intercessione del patrizio e senatore Menenio Agrippa che istituì per i plebei la carica dei Tribuni della Plebe, da loro scelti, con il potere di opporsi alle decisioni consolari, che il popolo si quietò. Nel 445 a.C. fu poi ottenuta la concessione del matrimonio misto tra Patrizi e Plebei. Le XII Tavole Tra il 451 ed il 450 a.C. furono redatte le XII Tavole, primo testo di leggi romane scritte. Secondo la tradizione questo testo fu redatto da una commissione di dieci uomini detti “Decemviri legibus Scribundis” con l’incarico della trascrizione delle preesistenti regole consuetudinarie tramandate oralmente. Attorno al decemvirato sono fiorite molte leggende: la più celebre riguarda il decemviro Appio Claudio che innamoratosi di Virginia la corteggiò, questa però non cedette. Sostenendo che lei fosse una schiava se la fece assegnare affinché la possedesse. Il padfre di Viirginia però non sopportando l’oltraggio la uccide conficcandole un pugnale nel petto. Come nel caso di Lucrezia il poplo insorse scacciando i decemviri. Il decemvirato cadde molto probabilmente a causa del mancato accordo tra i suoi componenti: esso era infatti composto sia da Patrizi che da Plebei. Il testo delle XII tavole fu esposto al foro, tuttavia non ce ne è pervenuta alcuna copia a causa dell’incendio che i Galli appiccarono a Roma nel 390 a.C. Abbiamo però testimonianza delle leggi che lo componevano dagli autori antichi. Le nuove cariche della Repubblica Per fronteggiare alle crescenti necessità della Repubblica e per organizzare al meglio il potere, furono istituite diverse cariche. Esse avevano in comune il fatto che non erano retribuite, ed erano tutte elettive e collegiali. Inoltre i magistrati erano chiamati a rispondere in tribunale delle loro azioni svolte durante il mandato. Di seguito le principali: Carica Questori Edili Pretori Censori Tribuni Militari Funzione Amministravano il denaro pubblico. Il primo questore plebeo fu nominato nel 409 a.C. Funzione legate alla città, all’urbanistica ed i mercati. Inizialmente venivano distinti gli Edili Plebei da quelli Patrizi (i Curuli, per via delle sedie su cui sedevano “sella curulis”), poi la carica fu unificata. Avevano potere legislativo ed aggiornavano i codici delle leggi alle costanti necessita della Repubblica. Nel 242 a.C. oltre ad amministrare la giustizia interna vi fu un console dedito esclusivamente all’amministrazione della giustizia fuori dall’Urbe. Erano due magistrati nominati ogni 5 anni che effettuavano il “Censimento”, a Campo Marzio, aggiornando le liste elettorali, patrimoniali e militari dei cittadini. Dal 312 a.C. poi aggiornavano pure le liste dei senatori. Nel periodo compreso tra il 448 a.C. ed il 368 a.C. svolgevano le funzioni politiche dei consoli. Inizialmente accedevano al Senato solo coloro che avevano fatto parte dell’alta magistratura. Successivamente l’accesso fu esteso ed a decidere i nominativi dei componenti erano i Consoli sino al 312 a.C. e dopo i Censori. Nuove Assemblee Popolari Accanto ai Comizi Curiati, che avevano man mano visto ridurre le proprie competenze, si affiancarono diversi tipi di assemblee: i comizi centuriati, i comizi tributi ed i concili tributi. I Comizi Centuriati, già istituiti sotto Servio Tullio nel VI secolo a.C., ricoprivano importanti compiti all’interno della Repubblica quali l’elezione dei Consoli, dei Censori e dei Pretori, il veto sulle decisioni dei magistrati, la possibilità di assegnare la pena capitale ai cittadini e la disposizione dell’esercito. Tanto era la loro importanza che erano chiamati comitiatus maximus ovvero Massimi Comizi. La loro appartenenza si basava sulla divisione in cinque classi di censo (la ricchezza) dei cittadini: ogni classe dei comizi doveva fornir all’esercito un certo numero di soldati, detti “Centurie”. Ogni centuria fornita equivaleva ad un voto, in questo modo l’aristocrazia, che si poteva permettere di fornire più centurie, aveva più voti a disposizione. Sino al 310 a.C. la ricchezza corrispondeva alla terra posseduta, poi Appio Claudio Ceco equiparò una data somma di denaro ad un certo possedimento di terra. Non vi era più la tradizionale contrapposizione Patrizi-Plebei ma una nuova RicchiPoveri. I Poveri non possedendo nulla erano censiti in base alla persona ed erano rappresentati da sole 5 centurie. I Comizi Tributi eleggevano i magistrati minori, gli edili ed i questori, e contavano perciò meno dei Comizi Centuriati. Al loro interno la popolazione non era divisa in base al censo bensì al luogo dove domiciliava, detto “Tribù” da cui il nome: in questo modo erano abolite tutte le differenze di classe tra Patrizi e Plebei. I Concili Tributi infine erano assemblee esclusive della plebe che prendevano decisioni su questioni sollevate da un tribuno dette rogatio la decisione prese erano chiamate plebis scita ovvero “pareri della plebe”. Nel 287 a.C. con una lex Hortensia si stabiì che i plebisciti avevano influenza anche sui patrizi: la plebe ottenne di fatto il potere legislativo. Conquista di Veio Sul finire del V secolo a.C. Roma sembrò essere tornata ad esercitare la supremazia regionale persa con l’abbandono della monarchia. Fu in questo periodo che ebbe conclusione la guerra contro i Veientani, popolazione abitante l’altra riva del Tevere non occupata dai romani con la città di Veio, con la quale si contendeva il monopolio del sale. Con il dittatore Furio Camillo nel 396 a.C. questa fu conquistata, i suoi abitanti uccisi o schiavizzati ed il territorio annesso a Roma. La Discesa dei Celti Nel frattempio dal nord, probabilmente alla ricerca di nuove zone coltivabili, poco prima del 400 a.C. alcune tribù celtiche avevano valicato le Alpi ed erano scese in Italia, devastando il territorio etrusco e si insediariono nella parte settentrionale della penisola. I Galli Cenomani si insediarono nella Pianura Padana; quelli Insubri in Lombardia dove conquistarono la città Etrusca di Melpo, che poi diventò Midland con i celti, Mediolanum con i Romani e poi Milano; quelli Boi in Emilia e fondarono Bologna; quelli Taurini in Piemonte e fondarono Torino e quelli Senoni nelle Marche. Quest’ultimi guidati dal generale Brenno, in realtà era il nome di una carica e non un nome proprio, giunsero ai confini del Lazio, entrarono a Roma e la sacchegiarono. Rimase salvo solo il Campidoglio. Nel 353 a.C. pagando un riscatto Roma viene liberata ed i Galli si ritirano oltre il Rubicone. Nello stesso anno Roma stipula un contratto con Cartagine riguardo le Aree Marittime di Pertinenza, ne aveva già stipulato uno nel 508 a.C. ma il secondo aumentò l’Egemonia di Roma anche a seguito dell’uscita di scena degli Etruschi. La Fine dei Latini e delle altre civiltà Pre-Romane Nel 431 a.C. Roma sconfigge definitivamente gli Equi ed i Volsci sul monte Agiro, vicino al Tuscolo. Sconfitte queste popolazioni la Lega Latina non aveva più ragion d’esistere ed i rapporti di Roma con essa furono totalmente rivisti anche in vista di un piano espansionistico nella penisola e consapevoli di una superiorità culturale. Fu così che nel 340 a.C. la Lega Latina entro in conflitto con Roma, e nel 338 a.C. sconfitta e sciolta, nel segno del dividi et impera (dividi e comanda). Roma stabilì quindi accordi personali con ogni città. Le città rimaste fedeli a Roma furono ricompensate con l’ammissione alla cittadinanza, mentre i Latini restanti erano cittadini senza suffraggio (ovvero senza diritto di voto) e potevano acquisire la cittadinanza solo migrando nella capitale: ius migrandi. Le Guerre Sannitiche Sul finire del VI secolo a.C. Roma si scontrò con le Civiltà Appenniniche: i Lucani, i Bruzi e soprattutto i Sanniti. Questi ultimi ci sono documentati da Tito Livio come “beliger” ovvero “guerrieri”, unica civiltà a godere di un tale rispetto da parte dei romani, si pensa scesa originariamente in campania nel V secolo a.C. e mischiatasi con gli autoctoni. Lo scontro durò diversi decenni e si articolò in più gerre. La Prima Guerra Sannitica scoppiò nel 343 a.C. e si concluse nel 341 a.C. con la stipulazione di un trattato di pace. Tuttavia quando la città di Capua chiese aiuto a Roma in funzione anti-sannitica essa non rifiutò e fu impegnata nella Seconda Guerra Sannitica dal 326 a.C. al 304 a.C. Nella prima fase Roma sembrava rischiare la sconfitta tanto che nel 321 a.C. fu costretta all’umiliazione del Giogo (chinare il capo per passare sotto le lance dei nemici incrociate) dopo la sconfitta delle Forche Gaudine. La guerrà riprese nel 315 a.C. e culminò con la vittoria romana di Boiano ne 305 a.C. dove Roma acquisì tutto il territorio campano. Scoppiò poi una terza guerra sannitica nel 298 a.C. con l’attacco multiplo dei Celti, degli Etruschi e dei Sanniti. Roma tentò di fronteggiarli separatamente, ma si allearono ed unirono le truppe in Umbria. A Sentino, nel 295 a.C., avvenne la battaglia decisiva da cui i Romani ne uscirono gloriosamente vincitori. Stipularono quindi paci separate con i nemici. I Sanniti non si arresero ma continuarono a difendere i loro monti. Ridotti a pochissime unità furono costretti dal console Manio Curio Dentato nel 290 a.C. alla resa. In questo periodo viene sviluppata la tattica “manipolare” che divideva l’esercito in gruppi detti “manipoli” che si spostavano dove necessario. La guerra contro Taranto e Pirro La colonia spartana di Taranto era l’ultimo nemico romano, per dichiararvi guerra il Senato approfittò dell’affondamento in loro acque territoriali di una nave romana. Taranto chiese allora aiuto a Pirro, re dell’Epiro, tra i più forti condottieri dell’epoca. Pirro, con l’intento di espandere il proprio terriorio in Italia, accettò la richiesta e giunse nel 280 a.C. con 30 000 soldati e molti elefanti da guerra. Lo scontro con i Romani avvenne ad Eraclea, in Lucania, essi resistettero alla falange ma non agli elefanti e così Pirro vinse la guerra. Anche se la vittoria fu solo teorica essendo moltissime le perdite del re epirota. L’esercito romano, a differenza delle truppe scelte di Pirro, si rigenerava continuamente. Il re avanzò nel 279 a.C. ad Ascoli Satriano (Puglia) dove ottenne un’altra battaglia e marciava in direzione di Roma. Non riuscendo però ad assediare l’Urbe andò in Sicilia in aiuto contro i Cartaginesi. Sconfitti questi fu però abbandonato dai suoi alleati e costretto a tornare in Italia. Nel 275 a.C. a Maleventum (dopo quest’evento Beneventum) si scontrò nuovamente con i Romani e senza esercito dovette rientrare in Grecia. Sino al 272 a.C. Taranto rimase ancora greca, dopo tale data si arrendette ai Romani che completarono l’espansione meridionale nella penisola. Le città greche conquistate mantenevano una certa autonomia dovendo però fornire truppe marine in qualità di “alleati marittimi” socii navales. Roma e le guerre puniche Rapporti tra Roma e Cartagine sino alla conquista dell'Italia meridionale da parte della potenza romana, i rapporti con la potenza marittima di Cartagine erano stati sempre amichevoli questo perché non vi erano interessi commerciali sul mare. Ciò è testimoniato dalla presenza di due trattati stipulati uno dei 509 avanti Cristo e un'altra nel 148 a.C. che stabilivano le aree marittime di pertinenza. Un ultimo trattato fu stipulato nel 279 a.C. durante la spirito spedizione di birra in Italia il che costituiva un pericolo sia per i romani che per i cartaginesi pertanto era ribadita la forte alleanza criticava le due città. Conquistata l'Italia meridionale Roma aveva in progetto l'espansione anche al di fuori della penisola italica. Dati questi progetti era inevitabile lo scontro tra le due grandi civiltà, questa lotta durò per tutta la seconda parte del III secolo a.C. Storia di Cartagine La tradizione riporta come data di fondazione della città di Cartagine l'anno 814 a.C. Secondo la leggenda infatti la città fondata da coloni fenici provenienti dal tiro condotti dalla regina spodestata Didone (precedentemente conosciuta come Elissa). Dalla leggenda si deduce che Cartagine era inizialmente un avamposto fenicio situato in una località strategica la città era infatti posta a metà tra lo stretto di Gibilterra e le coste fenicie. La città ottenne in dipendenza dalla sua madrepatria e si impadronì del monopolio dei commerci con l'Africa e con la Spagna. Grazie alla prosperità commerciale Cartagine poté creare una fitta rete di insediamenti militari in tutto il Mediterraneo occidentale. I primi grandi rivali di Cartagine si incontrarono nella loro espansione furono i greci che cercavano a loro volta si colonizzare le terre del Mediterraneo occidentale. Principale teatro dello scontro fu la Sicilia dove le città cartaginesi si trovavano a diretto contatto con quelle greche. Nel 480 a.C. i cartaginesi sbarcarono con un grande esercito in Sicilia per sottomettere le colonie greche. Furono sconfitti dall'alleanza di gestione di Siracusa con tenore di Agrigento e furono costretti a cedere ingressi quasi tutta l'isola ad eccezione di mosse dice. I cartaginesi concentrarono allora i loro sforzi sul litorale africano. Durante la guerra del Peloponneso in cui ci subirono un forte indebolimento a causa di questi conflitti interni Cartagine attaccò nuovamente la Sicilia e conquistò diverse città greche tra cui Agrigento nel 406 a.C. Organizzazione politica dei cartaginesi A Cartagine a differenza di Roma non si sviluppò mai un sistema latifondista: la prosperità cittadina era infatti fondata su un'organizzazione commerciale mercantile che era stata praticata dall'aristocrazia mercantile al governo della città che poteva disporre di un grande ed efficiente flotta navale. La costituzione dei cartaginesi e non è arrivata fino a noi (ad eccezione di alcuni pezzi o di riferimenti) sappiamo tuttavia che godeva di grande considerazione nell'antichità. Per quanto riguarda l'organizzazione del potere sappiamo che vi era una sorta di diarchia, vi erano infatti due magistrati in carica annuale erano chiamati suffeti ovvero giudici. Ad essi si accompagnava a un Senato composto da aristocratici ed un'assemblea popolare con poteri assai limitati. Durante la guerra il potere era affidato a dei generali nominati per l'occasione diretti responsabili delle battaglie e che rischiavano la morte in caso di sconfitta. Non si formò un esercito cittadino poiché la popolazione non sarebbe stata sufficiente a difendere il vasto impero pertanto erano arruolati invece soldati mercenari. I generali rimanevano cartaginesi e provenivano da antiche famiglie di tradizione militare come ad esempio quella dei Barca. Organizzazione politica a Roma prima delle guerre puniche I due principali modelli di Stato presenti nel mondo antico fino all'inizio delle guerre puniche erano la città stato il disegno centralizzato. Roma nata come città stato si comportò diversamente: il sistema delle città Stato era in crisi poiché il vasto territorio non permetteva più una gestione ottimale. Si fece quindi ricorso a nuovi sistemi di gestione territoriale, il primo ad essere utilizzato fu quello municipale (dal latino “munera capere” ovvero “assumere gli obblighi” inteso come dover versare i tributi senza acquisire la piena cittadinanza) i cittadini erano dunque cives sine suffragio ovvero cittadini senza il diritto di voto. Tuttavia questo sistema creava degli squilibri all'interno della società mettendo a rischio la sopravvivenza dello Stato stesso. Si decise allora di ricorrere ad un altro sistema quello della federazione, in cui si stipulavano trattati detti foedra, che garantivano alle supremazia e alle città federate indipendenza. Furono dunque stipulati in due differenti tipi di trattati: foedra aequa e foedra iniqua, i primi garantivano che qualora una delle due parti venisse aggredita l'altra sarebbe intervenuta in sua difesa, i secondi oltre a privare una parte del diritto di dichiarare guerra la obbligavano a prestare soccorso a Roma quando richiesto. Rimanevano infine le città della lega latina che ancora si regolavano con i vecchi trattati e godevano degli antichi diritti al loro concessi. La prima guerra punica Gli episodi di Messina Dopo che Piero lasciò la Sicilia l'equilibrio tra Siracusa e Cartagine fu rotto in favore della seconda che deteneva il controllo di un terzo dell'isola. Missina poli, seconda città dell'isola, era caduta in mano ad una popolazione di mercenari chiamati “Mamertini” (ovvero seguaci di Mamers, Marte, il dio della guerra). Nel secondo nuovo tiranno di Siracusa tentò di allontanare i Mamertini da Messina e riuscì nel suo intento assediandoli dentro le mura della città. Quegli temendo una vendetta greca si consegnarono e chiesero aiuto ai cartaginesi nemici giurati di Siracusa i quali inviarono 265 a.C. un presidio a difendere la città. Tuttavia i Mamertini ritennero più conveniente allearsi con Roma e nel 264 a.C. chiesero di essere ammessi alla lega italica. La proposta fu assai discussa in ambienti romani, voleva infatti dire iniziare una guerra con Cartagine il che poteva anche servire come profasis per un conflitto inevitabile - tuttavia la decisione fu rimessa ai comizi popolari che accolsero la richiesta. Elusa la vigilanza della flotta cartaginese a Messina il console appio Claudio attraversò lo stretto con un contingente impadronendosi della città. Questo avvenimento scatenò inevitabilmente la guerra tra Roma e Cartagine alleata per la prima volta con Siracusa. Quest'ultima si alleò dopo le prime sconfitte con Roma abbandonando Cartagine. La vittoria di Milazzo Il conflitto fu spostato dalla Sicilia al mare con Roma realizzò pertanto in poco tempo una grande forza che doveva competere con le duecento navi possedute dai cartaginesi. I romani erano però più forti nel corpo a corpo che nelle battaglie navali pertanto modificarono le proprie navi con uno strumento chiamato “corvo” ovvero un ponte fornito di rampini che agganciavano alle navi nemiche a quelle romane permettendo il trasferimento dei soldati. Nel 260 a.C. dunque a Milazzo il console Caio Duilio sconfisse la flotta cartaginese riportando una grande vittoria. Il fallito assedio a Cartagine Nel 256 a.C. Roma tentò di conquistare Cartagine ponendo fine alla guerra, fu incaricato di questa missione Attilio Regolo che riuscì a sconfiggere la flotta cartaginese a Capo Ecnomo e a sbarcare in Africa con un forte esercito. Conquistata Tunisi Attilio Regolo, a seguito di una richiesta, propose a Cartagine un trattato di pace dalle improponibili condizioni tra cui la rinuncia cartaginese alla propria sovranità. I cartaginesi rifiutarono e si prepararono alla resistenza e si arruolarono mercenari greci e misero a capo dell'esercito il generale spartano Santippe, dopo la battaglia l'esercito romano fu completamente distrutto. La fine della guerra La guerra si spostò di nuovo in Sicilia dove venivano conquistati e ceduti continuamente avamposti e città con la continua realizzazione dei suoi abitanti e pesanti conseguenze umane della guerra. Era dunque inevitabile porre fine al conflitto, essendo le casse dello Stato romano oramai esaurite per la guerra fu chiesto e ottenuto i ricchi un forte prestito di denaro che permise la costruzione di una nuova flotta. Quest'ultima era comandata dal console Luttazzi Catullo e fu utilizzate nel 241 a.C. durante una grande battaglia navale presso le isole è che di. I cartaginesi si uscirono sconfitti. Chiedendo la pace i romani furono costretti ad abbandonare la Sicilia a pagare una forte somma di denaro per restituire i prigionieri. I nuovi domini di Roma dopo la guerra punica Dopo la fine della prima guerra punica Roma e dei consigli anche il territorio della Sicilia a cui fu affidato uno status giuridico nuovo ovvero quello di provincia vennero quindi posti sotto il controllo diretto di un magistrato romano e considerati sudditi. Minacciando di riprendere il conflitto Cartagine Roma si impadronì anche delle isole di Sardegna e Corsica, furono negli stessi anni sottomessi anche legali dell'Italia settentrionale sconfitti a Casteggio nel 222 a.C. dal console Claudio Marcello. I romani presero infine possesso delle coste dell'Illiria. La seconda guerra punica La rinascita di Cartagine. Mentre a Roma succedeva tutto ciò a Cartagine si fronteggiavano due grandi partiti: un primo partito pacifista sostenuto dai latifondisti che non erano interessati in alcun modo alla guerra ed un altro invece espansionista che voleva ricostruire l'impero fondando nuove colonie, con il rischio però di un nuovo conflitto contro R. Il secondo partito era guidato da Amilcare Barca che nel 237 a.C. fu inviato in Spagna con pieni poteri. Amilcare riuscì a stabilire ottimi rapporti con alcune popolazioni e a sottometterne altri e Cartagine in pochi anni si trovò così ad essere padrona di gran parte della Spagna. Dalla stessa famiglia nacque ad ruba le ed il figlio di Amilcare, Annibale. Quest'ultimo era animato da un grande odio contro R insegnatogli sin da bambino ed era a capo dell'esercito cartaginese. Convinto che è un conflitto contro Roma ebbe stato inevitabile e che liberando le città a lei sottomessa avrebbe giovato a Cartagine tentò di provocare Roma con il fine della guerra. La guerra da Sagunto a Canne Secondo gli accordi tra Roma e Cartagine era territorio cartaginese tutta la parte della penisola iberica situato sotto il fiume Ebro. Nel 219 a.C. Annibale decise di aggredire la città di Sagunto e pur trovandosi entro i limiti di competenza, era però amica di Roma. L'assedio della città durò bene otto mesi intanto a Roma si decideva sul da farsi. Tutta la popolazione fu giustiziata - era chiaro il fine provocatorio assunto da Annibale - e Roma dichiarò guerra a Cartagine inviando il console Scipione con un esercito per bloccare Annibale in Spagna. Annibale però si diresse velocemente verso l'Italia rendendo impossibile i romani di rintracciarne l'esercito di bloccarlo. Giunse quindi in prossimità delle Alpi. Nel 218 a.C. l'esercito di Annibale composto da 20.000 soldati e 6000 cavalieri, tutti professionisti, si scontrò con quello romano sulle rive del Ticino con sconfitta grave degli romani. I cartaginesi divennero dunque padroni dell'Italia settentrionale prima sottomessa dagli romani e di galli divennero loro alleati. Presso il fiume Trebbia i cartaginesi vinsero nuovamente i romani che si ritirarono a sud dell'Appennino. Nel 217 a.C. vi fu un altro scontro con Annibale presso il lago Trasimeno nel tentativo romano di bloccare l'avanzata cartaginese. Tuttavia l'esercito fu completamente distrutto ed ebbe perdite per 15.000 soldati con i restanti di numero uguale condotti in schiavitù. A Roma furono per terrore a tutti i punti sul Tevere e venne nominato dictator il console quinto Fabio Massimo chiamato il temporeggiatore (cunctator) poiché evitò accuratamente una battaglia diretta contro i cartaginesi impedendo i tuttavia l'avvicinamento alla città di Roma. Annibale allora si diresse in Puglia dove si stabilì in inverno. Fu allestito a Roma un grande esercito per sconfiggere Annibale in campo aperto. Presso il villaggio di Canne nel 216 a.C. i romani subirono la più terribile delle sconfitte: essere infatti 70.000 uomini in battaglia, quasi tutto l'esercito. Annibale allora libero alle popolazioni italiche sottomesse e la lega italica si disgregò. Frase di facciata La guerra in Africa I romani tuttavia prepararono una grande controffensiva riunirono tutta la popolazione atta a combattere ed organizzare una resistenza. La situazione però si faceva sempre più disperata: Annibale si era infatti alleato con Siracusa – Gerone II era infatti morto - e con Filippo V re di macedonia, il che portò anzi che a conflitti ben più gravi con la città di Roma e diede inizio alla prima guerra Macedonica. Annibale rinunciò ad occupare direttamente Roma limitandosi a circondare nei territori arrivando sino in Campania e conquistando la città di capo. Grazie a ciò si poté riorganizzare gli inviò un esercito Siracusa ed un altro in Spagna infine un terzo controllava le mosse di Annibale. Costretto inoltre un'alleanza con le città greche nemiche di Filippo V per impedire che i macedoni sbarcassero in Italia. Roma si salvò grazie anche alla fedeltà di alcune popolazioni della lega italica che comprendevano bene che è un dominio straniero sarebbe stato ben peggiore di quello romano. Cartagine dal canto suo non offriva invece ad Annibale aiuti a causa di lotte interne dovute ad incarichi del partito pacifista di Annone. In pochi anni la situazione romana cambiò: Siracusa fu conquistata nel 212 a.C. e saccheggiata la può riconquistata e punita con l'uccisione di molti esponenti dell'aristocrazia. In Spagna il comando fu assunto dal giovane Publio Cornelio Scipione che riuscì a conquistare addirittura del 210 a.C. La capitale cartaginese della Spagna, Cartagenna. Un esercito cartaginese pochi anni dopo guidato da Asdrubale, fratello minore di Annibale, riuscì a penetrare in Italia fu tuttavia ha sconfitto presso il fiume a Metauro nel 207 a.C. e il resto lui stesso ucciso in battaglia. Roma preparò un esercito da inviare in Africa guidato da Publio Cornelio Scipione, tuttavia l'impresa era quasi osteggiata dal Senato diffidente al ricordo della disfatta di cinquant'anni prima, autorizzo a Scipione ad arruolare volontari con cui sbarcò in Africa. Grazie all'alleanza di Massinissa, re dei Numidi, dietro la promessa di un regno, Scipione a questi la supremazia nella cavalleria parli ma arma di punta nell'esercito cartaginese. I cartaginesi furono tanto messi in difficoltà da dover richiamare Annibale dall'Italia. Le 202 a.C. gli eserciti di Roma e Cartagine si affrontarono a Zama. I romani ottennero la vittoria ed imposero ai cartaginesi pesantissime condizioni di essa quali la cessione di tutti i territori extra-africani il pagamento di una fortissima indennità di guerra ed il divieto di dichiarare senza esplicito consenso dello Stato guerra. Scipione non richiese che gli fosse consegnato Annibale ma tornò invece in patria dove celebrò un grande trionfo e ricevette il titolo di “Africano”. La conquista dell'oriente Roma i regni ellenistici Padroni del traffico commerciale del Mediterraneo, i romani divennero una potenza politica ed economica la cui prosperità era oramai dipendente dal dominio dei mari. In questa prospettiva i stati ellenistici di Macedonia e di Siria divennero inevitabilmente obiettivi di conquista. Non solo infatti erano sede di grandi ricchezze ma vi era anche il rischio di una loro alleanza con Cartagine - nemico giurato di Roma - che grazie ad Annibale si era ripresa dalla sconfitta già nel 195 a.C. quando riuscì a pagare totalmente l'indennità di guerra impostale. Ad i romani serviva solamente una profasis per entrare in guerra. Questa arrivò quando il regno di pergamo e la Repubblica di Lodi che avessero aiuto agli romani nella guerra contro i due grandi regni ellenistici. Nuovamente a Roma si formarono due diversi e opposti partiti: coloro che volevano un'espansione politica e culturale contro coloro che rigettavano la cultura greca e la volevano tenere "alla larga". Fu trovato un compromesso quando nel 200 a.C. fu dichiarata guerra solamente contro Filippo V lasciando dunque la Siria fu estromessa dal conflitto. Ebbe così inizio la Seconda Guerra Macedonica. La seconda guerra macedonica e la guerra siriaca La guerra fu condotta dal console Tito quindi sia Flaminio che fece sbarcare ad Apollonia, Illiria, le legioni romane. Alleate dei romani le città greche riunite nella lega etolica. La vittoria fu alquanto semplice, le perdite riportate dai Macedoni grandissime: 8000 i soldati periti e 5000 fatti prigionieri, e Filippo V dovette consegnare la Flotta, pagare una pesante indennità di guerra, rinunciare all’espansione dalla Macedonia e a concedere la libertà alle città Greche. Durante l'inaugurazione dei giochi ischemici ha convinto il console Tito quindi sia Flaminio dichiarò alla Grecia che Roma aveva restituito la libertà. Ovviamente si trattava soltanto di una frase di facciata poiché i progetti espansionistici di Roma non si sarebbero certo fermati alla Macedonia. Dopo la vittoria incominciava a diffondersi un clima di insoddisfazione ed ostilità nei confronti dei Romani nella Lega Etolica, che si vide infrante le speranze di ricevere un trattamento privilegiato. Chiesero dunque aiuto ad Antioco III re della Siria, che conduceva una politica aggressiva contro le altre civiltà. Nel 191 a.C. sbarcò in Grecia con un contingente Romano ottenendo però una sconfitta anche a causa di alcune città Greche alleate con i Romani. Il Senato decise quindi di attaccare il nemico direttamente nel suo territorio, mandò dunque le legioni in Asia guidate dal console Lucio Cornelio Scipione, che nel 1960 a.C. sconfisse le truppe di Antioco presso Magnesia (in Turchia). Il trattato di pace fu firmato nel 188 a.C. e stabiliva che Antico rinunciasse alla flotta e agli elefanti, pagasse un’indennità di guerra e consegnasse a Rodi e Pergamo tutti i territori conquistati al di fuori dalla Siria. Inoltre i Romani pretesero la consegna di Annibale, che si trovava allora in Siria, ma questo fuggì in Bitinia, anch’essa costretta alla consegna da Roma. Il generale cartaginese, per non cadere nelle mani nemiche, si suicidò nel 183 a.C. Ben presto della persona con sentimento anzi romano guidato da Filippo V, che fece assassinare il figlio di Demetrio, diventato filo romano, per evitare che salito al potere modificasse i sentimenti nazionali. Nel 178 a.C. alla morte di Filippo gli successe il figlio minore Perseo che nonostante volesse proseguire la politica paterna non ne aveva le capacità e nel 171 a.C. i romani gli dichiararono guerra prima che riuscisse a riunire un esercito. Era la Terza Guerra Macedonica. Serve non è sconfitto nella battaglia di Pidna dal console romano Lucio Emilio Paolo figlia del console morto nella battaglia di canne. La macedonia conquistata fu smembrato in quattro repubbliche assoggettate a Roma e costrette a tributo e le miniere d'oro e argento divennero proprietà romana. I cittadini più illustri condotti a Roma per essere processati da un tribunale speciale e la lega delle città che costretta al rifornimento di 1000 ostaggi condotti a Roma. Perseo e i figli furono costretti alle catene dietro il carro trionfante di Lucio Emilio Paolo accanto ai tesori macedoni. Andrisco, avventuriero macedone che raccolse consensi e truppe, attaccò i romani nel 149 a.C. Ma fu represso assieme a un esercito greco nel 146 avanti Cristo e la macedonia dichiarata provincia romana. Lucio Mummio represse nello stesso tempo una ribellione delle città peloponnesiache. Nel 146 avanti Cristo venne anche rasa al suolo la città di Corinto era di intralcio agli interessi commerciali di Roma. La Grecia fu aggregata la provincia di Macedonia ribattezzata “Acaia”. Atene invece, unica città ad esser rimasta sempre fedele a Roma, ricevette in premio la libertà. La Terza Guerra Punica: Carthago Delenda Est Ripresasi dai danni del conflitto la città di Cartagine aveva acquisito di nuovo prosperità commerciale, tornando ad essere un problema per i romani che la inquadravano come nemica per eccellenza progettandone così la distruzione. Tutti i partiti presenti al Senato tra cui i tradizionalisti di espansionistici eccitò affaristico dei cavalieri condividevano questo progetto di distruzione. La profasis per una terza battaglia fu offerta ai romani da una contessa di confine tra Cartagine e Massinissa (oramai novantenne). Nel 149 a.C. e i cartaginesi decisero di rispondere con le armi alle provocazioni di Massinissa, così facendo però violò il trattato di pace con Roma che prevedeva la richiesta di un permesso prima di dichiarare guerra allo Stato romano. Nonostante i cartaginesi si dichiararono pronti a qualsiasi condizione pur di non iniziare nuovamente una guerra e avessero consegnato i romani tutte le armi e la flotta, i romani dichiararono di voler comunque distruggere la città risparmiando la vita gli abitanti. Di fatto veniva chiesta a Cartagine il trasferimento della popolazione in una nuova città. Le masse popolari disperate rovesciare il governo oligarchico, che si era reso alle richieste romane, e predisposero una resistenza. Per questo i romani, non è stato la potenza militare, impiegarono ben tre anni di impadronirsi della città. Nel 146 avanti Cristo gli abitanti furono venduti come schiavi la città conquistate è distrutta e sulle sue rovine sparso il sale maledicendo simbolicamente la terra cartaginese. Il territorio cartaginese diventò provincia africana di Roma. Nel 133 a.C. fu inviato Scipione emiliano, figlio adottivo di Scipione africano, a sottomettere la popolazione iberica dei Celtiberi, rivelatasi a Roma, conquistando la capitale Numanzia nel 133 a.C. Anche la Spagna divenne così provincia romana. Roma dopo le Guerre Puniche Dopo le Guerre Puniche, la società romana entrò in una fase di rapido ma profondo cambiamento: Roma da stato arcaico e contadino, divenne la superpotenza del mediterraneo. L’insieme di questi mutamenti tuttavia, crearono scompiglio tra i vari gruppi sociali. La gestione dello stato infatti, era ancora nelle mani dei patrizi, i quali ricavavano la propria ricchezza grazie alle proprietà terriere, ma erano dotati di una mentalità chiusa e ancorata al mos maiorum cioè il costume degli antenati. Il II secolo a.C. fu dunque caratterizzato da due opposte tendenze all’interno della società romana: i tradizionalisti, che quindi erano ostili verso le novità portate a Roma dall’Oriente, e i circoli della nobiltà che avendo una mentalità nuova, aperta nei confronti delle altre culture, che consideravano essenziale apprendere altre arti per permettere a Roma di governare un impero ormai molto esteso. I primi contatti con il mondo greco erano avvenuti già dal III secolo (quando Roma si era estesa nei territori della Sicilia e della Magna Grecia), tuttavia, nel secolo successivo, il processo di ellenizzazione si fece più accentuato, tra i popolo dunque, ci furono anche violente reazioni. L’influenza della cultura greca, si manifestò innanzitutto grazie all’immigrazione di medici, insegnanti e filosofi. Nel 155 a.C., a Roma vennero inviati da Atene 3 ambasciatori, i filosofi Diogene, Critolao e Carneade. Essi riscossero un grande successo a Roma tanto che vennero ammessi in Senato, anche se vennero invitati a tornare in patria poiché, secondo Catone ‘’il Censore’’ i 3 filosofi influenzavano negativamente la gioventù in quanto incuriosivano i giovani con lo studio, e la tradizione militare veniva trascurata. In seguito poi, con l’arrivo di filologi e grammatici a Roma vennero instaurate le prime scuole di letteratura greca. Questo perché i Greci non erano disposti ad apprendere il latino, e per i Romani, se miravano a controllare il loro impero e a trattare con le genti, era essenziale conoscere il greco, ormai lingua di uso molto diffuso. La Cultura Greca a Roma Il centro culturale dove Greci e Romani riuscirono a convergere felicemente, fu il ‘’Circolo degli Scipioni’’, un gruppo di aristocratici accomunati da ideali filoellenici. Il circolo venne fondato da Scipione ‘’Africano’’, continuato con ‘’ Lucio Emilio Paolo’’ raggiunse poi il periodo più fiorente con Scipione ‘’Emiliano’’. Durante quest’ultima fase, i membri del circolo comprendevano nomi molto illustri della cultura greca e latina, quali Publio Terenzio, Gaio Lucillio e Polibio. Il circolo mirava a far diffondere la cultura greca a Roma, e ad indirizzare gli uomini verso la cura del bene della società e per distoglierli dalle preoccupazioni della vita politica. Possiamo dire che il circolo fornì un fondamentale contributo intellettuale all’imperialismo romano. Roma, in contatto con il mondo greco e con il resto del mediterraneo, comportò anche un rapido cambiamento nei costumi, provocando critiche fra i vari ceti sociali. I ricchi sfoggiavano gioielli e possedevano case di lusso, mandavano i figli a studiare in Grecia o assumevano professori greci come insegnanti. Persino la cucina mutò, diventando più raffinata. Questo provocò un indebolimento dell’antica famiglia patriarcale, le donne iniziarono a mettere in discussione il loro ruolo all’interno della famiglia. Si diffusero anche nuove forme di divertimento quali giochi di gladiatori e lotte con le belve. In seguito vi fu l’introduzione di nuove forme di religione che si integrarono con quelle romane preesistenti. La religione romana tuttavia, non era una religione di stato, dunque non prevedeva un contatto tra il fedele e dio individuale, ma veniva controllata pubblicamente. Dunque tutte le manifestazioni che sfuggivano al controllo pubblico erano malviste, ad esempio i riti dionisiaci, che consistevano in danze e riti orgiastici durante i quali coloro che vi prendevano parte erano come posseduti dal dio e in uno stato di trace. Ovviamente questi rituali suscitarono uno scandalo a Roma, tanto che vennero aboliti con il Senatus consultus de Baccanalibus del 186 a.C. La scomparsa dei piccoli proprietari terrieri Il mutamento che inglobò Roma, che la rese la dominatrice del Mediterraneo, scatenò problemi di coesistenza tra le diverse etnie, questo perché non si doveva soltanto controllare un territorio molto esteso, ma anche far fronte alle tensioni sociali determinati dagli squilibri economici, soprattutto a causa della guerra e dal fatto che la classe dirigente non voleva rinunciare ai privilegi introdotti da quest’ultima. Dunque la guerra, la crisi economica, l’inflazione e le tasse avevano portato la classe dei piccoli proprietari terrieri alla rovina. Gli obblighi militari, avevano costretto i contadini ad abbandonare le campagne per arruolarsi, e quando tornavano i campi erano ormai inariditi. Quindi inevitabilmente compresero che la tradizionale coltivazione intensiva di cereali non era più redditizia, anche a causa dei nuovi prezzi sul mercato, e dei cereali provenienti dai territori degli aristocratici. Essi vendevano dunque la terra e si facevano assumere dai nobili come lavoratori salariati, ma ciò era sconveniente per gli aristocratici in quanto disponevano già di schiavi, che compivano il lavoro senza richiedere un compenso. Sempre in questo periodo, si assistette ad una rapida ascesa di una nuova classe sociale: i cavalieri. Essi infatti, anche grazie ai bottini di guerra (che costituivano la nuova ricchezza della città) e alla grande superficie territoriale, e poiché lo stato non compiva più opere pubbliche, e non provvedeva neanche all’approvvigionamento dell’esercito nelle zone più lontane, né tantomeno a riscuotere i tributi, costoro dal 218 a.C. (poiché il commercio marittimo era stato vietato ai senatori con la lex Claudia) erano incaricati di incassare i tributi (di cui parte rimaneva nelle loro tasche) divenivano ovvero appaltatori di tasse (pubblicani). I cavalieri divennero un ceto potente e ricco, destinato a svolgere un ruolo fondamentale a Roma. La nascita dei Cavalieri Molti dei disoccupati, ed ex proprietari terrieri, erano sopravvissuti diventando clientes delle grandi famiglie, facendosi spesso manovrare dai patrizi durante le occasioni di voto. Anche le magistrature erano corrotte, chi intraprendeva la carriera politica lo faceva per diventare console e sfruttare il guadagno che avrebbero ricavato dal comando militare e dl governo delle province. Tra gli alleati italici (socii) c’era dunque un forte scontento; essi erano infatti uniti a Roma con un rapporto molto stretto, ma non erano stati ammessi alla distribuzione delle terre conquistate, ed erano sottomessi a pesanti imposizioni fiscali e non avevano il diritto di voto. Ancora più scontenti dei socii erano gli abitanti dei territori al di fuori dell’Italia. Inoltre, nei confronti dei nemici, Roma aveva lasciato intatta la struttura di ogni paese, attribuendosene però la sovranità. Alle difficoltà interne, vi si aggiungevano quelle esterne, facendo aumentare le tensioni politiche e sociali. La rivolta degli Schiavi La guerra aveva contribuito anche ad aumentare le proprietà terriere dell’aristocrazia a discapito proprio dei piccoli proprietari terrieri. Inoltre, il gran numero di schiavi a disposizione permettevano di coltivar enormi appezzamenti di terreno a costi molto bassi. Si crearono così i latifondi (latus ‘’ampio’’ e fundus ‘’podere’’). Il proprietario era dunque un aristocratico, che spesso doveva lasciare i campi per incarichi diplomatici, così avvenne che tutta l’aristocrazia progressivamente, abbandonò i campi per trasferirsi a Roma, lasciando le proprietà in mano a fattori (villici) che dirigevano i lavori dei braccianti e degli schiavi. Così l’agricoltura romana venne riorganizzata secondo il cosiddetto sistema della fattoria, ovvero della ‘’villa’’. Gli altri schiavi venivano messi a lavorare nei campi e di sera venivano rinchiusi per evitare che scappassero (servi vincti) altri avevano invece una semilibertà (servi soluti). La villa era un’azienda agricola finalizzata non alla produzione per il consumo domestico, ma su vasta scala, destinati poi alla vendita e al commercio. Si abbandonò ben presto la coltivazione del grano, per dedicarsi a prodotti più redditizi quali vino e olio. Sui latifondi inoltre, erano impiantati anche grandi allevamenti di bestiame, affidati a schiavi. Nei primi secoli di vita a Roma, gli schiavi erano parte integrante della società, e spesso lavoravano assieme al pater familia e ai suoi figli. Tuttavia, sul finire del II secolo a.C. il numero della popolazione servile aumentò spaventosamente, tanto che alterò i rapporti tra schiavo e padrone. Venne instaurato il mercato degli schiavi (il più famoso a Delo) dove venivano venduti più di 10.000 individui al giorno. Gli schiavi venivano impiegati come macchine da lavoro, e sfruttati su larga scala (molto di più di come avveniva in Grecia) e venivano usati soprattutto per l’agricoltura e sfruttati al massimo. Essi vivevano in condizioni disumane, e appena non erano più in grado di produrre venivano cacciati e lasciati morire. Vi erano tuttavia anche schiavi intellettuali, provenienti soprattutto dalla Grecia, i quali godevano di un certo rispetto e spesso venivano liberati come segno di riconoscenza. Ancora, vi erano gli schiavi pubblici, che dovevano lavorare nelle miniere e cave o costruire opere pubbliche. Proprio la presenza di grandi masse di schiavi provocò problemi di ordine pubblico, fino ad arrivare alle cosiddette ‘’sollevazioni di schiavi’’, ovvero ribellioni da parte di questi ultimi, affrontate dallo stato anche con l’esercito. Le prime rivolte si ebbero in Etruria e in puglia, ma soprattutto in Sicilia, dove, nel 136 a.C. scoppiò una rivolta ben più estesa, alla quale presero parte non solo schiavi, ma anche piccoli proprietari terrieri, pastori e braccianti. Essi elessero Euno (noto come profeta e mago) come loro re, e assalirono l’abitazione di Damofilo, uno fra i più crudeli padroni, uccidendolo pubblicamente. La rivolta proseguì fino a procurare ad Euno una vera e propria corte, e l’instaurazione di uno stato (dove venivano anche coniate monete con il suo effigio. Nel 132, a Roma giunse un esercito in pieno assetto di guerra, ma, al comando del console Publio Rupilio, venne sconfitto e le città espugnate dagli schiavi, riconquistate (Enna, Taormina e altre). Euno poi, venne rinchiuso i carcere con la sua corte. I Gracchi e le riforme. Tiberio Gracco Durante questa situazione fecero la comparsa in politica i due fratelli Tiberio e Caio Gracco appartenente alla famiglia dei Gracchi imparentata con gli Scipione è particolarmente legate ai problemi sociali. Il primo tra i due fratelli ad entrare in politica fu Tiberio se Antonio Gracco che riteneva intollerabile che una parte così consistente della popolazione vive in condizioni di incredibile miseria si rendeva infatti conto che una simile situazione protratta a lungo negli anni avrebbe portato alla rovina dello Stato romano. Infatti era proprio la plebe a costituire il potente esercito romano e a garantire alla somma difesa e conquista. Nel 133 a.C. Tiberio riuscì a farsi eleggere il tribuno della plebe volevo infatti proporre ai concili plebei una legge agraria che avrebbe vincolato tutta la popolazione. I senatori però non vedono di buon occhio questa riforma: consisteva infatti in una riforma terriera, tuttavia Tiberio si limitò a riaffermare una vecchia regola che sanciva un limite al possedimento del terreno pubblico (125 ettari, o, con sistema romano, 500 iugeri. Divenivano il doppio se si avevano figli). I latifondisti si opposero violentemente alla legge. Nel 132 a.C. per il timore che la legge non venisse applicata ripresentò la sua candidatura come tribuno della plebe. I suoi oppositori sostennero grazie a questa mossa che Tiberio voleva impossessarsi del potere di Senato cancella questo punto il Senato votò dunque una consultazione che dava i consoli poteri straordinari in caso di pericolo per lo Stato. Tiberio Gracco finì per essere ucciso. Caio Gracco Nel 123 a.C. 10 anni dopo circa la morte di Tiberio venne eletto tribuno Caio Gracco, suo fratello. Quest'ultimo capì l'importanza dell'appoggio delle altre classi politiche che romane in caso di assenza dell'appoggio del Senato dunque voleva l'appoggio dei cavalieri. Assegnò per guadagnare di in favore della riscossione dei tributi della ricchissima Asia e con le leggesse sembrò mia e capì che a giudicare le malversazioni commesse dai governatori delle province non sarebbe più stata solo l'aristocrazia ma anche di cavalierato. I governatori delle province erano infatti tutti i senatori e per la prima volta non sarebbero stati più giudicati da persone dello stesso rango. L'obiettivo di Caio Gracco non era soltanto quello di ridimensionare il potere senatorio ma anche l'opposizione a questa potente classe governante di una nuova classe con poteri. Per ottenere l'appoggio popolare organizzatore di distribuzioni gratuite del grano ripropose la legge agraria del fratello Tiberio e ridusse i poteri punitivi dei capi militari alleviando anche il servizio militare costruì nuove strade per migliorare le comunicazioni della penisola e fondò colonie nelle province. Grazie a queste iniziative nel 122 a.C. giovandosi di una riforma elettorale approvata da poco ripropose la sua candidatura al tribuno della plebe e riuscire a essere rieletto. Decise quindi di espandere la sua attività politica anche al di fuori della città di Roma proponendo di attribuire la cittadinanza ai socii italici, questa proposta segnò però l’inizio della sua decadenza politica: i cittadini sentirono messi in pericolo la propria lotta per le migliori condizioni di vita. Cessato il sostegno della Plebe, e mai avuto quello degli aristocratici, nel 121 a.C. non viene rieletto. Organizzata una rivolta armata degli schiavi, soffocata brutalmente dal Senato. La politica dopo i Gracchi Dopo la morte di Caio Gracco il potere tornò alla classe senatoria che non concedeva nulla a nessuno. Questa politica di gestione dello stato era supportata dagli optimates e osteggiata dai populares, a quest’ultimo partito. Il I secolo a.C. è caratterizzato dal continuo scontro di queste due classi senza un preciso programma politico. I tribuni della plebe cercarono l'aiuto dei comandanti militari non potendo più fronteggiare da soli questi conflitti interni. Grazie infatti dei comandanti militari era possibile ampliare l'azione politica limitata per i tribuni alle città. Questo però portò i comandanti militari ad assumere un ruolo di maggior rilevanza rispetto i tribuni della plebe. La crisi della Repubblica La guerra Giugurtina e l'ascesa di Mario Giugurta aveva ereditato il tono di Numidia insieme a due cugini alleati dei romani assassinati costoro si era proclamato un corriere. I senatori, accusati dai cavalieri di essersi fatti comprare dei regali di giunta, nel 112 a.C. decisero di dichiarare guerra alla Numidia. Il console Lucio Calpurnio Bestia, capo della spedizione, stipulò la pace Giugurta, facendo sospettare una corruzione con il nemico. Il Senato dunque deciso di affidare nel 109 a.C. Le operazioni al quinto Metello che assieme all'allegato Caio Mario riuscì a fiaccare, ma non a sconfiggere completamente, Giugurta. Sarà il perdurare della guerra i cavalieri e i popolari riuscirono a far eleggere come console Mario – homo novus, ovvero la cui famiglia non aveva mai avuto accesso a cariche pubbliche - nel 107 a.C. Avevano messo in discussione l'autorità del Senato. Mario fece un'importantissima riforma: rese l'esercito romano volontario. Da questo momento quindi potevano accedere all'esercito anche coloro che non possedevano un censo. Grazie al nuovo esercito con l'aiuto di un inganno ideato da Lucio Cornelio Silla - ufficiale di nobile famiglia - Mario riuscì nel 105 a.C. a conquistare il regno di Numidia. Lo scontro con i Cimbri ed i Teutoni Mario era a capo dei popolari e fu rieletto console per ben cinque anni. Intanto i Cimbri ed i Teutoni due popolazioni che avevano annientato un esercito romano in Provenza, minacciavano di entrare in Italia. Perciò Mario decise di affrontarli. Sconfisse i Teutoni nel 102 a.C. ad Aquae Sextiae (oggi Aix-en-Provence) e nel 101 a.C. i Cimbri ai Campi Raudii (vicino l’attuale Vercelli). Il declino di Mario La politica attuata da Mario, che forniva concessioni e benefici alle classi meno abbienti (si veda la riforma dell'esercito di cui si è parlato prima) creò conflitti sempre più evidenti sia con il Senato che con la plebe di cavalieri. Successe che il tribuno della plebe Saturnino, amico ed alleato di Mario, proposte e ai veterani del generale fossero assegnati appezzamenti di terra nelle province indipendentemente dal possedimento meno della cittadinanza romana. Questa proposta trovò non solo l'opposizione del Senato ma anche quella della plebe e dei cavalieri, su cui il potere di Mario faceva appoggio. Perciò quest'ultimo fu costretto ad accettare l'incarico del Senato di reprimere la rivolta che era intanto scoppiata ed abbandonare saturnino. Così facendo però perse l'appoggio dei ceti popolari e delle classi meno abbienti, ma non guadagnò quella del Senato. Si arrestò quindi la politica dei popolari. La guerra sociale I socii italici chiedevano a gran voce la cittadinanza romana, ma rimasero ignorati a lungo dal Senato, fino a che nel 91 a.C., all'elezione del tribuno della plebe Marco Livio Druso venne affrontata la questione. Druso voleva infatti proseguire la via di riforme iniziata da Caio Gracco per ingraziarsi la popolazione paresse una serie di decisioni a vantaggio dei meno abbienti e per ottenere il favore dei cavalieri, proposte che essi divenissero senatori. L'aristocrazia, offesa e scontenta, fece uccidere Druso. Nello stesso anno gli alleati italici decisero di muovere guerra contro Roma. Partito da Ascoli Piceno, il movimento di ribellione si diffonde in tutta la penisola. Crearono infatti uno stato federato attorno alle civiltà più forti (i Marsi ed i Sanniti), creano un potente esercito di difesa e stabiliscono una nuova capitale – la città di Corfinio Italica (tutt’ora esistente in provincia dell’Aquila) – ed un nuovo conio. Tuttavia Roma, sotto il comando di Silla, riuscì a conseguire la vittoria. Tuttavia, dinnanzi il pericolo di una guerra civile, il Senato fu costretto a concedere la cittadinanza alle popolazioni straniere. Mitridate Nello stesso periodo anche Mitridate VI, re del Ponto, iniziò una rivolta contro Roma, mettendo a rischio la supremazia di quest’ultima in Grecia ed Asia Minore. Nell’89 a.C. il Senato dichiarò guerra a Mitridate, nonostante inizialmente il conflitto fosse solo dichiarato e mai iniziato, cominciò nell’89 a.C. un eccidio dei cittadini romani che abitavano la zona da lui controllata. Dopo questo ciò entrò in guerra, il comando fu dapprima affidato a Silla, ma dopo la pressione dei ceti popolari il Senato gli revocò l’incarico in favore di Mario. Silla si rifiutò di obbedire agli ordini e convinse i soldati ad una guerra civile marciando contro Roma. Nell’87 a.C. raggiunse Roma, sconfisse Mario e tornò in Oriente dove ristabilì la supremazia romana in quattro anni. Mario intanto morì nell’86 a.C. ed il nuovo leader divenne Mario “il Giovane” suo figlio, che ottenne l’appoggio degli Etruschi e dei Sanniti – nemici di Silla dalla Guerra Sociale – ed organizzò un esercito. Tuttavia nella primavera dell’83 a.C. Silla sbarcò a Brindisi e si alleò con i due giovani comandanti Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo riuscendo ad avere dalla sua parte l’esercito regolare romano. Dopo una estenuante guerra civile nell’82 a.C. Silla sconfisse tutti i suoi nemici alle porte di Roma – durante la battaglia di Porta Collina – e Mario il Giovane si suicidò. Silla pose così fine alle guerre civili. Silla Molti dei disoccupati, ed ex proprietari terrieri, erano sopravvissuti diventando clientes delle grandi famiglie, facendosi spesso manovrare dai patrizi durante le occasioni di voto. Anche le magistrature erano corrotte, chi intraprendeva la carriera politica lo faceva per diventare console e sfruttare il guadagno che avrebbero ricavato dal comando militare e dl governo delle province. Tra gli alleati italici (socii) c’era dunque un forte scontento; essi erano infatti uniti a Roma con un rapporto molto stretto, ma non erano stati ammessi alla distribuzione delle terre conquistate, ed erano sottomessi a pesanti imposizioni fiscali e non avevano il diritto di voto. Ancora più scontenti dei socii erano gli abitanti dei territori al di fuori dell’Italia. Inoltre, nei confronti dei nemici, Roma aveva lasciato intatta la struttura di ogni paese, attribuendosene però la sovranità. Alle difficoltà interne, vi si aggiungevano quelle esterne, facendo aumentare le tensioni politiche e sociali. Il partito popolare, Silla volle legalizzare il potere che voleva esercitare, si fece dunque nominare dittatore, con l’incarico di scrivere le leggi e ricostruire l’ordine dello stato. Uno dei suoi primi provvedimenti fu la redazione delle liste di proscrizione, ovvero elenchi di persone che potevano essere uccise da chiunque volesse farlo, e i cui beni venivano confiscati e venduti all’asta. Queste liste costarono la vita a molti Sanniti, che subirono la vendetta dei Sillani (tra questi Crasso, che approfittò dell’occasione per arricchirsi). Da quel momento dunque a causa dei massacri che subirono a Roma, si videro eliminati dalla vita politica. Ma le liste di proscrizione, diedero anche il pretesto, per compiere omicidi ingiustificati dei quali furono spesso vittime innocenti ricchi; queste colpirono tuttavia in gran parte gli esponenti del ceto dei cavalieri e alcuni senatori che si pensava avessero tradito gli interessi della loro classe. Silla prese dunque una serie di provvedimenti per attuare il suo disegno politico: raddoppiò il numero dei senatori da 300 a 600, determinando un consolidamento del principale organo di governo aristocratico; con una Lex de magistribus organizzò il cursus honorum, mediante il quale si poteva accedere alle diverse magistrature; stabilì che si poteva diventare consoli solo dopo essere stati questori e pretori; per evitare anche persone troppo giovani avessero cariche massime, stabilì che nessuno potesse diventare pretore prima dei 30 anni e console prime dei 42. Durante l’anno di carica i consoli e pretori dovevano restare in città, solo in seguito potevano essere inviati a governare le province e assumere il comando dell’esercito. Questo provvedimento serviva dunque a separare il potere politico da quello militare (unione che avrebbe potuto portare nuove guerre civili) i magistrati inoltre, non potevano ricoprire la stessa carica, se non erano passati almeno 10 anni dal momento in cui l’avevano assunta la prima volta. Un altro provvedimento fu la lex de tribunizia potestate, la quale stabiliva che alcuni tribuni della plebe dovessero sottoporre le proposte da presentare ai concili prima al Senato. La lex de comitii centuriatis mirava a dare una nuova forza ai comizi. Il dittatore fece emanare anche una legge che vietava ai comandanti di superare il confine del territorio cittadino (il cosiddetto pomerio) che Silla estese sino al Rubicone) Anche l’amministrazione della giustizia criminale venne riformata grazie all’organizzazione di particolari tribunali che aveva precise competenze per i vari crimini. (6 tribunali) e i magistrati fatti aumentare da 6 a 8. Come conseguenza vi fu la limitazione dei diritti di difesa dei cittadini, che non potevano presentare un appello contro un eventuale crimine. Infine nel 79 a.C. Silla dopo le sue numerose riforme, si ritirò a vita privata, pensando di aver salvato Roma dalla guerra civile; morì l’anno successivo. La crisi del Senato e l'ascesa di Pompeo Quando Silla, nel 79 a.C. si ritirò dalla vita politica, era fermamente convinto di aver portato a compimento il suo progetto legislativo e di averne completamente controllato l'attuazione, tuttavia proprio da quel momento il Senato non fu più in grado di governare Roma. Infatti, nonostante il grande impegno di Silla nel suo disegno di restaurazione dei loro poteri, gli esponenti della classe senatoria non si erano dimostrati all'altezza della situazione: infatti essi erano chiusi in un mondo fatto di poche famiglie ed erano completamente indifferenti a ciò che non avveniva all'interno della loro città e che non era parte integrante dei loro interessi personali. Tra i più gravi problemi all'interno dell'impero romano vi erano: l’insurrezione popolare che avvenne nei territori spagnoli, le ostilità riaperte da Mitridate in Oriente e una rivolta servile che era scoppiata in Italia ed era destinata a diventare una delle più grandi della storia romana se non la più grande. In questi momenti era necessario un uomo forte, un capo militare che inducesse l’esercito a sostenere il Senato: quest'uomo fu Gneo Pompeo. Dopo aver combattuto fin da giovanissimo al fianco di Silla, aveva sedato, assieme a Quinto Lutazio Catulo, una rivolta in Etruria dove i proprietari terrieri del luogo, aiutati da Marco Emilio Lepido, (un ex fedele di Silla che, per evitare un processo a causa delle razzie commesse in Sicilia come pretore, era passato al partito dei democratici) si erano opposti alla distribuzione delle loro terre ai veterani di Silla, egli si trovò di fronte alla situazione molto difficile: infatti il generale Quinto Sertorio, (amico fedele di Mario), il quale come altri suoi seguaci si era rifugiato in terra Iberica, si era messo a capo di un gruppo di rivoltosi i quali combattevano per l'indipendenza della Lusitania, corrispondente oggi al Portogallo, e a fianco dei quali si erano schierati anche i romani. La lotta era iniziata nell'80 a.C., e, nonostante l'arrivo di Pompeo, si concluse solo nel 72 a.C., dunque per quattro anni, Pompeo, il quale era giunto in Spagna nel 76 a.C., dovette combattere un'estenuante guerriglia, che arrivò finalmente a termine quando Sertorio, venne ucciso a tradimento da un suo soldato. Pompeo, aveva comunque vinto. Spartaco e la rivolta degli schiavi Nel 76 a.C., mentre Pompeo era in Spagna, scoppiò quella che passò alla storia come ‘’la rivolta di Spartaco’’. Spartaco era uno schiavo proveniente dalla Tracia, condotto poi dagli eventi a Capua, dove c’era una delle più celebri scuole di gladiatori addestrati ai diversi tipi di combattimenti. Tuttavia Spartaco, che era un uomo di notevole intelligenza e grande coraggio, non si rassegnava alla sua sorte e non accettava l’esistenza della schiavitù, tanto che attuò un piano che sarebbe servito a ridare la libertà sui compagni; esso consisteva nel varcare le Alpi, risalendo così l’Italia per permettere ai suoi compagni di tornare in Gallia o Tracia. Spartaco, era consapevole del fatto che una semplice rivolta avrebbe attirato l’attenzione solamente dei disertori e degli schiavi, e non quella dei contadini o del proletariato urbano. Tuttavia, mentre la marcia procedeva, egli raccolse un numero sempre maggiore di aderenti, che arrivò poi a formare un esercito di 15.000 persone, che tuttavia, contrariamente al piano, si diresse invece che a Nord, verso sud. Infatti alcuni delinquenti, i quali si erano infiltrati nel gruppo, lo avevano deviato con lo scopo di saccheggiare le ricche città del Meridione. A questo punto Spartaco, non aveva altra scelta che seguirli e controllarne le mosse, ma con un'incredibile abilità riuscì a trasformare una massa di disperati in un esercito tanto temibile che ha costretto Roma ad inviare ben otto legioni per combatterlo. Il comando di queste legioni venne affidato a Marco Licinio Crasso, il quale dopo una guerra finalmente sconfisse i ribelli del 71 a.C. Inoltre, per permettere a tutto il popolo di sapere quel che succedeva a chi osava ribellarsi al potere di Roma, Crasso ordinò che i 6000 schiavi che non erano morti durante la battaglia venissero messi a morte su altrettante croci issate lungo tutta la via Appia tra Capua e Roma. Quelli che erano riusciti a mettersi in salvo, e che si erano diretti verso Nord, furono sconfitti in Etruria da Pompeo, il quale tornava vittorioso dalla Spagna. L'alleanza di Pompeo e Crasso e la revisione della costituzione sillana Pompeo, grazie alle numerose vittorie militari, aveva acquistato una grande popolarità e un grande prestigio, che iniziò a preoccupare l'aristocrazia senatoria, la quale, sino a quel momento aveva riposto in lui tutte le sue speranze, e che effettivamente, egli aveva dignitosamente sostenuto. Queste preoccupazioni, infatti non erano infondate: dopo essere tornato a Roma, Pompeo, celebrato il suo trionfo, iniziò ad ambire al consolato anche se non aveva ricoperto incarichi inferiori come volevano riforme sillane. Ma poiché non voleva percorrere il cursus honorum, Pompeo decise di forzare il Senato e quindi strinse un’alleanza con Crasso, l'ex luogotenente di Silla, il quale aveva combattuto con lui contro Spartaco; e che, grazie agli abusi compiuti durante le prescrizioni, era diventato l'uomo più ricco di Roma. Per proseguire il suo obiettivo senza provocare altre guerre civili e ottenere il sostegno popolare, Pompeo promise che, se fosse stato eletto console, avrebbe modificato la costituzione di Silla verso una via più democratica. A questo punto con Pompeo e l'Crasso accampati con le loro legioni alle porte di Roma con il sostegno del popolo, il senato fu costretto a cedere: contro le regole costituzionali, nel 70 a.C., Pompeo e Crasso divennero consoli. Pompeo, nel corso della sua carica fece votare una serie di leggi che smantellarono la costituzione sillana: modificò i tribunali, che giudicavano i reati di concussione, ovvero l’appropriamento indebito di denaro di chi ricopre una carica, reinserendo i cavalieri, che, riottennero l'appalto delle province asiatiche che venne tolto loro da Silla. Poi, abolì la regola che vietava a chi era stato tribuno della plebe di accedere alle altre cariche pubbliche. Infine restituì ai tribuni della plebe i diritti di veto e di intercessio, di cui erano stati privati, e nominò nuovi censori che espulsero dal Senato per indegnità ben 84 senatori nominati da Silla. Possiamo infatti dire che, egli aveva capito che la politica conservatrice perseguita dal Senato era ormai perdente e che la corruzione che vi era al suo interno aveva raggiunto un livello inaccettabile. A confermarlo, era scoppiato il famoso scandalo di Verre, un pretore che proprio nel 70 a.C. sotto il consolato di Pompeo e Crasso venne processato per gli abusi commessi in Sicilia. Ciò riguardava le sue eccessive riscossioni tributi, i furti di splendide opere d'arte e i supplizi da lui inflitti ai cittadini romani. All’inizio il processo non fu facile, anche perché i pretori, i quali parteggiavano tutti per Verre, miravano a prolungare il dibattito, grazie a rinvii e manovre; tuttavia, un giovane ma abile avvocato di nome Cicerone, servendosi di alcune famose orazioni di accusa dette poi le ‘’Verrine’’, riuscì abilmente a mettere in luce la responsabilità di quei senatori che lo avevano protetto, rendendosi vergognosamente suoi complici. L'ex pretore, fu così condannato a pagare un'altissima multa. Ora era dunque inevitabile che si aprissero contraddizioni e tensioni anche con l'aristocrazia. Infatti la lotta, non contrapponeva ormai solo gli aristocratici ai populares, ma anche gli aristocratici conservatori e gli esponenti più moderni della stessa classe tra i quali spiccava lo stesso Pompeo. Pompeo contro i pirati e contro Mitridate Alla fine dell'anno di carica come console, Pompeo si rifiutò di governare una provincia, ciò però non consisteva una rinuncia alla politica: infatti egli riteneva, che Roma fosse il luogo migliore per realizzare il progetto di potere che perseguiva da tempo. La sua occasione giunse nell'67 a.C. quando il senato decise di affrontare il problema dei pirati che ormai governavano nell'intero Mediterraneo orientale minacciando e depredando le navi romane. Infatti i pirati non agivano più singolarmente come una volta ma si erano organizzati invece con proprie flotte, che avevano le loro basi sulle coste Meridionali dell’Asia minore, della Cilicia e di Creta; quindi rappresentavano una minaccia gravissima perché chi doveva viaggiare dal mare rischiava di venire ucciso o di essere catturato e venduto come schiavo. Ma il problema più grande era che i pirati mettevano in serio pericolo gli approvvigionamenti della stessa Roma: infatti, depredando le navi che trasportavano il grano, essi avevano provocato più di una carestia. Di fronte a questa situazione, il tribuno Aulo Gabinio, propose nel 67 a.C., una legge che concedeva a Pompeo poteri straordinari per la durata di tre anni: le famose lex de piratis persequendisi. Il Senato fu quindi costretto a cedere alla pressione del popolo che temeva il ripresentarsi delle carestie, e quindi una violenta reazione della plebe. Pompeo diviene così il padrone assoluto di Roma con poteri che nessun altro aveva mai avuto prima: al suo comando aveva infatti 500 navi, 120.000 soldati, e 5000cavalieri. Con queste forze, nel giro di tre mesi riuscì a riaprire le rotte del Mediterraneo. Poi però nel 66 a.C. una lex Manilia chiamata così perché proposto dal tribuno Caio Manilio, affidò a Pompeo nuovamente pieni poteri, al fine di chiudere per sempre la partita con Mitridate. Il re del Ponto infatti continuava a tramare ai danni di Roma, e si era alleato con il re d'Armenia, Trigrane, invadendo nel 75 a.C. la Cappadocia e la Bitinia, due regioni che erano sotto il protettorato di Roma. Per rispondere all'affronto subito, erano state inviate alcune legioni, ma Licinio Lucullo, il quale le comandava, una volta giunto sul luogo degli scontri si era trovato in difficoltà anche perché era odiato dal centro equestre il quale non gli perdonava alcuni editti emessi in Asia per mettere un limite all’avidità dei pubblicani, cioè agli appaltatori delle tasse. In seguito a questo l'incarico gli venne tolto e affidato a Pompeo. Mitridate, venne così attaccato da terra e da mare, abbandonato da Tigrane, che si era alleato con Pompeo, e perfino tradito dal figlio Farnace: nel 63 a.C., quindi, il re del Ponto si uccise. Così l'oriente ellenistico veniva conquistato. La Siria, già conquistata con la Cappadocia e la Bitinia da Tigrane, divenne una provincia: la Palestina, a cui venne concesso di restare autonoma, posta sotto il protettorato di Roma: il regno dei Seleucidi era scomparso e il territorio che si estendeva dall’Egeo all'Eufrate era stato organizzato il sistema di protettorati e di province. Dunque nel giro di quattro anni Pompeo ed era riuscito a conquistare un territorio che forniva grazie alle tasse una grandissima quantità di denaro a Roma. Quando Pompeo sbarcò a Brindisi, nel 62 a.C., a causa del suo carico di gloria, i romani si chiedevano in ove egli avrebbe usato il prestigio della sua ricchezza: infatti molti sospettavano che, affidandosi sulla incondizionata fedeltà dei giovani che intendesse abbandonare la Repubblica e verdi campi ma il comportamento di Pompeo fu molto diverso da quello che ci si aspettava, e, dopo aver congedato l'esercito, egli si limitò a fare al Senato solo due richieste: la ratifica dei provvedimenti destinati a e la distribuzione di terra suoi veterani. Lo scontro tra popolari e ottimati Mentre Pompeo combatteva in Oriente, lo scontro tra populares e optimates a Roma diventava sempre più aspro. Infatti a difendere l'aristocrazia senatoria erano rimasti solamente Marco Tullio Cicerone e Marco Porcio Catone. Cicerone, era nato ad Arpino come Caio Mario e come lui era un homo novus. Anche denunciando la corruzione da parte dell'aristocrazia, riteneva che gli ottimati fossero ancora l’unica forza capace di difendere le istituzioni repubblicane. Catone invece, appartenente all'antica famiglia aristocratica, era nipote del celebre Catone ‘’il censore’’, difendeva per tradizione i valori gli interessi della sua classe di cui rappresentava una delle persone più conservatrici. Dunque tra populares e centro equestre, militavano Lucio Licinio Crasso, Caio Giulio Cesare e Lucio Sergio Catilina. Crasso come abbiamo già detto, aveva combattuto con Pompeo contro Spartaco, ed era stato console assieme a lui nel 70a.C. Era un uomo di scarsa dignità politica e popolarità, ma tuttavia aveva un notevole potere grazie le sue ricchezze personali che gli consentivano di controllare le elezioni, egli (sempre grazie alle sue ricchezze) ebbe un'alleanza con Cesare, che, essendo economicamente in rovina, usava denaro di Crasso per finanziare le sue campagne politiche e per pagare i debitori. Cesare, apparteneva ad un'antica e nobile famiglia, quella degli Iulii, che vantava di discendere da Enea, figlio della dea Venere. Egli nacque nel 100a.C., ed era nipote di Caio Mario. Aveva sposato Cornelia, figlia di Cinna, uno degli esponenti del partito popolare. Durante la guerra civile, egli aveva sostenuto i populares, ma tuttavia, si era salvato dalle proscrizioni solamente grazie alle numerose amicizie all'interno del ceto aristocratico. Anche Lucio Sergio Catilina, che militava tra le file dei populares, proveniva da una famiglia nobile. Egli, aveva combattuto con Pompeo de Cesare sotto il comando di Pompeo Stabone nella Guerra sociale, e durante le prescrizioni era stato responsabile della morte di Mario, suo cognato. Al termine dell'anno durante il quale aveva ricoperto la carica di pretore, Catilina era andato a governare l'Africa, ma, a causa del suo comportamento venne accusato di ‘’concussione’’ (repetundae), tuttavia, al termine del processo venne assolto, proprio grazie all'aiuto del suo stesso accusatore, Clodio; ma il processo gli aveva impedito di presentare, nel 65 a.C., la sua candidatura per il consolato. Dunque nel 64 a.C., Catilina si presentò, ma venne sconfitto per pochi voti da Cicerone. Senza arrendersi, nel 63 a.C. Catilina, ripropose la sua candidatura, concentrando la campagna elettorale sulla promessa di una cancellazione generale dei debiti. Tuttavia neppure questa promessa fu sufficiente a farlo eleggere: ma gli procurò l'appoggio della plebe e di un numero esiguo di nobili decaduti, e fu fortemente osteggiata dalle classi agiate, che riuscivano a controllare i comizi. Catilina, vide così svanire per la terza volta, le sue speranze, e al tempo stesso perse il sostegno di Cesare e di Crasso, preoccupati per le reazioni provocate dalla sua campagna elettorale. La congiura di Catilina Rinunciando ormai all'idea di poter arrivare al potere legalmente, Catilina iniziò a pensare ad un'insurrezione armata. Il suo progetto, oltre all'eliminazione di Cicerone, prevedeva una serie di azioni terroristiche e l'occupazione di Roma mediante un esercito arruolato in Etruria e composto da esponenti degli stati più umili della società romana ovvero il sottoproletariato urbano, i braccianti stagionali, artigiani, e anche gli schiavi. Però Cicerone, venuto a conoscenza della congiura, nella seduta del 21 ottobre 63 a.C. ne svelò l’esistenza al Senato, mediante l'enunciazione di un’orazione passata poi alla storia con il nome di ‘’Prima Catilinaria’’. La quale esordiva con una frase: ‘’Fino a quando Catilina, abuserai della nostra pazienza?". Dunque, l'8 novembre, Catilina venne costretto a lasciare la città, e si rifugiò a Fiesole dove vi erano le sue truppe; tuttavia i congiurati, non vollero rinunciare al progetto e decisero di prendere le armi il 17 dicembre. Tuttavia anche questa volta, la notizia trapelò prima che i congiurati passassero all'azione, tanto che vennero arrestati e condannati a morte senza che diritto d'appello: questa procedura, contraddiceva una delle regole fondamentali della costituzione repubblicana, la quale stabiliva, che, contro le sentenze capitali, si poteva fare appello al popolo. Soltanto Cesare, in Senato, chiese che non venisse compiuta questa gravissima illegalità, che la condanna capitale venisse commutata nella pena dell'esilio e della confisca dei beni non venne ascoltato. I congiurati, catturati a Roma, vennero quindi messi a morte poco dopo, nel gennaio del 62 a.C., coloro che avevano riparato in Etruria, vennero sconfitti nella battaglia di Pistoia: qui morì lo stesso Carlina, da uomo valoroso, con molti dei suoi seguaci che tennero testa fino all'ultimo momento all'assalto dell'esercito consolare. L’Ascesa di Cesare L’inarrestabile ascesa di Cesare verso il potere, iniziò nel 70 a.C., quando egli tornò dalla Spagna, dove era stato governatore. Il suo principale obiettivo era quello di ottenere la carica di console, poiché le forze su cui poteva contare, non erano sufficienti a garantirgli l'elezione. Come sempre dunque, aveva bisogno di Crasso, che prima della partenza per la Spagna aveva saldato tutti sui debiti. Tuttavia a Cesare, serviva un terzo alleato, che, inaspettatamente, fu Pompeo. Egli infatti, al ritorno dalle campagne militari, aveva chiesto come ricompensa per i suoi meriti la ratifica dei provvedimenti presi in Asia e la distribuzione di terre ai veterani. Tuttavia queste concessioni, gli furono rifiutate. Emerse dunque Cesare, che propose a Pompeo di formare un'alleanza assieme a lui e a Crasso. Così, nel 60 a.C. I tre strinsero un accordo di reciproco aiuto, chiamato Accordo di Lucca. Questo, aveva lo scopo di raggiungere gli obiettivi che ognuno di essi perseguiva e di spezzare il ruolo predominante del Senato. L'accordo, era noto anche come primo triunvirato, ed esso non configurava una magistratura, ma aveva una dimensione personale e privata; infatti Pompeo, avrebbe appoggiato la candidatura di Cesare al consolato per l’anno 59 a.C., Cesare avrebbe sostenuto i provvedimenti di Pompeo per farli approvare e Crasso avrebbe raccolto proseliti per esso la classe finanziaria, a favore della distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo. Quando finalmente venne eletto console, 59 a.C. Cesare onorò gli impegni presi con Pompeo e con Crasso: fece infatti approvare le leggi le quali distribuivano le terre ai veterani di Pompeo e riducevano di un terzo i canoni che i pubblicani delle province Orientali dovevano versare allo stato: questo garantiva un notevole vantaggio economico per la classe dei cavalieri, a cui apparteneva Crasso, e che aveva il monopolio degli appalti di imposte. Così, ridotto all'impotenza, il Senato venne costretto a subire oltre queste leggi una serie di altri provvedimenti poco graditi. Accanto alla distribuzione di terre ai veterani infatti, Cesare ottenne con la stessa legge, che si distribuissero terreni anche alla plebe. A questo scopo fece acquistare allo Stato nuove terre, utilizzando i fondi delle entrate provenienti dall'Asia; queste terre vennero divise in 50.000 lotti, che bastavano a soddisfare le esigenze di tutti senza toccare l'interesse dei piccoli proprietari terrieri. In maniera diversa da quel che era accaduto ai tempi della distribuzione ai veterani di Silla, non si fece ricorso all'espropriazione dei terreni privati. Cesare, introdusse inoltre nuove regole sul governo delle province, aumentando la responsabilità fiscale dei governatori, stabilendo che i verbali delle sedute delle assemblee del Senato venissero resi pubblici. Infine, abolì la pratica di prendere gli auspici prima delle assemblee legislative con un provvedimento dalle notevoli conseguenze pratiche: infatti gli auspici, erano manovrati dall'aristocrazia, ed essa, quando temeva che un'assemblea prendesse dei provvedimenti sgraditi, riusciva a rinviarla dicendo che gli auspici erano sfavorevoli. Durante il consolato, Cesare si assicurò inizialmente il comando proconsolare per cinque anni nella dalla Gallia Cisalpina e nell’Illirico; in seguito, ottenne anche la Gallia Narbonense, una regione molto turbolenta, ma proprio per questa ragione era interessante agli occhi di Cesare. Facendo così valere il pericolo determinato dai continui movimenti delle tribù celtiche, ottenne il comando di quattro legioni e attese il momento favorevole per realizzare il suo piano di portare i confini di Roma sempre più a Occidente, nella Gallia libera, oltre i confini della sua provincia. Prima di lasciare Roma, pensò di liberarla da tutti quei personaggi che in sua assenza avrebbero potuto danneggiarlo. Iniziò con Catone: Roma infatti aveva ricevuto in dono dall'Egitto l'isola di Cipro ed egli venne scelto per prenderne possesso. Cicerone invece, grazie a un provvedimento preso da Cesare accordatosi con Publio Clodio, venne esiliato grazie alla legge che stabiliva l’esilio per tutto coloro che avessero fatto giustiziare un cittadino romano senza concedergli il diritto di appello. Cesare poteva dunque partire per la Gallia. L’occasione opportuna si presentò quando gli Elvezi, incalzati dalla tribù germaniche, minacciarono i confini degli Edui, una tribù gallica libera, stanziata a Occidente del territorio elvetico. Questi ultimi chiesero aiuto a Cesare, che rispose prontamente: nel 58 a.C., ancora prima di ottenere il permesso del Senato, affrontò gli Elvezi nella battaglia di Bibracte, e li sconfisse. Assunta la veste di difensore dei Galli liberi, Cesare affrontò l’esercito di Ariovisto, re dei Germani, sconfiggendolo nella pianura alsaziana, presso il fiume Reno. Così, dopo aver conquistato il territorio della Gallia centrale, Cesare si era spinto ai confini della Gallia del Nord. Temendo che le mire espansionistiche di Cesare minacciassero anche la loro liberà, i Belgi tentarono di far fronte comune con altri popoli della zona, dando vita a una coalizione antiromana; ma Cesare riuscì tuttavia a fronteggiarla e rapidamente la sgominò. Conquistato dunque anche il territorio della Mosa e della Schelda, nel 57 a.C. Cesare arrivò alle Coste della Manica. A Roma invece, durante l'assenza di Cesare, si era creata una situazione molto preoccupante. Infatti i popolari, a seguito di Clodio, erano impegnati in continui contrasti con le bande armate di Milone, di cui gli aristocratici si servivano per contrastare la loro politica. L'accordo con i due triumviri rimasti nella capitale era precario: infatti, Pompeo, allarmato dal crescente potere di Cesare, riprese contatti con l'oligarchia senatoria incoraggiandola a richiamare Cicerone dall'esilio. Deciso ad impedire quindi che queste manovre cambiassero gli equilibri di potere, nel 56 a.C. Cesare tornò in Italia e a Lucca strinse con Pompeo e Crasso conto, per giungere a una nuova condivisa ripartizione delle cariche pubbliche: Cesare, avrebbe avuto il proconsolato in Gallia per altri 5 anni, Pompeo e Crasso sarebbero stati consoli nel 55 a.C. e poi avrebbero avuto a loro volta un proconsolato. Tuttavia, il nuovo incontro di Lucca non fu sufficiente a stabilire un accordo tra i triunviri. Infatti al contrario degli impegni assunti Pompeo decise di non lasciare la capitale: egli intendeva ingaggiare una lotta sempre più aperta con Cesare e a questo fine si era schierato dalla parte dell'aristocrazia senatoria, presentandosi come il difensore delle istituzioni e come il più feroce avversario di chi a queste attentava. Nel 53 a.C. Crasso morì combattendo contro i Parti a Carre, in Mesopotamia, e nel 52 a.C. quando Clodio venne ucciso dalle bande di Milone, Pompeo venne nominato dal Senato console senza collega. Completamente fuori delle regole istituzionali che il Senato sosteneva di difendere, per il suo stesso volere, Pompeo si ritrovo a detenere un potere assoluto e a disporre di una forza militare notevole con cui eventualmente affrontare Cesare. Nel frattempo quest'ultimo, tornato in Gallia aveva continuato la sua inarrestabile marcia di conquista, giungendo a esplorare la Britannia, ancora sconosciuta. Dopo aver attraversato per la prima volta la Manica, nel 54 a.C. aveva raggiunto il Tamigi, stringendo un'alleanza con alcune tribù locali. Tuttavia, nel 53 a.C. fu di nuovo impegnato in Gallia per contrastare il giovane valoroso Vercingetorige, il quale aveva assunto il comando di molte tribù decise a riconquistare la libertà perduta. Così, per due anni, Vercingetorige tenne fronte alle legioni romane ma nel 52 a.C. dopo un assedio alla città di Alesia, fu costretto ad arrendersi. I celti sopravvissuti furono ridotti in schiavitù e finirono per essere inglobati al mondo latino. La seconda guerra civile la vittoria di Cesare Tornato dalle numerose vittorie, Cesare intendeva proporre la sua candidatura al consolato con la ma il Senato, temendo che intendesse conquistare il potere con la forza, decise di contrastare le sue aspirazioni. Seguendo così, il consiglio di Pompeo i senatori stabilirono che i candidati alle magistrature dovessero essere personalmente presenti in città e quindi, per essere eletto, Cesare avrebbe dovuto lasciare le legioni e presentarsi a Roma come privato cittadino. Tuttavia, come condizione per farlo chiese che Pompeo sciogliesse il suo esercito e, quando il Senato respinse la sua proposta, Cesare non esitò a ricorrere alla forza. Infatti, la notte del 10 gennaio del 49 a.C. attraversò con le legioni il fiume Rubicone, il quale segnava i confini tra la Gallia cisalpina e l'Italia centro-meridionale: Alea iacta est. Come sancito da Silla infatti, chiunque attraversasse armato il Pomerio sarebbe divenuto nemico di Roma; e così, Cesare dava inizio a una nuova guerra civile. Sostenuto dai suo numerosi simpatizzanti, Cesare andò verso la capitale senza incontrare alcuna resistenza, e Pompeo, impreparato e incapace di organizzare una difesa, fuggì con parte dell'aristocrazia in Macedonia, contando sulle amicizie strette instaurate durante la guerra contro Mitridate, grazie alle quali sperava di poter formare un esercito che gli consentisse di passare al contrattacco. Cesare, dal canto suo, conquistata la penisola italica si recò immediatamente in quella iberica, per eliminare il pericolo rappresentato dalle molte regioni pompeiane che si erano stanziate lì, le sgominò nel giro di pochi mesi. Una volta raggiunta la sicurezza su questo fronte, nel 48 a.C. affrontò direttamente il suo rivale Pompeo, sconfiggendo nella battaglia di Farsalo, in Tessaglia. Pompeo, sperando nell'aiuto del Re Tolomeo 13º fuggì in Egitto dove però venne ucciso: tuttavia questo gesto venne considerato da Cesare un atto di viltà, punito poi da Cesare stesso con la morte. Quest'ultimo infatti, ormai cinquantaduenne si innamorò della 21enne Cleopatra al punto da restare 20 mesi alla sua corte. Eliminato quindi Tolomeo, fratello di Cleopatra, essa dovette sposare suo fratello Tolomeo Neotero, appena undicenne. Nel frattempo Cesare doveva continuare a combattere: infatti in Asia si era ribellato il re del Ponto, Farnace, che però venne subito sconfitto nel 47 a.C. a Zela. La rapidità della vittoria è racchiusa nell’emblematica comunicazione di Cesare al Senato: veni, vidi, vici. Intanto in Africa molti dei pompeiani superstiti avevano trovato rifugio alla corte di Giubba re di Numidia: tra di loro vi erano anche i figli di Pompeo e Marco Porcio Catone. Sbarcato in Africa, nel 46 a.C. Cesare sconfisse i suoi oppositori a Tapso, mentre Catone e Giubba si uccisero. Con questa ultima vittoria, Cesare divenne il padrone indiscusso di Roma. Assieme alla carica di pontefice Massimo, che già ricopriva dal 63 a.C. a Cesare venne dato anche il titolo di imperator e di pater patriae. Si fece inoltre nominare dittatore a vita e si fece conferire l'inviolabilità tribunizia, che lo rese sacrosanctus. In più, all'interno del Senato poteva sedere su un seggio dorato, al mese quintile era stato conferito il suo nome (Iulius), nei tempi vennero posizionate statue che lo raffiguravano, e vi erano persino monete con la sua effigie. Le istituzioni repubblicane erano formalmente ancora in vita ma nella sostanza, tutti i poteri civili, militari e religiosi erano nelle mani di una sola persona. Tuttavia Cesare non abusò di questa situazione, ma fu piuttosto magnanimo, ed ebbe un senso del governo senza precedenti, dando origine a una organica politica riformatrice. Dopo aver permesso a coloro che erano stati esiliati di tornare a Roma, concesse la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina e di molte province, ed emanò nuove leggi che favorivano lo sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato e del commercio. Si impegnò inoltre a migliorare il controllo delle province, controllando che i pubblicani incaricati a riscuotere i tributi non abusassero dei loro privilegi. Volle poi razionalizzare il sistema della distribuzioni gratuite di grano, dimezzando il numero delle persone che ne avevano diritto, e assicurandosi che esse ricevessero effettivamente quanto dovuto. Pose poi fine alla disoccupazione, dando inizio a grandi opere pubbliche, quali la sistemazione del Foro, l’arginamento del Tevere e il prosciugamento delle paludi Pontine. La morte di Cesare Nonostante i provvedimenti positivi di Cesare, gli optimates si sentivano minacciati dalla sua presenza, e temevano che egli aspirasse a diventare sovrano assoluto, dunque in questo clima maturò una congiura ad opera di alcune persone fra le quali vi era anche Marco Giunio Bruto, figlio adottivo di Cesare. Essa terminò con la morte di Cesare, avvenuta il 15 Marzo del 44 a.C. Lo scontro tra Antonio e Ottaviano Antonio e l’eredità di Cesare I congiurati erano convinti che la loro azione sarebbe stata accolta favorevolmente ma non fu così. Infatti, alcune ore dopo la morte di cesare, era evidente che l’esercito cesariano era rimasto fedele ai suoi luogotenenti, in particolare ad Antonio. Dunque il Senato, temendo il suo intervento, non osò prendere alcun provvedimento che mirasse a modificare l’assetto costituzionale. Rimasti dunque isolati, e iniziando a temere per la propria sorte, i congiurati si rifugiarono nel Campidoglio. Nei giorni seguenti, Antonio, il quale intendeva sfruttare il potere derivato dal comando dell’esercito, tentò di accreditarsi come successore di Cesare, ponendo agli anticesariani un accordo: i congiurati sarebbero stati salvi, e lui avrebbe tenuto a freno l’esercito, in cambio che i provvedimenti di cesare rimanessero in vigore. Negli accordi presi il 17 marzo, il senato si impegnava a mettere in atto le ultime volontà sul testamento di Cesare. Ma quando questo venne aperto, si scoprì che Cesare aveva nominato suo erede non Antonio, ma il suo pronipote Caio Ottaviano, nato nel 63 a.C. da una figlia di sua sorella Giulia. Sempre per testamento, Cesare aveva disposto che ad ogni membro del proletariato urbano e ogni legionario venissero donati 300 sesterzi. Anche per questi motivi, durante i suoi funerali vi furono grandi manifestazioni in cui si chiedeva la testa dei suoi assassini. Dunque, le case di Bruto e Cassio vennero incendiate, ed essi furono costretti ad abbandonare Roma, cercando rifugio nelle province romane in Oriente. Le prime mosse di Ottaviano Il piano di impadronirsi del potere grazie alle concessioni avute dal Senato non garantì il successo ad Antonio. Verso la fine di aprile, Ottaviano tornò a Roma dall’Epiro, dove era impegnato in uno scontro contro i Parti, fermamente deciso a far rispettare gli ultimi voleri di Cesare. Poiché Antonio rifiutò di consegnargli gli averi di Cesare, Ottaviano vendette i suoi beni personali, con il ricavato distribuì alla plebe la somma decisa da Cesare. Così facendo, la sua popolarità presso il proletariato crebbe enormemente, e, nonostante la giovane età fu molto cauto, e tentò di non inimicarsi il senato. Con grande astuzia, egli appoggiò la posizione dei conservatori più moderati, guadagnandosi anche il favore di Cicerone, il quale, come molti altri, stava iniziando a prendere le distanze da Antonio. Quest’ultimo infatti, aveva ricevuto l’incarico di governare una lontana provincia, ma non intendeva allontanarsi troppo da Roma. Per questa ragione, fece approvare una legge la quale consentiva la ‘’permuta delle province’’, e quindi un plebiscito che li attribuiva il governo della Gallia Cisalpina, designato regolarmente a Decimo Bruto. Contro le sue pretese si era scagliato Cicerone, che lo proclamò nemico della patria pronunciando la famosa orazione passata alla storia sotto il nome di ‘’Filippiche’’. Poiché Decimo Bruto non intendeva sottostare alle imposizioni di Antonio, egli pensò di occupare il territorio con la forza. In aiuto di Bruto venne inviato l’esercito consolare, al quale si affiancarono anche le truppe di Ottaviano. Lo scontro avvenne a Modena, presa in assedio da Antonio nel 43 a.C. Antonio venne sconfitto e si rifugiò nella Gallia Narbonense, raggiungendo il generale Emilio Lepido, proconsole in quella regione e suo fedelissimo. I due vennero dichiarati nemici della Repubblica. Ottaviano Augusto Nel 29 a.C. Ottaviano Augusto torna a Roma in trionfo, il desiderio di pace tra i Romani era tale che essi erano anche pronti ad accettare un governo di tipo assolutista. Nel 27 a.C. Ottaviano viene nominato console, tuttavia il suo collega aveva poteri minori (consul minor), e dal Senato gli venne attribuito il titolo di Augustus (venerabile) e di Princeps Senatus. Ovvero il diritto in Senato di votare per primo influenzando il voto degli altri. Ottaviano è diviso tra il riformare la costituzione repubblicana e l’instaurare una monarchia assoluta. Nel 23 a.C. sceglie la prima strada attribuendosi però la Tribunicia Potestate, ovvero il potere sui cittadini e sui Tribuni della Plebe, e il Proconsolato, per il controllo delle cariche all’estero. Le istituzioni repubblicane continuano intanto ad esistere ma non vengono più consultate, mentre il numero dei senatori viene ridotto da 1000 a 600. A quest’ultimi erano riservate le cariche più alte ed erano generalmente uomini scelti dall’Imperatore tra quelli aventi nel patrimonio più di 1 milione di sesterzi. Decentra le funzioni amministrative istituendo nuovi organi, attribuendone le cariche ai Cavalieri (allontanandoli di fatto dalla politica), mentre accentra quelle di controllo su di se. Sulla nascita del Principato gli storici hanno due opposte teorie: se alcuni credono realmente nell’intento restauratore di Ottaviano, che comunque non aveva ancora intaccato la Costituzione Repubblicana, altri invece sono convinti nel suo intento di instaurare una monarchia assoluta di stampo orientale. Istituisce le prefetture: il Prefetto Urbano si occupava della Città quando l’Imperatore non era presente, il che rendeva la carica solo momentanea (sino a Tiberio che risiederà spesso fuori dall’Urbe), il Prefetto Annone si occupava dell’Approvvigionamento di Roma, il Prefetto dei Vigili della sicurezza e detenendo anche un limitato potere giudiziario, ed il Prefetto del Pretorio che si occupava delle Guardie del Corpo. Affidò tutte le cariche al ceto equestre ad eccezione della prima, riservata invece ai Senatori. Divise le Provincie in Senatorie, o del popolo, rette da un Proconsole con Imperio Prorogato, ovvero quelle provincie più calme alle dipendenze del Senato e i cui tributi andavano allo Stato; e in Provincie Imperiali, dette anche caesaris, che erano invece a diretta dipendenza del Principe. Queste erano quelle più difficili da governare e i cui tributi, come nelle monarchie di stampo orientale, andavano nelle casse personali dell’Imperatore. Infine l’Egitto, definito il Granaio del Mondo, era un possedimento personale dell’Imperatore che lì veniva accolto come Faraone dai locali. Per quel che riguarda l’Esercito ridusse fortemente il numero dei soldati portando le legioni da 50 a 25, offrendo ai congedati veterani un risarcimento di tasca propria e ai veterani appezzamenti di terra. Si occupò quindi dell’esercito e ne modificò il sistema di arruolamento – come del resto fece Mario – modificandolo in Volontario Regolare aperto anche ai non-cittadini. Questo portò grandi benefici: forniva la cittadinanza ai socii e agli altri popoli sottomessi a Roma, offriva una possibilità di ricchezza ai cittadini poveri ed infine offriva terre ai veterani. Per evitare rivolte militari infine ordinò il frequente trasferimento degli ufficiali. Dei soldati speciali erano infine i 9000 Pretori, sceltissime guardie del corpo dell’Imperatore, dall’importante ruolo politico come negli anni successivi si sarebbe dimostrato essendo spesso autori dei regicidi per il cambio di regime. Augusto non ha mire espansionistiche, ma si trova impegnato nella difesa dei confini. Organizza però tra il 27 a.C. ed il 9 d.C. campagne di difesa che si tramutarono ben presto in conflitti per la conquista. Il pericolo maggiore in Spagna è rappresentato dagli Asturiani, dai Baschi e dai Cantabri. Affrontati tutti tra il 20 e il 19 a.C. da Agrippa ed includendo i territori conquistati nella provincia di Spagna Citeriore. Sulle Alpi il Gran Sanbernardo è controllato dai Salassi che vengono sconfitti nel 25 a.C. per raggiungere la Spagna e fondano la colonia di Augusta Pretoria. Vengono sottomessi in Val Camonica e Val Tellina i Camuni ed i Vennini nel 18 a.C. Tiberio e Druso nello stesso anno conducono una spedizione nel Norico dove sottomettono i Taurisci che occupavano zone ricche d’oro. Tra il 12 ed il 9 a.C. Tiberio sottomette i Pannoni. Nello stesso anno conquistano la Mesia. Nel 12 a.C. Augusto incarica Druso di occuparsi di rivolte nell’Elba, tuttavia nel 9 a.C. alla morte di questo la missione viene portata a termine dal fratello Tiberio che seda la rivolta in Pannonia. Nello stesso anno i Germani tesero un’imboscata ai Romani nella foresta di Teutoborgo annientandoli. Augusto rinunciò a sottomettere la Germania al dominio di Roma. Roma si estendeva quindi sino al Danubio. La sua politica economica fu assai liberale: permise il commercio ed il mercato libero intervenendo raramente e solo indirettamente: fece ad esempio costruire una rete stradale e postale per favorirne lo sviluppo. Separò le sue casse personali da quelle dello Stato e stabilì a se il diritto di conio per le monete d’oro e d’argento, mentre lasciò la facoltà di produrre i Sesterzi, in rame, al Senato. Questo gli permise di creare rapidamente più monete e sostenere gli ingenti costi della sua politica. Tra il 18 ed il 9 a.C. emanò le Leges Iuliae che erano volte al ritorno dei Mos Maiorum, le usanze dei padri, alla cui perdita la propaganda augustea attribuiva il periodo di crisi. Si stabilì quindi che l’adulterio fosse punito con l’esilio – e la sua stessa figlia Giulia fu esiliata per questo – e che si doveva conseguire il matrimonio tra i 20 ed i 60 anni nella propria appropriata classe sociale. Veniva inoltre multato chi non aveva figli: il che era volto ad incrementare le nascite, fortemente diminuite nella Roma dell’ultimo secolo. Infine fu stabilito che si sarebbe dovuto esaltare e mitizzare la grandezza di Roma tramite opere letterarie: in questo contesto fiorì pienamente il circolo di Mecenate a cui faceva parte anche Virgilio. Si sposò dapprima con la figliastra d’Antonio Clodia Pulchra nel 43 a.C. che ripudiò l’anno successivo, quindi con Scribonia da cui ebbe l’unica figlia, Giulia, ma ripudiò anch’essa proprio il giorno in cui nacque quest’ultima. Tre giorni dopo sposò poi Livia Drusilla, precedentemente sposa di Tiberio Claudio Nerone, e ne adottò il figlio Tiberio. Presa la patria potestà di Giulia la costrinse a sposarsi dapprima con Marcello, da cui ebbe due figli che adottò Augusto poi, vedova, con Agrippa. Questo sembrava essere il più probabile successore di Ottaviano ma morì il 12 a.C. Costrinse quindi Giulia a sposare Tiberio ma ella, innamoratasi di Iullo e avendo congiurato contro il padre, fu esiliata a Ventotene ed il matrimonio annullato. (Quando questa tornerà sulla Terra Ferma fu fatta arrestare da Tiberio che la fece rinchiudere in una stanza a morire) Morirono anche i due figli di Giulia adottati e dunque l’unico erede rimase essere Tiberio. Egli divenne imperatore alla morte di Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, nel 14 d.C., “Acta est fabula. Plaudite!”. La dinastia Giulio-Claudia Tiberio (14-37 d.C.) Salito al trono come figlio adottivo di Augusto, era stato un coraggioso soldato nella guerra contro i Parti, prima di divenire imperatore, ancora militare, si presentò al Senato con l’intenzione di ritirarsi a vita privata, tuttavia appena giunse a Roma fu acclamato imperatore. In carica, inviò suo nipote Germanico a sconfiggere le popolazioni germaniche, il quale vi riuscì abilmente. Tuttavia Tiberio, insospettito dalla grande fama del generale lo richiamò in patria e non permise l’occupazione di quelle regioni. Germanico fu quindi inviato contro i Parti, in Oriente, dove tuttavia morì improvvisamente nel 19 d.C.: a Roma si sospettò che l’Imperatore stesso l’avesse fatto avvelenare per la sua enorme fama. La popolarità di Tiberio crollò definitivamente. Indisse una serie di processi per lesa maestà, che portarono al patibolo molti esponenti della famiglia di Germanico ed oppositori politici. Nel 26 d.C. lasciò Roma nelle mani del prefetto del pretorio Seiano, per ritirarsi nella sua villa a Capri. Quando nel 31 d.C. seppe che Seiano lo voleva spodestare fece arrestare lui e la sua famiglia e li condannò a morte. L’ultimo periodo di regno dunque, fu caratterizzato da una forte repressione politica. Nel 37 d.C. Tiberio lasciò Capri per tornare nuovamente a Roma, ma a 7 miglia dall’Urbe decise di tornare indietro temendo la reazione dei suoi concittadini. Durante il viaggio di ritorno fu colto da un malore e fu portato nella villa di Lucullo a Miseno. Il 16 marzo ebbe una forte crisi che lo portò al delirio e fu creduto morto. Mentre già in molti si apprestavano ad acclamare Caligola nuovo imperatore, Tiberio si riprese. Il prefetto Macrone, tra l’agitazione e lo scompiglio degli altri, ordinò che l’imperatore fosse soffocato. Così morì a settantasette anni, soffocato dai cuscini, Tiberio Augusto. Il 29 marzo, portati a Roma, fu cremato e posto nel mausoleo di Augusto con una modesta cerimonia. Intanto i romani festeggiavano l’incoronazione di Caligola. Nonostante i suoi contemporanei ne danno un giudizio assai critico, Tiberio lasciò uno Stato in una situazione di pace ed economicamente stabile, nonché con un forte potere centrale. Caligola (37-41 d.C.) Il testamento di Tiberio sanciva che Gaio e Tiberio, suoi nipoti, avrebbero dovuto regnare assieme. Ma il Senato, a furor di popolo, nominò imperatore il solo Gaio, figlio di Germanico, che fu soprannominato Caligola per la calzatura militare, la caliga, che portava da bambino negli accampamenti del padre. I primi 7 mesi del suo regno sono ricordati felicemente, tuttavia l’imperatore si ammalò improvvisamente di una malattia sconosciuta – oggi si crede il saturnismo – che lo fece diventare cagionevole di salute e mentalmente instabile. Da quel momento eliminò gli oppositori politici, umiliò la classe senatoria (si dice sino a nominare senatore il proprio cavallo) e pretese la venerazione e gli onori spettanti ad un monarca assoluto sul modello orientale. Popolare tra la plebe con elargizioni e giochi circensi, prosciugò le finanze statali e fu vittima di un colpo di stato dei pretoriani nel 41 d.C. Claudio (41-54 d.C.) Mentre il Senato pensava ad una restaurazione della Repubblica, i pretoriani acclamarono loro stessi il nuovo imperatore, nominando come successore di Caligola suo zio, fratello di Germanico, Claudio. Questo, comprata l’approvazione senatoria, fino ad allora pressoché estraneo alla vita politica, rese efficiente la burocrazia statale e stabilizzò la situazione internazionale, nonché le finanze dello stato. Ammise in Senato alcuni provinciali della Gallia Narbonense ed avviò una campagna di conquista in Britannia che si concluse con la conquista dell’intera isola, nel 44 d.C. e la sua trasformazione in provincia. Reduce da due matrimoni, sposò anziano Messalina da cui ebbe un figlio, Britannico. Tuttavia la condotta morale della moglie ed il suo coinvolgimento in un complotto ordito contro di lui, lo costrinsero a condannarla a morte. Si risposò con sua nipote Agrippina, figlia di Germanico, già vedova di un nobile romano e con un figlio, nato nel 37 d.C. di nome Nerone. Agrippina – pare – fece avvelenare il marito nel 54 d.C. e spinse il Senato ad esautorare il legittimo erede Britannico, facendo così salire sul trono il figlio Nerone. Nerone (54-68 d.C.) Salito al trono diciassettenne, subì agli inizi le influenze della madre, del prefetto del pretorio Afranio Burro e del filosofo Seneca. Il Senato vedeva in quest’ultimi due la garanzia di un governo pacifico e non dispotico. Ben presto però il giovane imperatore si ‘emancipò’: ucciso il fratellastro Britannico, congedato Seneca, uccisa la Madre e morto Afranio, egli si circondò da cortigiani fidati ed assunse caratteristiche assolutistiche. In Oriente, grazie al suo generale Corbulone, impose il protettorato di Roma in Armenia e sconfisse i Parti. Sotto il suo regno nel 64 d.C. avvenne un devastante incendio per la capitale. Nerone fece ricadere la colpa dell’incendio sui cristiani, dando il via alla persecuzione che ucciderà gli apostoli Pietro e Paolo. Tuttavia è ormai tesi consolidata che fu lo stesso Nerone ad ordinare che fosse appiccato il fuoco: infatti sulle rovine dell’incendio ordinò la costruzione di una reggia immensa, la Domus Area. Interessato alla cultura greca, fece un viaggio nell’Ellade ed elargì benefici fiscali, usava inoltre esibirsi durante i giochi come auriga, e come attore e cantante. La classe aristocratica, ripudiando gli atti di Nerone, ordì contro di lui una congiura che faceva capo alla famiglia dei Pisoni. Quando l’imperatore scoprì il complotto avviò uno sterminio dei responsabili, che videro il suicidio di grandi personalità dell’epoca, tra cui lo stesso Seneca. Sospettando anche del suo generale Corbulone fece uccidere anche lui, attirandosi l’astio dei militari. Nel 68 d.C. il malcontento raggiunse livelli altissimi, e le legioni spagnole si ammutinarono e proclamarono imperatore il loro comandante, il senatore Galba. Il malcontento si estese ben presto a Roma e Nerone, oramai rimasto solo, si suicidò. La dinastia Flavia L’anno dei quattro imperatori Nel 69 d.C. si susseguirono al potere quattro differenti imperatori, rovesciati da colpi di stato militari – essendo stato esautorato completamente il senato da qualsiasi decisione in merito. Il primo fu Galba, rovesciato dai pretoriani che imposero al trono Otone; a sua volta ucciso dalla ribellione delle truppe di Vitellio. L’esercito d’Oriente che sedava la rivolta ebraica, riuscì ad avere la meglio insediando a Roma il suo comandante Flavio Vespasiano e detronizzando Vitellio. Il colpo di stato militare segnò l’inizio della dinastia Flavia. Vespasiano (69-79 d.C.) Proveniente dalla classe dei cavalieri, Vespasiano legittimò il suo potere spingendo il senato ad emanare la lex de imperio Vespasiani. Essa gli forniva, nell’interesse dello Stato, pieni poteri. Denominato “avaro” dai suoi contemporanei per la sua politica di austerità economica, egli risanò in realtà le finanze dello Stato, esaurite da Nerone, per il sostentamento delle campagne militari internazionali. Proprio durante il suo impero, suo figlio Tito conquistò Gerusalemme nel 70 d.C. Sempre durante il suo regno diede inizio ad una grande campagna di lavori pubblici e alla costruzione del più grande anfiteatro al mondo: il Colosseo. Nominò infine come suoi successori i figli Tito e Domiziano affermando il principio di trasmissione ereditaria del potere. Tito (79-81 d.C.) «Amor ac deliciae generis humani.» (Svetonio) Già celebre per la vittoria nella guerra giudaica salì al trono nel 79 a.C., in quello stesso anno l’eruzione del Vesuvio distrusse Pompei e l’anno successivo un incendio devastò Roma. Lui stesso aiutò con le sue finanze la ricostruzione. Durante il suo principato terminò la costruzione del Colosseo. Si spense nell’81 a.C. dopo una forte febbre contratta nell’assistenza dei malati o a seguito di un avvelenamento del fratello. A lui fu dedicato un arco di trionfo accanto l’Anfiteatro Flavio. È ricordato tra i più buoni imperatori della storia romana. Domiziano (81-96 d.C.) A Tito successe il fratello Domiziano che riprese i conflitti con la classe senatoria e rinnovò la tendenza autoritaria del principato. Intraprese una forte repressione contro gli oppositori politici e gli intellettuali contro il regime. Soldato, si preoccupò in particolar modo dell’esercito e condusse personalmente alcune spedizioni militari contro i Catti, che lo portarono alla conquista delle regioni oltre il Reno. Intraprese poi una campagna in Dacia che terminò con una pace di compromesso firmata dal re dei Daci Decebalo nell’89 d.C. Soffocò nel sangue molte congiure e intraprese persecuzioni contro l’aristocrazia, gli ebrei, e i cristiani. Nel 96 d.C. rimase vittima di una congiura ordita dai pretoriani e dai Senatori. Finì così la dinastia Flavia. Il II secolo d.C. L’età dell’oro: il beatissimum saeculum. Gli storici, antichi e moderni, parlano del II secolo d.C. come un periodo di splendore per l’Impero: erano notevolmente migliorati il rapporto tra Imperatore e Senato, entrambi provenienti dalla nobiltà provinciale con comuni origini, mentalità ed interessi. Per una serie di circostanze nessuno degli imperatori di questo secolo ebbe discendenti diretti, per evitare guerre di successione designarono, adottandoli, sempre persone esterne alla famiglia. Si parla dunque di principato per adozione. Questo sistema garantiva l’accesso al potere a persone degne e allo stesso modo lo legittimava, giacché nel diritto romano l’ereditarietà non era contemplata. I confini dell’Impero in questo secolo raggiunsero la massima estensione, il governo provinciale era ormai parte integrante dell’ordinamento romano e ogni città era amministrata da un autonomo consiglio di decurioni, i cittadini più eminenti. Tutte le città disponevano di opere pubbliche che elevavano notevolmente la qualità della vita: un simile tenore di vita si è raggiunto nuovamente in tempi estremamente recenti. Le regioni dell’Impero erano collegate da un’efficiente rete stradale, sicuro per i viaggiatori e soprattutto per i mercanti. La crisi imminente Nonostante lo splendore dell’impero si iniziavano ad avvertire i segni del declino: l’Italia perse sempre più il ruolo di nazione guida, l’agricoltura decadde assieme alla popolazione a causa della leva militare che gravava particolarmente sulla popolazione italica – in maggioranza nell’esercito. Le reclute inviate sul confine dopo il servizio si stabilivano in quei pressi aumentando la popolazione provinciale e diminuendo quella italica. Gli imperatori cercarono di ostacolare il fenomeno impedendo l’emigrazione e limitando l’agricoltura pregiata, del vino, al territorio italico. Tuttavia i cittadini romani erano presenti in maggior numero nelle provincie che a Roma e non era possibile privarli dei diritti acquisiti. Inoltre l’agricoltura, su cui si basava l’economia dell’Impero, era ancora poco voluta e non riusciva a sostenere le spese crescenti dell’economia. Inoltre l’inesorabile avanzata del latifondo frenava le aziende agricole e diminuiva la produzione totale: mentre queste erano gestite da famiglie e producevano, i primi erano affidati al lavoro più grezzo degli schiavi. Inoltre la situazione di pace presentò tra le altre conseguenze la mancanza degli schiavi che vennero ben presto sostituiti dai coloni. Il colonato era uno status giuridico che prevedeva che un uomo libero, contadino, si mettesse al servizio di un padrone e ne lavorasse la terra trattenendo per se una parte per sfamare la propria famiglia. Se questo sistema inizialmente funzionava, le tasse ed il brigantaggio rovinarono la condizione dei lavoratori aprendo la strada alla condizione medievale dei servi della gleba e riducendoli de facto in schiavitù. La cultura classica Nel II secolo d.C. la classe colta greca e romana si fusero negli stessi ideali e produssero opere letterariofilosofiche in un unicum culturale greco-latino chiamato ancora oggi cultura classica. Gli imperatori romani erano affascinati dalla cultura greca e ne parlavano la lingua, si ritrovavano tanto in Virgilio quanto in Omero. Ciò portò però la cultura ad essere una sterile rivisitazione del passato senza più occuparsi dell’attualità. La scuola elaborò la retorica e riscoprì l’antico con l’arcaismo, la filosofia rielaborò le dottrine ellenistiche e lo stoicismo. In ambito scientifico l’astronomo Claudio Tolomeo elaborò la teoria geocentrica e Galeno di Pergamo stese diversi trattati sulla medicina alcuni dei quali ancora oggi ritenuti validi. Nerva (96-98 d.C.) Nel 96 d.C. dopo la congiura di Domiziano i congiuranti concordarono con il Senato per far salire al trono un suo membro, Marco Cocceio Nerva. Questi ottenne l’appoggio dell’esercito grazie al più prestigioso generale dell’epoca Ulpio Traiano, che adottò come figlio e suo successore. Fece cessare le persecuzioni contro i Cristiani, reintegrò il Senato nelle sue prerogative ed abolì i processi per lesa maestà. Con le sue finanze cercò di soccorrere i poveri. Alla quarta nomina come console nel 98 d.C. assieme a Traiano, morì tre mesi dopo l’inizio del mandato. Le sue ceneri con solenne funerale furono poste nel mausoleo d’Augusto. Traiano (98-117 d.C.) Ulpio Traiano nacque in Spagna, figlio di un generale, sotto la sua guida l’Impero riprese la guerra contro i Daci del re Decebalo nel 101 d.C. e sottomise in breve tempo tutta la regione oltre il Danubio nella provincia della Dacia. Essendo questa ricca di miniere d’oro fu possibile finanziare diverse spedizioni militari e grandi lavori pubblici: fu costruito un grande foro e gli immensi mercati traianei. Fece inoltre innalzare una colonna – “Colonna Traiana” - che raffigurasse le sue imprese di guerra. Spostò dunque le campagne militari in Oriente contro i Parti (114 d.C.), ne conquistò la capitale, Ctesifonte, e annesse tutta la Mesopotamia all’Impero. Il nuovo regno dei Parti, oltre l’Oceano Indiano, risultava molto più ristretto, ridotto a stato vassallo di Roma. Dalla Mesopotamia l’Imperatore fu costretto però a rientrare a causa di una rivolta ebraica. Durante il suo regno riorganizzò la burocrazia ed emanò leggi in favore dei piccoli proprietari terrieri, abolì i debiti per le tasse arretrate, creò un fondo popolare per concedere prestiti ai contadini indebitati ed emanò una legge che costringeva i senatori ad un investimento di un terzo dei loro capitali nella penisola italica. Tuttavia non è noto quanto questa legge abbia trovato applicazione. Ammalatosi nel 116 d.C., morì a Selinunte in Cilicia (Turchia) l’8 agosto 117 d.C. Le sue ceneri furono poste, a discapito del divieto di sepoltura nel territorio cittadino, nella Colonna Traiana ma furono successivamente saccheggiate per fondere l’urna che le conteneva. Molti aneddoti circondano quello che dopo quasi duemila anni è considerato tra i più grandi statisti della storia. Adriano (117-138 d.C.) Prima di morire Traiano adottò come erede suo nipote, anch’esso di origine spagnola, Elio Adriano. Uomo di cultura invertì totalmente la tendenza intrapresa dagli imperatori sino ad allora: rinunciò al dominio sui Parti in Mesopotamia e smise di espandere i confini dell’Impero preferendo il consolidamento di quelli già esistenti. Fece costruire una linea fortificata in Britannia lunga 120 Km, il Vallo di Adriano, a difesa dei confini. Questa scelta fu probabilmente dettata da ragioni economiche: lo Stato non sarebbe stato in grado di sostenere gli oneri della guerra e della difesa tanto a lungo. Si dedicò quindi alla riorganizzazione dello stato e dell’economia. Favorì la rinascita della cultura greca, con a capo Atene che subì una rifioritura urbanistica grazie all’architetto Erode Attico, fidato dell’Imperatore. Fece costruire vicino la Capitale un’immensa villa, Villa Adriana, ed un grande mausoleo che oggi è Castel Sant’Angelo. Fondò poi molte città, specialmente in zone allora tribali. Durante il suo regno gli ebrei si ribellarono nuovamente e la rivolta fu soffocata nel sangue, e su Gerusalemme fu fondata la colonia di Elia Capitolina. Migliorò la diffusione dell’istruzione e la scelta dei funzionari era su base dei meriti, così come anche la sua corte. Morì a 62 anni di edema polmonare. Fu sepolto nel suo mausoleo. Antonino Pio (138-161 d.C.) Ad Adriano successe nel 138 d.C. un nobile della Gallia, Antonino Pio, che l’imperatore aveva adottato. Iniziò con lui la dinastia degli Antonini. Durante il suo regno si occupò marginalmente della politica estera poiché il suo predecessore aveva stabilito una salda pax. Proseguì quindi nello sviluppo della politica interna sulle linee del suo predecessore. Quando lo adottò Adriano aveva imposto ad Antonino di adottare a sua volta due fratelli: Marco Aurelio e Lucio Vero. Morì serenamente il 7 marzo 161 d.C. dopo tre giorni di malattia. Marco Aurelio (161-180 d.C.) Alla morte di Antonino salirono assieme al potere Marco Aurelio e Lucio Vero, tuttavia a governare fu soltanto il primo. Egli fu seguace della filosofia stoica, e scrisse una raccolta di pensieri e meditazioni. Nei suoi testi si evince un profondo pessimismo. In questo periodo iniziò la crisi dello Stato: i Germani ed i Parti assaltarono contemporaneamente le frontiere. Quest’ultimi invasero la Siria e furono respinti con fatica dal generale Avidio Crasso e Lucio Vero nel 165 d.C. Tuttavia la guerra ebbe molte conseguenze negative: un’epidemia di peste si diffuse tra l’esercito e poi tra la popolazione, i milioni di morti causarono grandi problemi all’economia, molte campagne rimasero incolte e la vita cittadina decadde, e molti furono arruolati con la forza. Nel 166 d.C. intanto i Quadi ed i Marcomanni, tribù germaniche, forzarono il confine del Reno e furono fermati solo nel 175 d.C. ad Aquileia dallo stesso imperatore. Dopo un trattato di pace dalla durata effimera si ribellarono nuovamente nel 180 d.C., l’imperatore si mosse per affrontarli ma morì di peste a Vienna. Commodo (180-192 d.C.) A Marco Aurelio, interrompendo il periodo del principato adottivo, succedette il figlio diciannovenne Commodo. Assai diverso dal padre, aveva tratti popolareschi e autocratici, attirando la delusione del Senato, da lui per altro esautorato e dei militari alla decisione di porre fine alla guerra, ma fu invece assai apprezzato dal popolo. L’imperatore infatti sperperò le finanze dello Stato in feste e giochi pubblici, e fece vita da personaggio pubblico. Dopo un periodo di repressione dell’aristocrazia, fu ucciso nel 192 d.C. in un complotto di palazzo. Eventi Storici Contemporanei Roma Civiltà dell’Oriente La Civiltà Indiana Tra il 2500 ed il 1500 a.C. si sviluppa intorno all’Indo una civiltà caratterizzata da grandi centri urbani i cui abitanti conoscevano la scrittura e vivevano d’agricoltura. Attorno al 1500 a.C. una civiltà indoeuropea si impadronì del nord dell’India e vi stabilirono una società separata in caste rigidamente divise così che le popolazioni più importanti non si contaminassero. Dal V secolo a.C. la civiltà indiana rifiorisce come una civiltà urbana lungo il fiume Gange. L’economia si caratterizzò da un rapido sviluppo dei commerci e l’introduzione di una moneta. In quest’epoca si costituì un grande regno che conobbe il massimo splendore con la dinastia Maurya, ed in particolare sotto il re Ashoka (268-231 a.C.). La religione indiana è una forma di politeismo che include anche la dottrina della metempsicosi: due sono i libri sacri, i Veda e le Upanishad. Nel VI secolo a.C. il jainismo ed il buddhismo si impongono come filosofie per superare la divisione in caste imposta dalla religione vedica. La Civiltà Cinese Nel 1500 a.C. si afferma attorno al fiume Giallo un potente Stato centralizzato dominato dalla dinastia Shang. A questo periodo risalgono le prime testimonianze di scrittura cinese. Alla dinastia Shang, dopo quattro secoli, subentrano le tribù dei Chou che non modificano l’assetto politico precedente. In Cina si affermarono due dottrine religiose: il confucianesimo, che si basa sugli insegnamenti di Confucio, e che impone il rispetto dell’ordine costituito e delle gerarchie sociali; ed il taoismo che propone invece la via (“Tao”) dell’armonia con l’Universo. Nel 221 a.C. sotto la dinastia Chin viene unificata la Cina sotto un unico impero, nel 206 a.C. con la dinastia Han viene completata la costruzione della Grande Muraglia e viene sviluppata la via della seta. Il Cristianesimo Il Gesù Storico e la Chiesa primitiva Nato a Betlemme di Giudea e cresciuto a Nazareth, Gesù fondò una nuova religione storicamente nata come ramo dell’ebraismo, affermava di essere figlio di Dio e Messia del popolo israelita. Il suo messaggio vicino ai poveri, gli afflitti e gli schiavi ebbe larga diffusione tra i suoi discepoli. A trentatré anni di età, accusato di corruzione della religione fu processato dinnanzi al procuratore Ponzio Pilato fu condannato alla crocifissione. I suoi discepoli credettero alla sua resurrezione e predicarono il suo messaggio nell’Impero. Il maggior contributore di ciò fu S. Paolo di Tarso. La Chiesa primitiva era ben organizzata e grazie alle elemosine raggiunse una buona stabilità economica. Le riunioni del culto erano presiedute da anziani con a capo un vescovo. Era valore fondamentale l’obbedienza. Successivi sviluppi Sino al III secolo d.C. lo Stato tollerò la comunità cristiana, tuttavia con gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano iniziarono grandi e sistematiche persecuzioni contro i cristiani che rifiutarono il servizio militare, la carriera politica ed i sacrifici agli idoli e all’imperatore. Nacquero in tutto l’impero correnti mistiche che tentarono di approfondire il rapporto tra l’uomo e la divinità, il neoplatonismo in particolare si affermò durante il III secolo d.C. che proponeva un ideale di vita ascetico tramite un percorso spirituale di purificazione. Il cristianesimo si confrontò con l’allora presente cultura classica ed i Padri della Chiesa lavorarono per integrare le due tradizioni. Il III secolo d.C.: origini della crisi Rapporto tra campagna e città Durante il III secolo d.C. l’impero cambiò profondamente il suo assetto politico ed attraversò un periodo di forte instabilità. Le cause di tutto questo sono da ricercare in una divisione sociale sempre più netta: quella fra la città, interessata all’urbanizzazione, alla politica e con un tenore di vita assai alto; e la campagna, che invece era rimasta arretrata. La popolazione viveva sempre più nelle campagne che tuttavia furono sempre meno integrate con le città, che invece le opprimeva con pesanti tassazioni ed il consumo di gran parte del raccolto. È da considerare anche il fatto che la maggior parte delle terre erano di proprietà dell’aristocrazia cittadina che tuttavia ne delegava il lavoro. La popolazione preferì alla carriera militare volontaria la vita nei campi al servizio dei patrizi così che l’esercito fu costretto ad imporre la leva obbligatoria per reclutare i propri soldati: l’esercito di Roma era formato per lo più da poveri contadini. Ciò voleva dire che i cittadini per il quale i contadini provavano rancore e risentimento sarebbero stati difesi da loro stessi in servizio militare: ciò portò a ribellioni e razzie delle città stesse da parte dei soldati-contadini che le difendevano. È il caso di Besançon nel 269 d.C. L’arruolamento dei contadini, specialmente dei provinciali, per la difesa dei confini fece sì che l’esercito non fosse più composto da italoti ma bensì da semibarbari o popolazioni sottomesse. La crisi economica Le distruzioni causate da razzie e guerre civili portarono ad una minor produzione agricola. Inoltre ebbe corso in quel periodo una pesante svalutazione monetaria, lo stato coniava monete di minor valore, di rame, che spesso non erano accettate dai cambiavalute, e che aumentavano l’inflazione. Ciò portò ad un pesante regresso economico tanto che alcune parti dell’impero tornarono al baratto. A causa dell’insicurezza delle comunicazioni e della pirateria il commercio diminuì, così anche l’artigianato regredì, per far fronte alle necessità delle popolazioni rurali. Il tutto portò ad un aumento della disoccupazione nelle città, con la conseguenza di spese di sostentamento delle masse ridotte alla fame da parte dell’Impero. Nelle campagne intanto divenne la norma il colonato e la maggioranza della popolazione era ridotta ad essere servitù della gleba strettamente legata al suo campo. La degenerazione politica Nel 192 d.C. caduto Commodo, e con lui una stirpe di imperatori che portarono prosperità all’impero, fu proclamato imperatore Elvio Pertinace, prefetto di Roma e compagno d’armi di Marco Aurelio. Propose una politica di disciplina nell’esercito e contenimento della spesa pubblica, non gradita ai pretoriani che lo assassinarono. Gli stessi pretoriani misero all’asta il titolo di Imperatore, che venne comprato dall’anziano senatore Didio Giuliano, ricchissimo ma di dubbia reputazione. Questa situazione provocò l’ammutinamento dell’Esercito ed ogni legione acclamò imperatore il suo generale. Alla fine prevalse il comandante dell’esercito stanziato sul Danubio, Settimio Severo che, eliminati i rivali, occupò Roma nel 193 d.C. fondando la dinastia dei Severi. Settimio Severo (193 – 211 d.C.) La politica di Severo fu improntata su quella che era precedentemente la sua carriera: l’esercito. Rafforzò l’apparato bellico e autorizzò molti privilegi ai militari a discapito dell’aristocrazia senatoria. Per far fronte alla maggior richiesta di denaro dimezzò la quantità d’argento nelle monete ed in questo modo ne coniò in maggior numero scatenando l’inflazione. Iniziò tra l’altro la tendenza di dare potere all’ambiente provinciale e generalmente meno acculturato. Il Senato perse durante la dinastia dei Severi sempre più potere e le provincie aumentarono la loro rilevanza. Durante il regno di Settimio furono sconfitti i Parti e fu ripristinata la supremazia romana in Mesopotamia. Settimio Severo morì nel 211 d.C. durante una campagna militare in Britannia. Caracalla (211 – 217 d.C.) Alla morte di Severo furono proclamati coimperatori i figli Caracalla e Geta. La rivalità fra i due sfociò nell’assassinio di Geta e dei suoi seguaci, e Caracalla salì al trono. Distribuì ingenti somme di denaro ai soldati per guadagnarsene la fiducia e fu di conseguenza costretto ad aumentare le tasse a carico specialmente della classe senatoria, che gli divenne nemica. Durante il suo regno, nel 212 d.C., emanò l’importantissima Constitutio Antoniniana con la quale concesse il diritto di cittadinanza romana anche ai provinciali: non per generosità ma per aumentare le entrate nelle casse dello Stato, ponendo tutti in egual condizione ed onere dinnanzi al fisco. Caracalla fu assassinato durante una spedizione contro i Parti dal prefetto del pretorio Macrino, della Mauretania, che si fece proclamare imperatore. Eliogabalo (218-222 d.C.) Macrino fu ben presto deposto ed ucciso dai militari che elessero imperatore Marco Aurelio Antonino, detto Eliogabalo, nipote quattordicenne di Caracalla e rimisero il potere nelle mani dei Severi. Il giovane fu la marionetta nelle mani della nonna Giulia Mesa, la madre Giulia Soema e la zia Giulia Mamea, e difatti Roma era retta da un matriarcato. I suoi costumi orientali provocarono il malcontento del Senato e dei Pretoriani. La nonna Giulia Mesa vedendo l’impopolarità delle decisioni del sovrano gli fece adottare un altro suo nipote, Alessandro Severo e spinse i pretoriani ad assassinarlo. Nel 222 d.C. fu vittima di una congiura e cadde nella damnatio memoriae. Alessandro Severo (222-235 d.C.) Salito al trono il tredicenne Alessandro Severo fu anche lui manovrato dalla nonna e dalla madre, che cercarono di instaurare buoni rapporti con il Senato e diminuirono l’importanza dell’esercito. Mantennero, seppur più pacatamente, i costumi orientali. Alessandro Severo non godeva affatto ottima popolarità fra l’esercito, convinto pacifista, i provvedimenti militari aggravarono la sua posizione e provando a mettersi a capo di alcune spedizioni, fu ammutinato nel tentativo di fermare un’incursione germanica nel 235 d.C. e ucciso assieme alla madre. La nonna invece fu divinizzata. Massimino il Trace (235-238 d.C.) L’esercito ribelle proclamò imperatore il centurione Massimino detto “il Trace”, per via della regione di provenienza. Figlio di genitori barbari e con un passato da pastore, era analfabeta ma molto forte, guidò diverse campagne di consolidamento dei confini senza mai recarsi a Roma per essere incoronato. Ottenne l’ostilità del Senato, anche a causa della tassazione imposta per il mantenimento delle spese di guerra, e fu deposto e ucciso da una cospirazione. L’Anarchia Militare (238-284 d.C.) A causa dei conflitti fra i due poteri fondamentali, la politica senatoria ed i militari, dal 238 al 284 d.C. si creò un clima di forte instabilità per la quale il titolo imperiale passò in mano a ventuno persone differenti incapaci di formare una nuova dinastia e tutte vittime di ammutinamenti e ribellioni. Inoltre il clima gravò sulla politica internazionale del tempo ed i romani non riuscivano più a tener fuori dai confini i barbari. L’economia era al tracollò serviva infatti molto denaro per le spese militari ma non era possibile coniarne altro per la mancanza d’oro e d’argento, furono aumentate le tasse sulla popolazione e i metalli preziosi nelle monete ridotte al minimo con conseguente continua svalutazione e danni al commercio. La peste che durò l’intero secolo spopolò le città e le campagne e ne seguì una carestia, e la mancanza di soldati costrinse l’arruolamento di mercenari germanici che gravavano ancor di più sul bilancio. Il potente movimento migratorio dei Goti invase i confini e assieme alle pressioni dei Germani sulle frontiere del Reno e del Danubio costrinsero l’esercito ad un tamponamento ed ulteriore lavoro. Inoltre con la salita al potere dei Sasanidi nel 224 d.C. al regno dei Parti questi rinvigorirono e, affermando di essere i discendenti dei Persiani, rivendicarono parte dell’Impero. Sotto il loro re Shapur I (Sapore I per i Romani) riuscirono a sfondare le difese romane ed occupare Antiochia, per poi essere faticosamente respinti. Filippo l’Arabo (244-249 d.C.) Il generale che respinse i Parti, Filippo detto “l’Arabo”, arabo romanizzato, fu acclamato Imperatore nel 244 d.C. Sotto di lui si svolsero i festeggiamenti, nel 248 d.C., per i mille anni dalla fondazione di Roma, che furono grandiosi e contenevano giochi nel Colosseo per celebrare la gloria di Roma. Tuttavia, pochi mesi dopo, questo clima di festeggiamento fu interrotto dall’invasione dei Goti che oltrepassarono il Danubio e forzarono il limes. I Romani riuscirono a scacciare i Goti pagando una forte somma di denaro (una sorta di ‘Riscatto’). Filippo fu assassinato da una rivolta dell’esercito che proclamò imperatore Decio. Decio (249 – 251 d.C.) Salito al trono dopo Filippo l’Arabo, era tra i più abili generali del suo tempo. A lui si attribuisce l’inizio di una sistematica e spietata persecuzione contro i cristiani. Morì in battaglia contro i Goti. Seguì quindi un clima di instabilità a cui si susseguirono diversi generali-imperatori di regni brevi ed inconcludenti. Valeriano e Gallieno (253-268 d.C.) Nel 253 d.C. salì al trono un esponente del ceto senatorio, Valeriano, che instaurò per la prima volta una divisione dell’impero affidando il governo della parte occidentale al figlio Gallieno. Nel 260 d.C. durante una battaglia contro i Parti fu catturato e, ignorato dall’esercito, morì in prigionia. Rimase al potere solamente Gallieno che a stento riuscì a difendere l’Italia dai Germani: Sparta e Atene furono saccheggiate e la Grecia pressoché distrutta. Bande di Goti invasero l’Asia Minore e ne fecero razzie, fu bruciata anche una delle sette meraviglie del mondo: il tempio di Artemide ad Efeso. Gallieno escluse i senatori dal comando delle formazioni militari sancendo così la divisione tra la carriera civile e quella militare. La crisi dell’Unità Imperiale In questo periodo per fronteggiare le invasioni nemiche, molte provincie si resero autonome – a volte con il benestare del governo di Roma – celebre l’Impero delle Gallie, costituito da Spagna, Gallie e Britannia; che elesse un proprio imperatore, il generale Postumo (260-269 d.C.) che blocco nuove ondate di barbari sul Reno. In Oriente invece fu organizzata a Palmira, città della Siria, una grande resistenza contro i Persiani guidata dal principe siriaco Settimio Odenato che fu dichiarato da Roma, Re di Palmira e costituì un governo autonomo. Alla morte del principe gli successe la moglie Zenobia, come coreggente del figlio Vaballatto, che estese abilmente i confini del Regno di Palmira sino all’Egitto e all’Eufrate. Proclamatasi Augusta nel 271 d.C. ed andando apertamente contro Roma, fu sconfitta da Aureliano nel 273 d.C. che la costrinse a Roma con catene d’oro. Graziata gli fu permesso di sposarsi con un senatore romano e si ritirò a vivere a Tivoli partecipando alla vita mondana sino al 275 d.C., anno della sua morte. Aureliano (270 – 275 d.C.) I generali Claudio II (imperatore dal 268 al 270 d.C.), che sconfisse i Goti presso Naisso, ed Aureliano che riconquistò nel 273 d.C. i regni autonomi delle Gallie e di Palmira e ricostituì l’unità dell’Impero. Aureliano fu nominato imperatore dopo Claudio II, ed ordinò la costruzione delle mura aureliane che cingendo Roma meglio difendevano la Capitale, secondo l’imperatore ora a rischio di invasioni barbare. Pare che durante una sua spedizione in Egitto per reprimere dei disordini, andò a fuoco la Biblioteca d’Alessandria, crollando un altro pilastro della cultura antica. Fu ucciso in una congiura nel 275 d.C. Gli succedettero Tacito (275 – 276 d.C.) discendente del grande storico, e Probo (276-282 d.C.) che sconfisse ripetutamente i Vandali ed altre popolazioni germaniche. Infine salì al trono un generale proveniente dalla Dalmazia: Diocleziano. L’Epoca Tardoantica Gli storici indicano il periodo subito precedente la fine dell’impero romano d’occidente (476 d.C.), con il nome di “epoca tardoantica”. In questo periodo una serie di eventi di grande portata operarono una frattura insanabile con il periodo precedente: avvennero profondi mutamenti demografici, economici, religiosi, sociali e politici. Tuttavia gli antichi probabilmente la deposizione dell’ultimo imperatore di occidente passò inosservata, inombrata da altri avvenimenti ben più impressionanti come il saccheggio di Roma per causa dei Visigoti del 410 d.C.; e mentre molti aristocratici romani pensavano alla fine della civiltà con le invasioni barbariche, i cristiani ipotizzavano semplicemente la fine di un ciclo storico. Il cristianesimo intanto nel corso del IV secolo d.C. accettò di incorporare nella propria dottrina l’eredità classica. Durante il V secolo d.C. infine il Mediterraneo perse la propria centralità e si sgretolò la salda unità culturale delle civiltà che vi si affacciavano: l’Europa e l’Asia presero ognuna vie proprie e l’asse politico europeo si spostò verso il nord e l’Italia da centro divenne frontiera meridionale. Tuttavia la cultura latina restò predominante anche fra i barbari ed i vinti vinsero culturalmente i vincitori. Diocleziano (284-305 d.C.) Salito al potere nel 284 d.C., di umili origini, ripristinò l’ordine nell’impero modificandone la struttura, comprendendo che quella precedente non poteva durare a lungo. Modificò l’assetto imperiale in una monarchia assoluta, dando all’imperatore non il titolo di magistrato ma di dominus il quale non doveva render conto a nessuno delle proprie decisioni, ai cui comandi vi era un potente esercito ed uno stuolo di fidati funzionari alle sue dirette dipendenze. Per evitare le ribellioni militari che caratterizzarono il periodo precedente, riordinò l’esercito. Diminuì il numero di soldati per legione affinché i colpi di stato fossero più difficili, ma aumentò di conseguenza il numero delle legioni. Divise l’esercito in due parti: le truppe di frontiera sul limes, i limitanei e le truppe da combattimento, comitatus, all’interno e controllate dall’Imperatore. La spesa divenne però altissima dovendo mantenere 600 000 uomini non produttivi. Inoltre divise il territorio in 12 diocesi raggruppando le province, ed equiparando l’Italia al resto dell’Impero, e le diocesi le riunì in quattro grandi regioni controllate da altrettante capitali imperiali e alti funzionari, imperatori, con cui Diocleziano spartì il potere. Si venne perciò a creare una tetrarchia (ovvero “governo di quattro”). Assunse il titolo di augusto che condivise con Massimiano. I due nominarono a loro volta due cesari Galerio e Costanzo Cloro. Ognuno di essi governava su una delle quattro regioni anche se di fatto l’autorità suprema spettava a Diocleziano. Il sistema di successione fu regolato nel modo seguente: alla morte di un augusto il rispettivo cesare ne assumeva il grado e nomina un altro cesare. Ognuno inoltre controllava meglio l’esercito. Le quattro capitali divennero città al confine dell’Impero: Treviri, Milano, Sirmio e Nicomedia: Roma perse ogni valenza politica ed il Senato divenne difatti il consiglio comunale della città. Diocleziano riformò quindi l’apparato economico garantendo introiti fissi allo stato: ogni estensione di terra (iugum) aveva corrisposto un cittadino soggetto a tasse (caput). Ed ogni cittadino libero doveva contribuire al pagamento delle imposte. Tuttavia le misure prese per far funzionare il sistema portarono ben presto a reprimere la libertà dei cittadini e “congelare la società”: fu imposto il divieto di cambiare residenza e fu fatto in modo che ogni contribuente avesse un successore con medesimi doveri fiscali che gli sopperisse in caso di morte. Così che le professioni divenissero ereditarie. La situazione, troppo rigida, generò un forte mal contento. Inoltre, oltre i tributi, i sudditi dovevano fornire viveri ai soldati sul fronte (annona militaris). Per limitare l’inflazione, intanto vertiginosamente cresciuta, Diocleziano fissò con l’edictum de pretiis il prezzo massimo di circa mille prodotti: il risultato fu la loro scomparsa dal mercato ‘ufficiale’ e la nascita di un mercato nero. L’economia pianificata aveva fallito. Tra il 303-304 d.C. con lo scopo di controllare anche la vita religiosa Diocleziano emanò decreti anticristiani e ne avviò una persecuzione. Si ritirò dalla vita politica nel 305 d.C. e si spense nel suo palazzo a Spoleto il 3 dicembre 311 d.C. Costantino (306-337 d.C.) Dopo l’abdicazione degli augusti Diocleziano e Massimiano nel 305 a.C. molti pretendenti rivendicarono il potere, prevalsero su tutti Costantino – figlio per altro del cesare Costanzo Cloro – e Licinio. Costantino sconfisse nel 312 d.C. a Ponte Milvio il suo rivale Massenzio e si insediò a Roma come imperatore d’Occidente. Licinio della parte orientale. Tuttavia alla morte di questo nel 324 d.C. il potere tornò nelle mani di una sola persona: l’imperatore Costantino. Egli riformò profondamente il sistema romano convinto della necessità di uno stato forte, creò una nuova classe dirigente monarchica e pose fine ai conflitti religiosi. Promulgò per tale ragione l’editto di Milano nel 313 d.C. in cui sanciva libertà di culto, e quindi favorì la minoranza cristiana, consapevole della rilevanza politico-economica che occupava nell’impero. Infine si convertì egli stesso al cristianesimo e concesse progressivamente posti di rilevanza ai fedeli di tale religione. Si nominò egli stesso tutore del cristianesimo – similmente al titolo di pontifex maximus nella tradizione romana – e a volte si intromesse in questioni teologiche: nel 325 d.C. ad esempio, durante il Concilio di Nicea, espresse e fece pesare la propria opinione contraria all’arianesimo ottenendo infine che fosse etichettato come un’eresia. Tuttavia la Chiesa, oramai organizzata e riconosciuta, chiese man mano sempre più potere ed indipendenza facendo in tal modo nascere quello che è chiamato potere temporale. Un altro importante cambiamento operato da Costantino fu la fondazione di una nuova capitale, sul luogo dell’antica Bisanzio, chiamata originariamente Nuova Roma e oggi nota come Costantinopoli per allontanarsi dalla pagana e senatoria Roma e proiettarsi verso Oriente. La città fu patria di opere d’arte e abbellimenti artistici. Costantino riformò anche l’esercito migliorando il sistema di Diocleziano, dove il nucleo divenne la guardia del corpo imperiale (comitatus) notevolmente incrementata ma, data le difficoltà di reclutamento, formata prevalentemente da barbari. Portando ad estraniare al nucleo originario anche l’organismo principale dello stato. Questo imbarbarimento non sembrò provocare grandi problemi inizialmente, tuttavia nel secolo successivo si sarebbe rivelato in tutta la sua gravità. Costantino morì il 22 maggio 337 d.C. non molto lontano da Nicomedia. Gli succedettero i figli Costantino II, Costante e Costanzo. La capitale della parte orientale era oramai Costantinopoli, nella parte occidentale invece era Milano ad essere la città principale e Roma aveva definitivamente perso ogni potere. I diverbi tra i figli di Costantino portarono alla deposizione e all’assassinio di Costantino II, rimasto invece vittima di una ribellione anche Costante, Costanzo divenne imperatore. Scelse come coimperatore in vece del fratello suo cugino Giuliano. Questo fu abile generale in Gallia, dove sbaragliò gli Alamanni nel 357 d.C. e fu eletto dalle sue truppe imperatore. Nonostante si prospettasse una guerra civile la morte di Costanzo impedì i conflitti e nel 361 d.C. Giuliano fu unico imperatore. Giuliano (361-363 d.C.) Ultimo imperatore filosofo, sul modello di Marco Aurelio, tentò un ripristino del paganesimo allontanando dalle cariche importanti i cristiani e si circondò di filosofi di ispirazione pagana. Reclutato un esercito imponente, inoltre, decise di dare un colpo decisivo all’Impero sasanide e giunse sino a Ctesifonte, capitale persiana. Durante la guerra fu ucciso dal colpo di una lancia nemica. Teodosio (379-395 d.C.) Dopo la morte di Giuliano i Visigoti (Goti dell’Ovest) nel 375 d.C., per sfuggire alle pressioni degli Unni, una popolazione nomade che stava edificando un impero nelle steppe dell’Europa orientale, raggiunsero i confini romani del Danubio e chiesero di essere ammessi all’Impero. Quest’ultimo in quell’epoca era diviso tra due sovrani: Graziano, augusto d’occidente, e Valente, per l’oriente. Questo acconsentì al loro stanziamento con l’intenzione di utilizzarli come esercito in previsione dell’invasione degli Unni. I Visigoti tuttavia iniziarono a devastare la regione dove si erano stabiliti e Valente decise di affrontarli con le truppe riunite a Costantinopoli, pronte a partire in Persia. Nel 378 d.C. ad Adrianopoli i Visigoti, numericamente inferiori, riuscirono a sbaragliare l’esercito nemico e per la prima volta nella storia i barbari prevalsero sui Romani e marciavano contro Costantinopoli. Morto Valente, Graziano, nel 379 d.C. pose sul trono d’Oriente il generale spagnolo Teodosio. Questo però anziché mobilitare l’esercito – per scelta o perché l’unica possibilità - cercò un accordo con i Visigoti. Questi accettarono la pace e si stabilirono nelle province danubiane come alleati dell’Impero. In un primo momento la classe dirigente romana sembrò assimilarsi con i Goti e portare un periodo di tranquillità. Nel 380 d.C., con coimperatore Graziano, Teodosio promulgò congiuntamente a lui l’Editto di Tessalonica che sanciva il Cristianesimo come unica religione ammessa nell’impero, e di conseguenza vietava il paganesimo e tutte le sue manifestazioni: furono chiusi i templi, sospesi i giochi olimpici e vietati i sacrifici. I pagani si ribellarono ed elessero imperatore d’Occidente il senatore Eugenio. Alla morte di Graziano, nel 383 d.C., Teodosio dichiarò guerra ad Eugenio: era la prima ed unica guerra di religione dell’antichità. Eugenio fu sconfitto ed ucciso presso il fiume Frigido (oggi Vipacco), ad Aquileia nel 394 d.C. e Teodosio divenne l’unico imperatore. Morì nel 395 d.C. L’ultimo secolo dell’Impero Occidentale Il potere passò in mano a i suoi due figli: il maggiore, Arcadio, regnò in Oriente, il minore, Onorio, in Occidente. Questi però, ancora ragazzi, erano manovrati dai tutori di corte ed il potere imperiale si indebolì. I Goti intanto pressavano lo stato romano con richieste sempre maggiori ed esso non poteva sostenerle giacché le sue finanze si andavano svuotando sempre più. Il tutore di Onorio era il magister militum, comandante dell’esercito, Stilicone, condottiero vandalo fedele a Teodosio. Egli guidò la politica occidentale e respinse le invasioni dei Visigoti che, sotto la guida del re Alarico, erano riusciti a raggiungere l’Italia. Vennero sconfitti prima a Pollenzo, in Piemonte, nel 402 d.C., ove furono lasciati fuggire da Stilicone che invece voleva proseguire la politica di assimilazione pacifica dei Goti adottata da Teodosio; poi una seconda invasione, stavolta degli Ostrogoti, riuscì a scardinare il Reno ma furono sconfitti da Stilicone a Fiesole (in Toscana) nel 406 d.C. Altre ondate di barbari invasero la Gallia e la Spagna, indifese, e la Corte Imperiale (a Ravenna dal 404 d.C.) adottò una politica anti-barbarica: Silicone, accusato di accondiscendenza con i Goti e di aver causato le invasioni barbare, fu condannato a morte nel 408 d.C. I Goti dell’esercito disertarono dopo la condanna e senza un esercito a fermarlo, Alarico entrò a Roma il 24 agosto 410 d.C. e la saccheggiò, per tre interi giorni, dopo quasi nove secoli, Roma venne messa a ferro e fuoco. All’improvvisa morte di Alarico, prese il comando barbaro Ataulfo, che condusse i Visigoti nella Gallia sud-occidentale e fondò il primo regno barbarico con capitale Tolosa, sposata la sorella dell’Imperatore Onorio, Galla Placida, mantenne buoni rapporti con i romani. Nelle altre regioni occidentali dell’impero intanto si continuavano a stanziare tribù germaniche, non più con lo scopo predatorio ma con l’intenzione di creare uno stato. I Vandali sotto la guida del re Genserico riuscirono a penetrare in Africa e a conquistare Cartagine e l’intera provincia nel 429 d.C. Allestirono inoltre una flotta che li rese padroni del Mediterraneo occidentale. Dal 430 d.C. circa, l’Impero d’Occidente rimase costituito soltanto dall’Italia, da parti della Gallia e dai Balcani. Intanto dall’Asia si era mossa una popolazione nomade che agli inizi del V secolo d.C. riuscì a soggiogare molte tribù germaniche ottenendo un potente esercito: erano gli Unni. Essi, guidati da Attila, assalirono dapprima le regioni Orientali dell’Impero, concessa però una tregua si diresse ad occidente. L’Impero Occidentale aveva come comandante dell’esercito Ezio, nobile di origine gallica, riuscì ad ottenere un’alleanza con i Visigoti di Tolosa e raggiunse Attila che aveva già attraversato il Reno. Nella Gallia settentrionale nel 451 d.C. sconfisse Attila ai Campi Catalaunici (oggi Troyes). Attila fece innalzare una pira dove, se Ezio fosse riuscito a raggiungerlo, si sarebbe arso vivo. Tuttavia Ezio, per non lasciare che i Visgoti divenissero gli unici arbitri della situazione, lasciò fuggire Attila. Questo però invase nuovamente l’Italia l’anno successivo e devastò la regione Veneta, costringendo gli abitanti a rifugiarsi sulle isole nelle lagune, dando vita alla comunità che in seguito sarebbe stata Venezia. Incontro ad Attila intanto venne mandato papa Leone I a chiedere la pace, sulle rive del Mincio (presso Mantova). Attila accettò, cosciente che marciano, imperatore d’Oriente, lo stava accerchiando alle spalle e che una violenta pestilenza devastava le sue truppe. L’anno successivo morì: l’impero degli Unni terminò così la sua ascesa. Il Crollo dell’Impero d’Occidente Al trono dell’Impero salì il nipote di Onorio, figlio di Galla Placida, Valentiniano III. Il potere tuttavia era ancora detenuto da Ezio, comandante dell’esercito. Questo però fu ucciso durante un litigio dall’imperatore stesso. Nel 455 d.C. Valentiniano III fu assassinato, e come per il suo predecessore, lui e la sua classe dirigente avevano portato l’Impero al tracollo uccidendone le figure guida e sperperandone le risorse per mantenere i propri privilegi. Nello stesso anno dell’assassinio di Valentiniano i Vandali di Genserico assalirono Roma e la devastarono. Ancora una volta fu papa Leone I ad andare incontro ai barbari invasori, questa volta non poté opporsi al nemico ma vi patteggiò: non ci sarebbero stati spargimenti di sangue e Genserico avrebbe avuto quattordici giorni per raccogliere il bottino desiderato. Non distrusse i palazzi, ma portò via ogni genere di oggetti di valore, nonché opere d’arte per abbellire Cartagine, nuova capitale del suo regno. Proprio la nave con le opere d’arte, sovraccarica, naufragò in mare aperto senza giungere a destinazione. Negli anni successivi molti imperatori si passarono il potere, sotto l’egida del comandante barbaro dell’esercito Ricimero. Tuttavia nessuno di loro poté fare nulla per risollevare lo Stato collassante. L’impero d’Oriente tentò di scacciare i Vandali dall’Africa, ma fallì. Il potere passò poi ad un patrizio romano, Oreste, che fu segretario di Attila. Egli fece acclamare imperatore Romolo Augustolo. Pochi mesi dopo, nel 476 d.C., Odoacre, capo dell’esercito barbaro al servizio dell’Impero, lo depose e lo esiliò in Campania con un vitalizio. Inviò a Zenone, imperatore d’Oriente, le insegne imperiali e regnò a suo nome sull’Italia con il titolo di patrizio. Tramontava così il millenario Impero Romano che fu tra i più prosperi dell’umanità e con esso l’intera storia antica. Ma la gloria dell’Impero Romano si sarebbe ben presto estesa oltre i confini del tempo, e tutt’oggi ispira la società odierna, i suoi usi, i suoi costumi, la sua lingua ed il suo diritto. Prima della salita al potere di Oreste, regnò sull’Impero Giulio Nepote dal 474 al 475 d.C. Con la deposizione di Romolo Augustolo lui riprese de jure il titolo imperiale. Furono per alcuni anni stampate monete con la sua effige ed ebbe anche il riconoscimento di Odoacre. Dopo la sua morte, nel 480 d.C., il titolo imperiale non fu più portato da nessuno. L’ultima parte dell’Impero Romano a cadere, fu la Gallia Settentrionale, governata dal condottiero romano Siagrio, conosciuto con il titolo di Re dei Romani. Tuttavia egli dovette cedere il suo dominio di Soissons, nell’omonima battaglia del 486 d.C. combattuta contro Clodevo I e rifugiarsi da Alarico II a Tolosa, dove fu catturato e consegnato al suo nemico. Cadde così in mano ai Franchi l’ultimo territorio dell’Impero Romano d’Occidente. Atlante Storico Le Civiltà Preromane Gli Etruschi Rosso Territorio Etrusco Arancione Zone di Influenza Territorio Romano 260 – 22 a.C. Espansione Repubblica (129 a.C.) Espansione Repubblica (44 a.C.) Impero Romano sotto Augusto L’Impero Romano sotto Traiano (Massima Estensione) Impero Romano sotto Diocleziano Itinerari commerciali principali (II secolo d.C.) Prodotti nell’Impero Romano Sino all’anno mille I primi secoli del Medioevo A lungo considerato un periodo d’oblio dagli storici, il Medioevo, nome con il quale si indica la storia tra il 476 ed il 1492, viene oggi rivalutato come un’epoca fondamentale per le radici della società odierna. Il mondo del VI secolo affronta una grave crisi demografica causata dalle invasioni, e le campagne, abbandonate, divengono paludi. L’economia crolla. Sul finire del V secolo intanto nascono i regni romano-barbarici, con sovrani germanici e funzionari romani. Le Gallie vengono unificate da Clodoevo che, convertitosi al cristianesimo, attua una politica di integrazione con i barbari. Continua invece ad essere florido l’Impero Romano d’Oriente, che manteneva l’organizzazione romana, la cultura greca e la religione cristiana. In Italia invece il re ostrogoto Teodorico, assunse il potere nel 494 e con lui inizia un periodo di pace e ripresa economica. Nel 527 in Oriente sale al trono imperiale Giustiniano, che scrive l’opera il Corpo del diritto civile fondamentale per il diritto Europeo, l’imperatore scaccia i Vandali dall’Africa e riconquista dai Goti l’Italia – che in questo periodo subisce un grave danno alla civiltà a causa delle continue battaglie, distruzioni e razzie da entrambi le parti - la quale diviene nel 554 con la Prammatica Sanzione una provincia dell’Impero d’Oriente. Nel 543 intanto un’epidemia di peste sconvolse l’impero bizantino provocando ingenti perdite ed un aggravamento ulteriore alle condizioni di vita. Alla morte di Giustiniano l’Impero venne attaccato dai persiani di Cosroe, sconfitti a Ninive nel 628 dal generale-imperatore Eraclio. Grandi movimenti migratori modificano l’etnia balcanica. I Longobardi Guidati da re Alboino, nel 568 i Longobardi giungono ai confini dell’Italia e ne conquistano ampi territori. I Bizantini riescono a difendere la Pentapoli (Ravenna, Roma, Napoli, la Calabria e la Costa Veneta), tuttavia l’integrità territoriale della penisola è perduta ed i Longobardi non accettano di fondersi con le popolazioni sconfitte ma le sottomettono. Alla morte di Alboino, si susseguono Autari, Agilulfo e Liutprando nell’ampiamento delle conquiste sino a giungere a Roma. Convertitisi al cristianesimo giungono ad un accordo con il Papa e cercano l’integrazione con gli italici. Nel 751 il re Astolfo conquista Ravenna, eliminando ogni traccia dell’Impero d’Oriente, tuttavia viene sconfitto dai Franchi, alleati del papato, ed è costretto a cedere alla Chiesa gran parte delle sue conquiste. Con l’editto di Rotari, nel 643, viene rafforzata la monarchia longobarda e le caratteristiche barbare limitate. Il Papato Con la donazione di Sutri del 728, ad opera del re Liutprando che conquistata la roccaforte di Sutri decide di non restituirla ai Bizantini ma donarla al Papa, si va a costituire un primo nucleo dello Stato della Chiesa. Sarà soltanto con Gregorio I, detto magno, papa dal 590 al 604, che si imporrà un vero e proprio potere temporale nella Chiesa. Egli infatti come capo politico aveva organizzato la difesa di Roma contro i Longobardi, si deve inoltre a lui la loro cristianizzazione e quella degli anglosassoni, nonché un’intensa politica estera volta ad aumentare il prestigio della chiesa. In opposizione al crescente stato temporale della Chiesa, abbiamo la nascita del monachesimo: fondato dall’egiziano Antonio che decide di ritirarsi a vita solitaria e meditare nel deserto, alla ricerca della verità e della saggezza rifiutando la mondanità ed abbracciando la contemplazione. In Occidente ciò si concretizza nella fondazione di monasteri isolati a Montecassino e a Bobbio, che propongono una vita comunitaria nella preghiera. L’Islam Prima dell’avvento dell’Islam, gli arabi erano politeisti organizzati in tribù nomadi di pastori comandate da uno sceicco. Nel 610 Maometto fonda la religione islamica che venera Allah di cui egli si dichiara primo profeta. Scontratosi con i suoi sostenitori nel 622 fugge da La Mecca per Medina (i mussulmani chiamano questo evento ègira ovvero “migrazione”), è il primo anno del calendario islamico. Vi torna nel 630 quando fu convertita definitivamente all’Islam e ne divenne città santa. Negli anni successivi vennero convertiti l’Arabia centrale e lo Yemen. Nel 632, alla morte di Maometto, si decise che gli avrebbe succeduto alla guida dell’Islam un Califfo (“vicario del Profeta”) ovvero eletto tra i suoi più stretti collaboratori. I primi quattro califfi espansero enormemente l’Islam, distrussero l’Impero Persino e insidiarono quello bizantino. Gli Arabi conquistarono ben presto gran parte del territorio dell’Impero d’Oriente e avanzarono in Europa. Furono tuttavia fermati a Poitiers da Carlo Martello, re dei Franchi, nel 732. Nel frattempo ad est l’Impero Bizantino si opponeva all’espansione araba. Le conquiste islamiche spezzano l’unità culturale mediterraneo creando una nuova civiltà con la conseguente nascita di un nuovo pensiero filosofico, religioso, artistico e scientifico. Tra l’VIII ed il IX secolo l’Impero d’Oriente è attraversato da una grave crisi religiosa: l’imperatore Leone III aveva proibito il culto delle icone e ne aveva ordinato le distruzione, scatenando la cosiddetta lotta iconoclastica. Nell’867 l’imperatore Basilio I inaugura una politica di stabilità e prosperità. Niceforo Foca scacciò gli Arabi da Creta e riconquistò la Mesopotamia. Basilio II abbatte il Regno bulgaro e riconquista il confine danubiano. Nel mondo islamico una guerra civile, causata dalla rivalità tra gli Omayyadi e Alì (genero di Maometto) durante i primi quattro califfati, divide i sostenitori del califfato elettivi, sunniti, ed il partito di Alì, gli Sciiti. Conquistato il potere dagli Abbasidi nel 750 l’Islam perde la sua stabilità politica. L’Impero Carolingio Nell’VIII secolo il Regno dei Franchi è diviso in regni autonomi sino a quando ai Merovingi subentrarono ufficialmente – infatti essi erano già provvisti di pieni poteri in quanto Maggiordomi di Palazzo, una sorta di primo ministro che svolgeva le veci del re, questo puramente rappresentativo - i Pipinidi (o Carolingi): nel 687 infatti, Pipino di Heristal riunifica i due principali regni e suo figlio Carlo Martello ne consolida il dominio. A lui succedettero, dopo il breve regno di Childerico III “l’idiota” ultimo re merovingio, Pipino il Breve e quindi i figli Carlomanno e Carlo Magno, quindi solo del secondo alla morte del fratelo nel 771. Carlo Magno conduce una serie di vittoriose campagne militari contro i Longobardi in Italia, i Sassoni nella Germania settentrionale, gli Avari in Ungheria e gli Arabi in Catalogna. Il 25 dicembre dell’800 papa Leone III incorona Carlo Magno imperatore dei Romani sancendo la nascita dell’Impero Carolingio, continentale e cristiano. L’Impero è amministrato nel Palazzo, sede dell’Imperatore, suddiviso in centinaia di province, contee governate da Conti, e zone di confine, marche governate da Marchesi. Nasce in questo periodo la struttura politica fondamentale dell’età medievale: il rapporto vassallatico, ovvero il rapporto clientelare che lega un signore offrente un appezzamento di terra ad un vassallo che gli offre aiuto militare e fedeltà. Quando dal XI secolo le terre sono passate di padre in figlio tra i vassalli si parla di feudi. Nell’Impero Carolingio l’istruzione è monopolio della Chiesa, si accentua la differenza fra colti e non, ed il latino diviene appannaggio dei soli primi. La popolazione fa invece sempre più uso di lingue volgari. Con Carlo Magno si ha una riorganizzazione e conseguente rinascita della cultura e dell’istruzione. Il figlio Ludovico il Pio divide in tre parti l’impero, la sua autorità subisce un indebolimento in favore del vassallaggio che determina la formazione di poteri (e stati) autonomi. Conseguenza di tutto ciò è la deposizione di Carlo il Grosso nell’887 ad opera dei suoi feudatari: finiva così l’Impero Carolingio, dalle sue ceneri nacquero quelli che poi saranno la monarchia francese, il regno d’Italia ed il Sacro Romano Impero. Cronologia degli Eventi di Roma Ottaviano Augusto (27 a.C. – 14 d.C.) 27-19 a.C. Pacificazione della penisola iberica. 25 a.C. – 9 d.C. Campagne in Gallia e Germania. 23 a.C. Augusto acquisisce il tribunato della plebe ed il proconsolato. 18-9 a.C. Leges Iuliae. Vengono ripristinati i Mores Maiorum. 16 a.C. Il Norico diviene provincia romana. 12 a.C. Augusto è pontifex maximus. 9 d.C. I Romani sconfitti dai Germani a Teutoburgo. 14 d.C. Ottaviano Augusto muore. Tiberio gli succede. Dinastia Giulio-Claudia (14 – 68 d.C.) 14-37 d.C. Tiberio, politica austera ed espansionista. 37-41 d.C. Caligola, importazione dei costumi orientali a corte. 41-54 d.C. Claudio, 54-68 d.C. Nerone Dinastia Flavia (69 – 96 d.C.) 67-79 d.C. Vespasiano 79-81 d.C. Tito 81-96 d.C. Domiziano Principato per Adozione (96-138 d.C.) 96-98 d.C. Nerva 98-117 d.C. Traiano 117-138 d.C. Adriano Dinastia degli Antonini (138-192 d.C.) 138-161 d.C. Antonino Pio 161-180 d.C. Marco Aurelio 180-192 d.C. Commodo La Crisi del III secolo d.C. Dinastia dei Severi (193-235 d.C.) 193-211 d.C. Settimio Severo 211-217 d.C. Caracalla 212 d.C. Constitutio Antoniniana: concessione della cittadinanza per tutti gli abitanti liberi dell’impero. 218-222 d.C. Eliogabalo 222-235 d.C. Alessandro Severo 235-238 d.C. Massimino il Trace, primo imperatore barbaro. Anarchia Militare (238-284 d.C.) 249-251 d.C. Decio 270-275 d.C. Aureliano La fine dell’Impero 284-305 d.C. Diocleziano 306-337 d.C. Costantino 313 d.C. Editto di Milano 361-363 d.C. Giuliano l’Apostata 379-395 d.C. Teodosio 380 d.C. Editto di Tessalonica 410 d.C. Primo saccheggio di Roma, ad opera dei Visigoti. 455 d.C. Secondo saccheggio di Roma, ad opera dei Vandali. 476 d.C. Deposizione di Romolo Augustolo e fine dell’Impero Romano d’Occidente.