INSEGNAMENTO DI
STORIA MODERNA
LEZIONE VIII
“LA SPAGNA IMPERIALE”
PROF. DANIELE CASANOVA
Storia Moderna
La Spagna Imperiale
Indice
1
L’età di Filippo II ------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2
Il sistema imperiale spagnolo---------------------------------------------------------------------------- 6
3
La guerra nel Mediterraneo ----------------------------------------------------------------------------- 8
4
Lepanto ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 10
5
Le guerre di religione in Francia --------------------------------------------------------------------- 12
6
Cronologia ------------------------------------------------------------------------------------------------- 14
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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La Spagna Imperiale
1 L’età di Filippo II
Dopo la pace di Augusta (1555), Carlo V aveva diviso, come si è già detto, i suoi domini
ereditari in due parti. I territori legati al ramo asburgico, l‟Austria e il Regno di Boemia e di
Ungheria furono affidati al fratello Ferdinando, eletto imperatore nel 1558. I possedimenti legati al
ramo spagnolo, il trono di Spagna, le terre del Nuovo mondo, i domini borgognoni dei Paesi Bassi e
quelli italiani furono ereditati da suo figlio Filippo: un impero di circa cinquanta milioni di abitanti
tra Mediterraneo e Atlantico su cui Filippo II (1556-1598) governerà per oltre quarant„ anni e che
aveva costituito il cardine della potenza di Carlo V, dal quale aveva tratto le risorse economiche per
affrontare il lungo conflitto con i francesi e le guerre contro i turchi. Educato in Spagna alla corte
materna per le continue assenze del padre, Filippo II, sebbene non imparò mai a padroneggiare le
lingue straniere, ricevette un‟istruzione ampia e illuminata.
Uomo austero e fortemente devoto, incarnò come pochi altri la figura ideale del principe
cristiano difensore della religione cattolica, col tempo si rivelò un monarca severo, pedante e, allo
stesso tempo, sospettoso amministratore di una gigantesca e complessa realtà politica, tanto da
essere chiamato dai suoi stessi sudditi per la sua diffidenza „El rey prudente‟. Sebbene Carlo, anche
dopo la sua abdicazione, continuò a dispensare al figlio consigli sugli affari dinastici e su come
amministrare il vasto Impero, il modo di governare di Filippo II fu nettamente in contrasto con
quello del padre. Durante il suo lungo regno, infatti, darà vita a una monarchia fortemente
centralizzata che assumerà il carattere di una riunione di Stati sotto un unico sovrano, e nella quale
si attuerà un rapido e deciso processo di omogeneizzazione culturale, imperniato su una politica
assolutistica volta soprattutto al ristabilimento dell‟unità religiosa in tutti i suoi territori. Il monarca,
che a differenza del padre parlava solo castigliano, governò il suo impero stando sempre in Spagna,
in quanto riteneva che visitare i “Regni per solo diporto non è utile né decente, e per visitarli e
provvederli da loro bisogni, non è necessario al principe“, e ciò valeva anche per le imprese militari.
Per tale motivo nel 1559 il nuovo sovrano fissò la sua residenza al centro della penisola iberica, a
Madrid, che nel giro di pochi decenni, anche grazie alla costruzione della reggia-monastero di San
Lorenzo all‟Escorial, si trasformò da piccolo borgo nel cuore dello sterile altipiano della Castiglia,
in una grande capitale europea e nel centro amministrativo dell‟Impero spagnolo.
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La Spagna di Filippo II, considerata una delle prime espressioni dell‟assolutismo regio nel
Cinquecento, fu la prima potenza militare europea capace di condurre una politica imperialistica
grazie alle consistenti entrate provenienti dall‟oro americano e alla forte pressione fiscale esercitata
sui suoi domini. Privato dei territori legati all‟Impero tedesco, il sovrano spagnolo poteva ora
fondare il prestigio della sua autorità proprio sull‟unità della fede dei suoi popoli, e quindi
sull‟obbligo da parte del monarca di combattere eretici e infedeli prima all‟interno e poi all‟esterno
dei suoi domini. Supportato nella sua azione dall‟Inquisizione e dalla Compagnia di Gesù, Filippo
costituì il pilastro della Controriforma cattolica, il movimento avviato dal pontefice Paolo III e
proseguito dal suo successore Paolo IV, che, come si è visto, da un lato, difese anche con mezzi
cruenti l‟ortodossia cattolica contro le dottrine giudicate eretiche sorte in seno al cattolicesimo, e
dall‟altro, promosse un‟azione riformatrice all‟interno della Chiesa che portò alla nascita di nuovi
ordini religiosi e alla fioritura in tutti i paesi cattolici di confraternite e associazioni di carità. In
particolare, attraverso l‟Inquisizione spagnola, il sovrano esercitò un‟azione di controllo sulla
politica e sulla cultura, bandì il protestantesimo dai Paesi Bassi e obbligò alla conversione gli ebrei
e i mori ancora residenti in Spagna, reprimendo sul nascere i tentativi riformatori in Spagna e negli
altri domini. Al contempo all‟interno della penisola iberica, fu ripresa in maniera vigorosa la
persecuzione contro i moriscos, i quali furono definitivamente espulsi dalla Spagna nel 1609,
mettendo così fine, dopo oltre otto secoli, a quella tradizionale politica di convivenza e tolleranza
religiosa che aveva caratterizzato la penisola iberica.
Volendo schematizzare possiamo distinguere le vicende legate al regno di Filippo II in tre
fasi. La prima, che va dalla conclusione del trattato di Cateau Cambrésis (1559) sino al 1567, vede
impegnato il sovrano nella risoluzione dei problemi interni ai suoi domini. In questo periodo, il re
Cattolico, non persegue un deciso disegno strategico riguardo la politica estera, ma avverte i
pericoli che incombono su alcune parti del suo Impero: dai turchi nel Mediterraneo e i corsari
protestanti nell‟Atlantico, alle insidie francesi sulle frontiere spagnole, italiane e fiamminghe. La
seconda fase, in cui la minaccia turca diventa il principale assillo dell‟imperatore, va dal 1568 al
1580, e vede da una parte la violenta repressione attuata dal governo spagnolo contro i moriscos e
dall‟altra, dopo Lepanto, il raggiungimento di una tregua con i turchi e la parziale risoluzione del
conflitto nelle Fiandre, ma non nelle province olandesi ribelli. Nei Paesi Bassi settentrionali,
l‟intollerante atteggiamento delle autorità spagnole contro i protestanti e l‟accentuazione del potere
nelle mani di funzionari esclusivamente castigliani, portò allo scoppio di una serie di rivolte contro
la dominazione asburgica, che si conclusero nel 1579 con la separazione del paese in due regioni.
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Da una parte le province protestanti, incoraggiate da Francia e Inghilterra, diedero vita a una nuova
entità politica: la Repubblica delle Sette Province Unite; dall‟altra, le province meridionali
cattoliche, che con l‟Unione di Arras riaffermarono la sovranità di Filippo II. Era, tuttavia, solo
l‟inizio di un lungo conflitto, la cosiddetta „Guerra degli Ottant‟anni‟, che si concluse nel 1648 con
la conquista dell‟indipendenza da parte dei Paesi Bassi e costò alla Spagna un‟enorme perdita
finanziaria, di uomini e di potere. La terza e ultima fase, dal 1580 alla morte del sovrano nel 1598, è
caratterizzata dai progetti espansionistici della monarchia, diretti prima verso il Portogallo e poi
verso la Francia e l‟Inghilterra. Filippo II, approfittando della crisi dinastica portoghese, in virtù del
suo primo matrimonio con Maria Manuela del Portogallo, nel 1580 annette il Regno lusitano al
proprio Impero, inclusi i vasti domini coloniali. Ma a determinare l‟arresto delle sue mire
espansionistiche in Europa furono prima la disfatta nelle acque della Manica dell‟Invincibile
Armada (1588) e poi l‟avvento sul trono di Francia di Enrico di Borbone, principale rivale di Enrico
di Guisa, il candidato spagnolo alla Corona francese.
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2 Il sistema imperiale spagnolo
Governare un impero così vasto, che si estendeva su diversi continenti, con una molteplicità
di culture, lingue, ordinamenti giuridici e interessi economici contrapposti, non sarebbe stato
possibile senza una estesa e ben organizzata burocrazia. Il baricentro politico-amministrativo di
tutto il sistema imperiale spagnolo ruotò attorno alla Castiglia, che se da una parte si accollò, grazie
alle rimesse monetarie americane, il peso della maggior parte del carico fiscale necessario al
finanziamento della politica assolutistica del suo nuovo re, dall‟altra fornì al sovrano le più alte
cariche dello Stato. Sostanzialmente la struttura della monarchia concepita da Filippo II proseguì il
modello dei suoi predecessori, anche se, rispetto al passato, vista la scelta del sovrano di governare i
propri domini esclusivamente dal palazzo dell‟Escorial, l‟organizzazione del potere statale fu più
articolata. “L‟unico principio, l‟unico vincolo unitario fra le diverse parti che componevano
l‟Impero spagnolo di Filippo II – scrive lo storico Aurelio Musi – era la figura del sovrano, la forza
della dinastia asburgica, la fedeltà al potere regio, che traeva la sua fonte di legittimità direttamente
da Dio”.
Il perno dell‟intero sistema era, dunque, come nella struttura statale ottomana, la volontà del
sovrano. Filippo II nell‟esercizio del suo potere si serviva direttamente di due segretari personali
che, tra l‟altro, preparavano la sua corrispondenza e decifravano le lettere in codice che arrivavano
dagli informatori e dagli emissari sparsi nei suoi possedimenti. La sua assenza negli altri Regni,
faceva sì che il suo potere in Italia, in America, nei Paesi Bassi, fosse delegato a una serie di vicerè,
i quali dovevano sottoporre al sovrano le decisioni importanti. Come si è detto, vicerè, grandi
burocrati e alti funzionari erano costituiti prevalentemente dalle più importanti famiglie
appartenenti alla nobiltà castigliana, un‟aristocrazia che durante il regno di Filippo disprezzò ancor
di più l‟esercizio delle attività imprenditoriali e mercantili, e si dedicò esclusivamente all‟esercizio
della guerra e a fornire i quadri dirigenti della burocrazia e del clero.
Al centro del sistema di governo vi era una complessa struttura amministrativa il cui perno
era formato dai Consigli di Stato, una sorta di moderni ministeri, organi collegiali con una propria
sfera di competenza che trattavano le questioni più importanti dell‟impero: dalla giustizia all„ordine
pubblico, dall„economia agli affari ecclesiastici, dalla guerra allo stato delle finanze. Istituiti da
Ferdinando e da Carlo, i Consigli erano organi consultivi e i suoi componenti risultavano dei
semplici esecutori. Sotto Filippo II, anche se non assunsero nuove competenze, questi organismi
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acquisirono una grande importanza per la centralizzazione del potere, testimoniata dal fatto che
accanto ai tradizionali Consigli furono creati prima il Consiglio d‟Italia (1556), poi, due anni dopo
l‟annessione della Corona lusitana ai domini asburgici, quello del Portogallo (1582) e, infine, quello
delle Fiandre (1588). In totale quattordici Consigli dei quali cinque istituiti da Filippo II. Tutte le
questioni trattate dai Consigli venivano trasmesse al sovrano, il quale le esaminava e decideva se
approvare o meno le sue formulazioni. Per i provvedimenti più urgenti o per raggiungere
tempestivamente obiettivi particolari, come per esempio quando si decise di riprendere la guerra nel
Mediterraneo contro i turchi, il re si serviva di informali commissioni note col nome di juntos.
Come si comprende da questa breve descrizione, si trattava di un lavoro burocratico enorme
e macchinoso, accresciuto dalla meticolosità del sovrano: tutti gli atti legislativi e amministrativi
venivano scrupolosamente valutati dal monarca che li controfirmava, come faranno poi anche i suoi
successori, con la sigla “Yo el Rey”.
Sembra che il sovrano trascorresse almeno otto o nove ore al giorno sulla sua scrivania e
addirittura, in una sola giornata, lesse e firmò ben quattrocento documenti che si erano accumulati
sul suo scrittoio. Un sistema macchinoso, lento e spesso poco efficace, che presentava tutta una
serie di problemi tra cui la confusione nell‟attribuzione dei compiti, la dispersione degli affari e la
difficoltà di coordinare l‟attività degli organi collegiali. Ma il governo di un così vasto e
diversificato impero
non sarebbe stato possibile senza la nascita e la formazione, nei diversi paesi, di una classe
dirigente e di una burocrazia locale, che, in alcuni possedimenti, come quelli italiani, fu
indispensabile alla tenuta del potere centrale. Infatti, la Corona spagnola cercò di rispettare
l‟individualità dei suoi domini anche all‟interno della penisola iberica, dove conservarono una
propria autonomia sia la Castiglia e l‟Aragona, e sia il Portogallo e la Navarra, quest‟ultimo
ritornato in mano degli spagnoli sotto Ferdinando.
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3 La guerra nel Mediterraneo
Nonostante l‟abdicazione di Carlo V, le ostilità franco-asburgiche si riaccesero nel 1557, e
fu solo dopo laboriose trattative che nel 1559 si pose fine al gigantesco conflitto aperto alla fine del
Quattrocento dall‟impresa di Carlo VIII. La pace di Cateau-Cambrésis segnò una svolta nella storia
europea, non solo perché pose fine alla guerra tra Francia e Spagna, ma anche perché regolò
definitivamente l‟assetto politico e territoriale dei due paesi. Alla Francia con il porto di Calais,
sottratto all‟Inghilterra, restavano i vescovati di Metz, Toul e Verdun. In cambio i francesi si
ritiravano dal Piemonte e accettavano l‟egemonia politica spagnola sull‟Italia, una supremazia che
durerà sino ai primi del Settecento. A eccezione di Venezia, infatti, tutta la penisola rimase da allora
e per circa due secoli direttamente o indirettamente sotto il controllo spagnolo. Risolta a proprio
favore la partita italiana, disimpegnato dai problemi dell‟Europa centrale e senza la Francia a
controbilanciare la potenza spagnola sul continente, a causa dell‟improvvisa scomparsa del re
francese, Filippo II, così come era accaduto per il padre, si ritrovò a fronteggiare il suo nemico più
temibile: l‟Impero ottomano. Nei venti anni che seguirono la pace di Cateau-Cambrésis, Filippo fu,
in realtà, l‟unico sovrano europeo impegnato in una guerra di grandi dimensioni contro i turchi.
Gli spagnoli alla fine degli gli anni Cinquanta, reagirono, ma senza successo, alle numerose
incursioni barbaresche-ottomane e dopo l‟occupazione di alcune località del Marocco, adottarono
una strategia principalmente difensiva, visto che la loro flotta era impegnata su due fronti navali,
l‟atlantico e il mediterraneo. Il fallito tentativo, dietro sollecitazione dei Cavalieri di Malta, di
riconquistare Tripoli (1560), non solo costò agli spagnoli la cattura di ventisette galee e di oltre
diecimila uomini, ma mostrò quanto fosse pericoloso intraprendere un‟azione offensiva senza
un‟adeguata superiorità navale. La conservazione della flotta divenne perciò il principale obiettivo
della strategia marittima dell‟Asburgo, sia dopo la conquista turca di Orano (1563) e sia quando nel
1565 i turchi assediarono Malta. L‟isola fu salvata grazie alla difesa dei Cavalieri e alla brillante
operazione di Garcia de Toledo, vicerè di Sicilia, che riuscì a portare rinforzi senza coinvolgere nel
combattimento le navi spagnole. Benché in questa circostanza, la Spagna riuscì a evitare un nuovo
disastro, l‟evento segnò una svolta nella guerra del Mediterraneo. In quell‟occasione il nuovo
pontefice, Pio V, fermo nel perseguire la realizzazione dei principi del Concilio di Trento e a creare
un fronte unitario all‟interno della cristianità sia contro gli eretici europei e sia contro i musulmani,
si era adoperato per concludere un‟alleanza anti ottomana fra Spagna e Venezia, ma i negoziati
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furono ancora una volta contrassegnati dalla reciproca diffidenza e dalla riottosità dei Veneziani a
partecipare all‟allestimento di una spedizione contro la Sublime Porta, visto che, dopo la morte di
Solimano, suo figlio Selim aveva ratificato a Venezia il trattato di pace del 1540. Così come era
accaduto dopo la battaglia di Prevesa, gli interessi della Spagna divergevano da quelli della
Serenissima. Ma, questa volta, la prospettiva di un‟invasione ottomana delle coste italiane e
spagnole rappresentava un evento possibile, tanto più che nel frattempo i genovesi furono spodestati
da Chio (1566) e i veneziani vennero a conoscenza di un imminente attacco turco all‟isola di Cipro,
la cui conquista avrebbe completato il controllo ottomano sul Mediterraneo orientale.
Approfittando dello scoppio di una nuova rivolta dei moriscos di Granada, appoggiata
militarmente ed economicamente dal sultano ottomano, e dal fatto che la rivolta tenne impegnato
per oltre due anni gran parte dell‟esercito spagnolo, il bey di Algeri, il calabrese islamizzato Ulug
Alì (Occhiali), si era impadronito di Tunisi, città vassalla della Spagna. Sedata tragicamente la
ribellione dei moriscos nel novembre del 1570 con l„uccisione di circa tremila rivoltosi e la
deportazione di oltre ottantamila moriscos, Filippo poté concentrare i suoi sforzi nel Mediterraneo
occidentale e reagire, così, all‟arretramento delle posizioni spagnole. Fu solo durante l‟assedio
ottomano di Cipro, che i Veneziani abbandonarono la loro politica di compromesso e accettarono di
partecipare a un‟alleanza antiturca in nome della difesa della fede: si arrivò così alla costituzione
nel maggio del 1571 di una Lega Santa anti-turca che prevedeva l‟intervento della flotta cristiana
sia nel Mediterraneo occidentale e sia in quello orientale.
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4 Lepanto
Nelle acque del golfo di Lepanto, nei pressi delle isole Curzolari, il 7 ottobre del 1571, la
flotta della Lega, formata da Spagna, Venezia, Genova, Stato Pontificio e Malta, sotto il comando di
don Giovanni d‟Austria, figlio naturale di Carlo V, praticamente annientò quella turca. La battaglia,
una delle più cruente della storia navale – duecentotrenta navi da guerra musulmane, duecentotto
cristiane, centomila uomini impegnati – per quanto togliesse momentaneamente ai turchi l‟iniziativa
che avevano avuto sul mare a partire dalla vittoria di Prevesa, va tuttavia considerata una vittoria
più simbolica che reale, visto che i cristiani non la sfruttarono appieno e lasciarono il tempo ai
turchi di ricostruire velocemente una nuova flotta di duecentocinquanta navi. In una prospettiva più
ampia l‟evento è senz‟altro da ridimensionare, ma, sebbene nel complesso non mutasse il quadro
strategico e territoriale, il trionfo cristiano, come osserva Fernand Braudel, segnò “la fine di un reale
complesso di inferiorità della Cristianità, la fine di un‟altrettanto reale supremazia turca. La vittoria
cristiana sbarrò la strada a un avvenire che si annunziava molto oscuro”. Allo stesso tempo, la
vittoria di Lepanto dimostrò che nel momento di estrema necessità poteva formarsi un‟ampia
coalizione contro i turchi, malgrado le divisioni e le rivalità nel campo cristiano. L‟evento, che
possiamo considerare l‟ultimo grande conflitto tra flotte prevalentemente composte da galee a remi
avvenuto nelle acque del Mediterraneo, ebbe un‟enorme risonanza presso i contemporanei anche
per l‟uso propagandistico che se ne fece nel mondo cattolico. Le sue ripercussioni sulla società e
sulla cultura europea sono testimoniate dalla larga circolazione di opere artistiche e letterarie che
celebrarono l‟evento come la vittoria della Cristianità sull‟Islam, mentre sul fronte ottomano non si
attribuì una significativa importanza alla sconfitta subita. Qualche anno dopo la scenografica
battaglia, quando Venezia richiese e ottenne una ennesima pace separata con i turchi in cambio
della sua rinuncia al possesso di Cipro, il gran visir Sokollu Mehmed Pascià, ricorrendo a
un‟efficace metafora così ricordava l‟evento agli ambasciatori veneziani: “C‟è una grande
differenza tra la nostra sconfitta e la vostra. Voi ci avete rasato il mento, ma la nostra barba sta
ricrescendo. Noi vi abbiamo staccato un braccio, e voi non potete riattaccarlo”. Subito dopo la
battaglia, infatti, riemersero le divergenze tra gli alleati occidentali, e così, con la stessa velocità con
cui si era costituita, la Lega Santa si sfasciò. Sulla scia della vittoria di Lepanto il fratellastro di
Filippo, don Giovanni d‟Austria, nell‟ottobre del 1573 tentò la riconquista di Tunisi per farne il suo
regno, ma la flotta musulmana guidata da Occhiali e coadiuvata dalle truppe terrestri di Sinan
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Pascià, anch‟egli cristiano di nascita, la riconquistarono definitivamente insieme alla fortezza di La
Goletta nel luglio del 1574.
Gli storici sono, dunque, concordi nel sostenere che non fu tanto Lepanto a segnare un punto
di svolta nelle relazioni tra i due grandi imperi mediterranei, bensì la successiva tregua stipulata nel
1578 tra Filippo e Murad III (1574-1595), un accordo, rinnovato nel tempo, che stabilizzava la
frontiera – religiosa, politica e culturale – tra le due aree ma, al contempo, finiva con l‟allontanare
dallo scenario mediterraneo sia i turchi che gli spagnoli. Filippo II aveva la necessità di fronteggiare
la rivolta nei Paesi Bassi, doveva intervenire militarmente per conservare la Corona del Portogallo,
per contrastare le marinerie olandesi e i corsari inglesi nell‟Atlantico, e per garantire la sicurezza dei
collegamenti tra la Spagna e i territori americani. Murad III, invece, doveva affrontare con maggiori
forze il nemico persiano per il controllo della regione caucasica e non poteva più contare
sull‟alleanza con la Francia, paralizzata dai problemi di natura religiosa e travagliata da una
sanguinosa guerra di successione. Il conflitto tra le due grandi potenze mediterranee assunse da quel
momento la forma di una guerriglia. I due Imperi non si avventurarono più in guerre di lunga
durata, ma da una parte e dall‟altra, iniziò una logorante guerra di corsa, che durerà sino al 1830.
“La Sublime Porta – osserva Giuseppe Galasso – faceva sempre paura, ma era una paura diventata
in certo qual modo usuale e, per così dire addomesticata”. Quando alla fine del „siglo d‟oro‟ terminò
il lungo regno di Filippo II, gli obiettivi della sua politica mediterranea erano stati in gran parte
raggiunti. Il sovrano aveva conquistato la Corona del Portogallo, arginato i turchi e consolidato
definitivamente il proprio controllo sulla penisola italiana. Dove, invece, fallì, fu sul versante
atlantico: i ribelli olandesi non erano stati sconfitti e le sue iniziative per rompere l‟alleanza angloolandese si erano risolte in ripetuti disastri.
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5 Le guerre di religione in Francia
In Francia, oltre cinquant‟anni di guerre, avevano creato gravi problemi economici e
finanziari, a cui si aggiungeva un contrasto sempre più profondo tra cattolici e protestanti che sfociò
nel giro di pochi anni in una vera e propria guerra civile.
Subito dopo gli accordi di Cateau Cambrésis, il sovrano francese Enrico II morì e gli
successero i figli, Francesco II (1559-1560) e Carlo IX (1560-1574). Con dei sovrani così giovani e
sotto l‟influenza della regina madre, Caterina de‟ Medici, reggente per conto dei figli, la monarchia
si trovò ad attraversare un momento di debolezza che permise da una parte ai calvinisti francesi di
venire allo scoperto e dall‟altra consentì alle gradi casate nobiliari, come quella calvinista dei
Borbone o dei cattolici duchi di Guisa, imparentati con la famiglia reale, di assumere un rilevante
peso nelle decisioni politiche. Caterina cercò di sedare i conflitti e di evitare che i due partiti si
rafforzassero troppo ai danni della corona. Pur perseguendo un equilibrio tra i due blocchi, decise di
garantire ai protestanti libertà di riunione e di culto ma solo fuori dalle grandi città. Ciò scatenò nel
1562 la reazione cattolica guidata da Francesco di Guisa, che a Vassy presso Reims massacrò
alcune centinaia di ugonotti riuniti per una funzione religiosa.
Inizia così un periodo di guerre civili, che con alterne vicende prosegue fino al 1598: da un
lato gli ugonotti chiedono aiuto ai protestanti olandesi e dall‟altro i Guisa si alleano con Filippo II di
Spagna, che ha tutto l‟interesse affinché la Francia non sia pacificata. In un clima di reciproca
intolleranza e violenza, lo scontro tra le due fazioni, cattolica e protestante, divenne una rivolta
degli ugonotti contro la corona.
Intanto l‟eccessive ingerenze di Filippo II fecero aumentare
l‟influenza sulla corte dell‟ammiraglio Coligny, uno dei più illustri rappresentanti del partito
ugonotto. Dapprima con l‟editto di Amboise (1563) e poi con quello di St Germain (1570) i
protestanti ottennero la sovranità su porzioni del territorio francese, acquisendo il pieno controllo
delle importanti fortezze di La Rochelle, Cognac, ecc. Gli ugonotti diventarono così uno Stato nello
Stato e ricoprirono un ruolo ancora più rilevante all‟interno della corte dopo che Margherita di
Valois, sorella di Carlo IX, fu promessa in sposa al protestante Enrico di Borbone re di Navarra.
Tuttavia, ciò che sembrava un‟indubbia vittoria della fazione protestante ebbe degli esiti
drammatici. Nella notte di San Bartolomeo (23 -24 agosto) del 1572 gli ugonotti riuniti a Parigi per
festeggiare le nozze furono massacrati e altre stragi si verificarono in tutto il paese, si calcola che
furono uccise circa 10.000 persone.
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La morte di Carlo IX nel 1574 rimescolò di nuovo le carte. L‟ingerenza della Spagna e gli
orrori che sarebbero derivati da una guerra civile, fecero schierare il nuovo sovrano, Ennrco III
(1574-1589), fratello minore di Carlo IX, contro i cattolici per timore che prendessero il
sopravvento e lo spinsero a trovare un accordo con gli ugonotti, concedendo loro ampie prerogative.
Alla morte (1584) dell‟unico erede al trono dei Valois, il capo militare dei cattolici, Enrico di Guisa,
appoggiato dalla Spagna e da Roma, divenne il pretendente più accreditato alla successione, ma in
Francia tale pretesa diede il via all‟ultima fase dei combattimenti, detta “guerra dei tre Enrichi”,
perché ne furono protagonisti Enrico III di Valois, Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone. Tra
insurrezioni cattoliche, ingerenze spagnole e assassinii politici, i primi due furono uccisi e l‟unico
candidato rimasto in vita, Enrico di Borbone, per eliminare ogni resistenza alla sua ascesa al trono,
con una cerimonia solenne abiurò il calvinismo e si convertì al cattolicesimo. Divenuto re di Francia
col nome di Enrico IV (1589-1610) nel 1598, dopo quasi quarant‟anni di guerre combattute sul
territorio francese, si giunse alla pace di Vervins con gli spagnoli e all‟emanazione dell‟Editto di
Nantes, col quale si dichiarava il cattolicesimo religione di Stato, ma assicurava agli ugonotti la
libertà di culto in tutto il regno, tranne che a Parigi., nonché il diritto di accedere ai pubblici
impieghi e la conservazione di alcune piazzeforti come La Rochelle, che avrebbero potuto servire
alla loro difesa, in caso di futuri offensive cattoliche.
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Storia Moderna
La Spagna Imperiale
6 Cronologia
1559 Trattato di Cateau Cambrésis
1562-1598 Guerre di religione in Francia
1563-1584 Costruzione dell‟Escorial
1569-1570 Guerra di Granada, deportazione dei moriscos in Castiglia
1571 Battaglia di Lepanto
1572 Strage di S. Bartolomeo
1574 I Turchi conquistano Tunisi
1575-1576 Epidemia di peste in Italia
1579 Nasce la repubblica delle Province Unite
1580 Unione dei regni di Spagna e Portogallo (sino al 1640)
1588 Disfatta dell‟Invincibile Armada, inizia il declino della potenza spagnola
1589-1610 Enrico IV, re di Francia
1589-1590 Epidemia di peste in Catalogna e nelle isole del Mediterraneo
1598 Morte di Filippo II, gli succede Filippo III. Editto di Nantes
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Storia Moderna
La Spagna Imperiale
Bibliografia
F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino, 2001.
J. H. Elliot, La Spagna imperiale. 1469-1716, Il Mulino, Bologna, 1987.
J. Breeching, La battaglia di Lepanto, Milano, 1989.
L. Lotti, R. Villari, Filippo II e il Mediterraneo, Roma-Bari, Laterza, 2004.
C. Vivanti, Le guerre di religione nel Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 2007.
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