L`etica degli affari è strumento di autoregolamentazione? 1

gustavo visentini
L’etica degli affari
è strumento
di autoregolamentazione? 1
1 Lo studio trae spunto dalla relazione tenuta a Salerno, Università 29 ottobre 2004, è in via
di pubblicazione in un volume di raccolta di saggi edito dalla LUP (Luiss University Press).
Nextam Partners
quaderni
Sommario
Prefazione
Delibera del Consiglio di Amministrazione di Nextam Partners
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Securities and Exchange Commission Rules and Regulations,
Investment Company Act of 1940 - Aggiornamento Agosto 2004
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7
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2.- Quale significato dare all’etica e all’etica degli affari
2.1.- Ricognizione delle definizioni dell’etica
2.2.- L’etica degli affari
2.3.- La morale e l’etica: il senso delle due parole
2.4.- Libertà e pluralismo etico
2.5.- I contenuti dell’etica e dell’etica degli affari
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3.- L’etica degli affari nelle economie dipendenti
dal mercato: proteggere i contratti dalla frode
pag 21
4.- L’etica ed il diritto positivo
pag 24
5.- Quale regolamento può dare l’etica agli affari
in presenza del diritto positivo
5.1.- L’etica non può sostituire il diritto
5.2.- L’etica del legislatore
5.3.- L’etica dell’interprete
5.4.- L’autoregolamentazione etica nel rispetto dei vincoli del diritto
5.5.- L’etica può favorire nella concorrenza?
5.6.- L’etica della legge nel mercato globale
5.7.- L’efficacia delle regole etiche è nella loro azionabilità
giuridica
pag 25
6.- L’etica degli affari nelle economie miste: proteggere
l’interesse generale dalla collusione di interessi particolari
pag 35
7.- L’etica degli affari e la morale per la convivenza sociale:
responsabilità sociale dell’imprenditore
pag 41
8.- La retorica dei codici etici ed il pericolo del loro
impiego perverso
pag 44
* * *
1.- L’Etica ci assedia
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PREMESSA
In occasione della pubblicazione del saggio del Presidente di Nextam Partners Sgr Spa,
Prof. Gustavo Visentini, “L’etica degli affari è strumento di autoregolazione?”, abbiamo
ritenuto opportuno portare a conoscenza del pubblico una recente delibera del Consiglio
di Amministrazione della nostra società che tratta il tema della corporate governance e in
particolare il tema dei consiglieri indipendenti.
Nextam Partners Sgr è fortemente determinata nell’assoluto rispetto del principio dell’indipendenza della gestione, un principio generale a cui dovrebbero attenersi tutti coloro
che si occupano in qualche modo di risparmio. Tale principio è ribadito in ogni protocollo di autoregolamentazione esistente e in ogni normativa vigente. Tuttavia riteniamo che,
se non vogliamo che questo principio resti lettera morta, esso esiga la definizione e il
rispetto di regole ben determinate, sia di condotta che di organizzazione.
I recenti accadimenti relativi alle vicende legate al dissesto Cirio, Parmalat, Repubblica
Argentina, Cerruti, Giacomelli, Italtractor e, purtroppo, molti altri, impongono un sempre più severo e attento controllo sull’operato delle società di gestione e sulle banche.
Nextam Partners Sgr, che nasce come la prima società di gestione del risparmio italiana
indipendente fondata da gestori, ha sempre fatto della trasparenza un proprio punto di
forza. In ogni azione intrapresa abbiamo cercato di allineare gli interessi della società a
quelli dei risparmiatori. Per fare questo abbiamo aperto sino dalla nascita il Consiglio di
Amministrazione della società a degli amministratori indipendenti che, per le loro competenze e la loro chiara fama, potessero contribuire a legittimare ancor di più la nostra iniziativa.
È fuor di dubbio che gli indipendenti siano utili nella misura in cui riescono a combinare
la loro integrità con le loro riconosciute capacità professionali e con adeguati poteri di
intervento nel governo della società.
Per consentire ciò abbiamo voluto favorire il massimo dell’apertura possibile al loro contributo, ben oltre quanto stabilito ad oggi dalle norme che regolano l’attività delle SGR e
ben oltre quanto auspicato dai codici etici di autodisciplina promulgati dalle più varie
organizzazioni che ruotano attorno all’industria del risparmio gestito.
Abbiamo ritenuto opportuno riportare anche uno stralcio della normativa USA in merito agli amministratori indipendenti, visto che si tratta del paese certamente all’avanguardia
in materia di corporate governance.
Quindi Vi invitiamo alla lettura di questi brevi documenti con la speranza di aver fatto
quanto di meglio era nelle nostre facoltà per garantire al risparmiatore il massimo di trasparenza e di cura dei propri interessi.
Carlo Gentili, Alessandro Michahelles, Nicola Ricolfi, Stefano Turba
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Consiglio di Amministrazione di NEXTAM
PARTNERS sgr del 25.1.2005: delibera
relativa
a
nomina
e
ruolo
degli
amministratori indipendenti
Considerato che la società, nell’obiettivo della tutela del risparmio
gestito, intende valorizzare l’apporto degli amministratori esterni indipendenti,
il Consiglio è chiamato a dare i criteri per rendere operativa la scelta dell’assemblea nella nomina di detti amministratori. A questi stessi criteri ci si atterrà
nelle proposte di nomine o sostituzioni successive. Il Collegio Sindacale, nell’esercizio delle sue competenze, vigilerà sull’applicazione dei suddetti criteri.
La società ha disposto la presenza nel Consiglio di Amministrazione
di amministratori esterni, non muniti di deleghe operative, in possesso dei
seguenti requisiti di indipendenza:
a) Non intrattengano o non abbiano intrattenuto, nei due anni
precedenti la nomina, rapporti d’opera o di lavoro con la
Società, con le società sue controllanti, controllate, collegate,
sottoposte a comune controllo, né con gli amministratori muniti di deleghe (amministratori esecutivi) e, comunque, non ricevano e non abbiano ricevuto nei due anni precedenti, direttamente o indirettamente, compensi dagli stessi soggetti sopra
indicati, con esclusione – per quanto riguarda i due anni precedenti la nomina – di compensi non significativi e per prestazioni del tutto occasionali;
b) Non abbiano compiuto investimenti nella società che, sulla base
di apposita autodichiarazione rilasciata all’atto della nomina,
siano da ritenere significativi in relazione alla consistenza del
proprio patrimonio;
c) Non facciano parte del nucleo familiare e non siano affini degli
amministratori esecutivi o dell’azionista o di uno degli azionisti
del gruppo di controllo o di soggetti che si trovino nelle situazioni di cui alle precedenti lettere a) e b).
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Nel procedere alla disignazione degli amministratori indipendenti in
vista della loro nomina, così come della loro sostituzione o rinnovo, il
Consiglio di Amministrazione invita i soci proponenti ad illustrare le ragioni di tale indicazione a profili professionali, dando compiutamente conto
delle caratteristiche di indipendenza del soggetto ovvero delle ragioni dell’eventuale sostituzione dell’amministratore indipendente.
Di norma, per la durata di due anni decorrenti dalla cessazione della
carica, all’amministratore indipendente non vengono assegnati incarichi
remunerati significativi.
L’amministratore indipendente attraverso la valutazione critica della
politica gestionale favorisce la migliore dialettica consiliare. Con il
Consiglio individua aree di analisi in modo da coprire peridicamente la
complessiva problematica aziendale. La discussione e’ introdotta su istruttoria di responsabilità dell’amministratore interno di volta in volta incaricato.
Inoltre l’amministratore indipendente:
a) può chiedere al Consiglio di interloquire, anche senza la presenza degli altri amministratori, con gli organi di controllo, con il
Presidente del Collegio Sindacale, con le due società outsourcers e con la società di revisione; possono chiedere che sia sentito personale aziendale
b) formula il proprio parere sui criteri che il Consiglio di
Amministrazione definisce per l’attribuzione delle deleghe agli
amministratori interni al fine di assicurare che al consiglio sia
riservato il coordinamento degli atti principali e così come definito dalle delibere di attribuzione delle deleghe.
È inoltre facoltà di ogni amministratore indipendente di proporre al
Consiglio di Amministrazione di avvalersi, a spese della Società, di consulenti esterni per lo studio e la valutazione di particolari questioni con riguardo, segnatamente, ai profili inerenti alle politiche di gestione ed investimento perseguite dal comitato a ciò deputato.
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Securities
Exchange
Commission
and
amendments 2.8.2004 to rules under the
investment company act of 1940: investment
company governance
“GLI AMMINISTRATORI DISINTERESSATI”
(7) Standards di governance di un fondo. Il Consiglio di
Amministrazione di una società di gestione (“fondo”) soddisfa gli standards
di governance del fondo se:
(I) Almeno il 75% degli amministratori di un fondo non sono persone interessate al fondo (“amministratori disinteressati”) o, se il
fondo ha tre amministratori, almeno due devono essere
amministratori disinteressati;
(II) Gli amministratori disinteressati del fondo selezionano e nominano qualsiasi altro amministratore disinteressato del fondo;
(III) Ogni persona che agisce come consigliere legale per gli amministratori disinteressati del fondo è un consigliere indipendente
così come definito nel paragrafo (a)(6) di questa sezione;
(IV) Un amministratore disinteressato è nominato Presidente del
Consiglio di Amministrazione del fondo, presiede le riunioni
del Consiglio di Amministrazione ed ha sostanzialmente le stesse responsabilità che avrebbe come Presidente del Consiglio di
Amministrazione;
(V) Il Consiglio di Amministrazione valuta almeno una volta l’anno
i risultati del Consiglio di Amministrazione e i comitati del
Consiglio di Amministrazione la cui valutazione deve includere
un giudizio sull’efficacia della struttura dei comitati del
Consiglio del fondo ed il numero di fondi nel cui Consiglio
ogni amministratore è nominato;
(VI) Gli amministratori disinteressati si riuniscono almeno una volta
ogni tre mesi in una sessione in cui nessun amministratore
interessato al fondo è presente; e
(VII) Gli amministratori disinteressati sono autorizzati ad assumere
personale impiegatizio, consulenti ed esperti necessari a
supportarli nei loro compiti.
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L’etica degli affari
è strumento
di autoregolamentazione?
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1. – L’Etica ci assedia
In effetti siamo assediati dall’Etica. Le crisi finanziarie ripropongono la morale come guida nel comportamento dell’uomo d’affari.
Nell’immediato esplodere dello scandalo Enron la stampa e la pubblicistica
americana si sono diffusamente richiamate ai sani principi etici, che molti
dei protagonisti avrebbero dimenticato, presi dall’euforia del facile guada2
gno degli anni ruggenti . Ricordo un autorevole intervento, nella pagina
delle opinioni dell’Herald, che a questo proposito si domandava come si può
ritenere possibile affidarsi all’etica per risolvere e contenere gli abusi del
mercato in un Paese che conosce, rispetta e promuove il pluralismo, culturale religioso ed etico; negli USA, dove la popolazione viene da differenti
parti del mondo, diversa per regioni e per razze, e che di queste diversità fa
l’identità nazionale. Nel pluralismo, in una società pluralistica, quale progetto etico potrebbe essere assunto dall’uomo d’affari se non il rispetto della
legge? Quale progetto etico potrebbe unire la popolazione se non quel progetto che la popolazione stessa fa proprio nelle leggi degli Stati e della
Federazione? Ciononostante le imprese si sono date, e vieppiù si danno codici etici. I consigli di amministrazione delle maggiori società approvano codici etici di comportamento. La Borsa italiana ha suggerito un codice etico. I
fondi comuni d’investimento hanno un codice etico. Leggo oggi su Le
Monde che viene approvato un codice etico per regolare la buona condotta
nelle relazioni e nella circolazione delle informazioni tra procura della
Repubblica e sindaci dei comuni. Abbiamo da tempo i codici etici delle professioni. Anche le società italiane si forniscono di codici etici per regolare le
operazioni con i clienti, con i soci, per gestire i consigli di amministrazione
e le assemblee. Le stesse leggi fanno richiamo ai codici etici. Basta scorrere
la stampa, Il Sole 24Ore, il giornale degli uomini d’affari, per trovare ripetuti richiami all’etica e alla morale degli affari. Assistiamo all’intensificarsi
della domanda di etica. Di recente ho avuto più incontri in Confindustria,
a Roma, sul tema; da ultimo con i colleghi proff. Gobbo e Maffettone, con
2Loren FOX, Enron, The rise and fall, New Jersey 2003.
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i quali stiamo promuovendo un centro di osservazione alla Luiss-Guido
Carli. Sentiamo ripetere che ormai la legge ha fallito nel regolare il mercato
e gli affari, e che soltanto l’etica, il senso di responsabilità sociale dell’impresa, può salvarci, può ridare vitalità agli affari. Per vero a dimostrare il contrario abbiamo dinanzi agli occhi il caso di un’azienda resa strumento perverso di abusi nonostante la profonda e ripetuta devozione etica della proprietà. Sentiamo peraltro dire che lo stesso mercato, i consumatori, i risparmiatori, se resi coscienti dei vantaggi possono premiare le imprese etiche.
Ho acquistato ieri una delle numerose pubblicazioni sul capitalismo e la
responsabilità sociale dell’impresa, dove si ripropone con forza la necessità
dell’etica come fondamento delle decisioni, suggerendo di documentare
periodicamente il grado di rispetto etico in un Ethical Impact Report 3.
Oggi discuto: L’Etica degli affari è strumento di autoregolamentazione? Vi è nel titolo l’idea che la regolamentazione etica migliorerà i comportamenti. Ma come? In quale senso dobbiamo intendere il richiamo all’etica
per regolare la pratica degli affari? Perché, in quale modo, l’etica può rivelarsi un vantaggio per l’impresa nella concorrenza? Quale etica? Quale relazione, quale mediazione può comporre il conflitto latente tra l’etica del
capitale, cioè l’etica di patti conclusi per il profitto, e l’etica, la morale, della
società, che nel suo complesso propone altri interessi e valori? Perché l’etica
può riuscire dove il diritto ha fallito? Appunto, quale rapporto tra diritto ed
etica? Come l’etica può sostituire, o forse meglio integrare, il diritto?
È tutto così confuso; troppo confuso!
Dobbiamo prendere coscienza del senso delle cose attraverso l’analisi, per non lasciarci convincere dalla seduzione, anziché dalla argomentazione; per evitare la trappola di quella propaganda che nei fatti riesce a deviare
dagli obiettivi predicati; per sfuggire a quella figura retorica che chiamiamo
ipocrisia 4.
3 M.KELLY, The Divine Right of Capital. La Kelly dirige Business Ethics, a national publication
on corporate social responsbility launched in 1984; un capitolo è dedicato all’etica in I.L.
FANNON, Working within two kinds of capitalism. Portland, Orengon 2003.
4 B.SZABADOS & E.SOIFER, Hypocrisy. Ethical Investigations, N.Y. (Broadview Press) 2004.
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2. - Quale significato dare all’etica,
e all’etica degli affari
Mi propongo di rispondere alla domanda se l’etica, come categoria
del pensiero per l’azione, sia strumento in grado di regolare la condotta degli
affari. Perciò devo indicare il senso della nozione di etica, indirizzandomi
per il significato di regole di comportamento; oggi la indichiamo nell’etica
normativa.
2.1. - Ricognizione delle definizioni dell’etica.
Ci riferiamo all’etica, all’etica degli affari, senza condividere un
significato sufficientemente chiaro dei principi e dei valori che ne danno il
fondamento, e delle nozioni che ne formano il contenuto; un significato
almeno fornito di quel grado di precisione che invece il diritto, nella convivenza, ci impone di dare ai suoi concetti e alle sue parole, tenuto conto del
loro contenuto, e del loro effetto di costrizione, di prescrizione, dei comportamenti individuali per l’ordinamento sociale.
Nel discorso sociale la parola etica può conservare un significato
approssimativo, proprio perché il contenuto dei valori richiamati si impone
liberamente alla decisione e al comportamento di ciascuno. L’etica s’impone a ciascuno secondo la propria coscienza; secondo la propria filosofia;
secondo un giudizio di eticità che non necessariamente formuliamo razionalmente, ma che spesso è il risultato intuitivo della nostra cultura: delle
fedi delle tradizioni e degli istinti. L’etica, si dice, è un sentimento, uno stato
d’animo verso il comportamento, innanzitutto verso il nostro comportamento. Perciò ora, per intendersi, è sufficiente disporre di un significato che
ci dia il senso della nozione, senza precisione di contenuti idonei a dare giudizi di valore.
Possiamo prendere le definizioni dai lessici, quelle che meglio riflettono le opinioni correnti sull’etica.
Nel Dizionario Battaglia troviamo riportato. “Filos. Scienza della
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condotta umana, intesa come dottrina del fine a cui tende il comportamento e dei mezzi atti a raggiungere tale fine, o come ricerca del movente della condotta stessa (e mira alla definizione della nozione di bene, ravvisato nella felicità, nel piacere, nell’utile, nell’amore, nell’economia, ecc.);
morale”; quest’ultima, come sostantivo: “Disciplina filosofica rivolta
all’analisi della condotta umana, dei suoi fini e dei suoi moventi, e dei
modi e delle forme atte ad adeguarla (anche attraverso una precettistica
pratica) all’ideale del dovere considerato come puramente autonomo
oppure in quanto vincolato alle credenze fondamentali di una tradizione
religiosa, dottrinale, politica”. Riformulo la definizione da altri lessici:
“Parte della filosofia che tratta del bene e del male, delle norme morali,
dei giudizi di valore, e che riflette su questo insieme. Ha anche per oggetto la determinazione dei fini della vita dell’uomo e i mezzi per perseguirli”; “- Parte della filosofia che studia i fini pratici dell’uomo, cioè le condizioni individuali e collettive delle vita buona; - dottrina specifica che stabilisce il contenuto di questa bontà e quindi il contenuto normativo delle
regole che ne permettono il perseguimento; - la coscienza dei valori e delle
regole di condotta della pratica di un gruppo determinato (etica degli affari, del diritto, del giornalismo, ecc.)”. “La morale, sticto sensu, si distingue
dai sistemi di prescrizione giuridica in ciò che questi ultimi sono precisamente istituiti e che la loro trasgressione è seguita dagli effetti disposti
dalla legge. Il dominio della morale (nonostante che una prescrizione
morale può non essere differente nel contenuto da una determinata prescrizione giuridica) è quello dell’interiorità dei giudizi individuali (con la
possibilità di una sanzione interna, il rimorso, che ha l’effetto di impedire che i cattivi siano felici). Quello che rileva dal foro interno non può che
essere regolato che da regole morali”; appunto: “La specificità della regola morale è che la libertà di trasgredirla cade sotto il giudizio del foro interno – è solo qui l’efficacia della regola: ciascuno è giudice di se stesso; a se
stesso nulla può essere nascosto”5.
5 S.AUROUX, Morale, Enc.Ph.Un. 2.
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Le definizioni non ci forniscono un criterio formale per individuare il concetto di morale ovvero di etica, e quindi per individuare le regole
della morale; come invece, per il diritto, la presenza della sanzione, che ci
serve per individuare le regole giuridiche. Piuttosto le definizioni riportate
prendono atto che l’uomo, quantomeno nella civiltà occidentale, è istintivamente sollecitato ad un giudizio di valore, di giusto od ingiusto, di bene
e di male, di fronte ai casi della vita; e che il criterio della valutazione morale è radicato nel sentimento personale, secondo coscienza; sì che, riconosciuta e protetta nelle moderne civiltà la libertà di coscienza, abbiamo la
libertà etica. Non in ogni tempo e non in tutte le società è riconosciuta la
libertà etica; le società totalitarie intendono imporre l’etica: sono nella
recente esperienza le società etiche (l’etica del comunismo, del fascismo ecc.).
la libertà etica determina il pluralismo etico in un contesto che dobbiamo
avere presente per capire il senso delle valutazioni etiche nelle moderne
società liberali.
Le componenti della definizione sono: la valutazione morale di
bene/male radicata nel nostro sentire; la natura personale del criterio della
valutazione, secondo coscienza; la libertà della coscienza etica, intesa soprattutto come libertà di indirizzare l’azione pratica secondo la propria coscienza; la presenza di regole etiche di comportamento, sì da dare all’etica portata intersoggettiva.
2.2. - L’etica degli affari.
Anche per la specificazione di etica degli affari richiamo le definizioni del diz.: “Settore dell’etica applicata che si esercita nell’analisi e nella giustificazione di pratiche, organizzazioni e istituzioni che hanno a che fare con
il settore dell’economia e degli affari. Costituitosi come settore disciplinare
autonomo negli anni settanta, tramite un fecondo scambio interdisciplinare con l’economia, le scienze sociali e il diritto, l’etica degli affari tende ad
articolarsi in a) macro-etica degli affari, che consiste nella valutazione morale delle istituzioni economiche di base, come il mercato, l’economia piani-
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ficata, lo Stato del benessere ecc.; b) meso-etica degli affari, che consiste nella
valutazione morale delle organizzazioni intermedie e delle imprese; c) microetica degli affari, che consiste nella valutazione morale di scelte e di comportamenti effettuati nell’ambito di determinati ruoli o rapporti professionali
(azionisti, manager, dipendenti, clienti ecc. L’etica degli affari, pur sottoponendo le proprie asserzioni a un severo controllo logico, linguistico e metodologico, è protesa a prescrivere (e non semplicemente a descrivere) determinati modelli di comportamenti e rappresenta quindi una manifestazione
della rinascita tardo novecentesca dell’etica normativa”6.
Intendo in questa sede occuparmi di quella parte dell’etica applicata indicata come micro-etica; e per ora dell’etica per il profilo capitalistico
dell’impresa, dell’etica nei rapporti commerciali: nei rapporti di organizzazione del capitale dell’impresa (shareholders) e di scambio dei beni e servizi
prodotti con la clientela (etica del consumatore). Appunto, dell’etica nella
conclusione di affari commerciali d’impresa. Non intendo per ora occuparmi degli altri rapporti e degli altri interessi e valori che restano condizionati dalla conduzione degli affari: dei rapporti con i dipendenti, con l’ambiente, con il territorio ecc.; cioè della responsabilità sociale dell’impresa, intesa
come comunità di persone che vivono nella società (stakeholders).
Si è sottolineato, a mio avviso correttamente, che la qualificazione
di applicata è equivoca se fa intendere che si tratti semplicemente dell’applicazione di una teoria etica: scelta la teoria, per il pratico si tratterebbe di
dedurne le regole da applicare a situazioni concrete; il professionista dell’etica dovrebbe applicare le regole morali come una ricetta di cucina. L’etica
applicata non si riduce ad un’etica da applicare; l’etica applicata ha caratteri che la oppongono ad un modello deduttivo in filosofia morale e alla separazione tra teoria e pratica. L’accento messo sui casi pratici sottolinea l’importanza accordata al contesto. Vi è chi vede nello sviluppo delle etiche pratiche una diminuzione dell’ambizione teorica per rispondere concretamente a problemi complessi ed urgenti. Un movimento inverso propone invece
il rinnovo nell’affrontare concetti o questioni tradizionali della filosofia
6 N.ABBAGNANO, Dizionario di filosofia, Torino 1988, voce Affari, di G.FORNERO
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morale per iscriverli nel contingente della vita contemporanea, la cui attività è ampiamente tecno-scientifica 7. Un’etica filosofica ha senso solo nei limiti in cui essa risulta rilevante per i problemi partici della gente; una riflessione sui costumi la quale non serva alla pratica deve avere un qualche difetto
teorico, dal momento che il compito dell’etica è proprio quello di guidare
la vita pratica 8.
2.3. -
La morale e l’etica: il senso delle due parole.
Usiamo spesso indifferentemente etica o morale. Infatti etica è la
parola greca che deriva da ethos, costumi, e che il latino traduce in moralis,
derivata da mos, che ugualmente indica il costume. Nell’etimologia etica e
7 M.H. PARIZEAU, Ethique appliquée:Les rapports entre la philosophie morale et l’éthique appliquée, in Dictionnaire d’éthique, Parigi, P.U.F. 2004).
8 Ho riportato da G.FORNERO, Etica, in Diz. Fil., voce pregevole per la chiarezza della sintesi delle recenti evoluzioni della filosofia etica; più diffuso lo stesso A. in Filosofie del Novecento, capo 51:
Etica e bioetica, Milano 2002.
“L’expression éthique appliquée est probablement mal choisie; l’éthique est souvent tout le contraire de l’application d’une théorie. Il eut sans doute mieux valu la considérer comme une causistique
moderne. Sa spécifité est, justement, d’inverser le rapport du général au particulier, des principes aux conséquences, que l’on rencontre dans l’éthique traditionnelle. En cela, elle constitue un renversement profond dans l’histoire récente de la philosophie morale. Ce dont traite l’éthique appliquée, ce n’est pas de
savoir si le fondement de la moralité de mon action est la possibilité d’universaliser le principe qui la guide,
mais de savoir s’il faut tuer le foetus mal formé de Mme X, s’il faut condamner M.Y parce que sa fille est
morte des suites d’une clitoridectomie rituelle dans un HLM de banlieu, si un médicin a commis une faute
en greffant un organe sans l’autorisation des parents du moert sur lequel il l’a prélevé, etc. Des problémes
étiques réels sont là, liée à l’evolution de la civilisation moderne….Il y à évidentement des théories éthiques; pour la casuistique moderne, elles n’ont de véritable intéret que dans la mesure où elles permettent
d’obtenir des solutions. Si bien qu’au lieu que soit le principe général qui évalou le cas particulier, on peut
penser que c’est la facon dont est résolu ou non le cas particulier qui permettra de tester la validité des théories éthiques. L’éthique appliquée restitue a l’éthique un principe d’empiricité qu’elle avait perdu sous l’influence de discussion abstraites….Il est probable que c’est par là que l’éthique appliquée est en train de
remodeler toute la réflexion éthique”, S.AUROUX, Ethique, E.Ph. cit.
Di scarso aiuto ai miei fini il recentissimo M.H.KRAMER, Where Law and Moral meet,
Oxford 2004, in quanto la questione è discussa in termini di etica teorica ; all’opposto di HUNYADI, in nota seguente
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morale hanno il medesimo significato, ed abbiamo visto che anche il diz. lo
registra. Tuttavia nella discussione oggi non raramente troviamo impiegate
le parole diversamente, senza che ne sia chiaro il senso. Così leggo in
Ricoeur: “se non vi è accordo sul rapporto, gerarchico o altro, tra i due termini, vi è accordo sulla necessità di disporre di due termini”9.
In effetti nel nostro linguaggio corrente, di pratici degli affari e del
diritto, con morale richiamiamo un insieme più o meno organizzato di valori, invece con etica ci riferiamo ai valori già decantati in regole di comportamento; ci riferiamo a regole che conducono gli affari. Se vogliamo, possiamo anche dire che con morale ci riferiamo alla riflessione teorica e con etiche alla riflessione morale applicata alle condotte professionali.
Va sottolineato che il passaggio dall’insieme dei valori agli stessi
valori composti in ordinate regole di condotta non è immediato, non è operazione meramente deduttiva, poiché la formulazione della regola impone
la scelta del valore e la graduazione nel perseguimento dei valori, operazione non indolore; è qui il punto delle discussioni etiche. Il problema etico è
meno nel riconoscimento dei valori, che più facilmente sono accettati, che
nella regolamentazione che li compone secondo priorità. Infatti il problema
etico è proprio nel dilemma che all’azione pratica solleva la scelta in presenza del conflitto di valori. La guerra è morte, la guerra al terrorismo è difesa
di valori, ma è anche morte di innocenti: quale è la giusta guerra?
D’altro canto, quando parliamo di etica degli affari, di codici etici
per la regolamentazione degli affari, ci riferiamo non a giudizi di valore, a
valutazioni di principio, alla morale; ma ci riferiamo a regole astratte, da
porre o già poste, che devono prevedere, o già prevedono, il comportamento che si deve tenere per essere onesto. Ci riferiamo a sistemi di norme che,
in quanto prescrittivi, operano o hanno già operato le scelte sui comportamenti da tenere. Il codice etico si presenta come il diritto, cioè come un
sistema di norme. Per vero le regole dell’etica possono o meno essere il contenuto del diritto; il diritto è etica codificata.
9 RCOEUR, Ethique: De la morale à l’éthique et aux éthiques, in Dict. cit.
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2.4. -
Libertà e pluralismo etico.
Per la teoria, la morale è radicata nella coscienza individuale;
intesa rigorosamente la moralità è un impegno esclusivamente verso se
stessi, che non crea attese, che non può creare attese, per gli altri. Il giudizio è nell’intimo di ciascuno; nessun altro può erigersi a giudice del
comportamento altrui senza invadere la sfera dell’intimo.
Così non accade in quanto la comunanza di valori consente alla
società di esprimere attese di moralità che si traducono nell’esperienza di
regole morali. E le regole si presentano oggettive. Anzi, nell’esperienza la
morale vive come un sistema di regole che non raramente acquistano, nel
consenso della società che le condivide, la forza di consuetudini che possono rivelarsi impegni più pressanti del diritto, che integrano il giuridico con la forza del consenso sociale sul loro contenuto. L’etica, l’etica
degli affari, si presenta ai comportamenti della società come un sistema
normativo.
Peraltro nelle società libere, nelle quali è un valore la libertà
morale, proprio perché l’etica nasce dalla coscienza individuale e si rivolge al libero decidere di ciascuno, se individualmente il valore è assunto
come universale assoluto, nella convivenza sociale constatiamo che convivono differenti etiche, e così diverse etiche degli affari, radicate su differenti valori che determinano differenti scelte nella soluzione del dilemma
etico.
Il pluralismo etico è un dato che dobbiamo assumere nel riflettere sul nostro tema, per dare risposta alla possibilità che l’etica sia strumento di autoregolamentazione, e sul come ciò possa accadere.
L’etica rientra nello spazio delle libertà individuali, e fa parte
della nostra libertà il ripensamento, cioè il disimpegno da quanto precedentemente deciso ed assunto, senza che se ne debba dare conto. La sanzione di immorale per il disimpegno non può che stare nella coscienza di
colui che si è disimpegnato, come valutazione del tutto personale del giusto. Anche il giudizio di immorale che dovesse derivare dalla società, dall’ambiente, cui appartiene colui che si è disimpegnato, è un giudizio radicato sulle coscienze, che può tradursi in comportamenti sfavorevoli, di
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allontanamento o di isolamento dell’immorale, ma come situazioni di
mero fatto, che tra l’altro possono trovare il limite nel divieto di discriminazione sulla base delle idee, cioè sulla base anche dei giudizi morali e
dei comportamenti etici, quando per il suo contenuto la clausola rivela
intensi contenuti ideologici, considerato l’ambiente in cui è destinata ad
operare. Soltanto assorbendo l’etica nel giuridico possiamo essere sicuri
che si possa esigere l’adempimento della regola concordata come morale;
ma allora cessa di essere una regola meramente morale.
2.5. -
I contenuti dell’etica e dell’etica degli affari.
Non disponiamo di un criterio comune per stabilire cosa sia etico,
quale sia il vero valore etico sul piano sostanziale dei contenuti delle regole di comportamento. Se accettiamo la libertà di coscienza, indipendentemente dalla convinzione personale, dobbiamo accettare il pluralismo
etico. I valori sono nei fatti plurimi, ed il negare teorico del valore altrui,
diverso dal mio, non impedisce che nei fatti il giudizio altrui sia assunto
da costui come valore etico. In queste condizioni l’etica non regola; tutt’al
più il sociologo può rilevare delle costanti nel comportamento etico degli
associati.
Ma se ci guardiamo attorno, nell’esperienza, al di là delle teorie,
ci accorgiamo che l’etica impone la sua verità in regole di comportamento della comunità che si riconosce in quelle verità morali. Ci accorgiamo
che le verità etiche o sono dedotte dal dogma cui l’individuo aderisce
come religione o comunque come credo che accomuna, oppure sono verità indotte nella verifica della storia, che stanno nelle radici della società:
della sua civiltà e della sua cultura, la quale, pur nel pluralismo contingente, si richiama nella sostanza a principi e valori diffusamente sentiti comuni. Anzi, ci si accorge che le due impostazioni: verità dogmatica e verità
storica, si incontrano nell’esperienza, perché le verità dogmatiche, quando
sono diffuse, sono verificate storicamente nelle esperienze. Si osserva che
molti valori sono sentiti acriticamente nostri, sono sentiti nostri in quan-
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19
to radicati nel costume, indipendentemente dal derivare dal dogma, dalla
fede, dal sentire10. L’analisi sociologica ci dice che l’etica si fa nell’esperienza. Le religioni, le filosofie, e anche le scienze11, ci forniscono le ragioni teoriche delle etiche che le esperienze culturali ci documentano vive e
consistenti. In questo contesto ha senso richiamare l’etica per la regolamentazione degli affari12.
È la storia la fonte più sicura dei contenuti etici fondamentali condivisi. Ritorniamo al significato etimologico delle parole: è nei costumi che
troviamo l’etica della società. E ai costumi attingono i codici dell’etica degli
affari, che per essere ben fatti si avvalgono di professionisti, di specialisti
delle esperienze culturali. “L’esame dei casi concreti ha contribuito allo sviluppo di una disciplina che, designandosi come etica, pretende all’indipendenza. Dotata di propri esperti e specialisti che si denominano essi stessi eticisti per distinguersi dai filosofi che lavorano sulle questioni morali, questa
nuova disciplina, che appena si osa riconoscerla come etica, vuole essere una
forma di causidica razionale dispensata da ogni riflessione filosofica che si
riporta, ad es., sulla definizione del bene”13. I codici etici non si rivelano
delle forme di elaborazioni pregiuridiche, o di accompagnamento ed integrazione del giuridico? Non ripetono i codici etici, sia pure in un diverso
contesto culturale, quell’esperienza passata, durata sino al secolo scorso, ed
ancora oggi in quache università, del diritto naturale, fornito di specialisti e
di corsi d’insegnamento?
10 Di etica minimale parla R.OGIEN, La panique morale, Parigi (Grasset).
11“Se l’immagine che abbiamo degli organismi coscienti w dell’evoluzione è corretta, i sistemi
di valori sono delle costrizioni necessarie per la selezione dell’evoluzione e per la selezione dei gruppi di
neuroni degli animali muniti di cervelli superiori”, G.M.EDELMAN (Nobel della medicina) Wider than
the sky, Yale 2004, fine capo 11. J.SEARLE, La razionalità dell’azione, Milano 2003.
12“L’etica manifesta in noi un imperativo, quale esigenza morale. L’imperativo nasce da fonte
interiore all’individuo, che sente nel suo spirito l’imposizione di un dovere. L’imperativo proviene anche
da fonte esteriore: la cultura, le credenze, le norme di una società. Vi è indubbiamente anche una fonte
anteriore, derivata dall’organismo vivente, trasmessa geneticamente. Queste tre fonti sono correlate, come
se ci sia una falda sotterranea comune”, E. MORIN, Ethique, Parigi (Seuil) 2004, p.13.
13 M.CATO-SPERBER & R.OGIEN, La philosophie morale, Parigi 2004, p.14.
Richiamo la pagina che qualche giorno fa Mark C.Taylor ha dedicato a Derrida in H.T. 15
ottobre 1004, The real meanning of deconstruction: «He developed a vision that is consistently ethical…..To
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La regolamentazione etica si fa nell’esperienza della società, sì da
costringere all’invenzione quando le innovazioni tecniche si rivelano rivoluzionarie rispetto alle condizioni tradizionali del nostro operare, come nella
medicina genetica: è assai difficile ricavare dal passato la regola, il giusto che
sta nel mezzo, che ci consenta di rispondere ai nuovi problemi14; l’esperienza ci può dare per analogia indicazioni sul come avvicinarci al giusto mezzo.
Non è questo per ora il caso dell’etica degli affari, la cui esperienza non
conosce rotture della portata che le tecniche hanno introdotto in altre aree
d’interesse delle società; piuttosto osserviamo una continuità di principi e di
valori assunti comuni nelle società liberali di economia del capitale privato.
Per l’etica degli affari l’esperienza culturale ci indica i principi morali
sui quali sviluppare le regolamentazioni: sta ai patti; rispetta la parola data;
rispetta l’interesse che per fiducia hai assunto l’incarico di gestire; se sei fornito
di autorità in ordine ad interessi di altri, rispetta l’interesse che per fiducia le istituzioni ti hanno affidato.
his critics Derrida appeared to be a pernicious nihilist….Derrida does argue that transparent truth and
absolute values elude our grasp. This does not mean, however, that we must forsake the cognitive categories and moral principles without which we cannot live : equality and justice, generosity and friendschip.
Rather, it is necessary to recognize the unavoidable limitations and inherent contradictions in the ideas and
norms that guide our action, and do so in a way that keeps open to constant questioning and continual
revision. There can be no ethical action without critical reflection….he also tautght us that the alternative to blind belief is not simply unbelief but a different kind of belief –one that embraces uncertainty and
enables us to respect others whon we do not understand. In a complex world, wisdom is knowing what we
don’t know.
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3. - L’etica degli affari nelle economie
dipendenti dal mercato:
proteggere i contratti dalla frode
I grandi scandali della finanza americana, le vicende del Credit
Lyonnais, Executve Life15 , Vivendi16, Tangentopoli, Cirio e Parmalat, e, in
questi giorni sembra Volare: nella storia del mercato e della finanza le crisi
sono fisiologiche17.
Che le crisi siano fisiologiche nelle economie dirette dal mercato ce
lo insegna la scuola, la pubblicistica, soprattutto lo dimostra l’esperienza.
Che sia necessario orientare la nostra economia, di tradizione mista,
verso l’economia diretta dal mercato ce lo dicono gli esperti, ne sembra orientato il mondo politico, ce lo impongono i vincoli comunitari. Sono convinto
vi siano le condizioni sociali e politiche per perseguire questo progetto, che si
impone nella concorrenza mondiale, alla quale dobbiamo partecipare se intendiamo conservare e sviluppare la ricchezza a disposizione della nostra società.
Per questo inizio l’esame dal ruolo dell’etica nel mercato.
Nelle economie dirette dal mercato quando accadono le crisi sono
costose, ma nel tempo sono indice di efficienza dei mercati, in quanto sono
l’effetto della mobilità delle risorse, che la concorrenza nuovamente alloca
nel mutare delle condizioni dei fattori produttivi e della domanda. Per la
funzionalità dei meccanismi del mercato, e per la qualità dello stesso mercato, il problema non è di evitare le crisi. Impedire le crisi: è contenere la
concorrenza e ridurre la responsabilità dell’imprenditore; è proteggere l’inefficienza; comporta aumento dei costi nella allocazione dei capitali; richiede
una complessa organizzazione amministrativa difficile da controllare. Per la
funzionalità del mercato il problema sta invece: nel regolare come accadimento fisiologico, come voluta conseguenza della mobilità del mercato, le
14 M.HUNYADI, Je est un clone: l’éthique à l’épreuvw des biotechnologies, Parigi 2004.
15 P.HENISSE, Executive Life, La France de l’argent facile, Parigi 2004.
16 M.ORANGE&J.JOHNSON, Une faillite francaise, Parigi 2003.
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crisi economiche e finanziarie; ma nel contempo: nel prevenire e punire come
patologie le crisi di legalità, queste sì distorsive della concorrenza, di danno
per il mercato, di ingiusta allocazione dei capitali e dei profitti.
Le crisi di legalità, nel loro complesso ed intese nella loro radice, ben
possono ricondursi a vicende di frode contrattuale; alla frode, nel significato
più comprensivo.
Infatti il mercato è la risultante di accordi tra operatori liberi di decidere: imprenditori e consumatori. Il contratto è lo strumento del mercato, sì che
i principi del contratto sono i principi del libero mercato. Perciò il principio sul
quale si fonda il mercato è il rispetto dei patti. La frode inquina l’accordo e, se
diffusa, distrugge il mercato18.
Non è sufficiente il diritto privato generale dei contratti a regolare gli
affari. La complessità del fenomeno impone di sofisticare il diritto commerciale per proteggere le parti degli accordi dalle frodi. Appunto, la regolamentazione del mercato, tenuto conto: della complessità delle organizzazioni economiche; della complessità delle operazioni; della frequente presenza
di rapporti istituzionali di fiducia, dove l’una parte si affida all’altra per la
gestione dell’affare; della diversa posizione delle parti degli accordi, si propone di circoscrivere i rischi degli affari alla fisiologica alea dell’economia,
per ridurre e sopprimere nella composizione del rischio dell’affare la frode
dell’una parte ai danni dell’altra.
Come l’etica può rivelarsi strumento di protezione dalla frode? Come
può l’etica essere strumento di protezione più efficace del diritto? Può l’etica
sostituire o integrare il diritto nel sopprimere o nel contenere la frode e gli abusi
nella gestione degli affari?
Per rispondere è necessario il raffronto tra etica e diritto positivo; il
confronto della libertà etica, e quindi del pluralismo etico, con l’impero del
diritto positivo, il quale, per definizione, non è pluralistico.
17C.P.KINDLEBERGER, Manias, Panics and Crashes: A History of Financial Crisies, G.B. 2000.
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4. - L’etica ed il diritto positivo
Etica e diritto positivo sono sistemi di norme. Sul piano sostanziale
il diritto positivo è la codificazione da parte della società, configurata nello
Stato, dei valori e degli interessi che il meccanismo di produzione normativa ha scelto per imporli come regola di condotta alla comunità. Con il diritto la scelta del dilemma etico è assunta giuridicamente, sicché gli individui
che appartengono alla comunità sono astretti al diritto. Sul piano formale la
distinzione è immediata, in quanto si coglie sulla base del criterio che individua la norma del diritto positivo per la presenza della sanzione statale, che
ne garantisce l’efficacia; oppure, meglio, per l’azionabilità della norma nel
processo giurisdizionale di attuazione del diritto positivo.
Nello Stato di democrazia liberale è il parlamento che decide la
politica della comunità attraverso la legge, che è riferimento primario nella
formazione del diritto positivo. L’etica della democrazia, della legge democratica, sta nel procedimento che garantisce alla minoranza di poter divenire maggioranza.
Nella collettività statale il diritto è universale, l’etica è particolare. Il
diritto è necessariamente universale, per l’imposizione della sanzione che
costringe al comportamento anche contro l’etica individuale. Invece l’etica
è particolare; s’impone consensualmente, secondo la coscienza di ciascuno,
secondo individui e gruppi di appartenenza, secondo il credo di ciascuno.
Quando, sul piano sostanziale, si verifica un contrasto tra etica particolare e
diritto, è la norma del diritto positivo che prevale, imponendo la sanzione
al comportamento illegale, anche se individualmente motivato da ragioni
etiche: è nella coscienza individuale decidere se porsi contro il diritto, e
subirne la sanzione, per rispettare la propria intima etica.
L’etica ha un ruolo sia nella formazione che nella applicazione del
diritto. Se nella formazione del diritto positivo l’etica dovrebbe assolvere alla
funzione di determinare la politica legislativa, nell’applicazione del diritto
l’etica accompagna l’argomentazione dell’interprete nel procedimento giudiziario che trova nelle scelte del legislatore il dogma di riferimento.
Nell’organizzazione dell’economia privata, diretta dal mercato,
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nella conduzione degli affari nel mercato, il diritto commerciale è la regolamentazione del profilo capitale dell’impresa e della società di commercio. Il
diritto commerciale è il diritto patrimoniale degli affari. Il diritto privato
patrimoniale, il diritto commerciale, assumono quale principio etico il
rispetto dei patti, che significa non soltanto che i patti devono essere adempiuti come stabilito con l’accordo, ma anche che il patto va concluso ed eseguito senza frode da entrambe le parti, nel rispetto della buona fede e dell’affidamento di ciascuna sulla correttezza dell’altra. Nella gestione di affari
altrui, che caratterizza le società e il mercato del risparmio, il rapporto fiduciario è protetto dalle frodi e dagli abusi del gestore. Dato il contenuto
esclusivamente patrimoniale dei contratti, il principio etico del rispetto dei
patti assunto dal diritto protegge gli interessi esclusivamente economici
delle parti dalle frodi.
È difficile immaginare, con riguardo agli affari, un principio etico
che non sia conforme al principio etico accolto dal diritto. L’etica degli affari è l’etica del rispetto dei patti; il rispetto dei patti è principio codificato dal
diritto. Perciò l’etica degli affari è l’etica della legalità, che eventualmente, se
necessario, viene ad integrare, completare, sviluppare la regolamentazione
legale nel perseguimento dello stesso valore: appunto, proteggere i patti
dalla frode.
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5. - Quale regolamento può dare l’etica
agli affari
L’etica, prima che strumento di autoregolamentazione, è determinante nella formazione della legge, e poi nell’applicazione del diritto.
Non si sottolinea mai a sufficienza l’importanza che rivestono le
istituzioni del parlamento, della giurisdizione e dell’accademia per l’etica
del diritto; per l’etica della legalità. La qualità del diritto sta nella maturazione politica delle disposizioni, accompagnata dalla precisione tecnica di
redazione; e poi nella discussione della dottrina e nell’attuazione normativa nel processo giurisdizionale. L’etica è determinante in ogni momento
dell’esperienza giuridica: la profondità dell’esperienza giuridica è nella
mediazione etica dei valori. La maturazione politica della legge e la profondità della discussione per la sua applicazione dipendono dall’organizzazione del procedimento legislativo, dall’organizzazione delle università,
dall’organizzazione del processo e della giurisdizione.
5.1. -
L’etica non può sostituire il diritto.
L’etica può essere strumento di autoregolamentazione soltanto nel
rispetto dei vincoli del diritto, quindi nell’attuazione del diritto oppure
negli spazi non coperti dal diritto.
Non posso condividere quanto ora spesso si sente dire: il diritto
ha fallito, sostituiamolo con l’etica. L’autoregolamentazione etica, si dice, è
per la sua natura duttile, in grado di penetrare nell’intimo dei rapporti,
sì da operare meglio del diritto; perciò ben può con successo prendere il
posto del diritto; il diritto invece, per la sua generalità ed astrattezza,
rivela rigidità, che l’immorale trova sempre il modo di eludere nei casi
concreti. Il fallimento del diritto, che poi non è così catastrofico come lo
si presenta, e comunque non lo è dello stesso grado in tutte le esperienze, è conseguenza dell’insufficienza del diritto, che ne consiglia il perfezionamento, non la rinuncia. Figuriamoci se una società che non si sa
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dare il diritto è in grado di regolarsi affidandosi alla sola etica? A quale
etica? All’etica di chi? Alla coscienza personale? Forse che non accade talvolta che l’imprenditore nell’avvicinarsi della crisi froda nella buona
coscienza di tentare di salvare i dipendenti e la famiglia dal disastro?
Sappia invece quella società darsi innanzitutto un diritto etico.
5.2. -
L’etica del legislatore.
Prima che autoregolamentazione degli affari nel quadro dei vincoli
giuridici, l’etica ha un ruolo fondamentale nella formazione della legge. Quando
parliamo di etica degli affari dobbiamo rivolgere l’auspicio di eticità innanzitutto al legislatore.
Il legislatore non è un’entità astratta, né si esaurisce nel parlamento
che approva la legge. La legge è innanzitutto nel progetto del governo. Ma
alla formazione della legge concorre l’opinione pubblica, la sensibilità delle
professioni, la pubblicistica, la magistratura e l’università, gli studiosi delle
materie interessate: la qualità del dibattito ci dà la qualità della legge e del
diritto. Le gravi crisi di legalità che lamentiamo sono una manifestazione
dell’insufficienza della legislazione nel regolare gli affari secondo il principio
etico di non imbrogliare.
L’insufficienza della legislazione, specialmente in questi ultimi anni,
è dovuta alla carente formulazione del progetto politico: il momento congiunturale ha la netta prevalenza; la superficialità del dibattito, intriso di
luoghi comuni, agevola la penetrazione di soluzioni rispondenti ad interessi particolari; la verbosità e il disordine nella redazione del testo impediscono la valutazione istituzionale della riforma. Purtroppo non raramente l’insufficienza della legislazione è conseguenza del prevalere di interessi corporativi. I due profili, carenze nel progetto e prevalenza di interessi particolari, si completano nel risultato. Davvero è insufficiente il grado di eticità del
nostro legislatore.
Faccio qualche esempio.
Abbiamo una legislazione scadente nella regolamentazione del mer-
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cato, della finanza e della borsa. Se facciamo attenzione la regolamentazione di borsa e del mercato mobiliare è estesa nel prescrive comportamenti e
controlli, ma poi sul piano delle sanzioni è del tutto insufficiente, e mi riferisco sopratutto alle sanzioni azionabili, secondo regole di diritto privato,
con le domande di risarcimento dei danni. L’efficacia della legge va colta nel
dispositivo azionabile, non nelle altre parole19. Più in dettaglio richiamo
altri casi. Il mercato sopporta costi elevati per le revisioni contabili delle
società, per le consulenze e i controlli nel caso di quotazioni e di fusioni, con
risultati scarsamente utili per la carenza della sanzione che rende efficace la
regola di diritto. Si è creato un settore di operatori costosi ma inutili: di attività parassite; è sufficiente scorrere la giurisprudenza per rendersene conto:
la scarsità dei casi non è dovuta alla moralità del mercato italiano. La recente riforma delle società per azioni secondo le dichiarazioni è improntata alla
logica di accrescere le libertà d’impresa dei gestori, ma queste libertà nel
dispositivo non sono un recupero della libera iniziativa economica dell’impresa sul mercato concorrente, bensì una libertà per gli amministratori,
fiduciari, dai vincoli societari che, pur insufficienti, la legislazione tradizionale disponeva per proteggere il rapporto fiduciario dalla frode. Sappiamo
tutti che il divieto di agire in conflitto d’interessi è il punto forse cruciale
per la protezione dei soci e dei clienti dei gestori, e così si suole dire anche
nelle sedi legislative, ma poi vediamo il legislatore affannato nel circoscrivere la portata pratica dei divieti di conflitto che pomposamente stabilisce. Il
principio del conflitto è nell’etica dei rapporti fiduciari: chi affida il proprio
interesse ad altri vuole che costui decida senza l’interferenza di interessi propri, o di cui diviene referente, in grado di influire sulla decisione; in poche
18 Vede nella frode, che comprende il conflitto d’interessi, il male che distrugge il mercato, cfr.
G.ROSSI, Il conflitto endemico, Milano 2003.
19 G.VISENTINI, Osservazioni sulla recente disciplina delle società azionarie e del mercato azionario (spunti di riflessione sulla sensibilità democratica nella formulazione delle scelte politiche), Riv.Soc. 1998,
I; Riflessioni a conclusione del convegno: Ruolo e prospettive di riforma delle società di persone, in Atti del
Convegno, Milano 2000.
È di questi giorni la notizia del disegno di legge governativo con il quale in Germania si propone l’ampliamento delle azioni civili a tutela dei soci: per l’azione di responsabilità sarà sufficiente
100.000 euro (o 1%del capitale); sarà possibile impugnare l’asegnazione di stok option ritenute improprie;
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parole, chiede l’imparzialità. Dire che l’interesse compensativo del gruppo
può giustificare deroghe, oppure che nel caso di conflitto il fiduciario deve
agire in modo da meglio contemperare gli interessi delle due società del
gruppo, come troviamo detto nei testi di legge, significa vanificare il principio, cioè ammettere la gestione dell’interesse affidato nonostante il conflitto. In altre sedi mi sono occupato analiticamente di questi temi20.
Pare davvero che la nuova legislazione abbia accolto nella sostanza
dispositiva, deviando dalle dichiarazioni, la filosofia dei radicalismo di mercato di provenienza USA. Si dice che la protezione del contratto dalla frode,
che il diritto comune appresta a contraenti privati, quando il rapporto si
costituisce sul mercato con il risparmio diffuso, richiede così sofisticate
discipline e controlli così costosi da consigliare al legislatore di rinunciare
alla protezione individuale, per lasciare al mercato la selezione degli onesti:
nel tempo il pubblico spontaneamente si affiderà ai migliori, intendendo
per tali non soltanto i più efficienti, ma anche i più onesti. Questa costruzione rinuncia all’etica del contratto quando la contrattazione è rivolta al
pubblico; il legislatore, tenuto conto dei costi, rinuncia a proteggere i clienti dalla frode. È una visione che non condivido, ma che se accolta dovrebbe
condurre all’abrogazione delle discipline di protezione, a partire dalla
Consob e dalla Vigilanza bancaria, inutilmente costose.
La scarsa elaborazione delle relazioni di accompagnamento della
legge, la loro tardiva pubblicazione rispetto i progetti e i disegni di legge, lo
scostarsi del predicato rispetto il disposto, sono seri indici di carenze etiche.
È importante che il procedimento legislativo sia ben svolto per assicurare, attraverso il dialogo approfondito, la maturazione della legislazione
secondo sensibilità etica.
Si osserva che i sistemi di common law sono più attenti ad organizzare un procedimento legislativo che consenta la qualità della legislazione
rispetto ai sistemi di civil law, nonostante che la codificazione sia un’esperienza di questi ultimi. Nell’esperienza inglese e poi americana la legge è un
atto di svolgimento del diritto, che produce i suoi effetti se riesce a svolgere
per le informazioni improprie sarà aperta azione di responsabilità diretta e personale contro gli amministratori. Non ho ancora visto il testo tedesco, traggo la notizia da Le Monde 21/22 novembre 2004.
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il tessuto giuridico in coerenza con la tradizione: sotto questo profilo la sensibilità per l’etica della legge è particolarmente sentita, come sensibilità per
la tradizione. Viceversa nei nostri sistemi si è per lungo tempo equiparato il
diritto alla legge del parlamento: il diritto è la legge. Si è riconosciuta al legislatore la libertà di dire nella legge il diritto, sì da cadere vittima del contingente, sottraendosi ai vincoli della tradizione. Ne ha risentito l’etica nella
formazione della legge.
5.3. -
L’etica dell’interprete.
L’etica è di ausilio nell’interpretazione della legge, attraverso la
costruzione della ratio legis, secondo il tradizionale dispositivo di argomentazione che trova nella dottrina lo svolgimento del tessuto legislativo e nel
processo giurisdizionale l’esito conclusivo nella decisione dei singoli casi21.
Attraverso il processo l’etica penetra il diritto delle relazioni d’affari. La qualità del processo determina la qualità della giurisdizione e quindi
dell’elaborazione giurisprudenziale che, costruita sulla ratio, consente all’etica di penetrare nel discorso giuridico. È di fondamentale importanza la qualità del processo civile e dell’intervento in volontaria giurisdizione, che spesso prepara o accompagna le azioni giudiziarie a difesa del risparmio e del
consumatore.
Come si sente ripetere, l’indirizzo politico è per orientare l’economia al mercato, sostituendo le tutele di ordine privato ai procedimenti di
protezione di ordine amministrativo. Questo orientamento sul piano della
legislazione comporta la sostituzione delle protezioni amministrative, e della
giurisdizione amministrativa, con le difese di ordine privato, cioè con le
azioni di invalidità e di risarcimento dei danni. Di conseguenza si deve sviluppare la qualità della giurisdizione civile.
20 G.VISENTINI, La disciplina del conflitto d’interessi nel mercato mobiliare, Padova 2002.
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5.4 -
L’autoregolamentazione etica nel rispetto dei vincoli del diritto.
È la risposta alla domanda del titolo. Indubbiamente l’etica, i codici
etici, possono avere particolare importanza nella pratica come strumenti di autoregolamentazione. Ma questa funzione possono avere in quanto siano assunti
dal diritto attraverso il contratto o in qualche altra forma che li renda diritto.
L’etica affidata alla sola coscienza individuale già opera, o dovrebbe
operare, indipendentemente dalla sua codificazione. Redigere le regole etiche
in codice tutt’al più può servire a chiarire il grado di eticità che la data comunità, che propone il codice, intende assumere nelle relazioni d’affari, affidandone la sanzione semplicemente al biasimo della comunità che si riconosce in
quel codice etico. Peraltro se il rispetto è affidato esclusivamente alla valutazione morale, l’impegno resta debole, specialmente nell’esperienza italiana,
dove manca una solida tradizione, e dove è difficile individuare una comunità solidale nel riconoscersi in principi profondamente radicati22.
Le incertezze del legislatore nei dettagli tecnici che consentono di
perseguire il fine della protezione del mercato dagli abusi e dalle frodi lascia
ampio margine all’etica nel precisare le regole tecniche. Non solo. La necessaria astrattezza della norma giuridica lascia spazio per specificarne il contenuto in considerazione delle caratteristiche della particolare impresa o affare commerciale, che l’operatore meglio conosce, sì da essere in grado di
adattare il principio etico della legge alle relazioni che lo riguardano.
Codici di condotta che precisino il senso del divieto di agire in conflit21G.VISENTINI, Lezioni di teoria generale del diritto, II, Il discorso giuridico, Padova 2003.
22 Sappiamo che la costrizione che esercita la morale sta nel fatto che la violazione delle sue regole turba la propria coscienza, e solleva riprovazione e giudizio morale negativo, che anche opera sulla coscienza individuale, cioè è sanzione nei limiti in cui la coscienza dell’agente è turbata dal giudizio negativo dell’ambiente. Se l’ambiente è nei fatti organizzato in guisa tale da espellere chi viola la regola etica, e l’espulsione costa
nell’esercizio professionale, la sanzione può avere efficacia, talvolta maggiore della legge, ma è evidente che in
questi casi l’etica è quasi un diritto di costume. Altrimenti, quando la morale opera allo stato puro, nella sola
coscienza, l’ordine che ne può derivare nei rapporti sociali è del tutto precario, poiché il diritto s’impone proprio perché non tutte le coscienze sono sensibili alla morale, a quella morale; e tanto meno questa sensibilità
opera negli affari. Affidare gli affari alla sola morale non è utopia; è sbagliato, in quanto è contraddittorio con
la natura stessa del valore morale, che richiede di essere sentito come proprio da chi vi si assoggetta, di volta in
volta nel caso concreto. Ricordiamo l’imprenditore che nell’avvicinarsi della crisi imbroglia nella speranza di
salvare il lavoro dei dipendenti e il reddito della famiglia, nella valutazione in concreto che in queste circostanze l’etica gli suggerisce di sacrificare l’interesse dei creditori all’interesse dell’impresa.
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to d’interessi, oppure che indichino i comportamenti diligenti da tenere in
determinate situazioni, ad es nella convocazione delle assemblee e nella specificazione degli ordini del giorno; così regole che diano il senso dell’indipendenza degli amministratori che si intendono proporre in funzione di rappresentanti esterni al gruppo di controllo, ed è facile immaginarne altre, possono utilmente indirizzare la pratica, purché ne sia avvalorata l’efficacia sul piano giuridico. Può servire ad es. la specificazione, in un codice di condotta del comportamento degli amministratori, oppure del gestore di altrui patrimoni, che la
violazione dell’etica è di per sé indice di comportamento negligente. Sarà poi
la pratica e la giurisprudenza a servirsi di queste indicazioni per meglio adeguare i comportamenti all’etica degli affari. La condizione per ottenere questo
risultato è che il valore etico assunto sia articolato in disposizioni precise.
Effettivamente il valore della legalità, l’etica della legalità, espressa in
precise disposizioni di un codice etico, accresce la forza della legge per il consenso che la comunità, che quel codice ha adottato, dichiara di sentire verso i valori assunti dal legislatore, orientando l’interpretazione. La legalità intesa come
adesione sostanziale ai valori che nella sua ratio esprime la legge è la rinuncia a
comportamenti elusivi, che la stretta lettera della legge potrebbe consentire, e
aiuta l’interprete a ricondurre il comportamento alla frode alla legge.
La cultura di un Paese è determinante dell’efficacia dell’etica della legalità. Vi sono Paesi nei quali la legalità è profondamente sentita come condizione della convivenza, sì che il consenso per la legalità impronta l’azione comune, creando un’adesione anche nelle valutazioni etiche per il rispetto della legge;
per il rispetto del diritto. Invece vi sono società che non soltanto non considerano riprovevole la violazione della legge, del contratto, del patto di non frodare; società che vedono nella frode una furbizia che può meritare premio se riesce a sfuggire all’accertamento. Spesso nelle nostre costumanze si sente compassione per colui che, violati i principi del rispetto dei patti, cade in grave crisi di
legalità sì da rischiare il fallimento. La tendenza è di coprire le illegalità per
rispetto della persona che involontariamente è caduta nel peccato; il perdono fa
premio sulla punizione. In questo contesto culturale l’etica della legalità trova
difficoltà ad imporsi ed il sistema etico nel tempo degrada. La cultura del Paese
è un dato determinante per l’etica degli affari.
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5.5.-
L’etica può favorire nella concorrenza?
La predisposizione di codici etici, ed ovviamente il loro rispetto,
possono influenzare le scelte del risparmiatore o del cliente, meglio garantito della qualità dell’offerta. In questo senso l’eticità dell’impresa può rivelarsi una componente favorevole nella concorrenza.
Peraltro, affinché il codice etico non si esaurisca in un’etichetta, in
immagine per la pubblicità, vuota di portata pratica, è necessario istituire
sistemi che rendano edotto il cliente dei vantaggi, e che nel contempo
garantiscano l’indipendenza nella formulazione e nella verifica del rispetto
delle regole.
A questo riguardo osserviamo come si costituiscano libere organizzazioni sociali, organizzazioni di consumatori oppure per la tutela dell’ambiente
o ancora per la protezione del lavoro nei Paesi poveri ecc., le quali gestiscono i
valori etici, di cui si fanno portatrici in modo da influenzare il comportamento delle imprese negli affari. Ad es. sono presenti a livello mondiale più organizzazioni non governative che si propongono di rilevare le condizioni di lavoro delle imprese nei Paesi più poveri, di pubblicare e diffondere i dati, e di rilasciare, su queste basi, un giudizio di eticità23.
23 La Nestlé e la Kraft, preso atto di questi giudizi diffusi sul mercato in grado di influenzare
il comportamento della clientela, “per attirare dei consumatori progettano di commercializzare nel Regno
Unito una marca di caffè con l’etichetta Sustainable Deveppement. Nestlé venderà il suo caffè solubile sotto
la marca Nescafé. Kraft Foods, che possiede Carte Noire e Maxwell House, ha battezzato il suo Kenco
Sustainable Development. La Fairtrade Foundation (Fondazione per il commercio equo), il cui marchio
garantisce una retribuzione minimale ai produttori e il rispetto delle norme sociali e d’ambiente, non l’intende da questo orecchio. <Queste due società hanno certamente preso coscienza dell’importanza dello sviluppo duraturo, ed è cosa buona, spiega Harriet Lamb, direttrice generale della filiale inglese di questa organizzazione non governativa (ONG). Ma il prez zo versato ai produttori non è garantito, ciò è contrario ai nostri
principi. Per di più, questa iniziativa non può che provocare la confusione dei consumatori>. In effetti, secondo un documento interno pubblicato dal quotidiano The Guardian il 22 novembre, Kraft sarebbe pronta
a pagare il caffè non tostato 20% al di sopra dei corsi del mercato, cioè 0,96 dollari per libra. Un ammontare inferiore al forfait di 1,26 necessario per ottenere il cachet Fairtrade. Invece il caffè è stato omologato
da un’altra ONG, la Rainforest Alliance, meno esigente. Questa strategia di Kraft Foods e di Nestlé risponde ad imperativi commerciali” La notizia è in Le Monde 8 dicembre 2004, p.13.
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5.6. - L’etica della legalità nel mercato globale.
I codici etici possono trovare un’importante funzione nel regolamento dei rapporti delle imprese in Paesi diversi da quelli nazionali, Paesi
nei quali vigono regole diverse, la cui violazione può rappresentare un’occasione di reddito. Come si deve comportare l’impresa italiana nei confronti
del fisco di un Paese terzo? Può violare le leggi fiscali locali per accrescere i
propri guadagni? È corretto impostare il problema della violazione delle
leggi del paese ospite come rischio d’impresa? Cioè nel senso che le conseguenze della violazione della legge estera vanno valutate non come illegalità, e come comportamento non etico, ma come un rischio d’impresa. In
passato avevo assistito una società che secondo le leggi italiane operava legalmente se profittava della violazione delle leggi del Paese nel quale esercitava
parte dell’attività in spregio dei vincoli valutari: si decise che la violazione
della legge straniera rientrava nel rischio dell’imprenditore. La questione
diviene delicata quando le leggi straniere consentono attività che sono contrarie ai diritti umani, e che come tali sono punite dalle leggi nazionali. Nei
casi che la punizione colpisca indipendentemente dal territorio in cui è
commesso l’illecito l’etica della legalità impone il rispetto del diritto dell’uomo. Il problema etico viene sollevato quando per la legge nazionale non è
colpito il comportamento che viola nel territorio estero il diritto dell’uomo.
È in quest’area che il codice etico può disporre utilmente, purché siano previste sanzioni, cioè purché la sua efficacia sia garantita secondo diritto24.
24Va consolidandosi nelle corti USA l’interpretazione estensiva di un antico atto, Alien Tort
Claim Act del 1789: “The district courts shall have original jurisdiction of any civil action by an alien for
a tort only committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States”. Con lo scopo iniziale di proteggere la reputazione internazionale della nazione da poco creata si dava la possibilità ai non
cittadini di usare i tribunali americani per chiedere il risarcimento qualora fossero stati oggetto di atti di
pirateria. Oggi la disposizione è richiamata per proteggere stranieri da atti in violazione dei diritti umani.
Si è occupata del tema M.Fattorini nella tesi discussa nella sessione di ottobre: La libertà di impresa e i diritti umani.
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5.7. - L’efficacia delle regole etiche è nella loro azionabilità giuridica.
Inutile tentare di sfuggire al problema dell’efficacia delle regole di
convivenza. L’efficacia delle regole dell’etica risiede sulla loro azionabilità
giuridica. La buona volontà può anche, forse, rivelarsi sufficiente quando le
cose scorrono bene, ma al momento della crisi è umano tentare di sfuggire
dal fallimento dell’iniziativa rinviando il conto anche attraverso sotterfugi;
ed il rinvio danneggia tutti quando la crisi si rivela irreversibile.
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6. - L’etica degli affari nelle
economie miste: proteggere l’interesse
generale dalla collusione di interessi
particolari.
Ho riguardato all’operare dell’etica nel contesto dell’economia
diretta dal mercato, che è anche da noi tradizionalmente l’economia che
regge parte importante del sistema industriale. Troviamo un altro modo
d’intendere l’organizzazione dell’economia. Non sempre lo sviluppo del
mercato è possibile; non sempre l’economia ha le dimensioni per sopportare le mobilità del mercato che consentono di superare fisiologicamente le
crisi. Situazioni congiunturali, come la ricostruzione del paese dalla guerra;
ma anche per concezioni politiche di orientamento autarchico; sicuramente per le pressioni congiunturali o per le difficoltà di superare le vischiosità
del passato, l’economia, o settori dell’economia, possono trovarsi ad essere
diretti dallo Stato, protetti sotto la responsabilità, diretta o indiretta, del
potere pubblico. Chiamiamo questa organizzazione economia mista. È quanto accaduto in Italia per il settore delle maggiori imprese, per i pubblici servizi, per le attività bancarie e assicurative, già indicate come ordinamenti
settoriali. Sebbene si insista nel predicare l’orientamento di riforme per indirizzare il sistema al mercato con riguardo a tutte le imprese, anche le banche, nei fatti la tradizione di economia mista perdura25.
La indichiamo come mista appunto perché anche in questa organizzazione dell’economia il mercato non è assente, come accade nelle economie
di Stato, bensì è presente nel compito di dare i prezzi, e di indicare i riferimenti dei costi e dei ricavi per stabilire l’equilibrio dell’impresa. Ma il compito del mercato resta nello sfondo: non è gestire il rischio d’impresa, ma dare
i riferimenti, gli indicatori, per la gestione amministrativa del rischio. Infatti
sono le condizioni di gestione del rischio che fanno la differenza tra economie dirette dal mercato ed economie miste.
25 G.VISENTINI, Economia mista ed economia di mercato, in Dir.Fall. n°1 2002.
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Nell’economia diretta dal mercato è il mercato che gestisce il rischio
d’impresa attraverso i meccanismi contrattuali, con decisioni che, appunto
perché contrattuali, sono diffuse tra le unità concorrenti. Affinché la gestione del rischio resti affidata ai meccanismi contrattuali, per le istituzioni giuridiche deve rimanere indifferente il fallimento della singola unità, la cui
crisi viene riassorbita nella mobilità del sistema. Perciò gli operatori sono
dipendenti dal mercato, cioè dipendenti dalle volontà contrattuali; è il mercato che determina la crisi secondo criteri legali di automatismo; la crisi è
fisiologica.
Invece nell’economia mista la gestione del rischio è sottratta al mercato; è concentrata in sedi di concertazione tra esponenti pubblici, privati, sindacali; sedi che talvolta perdono anche la specifica qualificazione di
pubblico per configurarsi genericamente come sedi autorevoli, dove la personalità può significare più dell’investitura formale. La gestione del rischio
è affidata ad interventi diretti sui meccanismi di mercato per regolarne
l’automatismo al fine di definirne l’impatto sull’impresa. Nell’economia
mista la crisi economica e finanziaria dell’impresa è patologica; deve essere contenuta, evitata, ed è risolta con meccanismi amministrativi: per
semplificare, e cogliere l’aspetto più evidente, vediamo sostituito il fallimento con le amministrazioni straordinarie e con le liquidazioni coattive,
cioè con la gestione amministrativa della crisi.
Questo diverso ruolo del mercato si riflette innanzitutto, e di
necessità, nel diverso ruolo della concorrenza nelle due forme di organizzazione dell’economia. L’economia di mercato promuove la concorrenza
innanzitutto come meccanismo che assicura, nella mobilità dei capitali,
del lavoro, delle risorse imprenditoriali, il recupero delle crisi. Invece nell’economia mista la concorrenza è contenuta, e indirizzata, dall’intervento amministrativo di direzione e di salvataggio: lo sviluppo della concorrenza è sacrificato all’esigenza di contenimento delle crisi; l’interesse alla
concorrenza è obiettivo postergato all’interesse ad impedire la crisi della
singola impresa, obiettivo primario della gestione amministrativa dell’economia. La disciplina della concorrenza è differente nei due modelli di
organizzazione dell’economia.
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È immediata conseguenza di questa diversa rilevanza della concorrenza nell’economia di mercato e nell’economia mista l’affievolimento,
nell’economia mista, della funzione della concorrenza di regolatrice dei
poteri economici privati. Nell’economia di mercato la concorrenza diffonde il potere dell’impresa: nella concorrenza l’imprenditore nell’espansione
del potere incontra il limite dovuto alla presenza dei concorrenti. Invece
nell’economia mista è soprattutto il potere amministrativo d’intervento a
bilanciare il potere dell’impresa, secondo modalità del tutto diverse, di
diritto amministrativo anziché di diritto privato, dipendenti dalla volontà del regolamentatore, e non dai meccanismi automatici del mercato.
Anche per questo aspetto la regolamentazione della concorrenza, necessaria comunque, è differente nei due modelli.
Altra differenza è nella rilevanza dell’informazione. L’economia di
mercato si organizza sulle decisioni degli operatori, a loro volta condizionati dagli automatismi del mercato, perciò le informazioni sui dati sui
quali si determinano le volontà contrattuali, e sui quali operano gli automatismi, devono essere conosciute; la conoscenza dei dati deve essere diffusa. L’economia dipendente dal mercato vuole la trasparenza del mercato
proprio perché le decisioni sono diffuse sul mercato. Invece gli interventi
dell’economia mista richiedono la riservatezza proprio perché le decisioni
di gestione del rischio della singola impresa sono concentrate nelle sedi
influenti. Nell’economia mista la regolamentazione amministrativa dei
meccanismi di mercato, che riguarda individualmente le imprese, richiede la riservatezza nelle valutazioni e negli interventi per non subire interferenze dal mercato stesso nella delicata fase delle decisioni dell’autorità di
direzione.
Anche la posizione delle vigilanze è differente nei due modelli,
come conseguenza del loro diverso ruolo. Nell’economia di mercato le
stesse vigilanze amministrative dipendono dai meccanismi contrattuali, ed
è lo stesso mercato a misurarne il grado di efficienza. Infatti le vigilanze
regolano il mercato con competenze che riguardano o manovre sugli
aggregati macroeconomici o interventi tesi a consentire o agevolare le
parti nell’esercizio della loro volontà contrattuale, senza sostituire nelle
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decisioni il mercato, cioè agli operatori: perciò le indichiamo come autorità
neutrali. Le principali vigilanze riguardano: concorrenza, trasparenza ed informazione, regolamento contrattuale, indicatori prudenziali ecc. Invece nell’economia mista le vigilanze amministrative assumono il compito primario di contenere le crisi, e nei poteri d’indirizzo per la regolamentazione del mercato e la
soluzione delle crisi concorrono alle decisioni d’impresa, sicché i loro interventi penetrano nella gestione: le chiamiamo vigilanze tutorie. Nell’economia
mista le vigilanze divengono componenti, anche formali, del governamento
dell’impresa26.
Come sappiamo non necessariamente l’economia mista impronta
l’economia, può riguardare settori di imprese. Nell’economia italiana tutt’oggi
sono informati al modello dell’economia mista non soltanto il settore bancario, ma anche il sistema delle imprese di pubblica utilità ed in generale delle
maggiori imprese.
Nel contesto dell’economia mista l’etica svolge un suo compito, ma ne
muta l’oggetto. Il compito dell’etica nell’economia mista non sta tanto nel dare
regola al contratto, il cui ruolo è secondario, quanto nel dare regola all’intervento amministrativo, il cui ruolo è principale. Perciò l’etica dell’imprenditore
di agire onestamente nella concorrenza della domanda e dell’offerta si converte nell’etica dell’imprenditore e delle vigilanze di agire onestamente nella concertazione regolata: di essere morali nelle azioni persuasive delle azioni da intraprendere.
Nell’economia mista il ruolo dell’etica è proteggere l’interesse generale
dalla collusione di interessi particolari. Ed infatti nell’economia mista i rischi di
immoralità sono nella frode e nella collusione nell’esercizio dei poteri d’intervento, siano essi formalmente pubblici o privati.
Nell’economia mista il ruolo dell’etica non può essere affidato al diritto privato, che in effetti nelle economie miste è relegato ai margini. Ma nemmeno il diritto amministrativo è in grado di soddisfare alla codificazione dell’etica nella gestione dell’economia mista, che richiede spesso interventi informali e riservati. L’estesa area di discrezionalità amministrativa; la interferenza di
poteri pubblici con i poteri privati; gli spazi che necessariamente la gestione
26 G. VISENTINI, Corporate Governance: The Case of Banking, BNL, 1997.
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amministrativa assegna a quelle che chiamiamo persuasioni morali; la riservatezza delle decisioni; la diffusione nel sistema dei costi della sfortuna, degli errori,
delle immoralità, secondo i casi; la davvero difficile distinzione nelle decisioni
tra immoralità, negligenza, incapacità, sfortuna, rendono complessivamente
assai più delicato contenere gli abusi nelle economie miste; abusi che non raramente soltanto la storia consente di rivelare, quando ormai non interessano più
gli uomini ai fini della loro imputazione giuridica per le responsabilità di
gestione dell’economia.
La codificazione dell’etica nell’economia mista è un compito che il
diritto non riesce a regolare per la difficoltà di combinare il procedimento
amministrativo con la gestione dell’impresa; per la difficoltà di codificare la
concertazione; per la contraddizione che spesso troviamo nell’economia mista,
quando la sostanza pubblica delle gestioni e delle decisioni è affidata alla forma
privata, come nelle partecipazioni statali o, oggi, nelle fondazioni bancarie.
A questo riguardo merita sottolineare che il ruolo del diritto nella
gestione della nostra economia mista, nella gestione dell’intervento pubblico
nell’orientare le imprese, è oggi ancor più ridotto rispetto al passato. Invero il
nostro diritto era più premuroso nel regolare l’economia mista. Nella convinzione che per andare al mercato fosse sufficiente dare forma privata alle imprese, si sono aboliti gli enti di gestione, le competenze di controllo, le procedure
amministrative. Si è creato un vuoto di regolamentazione. Nel contempo, sotto
la pressione del contingente, nella vischiosità della tradizione, si è diffusa la pratica delle liquidazioni amministrative, sino a farne oggetto di leggi speciali di
volta in volta, anch’esse scarsamente disciplinate nella prospettiva che l’andare
al privato significa deregolamentare. Non ci si è invece accorti che il mercato
imponeva sopratutto di convertire la gestione del rischio, da gestione pubblica
a gestione privata; la conversione del rischio richiede di sviluppare il diritto privato, quindi di sviluppare la concorrenza, le azioni civili di danno, di generalizzare la soluzione delle crisi d’impresa nel fallimento: tutti sviluppi che sono
mancati o sono rimasti insufficienti.
Davvero le economie miste, molto più delle economie regolate sul
mercato, sono affidate all’onestà degli uomini.
Le domande sul ruolo dell’etica nell’economia mista sono dello stesso
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ordine di quelle che ci ha posto l’economia dipendente dal mercato. Come può
l’etica rivelarsi strumento di protezione dalla frode, dalle indebite interferenze,
dalle collusioni improprie, dalla devianti pressioni? Come può l’etica essere
strumento di protezione più efficace del diritto? Forse l’esperienza ci dice che
lo spazio assai più esteso dell’etica rispetto al diritto, per la difficoltà di regolare l’economia mista secondo diritto, ha reso questa forma di organizzazione più
morale? E l’affievolimento delle responsabilità, per la loro diffusione nel sistema, consente tempestivamente il giudizio etico o lo affida agli storici?
In ogni caso l’esprimere un giudizio etico richiede innanzitutto di stabilire quale etica fa da criterio di riferimento. Nel pluralismo quale etica è condivisa? In altri termini, quale politica? La decisione di sviluppare l’impresa chimica in Italia favorendo le iniziative dell’Eni, e poi personalmente di Cefis e
quindi di Gardini, è stata decisione fortunata o sfortunata? Decisione tecnicamente corretta e moralmente discutibile? Oppure è stata tecnicamente sbagliata ma moralmente ineccepibile? È morale assumere nelle vesti di amministratore formalmente privato di società sostanzialmente pubblica una simile deci27
sione? . E per andare a cose recenti, è politica tecnicamente corretta rafforzare il sistema bancario italiano mediante concentrazioni per poi affrontare la
concorrenza estera? È coerente con questa decisione concentrare nelle aziende
sane le banche in posizione critica? È tecnicamente corretto gestire informalmente le crisi bancarie, come accaduto nella grave crisi degli anni ’90 e come
ancora accade? Oppure, è moralmente scorretto prendere decisioni in luogo del
mercato? La risposta a quest’ultima domanda è dipendente dall’etica assunta
quale criterio del giudizio: l’etica del mercato oppure l’etica della gestione
amministrativa del mercato. Di solito chi si trova ad agire ha la presunzione di
sapere quale è la giusta etica; di saperlo meglio degli altri, così che chi ha l’autorità impone la sua etica. È etico per il legislatore lasciare che questioni politiche così fondamentali per il Paese siano assunte come se fossero tecniche? Nella
recente vicenda che sulla crisi della Cirio che ha trovato in conflitto il Tesoro e
la Banca d’Italia, ha ragione Fazio o Tremonti? Non è l’etica che può regolare
gli affari se non in un ruolo subalterno, integrativo, alla politica legislativa, e
come etica della legalità.
27 G.TURANI, La nuova Razza Padrona, MILANO 2004
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7. -Etica degli affari e morale
nella convivenza in società:
la responsabilità sociale
dell’imprenditore
Non vi è dubbio che nella conduzione degli affari altri valori etici
possono interferire sugli interessi patrimoniali protetti dai contratti commerciali. La conclusione degli affari, come definizione di interessi patrimoniali, poggia sull’etica del rispetto dei patti. Ma la gestione degli affari coinvolge interessi e valori diversi da quelli delle parti delle relazioni d’affari,
spesso interessi e valori che non sono di ordine patrimoniale: la salute, la
dignità umana, l’ambiente, la valorizzazione archeologica ecc. Il diritto si
occupa analiticamente di questa articolazione di interessi e di valori.
28
Parliamo della responsabilità sociale dell’imprenditore .
L’impresa, la società per azioni che gestisce l’impresa, sono organizzazioni commerciali che per il diritto commerciale, il diritto del profilo
capitale dell’impresa, esauriscono l’interesse perseguito nell’obiettivo mercantile del profitto, ma che nella gestione possono interferire con interessi e
valori che la comunità, nel suo complesso, assume con specifiche discipline,
diverse dal diritto commerciale: il diritto del lavoro assume gli interessi ed i
valori del lavoro; il diritto amministrativo assume gli interessi dell’ambiente; il diritto sanitario gli interessi alla salute ecc. Il Diritto, come ordinamento giuridico, si occupa degli affari per i diversi profili e tiene conto dei diversi valori, contemperandoli nell’ordine disposto, secondo regole di varia
natura giuridica: contratto, atto amministrativo ecc. L’ordinamento si occupa della responsabilità sociale dell’impresa, facendo le proprie scelte etiche.
La responsabilità sociale dell’impresa dipende dalle scelte etiche del diritto;
e dipende dalla sola etica quando manca il diritto.
Nei casi che prospettano all’etica conflitti di valori le scelte dell’ordinamento giuridico prevalgono. Ad es. l’amministratore di società per azioni, cui è affidato il risparmio dei soci, è costretto per legge alla gestione pro28 M.DESCOLONGES & B.SAINCY, Les entreprises seront-elles un jour responsables?, Parigi
2004 (La dispute).
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fittevole anche se questa dovesse urtare contro la sua coscienza, come nel
momento in cui si trovasse ad investire legalmente in Paesi con condizioni
di lavoro ed ambientali per lui, per la propria coscienza, non accettabili. Per
il diritto l’amministratore che secondo coscienza rinunciasse agli investimenti sarebbe responsabile verso la società ed i soci per il mancato guadagno, sicché per riconoscere prevalenza alla propria coscienza dovrebbe trarre le dovute conseguenze, e rassegnare le dimissioni. Ma, dal mio punto di
vista, identica soluzione si avrebbe anche riguardando esclusivamente il caso
dalla prospettiva etica, in presenza del dilemma, da un lato di rispettare il
patto assunto con i soci, dall’altro lato di sfruttare condizioni di lavoro non
accettabili dalla propria coscienza.
Conflitti si possono prospettare in altre situazioni che la legge non
ha previsto e regolato. Recentemente la stampa ha riferito di una società che
gestisce un’impresa ceduta dal settore pubblico al settore privato, la quale
avrebbe deciso di ridurre le misure di sicurezza delle condizioni di lavoro, in
quanto più costose di una polizza di assicurazione a copertura degli eventi
che potrebbero perciò divenire più frequenti. La riduzione della sicurezza
mette a rischio la vita di persone. L’impresa pubblica non aveva a carico il
mandato al profitto sicché era in grado di sopportare i maggiori costi della
sicurezza rispetto la polizza. Cosa ha deciso il legislatore nel privatizzare? Si
è accorto del problema? Perché non ha elevato i livelli obbligatori di sicurezza in seguito alla privatizzazione del settore? Spetta ancora oggi all’amministratore di società privata decidere il grado della sicurezza oltre i limiti imposti dalla legge, o spetta al legislatore eventualmente aumentare le misure di
sicurezza richieste per legge? In questi casi, tenuto anche conto della natura
dell’attività dell’impresa, si aprono spazi all’etica, ai codici etici: relazioni
sociali e del lavoro, impatto ambientale ecc.: banche, gestioni di portafoglio,
imprese farmaceutiche ecc.
Gli strumenti di penetrazione dell’etica nel tessuto sociale dell’impresa sono gli stessi che ho analizzato per le relazioni di affari, ed ora
è inutile scendere in dettagli, che richiederebbero apposito discorso. In
questa sede è sufficiente avere distinto l’etica del capitale dall’etica della
società civile, ed aver indicato il dilemma che l’esperienza può sollevare
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all’etica individuale, sia quando la legge dispone che in assenza di legge.
Recentemente in alcuni Paesi si sono proposte gestioni in fondi
comuni d’investimento o in attività bancaria vincolate per statuto a
rispettare principi etici. Le imprese etiche si propongono per statuto di
investire ed operare nei Paesi del c.d. Terzo Mondo nel rispetto di condizioni di lavoro compatibili con l’etica dei diritti dell’uomo. In taluni casi
le regole etiche che si sono imposti i promotori sono risultate anche coerenti con criteri di redditività. È evidente che ci troviamo in presenza di
investimenti concordati secondo l’etica codificata dalle parti, quindi
impegnativa per contratto. Il fenomeno non solleva questioni particolari
rispetto alle analisi che ho svolto.
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8. - La retorica dei codici etici
ed il pericolo
del loro impiego perverso
Spesso accade che la introduzione di codici e di regole etiche risponda al desiderio dell’impresa di dare di sé un’immagine sul mercato, di
migliorare le proprie condizioni di concorrenza, ma senza seria intenzione
di restare soggetta a regole più stringenti delle legali.
Non è difficile rendersi conto di quando il codice è solo parvenza.
È sufficiente accertare innanzitutto se per i comportamenti scorretti vi è la
previsione di serie sanzioni, accompagnate da strumenti organizzativi
appropriati a renderne effettiva l’applicazione. Selezionando numerosi codici etici ci si accorge che non raramente sono privi di sanzione, anzi che il
redattore ha cura di evitare che le regole possano essere in qualche modo
intese come criteri di diligenza dei comportamenti, e come tali sanzionate
dal diritto della responsabilità civile. Inoltre, nel contenuto, le disposizioni
di questi codici stillati per sola apparenza sono per lo più futili. Quando non
ripetono i dettati della legge, dicono cose ovvie, deducibili dai principi
generali, oppure si attardano a richiamare valori morali senza indicare le tecniche di protezione: ed è sulle tecniche che l’accordo è difficile. Ad es.
“il gestore è tenuto secondo buona fede a proteggere l’investimento del
cliente fornendo su richiesta tutte le informazioni che ritiene utili a meglio
indirizzare la decisione del cliente stesso, ed eventualmente, se del caso,
anche in aggiunta a quanto per regolamento è tenuto, a comunicare quelle
notizie che ritiene necessarie”.
Peraltro in taluni casi si ha l’impressione che il codice di condotta
venga introdotto non soltanto ad effetto, ma con l’obiettivo specifico di rafforzare le difese della parte che lo propone. Infatti, poiché si presume diligente il comportamento conforme al codice, con la redazione del codice si ottiene il risultato di rendere più complessa la prova della negligenza all’altra parte.
Ad es. se si dispongono procedure di investimento seguendo le quali si dà per
implicita conseguenza la diligenza del comportamento conforme, o della
buona gestione nonostante la presenza del conflitto d’interessi, si lascia al fidu-
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ciante il compito di provare che, nonostante la conformità del comportamento alla procedura, il danno si è verificato per colpa del gestore. Qualora le procedure previste non sono tali da introdurre vincoli che seriamente diano l’affidamento del risultato diligente, secondo il comportamento professionale,
ma in realtà sono procedure indifferenti o inutili in relazione agli obiettivi di
diligenza, il codice dovrebbe essere valutato per quello che è, mero schermo,
e quindi dovrebbe cadere; anzi, la sua presenza potrebbe essere assunta come
sintomo di comportamento fraudolento; di comportamento teso a ridurre le
difese del cliente29.
29 Per uno spunto T. Roma ord. 4 aprile 2003, Foro it: II, 317, A.BERNARDO, Prime pronunce sulla responsabilità amministrativa degli enti, in Dir. prat. Soc. novembre 2004.
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