Storia Romana

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STORIA ROMANA
DALLE CIVILTÀ PREROMANE A ROMOLO AUGUSTOLO
© GSCATULLO
PICNUPIA
(
Paolo Franchi
II BC
Ana Maria Dragomir
Storia Romana Essenziale
Le Civiltà dell’Italia Pre-Romana
La storia della ''prima Italia'' fu una storia scritta da vincitori, nella quale la fondazione di Roma appariva come
la fondazione stessa della civiltà. Tuttavia, negli ultimi decenni, un serie di scoperte archeologiche ha cambiato
questa prospettiva, mostrando che, le popolazioni preromane, o almeno alcune di esse, avevano raggiunto
un livello di sviluppo molto elevato, anche grazie ai contatti con le popolazioni straniere. Dunque, al giorno
d'oggi la nascita di Roma è vista in una posizione meno centrale, e l'attenzione viene rivolta anche verso le
popolazioni che la precedettero. L'Italia infatti, a differenza dalla Grecia, (abitata da un solo popolo) era un
mosaico di genti diverse tra loro per razza, lingua, civiltà: Etruschi, Celti, Sanniti, Liguri, Veneti, Sardi e altri,
nati dalla suddivisione di una stessa stirpe, coesistettero fino a quando vennero sottomesse dai Romani. E
quando Roma divenne lo stato dominante esse vennero ''livellate'' e ''romanizzate'' dunque al potere e alla
civiltà di Roma. I primi abitatori neolitici dell'Italia, furono coloro che durante l'8° millennio a.C., provenienti
dalle coste del Libano e dalla Siria, si stanziarono nelle Puglie (nel Tavoliere), e ovviamente l'attività principale
da loro praticata era l'agricoltura. Al nord della penisola invece, ricordiamo insediamenti a Pienza, Grotta delle
Arene Candide e presso Fiorano. Nel corso del 3° millennio a.C. nell'Italia meridionale, si verificò l'importante
svolta determinata dall’apprendimento delle tecniche per la lavorazione del metallo, probabilmente grazie ai
contatti con le coste dell'Asia Minore, molto più evolute da questo punto di vista. Nacque dunque
inevitabilmente la fiugura dell'artigiano specializzato che si spostava di villaggio in villaggio offrendo i sui
servizi; la necessità di procurarsi metallo, aumentò gli scambi commerciali e culturali. Nel 2° millennio a.C. in
Italia si erano già stanziate alcune popolazioni di stirpe non indoeuropea: i Liguri, stanziati nel territorio
compreso tra la foce dell'Arno e alla Provenza, i Sardi stanziati in Sardegna, gli Elmi nella Sicilia occidentale, i
Falsci Latini, aggiuntisi verso la fine del millennio e di stirpe indoeuropea, stanziati nella zona sud del Tevere,
i Siculi Sicani, nella Sicilia orientale e centrale, e gli Itali-Enotri in Calabria. Nell'attuale Lombardia e Veneto gli
abitanti vivevano in abitazioni di legno dette palafitte, (sostenute da paletti infitti nei terreni paludosi, fiumi e
laghi). La loro funzione era quella di proteggere gli abitanti dai nemici e dagli animali feroci, assicurando al
contempo una costante riserva idrica. A partire dal 1600 a.C. nell'odierna Emilia, le palafitte iniziarono ad
essere costruite anche su terra, per evitare il rischio di straripamento delle acque; in seguito questi
insediamenti vennero circondati da argini possenti a loro volta racchiusi da un fossato profondo. Così prese
vita la civiltà detta terramaricola dall'espressione ''terra marna'' ovvero ''terra grassa'' dal dialetto emiliano,
che riconduce alle motagnole di terra ricche di sostituzioni organiche. A differenza della civiltà palafitticola,
che viveva principalmente di caccia, la città dell ''terramare'' praticava anche l'allevamento e l'agricoltura.
Sempre nel 1600 a.C., lungo l'Appennino si sviluppò anche la civiltà appenninica basata invece sulla pastorizia;
essa praticava la transumanza e usava le sepolture dette a dolmen (due lastre verticali poggiate l'una
sull'altra). Attorno al 1000 a.C. giunse in Italia il popolo degli Umbri, stanziati nella regione del Po, nell'odierna
Bologna. Lì si sviluppò la civiltà detta Villanoviana da Villanova (il luogo dove vennero rinvenuti i suoi resti).
Gli Umbri non praticavano l'inumazione, ma la cremazione dei defunti, i cui resti venivano conservati in urne.
I Villanoviani sapevano usare il ferro che appresero grazie ai Dori. Il periodo di massimo splendore di questa
civiltà viene collocato tra l'XI e VIII secolo a.C. mentre la sua fine, risale al VI secolo a.C. ad opera degli Etruschi.
Sempre attorno al 1000 a.C. giunsero nella penisola alcune popolazioni di stirpe illirica: i Veneti, in Italia nordorientale, e gli Japigi in Puglia. Nell'VIII secolo anche i Greci iniziarono a fondare colonie in Italia (soprattutto
quella meridionale), come avevano iniziato i Micenei a partire dal XVI secolo a.C. insediandosi presso Taranto,
Thapsos, Siracusa, Saroch e Cagliari. In Sardegna invece, si sviluppò la civiltà nuragica dal nome delle sue
costruzioni più antiche, i nuraghi: torri in forma di cono tronco, costruite con grandi blocchi di pietra
sovrapposti senza uso di calce e servivano fondamentalmente per proteggere la popolazione in caso di
pericolo. Questa civiltà, divideva la sua popolazione in due classi: pastori e agricoltori (a cui era affidata la
produzione delle risorse necessarie al sostentamento del gruppo) e i guerrieri (che vivevano nelle nuraghe e
proteggevano la popolazione in caso di pericolo). Grazie alle risorse della regione, la civiltà nuragica era molto
ricca, sviluppò persino un'avanzata tecnica per la lavorazione del metalli.
Gli Etruschi
Nel II millennio a.C. nell’Italia centro-settentrionale (nella zona che oggi corrisponde alla Toscana) si
stanziarono gli Etruschi (originariamente chiamati rasenna ovvero ''popolo'' I Greci tuttavia, li chiamavano
''tirreni'' e poi ''tusci''. Essi parlavano una lingua la cui scrittura era simile al greco, e tuttora non pienamente
compresa. Gli Etruschi erano organizzati in città-stato ( come le poleis greche), fra le più importanti
ricordiamo: Veio,Tarquinia, Perugia e Volterra. Venivano comandati da un re detto ''lucumone'' eletto a vita e
detenitore del potere giudiziario e militare. Quest'ultimo veniva assistito da un consiglio degli anziani, formato
ovviamente da esponenti aristocratici. (La classe aristocratica, era composta da grandi gruppi simili alle gentes
romane.) All'inizio del VI secolo a.C. il lucumone venne sostituito da magistrati eletti annualmente detti zilhat
e maru (quelli con funzioni religiose) e l'originaria monarchia divenne una repubblica aristocratica, il cui
potere risiedeva nelle mani di un organismo simile al Senato romano. Gli etruschi non formarono mai uno
stato unitario, forse perché avevano una posizione tale da non necessitare un'organizzazione centralizzata. In
Etruria, nacque una confederazione di dodici città, i cui rappresentanti si univano una volta l'anno. Gli scopi
di questa federazione erano più religiosi e politici che economici. Dunque le città Etrusche, seppur nate come
centri agricoli, grazie alla straordinaria fertilità del territorio svilupparono nel tempo una fiorente attività
commerciale, (sia marittima che terrestre), basta principalmente sulla ricchezza del suo suolo ricco di rame,
piombo e ferro. Nell storia dell’Italia, gli Etruschi furono il primo popolo a tentare di unificare il territorio della
penisola (processo che riuscirono poi i Romani). Dopo aver fondato alcune città nel loro percorso di
espansione, giunti in Campania si scontrarono con le colonie Greche (Cuma e Napoli), riuscendo a dominare
per un periodo grazie alla loro fortissima flotta, fino ad occupare la fascia orientale della Corsica dove nel 540
a.C. sconfissero i Greci nella famosa battaglia presso Alalia. Questo fu il periodo di massimo splendore del
popolo etrusco,mentre il loro declino iniziò già dal 5° secolo: nel 509 vennero cacciati da Roma e nel 474 la
loro flotta venne distrutta dai Greci, nonostante fossero alleati con Cartagine, non riuscirono mai a
riacquistare la loro potenza. Inoltre alla fine del 6° sec a.C. iniziarono ad essere minacciati dall'arrivo di nuovi
popoli quali i Celti. Infine, possiamo dire che ebbero una decadenza lenta ma inesorabile che si concluse nella
seconda parte del III secolo a.C. Il culto dei morti aveva un'importante parte nella loro cultura, come del resto
anche il sistema onomastico, nel quale, a differenza di quello romano, erano accettate anche le donne
(presenza del matronimico). Le donne etrusche si distinguevano dalle altre dell'anitichità per la libertà
concessa loro, sia fisica che economica. E' giusto dire che gli Etruschi ebbero non poca influenza sui Romani,
(il latino cerimonia deriva dal nome della città etrusca Cere). Essi trasmisero ai romani la pratica
dell'aruspicina, ovvero la divinazione attraverso il volo degli uccelli o attraverso l'osservazione delle viscere di
animali sacrificati. Per quanto riguarda la religione, è noto che gli Etruschi possedessero un pantheon di
divinità antropomorfe. Essi sostenevano che la vita dopo la morte fosse cupa e squallida. Dal punto di vista
artistico invece, avevano tecniche raffinate e ricche.
Roma Monarchica
Origini
I primi insediamenti sul colle Palatino risalgono al X e all’XI secolo a.C. ciò fa ritenere che Roma inglobò le
civilà già stanziate nella zona. L'insediamento primitivo si trova nella pianura del Lazio (latus-largo) , che aveva
risorse molto ultili ad iniziare dalla fondamentale presenza del Tevere, che costituiva una strada navigabile
lunga più di 400 km. Roma sorse dunque tra il Tevere e l'Aniene, ai piedi di sette colli (Quirinale, Viminale,
Esquilino, Palatino, Capitolino, Aventino, Celio) Per quanto riguarda il primo periodo della monarchia (sotto
Anco Marzio) poco più a valle dell'isola Tiberina (che facilitava la navigazione) venne costruito il famoso ponte
Sublicio che favoriva ulteriormente la navigazione. In più, la vicinanza del mare consentiva alle navi di risalire
il fiume e di trasportarvi il sale( all'epoca considerata grande mezzo di scambio). La città dunque costituiva un
passaggio obbligato del commercio tra Nord e Sud. Durante l'VIII e VII secolo a.C. l'insediamento di pastori e
agricoltori nel Palatino si allargò fino ad inglobare gli abitanti di Esquilino, Celio e Viminale ed inseguito
Quirinale, Capitolino ed Aventino. Questo nuovo nucleo di genti, per difendersi dai nemici fondarono una
lega detta settimonzio (delle sette cime) quest'ultimi decisero di nominare un capo unico detto rex.
Sopravvivevano grazie all'agricoltura e alla pastorizia. Gli scambi avvenivano ovviamente mediante baratto.
Le istituzioni politiche e sociali
Nei primi secoli della sua storia, Roma fu una città stato monarchica, ovvero il popolo, era titolare del potere
sovrano; l'esercizio di questo venne poi delegato dal popolo a un magistrato unico detto rex, che aveva due
compiti fondamentali: comando dell'esercito (imperium) e diritto di vita e di morte sui cittadini. La tradizione
riconosce sette re di Roma: Romolo, il fondatore, colui che introdusse il matrimonio monogamico e la legge
sulle proprietà private dei terreni, e la successione per ereditarietà; Numa Pompilio, che si concentrò sulle
istituzioni religiose introducendo nuovi culti (come quello di Giano) e che formò il calendario; Tullo Ostilio,
che conquista Alba Longa; Anco Marzio, promuove importanti opere pubbliche, come le mura della città, la
costruzione del ponte Sublicio e la fondazione di Ostia; Tarquinio Prisco, che costruì il Tempio di Giove, il Circo
Massimo, la Cloaca Massima e aumenta il numero dei senatori fino a 100; Servio Tullio, che costruì nuove
mura, dette serviane e porta il numero dei senatori a 300; Tarquinio il Superbo, infine, fu un despota crudele
che instaura un regime tirannico e introducendo le torture.
Il Senato
Il Senato era un'assemblea ristretta alla quale partecipavano solo i capi dei diversi gruppi famigliari detti
senatori: le gentes, gruppi di persone libere appartenenti alla stessa famiglia, e le familiae, gruppi minori di
persone che sottostavano al pater familias. Prima che la città nascesse questi gruppi avevano la funzione di
garantire l'ordine e di provvedere alla difesa in caso di pericolo. Roma riconobbe diritti politici alle sole gentes,
guidate dai patres gentis, e alle familiae con a capo i pater familias. Tutte gli altri gruppi di persone non furono
rappresentate in Senato. Inizialmente il Senato era composto da 100 senatori e nel corso del tempo divennero
300. Questo veniva consultato dal re per questioni di politica interna ed estera, e doveva inoltre esprimere il
proprio parere sulle leggi proposte dal sovrano. In caso di morte del rex, nel periodo detto interregnum,
inoltre, esercitava il potere.
La Popolazione
La popolazione romana era divisa in base alla propria origine in tre grandi agglomerati sociali chiamati tribù:
esse erano i tities, latini ed autoctoni, i ramnes, probabilmente sabini, ed i luceres, di origine incerta, forse
etruschi. Ogni tribù era quindi divisa in dieci curie (dal latino co-viria ovvero “adunanza di uomini”), che
svolgevano diverse funzioni politiche e legislative. Quest’ultima funzione era svolta dalle assemblee di tutte
le curie di Roma: i comizi curiati. A queste assemblee prendeva parte – o almeno poteva prendervi parte probabilmente tutta la popolazione, mentre aveva diritto di voto soltanto la classe patrizia. Ogni curia forniva
inoltre alla città 10 cavalieri e 100 fanti detti Centuria per il numero. Dunque l’esercito romano si ritrovava
composto da 300 cavalieri e 3000 fanti. Infine le curie eleggevano i senatori, 10 ognuna.
La Cacciata dei Tarquini
Secondo la tradizione romana la cacciata dei re etruschi si ebbe a causa del principe Sesto Tarquinio figlio di
Tarquinio il Superbo. Surante l’assedio d’Ardea infatti, mentre si riposava con i suoi compagni, discutette con
Collatino su quale delle loro mogli fosse di maggiori virtù. Collatino asserì che Lucrezia, sua moglie, era
imparegiabile da qualsiasi altra donna. Esso propose inoltre di prendere i cavalli e di controllare
personalmente il comportamento che tenevano le loro donne in assenza dei mariti. Arrivati al luogo dove si
trovavano le donne banchettanti, Lucrezia era in disparte rispetto alle altre e filava la lana assieme alle sue
ancelle. Sesto Tarquinio si innamorò dunque di lei a prima vista e la iniziò a corteggiare. Questa però, essendo
fedele al marito, rifiutò le proposte che il principe le faceva. Lui allora la minacciò di farla trovare sgozzata
affianco ad uno schiavo nudo e morto anch’esso così che sarebbe stata accusata dalla folla di un ignobile
adulterio. Lei allora gli si concedette. Andò poi dal padre e dal marito e gli spiegò i fatti asserendo che il suo
animo non aveva peccato, estrasse poi un coltello e trafiggendosi il petto spirò. Lucio Giunio Bruto, un suo
parente che aveva assistito alla scena, estrasse il pugnale dal cadavere esanime della fanciulla e brandendolo
come una spada giurando che mai più Roma sarebbe stata governata da un re. Giurarono con lui Collatino,
Lucrezio e Lucio Valerio. Quando il popolo fu informato dell’accaduto scacciò i re stranieri e mise al potere
come consoli Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Questo è un racconto didattico usato dai romani
per tramandare una morale: non va quindi preso per verità storica. Gli studiosi sono divisi sul come avvenne
la fine della monarchia a Roma: alcuni sostengono che essa sia stata un passaggio graduale e come prova
portano l’esistenza del rex sacrorum che altro non era che l’evoluzione della figura reale con una
modificazione dei suoi compiti; altri invece sostengono un passaggio brusco e a riprova di ciò riportano
l’esistenza di movimenti monarchici durante i primi periodi della repubblica. È certo tuttavia che attorno al
509 a.C. il potere monocratico dei re fu sostituito da una nuova forma di magistratura chiamat: consolato.
Probabilmente dietro la cacciata dei re etruschi ci fu l’intervento di un’aristocrazia scontenta della politica
bellicosa all’estero e della riduzione del loro potere in favore della plebe.
I primi secoli della Repubblica
Il Consolato
Dopo la cacciata dei re etruschi, il potere passò all’aristocrazia latina, che altro non erano che le gens dei
patrizi, sostituendo al re una magistratura collegiale. L’evoluzione politica di Roma è del tutto simile a quella
delle altre città-stato antiche: da una fase monarchica ad una divisione oligarchica del potere. I Consoli, questo
il nome della magistratura, dal latino “Coloro che si consultano”, erano rinnovati annualmente tramite libere
elezioni ed avevano pieni poteri. Tuttavia ogni loro decisione, per essere valida, doveva essere unanime.
Spesso per praticitità i consoli si dividevano i compiti mantenendo tuttavia il diritto di veto sulle decisione del
rispettivo collega. In caso di litigio il potere era esercitato a periodi eguali ed alterni. Indine in caso di guerra i
consoli rinunciavano al loro potere assoluto in favore di un dictator nominato dal Senato per un periodo non
superiore ai sei mesi, al termine dei quali restituiva il potere ai due consoli. Al consolato si affiancavano poi
diverse cariche per facilitarne lo svolgimento dei compiti. È importante sottolineare come la fine della
monarchia a Roma non voleva dire affatto che ci fosse la democrazia, questa infatti non raggiunse mai uno
sviluppo simile al corrispettivo greco. La storia della Repubblica Romana è infatti costellata da continui
contrasti con il popolo (la plebe), mentre la vita politica restava dominata dai patrizi.
Porsenna
Mentre durante il regno dei Re Etruschi Roma non conobbe rivalità ed ostacoli, durante la prima fase della
Repubblica fu minacciata dagli Etruschi, dai Latini e dalle popolazioni appenniniche, trovandosi quindi
costretta a limitare il suo campo di azione nel Lazio. Da un punto di vista edilizio poi, sotto gli ultimi tre re a
Roma fu costruito il grande tempio di Giove Capitolino mentre nel periodo repubblicano la città subì un crollo
della sua prosperità ed un conseguente impoverimento. I Tarquini poi, narra la leggenda, per riconquistare
Roma chiesero aiuto a Porsenna, re di Chiusi, ma furono fermati dall’eroismo di Orazio Coclite, Muzio Scevola
e Clelia. La realtà però sembra essere ben diversa: risulta infatti che per un breve lasso di tempo, sino alla
sconfitta di Ariccia nel 504 a.C., Porsenna abbia effettivamente preso il comando di Roma.
La Lega Latina
Nel 496 a.C. i Romani si scontrarono con i Latini nella battaglia del Lago Regillo. Lo storico Tito Livio, romano,
ci riporta una gloriosa vittoria di Roma grazie all’intervento dei Dioscuri; sembra però che l’esito della battaglia
sia stato piuttosto incerto. Le due popolazioni strinsero un accordo di alleanza e formarono una Lega Latina,
questa prevedeva un bilanciamento delle due parti ed era stata fondata con il fine di fronteggiare le
popolazione appenniniche (Equi, Volsci e Sabini), esse infatti avevano occupato Tivoli ed Anzio e minacciavano
la capitale. L’esistenza della Lega Latina permise sporadiche battaglie con essa dal 490 al 430 a.C. e permise
alla Repubblica di sopravvivere.
Patrizi e Plebe: i problemi interni
Mentre la politica espansionistica romana era oramai avviata e nonostante sussistevano forti nemici esterni,
la politica interna fece assai fatica a cementarsi. Dopo la pace con i Latini poi, i patrizi avevano emanato una
legge che riservava a loro il consolato ed escludeva i plebei da altre cariche. I Plebei iniziarono quindi a
chiedere un codice di legge scritto che limitasse il potere arbitrario patrizio, l’abolizione della schiavitù per
debiti e l’inclusione nell’ager publicus (ovvero le terre sottratte ai nemici e ridistribuite al popolo). Queste
lotte continuarono per quasi due secoli, già nel V secolo a.C. i plebei fecero quello che si potrebbe definire il
“primo sciopero della storia”: si ritirarono sul monte Aventino rifiutandosi di lavorare. Fu solo l’intercessione
del patrizio e senatore Menenio Agrippa che istituì per i plebei la carica dei Tribuni della Plebe, da loro scelti,
con il potere di opporsi alle decisioni consolari, che il popolo si quietò. Nel 445 a.C. fu poi ottenuta la
concessione del matrimonio misto tra Patrizi e Plebei.
Le XII Tavole
Tra il 451 ed il 450 a.C. furono redatte le XII Tavole, primo testo di leggi romane scritte. Secondo la tradizione
questo testo fu redatto da una commissione di dieci uomini detti “Decemviri legibus Scribundis” con l’incarico
della trascrizione delle preesistenti regole consuetudinarie tramandate oralmente. Attorno al decemvirato
sono fiorite molte leggende: la più celebre riguarda il decemviro Appio Claudio che innamoratosi di Virginia
la corteggiò, questa però non cedette. Sostenendo che lei fosse una schiava se la fece assegnare affinché la
possedesse. Il padfre di Viirginia però non sopportando l’oltraggio la uccide conficcandole un pugnale nel
petto. Come nel caso di Lucrezia il poplo insorse scacciando i decemviri. Il decemvirato cadde molto
probabilmente a causa del mancato accordo tra i suoi componenti: esso era infatti composto sia da Patrizi
che da Plebei. Il testo delle XII tavole fu esposto al foro, tuttavia non ce ne è pervenuta alcuna copia a causa
dell’incendio che i Galli appiccarono a Roma nel 390 a.C. Abbiamo però testimonianza delle leggi che lo
componevano dagli autori antichi.
Le nuove cariche della Repubblica
Per fronteggiare alle crescenti necessità della Repubblica e per organizzare al meglio il potere, furono istituite
diverse cariche. Esse avevano in comune il fatto che non erano retribuite, ed erano tutte elettive e collegiali.
Inoltre i magistrati erano chiamati a rispondere in tribunale delle loro azioni svolte durante il mandato. Di
seguito le principali:
Carica
Questori
Edili
Pretori
Censori
Tribuni Militari
Funzione
Amministravano il denaro pubblico. Il primo questore plebeo fu nominato nel 409 a.C.
Funzione legate alla città, all’urbanistica ed i mercati. Inizialmente venivano distinti gli
Edili Plebei da quelli Patrizi (i Curuli, per via delle sedie su cui sedevano “sella curulis”),
poi la carica fu unificata.
Avevano potere legislativo ed aggiornavano i codici delle leggi alle costanti necessita
della Repubblica. Nel 242 a.C. oltre ad amministrare la giustizia interna vi fu un console
dedito esclusivamente all’amministrazione della giustizia fuori dall’Urbe.
Erano due magistrati nominati ogni 5 anni che effettuavano il “Censimento”, a Campo
Marzio, aggiornando le liste elettorali, patrimoniali e militari dei cittadini. Dal 312 a.C.
poi aggiornavano pure le liste dei senatori.
Nel periodo compreso tra il 448 a.C. ed il 368 a.C. svolgevano le funzioni politiche dei
consoli.
Inizialmente accedevano al Senato solo coloro che avevano fatto parte dell’alta magistratura.
Successivamente l’accesso fu esteso ed a decidere i nominativi dei componenti erano i Consoli sino al 312
a.C. e dopo i Censori.
Nuove Assemblee Popolari
Accanto ai Comizi Curiati, che avevano man mano visto ridurre le proprie competenze, si affiancarono diversi
tipi di assemblee: i comizi centuriati, i comizi tributi ed i concili tributi.
I Comizi Centuriati, già istituiti sotto Servio Tullio nel VI secolo a.C., ricoprivano importanti compiti all’interno
della Repubblica quali l’elezione dei Consoli, dei Censori e dei Pretori, il veto sulle decisioni dei magistrati, la
possibilità di assegnare la pena capitale ai cittadini e la disposizione dell’esercito. Tanto era la loro importanza
che erano chiamati comitiatus maximus ovvero Massimi Comizi. La loro appartenenza si basava sulla divisione
in cinque classi di censo (la ricchezza) dei cittadini: ogni classe dei comizi doveva fornir all’esercito un certo
numero di soldati, detti “Centurie”. Ogni centuria fornita equivaleva ad un voto, in questo modo l’aristocrazia,
che si poteva permettere di fornire più centurie, aveva più voti a disposizione. Sino al 310 a.C. la ricchezza
corrispondeva alla terra posseduta, poi Appio Claudio Ceco equiparò una data somma di denaro ad un certo
possedimento di terra. Non vi era più la tradizionale contrapposizione Patrizi-Plebei ma una nuova RicchiPoveri. I Poveri non possedendo nulla erano censiti in base alla persona ed erano rappresentati da sole 5
centurie.
I Comizi Tributi eleggevano i magistrati minori, gli edili ed i questori, e contavano perciò meno dei Comizi
Centuriati. Al loro interno la popolazione non era divisa in base al censo bensì al luogo dove domiciliava, detto
“Tribù” da cui il nome: in questo modo erano abolite tutte le differenze di classe tra Patrizi e Plebei.
I Concili Tributi infine erano assemblee esclusive della plebe che prendevano decisioni su questioni sollevate
da un tribuno dette rogatio la decisione prese erano chiamate plebis scita ovvero “pareri della plebe”. Nel
287 a.C. con una lex Hortensia si stabiì che i plebisciti avevano influenza anche sui patrizi: la plebe ottenne di
fatto il potere legislativo.
Conquista di Veio
Sul finire del V secolo a.C. Roma sembrò essere tornata ad esercitare la supremazia regionale persa con
l’abbandono della monarchia. Fu in questo periodo che ebbe conclusione la guerra contro i Veientani,
popolazione abitante l’altra riva del Tevere non occupata dai romani con la città di Veio, con la quale si
contendeva il monopolio del sale. Con il dittatore Furio Camillo nel 396 a.C. questa fu conquistata, i suoi
abitanti uccisi o schiavizzati ed il territorio annesso a Roma.
La Discesa dei Celti
Nel frattempio dal nord, probabilmente alla ricerca di nuove zone coltivabili, poco prima del 400 a.C. alcune
tribù celtiche avevano valicato le Alpi ed erano scese in Italia, devastando il territorio etrusco e si insediariono
nella parte settentrionale della penisola. I Galli Cenomani si insediarono nella Pianura Padana; quelli Insubri
in Lombardia dove conquistarono la città Etrusca di Melpo, che poi diventò Midland con i celti, Mediolanum
con i Romani e poi Milano; quelli Boi in Emilia e fondarono Bologna; quelli Taurini in Piemonte e fondarono
Torino e quelli Senoni nelle Marche. Quest’ultimi guidati dal generale Brenno, in realtà era il nome di una
carica e non un nome proprio, giunsero ai confini del Lazio, entrarono a Roma e la sacchegiarono. Rimase
salvo solo il Campidoglio. Nel 353 a.C. pagando un riscatto Roma viene liberata ed i Galli si ritirano oltre il
Rubicone. Nello stesso anno Roma stipula un contratto con Cartagine riguardo le Aree Marittime di
Pertinenza, ne aveva già stipulato uno nel 508 a.C. ma il secondo aumentò l’Egemonia di Roma anche a seguito
dell’uscita di scena degli Etruschi.
La Fine dei Latini e delle altre civiltà Pre-Romane
Nel 431 a.C. Roma sconfigge definitivamente gli Equi ed i Volsci sul monte Agiro, vicino al Tuscolo. Sconfitte
queste popolazioni la Lega Latina non aveva più ragion d’esistere ed i rapporti di Roma con essa furono
totalmente rivisti anche in vista di un piano espansionistico nella penisola e consapevoli di una superiorità
culturale. Fu così che nel 340 a.C. la Lega Latina entro in conflitto con Roma, e nel 338 a.C. sconfitta e sciolta,
nel segno del dividi et impera (dividi e comanda). Roma stabilì quindi accordi personali con ogni città. Le città
rimaste fedeli a Roma furono ricompensate con l’ammissione alla cittadinanza, mentre i Latini restanti erano
cittadini senza suffraggio (ovvero senza diritto di voto) e potevano acquisire la cittadinanza solo migrando
nella capitale: ius migrandi.
Le Guerre Sannitiche
Sul finire del VI secolo a.C. Roma si scontrò con le Civiltà Appenniniche: i Lucani, i Bruzi e soprattutto i Sanniti.
Questi ultimi ci sono documentati da Tito Livio come “beliger” ovvero “guerrieri”, unica civiltà a godere di un
tale rispetto da parte dei romani, si pensa scesa originariamente in campania nel V secolo a.C. e mischiatasi
con gli autoctoni. Lo scontro durò diversi decenni e si articolò in più gerre. La Prima Guerra Sannitica scoppiò
nel 343 a.C. e si concluse nel 341 a.C. con la stipulazione di un trattato di pace. Tuttavia quando la città di
Capua chiese aiuto a Roma in funzione anti-sannitica essa non rifiutò e fu impegnata nella Seconda Guerra
Sannitica dal 326 a.C. al 304 a.C. Nella prima fase Roma sembrava rischiare la sconfitta tanto che nel 321 a.C.
fu costretta all’umiliazione del Giogo (chinare il capo per passare sotto le lance dei nemici incrociate) dopo la
sconfitta delle Forche Gaudine. La guerrà riprese nel 315 a.C. e culminò con la vittoria romana di Boiano ne
305 a.C. dove Roma acquisì tutto il territorio campano. Scoppiò poi una terza guerra sannitica nel 298 a.C.
con l’attacco multiplo dei Celti, degli Etruschi e dei Sanniti. Roma tentò di fronteggiarli separatamente, ma si
allearono ed unirono le truppe in Umbria. A Sentino, nel 295 a.C., avvenne la battaglia decisiva da cui i Romani
ne uscirono gloriosamente vincitori. Stipularono quindi paci separate con i nemici. I Sanniti non si arresero
ma continuarono a difendere i loro monti. Ridotti a pochissime unità furono costretti dal console Manio Curio
Dentato nel 290 a.C. alla resa. In questo periodo viene sviluppata la tattica “manipolare” che divideva
l’esercito in gruppi detti “manipoli” che si spostavano dove necessario.
La guerra contro Taranto e Pirro
La colonia spartana di Taranto era l’ultimo nemico romano, per dichiararvi guerra il Senato approfittò
dell’affondamento in loro acque territoriali di una nave romana. Taranto chiese allora aiuto a Pirro, re
dell’Epiro, tra i più forti condottieri dell’epoca. Pirro, con l’intento di espandere il proprio terriorio in Italia,
accettò la richiesta e giunse nel 280 a.C. con 30 000 soldati e molti elefanti da guerra. Lo scontro con i Romani
avvenne ad Eraclea, in Lucania, essi resistettero alla falange ma non agli elefanti e così Pirro vinse la guerra.
Anche se la vittoria fu solo teorica essendo moltissime le perdite del re epirota. L’esercito romano, a differenza
delle truppe scelte di Pirro, si rigenerava continuamente. Il re avanzò nel 279 a.C. ad Ascoli Satriano (Puglia)
dove ottenne un’altra battaglia e marciava in direzione di Roma. Non riuscendo però ad assediare l’Urbe andò
in Sicilia in aiuto contro i Cartaginesi. Sconfitti questi fu però abbandonato dai suoi alleati e costretto a tornare
in Italia. Nel 275 a.C. a Maleventum (dopo quest’evento Beneventum) si scontrò nuovamente con i Romani e
senza esercito dovette rientrare in Grecia. Sino al 272 a.C. Taranto rimase ancora greca, dopo tale data si
arrendette ai Romani che completarono l’espansione meridionale nella penisola. Le città greche conquistate
mantenevano una certa autonomia dovendo però fornire truppe marine in qualità di “alleati marittimi” socii
navales.
Roma e le guerre puniche
Rapporti tra Roma e Cartagine sino alla conquista dell'Italia meridionale da parte della potenza romana, i
rapporti con la potenza marittima di Cartagine erano stati sempre amichevoli questo perché non vi erano
interessi commerciali sul mare. Ciò è testimoniato dalla presenza di due trattati stipulati uno dei 509 avanti
Cristo e un'altra nel 148 a.C. che stabilivano le aree marittime di pertinenza. Un ultimo trattato fu stipulato
nel 279 a.C. durante la spirito spedizione di birra in Italia il che costituiva un pericolo sia per i romani che per
i cartaginesi pertanto era ribadita la forte alleanza criticava le due città. Conquistata l'Italia meridionale Roma
aveva in progetto l'espansione anche al di fuori della penisola italica. Dati questi progetti era inevitabile lo
scontro tra le due grandi civiltà, questa lotta durò per tutta la seconda parte del III secolo a.C.
Storia di Cartagine
La tradizione riporta come data di fondazione della città di Cartagine l'anno 814 a.C. Secondo la leggenda
infatti la città fondata da coloni fenici provenienti dal tiro condotti dalla regina spodestata Didone
(precedentemente conosciuta come Elissa). Dalla leggenda si deduce che Cartagine era inizialmente un
avamposto fenicio situato in una località strategica la città era infatti posta a metà tra lo stretto di Gibilterra e
le coste fenicie. La città ottenne in dipendenza dalla sua madrepatria e si impadronì del monopolio dei
commerci con l'Africa e con la Spagna. Grazie alla prosperità commerciale Cartagine poté creare una fitta rete
di insediamenti militari in tutto il Mediterraneo occidentale. I primi grandi rivali di Cartagine si incontrarono
nella loro espansione furono i greci che cercavano a loro volta si colonizzare le terre del Mediterraneo
occidentale. Principale teatro dello scontro fu la Sicilia dove le città cartaginesi si trovavano a diretto contatto
con quelle greche. Nel 480 a.C. i cartaginesi sbarcarono con un grande esercito in Sicilia per sottomettere le
colonie greche. Furono sconfitti dall'alleanza di gestione di Siracusa con tenore di Agrigento e furono costretti
a cedere ingressi quasi tutta l'isola ad eccezione di mosse dice. I cartaginesi concentrarono allora i loro sforzi
sul litorale africano. Durante la guerra del Peloponneso in cui ci subirono un forte indebolimento a causa di
questi conflitti interni Cartagine attaccò nuovamente la Sicilia e conquistò diverse città greche tra cui
Agrigento nel 406 a.C.
Organizzazione politica dei cartaginesi
A Cartagine a differenza di Roma non si sviluppò mai un sistema latifondista: la prosperità cittadina era infatti
fondata su un'organizzazione commerciale mercantile che era stata praticata dall'aristocrazia mercantile al
governo della città che poteva disporre di un grande ed efficiente flotta navale.
La costituzione dei cartaginesi e non è arrivata fino a noi (ad eccezione di alcuni pezzi o di riferimenti)
sappiamo tuttavia che godeva di grande considerazione nell'antichità. Per quanto riguarda l'organizzazione
del potere sappiamo che vi era una sorta di diarchia, vi erano infatti due magistrati in carica annuale erano
chiamati suffeti ovvero giudici. Ad essi si accompagnava a un Senato composto da aristocratici ed
un'assemblea popolare con poteri assai limitati. Durante la guerra il potere era affidato a dei generali nominati
per l'occasione diretti responsabili delle battaglie e che rischiavano la morte in caso di sconfitta. Non si formò
un esercito cittadino poiché la popolazione non sarebbe stata sufficiente a difendere il vasto impero pertanto
erano arruolati invece soldati mercenari. I generali rimanevano cartaginesi e provenivano da antiche famiglie
di tradizione militare come ad esempio quella dei Barca.
Organizzazione politica a Roma prima delle guerre puniche
I due principali modelli di Stato presenti nel mondo antico fino all'inizio delle guerre puniche erano la città
stato il disegno centralizzato. Roma nata come città stato si comportò diversamente: il sistema delle città Stato
era in crisi poiché il vasto territorio non permetteva più una gestione ottimale. Si fece quindi ricorso a nuovi
sistemi di gestione territoriale, il primo ad essere utilizzato fu quello municipale (dal latino “munera capere”
ovvero “assumere gli obblighi” inteso come dover versare i tributi senza acquisire la piena cittadinanza) i
cittadini erano dunque cives sine suffragio ovvero cittadini senza il diritto di voto. Tuttavia questo sistema
creava degli squilibri all'interno della società mettendo a rischio la sopravvivenza dello Stato stesso. Si decise
allora di ricorrere ad un altro sistema quello della federazione, in cui si stipulavano trattati detti foedra, che
garantivano alle supremazia e alle città federate indipendenza. Furono dunque stipulati in due differenti tipi
di trattati: foedra aequa e foedra iniqua, i primi garantivano che qualora una delle due parti venisse aggredita
l'altra sarebbe intervenuta in sua difesa, i secondi oltre a privare una parte del diritto di dichiarare guerra la
obbligavano a prestare soccorso a Roma quando richiesto. Rimanevano infine le città della lega latina che
ancora si regolavano con i vecchi trattati e godevano degli antichi diritti al loro concessi.
La prima guerra punica
Gli episodi di Messina
Dopo che Piero lasciò la Sicilia l'equilibrio tra Siracusa e Cartagine fu rotto in favore della seconda che
deteneva il controllo di un terzo dell'isola. Missina poli, seconda città dell'isola, era caduta in mano ad una
popolazione di mercenari chiamati “Mamertini” (ovvero seguaci di Mamers, Marte, il dio della guerra). Nel
secondo nuovo tiranno di Siracusa tentò di allontanare i Mamertini da Messina e riuscì nel suo intento
assediandoli dentro le mura della città. Quegli temendo una vendetta greca si consegnarono e chiesero aiuto
ai cartaginesi nemici giurati di Siracusa i quali inviarono 265 a.C. un presidio a difendere la città. Tuttavia i
Mamertini ritennero più conveniente allearsi con Roma e nel 264 a.C. chiesero di essere ammessi alla lega
italica. La proposta fu assai discussa in ambienti romani, voleva infatti dire iniziare una guerra con Cartagine il che poteva anche servire come profasis per un conflitto inevitabile - tuttavia la decisione fu rimessa ai comizi
popolari che accolsero la richiesta. Elusa la vigilanza della flotta cartaginese a Messina il console appio Claudio
attraversò lo stretto con un contingente impadronendosi della città. Questo avvenimento scatenò
inevitabilmente la guerra tra Roma e Cartagine alleata per la prima volta con Siracusa. Quest'ultima si alleò
dopo le prime sconfitte con Roma abbandonando Cartagine.
La vittoria di Milazzo
Il conflitto fu spostato dalla Sicilia al mare con Roma realizzò pertanto in poco tempo una grande forza che
doveva competere con le duecento navi possedute dai cartaginesi. I romani erano però più forti nel corpo a
corpo che nelle battaglie navali pertanto modificarono le proprie navi con uno strumento chiamato “corvo”
ovvero un ponte fornito di rampini che agganciavano alle navi nemiche a quelle romane permettendo il
trasferimento dei soldati. Nel 260 a.C. dunque a Milazzo il console Caio Duilio sconfisse la flotta cartaginese
riportando una grande vittoria.
Il fallito assedio a Cartagine
Nel 256 a.C. Roma tentò di conquistare Cartagine ponendo fine alla guerra, fu incaricato di questa missione
Attilio Regolo che riuscì a sconfiggere la flotta cartaginese a Capo Ecnomo e a sbarcare in Africa con un forte
esercito. Conquistata Tunisi Attilio Regolo, a seguito di una richiesta, propose a Cartagine un trattato di pace
dalle improponibili condizioni tra cui la rinuncia cartaginese alla propria sovranità. I cartaginesi rifiutarono e
si prepararono alla resistenza e si arruolarono mercenari greci e misero a capo dell'esercito il generale
spartano Santippe, dopo la battaglia l'esercito romano fu completamente distrutto.
La fine della guerra
La guerra si spostò di nuovo in Sicilia dove venivano conquistati e ceduti continuamente avamposti e città con
la continua realizzazione dei suoi abitanti e pesanti conseguenze umane della guerra. Era dunque inevitabile
porre fine al conflitto, essendo le casse dello Stato romano oramai esaurite per la guerra fu chiesto e ottenuto
i ricchi un forte prestito di denaro che permise la costruzione di una nuova flotta. Quest'ultima era comandata
dal console Luttazzi Catullo e fu utilizzate nel 241 a.C. durante una grande battaglia navale presso le isole è
che di. I cartaginesi si uscirono sconfitti. Chiedendo la pace i romani furono costretti ad abbandonare la Sicilia
a pagare una forte somma di denaro per restituire i prigionieri.
I nuovi domini di Roma dopo la guerra punica
Dopo la fine della prima guerra punica Roma e dei consigli anche il territorio della Sicilia a cui fu affidato uno
status giuridico nuovo ovvero quello di provincia vennero quindi posti sotto il controllo diretto di un
magistrato romano e considerati sudditi. Minacciando di riprendere il conflitto Cartagine Roma si impadronì
anche delle isole di Sardegna e Corsica, furono negli stessi anni sottomessi anche legali dell'Italia
settentrionale sconfitti a Casteggio nel 222 a.C. dal console Claudio Marcello. I romani presero infine possesso
delle coste dell'Illiria.
La seconda guerra punica
La rinascita di Cartagine.
Mentre a Roma succedeva tutto ciò a Cartagine si fronteggiavano due grandi partiti: un primo partito pacifista
sostenuto dai latifondisti che non erano interessati in alcun modo alla guerra ed un altro invece espansionista
che voleva ricostruire l'impero fondando nuove colonie, con il rischio però di un nuovo conflitto contro R. Il
secondo partito era guidato da Amilcare Barca che nel 237 a.C. fu inviato in Spagna con pieni poteri. Amilcare
riuscì a stabilire ottimi rapporti con alcune popolazioni e a sottometterne altri e Cartagine in pochi anni si
trovò così ad essere padrona di gran parte della Spagna. Dalla stessa famiglia nacque ad ruba le ed il figlio di
Amilcare, Annibale. Quest'ultimo era animato da un grande odio contro R insegnatogli sin da bambino ed era
a capo dell'esercito cartaginese. Convinto che è un conflitto contro Roma ebbe stato inevitabile e che
liberando le città a lei sottomessa avrebbe giovato a Cartagine tentò di provocare Roma con il fine della guerra.
La guerra da Sagunto a Canne
Secondo gli accordi tra Roma e Cartagine era territorio cartaginese tutta la parte della penisola iberica situato
sotto il fiume Ebro. Nel 219 a.C. Annibale decise di aggredire la città di Sagunto e pur trovandosi entro i limiti
di competenza, era però amica di Roma. L'assedio della città durò bene otto mesi intanto a Roma si decideva
sul da farsi. Tutta la popolazione fu giustiziata - era chiaro il fine provocatorio assunto da Annibale - e Roma
dichiarò guerra a Cartagine inviando il console Scipione con un esercito per bloccare Annibale in Spagna.
Annibale però si diresse velocemente verso l'Italia rendendo impossibile i romani di rintracciarne l'esercito di
bloccarlo. Giunse quindi in prossimità delle Alpi. Nel 218 a.C. l'esercito di Annibale composto da 20.000 soldati
e 6000 cavalieri, tutti professionisti, si scontrò con quello romano sulle rive del Ticino con sconfitta grave degli
romani. I cartaginesi divennero dunque padroni dell'Italia settentrionale prima sottomessa dagli romani e di
galli divennero loro alleati. Presso il fiume Trebbia i cartaginesi vinsero nuovamente i romani che si ritirarono
a sud dell'Appennino. Nel 217 a.C. vi fu un altro scontro con Annibale presso il lago Trasimeno nel tentativo
romano di bloccare l'avanzata cartaginese. Tuttavia l'esercito fu completamente distrutto ed ebbe perdite per
15.000 soldati con i restanti di numero uguale condotti in schiavitù. A Roma furono per terrore a tutti i punti
sul Tevere e venne nominato dictator il console quinto Fabio Massimo chiamato il temporeggiatore
(cunctator) poiché evitò accuratamente una battaglia diretta contro i cartaginesi impedendo i tuttavia
l'avvicinamento alla città di Roma. Annibale allora si diresse in Puglia dove si stabilì in inverno. Fu allestito a
Roma un grande esercito per sconfiggere Annibale in campo aperto. Presso il villaggio di Canne nel 216 a.C. i
romani subirono la più terribile delle sconfitte: essere infatti 70.000 uomini in battaglia, quasi tutto l'esercito.
Annibale allora libero alle popolazioni italiche sottomesse e la lega italica si disgregò.
Frase di facciata La guerra in Africa
I romani tuttavia prepararono una grande controffensiva riunirono tutta la popolazione atta a combattere ed
organizzare una resistenza. La situazione però si faceva sempre più disperata: Annibale si era infatti alleato
con Siracusa – Gerone II era infatti morto - e con Filippo V re di macedonia, il che portò anzi che a conflitti ben
più gravi con la città di Roma e diede inizio alla prima guerra Macedonica. Annibale rinunciò ad occupare
direttamente Roma limitandosi a circondare nei territori arrivando sino in Campania e conquistando la città
di capo. Grazie a ciò si poté riorganizzare gli inviò un esercito Siracusa ed un altro in Spagna infine un terzo
controllava le mosse di Annibale. Costretto inoltre un'alleanza con le città greche nemiche di Filippo V per
impedire che i macedoni sbarcassero in Italia. Roma si salvò grazie anche alla fedeltà di alcune popolazioni
della lega italica che comprendevano bene che è un dominio straniero sarebbe stato ben peggiore di quello
romano. Cartagine dal canto suo non offriva invece ad Annibale aiuti a causa di lotte interne dovute ad
incarichi del partito pacifista di Annone. In pochi anni la situazione romana cambiò: Siracusa fu conquistata
nel 212 a.C. e saccheggiata la può riconquistata e punita con l'uccisione di molti esponenti dell'aristocrazia.
In Spagna il comando fu assunto dal giovane Publio Cornelio Scipione che riuscì a conquistare addirittura del
210 a.C. La capitale cartaginese della Spagna, Cartagenna. Un esercito cartaginese pochi anni dopo guidato
da Asdrubale, fratello minore di Annibale, riuscì a penetrare in Italia fu tuttavia ha sconfitto presso il fiume a
Metauro nel 207 a.C. e il resto lui stesso ucciso in battaglia. Roma preparò un esercito da inviare in Africa
guidato da Publio Cornelio Scipione, tuttavia l'impresa era quasi osteggiata dal Senato diffidente al ricordo
della disfatta di cinquant'anni prima, autorizzo a Scipione ad arruolare volontari con cui sbarcò in Africa.
Grazie all'alleanza di Massinissa, re dei Numidi, dietro la promessa di un regno, Scipione a questi la supremazia
nella cavalleria parli ma arma di punta nell'esercito cartaginese. I cartaginesi furono tanto messi in difficoltà
da dover richiamare Annibale dall'Italia. Le 202 a.C. gli eserciti di Roma e Cartagine si affrontarono a Zama. I
romani ottennero la vittoria ed imposero ai cartaginesi pesantissime condizioni di essa quali la cessione di
tutti i territori extra-africani il pagamento di una fortissima indennità di guerra ed il divieto di dichiarare senza
esplicito consenso dello Stato guerra. Scipione non richiese che gli fosse consegnato Annibale ma tornò invece
in patria dove celebrò un grande trionfo e ricevette il titolo di “Africano”.
La conquista dell'oriente
Roma i regni ellenistici
Padroni del traffico commerciale del Mediterraneo, i romani divennero una potenza politica ed economica la
cui prosperità era oramai dipendente dal dominio dei mari. In questa prospettiva i stati ellenistici di
Macedonia e di Siria divennero inevitabilmente obiettivi di conquista. Non solo infatti erano sede di grandi
ricchezze ma vi era anche il rischio di una loro alleanza con Cartagine - nemico giurato di Roma - che grazie
ad Annibale si era ripresa dalla sconfitta già nel 195 a.C. quando riuscì a pagare totalmente l'indennità di
guerra impostale. Ad i romani serviva solamente una profasis per entrare in guerra. Questa arrivò quando il
regno di pergamo e la Repubblica di Lodi che avessero aiuto agli romani nella guerra contro i due grandi regni
ellenistici. Nuovamente a Roma si formarono due diversi e opposti partiti: coloro che volevano un'espansione
politica e culturale contro coloro che rigettavano la cultura greca e la volevano tenere "alla larga". Fu trovato
un compromesso quando nel 200 a.C. fu dichiarata guerra solamente contro Filippo V lasciando dunque la
Siria fu estromessa dal conflitto. Ebbe così inizio la Seconda Guerra Macedonica.
La seconda guerra macedonica e la guerra siriaca
La guerra fu condotta dal console Tito quindi sia Flaminio che fece sbarcare ad Apollonia, Illiria, le legioni
romane. Alleate dei romani le città greche riunite nella lega etolica. La vittoria fu alquanto semplice, le perdite
riportate dai Macedoni grandissime: 8000 i soldati periti e 5000 fatti prigionieri, e Filippo V dovette
consegnare la Flotta, pagare una pesante indennità di guerra, rinunciare all’espansione dalla Macedonia e a
concedere la libertà alle città Greche. Durante l'inaugurazione dei giochi ischemici ha convinto il console Tito
quindi sia Flaminio dichiarò alla Grecia che Roma aveva restituito la libertà. Ovviamente si trattava soltanto
di una frase di facciata poiché i progetti espansionistici di Roma non si sarebbero certo fermati alla Macedonia.
Dopo la vittoria incominciava a diffondersi un clima di insoddisfazione ed ostilità nei confronti dei Romani
nella Lega Etolica, che si vide infrante le speranze di ricevere un trattamento privilegiato. Chiesero dunque
aiuto ad Antioco III re della Siria, che conduceva una politica aggressiva contro le altre civiltà. Nel 191 a.C.
sbarcò in Grecia con un contingente Romano ottenendo però una sconfitta anche a causa di alcune città
Greche alleate con i Romani. Il Senato decise quindi di attaccare il nemico direttamente nel suo territorio,
mandò dunque le legioni in Asia guidate dal console Lucio Cornelio Scipione, che nel 1960 a.C. sconfisse le
truppe di Antioco presso Magnesia (in Turchia). Il trattato di pace fu firmato nel 188 a.C. e stabiliva che Antico
rinunciasse alla flotta e agli elefanti, pagasse un’indennità di guerra e consegnasse a Rodi e Pergamo tutti i
territori conquistati al di fuori dalla Siria. Inoltre i Romani pretesero la consegna di Annibale, che si trovava
allora in Siria, ma questo fuggì in Bitinia, anch’essa costretta alla consegna da Roma. Il generale cartaginese,
per non cadere nelle mani nemiche, si suicidò nel 183 a.C. Ben presto della persona con sentimento anzi
romano guidato da Filippo V, che fece assassinare il figlio di Demetrio, diventato filo romano, per evitare che
salito al potere modificasse i sentimenti nazionali. Nel 178 a.C. alla morte di Filippo gli successe il figlio minore
Perseo che nonostante volesse proseguire la politica paterna non ne aveva le capacità e nel 171 a.C. i romani
gli dichiararono guerra prima che riuscisse a riunire un esercito. Era la Terza Guerra Macedonica. Serve non è
sconfitto nella battaglia di Pidna dal console romano Lucio Emilio Paolo figlia del console morto nella battaglia
di canne. La macedonia conquistata fu smembrato in quattro repubbliche assoggettate a Roma e costrette a
tributo e le miniere d'oro e argento divennero proprietà romana. I cittadini più illustri condotti a Roma per
essere processati da un tribunale speciale e la lega delle città che costretta al rifornimento di 1000 ostaggi
condotti a Roma. Perseo e i figli furono costretti alle catene dietro il carro trionfante di Lucio Emilio Paolo
accanto ai tesori macedoni. Andrisco, avventuriero macedone che raccolse consensi e truppe, attaccò i
romani nel 149 a.C. Ma fu represso assieme a un esercito greco nel 146 avanti Cristo e la macedonia dichiarata
provincia romana. Lucio Mummio represse nello stesso tempo una ribellione delle città peloponnesiache. Nel
146 avanti Cristo venne anche rasa al suolo la città di Corinto era di intralcio agli interessi commerciali di
Roma. La Grecia fu aggregata la provincia di Macedonia ribattezzata “Acaia”. Atene invece, unica città ad esser
rimasta sempre fedele a Roma, ricevette in premio la libertà.
La Terza Guerra Punica: Carthago Delenda Est
Ripresasi dai danni del conflitto la città di Cartagine aveva acquisito di nuovo prosperità commerciale,
tornando ad essere un problema per i romani che la inquadravano come nemica per eccellenza
progettandone così la distruzione. Tutti i partiti presenti al Senato tra cui i tradizionalisti di espansionistici
eccitò affaristico dei cavalieri condividevano questo progetto di distruzione. La profasis per una terza battaglia
fu offerta ai romani da una contessa di confine tra Cartagine e Massinissa (oramai novantenne). Nel 149 a.C.
e i cartaginesi decisero di rispondere con le armi alle provocazioni di Massinissa, così facendo però violò il
trattato di pace con Roma che prevedeva la richiesta di un permesso prima di dichiarare guerra allo Stato
romano. Nonostante i cartaginesi si dichiararono pronti a qualsiasi condizione pur di non iniziare nuovamente
una guerra e avessero consegnato i romani tutte le armi e la flotta, i romani dichiararono di voler comunque
distruggere la città risparmiando la vita gli abitanti. Di fatto veniva chiesta a Cartagine il trasferimento della
popolazione in una nuova città. Le masse popolari disperate rovesciare il governo oligarchico, che si era reso
alle richieste romane, e predisposero una resistenza. Per questo i romani, non è stato la potenza militare,
impiegarono ben tre anni di impadronirsi della città. Nel 146 avanti Cristo gli abitanti furono venduti come
schiavi la città conquistate è distrutta e sulle sue rovine sparso il sale maledicendo simbolicamente la terra
cartaginese. Il territorio cartaginese diventò provincia africana di Roma. Nel 133 a.C. fu inviato Scipione
emiliano, figlio adottivo di Scipione africano, a sottomettere la popolazione iberica dei Celtiberi, rivelatasi a
Roma, conquistando la capitale Numanzia nel 133 a.C. Anche la Spagna divenne così provincia romana.
Roma dopo le Guerre Puniche
Dopo le Guerre Puniche, la società romana entrò in una fase di rapido ma profondo cambiamento: Roma da
stato arcaico e contadino, divenne la superpotenza del mediterraneo. L’insieme di questi mutamenti tuttavia,
crearono scompiglio tra i vari gruppi sociali. La gestione dello stato infatti, era ancora nelle mani dei patrizi, i
quali ricavavano la propria ricchezza grazie alle proprietà terriere, ma erano dotati di una mentalità chiusa e
ancorata al mos maiorum cioè il costume degli antenati. Il II secolo a.C. fu dunque caratterizzato da due
opposte tendenze all’interno della società romana: i tradizionalisti, che quindi erano ostili verso le novità
portate a Roma dall’Oriente, e i circoli della nobiltà che avendo una mentalità nuova, aperta nei confronti
delle altre culture, che consideravano essenziale apprendere altre arti per permettere a Roma di governare
un impero ormai molto esteso. I primi contatti con il mondo greco erano avvenuti già dal III secolo (quando
Roma si era estesa nei territori della Sicilia e della Magna Grecia), tuttavia, nel secolo successivo, il processo
di ellenizzazione si fece più accentuato, tra i popolo dunque, ci furono anche violente reazioni. L’influenza
della cultura greca, si manifestò innanzitutto grazie all’immigrazione di medici, insegnanti e filosofi. Nel 155
a.C., a Roma vennero inviati da Atene 3 ambasciatori, i filosofi Diogene, Critolao e Carneade. Essi riscossero
un grande successo a Roma tanto che vennero ammessi in Senato, anche se vennero invitati a tornare in
patria poiché, secondo Catone ‘’il Censore’’ i 3 filosofi influenzavano negativamente la gioventù in quanto
incuriosivano i giovani con lo studio, e la tradizione militare veniva trascurata. In seguito poi, con l’arrivo di
filologi e grammatici a Roma vennero instaurate le prime scuole di letteratura greca. Questo perché i Greci
non erano disposti ad apprendere il latino, e per i Romani, se miravano a controllare il loro impero e a trattare
con le genti, era essenziale conoscere il greco, ormai lingua di uso molto diffuso.
La Cultura Greca a Roma
Il centro culturale dove Greci e Romani riuscirono a convergere felicemente, fu il ‘’Circolo degli Scipioni’’, un
gruppo di aristocratici accomunati da ideali filoellenici. Il circolo venne fondato da Scipione ‘’Africano’’,
continuato con ‘’ Lucio Emilio Paolo’’ raggiunse poi il periodo più fiorente con Scipione ‘’Emiliano’’. Durante
quest’ultima fase, i membri del circolo comprendevano nomi molto illustri della cultura greca e latina, quali
Publio Terenzio, Gaio Lucillio e Polibio.
Il circolo mirava a far diffondere la cultura greca a Roma, e ad indirizzare gli uomini verso la cura del bene
della società e per distoglierli dalle preoccupazioni della vita politica. Possiamo dire che il circolo fornì un
fondamentale contributo intellettuale all’imperialismo romano. Roma, in contatto con il mondo greco e con
il resto del mediterraneo, comportò anche un rapido cambiamento nei costumi, provocando critiche fra i vari
ceti sociali. I ricchi sfoggiavano gioielli e possedevano case di lusso, mandavano i figli a studiare in Grecia o
assumevano professori greci come insegnanti. Persino la cucina mutò, diventando più raffinata.
Questo provocò un indebolimento dell’antica famiglia patriarcale, le donne iniziarono a mettere in
discussione il loro ruolo all’interno della famiglia. Si diffusero anche nuove forme di divertimento quali giochi
di gladiatori e lotte con le belve.
In seguito vi fu l’introduzione di nuove forme di religione che si integrarono con quelle romane preesistenti.
La religione romana tuttavia, non era una religione di stato, dunque non prevedeva un contatto tra il fedele e
dio individuale, ma veniva controllata pubblicamente. Dunque tutte le manifestazioni che sfuggivano al
controllo pubblico erano malviste, ad esempio i riti dionisiaci, che consistevano in danze e riti orgiastici
durante i quali coloro che vi prendevano parte erano come posseduti dal dio e in uno stato di trace.
Ovviamente questi rituali suscitarono uno scandalo a Roma, tanto che vennero aboliti con il Senatus consultus
de Baccanalibus del 186 a.C.
La scomparsa dei piccoli proprietari terrieri
Il mutamento che inglobò Roma, che la rese la dominatrice del Mediterraneo, scatenò problemi di coesistenza
tra le diverse etnie, questo perché non si doveva soltanto controllare un territorio molto esteso, ma anche far
fronte alle tensioni sociali determinati dagli squilibri economici, soprattutto a causa della guerra e dal fatto
che la classe dirigente non voleva rinunciare ai privilegi introdotti da quest’ultima. Dunque la guerra, la crisi
economica, l’inflazione e le tasse avevano portato la classe dei piccoli proprietari terrieri alla rovina. Gli
obblighi militari, avevano costretto i contadini ad abbandonare le campagne per arruolarsi, e quando
tornavano i campi erano ormai inariditi. Quindi inevitabilmente compresero che la tradizionale coltivazione
intensiva di cereali non era più redditizia, anche a causa dei nuovi prezzi sul mercato, e dei cereali provenienti
dai territori degli aristocratici. Essi vendevano dunque la terra e si facevano assumere dai nobili come
lavoratori salariati, ma ciò era sconveniente per gli aristocratici in quanto disponevano già di schiavi, che
compivano il lavoro senza richiedere un compenso. Sempre in questo periodo, si assistette ad una rapida
ascesa di una nuova classe sociale: i cavalieri. Essi infatti, anche grazie ai bottini di guerra (che costituivano la
nuova ricchezza della città) e alla grande superficie territoriale, e poiché lo stato non compiva più opere
pubbliche, e non provvedeva neanche all’approvvigionamento dell’esercito nelle zone più lontane, né
tantomeno a riscuotere i tributi, costoro dal 218 a.C. (poiché il commercio marittimo era stato vietato ai
senatori con la lex Claudia) erano incaricati di incassare i tributi (di cui parte rimaneva nelle loro tasche)
divenivano ovvero appaltatori di tasse (pubblicani). I cavalieri divennero un ceto potente e ricco, destinato a
svolgere un ruolo fondamentale a Roma.
La nascita dei Cavalieri
Molti dei disoccupati, ed ex proprietari terrieri, erano sopravvissuti diventando clientes delle grandi famiglie,
facendosi spesso manovrare dai patrizi durante le occasioni di voto. Anche le magistrature erano corrotte,
chi intraprendeva la carriera politica lo faceva per diventare console e sfruttare il guadagno che avrebbero
ricavato dal comando militare e dl governo delle province. Tra gli alleati italici (socii) c’era dunque un forte
scontento; essi erano infatti uniti a Roma con un rapporto molto stretto, ma non erano stati ammessi alla
distribuzione delle terre conquistate, ed erano sottomessi a pesanti imposizioni fiscali e non avevano il diritto
di voto. Ancora più scontenti dei socii erano gli abitanti dei territori al di fuori dell’Italia. Inoltre, nei confronti
dei nemici, Roma aveva lasciato intatta la struttura di ogni paese, attribuendosene però la sovranità. Alle
difficoltà interne, vi si aggiungevano quelle esterne, facendo aumentare le tensioni politiche e sociali.
La rivolta degli Schiavi
La guerra aveva contribuito anche ad aumentare le proprietà terriere dell’aristocrazia a discapito proprio dei
piccoli proprietari terrieri. Inoltre, il gran numero di schiavi a disposizione permettevano di coltivar enormi
appezzamenti di terreno a costi molto bassi. Si crearono così i latifondi (latus ‘’ampio’’ e fundus ‘’podere’’). Il
proprietario era dunque un aristocratico, che spesso doveva lasciare i campi per incarichi diplomatici, così
avvenne che tutta l’aristocrazia progressivamente, abbandonò i campi per trasferirsi a Roma, lasciando le
proprietà in mano a fattori (villici) che dirigevano i lavori dei braccianti e degli schiavi. Così l’agricoltura
romana venne riorganizzata secondo il cosiddetto sistema della fattoria, ovvero della ‘’villa’’. Gli altri schiavi
venivano messi a lavorare nei campi e di sera venivano rinchiusi per evitare che scappassero (servi vincti) altri
avevano invece una semilibertà (servi soluti). La villa era un’azienda agricola finalizzata non alla produzione
per il consumo domestico, ma su vasta scala, destinati poi alla vendita e al commercio. Si abbandonò ben
presto la coltivazione del grano, per dedicarsi a prodotti più redditizi quali vino e olio. Sui latifondi inoltre,
erano impiantati anche grandi allevamenti di bestiame, affidati a schiavi. Nei primi secoli di vita a Roma, gli
schiavi erano parte integrante della società, e spesso lavoravano assieme al pater familia e ai suoi figli.
Tuttavia, sul finire del II secolo a.C. il numero della popolazione servile aumentò spaventosamente, tanto che
alterò i rapporti tra schiavo e padrone. Venne instaurato il mercato degli schiavi (il più famoso a Delo) dove
venivano venduti più di 10.000 individui al giorno. Gli schiavi venivano impiegati come macchine da lavoro, e
sfruttati su larga scala (molto di più di come avveniva in Grecia) e venivano usati soprattutto per l’agricoltura
e sfruttati al massimo. Essi vivevano in condizioni disumane, e appena non erano più in grado di produrre
venivano cacciati e lasciati morire. Vi erano tuttavia anche schiavi intellettuali, provenienti soprattutto dalla
Grecia, i quali godevano di un certo rispetto e spesso venivano liberati come segno di riconoscenza. Ancora,
vi erano gli schiavi pubblici, che dovevano lavorare nelle miniere e cave o costruire opere pubbliche. Proprio
la presenza di grandi masse di schiavi provocò problemi di ordine pubblico, fino ad arrivare alle cosiddette
‘’sollevazioni di schiavi’’, ovvero ribellioni da parte di questi ultimi, affrontate dallo stato anche con l’esercito.
Le prime rivolte si ebbero in Etruria e in puglia, ma soprattutto in Sicilia, dove, nel 136 a.C. scoppiò una rivolta
ben più estesa, alla quale presero parte non solo schiavi, ma anche piccoli proprietari terrieri, pastori e
braccianti. Essi elessero Euno (noto come profeta e mago) come loro re, e assalirono l’abitazione di Damofilo,
uno fra i più crudeli padroni, uccidendolo pubblicamente. La rivolta proseguì fino a procurare ad Euno una
vera e propria corte, e l’instaurazione di uno stato (dove venivano anche coniate monete con il suo effigio.
Nel 132, a Roma giunse un esercito in pieno assetto di guerra, ma, al comando del console Publio Rupilio,
venne sconfitto e le città espugnate dagli schiavi, riconquistate (Enna, Taormina e altre). Euno poi, venne
rinchiuso i carcere con la sua corte.
I Gracchi e le riforme.
Tiberio Gracco
Durante questa situazione fecero la comparsa in politica i due fratelli Tiberio e Caio Gracco appartenente alla
famiglia dei Gracchi imparentata con gli Scipione è particolarmente legate ai problemi sociali. Il primo tra i
due fratelli ad entrare in politica fu Tiberio se Antonio Gracco che riteneva intollerabile che una parte così
consistente della popolazione vive in condizioni di incredibile miseria si rendeva infatti conto che una simile
situazione protratta a lungo negli anni avrebbe portato alla rovina dello Stato romano. Infatti era proprio la
plebe a costituire il potente esercito romano e a garantire alla somma difesa e conquista. Nel 133 a.C. Tiberio
riuscì a farsi eleggere il tribuno della plebe volevo infatti proporre ai concili plebei una legge agraria che
avrebbe vincolato tutta la popolazione. I senatori però non vedono di buon occhio questa riforma: consisteva
infatti in una riforma terriera, tuttavia Tiberio si limitò a riaffermare una vecchia regola che sanciva un limite
al possedimento del terreno pubblico (125 ettari, o, con sistema romano, 500 iugeri. Divenivano il doppio se
si avevano figli). I latifondisti si opposero violentemente alla legge. Nel 132 a.C. per il timore che la legge non
venisse applicata ripresentò la sua candidatura come tribuno della plebe. I suoi oppositori sostennero grazie
a questa mossa che Tiberio voleva impossessarsi del potere di Senato cancella questo punto il Senato votò
dunque una consultazione che dava i consoli poteri straordinari in caso di pericolo per lo Stato. Tiberio Gracco
finì per essere ucciso.
Caio Gracco
Nel 123 a.C. 10 anni dopo circa la morte di Tiberio venne eletto tribuno Caio Gracco, suo fratello. Quest'ultimo
capì l'importanza dell'appoggio delle altre classi politiche che romane in caso di assenza dell'appoggio del
Senato dunque voleva l'appoggio dei cavalieri. Assegnò per guadagnare di in favore della riscossione dei
tributi della ricchissima Asia e con le leggesse sembrò mia e capì che a giudicare le malversazioni commesse
dai governatori delle province non sarebbe più stata solo l'aristocrazia ma anche di cavalierato. I governatori
delle province erano infatti tutti i senatori e per la prima volta non sarebbero stati più giudicati da persone
dello stesso rango. L'obiettivo di Caio Gracco non era soltanto quello di ridimensionare il potere senatorio ma
anche l'opposizione a questa potente classe governante di una nuova classe con poteri. Per ottenere
l'appoggio popolare organizzatore di distribuzioni gratuite del grano ripropose la legge agraria del fratello
Tiberio e ridusse i poteri punitivi dei capi militari alleviando anche il servizio militare costruì nuove strade per
migliorare le comunicazioni della penisola e fondò colonie nelle province. Grazie a queste iniziative nel 122
a.C. giovandosi di una riforma elettorale approvata da poco ripropose la sua candidatura al tribuno della plebe
e riuscire a essere rieletto. Decise quindi di espandere la sua attività politica anche al di fuori della città di
Roma proponendo di attribuire la cittadinanza ai socii italici, questa proposta segnò però l’inizio della sua
decadenza politica: i cittadini sentirono messi in pericolo la propria lotta per le migliori condizioni di vita.
Cessato il sostegno della Plebe, e mai avuto quello degli aristocratici, nel 121 a.C. non viene rieletto.
Organizzata una rivolta armata degli schiavi, soffocata brutalmente dal Senato.
La politica dopo i Gracchi
Dopo la morte di Caio Gracco il potere tornò alla classe senatoria che non concedeva nulla a nessuno. Questa
politica di gestione dello stato era supportata dagli optimates e osteggiata dai populares, a quest’ultimo
partito. Il I secolo a.C. è caratterizzato dal continuo scontro di queste due classi senza un preciso programma
politico. I tribuni della plebe cercarono l'aiuto dei comandanti militari non potendo più fronteggiare da soli
questi conflitti interni. Grazie infatti dei comandanti militari era possibile ampliare l'azione politica limitata
per i tribuni alle città. Questo però portò i comandanti militari ad assumere un ruolo di maggior rilevanza
rispetto i tribuni della plebe.
La crisi della Repubblica
La guerra Giugurtina e l'ascesa di Mario
Giugurta aveva ereditato il tono di Numidia insieme a due cugini alleati dei romani assassinati costoro si era
proclamato un corriere. I senatori, accusati dai cavalieri di essersi fatti comprare dei regali di giunta, nel 112
a.C. decisero di dichiarare guerra alla Numidia. Il console Lucio Calpurnio Bestia, capo della spedizione, stipulò
la pace Giugurta, facendo sospettare una corruzione con il nemico. Il Senato dunque deciso di affidare nel
109 a.C. Le operazioni al quinto Metello che assieme all'allegato Caio Mario riuscì a fiaccare, ma non a
sconfiggere completamente, Giugurta. Sarà il perdurare della guerra i cavalieri e i popolari riuscirono a far
eleggere come console Mario – homo novus, ovvero la cui famiglia non aveva mai avuto accesso a cariche
pubbliche - nel 107 a.C. Avevano messo in discussione l'autorità del Senato. Mario fece un'importantissima
riforma: rese l'esercito romano volontario. Da questo momento quindi potevano accedere all'esercito anche
coloro che non possedevano un censo. Grazie al nuovo esercito con l'aiuto di un inganno ideato da Lucio
Cornelio Silla - ufficiale di nobile famiglia - Mario riuscì nel 105 a.C. a conquistare il regno di Numidia.
Lo scontro con i Cimbri ed i Teutoni
Mario era a capo dei popolari e fu rieletto console per ben cinque anni. Intanto i Cimbri ed i Teutoni due
popolazioni che avevano annientato un esercito romano in Provenza, minacciavano di entrare in Italia. Perciò
Mario decise di affrontarli. Sconfisse i Teutoni nel 102 a.C. ad Aquae Sextiae (oggi Aix-en-Provence) e nel 101
a.C. i Cimbri ai Campi Raudii (vicino l’attuale Vercelli).
Il declino di Mario
La politica attuata da Mario, che forniva concessioni e benefici alle classi meno abbienti (si veda la riforma
dell'esercito di cui si è parlato prima) creò conflitti sempre più evidenti sia con il Senato che con la plebe di
cavalieri. Successe che il tribuno della plebe Saturnino, amico ed alleato di Mario, proposte e ai veterani del
generale fossero assegnati appezzamenti di terra nelle province indipendentemente dal possedimento meno
della cittadinanza romana. Questa proposta trovò non solo l'opposizione del Senato ma anche quella della
plebe e dei cavalieri, su cui il potere di Mario faceva appoggio. Perciò quest'ultimo fu costretto ad accettare
l'incarico del Senato di reprimere la rivolta che era intanto scoppiata ed abbandonare saturnino. Così facendo
però perse l'appoggio dei ceti popolari e delle classi meno abbienti, ma non guadagnò quella del Senato. Si
arrestò quindi la politica dei popolari.
La guerra sociale
I socii italici chiedevano a gran voce la cittadinanza romana, ma rimasero ignorati a lungo dal Senato, fino a
che nel 91 a.C., all'elezione del tribuno della plebe Marco Livio Druso venne affrontata la questione. Druso
voleva infatti proseguire la via di riforme iniziata da Caio Gracco per ingraziarsi la popolazione paresse una
serie di decisioni a vantaggio dei meno abbienti e per ottenere il favore dei cavalieri, proposte che essi
divenissero senatori. L'aristocrazia, offesa e scontenta, fece uccidere Druso. Nello stesso anno gli alleati italici
decisero di muovere guerra contro Roma. Partito da Ascoli Piceno, il movimento di ribellione si diffonde in
tutta la penisola. Crearono infatti uno stato federato attorno alle civiltà più forti (i Marsi ed i Sanniti), creano
un potente esercito di difesa e stabiliscono una nuova capitale – la città di Corfinio Italica (tutt’ora esistente
in provincia dell’Aquila) – ed un nuovo conio. Tuttavia Roma, sotto il comando di Silla, riuscì a conseguire la
vittoria. Tuttavia, dinnanzi il pericolo di una guerra civile, il Senato fu costretto a concedere la cittadinanza alle
popolazioni straniere.
Mitridate
Nello stesso periodo anche Mitridate VI, re del Ponto, iniziò una rivolta contro Roma, mettendo a rischio la
supremazia di quest’ultima in Grecia ed Asia Minore. Nell’89 a.C. il Senato dichiarò guerra a Mitridate,
nonostante inizialmente il conflitto fosse solo dichiarato e mai iniziato, cominciò nell’89 a.C. un eccidio dei
cittadini romani che abitavano la zona da lui controllata. Dopo questo ciò entrò in guerra, il comando fu
dapprima affidato a Silla, ma dopo la pressione dei ceti popolari il Senato gli revocò l’incarico in favore di
Mario. Silla si rifiutò di obbedire agli ordini e convinse i soldati ad una guerra civile marciando contro Roma.
Nell’87 a.C. raggiunse Roma, sconfisse Mario e tornò in Oriente dove ristabilì la supremazia romana in quattro
anni. Mario intanto morì nell’86 a.C. ed il nuovo leader divenne Mario “il Giovane” suo figlio, che ottenne
l’appoggio degli Etruschi e dei Sanniti – nemici di Silla dalla Guerra Sociale – ed organizzò un esercito. Tuttavia
nella primavera dell’83 a.C. Silla sbarcò a Brindisi e si alleò con i due giovani comandanti Marco Licinio Crasso
e Gneo Pompeo riuscendo ad avere dalla sua parte l’esercito regolare romano. Dopo una estenuante guerra
civile nell’82 a.C. Silla sconfisse tutti i suoi nemici alle porte di Roma – durante la battaglia di Porta Collina – e
Mario il Giovane si suicidò. Silla pose così fine alle guerre civili.
Silla
Molti dei disoccupati, ed ex proprietari terrieri, erano sopravvissuti diventando clientes delle grandi famiglie,
facendosi spesso manovrare dai patrizi durante le occasioni di voto. Anche le magistrature erano corrotte,
chi intraprendeva la carriera politica lo faceva per diventare console e sfruttare il guadagno che avrebbero
ricavato dal comando militare e dl governo delle province. Tra gli alleati italici (socii) c’era dunque un forte
scontento; essi erano infatti uniti a Roma con un rapporto molto stretto, ma non erano stati ammessi alla
distribuzione delle terre conquistate, ed erano sottomessi a pesanti imposizioni fiscali e non avevano il diritto
di voto. Ancora più scontenti dei socii erano gli abitanti dei territori al di fuori dell’Italia. Inoltre, nei confronti
dei nemici, Roma aveva lasciato intatta la struttura di ogni paese, attribuendosene però la sovranità. Alle
difficoltà interne, vi si aggiungevano quelle esterne, facendo aumentare le tensioni politiche e sociali. Il partito
popolare, Silla volle legalizzare il potere che voleva esercitare, si fece dunque nominare dittatore, con
l’incarico di scrivere le leggi e ricostruire l’ordine dello stato. Uno dei suoi primi provvedimenti fu la redazione
delle liste di proscrizione, ovvero elenchi di persone che potevano essere uccise da chiunque volesse farlo, e
i cui beni venivano confiscati e venduti all’asta. Queste liste costarono la vita a molti Sanniti, che subirono la
vendetta dei Sillani (tra questi Crasso, che approfittò dell’occasione per arricchirsi). Da quel momento dunque
a causa dei massacri che subirono a Roma, si videro eliminati dalla vita politica. Ma le liste di proscrizione,
diedero anche il pretesto, per compiere omicidi ingiustificati dei quali furono spesso vittime innocenti ricchi;
queste colpirono tuttavia in gran parte gli esponenti del ceto dei cavalieri e alcuni senatori che si pensava
avessero tradito gli interessi della loro classe. Silla prese dunque una serie di provvedimenti per attuare il suo
disegno politico: raddoppiò il numero dei senatori da 300 a 600, determinando un consolidamento del
principale organo di governo aristocratico; con una Lex de magistribus organizzò il cursus honorum, mediante
il quale si poteva accedere alle diverse magistrature; stabilì che si poteva diventare consoli solo dopo essere
stati questori e pretori; per evitare anche persone troppo giovani avessero cariche massime, stabilì che
nessuno potesse diventare pretore prima dei 30 anni e console prime dei 42. Durante l’anno di carica i consoli
e pretori dovevano restare in città, solo in seguito potevano essere inviati a governare le province e assumere
il comando dell’esercito. Questo provvedimento serviva dunque a separare il potere politico da quello militare
(unione che avrebbe potuto portare nuove guerre civili) i magistrati inoltre, non potevano ricoprire la stessa
carica, se non erano passati almeno 10 anni dal momento in cui l’avevano assunta la prima volta. Un altro
provvedimento fu la lex de tribunizia potestate, la quale stabiliva che alcuni tribuni della plebe dovessero
sottoporre le proposte da presentare ai concili prima al Senato. La lex de comitii centuriatis mirava a dare una
nuova forza ai comizi. Il dittatore fece emanare anche una legge che vietava ai comandanti di superare il
confine del territorio cittadino (il cosiddetto pomerio) che Silla estese sino al Rubicone) Anche
l’amministrazione della giustizia criminale venne riformata grazie all’organizzazione di particolari tribunali che
aveva precise competenze per i vari crimini. (6 tribunali) e i magistrati fatti aumentare da 6 a 8. Come
conseguenza vi fu la limitazione dei diritti di difesa dei cittadini, che non potevano presentare un appello
contro un eventuale crimine. Infine nel 79 a.C. Silla dopo le sue numerose riforme, si ritirò a vita privata,
pensando di aver salvato Roma dalla guerra civile; morì l’anno successivo.
La crisi del Senato e l'ascesa di Pompeo
Quando Silla, nel 79 a.C. si ritirò dalla vita politica, era fermamente convinto di aver portato a compimento il
suo progetto legislativo e di averne completamente controllato l'attuazione, tuttavia proprio da quel
momento il Senato non fu più in grado di governare Roma. Infatti, nonostante il grande impegno di Silla nel
suo disegno di restaurazione dei loro poteri, gli esponenti della classe senatoria non si erano dimostrati
all'altezza della situazione: infatti essi erano chiusi in un mondo fatto di poche famiglie ed erano
completamente indifferenti a ciò che non avveniva all'interno della loro città e che non era parte integrante
dei loro interessi personali. Tra i più gravi problemi all'interno dell'impero romano vi erano: l’insurrezione
popolare che avvenne nei territori spagnoli, le ostilità riaperte da Mitridate in Oriente e una rivolta servile
che era scoppiata in Italia ed era destinata a diventare una delle più grandi della storia romana se non la più
grande. In questi momenti era necessario un uomo forte, un capo militare che inducesse l’esercito a
sostenere il Senato: quest'uomo fu Gneo Pompeo. Dopo aver combattuto fin da giovanissimo al fianco di
Silla, aveva sedato, assieme a Quinto Lutazio Catulo, una rivolta in Etruria dove i proprietari terrieri del luogo,
aiutati da Marco Emilio Lepido, (un ex fedele di Silla che, per evitare un processo a causa delle razzie
commesse in Sicilia come pretore, era passato al partito dei democratici) si erano opposti alla distribuzione
delle loro terre ai veterani di Silla, egli si trovò di fronte alla situazione molto difficile: infatti il generale
Quinto Sertorio, (amico fedele di Mario), il quale come altri suoi seguaci si era rifugiato in terra Iberica, si era
messo a capo di un gruppo di rivoltosi i quali combattevano per l'indipendenza della Lusitania,
corrispondente oggi al Portogallo, e a fianco dei quali si erano schierati anche i romani. La lotta era iniziata
nell'80 a.C., e, nonostante l'arrivo di Pompeo, si concluse solo nel 72 a.C., dunque per quattro anni, Pompeo,
il quale era giunto in Spagna nel 76 a.C., dovette combattere un'estenuante guerriglia, che arrivò finalmente
a termine quando Sertorio, venne ucciso a tradimento da un suo soldato. Pompeo, aveva comunque vinto.
Spartaco e la rivolta degli schiavi
Nel 76 a.C., mentre Pompeo era in Spagna, scoppiò quella che passò alla storia come ‘’la rivolta di Spartaco’’.
Spartaco era uno schiavo proveniente dalla Tracia, condotto poi dagli eventi a Capua, dove c’era una delle
più celebri scuole di gladiatori addestrati ai diversi tipi di combattimenti. Tuttavia Spartaco, che era un uomo
di notevole intelligenza e grande coraggio, non si rassegnava alla sua sorte e non accettava l’esistenza della
schiavitù, tanto che attuò un piano che sarebbe servito a ridare la libertà sui compagni; esso consisteva nel
varcare le Alpi, risalendo così l’Italia per permettere ai suoi compagni di tornare in Gallia o Tracia. Spartaco,
era consapevole del fatto che una semplice rivolta avrebbe attirato l’attenzione solamente dei disertori e
degli schiavi, e non quella dei contadini o del proletariato urbano. Tuttavia, mentre la marcia procedeva, egli
raccolse un numero sempre maggiore di aderenti, che arrivò poi a formare un esercito di 15.000 persone,
che tuttavia, contrariamente al piano, si diresse invece che a Nord, verso sud. Infatti alcuni delinquenti, i quali
si erano infiltrati nel gruppo, lo avevano deviato con lo scopo di saccheggiare le ricche città del Meridione. A
questo punto Spartaco, non aveva altra scelta che seguirli e controllarne le mosse, ma con un'incredibile
abilità riuscì a trasformare una massa di disperati in un esercito tanto temibile che ha costretto Roma ad
inviare ben otto legioni per combatterlo. Il comando di queste legioni venne affidato a Marco Licinio Crasso,
il quale dopo una guerra finalmente sconfisse i ribelli del 71 a.C. Inoltre, per permettere a tutto il popolo di
sapere quel che succedeva a chi osava ribellarsi al potere di Roma, Crasso ordinò che i 6000 schiavi che non
erano morti durante la battaglia venissero messi a morte su altrettante croci issate lungo tutta la via Appia
tra Capua e Roma. Quelli che erano riusciti a mettersi in salvo, e che si erano diretti verso Nord, furono
sconfitti in Etruria da Pompeo, il quale tornava vittorioso dalla Spagna.
L'alleanza di Pompeo e Crasso e la revisione della costituzione sillana
Pompeo, grazie alle numerose vittorie militari, aveva acquistato una grande popolarità e un grande prestigio,
che iniziò a preoccupare l'aristocrazia senatoria, la quale, sino a quel momento aveva riposto in lui tutte le
sue speranze, e che effettivamente, egli aveva dignitosamente sostenuto. Queste preoccupazioni, infatti non
erano infondate: dopo essere tornato a Roma, Pompeo, celebrato il suo trionfo, iniziò ad ambire al consolato
anche se non aveva ricoperto incarichi inferiori come volevano riforme sillane. Ma poiché non voleva
percorrere il cursus honorum, Pompeo decise di forzare il Senato e quindi strinse un’alleanza con Crasso, l'ex
luogotenente di Silla, il quale aveva combattuto con lui contro Spartaco; e che, grazie agli abusi compiuti
durante le prescrizioni, era diventato l'uomo più ricco di Roma. Per proseguire il suo obiettivo senza provocare
altre guerre civili e ottenere il sostegno popolare, Pompeo promise che, se fosse stato eletto console, avrebbe
modificato la costituzione di Silla verso una via più democratica. A questo punto con Pompeo e l'Crasso
accampati con le loro legioni alle porte di Roma con il sostegno del popolo, il senato fu costretto a cedere:
contro le regole costituzionali, nel 70 a.C., Pompeo e Crasso divennero consoli. Pompeo, nel corso della sua
carica fece votare una serie di leggi che smantellarono la costituzione sillana: modificò i tribunali, che
giudicavano i reati di concussione, ovvero l’appropriamento indebito di denaro di chi ricopre una carica,
reinserendo i cavalieri, che, riottennero l'appalto delle province asiatiche che venne tolto loro da Silla. Poi,
abolì la regola che vietava a chi era stato tribuno della plebe di accedere alle altre cariche pubbliche. Infine
restituì ai tribuni della plebe i diritti di veto e di intercessio, di cui erano stati privati, e nominò nuovi censori
che espulsero dal Senato per indegnità ben 84 senatori nominati da Silla. Possiamo infatti dire che, egli aveva
capito che la politica conservatrice perseguita dal Senato era ormai perdente e che la corruzione che vi era al
suo interno aveva raggiunto un livello inaccettabile. A confermarlo, era scoppiato il famoso scandalo di Verre,
un pretore che proprio nel 70 a.C. sotto il consolato di Pompeo e Crasso venne processato per gli abusi
commessi in Sicilia. Ciò riguardava le sue eccessive riscossioni tributi, i furti di splendide opere d'arte e i
supplizi da lui inflitti ai cittadini romani. All’inizio il processo non fu facile, anche perché i pretori, i quali
parteggiavano tutti per Verre, miravano a prolungare il dibattito, grazie a rinvii e manovre; tuttavia, un giovane
ma abile avvocato di nome Cicerone, servendosi di alcune famose orazioni di accusa dette poi le ‘’Verrine’’,
riuscì abilmente a mettere in luce la responsabilità di quei senatori che lo avevano protetto, rendendosi
vergognosamente suoi complici. L'ex pretore, fu così condannato a pagare un'altissima multa. Ora era dunque
inevitabile che si aprissero contraddizioni e tensioni anche con l'aristocrazia. Infatti la lotta, non
contrapponeva ormai solo gli aristocratici ai populares, ma anche gli aristocratici conservatori e gli esponenti
più moderni della stessa classe tra i quali spiccava lo stesso Pompeo.
Pompeo contro i pirati e contro Mitridate
Alla fine dell'anno di carica come console, Pompeo si rifiutò di governare una provincia, ciò però non
consisteva una rinuncia alla politica: infatti egli riteneva, che Roma fosse il luogo migliore per realizzare il
progetto di potere che perseguiva da tempo. La sua occasione giunse nell'67 a.C. quando il senato decise di
affrontare il problema dei pirati che ormai governavano nell'intero Mediterraneo orientale minacciando e
depredando le navi romane. Infatti i pirati non agivano più singolarmente come una volta ma si erano
organizzati invece con proprie flotte, che avevano le loro basi sulle coste Meridionali dell’Asia minore, della
Cilicia e di Creta; quindi rappresentavano una minaccia gravissima perché chi doveva viaggiare dal mare
rischiava di venire ucciso o di essere catturato e venduto come schiavo. Ma il problema più grande era che i
pirati mettevano in serio pericolo gli approvvigionamenti della stessa Roma: infatti, depredando le navi che
trasportavano il grano, essi avevano provocato più di una carestia. Di fronte a questa situazione, il tribuno
Aulo Gabinio, propose nel 67 a.C., una legge che concedeva a Pompeo poteri straordinari per la durata di tre
anni: le famose lex de piratis persequendisi. Il Senato fu quindi costretto a cedere alla pressione del popolo
che temeva il ripresentarsi delle carestie, e quindi una violenta reazione della plebe. Pompeo diviene così il
padrone assoluto di Roma con poteri che nessun altro aveva mai avuto prima: al suo comando aveva infatti
500 navi, 120.000 soldati, e 5000cavalieri. Con queste forze, nel giro di tre mesi riuscì a riaprire le rotte del
Mediterraneo. Poi però nel 66 a.C. una lex Manilia chiamata così perché proposto dal tribuno Caio Manilio,
affidò a Pompeo nuovamente pieni poteri, al fine di chiudere per sempre la partita con Mitridate. Il re del
Ponto infatti continuava a tramare ai danni di Roma, e si era alleato con il re d'Armenia, Trigrane, invadendo
nel 75 a.C. la Cappadocia e la Bitinia, due regioni che erano sotto il protettorato di Roma. Per rispondere
all'affronto subito, erano state inviate alcune legioni, ma Licinio Lucullo, il quale le comandava, una volta
giunto sul luogo degli scontri si era trovato in difficoltà anche perché era odiato dal centro equestre il quale
non gli perdonava alcuni editti emessi in Asia per mettere un limite all’avidità dei pubblicani, cioè agli
appaltatori delle tasse. In seguito a questo l'incarico gli venne tolto e affidato a Pompeo. Mitridate, venne
così attaccato da terra e da mare, abbandonato da Tigrane, che si era alleato con Pompeo, e perfino tradito
dal figlio Farnace: nel 63 a.C., quindi, il re del Ponto si uccise. Così l'oriente ellenistico veniva conquistato. La
Siria, già conquistata con la Cappadocia e la Bitinia da Tigrane, divenne una provincia: la Palestina, a cui venne
concesso di restare autonoma, posta sotto il protettorato di Roma: il regno dei Seleucidi era scomparso e il
territorio che si estendeva dall’Egeo all'Eufrate era stato organizzato il sistema di protettorati e di province.
Dunque nel giro di quattro anni Pompeo ed era riuscito a conquistare un territorio che forniva grazie alle tasse
una grandissima quantità di denaro a Roma. Quando Pompeo sbarcò a Brindisi, nel 62 a.C., a causa del suo
carico di gloria, i romani si chiedevano in ove egli avrebbe usato il prestigio della sua ricchezza: infatti molti
sospettavano che, affidandosi sulla incondizionata fedeltà dei giovani che intendesse abbandonare la
Repubblica e verdi campi ma il comportamento di Pompeo fu molto diverso da quello che ci si aspettava, e,
dopo aver congedato l'esercito, egli si limitò a fare al Senato solo due richieste: la ratifica dei provvedimenti
destinati a e la distribuzione di terra suoi veterani.
Lo scontro tra popolari e ottimati
Mentre Pompeo combatteva in Oriente, lo scontro tra populares e optimates a Roma diventava sempre più
aspro. Infatti a difendere l'aristocrazia senatoria erano rimasti solamente Marco Tullio Cicerone e Marco
Porcio Catone. Cicerone, era nato ad Arpino come Caio Mario e come lui era un homo novus. Anche
denunciando la corruzione da parte dell'aristocrazia, riteneva che gli ottimati fossero ancora l’unica forza
capace di difendere le istituzioni repubblicane. Catone invece, appartenente all'antica famiglia aristocratica,
era nipote del celebre Catone ‘’il censore’’, difendeva per tradizione i valori gli interessi della sua classe di cui
rappresentava una delle persone più conservatrici. Dunque tra populares e centro equestre, militavano Lucio
Licinio Crasso, Caio Giulio Cesare e Lucio Sergio Catilina. Crasso come abbiamo già detto, aveva combattuto
con Pompeo contro Spartaco, ed era stato console assieme a lui nel 70a.C. Era un uomo di scarsa dignità
politica e popolarità, ma tuttavia aveva un notevole potere grazie le sue ricchezze personali che gli
consentivano di controllare le elezioni, egli (sempre grazie alle sue ricchezze) ebbe un'alleanza con Cesare,
che, essendo economicamente in rovina, usava denaro di Crasso per finanziare le sue campagne politiche e
per pagare i debitori. Cesare, apparteneva ad un'antica e nobile famiglia, quella degli Iulii, che vantava di
discendere da Enea, figlio della dea Venere. Egli nacque nel 100a.C., ed era nipote di Caio Mario. Aveva
sposato Cornelia, figlia di Cinna, uno degli esponenti del partito popolare. Durante la guerra civile, egli aveva
sostenuto i populares, ma tuttavia, si era salvato dalle proscrizioni solamente grazie alle numerose amicizie
all'interno del ceto aristocratico. Anche Lucio Sergio Catilina, che militava tra le file dei populares, proveniva
da una famiglia nobile. Egli, aveva combattuto con Pompeo de Cesare sotto il comando di Pompeo Stabone
nella Guerra sociale, e durante le prescrizioni era stato responsabile della morte di Mario, suo cognato. Al
termine dell'anno durante il quale aveva ricoperto la carica di pretore, Catilina era andato a governare l'Africa,
ma, a causa del suo comportamento venne accusato di ‘’concussione’’ (repetundae), tuttavia, al termine del
processo venne assolto, proprio grazie all'aiuto del suo stesso accusatore, Clodio; ma il processo gli aveva
impedito di presentare, nel 65 a.C., la sua candidatura per il consolato. Dunque nel 64 a.C., Catilina si presentò,
ma venne sconfitto per pochi voti da Cicerone. Senza arrendersi, nel 63 a.C. Catilina, ripropose la sua
candidatura, concentrando la campagna elettorale sulla promessa di una cancellazione generale dei debiti.
Tuttavia neppure questa promessa fu sufficiente a farlo eleggere: ma gli procurò l'appoggio della plebe e di
un numero esiguo di nobili decaduti, e fu fortemente osteggiata dalle classi agiate, che riuscivano a
controllare i comizi. Catilina, vide così svanire per la terza volta, le sue speranze, e al tempo stesso perse il
sostegno di Cesare e di Crasso, preoccupati per le reazioni provocate dalla sua campagna elettorale.
La congiura di Catilina
Rinunciando ormai all'idea di poter arrivare al potere legalmente, Catilina iniziò a pensare ad un'insurrezione
armata. Il suo progetto, oltre all'eliminazione di Cicerone, prevedeva una serie di azioni terroristiche e
l'occupazione di Roma mediante un esercito arruolato in Etruria e composto da esponenti degli stati più umili
della società romana ovvero il sottoproletariato urbano, i braccianti stagionali, artigiani, e anche gli schiavi.
Però Cicerone, venuto a conoscenza della congiura, nella seduta del 21 ottobre 63 a.C. ne svelò l’esistenza al
Senato, mediante l'enunciazione di un’orazione passata poi alla storia con il nome di ‘’Prima Catilinaria’’. La
quale esordiva con una frase: ‘’Fino a quando Catilina, abuserai della nostra pazienza?". Dunque, l'8
novembre, Catilina venne costretto a lasciare la città, e si rifugiò a Fiesole dove vi erano le sue truppe; tuttavia
i congiurati, non vollero rinunciare al progetto e decisero di prendere le armi il 17 dicembre. Tuttavia anche
questa volta, la notizia trapelò prima che i congiurati passassero all'azione, tanto che vennero arrestati e
condannati a morte senza che diritto d'appello: questa procedura, contraddiceva una delle regole
fondamentali della costituzione repubblicana, la quale stabiliva, che, contro le sentenze capitali, si poteva fare
appello al popolo. Soltanto Cesare, in Senato, chiese che non venisse compiuta questa gravissima illegalità,
che la condanna capitale venisse commutata nella pena dell'esilio e della confisca dei beni non venne
ascoltato. I congiurati, catturati a Roma, vennero quindi messi a morte poco dopo, nel gennaio del 62 a.C.,
coloro che avevano riparato in Etruria, vennero sconfitti nella battaglia di Pistoia: qui morì lo stesso Carlina,
da uomo valoroso, con molti dei suoi seguaci che tennero testa fino all'ultimo momento all'assalto
dell'esercito consolare.
L’Ascesa di Cesare
L’inarrestabile ascesa di Cesare verso il potere, iniziò nel 70 a.C., quando egli tornò dalla Spagna, dove era
stato governatore. Il suo principale obiettivo era quello di ottenere la carica di console, poiché le forze su cui
poteva contare, non erano sufficienti a garantirgli l'elezione. Come sempre dunque, aveva bisogno di Crasso,
che prima della partenza per la Spagna aveva saldato tutti sui debiti. Tuttavia a Cesare, serviva un terzo alleato,
che, inaspettatamente, fu Pompeo. Egli infatti, al ritorno dalle campagne militari, aveva chiesto come
ricompensa per i suoi meriti la ratifica dei provvedimenti presi in Asia e la distribuzione di terre ai veterani.
Tuttavia queste concessioni, gli furono rifiutate. Emerse dunque Cesare, che propose a Pompeo di formare
un'alleanza assieme a lui e a Crasso. Così, nel 60 a.C. I tre strinsero un accordo di reciproco aiuto, chiamato
Accordo di Lucca. Questo, aveva lo scopo di raggiungere gli obiettivi che ognuno di essi perseguiva e di
spezzare il ruolo predominante del Senato. L'accordo, era noto anche come primo triunvirato, ed esso non
configurava una magistratura, ma aveva una dimensione personale e privata; infatti Pompeo, avrebbe
appoggiato la candidatura di Cesare al consolato per l’anno 59 a.C., Cesare avrebbe sostenuto i provvedimenti
di Pompeo per farli approvare e Crasso avrebbe raccolto proseliti per esso la classe finanziaria, a favore della
distribuzione delle terre ai veterani di Pompeo. Quando finalmente venne eletto console, 59 a.C. Cesare onorò
gli impegni presi con Pompeo e con Crasso: fece infatti approvare le leggi le quali distribuivano le terre ai
veterani di Pompeo e riducevano di un terzo i canoni che i pubblicani delle province Orientali dovevano
versare allo stato: questo garantiva un notevole vantaggio economico per la classe dei cavalieri, a cui
apparteneva Crasso, e che aveva il monopolio degli appalti di imposte. Così, ridotto all'impotenza, il Senato
venne costretto a subire oltre queste leggi una serie di altri provvedimenti poco graditi. Accanto alla
distribuzione di terre ai veterani infatti, Cesare ottenne con la stessa legge, che si distribuissero terreni anche
alla plebe. A questo scopo fece acquistare allo Stato nuove terre, utilizzando i fondi delle entrate provenienti
dall'Asia; queste terre vennero divise in 50.000 lotti, che bastavano a soddisfare le esigenze di tutti senza
toccare l'interesse dei piccoli proprietari terrieri. In maniera diversa da quel che era accaduto ai tempi della
distribuzione ai veterani di Silla, non si fece ricorso all'espropriazione dei terreni privati. Cesare, introdusse
inoltre nuove regole sul governo delle province, aumentando la responsabilità fiscale dei governatori,
stabilendo che i verbali delle sedute delle assemblee del Senato venissero resi pubblici. Infine, abolì la pratica
di prendere gli auspici prima delle assemblee legislative con un provvedimento dalle notevoli conseguenze
pratiche: infatti gli auspici, erano manovrati dall'aristocrazia, ed essa, quando temeva che un'assemblea
prendesse dei provvedimenti sgraditi, riusciva a rinviarla dicendo che gli auspici erano sfavorevoli. Durante il
consolato, Cesare si assicurò inizialmente il comando proconsolare per cinque anni nella dalla Gallia Cisalpina
e nell’Illirico; in seguito, ottenne anche la Gallia Narbonense, una regione molto turbolenta, ma proprio per
questa ragione era interessante agli occhi di Cesare. Facendo così valere il pericolo determinato dai continui
movimenti delle tribù celtiche, ottenne il comando di quattro legioni e attese il momento favorevole per
realizzare il suo piano di portare i confini di Roma sempre più a Occidente, nella Gallia libera, oltre i confini
della sua provincia. Prima di lasciare Roma, pensò di liberarla da tutti quei personaggi che in sua assenza
avrebbero potuto danneggiarlo. Iniziò con Catone: Roma infatti aveva ricevuto in dono dall'Egitto l'isola di
Cipro ed egli venne scelto per prenderne possesso. Cicerone invece, grazie a un provvedimento preso da
Cesare accordatosi con Publio Clodio, venne esiliato grazie alla legge che stabiliva l’esilio per tutto coloro che
avessero fatto giustiziare un cittadino romano senza concedergli il diritto di appello. Cesare poteva dunque
partire per la Gallia. L’occasione opportuna si presentò quando gli Elvezi, incalzati dalla tribù germaniche,
minacciarono i confini degli Edui, una tribù gallica libera, stanziata a Occidente del territorio elvetico. Questi
ultimi chiesero aiuto a Cesare, che rispose prontamente: nel 58 a.C., ancora prima di ottenere il permesso del
Senato, affrontò gli Elvezi nella battaglia di Bibracte, e li sconfisse. Assunta la veste di difensore dei Galli liberi,
Cesare affrontò l’esercito di Ariovisto, re dei Germani, sconfiggendolo nella pianura alsaziana, presso il fiume
Reno. Così, dopo aver conquistato il territorio della Gallia centrale, Cesare si era spinto ai confini della Gallia
del Nord. Temendo che le mire espansionistiche di Cesare minacciassero anche la loro liberà, i Belgi tentarono
di far fronte comune con altri popoli della zona, dando vita a una coalizione antiromana; ma Cesare riuscì
tuttavia a fronteggiarla e rapidamente la sgominò. Conquistato dunque anche il territorio della Mosa e della
Schelda, nel 57 a.C. Cesare arrivò alle Coste della Manica. A Roma invece, durante l'assenza di Cesare, si era
creata una situazione molto preoccupante. Infatti i popolari, a seguito di Clodio, erano impegnati in continui
contrasti con le bande armate di Milone, di cui gli aristocratici si servivano per contrastare la loro politica.
L'accordo con i due triumviri rimasti nella capitale era precario: infatti, Pompeo, allarmato dal crescente
potere di Cesare, riprese contatti con l'oligarchia senatoria incoraggiandola a richiamare Cicerone dall'esilio.
Deciso ad impedire quindi che queste manovre cambiassero gli equilibri di potere, nel 56 a.C. Cesare tornò in
Italia e a Lucca strinse con Pompeo e Crasso conto, per giungere a una nuova condivisa ripartizione delle
cariche pubbliche: Cesare, avrebbe avuto il proconsolato in Gallia per altri 5 anni, Pompeo e Crasso sarebbero
stati consoli nel 55 a.C. e poi avrebbero avuto a loro volta un proconsolato. Tuttavia, il nuovo incontro di Lucca
non fu sufficiente a stabilire un accordo tra i triunviri. Infatti al contrario degli impegni assunti Pompeo decise
di non lasciare la capitale: egli intendeva ingaggiare una lotta sempre più aperta con Cesare e a questo fine si
era schierato dalla parte dell'aristocrazia senatoria, presentandosi come il difensore delle istituzioni e come
il più feroce avversario di chi a queste attentava. Nel 53 a.C. Crasso morì combattendo contro i Parti a Carre,
in Mesopotamia, e nel 52 a.C. quando Clodio venne ucciso dalle bande di Milone, Pompeo venne nominato
dal Senato console senza collega. Completamente fuori delle regole istituzionali che il Senato sosteneva di
difendere, per il suo stesso volere, Pompeo si ritrovo a detenere un potere assoluto e a disporre di una forza
militare notevole con cui eventualmente affrontare Cesare. Nel frattempo quest'ultimo, tornato in Gallia
aveva continuato la sua inarrestabile marcia di conquista, giungendo a esplorare la Britannia, ancora
sconosciuta. Dopo aver attraversato per la prima volta la Manica, nel 54 a.C. aveva raggiunto il Tamigi,
stringendo un'alleanza con alcune tribù locali. Tuttavia, nel 53 a.C. fu di nuovo impegnato in Gallia per
contrastare il giovane valoroso Vercingetorige, il quale aveva assunto il comando di molte tribù decise a
riconquistare la libertà perduta. Così, per due anni, Vercingetorige tenne fronte alle legioni romane ma nel 52
a.C. dopo un assedio alla città di Alesia, fu costretto ad arrendersi. I celti sopravvissuti furono ridotti in
schiavitù e finirono per essere inglobati al mondo latino.
La seconda guerra civile la vittoria di Cesare
Tornato dalle numerose vittorie, Cesare intendeva proporre la sua candidatura al consolato con la ma il
Senato, temendo che intendesse conquistare il potere con la forza, decise di contrastare le sue aspirazioni.
Seguendo così, il consiglio di Pompeo i senatori stabilirono che i candidati alle magistrature dovessero essere
personalmente presenti in città e quindi, per essere eletto, Cesare avrebbe dovuto lasciare le legioni e
presentarsi a Roma come privato cittadino. Tuttavia, come condizione per farlo chiese che Pompeo sciogliesse
il suo esercito e, quando il Senato respinse la sua proposta, Cesare non esitò a ricorrere alla forza. Infatti, la
notte del 10 gennaio del 49 a.C. attraversò con le legioni il fiume Rubicone, il quale segnava i confini tra la
Gallia cisalpina e l'Italia centro-meridionale: Alea iacta est. Come sancito da Silla infatti, chiunque
attraversasse armato il Pomerio sarebbe divenuto nemico di Roma; e così, Cesare dava inizio a una nuova
guerra civile. Sostenuto dai suo numerosi simpatizzanti, Cesare andò verso la capitale senza incontrare alcuna
resistenza, e Pompeo, impreparato e incapace di organizzare una difesa, fuggì con parte dell'aristocrazia in
Macedonia, contando sulle amicizie strette instaurate durante la guerra contro Mitridate, grazie alle quali
sperava di poter formare un esercito che gli consentisse di passare al contrattacco. Cesare, dal canto suo,
conquistata la penisola italica si recò immediatamente in quella iberica, per eliminare il pericolo
rappresentato dalle molte regioni pompeiane che si erano stanziate lì, le sgominò nel giro di pochi mesi. Una
volta raggiunta la sicurezza su questo fronte, nel 48 a.C. affrontò direttamente il suo rivale Pompeo,
sconfiggendo nella battaglia di Farsalo, in Tessaglia. Pompeo, sperando nell'aiuto del Re Tolomeo 13º fuggì in
Egitto dove però venne ucciso: tuttavia questo gesto venne considerato da Cesare un atto di viltà, punito poi
da Cesare stesso con la morte. Quest'ultimo infatti, ormai cinquantaduenne si innamorò della 21enne
Cleopatra al punto da restare 20 mesi alla sua corte. Eliminato quindi Tolomeo, fratello di Cleopatra, essa
dovette sposare suo fratello Tolomeo Neotero, appena undicenne. Nel frattempo Cesare doveva continuare
a combattere: infatti in Asia si era ribellato il re del Ponto, Farnace, che però venne subito sconfitto nel 47 a.C.
a Zela. La rapidità della vittoria è racchiusa nell’emblematica comunicazione di Cesare al Senato: veni, vidi,
vici. Intanto in Africa molti dei pompeiani superstiti avevano trovato rifugio alla corte di Giubba re di Numidia:
tra di loro vi erano anche i figli di Pompeo e Marco Porcio Catone. Sbarcato in Africa, nel 46 a.C. Cesare
sconfisse i suoi oppositori a Tapso, mentre Catone e Giubba si uccisero. Con questa ultima vittoria, Cesare
divenne il padrone indiscusso di Roma. Assieme alla carica di pontefice Massimo, che già ricopriva dal 63 a.C.
a Cesare venne dato anche il titolo di imperator e di pater patriae. Si fece inoltre nominare dittatore a vita e
si fece conferire l'inviolabilità tribunizia, che lo rese sacrosanctus. In più, all'interno del Senato poteva sedere
su un seggio dorato, al mese quintile era stato conferito il suo nome (Iulius), nei tempi vennero posizionate
statue che lo raffiguravano, e vi erano persino monete con la sua effigie. Le istituzioni repubblicane erano
formalmente ancora in vita ma nella sostanza, tutti i poteri civili, militari e religiosi erano nelle mani di una
sola persona. Tuttavia Cesare non abusò di questa situazione, ma fu piuttosto magnanimo, ed ebbe un senso
del governo senza precedenti, dando origine a una organica politica riformatrice. Dopo aver permesso a
coloro che erano stati esiliati di tornare a Roma, concesse la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina e
di molte province, ed emanò nuove leggi che favorivano lo sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato e del
commercio. Si impegnò inoltre a migliorare il controllo delle province, controllando che i pubblicani incaricati
a riscuotere i tributi non abusassero dei loro privilegi. Volle poi razionalizzare il sistema della distribuzioni
gratuite di grano, dimezzando il numero delle persone che ne avevano diritto, e assicurandosi che esse
ricevessero effettivamente quanto dovuto. Pose poi fine alla disoccupazione, dando inizio a grandi opere
pubbliche, quali la sistemazione del Foro, l’arginamento del Tevere e il prosciugamento delle paludi Pontine.
La morte di Cesare
Nonostante i provvedimenti positivi di Cesare, gli optimates si sentivano minacciati dalla sua presenza, e
temevano che egli aspirasse a diventare sovrano assoluto, dunque in questo clima maturò una congiura ad
opera di alcune persone fra le quali vi era anche Marco Giunio Bruto, figlio adottivo di Cesare. Essa terminò
con la morte di Cesare, avvenuta il 15 Marzo del 44 a.C.
Lo scontro tra Antonio e Ottaviano
Antonio e l’eredità di Cesare
I congiurati erano convinti che la loro azione sarebbe stata accolta favorevolmente ma non fu così. Infatti,
alcune ore dopo la morte di cesare, era evidente che l’esercito cesariano era rimasto fedele ai suoi
luogotenenti, in particolare ad Antonio. Dunque il Senato, temendo il suo intervento, non osò prendere alcun
provvedimento che mirasse a modificare l’assetto costituzionale. Rimasti dunque isolati, e iniziando a temere
per la propria sorte, i congiurati si rifugiarono nel Campidoglio. Nei giorni seguenti, Antonio, il quale intendeva
sfruttare il potere derivato dal comando dell’esercito, tentò di accreditarsi come successore di Cesare,
ponendo agli anticesariani un accordo: i congiurati sarebbero stati salvi, e lui avrebbe tenuto a freno l’esercito,
in cambio che i provvedimenti di cesare rimanessero in vigore. Negli accordi presi il 17 marzo, il senato si
impegnava a mettere in atto le ultime volontà sul testamento di Cesare. Ma quando questo venne aperto, si
scoprì che Cesare aveva nominato suo erede non Antonio, ma il suo pronipote Caio Ottaviano, nato nel 63
a.C. da una figlia di sua sorella Giulia. Sempre per testamento, Cesare aveva disposto che ad ogni membro del
proletariato urbano e ogni legionario venissero donati 300 sesterzi. Anche per questi motivi, durante i suoi
funerali vi furono grandi manifestazioni in cui si chiedeva la testa dei suoi assassini. Dunque, le case di Bruto
e Cassio vennero incendiate, ed essi furono costretti ad abbandonare Roma, cercando rifugio nelle province
romane in Oriente.
Le prime mosse di Ottaviano
Il piano di impadronirsi del potere grazie alle concessioni avute dal Senato non garantì il successo ad Antonio.
Verso la fine di aprile, Ottaviano tornò a Roma dall’Epiro, dove era impegnato in uno scontro contro i Parti,
fermamente deciso a far rispettare gli ultimi voleri di Cesare. Poiché Antonio rifiutò di consegnargli gli averi
di Cesare, Ottaviano vendette i suoi beni personali, con il ricavato distribuì alla plebe la somma decisa da
Cesare. Così facendo, la sua popolarità presso il proletariato crebbe enormemente, e, nonostante la giovane
età fu molto cauto, e tentò di non inimicarsi il senato. Con grande astuzia, egli appoggiò la posizione dei
conservatori più moderati, guadagnandosi anche il favore di Cicerone, il quale, come molti altri, stava
iniziando a prendere le distanze da Antonio. Quest’ultimo infatti, aveva ricevuto l’incarico di governare una
lontana provincia, ma non intendeva allontanarsi troppo da Roma. Per questa ragione, fece approvare una
legge la quale consentiva la ‘’permuta delle province’’, e quindi un plebiscito che li attribuiva il governo della
Gallia Cisalpina, designato regolarmente a Decimo Bruto. Contro le sue pretese si era scagliato Cicerone, che
lo proclamò nemico della patria pronunciando la famosa orazione passata alla storia sotto il nome di
‘’Filippiche’’. Poiché Decimo Bruto non intendeva sottostare alle imposizioni di Antonio, egli pensò di
occupare il territorio con la forza. In aiuto di Bruto venne inviato l’esercito consolare, al quale si affiancarono
anche le truppe di Ottaviano. Lo scontro avvenne a Modena, presa in assedio da Antonio nel 43 a.C. Antonio
venne sconfitto e si rifugiò nella Gallia Narbonense, raggiungendo il generale Emilio Lepido, proconsole in
quella regione e suo fedelissimo. I due vennero dichiarati nemici della Repubblica.
Ottaviano Augusto
Nel 29 a.C. Ottaviano Augusto torna a Roma in trionfo, il desiderio di pace tra i Romani era tale che essi erano
anche pronti ad accettare un governo di tipo assolutista. Nel 27 a.C. Ottaviano viene nominato console,
tuttavia il suo collega aveva poteri minori (consul minor), e dal Senato gli venne attribuito il titolo di Augustus
(venerabile) e di Princeps Senatus. Ovvero il diritto in Senato di votare per primo influenzando il voto degli
altri. Ottaviano è diviso tra il riformare la costituzione repubblicana e l’instaurare una monarchia assoluta.
Nel 23 a.C. sceglie la prima strada attribuendosi però la Tribunicia Potestate, ovvero il potere sui cittadini e
sui Tribuni della Plebe, e il Proconsolato, per il controllo delle cariche all’estero. Le istituzioni repubblicane
continuano intanto ad esistere ma non vengono più consultate, mentre il numero dei senatori viene ridotto
da 1000 a 600. A quest’ultimi erano riservate le cariche più alte ed erano generalmente uomini scelti
dall’Imperatore tra quelli aventi nel patrimonio più di 1 milione di sesterzi. Decentra le funzioni
amministrative istituendo nuovi organi, attribuendone le cariche ai Cavalieri (allontanandoli di fatto dalla
politica), mentre accentra quelle di controllo su di se. Sulla nascita del Principato gli storici hanno due opposte
teorie: se alcuni credono realmente nell’intento restauratore di Ottaviano, che comunque non aveva ancora
intaccato la Costituzione Repubblicana, altri invece sono convinti nel suo intento di instaurare una monarchia
assoluta di stampo orientale. Istituisce le prefetture: il Prefetto Urbano si occupava della Città quando
l’Imperatore non era presente, il che rendeva la carica solo momentanea (sino a Tiberio che risiederà spesso
fuori dall’Urbe), il Prefetto Annone si occupava dell’Approvvigionamento di Roma, il Prefetto dei Vigili della
sicurezza e detenendo anche un limitato potere giudiziario, ed il Prefetto del Pretorio che si occupava delle
Guardie del Corpo. Affidò tutte le cariche al ceto equestre ad eccezione della prima, riservata invece ai
Senatori. Divise le Provincie in Senatorie, o del popolo, rette da un Proconsole con Imperio Prorogato, ovvero
quelle provincie più calme alle dipendenze del Senato e i cui tributi andavano allo Stato; e in Provincie
Imperiali, dette anche caesaris, che erano invece a diretta dipendenza del Principe. Queste erano quelle più
difficili da governare e i cui tributi, come nelle monarchie di stampo orientale, andavano nelle casse personali
dell’Imperatore. Infine l’Egitto, definito il Granaio del Mondo, era un possedimento personale dell’Imperatore
che lì veniva accolto come Faraone dai locali. Per quel che riguarda l’Esercito ridusse fortemente il numero
dei soldati portando le legioni da 50 a 25, offrendo ai congedati veterani un risarcimento di tasca propria e ai
veterani appezzamenti di terra. Si occupò quindi dell’esercito e ne modificò il sistema di arruolamento – come
del resto fece Mario – modificandolo in Volontario Regolare aperto anche ai non-cittadini. Questo portò
grandi benefici: forniva la cittadinanza ai socii e agli altri popoli sottomessi a Roma, offriva una possibilità di
ricchezza ai cittadini poveri ed infine offriva terre ai veterani. Per evitare rivolte militari infine ordinò il
frequente trasferimento degli ufficiali. Dei soldati speciali erano infine i 9000 Pretori, sceltissime guardie del
corpo dell’Imperatore, dall’importante ruolo politico come negli anni successivi si sarebbe dimostrato
essendo spesso autori dei regicidi per il cambio di regime. Augusto non ha mire espansionistiche, ma si trova
impegnato nella difesa dei confini. Organizza però tra il 27 a.C. ed il 9 d.C. campagne di difesa che si
tramutarono ben presto in conflitti per la conquista. Il pericolo maggiore in Spagna è rappresentato dagli
Asturiani, dai Baschi e dai Cantabri. Affrontati tutti tra il 20 e il 19 a.C. da Agrippa ed includendo i territori
conquistati nella provincia di Spagna Citeriore. Sulle Alpi il Gran Sanbernardo è controllato dai Salassi che
vengono sconfitti nel 25 a.C. per raggiungere la Spagna e fondano la colonia di Augusta Pretoria. Vengono
sottomessi in Val Camonica e Val Tellina i Camuni ed i Vennini nel 18 a.C. Tiberio e Druso nello stesso anno
conducono una spedizione nel Norico dove sottomettono i Taurisci che occupavano zone ricche d’oro. Tra il
12 ed il 9 a.C. Tiberio sottomette i Pannoni. Nello stesso anno conquistano la Mesia. Nel 12 a.C. Augusto
incarica Druso di occuparsi di rivolte nell’Elba, tuttavia nel 9 a.C. alla morte di questo la missione viene portata
a termine dal fratello Tiberio che seda la rivolta in Pannonia. Nello stesso anno i Germani tesero un’imboscata
ai Romani nella foresta di Teutoborgo annientandoli. Augusto rinunciò a sottomettere la Germania al dominio
di Roma. Roma si estendeva quindi sino al Danubio. La sua politica economica fu assai liberale: permise il
commercio ed il mercato libero intervenendo raramente e solo indirettamente: fece ad esempio costruire
una rete stradale e postale per favorirne lo sviluppo. Separò le sue casse personali da quelle dello Stato e
stabilì a se il diritto di conio per le monete d’oro e d’argento, mentre lasciò la facoltà di produrre i Sesterzi, in
rame, al Senato. Questo gli permise di creare rapidamente più monete e sostenere gli ingenti costi della sua
politica. Tra il 18 ed il 9 a.C. emanò le Leges Iuliae che erano volte al ritorno dei Mos Maiorum, le usanze dei
padri, alla cui perdita la propaganda augustea attribuiva il periodo di crisi. Si stabilì quindi che l’adulterio fosse
punito con l’esilio – e la sua stessa figlia Giulia fu esiliata per questo – e che si doveva conseguire il matrimonio
tra i 20 ed i 60 anni nella propria appropriata classe sociale. Veniva inoltre multato chi non aveva figli: il che
era volto ad incrementare le nascite, fortemente diminuite nella Roma dell’ultimo secolo. Infine fu stabilito
che si sarebbe dovuto esaltare e mitizzare la grandezza di Roma tramite opere letterarie: in questo contesto
fiorì pienamente il circolo di Mecenate a cui faceva parte anche Virgilio. Si sposò dapprima con la figliastra
d’Antonio Clodia Pulchra nel 43 a.C. che ripudiò l’anno successivo, quindi con Scribonia da cui ebbe l’unica
figlia, Giulia, ma ripudiò anch’essa proprio il giorno in cui nacque quest’ultima. Tre giorni dopo sposò poi Livia
Drusilla, precedentemente sposa di Tiberio Claudio Nerone, e ne adottò il figlio Tiberio. Presa la patria potestà
di Giulia la costrinse a sposarsi dapprima con Marcello, da cui ebbe due figli che adottò Augusto poi, vedova,
con Agrippa. Questo sembrava essere il più probabile successore di Ottaviano ma morì il 12 a.C. Costrinse
quindi Giulia a sposare Tiberio ma ella, innamoratasi di Iullo e avendo congiurato contro il padre, fu esiliata a
Ventotene ed il matrimonio annullato. (Quando questa tornerà sulla Terra Ferma fu fatta arrestare da Tiberio
che la fece rinchiudere in una stanza a morire) Morirono anche i due figli di Giulia adottati e dunque l’unico
erede rimase essere Tiberio. Egli divenne imperatore alla morte di Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, nel
14 d.C., “Acta est fabula. Plaudite!”.
La dinastia Giulio-Claudia
Tiberio (14-37 d.C.)
Salito al trono come figlio adottivo di Augusto, era stato un coraggioso soldato nella guerra contro i Parti,
prima di divenire imperatore, ancora militare, si presentò al Senato con l’intenzione di ritirarsi a vita privata,
tuttavia appena giunse a Roma fu acclamato imperatore. In carica, inviò suo nipote Germanico a sconfiggere
le popolazioni germaniche, il quale vi riuscì abilmente. Tuttavia Tiberio, insospettito dalla grande fama del
generale lo richiamò in patria e non permise l’occupazione di quelle regioni. Germanico fu quindi inviato
contro i Parti, in Oriente, dove tuttavia morì improvvisamente nel 19 d.C.: a Roma si sospettò che l’Imperatore
stesso l’avesse fatto avvelenare per la sua enorme fama. La popolarità di Tiberio crollò definitivamente.
Indisse una serie di processi per lesa maestà, che portarono al patibolo molti esponenti della famiglia di
Germanico ed oppositori politici. Nel 26 d.C. lasciò Roma nelle mani del prefetto del pretorio Seiano, per
ritirarsi nella sua villa a Capri. Quando nel 31 d.C. seppe che Seiano lo voleva spodestare fece arrestare lui e
la sua famiglia e li condannò a morte. L’ultimo periodo di regno dunque, fu caratterizzato da una forte
repressione politica. Nel 37 d.C. Tiberio lasciò Capri per tornare nuovamente a Roma, ma a 7 miglia dall’Urbe
decise di tornare indietro temendo la reazione dei suoi concittadini. Durante il viaggio di ritorno fu colto da
un malore e fu portato nella villa di Lucullo a Miseno. Il 16 marzo ebbe una forte crisi che lo portò al delirio e
fu creduto morto. Mentre già in molti si apprestavano ad acclamare Caligola nuovo imperatore, Tiberio si
riprese. Il prefetto Macrone, tra l’agitazione e lo scompiglio degli altri, ordinò che l’imperatore fosse soffocato.
Così morì a settantasette anni, soffocato dai cuscini, Tiberio Augusto. Il 29 marzo, portati a Roma, fu cremato
e posto nel mausoleo di Augusto con una modesta cerimonia. Intanto i romani festeggiavano l’incoronazione
di Caligola. Nonostante i suoi contemporanei ne danno un giudizio assai critico, Tiberio lasciò uno Stato in
una situazione di pace ed economicamente stabile, nonché con un forte potere centrale.
Caligola (37-41 d.C.)
Il testamento di Tiberio sanciva che Gaio e Tiberio, suoi nipoti, avrebbero dovuto regnare assieme. Ma il
Senato, a furor di popolo, nominò imperatore il solo Gaio, figlio di Germanico, che fu soprannominato Caligola
per la calzatura militare, la caliga, che portava da bambino negli accampamenti del padre. I primi 7 mesi del
suo regno sono ricordati felicemente, tuttavia l’imperatore si ammalò improvvisamente di una malattia
sconosciuta – oggi si crede il saturnismo – che lo fece diventare cagionevole di salute e mentalmente instabile.
Da quel momento eliminò gli oppositori politici, umiliò la classe senatoria (si dice sino a nominare senatore il
proprio cavallo) e pretese la venerazione e gli onori spettanti ad un monarca assoluto sul modello orientale.
Popolare tra la plebe con elargizioni e giochi circensi, prosciugò le finanze statali e fu vittima di un colpo di
stato dei pretoriani nel 41 d.C.
Claudio (41-54 d.C.)
Mentre il Senato pensava ad una restaurazione della Repubblica, i pretoriani acclamarono loro stessi il nuovo
imperatore, nominando come successore di Caligola suo zio, fratello di Germanico, Claudio. Questo, comprata
l’approvazione senatoria, fino ad allora pressoché estraneo alla vita politica, rese efficiente la burocrazia
statale e stabilizzò la situazione internazionale, nonché le finanze dello stato. Ammise in Senato alcuni
provinciali della Gallia Narbonense ed avviò una campagna di conquista in Britannia che si concluse con la
conquista dell’intera isola, nel 44 d.C. e la sua trasformazione in provincia. Reduce da due matrimoni, sposò
anziano Messalina da cui ebbe un figlio, Britannico. Tuttavia la condotta morale della moglie ed il suo
coinvolgimento in un complotto ordito contro di lui, lo costrinsero a condannarla a morte. Si risposò con sua
nipote Agrippina, figlia di Germanico, già vedova di un nobile romano e con un figlio, nato nel 37 d.C. di nome
Nerone. Agrippina – pare – fece avvelenare il marito nel 54 d.C. e spinse il Senato ad esautorare il legittimo
erede Britannico, facendo così salire sul trono il figlio Nerone.
Nerone (54-68 d.C.)
Salito al trono diciassettenne, subì agli inizi le influenze della madre, del prefetto del pretorio Afranio Burro e
del filosofo Seneca. Il Senato vedeva in quest’ultimi due la garanzia di un governo pacifico e non dispotico.
Ben presto però il giovane imperatore si ‘emancipò’: ucciso il fratellastro Britannico, congedato Seneca, uccisa
la Madre e morto Afranio, egli si circondò da cortigiani fidati ed assunse caratteristiche assolutistiche. In
Oriente, grazie al suo generale Corbulone, impose il protettorato di Roma in Armenia e sconfisse i Parti. Sotto
il suo regno nel 64 d.C. avvenne un devastante incendio per la capitale. Nerone fece ricadere la colpa
dell’incendio sui cristiani, dando il via alla persecuzione che ucciderà gli apostoli Pietro e Paolo. Tuttavia è
ormai tesi consolidata che fu lo stesso Nerone ad ordinare che fosse appiccato il fuoco: infatti sulle rovine
dell’incendio ordinò la costruzione di una reggia immensa, la Domus Area. Interessato alla cultura greca, fece
un viaggio nell’Ellade ed elargì benefici fiscali, usava inoltre esibirsi durante i giochi come auriga, e come
attore e cantante. La classe aristocratica, ripudiando gli atti di Nerone, ordì contro di lui una congiura che
faceva capo alla famiglia dei Pisoni. Quando l’imperatore scoprì il complotto avviò uno sterminio dei
responsabili, che videro il suicidio di grandi personalità dell’epoca, tra cui lo stesso Seneca. Sospettando anche
del suo generale Corbulone fece uccidere anche lui, attirandosi l’astio dei militari. Nel 68 d.C. il malcontento
raggiunse livelli altissimi, e le legioni spagnole si ammutinarono e proclamarono imperatore il loro
comandante, il senatore Galba. Il malcontento si estese ben presto a Roma e Nerone, oramai rimasto solo, si
suicidò.
La dinastia Flavia
L’anno dei quattro imperatori
Nel 69 d.C. si susseguirono al potere quattro differenti imperatori, rovesciati da colpi di stato militari – essendo
stato esautorato completamente il senato da qualsiasi decisione in merito. Il primo fu Galba, rovesciato dai
pretoriani che imposero al trono Otone; a sua volta ucciso dalla ribellione delle truppe di Vitellio. L’esercito
d’Oriente che sedava la rivolta ebraica, riuscì ad avere la meglio insediando a Roma il suo comandante Flavio
Vespasiano e detronizzando Vitellio. Il colpo di stato militare segnò l’inizio della dinastia Flavia.
Vespasiano (69-79 d.C.)
Proveniente dalla classe dei cavalieri, Vespasiano legittimò il suo potere spingendo il senato ad emanare la
lex de imperio Vespasiani. Essa gli forniva, nell’interesse dello Stato, pieni poteri. Denominato “avaro” dai suoi
contemporanei per la sua politica di austerità economica, egli risanò in realtà le finanze dello Stato, esaurite
da Nerone, per il sostentamento delle campagne militari internazionali. Proprio durante il suo impero, suo
figlio Tito conquistò Gerusalemme nel 70 d.C. Sempre durante il suo regno diede inizio ad una grande
campagna di lavori pubblici e alla costruzione del più grande anfiteatro al mondo: il Colosseo. Nominò infine
come suoi successori i figli Tito e Domiziano affermando il principio di trasmissione ereditaria del potere.
Tito (79-81 d.C.)
«Amor ac deliciae generis humani.» (Svetonio)
Già celebre per la vittoria nella guerra giudaica salì al trono nel 79 a.C., in quello stesso anno l’eruzione del
Vesuvio distrusse Pompei e l’anno successivo un incendio devastò Roma. Lui stesso aiutò con le sue finanze
la ricostruzione. Durante il suo principato terminò la costruzione del Colosseo. Si spense nell’81 a.C. dopo una
forte febbre contratta nell’assistenza dei malati o a seguito di un avvelenamento del fratello. A lui fu dedicato
un arco di trionfo accanto l’Anfiteatro Flavio. È ricordato tra i più buoni imperatori della storia romana.
Domiziano (81-96 d.C.)
A Tito successe il fratello Domiziano che riprese i conflitti con la classe senatoria e rinnovò la tendenza
autoritaria del principato. Intraprese una forte repressione contro gli oppositori politici e gli intellettuali
contro il regime. Soldato, si preoccupò in particolar modo dell’esercito e condusse personalmente alcune
spedizioni militari contro i Catti, che lo portarono alla conquista delle regioni oltre il Reno. Intraprese poi una
campagna in Dacia che terminò con una pace di compromesso firmata dal re dei Daci Decebalo nell’89 d.C.
Soffocò nel sangue molte congiure e intraprese persecuzioni contro l’aristocrazia, gli ebrei, e i cristiani. Nel 96
d.C. rimase vittima di una congiura ordita dai pretoriani e dai Senatori. Finì così la dinastia Flavia.
Il II secolo d.C.
L’età dell’oro: il beatissimum saeculum.
Gli storici, antichi e moderni, parlano del II secolo d.C. come un periodo di splendore per l’Impero: erano
notevolmente migliorati il rapporto tra Imperatore e Senato, entrambi provenienti dalla nobiltà provinciale
con comuni origini, mentalità ed interessi.
Per una serie di circostanze nessuno degli imperatori di questo secolo ebbe discendenti diretti, per evitare
guerre di successione designarono, adottandoli, sempre persone esterne alla famiglia. Si parla dunque di
principato per adozione. Questo sistema garantiva l’accesso al potere a persone degne e allo stesso modo lo
legittimava, giacché nel diritto romano l’ereditarietà non era contemplata.
I confini dell’Impero in questo secolo raggiunsero la massima estensione, il governo provinciale era ormai
parte integrante dell’ordinamento romano e ogni città era amministrata da un autonomo consiglio di
decurioni, i cittadini più eminenti. Tutte le città disponevano di opere pubbliche che elevavano notevolmente
la qualità della vita: un simile tenore di vita si è raggiunto nuovamente in tempi estremamente recenti. Le
regioni dell’Impero erano collegate da un’efficiente rete stradale, sicuro per i viaggiatori e soprattutto per i
mercanti.
La crisi imminente
Nonostante lo splendore dell’impero si iniziavano ad avvertire i segni del declino: l’Italia perse sempre più il
ruolo di nazione guida, l’agricoltura decadde assieme alla popolazione a causa della leva militare che gravava
particolarmente sulla popolazione italica – in maggioranza nell’esercito. Le reclute inviate sul confine dopo il
servizio si stabilivano in quei pressi aumentando la popolazione provinciale e diminuendo quella italica. Gli
imperatori cercarono di ostacolare il fenomeno impedendo l’emigrazione e limitando l’agricoltura pregiata,
del vino, al territorio italico. Tuttavia i cittadini romani erano presenti in maggior numero nelle provincie che
a Roma e non era possibile privarli dei diritti acquisiti. Inoltre l’agricoltura, su cui si basava l’economia
dell’Impero, era ancora poco voluta e non riusciva a sostenere le spese crescenti dell’economia. Inoltre
l’inesorabile avanzata del latifondo frenava le aziende agricole e diminuiva la produzione totale: mentre
queste erano gestite da famiglie e producevano, i primi erano affidati al lavoro più grezzo degli schiavi. Inoltre
la situazione di pace presentò tra le altre conseguenze la mancanza degli schiavi che vennero ben presto
sostituiti dai coloni. Il colonato era uno status giuridico che prevedeva che un uomo libero, contadino, si
mettesse al servizio di un padrone e ne lavorasse la terra trattenendo per se una parte per sfamare la propria
famiglia. Se questo sistema inizialmente funzionava, le tasse ed il brigantaggio rovinarono la condizione dei
lavoratori aprendo la strada alla condizione medievale dei servi della gleba e riducendoli de facto in schiavitù.
La cultura classica
Nel II secolo d.C. la classe colta greca e romana si fusero negli stessi ideali e produssero opere letterariofilosofiche in un unicum culturale greco-latino chiamato ancora oggi cultura classica. Gli imperatori romani
erano affascinati dalla cultura greca e ne parlavano la lingua, si ritrovavano tanto in Virgilio quanto in Omero.
Ciò portò però la cultura ad essere una sterile rivisitazione del passato senza più occuparsi dell’attualità. La
scuola elaborò la retorica e riscoprì l’antico con l’arcaismo, la filosofia rielaborò le dottrine ellenistiche e lo
stoicismo. In ambito scientifico l’astronomo Claudio Tolomeo elaborò la teoria geocentrica e Galeno di
Pergamo stese diversi trattati sulla medicina alcuni dei quali ancora oggi ritenuti validi.
Nerva (96-98 d.C.)
Nel 96 d.C. dopo la congiura di Domiziano i congiuranti concordarono con il Senato per far salire al trono un
suo membro, Marco Cocceio Nerva. Questi ottenne l’appoggio dell’esercito grazie al più prestigioso generale
dell’epoca Ulpio Traiano, che adottò come figlio e suo successore. Fece cessare le persecuzioni contro i
Cristiani, reintegrò il Senato nelle sue prerogative ed abolì i processi per lesa maestà. Con le sue finanze cercò
di soccorrere i poveri. Alla quarta nomina come console nel 98 d.C. assieme a Traiano, morì tre mesi dopo
l’inizio del mandato. Le sue ceneri con solenne funerale furono poste nel mausoleo d’Augusto.
Traiano (98-117 d.C.)
Ulpio Traiano nacque in Spagna, figlio di un generale, sotto la sua guida l’Impero riprese la guerra contro i
Daci del re Decebalo nel 101 d.C. e sottomise in breve tempo tutta la regione oltre il Danubio nella provincia
della Dacia. Essendo questa ricca di miniere d’oro fu possibile finanziare diverse spedizioni militari e grandi
lavori pubblici: fu costruito un grande foro e gli immensi mercati traianei. Fece inoltre innalzare una colonna
– “Colonna Traiana” - che raffigurasse le sue imprese di guerra. Spostò dunque le campagne militari in Oriente
contro i Parti (114 d.C.), ne conquistò la capitale, Ctesifonte, e annesse tutta la Mesopotamia all’Impero. Il
nuovo regno dei Parti, oltre l’Oceano Indiano, risultava molto più ristretto, ridotto a stato vassallo di Roma.
Dalla Mesopotamia l’Imperatore fu costretto però a rientrare a causa di una rivolta ebraica. Durante il suo
regno riorganizzò la burocrazia ed emanò leggi in favore dei piccoli proprietari terrieri, abolì i debiti per le
tasse arretrate, creò un fondo popolare per concedere prestiti ai contadini indebitati ed emanò una legge che
costringeva i senatori ad un investimento di un terzo dei loro capitali nella penisola italica. Tuttavia non è noto
quanto questa legge abbia trovato applicazione. Ammalatosi nel 116 d.C., morì a Selinunte in Cilicia (Turchia)
l’8 agosto 117 d.C. Le sue ceneri furono poste, a discapito del divieto di sepoltura nel territorio cittadino, nella
Colonna Traiana ma furono successivamente saccheggiate per fondere l’urna che le conteneva. Molti
aneddoti circondano quello che dopo quasi duemila anni è considerato tra i più grandi statisti della storia.
Adriano (117-138 d.C.)
Prima di morire Traiano adottò come erede suo nipote, anch’esso di origine spagnola, Elio Adriano. Uomo di
cultura invertì totalmente la tendenza intrapresa dagli imperatori sino ad allora: rinunciò al dominio sui Parti
in Mesopotamia e smise di espandere i confini dell’Impero preferendo il consolidamento di quelli già esistenti.
Fece costruire una linea fortificata in Britannia lunga 120 Km, il Vallo di Adriano, a difesa dei confini. Questa
scelta fu probabilmente dettata da ragioni economiche: lo Stato non sarebbe stato in grado di sostenere gli
oneri della guerra e della difesa tanto a lungo. Si dedicò quindi alla riorganizzazione dello stato e
dell’economia. Favorì la rinascita della cultura greca, con a capo Atene che subì una rifioritura urbanistica
grazie all’architetto Erode Attico, fidato dell’Imperatore. Fece costruire vicino la Capitale un’immensa villa,
Villa Adriana, ed un grande mausoleo che oggi è Castel Sant’Angelo. Fondò poi molte città, specialmente in
zone allora tribali. Durante il suo regno gli ebrei si ribellarono nuovamente e la rivolta fu soffocata nel sangue,
e su Gerusalemme fu fondata la colonia di Elia Capitolina. Migliorò la diffusione dell’istruzione e la scelta dei
funzionari era su base dei meriti, così come anche la sua corte. Morì a 62 anni di edema polmonare. Fu sepolto
nel suo mausoleo.
Antonino Pio (138-161 d.C.)
Ad Adriano successe nel 138 d.C. un nobile della Gallia, Antonino Pio, che l’imperatore aveva adottato. Iniziò
con lui la dinastia degli Antonini. Durante il suo regno si occupò marginalmente della politica estera poiché il
suo predecessore aveva stabilito una salda pax. Proseguì quindi nello sviluppo della politica interna sulle linee
del suo predecessore. Quando lo adottò Adriano aveva imposto ad Antonino di adottare a sua volta due
fratelli: Marco Aurelio e Lucio Vero. Morì serenamente il 7 marzo 161 d.C. dopo tre giorni di malattia.
Marco Aurelio (161-180 d.C.)
Alla morte di Antonino salirono assieme al potere Marco Aurelio e Lucio Vero, tuttavia a governare fu soltanto
il primo. Egli fu seguace della filosofia stoica, e scrisse una raccolta di pensieri e meditazioni. Nei suoi testi si
evince un profondo pessimismo. In questo periodo iniziò la crisi dello Stato: i Germani ed i Parti assaltarono
contemporaneamente le frontiere. Quest’ultimi invasero la Siria e furono respinti con fatica dal generale
Avidio Crasso e Lucio Vero nel 165 d.C. Tuttavia la guerra ebbe molte conseguenze negative: un’epidemia di
peste si diffuse tra l’esercito e poi tra la popolazione, i milioni di morti causarono grandi problemi
all’economia, molte campagne rimasero incolte e la vita cittadina decadde, e molti furono arruolati con la
forza. Nel 166 d.C. intanto i Quadi ed i Marcomanni, tribù germaniche, forzarono il confine del Reno e furono
fermati solo nel 175 d.C. ad Aquileia dallo stesso imperatore. Dopo un trattato di pace dalla durata effimera
si ribellarono nuovamente nel 180 d.C., l’imperatore si mosse per affrontarli ma morì di peste a Vienna.
Commodo (180-192 d.C.)
A Marco Aurelio, interrompendo il periodo del principato adottivo, succedette il figlio diciannovenne
Commodo. Assai diverso dal padre, aveva tratti popolareschi e autocratici, attirando la delusione del Senato,
da lui per altro esautorato e dei militari alla decisione di porre fine alla guerra, ma fu invece assai apprezzato
dal popolo. L’imperatore infatti sperperò le finanze dello Stato in feste e giochi pubblici, e fece vita da
personaggio pubblico. Dopo un periodo di repressione dell’aristocrazia, fu ucciso nel 192 d.C. in un complotto
di palazzo.
Eventi Storici Contemporanei Roma
Civiltà dell’Oriente
La Civiltà Indiana
Tra il 2500 ed il 1500 a.C. si sviluppa intorno all’Indo una civiltà caratterizzata da grandi centri urbani i cui
abitanti conoscevano la scrittura e vivevano d’agricoltura. Attorno al 1500 a.C. una civiltà indoeuropea si
impadronì del nord dell’India e vi stabilirono una società separata in caste rigidamente divise così che le
popolazioni più importanti non si contaminassero.
Dal V secolo a.C. la civiltà indiana rifiorisce come una civiltà urbana lungo il fiume Gange. L’economia si
caratterizzò da un rapido sviluppo dei commerci e l’introduzione di una moneta. In quest’epoca si costituì un
grande regno che conobbe il massimo splendore con la dinastia Maurya, ed in particolare sotto il re Ashoka
(268-231 a.C.).
La religione indiana è una forma di politeismo che include anche la dottrina della metempsicosi: due sono i
libri sacri, i Veda e le Upanishad. Nel VI secolo a.C. il jainismo ed il buddhismo si impongono come filosofie
per superare la divisione in caste imposta dalla religione vedica.
La Civiltà Cinese
Nel 1500 a.C. si afferma attorno al fiume Giallo un potente Stato centralizzato dominato dalla dinastia Shang.
A questo periodo risalgono le prime testimonianze di scrittura cinese. Alla dinastia Shang, dopo quattro secoli,
subentrano le tribù dei Chou che non modificano l’assetto politico precedente.
In Cina si affermarono due dottrine religiose: il confucianesimo, che si basa sugli insegnamenti di Confucio, e
che impone il rispetto dell’ordine costituito e delle gerarchie sociali; ed il taoismo che propone invece la via
(“Tao”) dell’armonia con l’Universo.
Nel 221 a.C. sotto la dinastia Chin viene unificata la Cina sotto un unico impero, nel 206 a.C. con la dinastia
Han viene completata la costruzione della Grande Muraglia e viene sviluppata la via della seta.
Il Cristianesimo
Il Gesù Storico e la Chiesa primitiva
Nato a Betlemme di Giudea e cresciuto a Nazareth, Gesù fondò una nuova religione storicamente nata come
ramo dell’ebraismo, affermava di essere figlio di Dio e Messia del popolo israelita. Il suo messaggio vicino ai
poveri, gli afflitti e gli schiavi ebbe larga diffusione tra i suoi discepoli. A trentatré anni di età, accusato di
corruzione della religione fu processato dinnanzi al procuratore Ponzio Pilato fu condannato alla crocifissione.
I suoi discepoli credettero alla sua resurrezione e predicarono il suo messaggio nell’Impero. Il maggior
contributore di ciò fu S. Paolo di Tarso.
La Chiesa primitiva era ben organizzata e grazie alle elemosine raggiunse una buona stabilità economica. Le
riunioni del culto erano presiedute da anziani con a capo un vescovo. Era valore fondamentale l’obbedienza.
Successivi sviluppi
Sino al III secolo d.C. lo Stato tollerò la comunità cristiana, tuttavia con gli imperatori Decio, Valeriano e
Diocleziano iniziarono grandi e sistematiche persecuzioni contro i cristiani che rifiutarono il servizio militare,
la carriera politica ed i sacrifici agli idoli e all’imperatore.
Nacquero in tutto l’impero correnti mistiche che tentarono di approfondire il rapporto tra l’uomo e la divinità,
il neoplatonismo in particolare si affermò durante il III secolo d.C. che proponeva un ideale di vita ascetico
tramite un percorso spirituale di purificazione. Il cristianesimo si confrontò con l’allora presente cultura
classica ed i Padri della Chiesa lavorarono per integrare le due tradizioni.
Il III secolo d.C.: origini della crisi
Rapporto tra campagna e città
Durante il III secolo d.C. l’impero cambiò profondamente il suo assetto politico ed attraversò un periodo di
forte instabilità. Le cause di tutto questo sono da ricercare in una divisione sociale sempre più netta: quella
fra la città, interessata all’urbanizzazione, alla politica e con un tenore di vita assai alto; e la campagna, che
invece era rimasta arretrata. La popolazione viveva sempre più nelle campagne che tuttavia furono sempre
meno integrate con le città, che invece le opprimeva con pesanti tassazioni ed il consumo di gran parte del
raccolto. È da considerare anche il fatto che la maggior parte delle terre erano di proprietà dell’aristocrazia
cittadina che tuttavia ne delegava il lavoro. La popolazione preferì alla carriera militare volontaria la vita nei
campi al servizio dei patrizi così che l’esercito fu costretto ad imporre la leva obbligatoria per reclutare i propri
soldati: l’esercito di Roma era formato per lo più da poveri contadini. Ciò voleva dire che i cittadini per il quale
i contadini provavano rancore e risentimento sarebbero stati difesi da loro stessi in servizio militare: ciò portò
a ribellioni e razzie delle città stesse da parte dei soldati-contadini che le difendevano. È il caso di Besançon
nel 269 d.C. L’arruolamento dei contadini, specialmente dei provinciali, per la difesa dei confini fece sì che
l’esercito non fosse più composto da italoti ma bensì da semibarbari o popolazioni sottomesse.
La crisi economica
Le distruzioni causate da razzie e guerre civili portarono ad una minor produzione agricola. Inoltre ebbe corso
in quel periodo una pesante svalutazione monetaria, lo stato coniava monete di minor valore, di rame, che
spesso non erano accettate dai cambiavalute, e che aumentavano l’inflazione. Ciò portò ad un pesante
regresso economico tanto che alcune parti dell’impero tornarono al baratto. A causa dell’insicurezza delle
comunicazioni e della pirateria il commercio diminuì, così anche l’artigianato regredì, per far fronte alle
necessità delle popolazioni rurali. Il tutto portò ad un aumento della disoccupazione nelle città, con la
conseguenza di spese di sostentamento delle masse ridotte alla fame da parte dell’Impero. Nelle campagne
intanto divenne la norma il colonato e la maggioranza della popolazione era ridotta ad essere servitù della
gleba strettamente legata al suo campo.
La degenerazione politica
Nel 192 d.C. caduto Commodo, e con lui una stirpe di imperatori che portarono prosperità all’impero, fu
proclamato imperatore Elvio Pertinace, prefetto di Roma e compagno d’armi di Marco Aurelio. Propose una
politica di disciplina nell’esercito e contenimento della spesa pubblica, non gradita ai pretoriani che lo
assassinarono. Gli stessi pretoriani misero all’asta il titolo di Imperatore, che venne comprato dall’anziano
senatore Didio Giuliano, ricchissimo ma di dubbia reputazione. Questa
situazione
provocò
l’ammutinamento dell’Esercito ed ogni legione acclamò imperatore il suo generale. Alla fine prevalse il
comandante dell’esercito stanziato sul Danubio, Settimio Severo che, eliminati i rivali, occupò Roma nel 193
d.C. fondando la dinastia dei Severi.
Settimio Severo (193 – 211 d.C.)
La politica di Severo fu improntata su quella che era precedentemente la sua carriera: l’esercito. Rafforzò
l’apparato bellico e autorizzò molti privilegi ai militari a discapito dell’aristocrazia senatoria. Per far fronte alla
maggior richiesta di denaro dimezzò la quantità d’argento nelle monete ed in questo modo ne coniò in
maggior numero scatenando l’inflazione. Iniziò tra l’altro la tendenza di dare potere all’ambiente provinciale
e generalmente meno acculturato. Il Senato perse durante la dinastia dei Severi sempre più potere e le
provincie aumentarono la loro rilevanza. Durante il regno di Settimio furono sconfitti i Parti e fu ripristinata la
supremazia romana in Mesopotamia. Settimio Severo morì nel 211 d.C. durante una campagna militare in
Britannia.
Caracalla (211 – 217 d.C.)
Alla morte di Severo furono proclamati coimperatori i figli Caracalla e Geta. La rivalità fra i due sfociò
nell’assassinio di Geta e dei suoi seguaci, e Caracalla salì al trono. Distribuì ingenti somme di denaro ai soldati
per guadagnarsene la fiducia e fu di conseguenza costretto ad aumentare le tasse a carico specialmente della
classe senatoria, che gli divenne nemica. Durante il suo regno, nel 212 d.C., emanò l’importantissima
Constitutio Antoniniana con la quale concesse il diritto di cittadinanza romana anche ai provinciali: non per
generosità ma per aumentare le entrate nelle casse dello Stato, ponendo tutti in egual condizione ed onere
dinnanzi al fisco. Caracalla fu assassinato durante una spedizione contro i Parti dal prefetto del pretorio
Macrino, della Mauretania, che si fece proclamare imperatore.
Eliogabalo (218-222 d.C.)
Macrino fu ben presto deposto ed ucciso dai militari che elessero imperatore Marco Aurelio Antonino, detto
Eliogabalo, nipote quattordicenne di Caracalla e rimisero il potere nelle mani dei Severi. Il giovane fu la
marionetta nelle mani della nonna Giulia Mesa, la madre Giulia Soema e la zia Giulia Mamea, e difatti Roma
era retta da un matriarcato. I suoi costumi orientali provocarono il malcontento del Senato e dei Pretoriani.
La nonna Giulia Mesa vedendo l’impopolarità delle decisioni del sovrano gli fece adottare un altro suo nipote,
Alessandro Severo e spinse i pretoriani ad assassinarlo. Nel 222 d.C. fu vittima di una congiura e cadde nella
damnatio memoriae.
Alessandro Severo (222-235 d.C.)
Salito al trono il tredicenne Alessandro Severo fu anche lui manovrato dalla nonna e dalla madre, che
cercarono di instaurare buoni rapporti con il Senato e diminuirono l’importanza dell’esercito. Mantennero,
seppur più pacatamente, i costumi orientali. Alessandro Severo non godeva affatto ottima popolarità fra
l’esercito, convinto pacifista, i provvedimenti militari aggravarono la sua posizione e provando a mettersi a
capo di alcune spedizioni, fu ammutinato nel tentativo di fermare un’incursione germanica nel 235 d.C. e
ucciso assieme alla madre. La nonna invece fu divinizzata.
Massimino il Trace (235-238 d.C.)
L’esercito ribelle proclamò imperatore il centurione Massimino detto “il Trace”, per via della regione di
provenienza. Figlio di genitori barbari e con un passato da pastore, era analfabeta ma molto forte, guidò
diverse campagne di consolidamento dei confini senza mai recarsi a Roma per essere incoronato. Ottenne
l’ostilità del Senato, anche a causa della tassazione imposta per il mantenimento delle spese di guerra, e fu
deposto e ucciso da una cospirazione.
L’Anarchia Militare (238-284 d.C.)
A causa dei conflitti fra i due poteri fondamentali, la politica senatoria ed i militari, dal 238 al 284 d.C. si creò
un clima di forte instabilità per la quale il titolo imperiale passò in mano a ventuno persone differenti incapaci
di formare una nuova dinastia e tutte vittime di ammutinamenti e ribellioni. Inoltre il clima gravò sulla politica
internazionale del tempo ed i romani non riuscivano più a tener fuori dai confini i barbari. L’economia era al
tracollò serviva infatti molto denaro per le spese militari ma non era possibile coniarne altro per la mancanza
d’oro e d’argento, furono aumentate le tasse sulla popolazione e i metalli preziosi nelle monete ridotte al
minimo con conseguente continua svalutazione e danni al commercio. La peste che durò l’intero secolo
spopolò le città e le campagne e ne seguì una carestia, e la mancanza di soldati costrinse l’arruolamento di
mercenari germanici che gravavano ancor di più sul bilancio. Il potente movimento migratorio dei Goti invase
i confini e assieme alle pressioni dei Germani sulle frontiere del Reno e del Danubio costrinsero l’esercito ad
un tamponamento ed ulteriore lavoro. Inoltre con la salita al potere dei Sasanidi nel 224 d.C. al regno dei Parti
questi rinvigorirono e, affermando di essere i discendenti dei Persiani, rivendicarono parte dell’Impero. Sotto
il loro re Shapur I (Sapore I per i Romani) riuscirono a sfondare le difese romane ed occupare Antiochia, per
poi essere faticosamente respinti.
Filippo l’Arabo (244-249 d.C.)
Il generale che respinse i Parti, Filippo detto “l’Arabo”, arabo romanizzato, fu acclamato Imperatore nel 244
d.C. Sotto di lui si svolsero i festeggiamenti, nel 248 d.C., per i mille anni dalla fondazione di Roma, che furono
grandiosi e contenevano giochi nel Colosseo per celebrare la gloria di Roma. Tuttavia, pochi mesi dopo, questo
clima di festeggiamento fu interrotto dall’invasione dei Goti che oltrepassarono il Danubio e forzarono il limes.
I Romani riuscirono a scacciare i Goti pagando una forte somma di denaro (una sorta di ‘Riscatto’). Filippo fu
assassinato da una rivolta dell’esercito che proclamò imperatore Decio.
Decio (249 – 251 d.C.)
Salito al trono dopo Filippo l’Arabo, era tra i più abili generali del suo tempo. A lui si attribuisce l’inizio di una
sistematica e spietata persecuzione contro i cristiani. Morì in battaglia contro i Goti. Seguì quindi un clima di
instabilità a cui si susseguirono diversi generali-imperatori di regni brevi ed inconcludenti.
Valeriano e Gallieno (253-268 d.C.)
Nel 253 d.C. salì al trono un esponente del ceto senatorio, Valeriano, che instaurò per la prima volta una
divisione dell’impero affidando il governo della parte occidentale al figlio Gallieno. Nel 260 d.C. durante una
battaglia contro i Parti fu catturato e, ignorato dall’esercito, morì in prigionia. Rimase al potere solamente
Gallieno che a stento riuscì a difendere l’Italia dai Germani: Sparta e Atene furono saccheggiate e la Grecia
pressoché distrutta. Bande di Goti invasero l’Asia Minore e ne fecero razzie, fu bruciata anche una delle sette
meraviglie del mondo: il tempio di Artemide ad Efeso. Gallieno escluse i senatori dal comando delle
formazioni militari sancendo così la divisione tra la carriera civile e quella militare.
La crisi dell’Unità Imperiale
In questo periodo per fronteggiare le invasioni nemiche, molte provincie si resero autonome – a volte con il
benestare del governo di Roma – celebre l’Impero delle Gallie, costituito da Spagna, Gallie e Britannia; che
elesse un proprio imperatore, il generale Postumo (260-269 d.C.) che blocco nuove ondate di barbari sul Reno.
In Oriente invece fu organizzata a Palmira, città della Siria, una grande resistenza contro i Persiani guidata dal
principe siriaco Settimio Odenato che fu dichiarato da Roma, Re di Palmira e costituì un governo autonomo.
Alla morte del principe gli successe la moglie Zenobia, come coreggente del figlio Vaballatto, che estese
abilmente i confini del Regno di Palmira sino all’Egitto e all’Eufrate. Proclamatasi Augusta nel 271 d.C. ed
andando apertamente contro Roma, fu sconfitta da Aureliano nel 273 d.C. che la costrinse a Roma con catene
d’oro. Graziata gli fu permesso di sposarsi con un senatore romano e si ritirò a vivere a Tivoli partecipando
alla vita mondana sino al 275 d.C., anno della sua morte.
Aureliano (270 – 275 d.C.)
I generali Claudio II (imperatore dal 268 al 270 d.C.), che sconfisse i Goti presso Naisso, ed Aureliano che
riconquistò nel 273 d.C. i regni autonomi delle Gallie e di Palmira e ricostituì l’unità dell’Impero. Aureliano fu
nominato imperatore dopo Claudio II, ed ordinò la costruzione delle mura aureliane che cingendo Roma
meglio difendevano la Capitale, secondo l’imperatore ora a rischio di invasioni barbare. Pare che durante una
sua spedizione in Egitto per reprimere dei disordini, andò a fuoco la Biblioteca d’Alessandria, crollando un
altro pilastro della cultura antica. Fu ucciso in una congiura nel 275 d.C. Gli succedettero Tacito (275 – 276
d.C.) discendente del grande storico, e Probo (276-282 d.C.) che sconfisse ripetutamente i Vandali ed altre
popolazioni germaniche. Infine salì al trono un generale proveniente dalla Dalmazia: Diocleziano.
L’Epoca Tardoantica
Gli storici indicano il periodo subito precedente la fine dell’impero romano d’occidente (476 d.C.), con il nome
di “epoca tardoantica”. In questo periodo una serie di eventi di grande portata operarono una frattura
insanabile con il periodo precedente: avvennero profondi mutamenti demografici, economici, religiosi, sociali
e politici. Tuttavia gli antichi probabilmente la deposizione dell’ultimo imperatore di occidente passò
inosservata, inombrata da altri avvenimenti ben più impressionanti come il saccheggio di Roma per causa dei
Visigoti del 410 d.C.; e mentre molti aristocratici romani pensavano alla fine della civiltà con le invasioni
barbariche, i cristiani ipotizzavano semplicemente la fine di un ciclo storico. Il cristianesimo intanto nel corso
del IV secolo d.C. accettò di incorporare nella propria dottrina l’eredità classica. Durante il V secolo d.C. infine
il Mediterraneo perse la propria centralità e si sgretolò la salda unità culturale delle civiltà che vi si
affacciavano: l’Europa e l’Asia presero ognuna vie proprie e l’asse politico europeo si spostò verso il nord e
l’Italia da centro divenne frontiera meridionale. Tuttavia la cultura latina restò predominante anche fra i
barbari ed i vinti vinsero culturalmente i vincitori.
Diocleziano (284-305 d.C.)
Salito al potere nel 284 d.C., di umili origini, ripristinò l’ordine nell’impero modificandone la struttura,
comprendendo che quella precedente non poteva durare a lungo. Modificò l’assetto imperiale in una
monarchia assoluta, dando all’imperatore non il titolo di magistrato ma di dominus il quale non doveva render
conto a nessuno delle proprie decisioni, ai cui comandi vi era un potente esercito ed uno stuolo di fidati
funzionari alle sue dirette dipendenze. Per evitare le ribellioni militari che caratterizzarono il periodo
precedente, riordinò l’esercito. Diminuì il numero di soldati per legione affinché i colpi di stato fossero più
difficili, ma aumentò di conseguenza il numero delle legioni. Divise l’esercito in due parti: le truppe di frontiera
sul limes, i limitanei e le truppe da combattimento, comitatus, all’interno e controllate dall’Imperatore. La
spesa divenne però altissima dovendo mantenere 600 000 uomini non produttivi. Inoltre divise il territorio in
12 diocesi raggruppando le province, ed equiparando l’Italia al resto dell’Impero, e le diocesi le riunì in quattro
grandi regioni controllate da altrettante capitali imperiali e alti funzionari, imperatori, con cui Diocleziano
spartì il potere. Si venne perciò a creare una tetrarchia (ovvero “governo di quattro”). Assunse il titolo di
augusto che condivise con Massimiano. I due nominarono a loro volta due cesari Galerio e Costanzo Cloro.
Ognuno di essi governava su una delle quattro regioni anche se di fatto l’autorità suprema spettava a
Diocleziano. Il sistema di successione fu regolato nel modo seguente: alla morte di un augusto il rispettivo
cesare ne assumeva il grado e nomina un altro cesare. Ognuno inoltre controllava meglio l’esercito. Le quattro
capitali divennero città al confine dell’Impero: Treviri, Milano, Sirmio e Nicomedia: Roma perse ogni valenza
politica ed il Senato divenne difatti il consiglio comunale della città. Diocleziano riformò quindi l’apparato
economico garantendo introiti fissi allo stato: ogni estensione di terra (iugum) aveva corrisposto un cittadino
soggetto a tasse (caput). Ed ogni cittadino libero doveva contribuire al pagamento delle imposte. Tuttavia le
misure prese per far funzionare il sistema portarono ben presto a reprimere la libertà dei cittadini e
“congelare la società”: fu imposto il divieto di cambiare residenza e fu fatto in modo che ogni contribuente
avesse un successore con medesimi doveri fiscali che gli sopperisse in caso di morte. Così che le professioni
divenissero ereditarie. La situazione, troppo rigida, generò un forte mal contento. Inoltre, oltre i tributi, i
sudditi dovevano fornire viveri ai soldati sul fronte (annona militaris). Per limitare l’inflazione, intanto
vertiginosamente cresciuta, Diocleziano fissò con l’edictum de pretiis il prezzo massimo di circa mille prodotti:
il risultato fu la loro scomparsa dal mercato ‘ufficiale’ e la nascita di un mercato nero. L’economia pianificata
aveva fallito. Tra il 303-304 d.C. con lo scopo di controllare anche la vita religiosa Diocleziano emanò decreti
anticristiani e ne avviò una persecuzione. Si ritirò dalla vita politica nel 305 d.C. e si spense nel suo palazzo a
Spoleto il 3 dicembre 311 d.C.
Costantino (306-337 d.C.)
Dopo l’abdicazione degli augusti Diocleziano e Massimiano nel 305 a.C. molti pretendenti rivendicarono il
potere, prevalsero su tutti Costantino – figlio per altro del cesare Costanzo Cloro – e Licinio. Costantino
sconfisse nel 312 d.C. a Ponte Milvio il suo rivale Massenzio e si insediò a Roma come imperatore d’Occidente.
Licinio della parte orientale. Tuttavia alla morte di questo nel 324 d.C. il potere tornò nelle mani di una sola
persona: l’imperatore Costantino. Egli riformò profondamente il sistema romano convinto della necessità di
uno stato forte, creò una nuova classe dirigente monarchica e pose fine ai conflitti religiosi. Promulgò per tale
ragione l’editto di Milano nel 313 d.C. in cui sanciva libertà di culto, e quindi favorì la minoranza cristiana,
consapevole della rilevanza politico-economica che occupava nell’impero. Infine si convertì egli stesso al
cristianesimo e concesse progressivamente posti di rilevanza ai fedeli di tale religione. Si nominò egli stesso
tutore del cristianesimo – similmente al titolo di pontifex maximus nella tradizione romana – e a volte si
intromesse in questioni teologiche: nel 325 d.C. ad esempio, durante il Concilio di Nicea, espresse e fece
pesare la propria opinione contraria all’arianesimo ottenendo infine che fosse etichettato come un’eresia.
Tuttavia la Chiesa, oramai organizzata e riconosciuta, chiese man mano sempre più potere ed indipendenza
facendo in tal modo nascere quello che è chiamato potere temporale. Un altro importante cambiamento
operato da Costantino fu la fondazione di una nuova capitale, sul luogo dell’antica Bisanzio, chiamata
originariamente Nuova Roma e oggi nota come Costantinopoli per allontanarsi dalla pagana e senatoria Roma
e proiettarsi verso Oriente. La città fu patria di opere d’arte e abbellimenti artistici. Costantino riformò anche
l’esercito migliorando il sistema di Diocleziano, dove il nucleo divenne la guardia del corpo imperiale
(comitatus) notevolmente incrementata ma, data le difficoltà di reclutamento, formata prevalentemente da
barbari. Portando ad estraniare al nucleo originario anche l’organismo principale dello stato. Questo
imbarbarimento non sembrò provocare grandi problemi inizialmente, tuttavia nel secolo successivo si
sarebbe rivelato in tutta la sua gravità. Costantino morì il 22 maggio 337 d.C. non molto lontano da Nicomedia.
Gli succedettero i figli Costantino II, Costante e Costanzo. La capitale della parte orientale era oramai
Costantinopoli, nella parte occidentale invece era Milano ad essere la città principale e Roma aveva
definitivamente perso ogni potere. I diverbi tra i figli di Costantino portarono alla deposizione e all’assassinio
di Costantino II, rimasto invece vittima di una ribellione anche Costante, Costanzo divenne imperatore. Scelse
come coimperatore in vece del fratello suo cugino Giuliano. Questo fu abile generale in Gallia, dove sbaragliò
gli Alamanni nel 357 d.C. e fu eletto dalle sue truppe imperatore. Nonostante si prospettasse una guerra civile
la morte di Costanzo impedì i conflitti e nel 361 d.C. Giuliano fu unico imperatore.
Giuliano (361-363 d.C.)
Ultimo imperatore filosofo, sul modello di Marco Aurelio, tentò un ripristino del paganesimo allontanando
dalle cariche importanti i cristiani e si circondò di filosofi di ispirazione pagana. Reclutato un esercito
imponente, inoltre, decise di dare un colpo decisivo all’Impero sasanide e giunse sino a Ctesifonte, capitale
persiana. Durante la guerra fu ucciso dal colpo di una lancia nemica.
Teodosio (379-395 d.C.)
Dopo la morte di Giuliano i Visigoti (Goti dell’Ovest) nel 375 d.C., per sfuggire alle pressioni degli Unni, una
popolazione nomade che stava edificando un impero nelle steppe dell’Europa orientale, raggiunsero i confini
romani del Danubio e chiesero di essere ammessi all’Impero. Quest’ultimo in quell’epoca era diviso tra due
sovrani: Graziano, augusto d’occidente, e Valente, per l’oriente. Questo acconsentì al loro stanziamento con
l’intenzione di utilizzarli come esercito in previsione dell’invasione degli Unni. I Visigoti tuttavia iniziarono a
devastare la regione dove si erano stabiliti e Valente decise di affrontarli con le truppe riunite a Costantinopoli,
pronte a partire in Persia. Nel 378 d.C. ad Adrianopoli i Visigoti, numericamente inferiori, riuscirono a
sbaragliare l’esercito nemico e per la prima volta nella storia i barbari prevalsero sui Romani e marciavano
contro Costantinopoli. Morto Valente, Graziano, nel 379 d.C. pose sul trono d’Oriente il generale spagnolo
Teodosio. Questo però anziché mobilitare l’esercito – per scelta o perché l’unica possibilità - cercò un accordo
con i Visigoti. Questi accettarono la pace e si stabilirono nelle province danubiane come alleati dell’Impero.
In un primo momento la classe dirigente romana sembrò assimilarsi con i Goti e portare un periodo di
tranquillità. Nel 380 d.C., con coimperatore Graziano, Teodosio promulgò congiuntamente a lui l’Editto di
Tessalonica che sanciva il Cristianesimo come unica religione ammessa nell’impero, e di conseguenza vietava
il paganesimo e tutte le sue manifestazioni: furono chiusi i templi, sospesi i giochi olimpici e vietati i sacrifici.
I pagani si ribellarono ed elessero imperatore d’Occidente il senatore Eugenio. Alla morte di Graziano, nel 383
d.C., Teodosio dichiarò guerra ad Eugenio: era la prima ed unica guerra di religione dell’antichità. Eugenio fu
sconfitto ed ucciso presso il fiume Frigido (oggi Vipacco), ad Aquileia nel 394 d.C. e Teodosio divenne l’unico
imperatore. Morì nel 395 d.C.
L’ultimo secolo dell’Impero Occidentale
Il potere passò in mano a i suoi due figli: il maggiore, Arcadio, regnò in Oriente, il minore, Onorio, in Occidente.
Questi però, ancora ragazzi, erano manovrati dai tutori di corte ed il potere imperiale si indebolì. I Goti intanto
pressavano lo stato romano con richieste sempre maggiori ed esso non poteva sostenerle giacché le sue
finanze si andavano svuotando sempre più. Il tutore di Onorio era il magister militum, comandante
dell’esercito, Stilicone, condottiero vandalo fedele a Teodosio. Egli guidò la politica occidentale e respinse le
invasioni dei Visigoti che, sotto la guida del re Alarico, erano riusciti a raggiungere l’Italia. Vennero sconfitti
prima a Pollenzo, in Piemonte, nel 402 d.C., ove furono lasciati fuggire da Stilicone che invece voleva
proseguire la politica di assimilazione pacifica dei Goti adottata da Teodosio; poi una seconda invasione,
stavolta degli Ostrogoti, riuscì a scardinare il Reno ma furono sconfitti da Stilicone a Fiesole (in Toscana) nel
406 d.C. Altre ondate di barbari invasero la Gallia e la Spagna, indifese, e la Corte Imperiale (a Ravenna dal
404 d.C.) adottò una politica anti-barbarica: Silicone, accusato di accondiscendenza con i Goti e di aver causato
le invasioni barbare, fu condannato a morte nel 408 d.C. I Goti dell’esercito disertarono dopo la condanna e
senza un esercito a fermarlo, Alarico entrò a Roma il 24 agosto 410 d.C. e la saccheggiò, per tre interi giorni,
dopo quasi nove secoli, Roma venne messa a ferro e fuoco. All’improvvisa morte di Alarico, prese il comando
barbaro Ataulfo, che condusse i Visigoti nella Gallia sud-occidentale e fondò il primo regno barbarico con
capitale Tolosa, sposata la sorella dell’Imperatore Onorio, Galla Placida, mantenne buoni rapporti con i
romani. Nelle altre regioni occidentali dell’impero intanto si continuavano a stanziare tribù germaniche, non
più con lo scopo predatorio ma con l’intenzione di creare uno stato. I Vandali sotto la guida del re Genserico
riuscirono a penetrare in Africa e a conquistare Cartagine e l’intera provincia nel 429 d.C. Allestirono inoltre
una flotta che li rese padroni del Mediterraneo occidentale. Dal 430 d.C. circa, l’Impero d’Occidente rimase
costituito soltanto dall’Italia, da parti della Gallia e dai Balcani. Intanto dall’Asia si era mossa una popolazione
nomade che agli inizi del V secolo d.C. riuscì a soggiogare molte tribù germaniche ottenendo un potente
esercito: erano gli Unni. Essi, guidati da Attila, assalirono dapprima le regioni Orientali dell’Impero, concessa
però una tregua si diresse ad occidente. L’Impero Occidentale aveva come comandante dell’esercito Ezio,
nobile di origine gallica, riuscì ad ottenere un’alleanza con i Visigoti di Tolosa e raggiunse Attila che aveva già
attraversato il Reno. Nella Gallia settentrionale nel 451 d.C. sconfisse Attila ai Campi Catalaunici (oggi Troyes).
Attila fece innalzare una pira dove, se Ezio fosse riuscito a raggiungerlo, si sarebbe arso vivo. Tuttavia Ezio, per
non lasciare che i Visgoti divenissero gli unici arbitri della situazione, lasciò fuggire Attila. Questo però invase
nuovamente l’Italia l’anno successivo e devastò la regione Veneta, costringendo gli abitanti a rifugiarsi sulle
isole nelle lagune, dando vita alla comunità che in seguito sarebbe stata Venezia. Incontro ad Attila intanto
venne mandato papa Leone I a chiedere la pace, sulle rive del Mincio (presso Mantova). Attila accettò,
cosciente che marciano, imperatore d’Oriente, lo stava accerchiando alle spalle e che una violenta pestilenza
devastava le sue truppe. L’anno successivo morì: l’impero degli Unni terminò così la sua ascesa.
Il Crollo dell’Impero d’Occidente
Al trono dell’Impero salì il nipote di Onorio, figlio di Galla Placida, Valentiniano III. Il potere tuttavia era ancora
detenuto da Ezio, comandante dell’esercito. Questo però fu ucciso durante un litigio dall’imperatore stesso.
Nel 455 d.C. Valentiniano III fu assassinato, e come per il suo predecessore, lui e la sua classe dirigente
avevano portato l’Impero al tracollo uccidendone le figure guida e sperperandone le risorse per mantenere i
propri privilegi.
Nello stesso anno dell’assassinio di Valentiniano i Vandali di Genserico assalirono Roma e la devastarono.
Ancora una volta fu papa Leone I ad andare incontro ai barbari invasori, questa volta non poté opporsi al
nemico ma vi patteggiò: non ci sarebbero stati spargimenti di sangue e Genserico avrebbe avuto quattordici
giorni per raccogliere il bottino desiderato. Non distrusse i palazzi, ma portò via ogni genere di oggetti di
valore, nonché opere d’arte per abbellire Cartagine, nuova capitale del suo regno. Proprio la nave con le opere
d’arte, sovraccarica, naufragò in mare aperto senza giungere a destinazione.
Negli anni successivi molti imperatori si passarono il potere, sotto l’egida del comandante barbaro
dell’esercito Ricimero. Tuttavia nessuno di loro poté fare nulla per risollevare lo Stato collassante. L’impero
d’Oriente tentò di scacciare i Vandali dall’Africa, ma fallì. Il potere passò poi ad un patrizio romano, Oreste,
che fu segretario di Attila. Egli fece acclamare imperatore Romolo Augustolo. Pochi mesi dopo, nel 476 d.C.,
Odoacre, capo dell’esercito barbaro al servizio dell’Impero, lo depose e lo esiliò in Campania con un vitalizio.
Inviò a Zenone, imperatore d’Oriente, le insegne imperiali e regnò a suo nome sull’Italia con il titolo di patrizio.
Tramontava così il millenario Impero Romano che fu tra i più prosperi dell’umanità e con esso l’intera storia
antica. Ma la gloria dell’Impero Romano si sarebbe ben presto estesa oltre i confini del tempo, e tutt’oggi
ispira la società odierna, i suoi usi, i suoi costumi, la sua lingua ed il suo diritto.
Prima della salita al potere di Oreste, regnò sull’Impero Giulio Nepote dal 474 al 475 d.C. Con la deposizione
di Romolo Augustolo lui riprese de jure il titolo imperiale. Furono per alcuni anni stampate monete con la sua
effige ed ebbe anche il riconoscimento di Odoacre. Dopo la sua morte, nel 480 d.C., il titolo imperiale non fu
più portato da nessuno. L’ultima parte dell’Impero Romano a cadere, fu la Gallia Settentrionale, governata
dal condottiero romano Siagrio, conosciuto con il titolo di Re dei Romani. Tuttavia egli dovette cedere il suo
dominio di Soissons, nell’omonima battaglia del 486 d.C. combattuta contro Clodevo I e rifugiarsi da Alarico
II a Tolosa, dove fu catturato e consegnato al suo nemico. Cadde così in mano ai Franchi l’ultimo territorio
dell’Impero Romano d’Occidente.
Atlante Storico
Le Civiltà Preromane
Gli Etruschi
Rosso
Territorio Etrusco
Arancione
Zone di Influenza
Territorio Romano 260 – 22 a.C.
Espansione Repubblica (129 a.C.)
Espansione Repubblica (44 a.C.)
Impero Romano sotto Augusto
L’Impero Romano sotto Traiano (Massima Estensione)
Impero Romano sotto Diocleziano
Itinerari commerciali principali (II secolo d.C.)
Prodotti nell’Impero Romano
Sino all’anno mille
I primi secoli del Medioevo
A lungo considerato un periodo d’oblio dagli storici, il Medioevo, nome con il quale si indica la storia tra il 476
ed il 1492, viene oggi rivalutato come un’epoca fondamentale per le radici della società odierna. Il mondo del
VI secolo affronta una grave crisi demografica causata dalle invasioni, e le campagne, abbandonate,
divengono paludi. L’economia crolla. Sul finire del V secolo intanto nascono i regni romano-barbarici, con
sovrani germanici e funzionari romani. Le Gallie vengono unificate da Clodoevo che, convertitosi al
cristianesimo, attua una politica di integrazione con i barbari. Continua invece ad essere florido l’Impero
Romano d’Oriente, che manteneva l’organizzazione romana, la cultura greca e la religione cristiana. In Italia
invece il re ostrogoto Teodorico, assunse il potere nel 494 e con lui inizia un periodo di pace e ripresa
economica. Nel 527 in Oriente sale al trono imperiale Giustiniano, che scrive l’opera il Corpo del diritto civile
fondamentale per il diritto Europeo, l’imperatore scaccia i Vandali dall’Africa e riconquista dai Goti l’Italia –
che in questo periodo subisce un grave danno alla civiltà a causa delle continue battaglie, distruzioni e razzie
da entrambi le parti - la quale diviene nel 554 con la Prammatica Sanzione una provincia dell’Impero
d’Oriente. Nel 543 intanto un’epidemia di peste sconvolse l’impero bizantino provocando ingenti perdite ed
un aggravamento ulteriore alle condizioni di vita. Alla morte di Giustiniano l’Impero venne attaccato dai
persiani di Cosroe, sconfitti a Ninive nel 628 dal generale-imperatore Eraclio. Grandi movimenti migratori
modificano l’etnia balcanica.
I Longobardi
Guidati da re Alboino, nel 568 i Longobardi giungono ai confini dell’Italia e ne conquistano ampi territori. I
Bizantini riescono a difendere la Pentapoli (Ravenna, Roma, Napoli, la Calabria e la Costa Veneta), tuttavia
l’integrità territoriale della penisola è perduta ed i Longobardi non accettano di fondersi con le popolazioni
sconfitte ma le sottomettono. Alla morte di Alboino, si susseguono Autari, Agilulfo e Liutprando
nell’ampiamento delle conquiste sino a giungere a Roma. Convertitisi al cristianesimo giungono ad un accordo
con il Papa e cercano l’integrazione con gli italici. Nel 751 il re Astolfo conquista Ravenna, eliminando ogni
traccia dell’Impero d’Oriente, tuttavia viene sconfitto dai Franchi, alleati del papato, ed è costretto a cedere
alla Chiesa gran parte delle sue conquiste. Con l’editto di Rotari, nel 643, viene rafforzata la monarchia
longobarda e le caratteristiche barbare limitate.
Il Papato
Con la donazione di Sutri del 728, ad opera del re Liutprando che conquistata la roccaforte di Sutri decide di
non restituirla ai Bizantini ma donarla al Papa, si va a costituire un primo nucleo dello Stato della Chiesa. Sarà
soltanto con Gregorio I, detto magno, papa dal 590 al 604, che si imporrà un vero e proprio potere temporale
nella Chiesa. Egli infatti come capo politico aveva organizzato la difesa di Roma contro i Longobardi, si deve
inoltre a lui la loro cristianizzazione e quella degli anglosassoni, nonché un’intensa politica estera volta ad
aumentare il prestigio della chiesa. In opposizione al crescente stato temporale della Chiesa, abbiamo la
nascita del monachesimo: fondato dall’egiziano Antonio che decide di ritirarsi a vita solitaria e meditare nel
deserto, alla ricerca della verità e della saggezza rifiutando la mondanità ed abbracciando la contemplazione.
In Occidente ciò si concretizza nella fondazione di monasteri isolati a Montecassino e a Bobbio, che
propongono una vita comunitaria nella preghiera.
L’Islam
Prima dell’avvento dell’Islam, gli arabi erano politeisti organizzati in tribù nomadi di pastori comandate da
uno sceicco. Nel 610 Maometto fonda la religione islamica che venera Allah di cui egli si dichiara primo
profeta. Scontratosi con i suoi sostenitori nel 622 fugge da La Mecca per Medina (i mussulmani chiamano
questo evento ègira ovvero “migrazione”), è il primo anno del calendario islamico. Vi torna nel 630 quando
fu convertita definitivamente all’Islam e ne divenne città santa. Negli anni successivi vennero convertiti
l’Arabia centrale e lo Yemen. Nel 632, alla morte di Maometto, si decise che gli avrebbe succeduto alla guida
dell’Islam un Califfo (“vicario del Profeta”) ovvero eletto tra i suoi più stretti collaboratori. I primi quattro califfi
espansero enormemente l’Islam, distrussero l’Impero Persino e insidiarono quello bizantino. Gli Arabi
conquistarono ben presto gran parte del territorio dell’Impero d’Oriente e avanzarono in Europa. Furono
tuttavia fermati a Poitiers da Carlo Martello, re dei Franchi, nel 732. Nel frattempo ad est l’Impero Bizantino
si opponeva all’espansione araba. Le conquiste islamiche spezzano l’unità culturale mediterraneo creando
una nuova civiltà con la conseguente nascita di un nuovo pensiero filosofico, religioso, artistico e scientifico.
Tra l’VIII ed il IX secolo l’Impero d’Oriente è attraversato da una grave crisi religiosa: l’imperatore Leone III
aveva proibito il culto delle icone e ne aveva ordinato le distruzione, scatenando la cosiddetta lotta
iconoclastica. Nell’867 l’imperatore Basilio I inaugura una politica di stabilità e prosperità. Niceforo Foca
scacciò gli Arabi da Creta e riconquistò la Mesopotamia. Basilio II abbatte il Regno bulgaro e riconquista il
confine danubiano. Nel mondo islamico una guerra civile, causata dalla rivalità tra gli Omayyadi e Alì (genero
di Maometto) durante i primi quattro califfati, divide i sostenitori del califfato elettivi, sunniti, ed il partito di
Alì, gli Sciiti. Conquistato il potere dagli Abbasidi nel 750 l’Islam perde la sua stabilità politica.
L’Impero Carolingio
Nell’VIII secolo il Regno dei Franchi è diviso in regni autonomi sino a quando ai Merovingi subentrarono
ufficialmente – infatti essi erano già provvisti di pieni poteri in quanto Maggiordomi di Palazzo, una sorta di
primo ministro che svolgeva le veci del re, questo puramente rappresentativo - i Pipinidi (o Carolingi): nel 687
infatti, Pipino di Heristal riunifica i due principali regni e suo figlio Carlo Martello ne consolida il dominio. A
lui succedettero, dopo il breve regno di Childerico III “l’idiota” ultimo re merovingio, Pipino il Breve e quindi i
figli Carlomanno e Carlo Magno, quindi solo del secondo alla morte del fratelo nel 771. Carlo Magno conduce
una serie di vittoriose campagne militari contro i Longobardi in Italia, i Sassoni nella Germania settentrionale,
gli Avari in Ungheria e gli Arabi in Catalogna. Il 25 dicembre dell’800 papa Leone III incorona Carlo Magno
imperatore dei Romani sancendo la nascita dell’Impero Carolingio, continentale e cristiano. L’Impero è
amministrato nel Palazzo, sede dell’Imperatore, suddiviso in centinaia di province, contee governate da Conti,
e zone di confine, marche governate da Marchesi. Nasce in questo periodo la struttura politica fondamentale
dell’età medievale: il rapporto vassallatico, ovvero il rapporto clientelare che lega un signore offrente un
appezzamento di terra ad un vassallo che gli offre aiuto militare e fedeltà. Quando dal XI secolo le terre sono
passate di padre in figlio tra i vassalli si parla di feudi. Nell’Impero Carolingio l’istruzione è monopolio della
Chiesa, si accentua la differenza fra colti e non, ed il latino diviene appannaggio dei soli primi. La popolazione
fa invece sempre più uso di lingue volgari. Con Carlo Magno si ha una riorganizzazione e conseguente rinascita
della cultura e dell’istruzione. Il figlio Ludovico il Pio divide in tre parti l’impero, la sua autorità subisce un
indebolimento in favore del vassallaggio che determina la formazione di poteri (e stati) autonomi.
Conseguenza di tutto ciò è la deposizione di Carlo il Grosso nell’887 ad opera dei suoi feudatari: finiva così
l’Impero Carolingio, dalle sue ceneri nacquero quelli che poi saranno la monarchia francese, il regno d’Italia
ed il Sacro Romano Impero.
Cronologia degli Eventi di Roma
Ottaviano Augusto (27 a.C. – 14 d.C.)
27-19 a.C.
Pacificazione della penisola iberica.
25 a.C. – 9 d.C. Campagne in Gallia e Germania.
23 a.C.
Augusto acquisisce il tribunato della plebe ed il proconsolato.
18-9 a.C.
Leges Iuliae. Vengono ripristinati i Mores Maiorum.
16 a.C.
Il Norico diviene provincia romana.
12 a.C.
Augusto è pontifex maximus.
9 d.C.
I Romani sconfitti dai Germani a Teutoburgo.
14 d.C.
Ottaviano Augusto muore. Tiberio gli succede.
Dinastia Giulio-Claudia (14 – 68 d.C.)
14-37 d.C.
Tiberio, politica austera ed espansionista.
37-41 d.C.
Caligola, importazione dei costumi orientali a corte.
41-54 d.C.
Claudio,
54-68 d.C.
Nerone
Dinastia Flavia (69 – 96 d.C.)
67-79 d.C.
Vespasiano
79-81 d.C.
Tito
81-96 d.C.
Domiziano
Principato per Adozione (96-138 d.C.)
96-98 d.C.
Nerva
98-117 d.C.
Traiano
117-138 d.C.
Adriano
Dinastia degli Antonini (138-192 d.C.)
138-161 d.C.
Antonino Pio
161-180 d.C.
Marco Aurelio
180-192 d.C.
Commodo
La Crisi del III secolo d.C.
Dinastia dei Severi (193-235 d.C.)
193-211 d.C.
Settimio Severo
211-217 d.C.
Caracalla
212 d.C.
Constitutio Antoniniana: concessione della cittadinanza per tutti gli abitanti liberi
dell’impero.
218-222 d.C.
Eliogabalo
222-235 d.C.
Alessandro Severo
235-238 d.C.
Massimino il Trace, primo imperatore barbaro.
Anarchia Militare (238-284 d.C.)
249-251 d.C.
Decio
270-275 d.C.
Aureliano
La fine dell’Impero
284-305 d.C.
Diocleziano
306-337 d.C.
Costantino
313 d.C.
Editto di Milano
361-363 d.C.
Giuliano l’Apostata
379-395 d.C.
Teodosio
380 d.C.
Editto di Tessalonica
410 d.C.
Primo saccheggio di Roma, ad opera dei Visigoti.
455 d.C.
Secondo saccheggio di Roma, ad opera dei Vandali.
476 d.C.
Deposizione di Romolo Augustolo e fine dell’Impero Romano d’Occidente.
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