Del buon uso delle istituzioni? Mitterrand

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MARCO GERVASONI
Del buon uso delle istituzioni? Mitterrand presidente e la sinistra italiana
Versione provvisoria. Non citare senza il consenso dell’autore
In questo intervento mostreremo come la sinistra italiana si sia posta di fronte alla
Quinta Repubblica governata da François Mitterrand. Si tratta di un caso assai
interessante perché, fin dal ’58, con pochissime eccezioni, questa famiglia politica ha
sempre manifestato una netta ostilità per la creatura di De Gaulle, guardata invece con
interesse, sia pure per un breve periodo, da alcuni leader democristiani, come Fanfani e
dallo stesso presidente Gronchi, anche se il solo esponente politico di rilievo a cercare di
costruire un gollismo all’italiana fu Randolfo Pacciardi.
La vittoria di Mitterrand nell’81 sembra perciò smentire tutte le più fosche
previsioni della sinistra italiana sulla democrazia francese. Prima di cominciare, è giusto
però chiarire di quale sinistra ci occuperemo: i comunisti e i socialisti, vale a dire le
principali forze politiche che, da quando Craxi ha lanciato nel ’79 la “Grande riforma”,1
assieme alla Dc discutono verso quale modello istituzionale riformare la nostra
Costituzione. Ragion per cui mostreremo se e come la presidenza Mitterrand porti con
se anche una maggiore simpatia della sinistra per il modello istituzionale della Quinta
repubblica.
Mitterrand rappresenta infatti un esempio a più facce:
a) c’è il Mitterrand presidente, che vince grazie ad una leadership costruita a
partire dalle presidenziali del ’65, passando per quelle del ’74, capace di sfruttare
appieno tutte le opportunità offerte dalla Cinquième;
b) c’è il Mitterrand dell’unità delle sinistre;
c) c’è il Mitterrand con il suo programma economico e sociale.
Ognuno di questi “Mitterrand” porta con sé la domanda se sia possibile
importare tale modello in Italia. Quindi:
a) se e come introdurre il semipresidenzialismo francese;
b) se e come realizzare l’unità delle sinistre;
c) se e come ispirarsi al programma economico e sociale mitterrandiano.
Per mostrare il dibattito sul modello Mitterrand ci soffermeremo soprattutto sulle
due elezioni presidenziali dell’81 e dell’88 e, dato il carattere di questo convegno, quasi
esclusivamente sulla questione istituzionale. Prima di entrare nel vivo del tema, è però
1
Bettino Craxi, Ottava legislatura, “Avanti!”, 28 settembre 1979. Il segretario socialista aveva proposto
un’“alleanza riformatrice” per un vasto spettro di riforme, non solo istituzionali. Tanto che avrebbe
dovuto essere rivisto il sistema di “economia mista […] virtù mediana tra i mali del capitalismo
selvaggio e i vizi del capitalismo burocratico” che “rischia di assommare insieme i mali dell’uno e i vizi
dell’altro”. Quanto all’impianto costituzionale, ha “bisogno di una verifica storica” perché anche gli
“edifici più solidi” si misurano con “il logorio del tempo”. Si deve così procedere ad un “accorta
revisione”, in cui “il presidenzialismo può essere considerato come una superficiale fuga verso
un’ipotetica Provvidenza”, ma sempre meglio dell’ “immobilismo” che “è ormai diventato dannoso”.
necessario presentare l’antefatto del decennio precedente, attraverso una breve analisi di
come la sinistra italiana recepisca le elezioni presidenziali del 1974 e quelle per il
rinnovo dell’Assemblée nationale nel 1978.
Primo antefatto: le presidenziali del ’74
L’eccellente risultato di Mitterrand contro Valery Giscard d’Estaing nel ’74 viene
accolto trionfalmente sia dal Pci che dal Psi. Per i comunisti Mitterrand ha sfiorato la
vittoria soprattutto grazie all’alleanza con il Pcf, anche se un editoriale dell’”Unità”,
subito dopo i risultati del primo turno, elogia indirettamente il sistema, sottolineando
l’effetto di leadership dell’elezione presidenziale che ha permesso a Mitterrand di
raccogliere centomila in voti in più delle liste che lo appoggiavano.2 L’ostilità al sistema
maggioritario si fa però palese dopo il secondo turno, quando per il quotidiano
comunista a far vincere Giscard è stata una “legge elettorale fatta apposta per
avvantaggiare” il blocco conservatore.3
Per i comunisti italiani Mitterrand non è un modello praticabile nell’immediato: è
importante, perché dimostra l’avanzata delle sinistre nella società e lo spostamento
consistente di voti, un fenomeno che si sta verificando anche in Italia, ma nulla più. E’
questo il senso della dichiarazione di Enrico Berlinguer, per il quale ad avere raccolto “il
consenso della metà dei francesi” sono stati meno la leadership mitterrandiana che i
“contenuti del programma comune”.4 All’indomani del voto, le conclusioni dei socialisti
non divergono molto da quelle dei comunisti: la Francia “ha acquistato una profonda
coscienza di classe” e solo “le classi in disfacimento” ormai appoggiano Giscard.5
Neppure da parte socialista si fa cenno alle istituzioni della Quinta repubblica
come elemento favorevole in quel momento alla sinistra. Solo il Partito radicale rompe il
tabù. I radicali guardavano a Mitterrand già da prima del Congresso di Epinay, forse
perché si sentono vicini a chi, come lui, dal mondo radicale francese è partito per
unificare la sinistra. Per i radicali è la leadership di Mitterrand a fare la differenza, è il
suo essere la sola “alternativa al regime”, come scrive un Marco Pannella inviato
dall’”Espresso” a seguire le legislative del ’73.6 I radicali sono poi gli unici a credere che
il modello Mitterrand sia importabile anche in Italia: quella specie di “bipartitismo”
uscito dalle legislative del ’73, scrive Angiolo Bandinelli, in Italia dovrebbe ispirare
un’alleanza delle sinistre per sconfiggere la Dc e costringerla all’opposizione. Peccato
che i primi a non volerlo siano proprio i comunisti.7 Una previsione corretta: in quel
periodo, infatti, il dibattito sul superamento del “bipartitismo imperfetto”, che qualche
seguito aveva avuto nel decennio precedente, è passato del tutto in secondo piano. In
casa socialista si pensa che la lezione francese, assieme a quella del referendum sul
divorzio, potrebbe indurre Moro a farsi carico degli “equilibri più avanzati” richiesti dal
segretario Francesco De Martino (cioè il coinvolgimento comunista nel governo),
mentre in casa comunista si fa ben attenzione a paragonare la Dc a Giscard. V’è poi la
convinzione, comune a socialisti e comunisti, che il vento della storia soffi a sinistra e
che la vittoria sia comunque prossima.
2
Augusto Pancaldi, Una forte avanzata, “L’Unità”, 7 maggio 1974
Id., Spaccature a metà, “L’unità”, 20 maggio 1974
4
Dichiarazione di Berlinguer sul voto per l’Eliseo, “L’Unità”, 21 maggio 1974
5
Francesco Gozzano, La Francia vuole cambiare, “Avanti!”, 20 maggio 1974
6
Marco Pannella, Quanto vale Mitterrand, “L’Espresso”, 11 marzo 1973
7
Angiolo Bandinelli, Verso il bipartitismo, “Notizie radicali”, 8 marzo 1973
3
Secondo antefatto: le legislative del ’78
Anche i militanti e gli elettori della sinistra francese sono convinti che per la
vittoria ci sia da attendere ancora poco. Per questo la rottura dell’union de la gauche, nel
settembre ’77, è accolta con sorpresa e delusione. In Italia invece Craxi vede la fine del
programma comune con sollievo, tanto che, nel primo incontro ufficiale con Mitterrand
dopo il Midas, dichiara che il suo Psi non vuole essere “unitario”, che la rottura
dell’union è tutta da addebitare al Pcf, essendo stata “calcolata” e voluta da Mosca.8 Il
Craxi che parla ai cugini francesi è assai più libero di quello che si esprime in Italia,
ufficialmente ancora sulle posizioni degli “equilibri più avanzati”.9 Già l’anno
precedente, intervistato dall’organo settimanale del Psf “L’Unitè”, si era mostrato assai
scettico sull’opportunità di importare l’union de la gauche in Italia per via degli “squilibri
all’interno della sinistra”. Mentre in Francia l’alternativa di sinistra sarebbe a guida
socialista, in Italia finirebbe per avvantaggiare i comunisti, “ciò che provocherebbe
problemi al paese in generale”.10
Una freddezza, quella di Craxi, subito percepita da Mitterrand, che infatti lo
ritiene quasi un equivalente italiano dell’odiato Michel Rocard, mai troppo entusiasta
dell’union de la gauche.11 Del resto Mitterrand e Berlinguer intrattengono una special
relationship fin da subito dopo le amministrative italiane del ’75. Dopo la rottura con
Marchais, per Mitterrand corteggiare Berlinguer è fondamentale per dimostrare
all’elettorato comunista francese che ci si può intendere con un comunismo diverso, non
settario come quello francese. Da questo momento fino almeno all’82, Mitterrand e
Berlinguer si giustificheranno a vicenda. Berlinguer serve a Mitterrand per dimostrare la
sua volontà di allearsi con i comunisti, purché aperti. Mitterrand a sua volta serve a
Berlinguer per dimostrare che con i veri socialisti, come appunto il leader francese, i
comunisti italiani intrattengono relazioni positive, mentre i pessimi rapporti con Craxi
sono solo il frutto della volontà di rottura del segretario socialista.12
Anche per queste ragioni le elezioni legislative del ’78 rappresentano un brusco
risveglio per il Pci, fino a quel momento convinto che la gauche, sebbene divisa, avrebbe
vinto. Come nel ’74, anche ora per i comunisti le cause della sconfitta della sinistra
francese sono da addebitare al sistema maggioritario, che ha creato una
“bipolarizzazione”, un fenomeno negativo perché porta con se “instabilità e un paese
“spaccato in due”.13 Ancora più chiaro l’editoriale del condirettore dell’”Unità”, Claudio
Petruccioli: la Quinta repubblica spinge ad una “bipolarizzazione” che ha effetti illusori:
“se trae dal sistema politico un vantaggio, la sinistra può anche pagare ad esso un
prezzo, con l’illusione di aver già raggiunto i traguardi unitari non ancora del tutto
consolidati”.14 L’union de la gauche ha insomma portato a un buon accordo elettorale
che però celava le differenze ancora assai forti tra elettorato comunista e quello
socialista.
Mentre per l’“Unità” il Pcf è solo in minima parte responsabile della sconfitta
della gauche, per Craxi i socialisti francesi "sono stati colpiti alle spalle” da Marchais e
“solo un miracolo può far vincere la sinistra”,15 anche se la soddisfazione è grande nel
8
“Le Monde”, 4-5 settembre 1977
Simona Colarizi-Marco Gervasoni, La cruna dell’ago. Craxi, il Psi e la crisi della Repubblica, 2 ed., Roma-Bari,
Laterza, 2006, pp.
10
Bettino Craxi (Psi): « tous les pouvoirs sont paralysés par le dettes », “L’Unitè”, 22 ottobre 1976
11
Marco Gervasoni, François Mitterrand una biografia politica e intellettuale, Torino, Einaudi, 2007
12
Philippe Buton
13
La destra prevale in Francia, “L’Unità”, 20 marzo 1978
14
Claudio Petruccioli, Per superare il difetto di unità, “L’Unità”, 21 marzo 1978
15
“L’Avanti!”, 14 marzo 1978
9
notare il sorpasso sui comunisti.16 Dopo il risultato del secondo turno, persino Claudio
Signorile incolpa il Pcf di avere lavorato per la sconfitta, preso dalla “paura di
governare” tipica dei partiti eurocomunisti.17
Nel ‘74 il modello Mitterrand di unità della sinistra era considerato eccellente,
ancorché non immediatamente esportabile in Italia, ma quattro anni dopo è una
soluzione assai meno affascinante. Non ne sono interessati i comunisti, in quel
momento parte della maggioranza e convinti che manchi poco all’ingresso effettivo nel
governo e ancor più distaccati sono i socialisti, che non mancano di far notare quanto sia
pericoloso allearsi con i comunisti.
Le grand soir? La vittoria dell’81
Se i sondaggi precedenti le elezioni presidenziali del ’74 e le legislative del ’78
avevano aggiudicato la vittoria della sinistra, quelli dell’81 sono assai più incerti. Ma
non è solo questo a rendere le previsioni della sinistra prima del voto assai prudenti. E’ il
clima internazionale ad essere cambiato, con l’apparizione di una “nuova destra” di
Thatcher e di Reagan, con il timore di una crisi storica della sinistra. Se nel ’74 la sinistra
marciava nel senso della storia, ora questo sentiero appare assai meno luminoso, ricca
d’incertezze com’è. La divisione è ormai profonda, a Parigi come a Roma, tra i partiti
del “movimento operaio”. Ancora nel ’78 molti potevano pensare ad una
ricomposizione in altre forme dell’union de la gauche. Una previsione smentita dalla
campagna di Marchais, candidato del Pcf, tutto preso ad attaccare con maggior
veemenza Mitterrand invece di Giscard o Chirac. Quanto all’Italia, nel ’78 il Pci era
convinto di essere a pochi passi dalla stanza dei bottoni, mentre nell’81 le presidenziali
francesi si svolgono poco dopo la cosiddetta “seconda svolta di Salerno” del Pci, in cui
Berlinguer ha lanciato l’alternativa democratica per mandare all’opposizione la Dc. Solo
che il principale alleato di questa alternativa, il Psi, non è affatto intenzionato a farne
parte.18
Del resto, agli occhi dei comunisti, il Psi è già un partito infido, perché diffonde
una lettura della società falsamente modernizzante e soprattutto propone riforme
istituzionali considerate pericolose per la democrazia.19 Rispetto al ’78, il Psi è infatti
ora ufficialmente il partito della Grande riforma, che non ha ancora caratteri chiarissimi,
ma che certo guarda anche alla Quinta Repubblica. Non a caso lo stesso giorno in cui
l’“Unità” commenta i risultati del primo turno delle presidenziali francesi, largo spazio è
dedicato al congresso di Palermo del Psi, in cui Craxi ha cominciato la costruzione del
partito del leader. Una svolta, quella socialista, che il direttore dell'“Unità”, Petruccioli,
legge in termini assai preoccupati,20 mentre un ampio articolo in prima pagina lascia
spazio alle considerazioni dell’ex segretario De Martino, secondo cui Craxi vorrebbe
imporre al partito (ma poi anche al paese?) una “democrazia autoritaria”.21
I commentatori comunisti evidentemente ignorano (o fingono di ignorare) che le
trasformazioni del socialismo francese sono state talmente radicali da avere trasformato
il Psf, già poco tempo dopo la rifondazione di Epinay, in un partito del presidente,22
16
Un voto per cambiare, “L’Avanti!”, 12-13 marzo 1978
“L’Avanti!”, 21 marzo 1978.
18
Silvio Pons, Berlinguer e la fine del comunismo;
19
Piero Craveri, L’ultimo Berlinguer e la questione socialista, “Ventunesimo secolo”, marzo 2002; Simona ColariziMarco Gervasoni, La cruna dell’ago, cit,, pp.
20
C. Petruccioli, Si è voluto offrire un modello al paese? “L’Unità”, 28 aprile 1981
21
De Martino amareggiato: “Non capisco questa scelta di democrazia autoritaria”, “L’Unità”, 28 aprile 1981
22
Marco Gervasoni, François Mitterrand, cit.
17
mentre per il Psi la strada per raggiungere questo obiettivo sarà ancora lunga.23 Questo
Mitterrand ad uso del Pci, così lontano da un Craxi pericolosamente attratto dalle sirene
della ricerca della leadership, è costruito dalla stampa comunista per diventare il
rappresentante francese dell’”alternativa democratica”.24
In quanto tale, il leader francese è dipinto dai comunisti italiani come un nemico
della Quinta Repubblica, quasi che egli non avesse cambiato idea da quando, vent’anni
prima, aveva accusato la Repubblica di De Gaulle di essere un “colpo di Stato
permanente”.25 Benché abbia fatto progredire la Francia, per l’“Unità” il principio
maggioritario e il presidenzialismo hanno prodotto sistema “autoritario” in deficit di
partecipazione popolare. La vittoria di Mitterrand invertirà le tendenza maggioritaria e
presidenziale, farà ritornare la Francia al parlamentarismo e perciò segnerà “la fine della
Quinta repubblica gollista”.26 Il Mitterrand per così dire “reale”, in campagna elettorale
non aveva però manifestato alcuna intenzione di riformare le istituzioni. Con lui
Presidente, aveva assicurato il candidato socialista, la Repubblica non sarebbe mai
ritornata ad essere “il regime dei partiti che si sostituiscono all’Esecutivo”.27
Nonostante una certa distanza tra il Mitterrand “francese” e quello recepito in
Italia, dopo il secondo turno egli diventa un modello e la sua vittoria quasi una conferma
delle tesi comuniste. A dirlo è Berlinguer all’indomani del voto. Mitterrand ha vinto
perché, nonostante le polemiche con i comunisti, ha sempre cercato di mantenere l’unità
della sinistra contro il sistema di potere giscardiano. In Italia l’equivalente di Giscard è
la Dc; Mitterrand deve insegnare alle sinistre italiane a combattere il sistema di potere
democristiano ed aderire all’”alternativa democratica”.28 Dove, dalle parole di
Berlinguer, sembrerebbe che Mitterrand abbia applicato in Francia la stratetegia della
“terza via”; un’eco della convinzione, tipica del Pci, dell’Italia come anomalia felice
nell’Europa occidentale, addirittura come laboratorio politico cui le democrazie
“normali” dovrebbe guardare per uscire dalla loro crisi. Per il vicedirettore di
“Rinascita”, Fabrizio d'Agostini, con Mitterrand vince la “società civile” a cui si appella
anche l’alternativa democratica dei comunisti e “come i comunisti italiani”, la ricetta di
Mitterrand è quella di un “governo nuovo della crisi”, né socialdemocratica né
conservatrice.29 Sulla stessa linea Alfredo Reichlin scrive che Mitterrand fa trionfare la
“terza via” comunista, un progetto politico che di fronte alla crisi mondiale propone
nuovi strumenti per la “socializzazione”.30
Nella visione comunista ricerca della leadeship e della governabilità, se non
proprio verso l’autoritarismo, costituiscono un forte indebolimento della democrazia.
Per questo non si fa cenno alle peculiarità del sistema istituzionale francese: anzi, per
Petruccioli, sembra che Mitterrand abbia vinto indipendentemente dagli effetti di
personalizzazione indotti dall’elezione presidenziale.31 Tanto è vero che la vittoria del
socialista francese smentirebbe le tesi dei “decisionisti”, cioè dei socialisti craxiani. Per
questo, secondo Stefano Rodotà, Mitterrand dovrà introdurre robuste riforme
23
Oreste Massari, Le trasformazioni nella leadership del Psi, “Rivista italiana di scienza politica”, n. 3, 1987, pp. 400431; W. Merkel, Prima e dopo Craxi. Le trasformazioni del Psi, Padova, Liviana, 1987
24
A. Pancaldi, Il settennato che ha rimodellato il gollismo, “L’Unità”, 25 aprile 1981
25
François Mitterrand, Le coup d’Etat permanent, Paris, Plon, 1964 Su questo testo cfr. M.Gervasoni,
François Mitterrand o dell’uscita dal bonapartismo in Napoleone e il bonapartismo nella cultura politica italiana
1802-2005, a cura di Alceo Riosa, Milano, Guerini & associati, 2007, pp. 303-307
26
A. Pancaldi, Chi potrà dire ancora in Francia “Lo Stato sono io”?, “L’Unità”, 29 aprile 1981
27
Intervento di François Mitterrand al Club de la Presse, Europe 1, 8 settembre 1980 cit. in M. Gervasoni, François
Mitterrand, cit., p. 132
28
Un giudizio di Enrico Berlinguer, “L’Unità”, 12 maggio 1981
29
Fabrizio D’Agostini, L’effetto Mitterrand, “Rinscita”, 15 maggio 1981
30
Alfredo Reichlin, Si, si può. Il cambiamento nelle società moderne, “L’Unità”, 13 maggio 1981
31
C. Petruccioli, Si afflosciano le vele del moderatismo, “L’Unità”, 12 maggio 1981
istituzionali in senso parlamentare “per uscire dalle secche della democrazia autoritaria”
della Quinta repubblica. Il discorso di Rodotà, il solo giurista ad intervenire in questa
fase, è naturalmente più complesso. Il senatore della Sinistra indipendente prevede che
Mitterrand introdurrà delle riforme nella “costituzione materiale” della Repubblica,
sfruttando le “virtualità multiple” che la carta contiene in sé, come ha già chiarito
dichiarando di voler sciogliere l’Assemblea nazionale per “ristabilire quella omogeneità
tra maggioranza presidenziale e maggioranza parlamentare” considerata “la vera
condizione per il corretto funzionamento” della Repubblica. Per Rodotà, Mitterrand
dovrà per forza di cose introdurre la proporzionale perché il modello del ’58 non ha
“raggiunto uno degli obiettivi centrali”, cioè quello di “determinare una semplificazione
dei partiti in termine di una secca contraddizione di uno schieramento all’altro”.32
Per i comunisti Mitterrand quindi ha vinto nonostante la Quinta Repubblica. Solo
il politologo Stefano Bartolini su “Rinascita” si sofferma sulla capacità aggregante di
Mitterrand, tanto che si chiede se la sua vittoria non debba essere considerata “più la
vittoria di un presidente socialista che quella della ‘sinistra’”.33 Una conclusione a cui
obtorto collo deve giungere anche “L’Unità” dopo le elezioni legislative di giugno, in cui il
declino comunista non ha più le scusanti dello scarso carisma di un Marchais
improbabile candidato all’Eliseo.34 Sono infatti più di un milione i voti passati dalle liste
comuniste a quelle socialiste, effetto del “fattore presidenziale”. Ma i dirigenti del Pci,
che pure hanno cominciato dal ’79 a perdere voti e iscritti, spiegano la drammatica crisi
del Pcf con il settarismo di Marchais e non vedono le prime crepe in casa propria. Li
distoglie la convinzione che la vittoria di Mitterrand sia anche e soprattutto una
conferma delle tesi di Berlinguer, contro quelli di Craxi e dell’Internazionale socialista.
L’idea che Mitterrand sia in fondo più vicino a Berlinguer che a Brandt, Schmidt,
Gonzalez impedisce infatti ai comunisti di misconoscere il dato strutturale dell'inizio
della fine del comunismo europeo.
Per comprendere tutto ciò i comunisti dovrebbero valutare la Quinta repubblica
diversamente da un “sistema autoritario” e soprattutto dovrebbero guardare in altro
modo il ruolo dei socialisti, al di là e al di qua delle Alpi. Al contrario Berlinguer,
Petruccioli, Reichlin polemizzano, pur senza nominarlo mai, con il Psi, colpevole due
volte, di non voler mettere in discussione il sistema di potere Dc da un lato e dall’altro si
inseguire le sirene della leadership e della “semplificazione della democrazia”, che
secondo i comunisti è un modo di affrontare la crisi rincorrendo la destra. Come scrive
Berlinguer all’indomani delle legislative francesi del giugno, la vittoria di Mitterrand è
quella dell’unità della sinistra, un unità possibile in Italia “solo con le forze che si
staccano dall'attuale sistema democristiano”.35 Non è un caso che l’organo comunista
polemizzi proprio con il Psi, e in particolare con Claudio Martelli, accusato di essere “in
imbarazzo” per il successo di Mitterrand.36 E persino chi nel Pci non sposa posizioni
antisocialiste, come Giorgio Napolitano, rimprovera a Craxi di non parlare mai di
sinistra europea e rivendica i numerosi punti di convergenza tra l’Internazionale
socialista e il Pci.37
L’“Unità” evoca “prudenza” e addirittura “imbarazzo” di Craxi e di Martelli per
la vittoria di Mitterrand, assieme al plauso e all’entusiasmo della minoranza Psi, di
32
Stefano Rodotà, Cosa potrà fare François Mitterrand nello stato di Charles De Gaulle, “L’Unità”, 12 maggio
1981
33
Stefano Bartolini, Un presidente socialista nel sistema gollista, “Rinascita”, 22 maggio 1981
34
35
Enrico Berlinguer, Il partito del cambiamento, “Rinascita”, 19 giugno 1981
I commenti, “L’unità”, 12 maggio 1981
37
Giorgio Napolitano, Le condizioni del dialogo tra eurocomunismo e socialismo europeo, “Rinascita”, 8
maggio 1981
36
Fabrizio Cicchitto e di Franco Bassanini. E’ il consueto gioco comunista di dividere il
Psi in socialisti veri (gli anticraxiani) e in socialisti tiepidi (i craxiani). Anche se qualcosa
di vero, almeno nel senso della prudenza, è presente nei commenti socialisti. L’
“Avanti!”, nel coprire la campagna elettorale francese, ha fatto rilevare come il Psf parli
anche agli elettori di centro, scontando le durissime polemiche comuniste. E’ naturale
perciò che quella di Mitterrand sia presentata come una vittoria non della “unità delle
sinistre” ma dei socialisti38. Potrebbe sembrare quasi pleonastico sottolineare
l’appartenenza di Mitterrand al …socialismo, ma è una risposta ai comunisti, per i quali
come si è visto il neo presidente francese sarebbe una felice anomalia nella
Internazionale socialista.
Mentre per il Pci sarebbe esportabile il modello mitterrandiano di unità delle
sinistre, purché non accoppiato al presidenzialismo, per i socialisti le distanze tra
Francia e Italia sono troppo vaste. Come scrive Mario Zagari,la Dc, partito di centro,
non è per nulla paragonabile al blocco gollista giscardiano. Quanto alle alleanze a
sinistra, Mitterrand ha vinto proprio perché dopo la rottura dell’union de la gauche è
apparso agli occhi dell’elettorato francese autonomo dai comunisti. Tra i dirigenti
socialisti, Zagari è quello che coglie maggiormente nel segno le ragioni del successo
mitterrandiano: il doppio turno, che ha portato gli elettori comunisti a scegliere per
Mitterrand, e la divisione della destra.39 Anche Francesco Forte ritiene Italia e Francia
troppo lontane: a Parigi l’alternanza è possibile perché i gollisti hanno modernizzato
l’apparato statale. Forte intravede poi un altro fattore a rendere ancor meno praticabile
la via francese in Italia, quella della incompatibilità internazionale di un governo socialcomunista in un paese dell’Europa occidentale.40
La prudenza del Psi nel commentare la vittoria mitterrandiana non deve
sorprendere. Difficilmente i socialisti potrebbero evocare la praticabilità immediata del
modello mitterrandiano senza provocare problemi alla Dc. Non a caso tutti i
democristiani, da Flaminio Piccoli a Giovanni Galloni, vedono in Mitterrand un
socialista opposto a Craxi, come a mettere in guardia chi voglia intraprendere disegni
troppo avveniristici.41 I socialisti non hanno però alcuna intenzione di rompere la
ritrovata alleanza con i democristiani. Da questo punto di vista la vittoria mitterrandiana
non ha alcun effetto immediato sul panorama politico italiano. Rinfocola però il
progetto craxiano di rafforzamento dell’autonomia socialista, come mostrano gli
interventi a caldo ospitati su “Mondoperaio”. Per Massimo Salvadori, Mitterrand ha
vinto grazie all’ampio esercizio della sua leadership, “non perché il fattore K abbia
cessato la sua pericolosità, ma perché ha subito una sconfitta”.42 La crisi dei comunisti
francesi appare infatti ancora più chiara all’indomani delle elezioni legislative del
giugno. Di fronte a questo risultato, le lezioni della vittoria francese per il nostro paese
sono molteplici, come spiega il direttore Federico Coen. Il Pci deve capire che “la tattica
dello sfondamento basata sulla rincorsa massimalista” porta alla sconfitta: non basta
dichiararsi il “partito dalle mani pulite” per accedere al governo. Il Psi deve sapere
invece “spezzare il bipolarismo inconcludente” Dc-PCI per creare un “polo laico e
socialista” capace di attuare all’interno della sinistra il riequilibrio a sfavore dei
socialisti.43 Il modello Mitterrand di unità delle sinistre (diversa da quelle frontiste del
passato e anche dalla sua recente versione berlingueriana) sarò insomma possibile in
Italia solo quando avverrà un riequilibrio del peso tra le due forze politiche.
38
F. Gozzano, Un successo che premia la lotta socialista, “Avanti!”, 12 maggio 1981
Mario Zagari, E’ la svolta attesa dalla sinistra europea, “Avanti!”, 13 maggio 1981
40
Francesco Forte, Il progresso socialista, “Avanti!”, 14 maggio 1981
41
I commenti, “L’Unità”, 12 maggio 1981
42
Massimo Salvadori, Il capolavoro politico di Mitterrand, “Mondoperaio”, maggio 1981
43
Federico Coen, Dalla Francia all’Italia, “Mondoperaio”, giugno 1981
39
Sul piano programmatico la vittoria di Mitterrand riaccende il dibattito sulle
riforme istituzionali lanciato anni prima da “Mondoperaio” e fa apparire più appetibile
il sistema francese.44 Se Giuliano Amato, nel ‘77 e nel ’79, aveva rotto il tabù della
elezione diretta del capo dello Stato e del presidenzialismo, scarsi erano stati i riferimenti
al modello francese in tutti gli interlocutori (lo ha invocato solo Pio Marconi)45 tanto che
il documento della corrente riformista di Craxi al Congresso di Palermo non parlava
neppure di presidenzialismo.46 Tanto che, anche nei primi commenti a caldo di
“Mondoperaio” il riferimento alla Costituzione della Quinta repubblica era stato
piuttosto marginale. Dopo il maggio ’81 su questo tema si sentono toni diversi, almeno
all’interno dell’intellighentsia socialista. Nel numero speciale di “Mondoperaio”
dedicato alla “primavera rosa” francese Bernardo Valli scrive che Mitterrand ha vinto
grazie alle istruzioni della Quinta repubblica che lo “proteggono”.47
A guardare con interesse al semipresidenzialismo francese sono soprattutto
Giuliano Amato e lo storico Salvatore Sechi. Con la vittoria di Mitterrand, spiega
Amato, il modello gollista si afferma nella sua solidità, capace di garantire il passaggio
dell’alternanza. Il “partito del presidente” diventa centrale grazie “alle elezione popolare
del capo dello Stato” che genera e compatta un “consenso” anche sulle elezioni
parlamentari. Mitterrand “accetta la caratterizzazione maggioritaria dell’assetto attuale e
accetta che questo trovi il suo fulcro in un forte esecutivo, con un presidente che non è
più l’arbitro ma l’ispiratore e il custode dei grandi indirizzi di cui è portatore
l’Esecutivo", senza per questo prevaricare il Parlamento. Con Mitterrand vincente, la
sinistra deve capire che “un governo reso forte dall’autorità di un presidente eletto dal
popolo e dal sostegno di una salda maggioranza parlamentare non è in quanto tale il
pilone di un sistema autoritario”48 Ancor più esplicito Sechi, per cui “Mitterrand ha
saputo mettere nell’otre del gollismo il vino nuovo di un programmatore riformatore
moderno, non ideologico”. Quella di Mitterrand è la vittoria della “sintesi presidenziale”
dall'aver accettato cosi come è il sistema della Quinta repubblica, la forma del governo
presidenziale. La lezione per l’Italia è che il nostro paese dovrebbe darsi “l’ossatura della
Quinta repubblica”.49
Nessuno però, a parte Sechi, è convinto che nell’immediato si possa importare la
Quinta Repubblica in Italia. Come scrive Amato, la sinistra francese si è liberata dal
“complesso del tiranno”, quella italiana molto meno. Senza un sistema come quello
della Quinta Repubblica, però, viene meno anche il modello mitterrandiano di unità a
sinistra. A chiarirlo è Gilles Martinet, per il quale in Francia “siamo stati favoriti dalla
vittoria del gollismo” mentre in Italia con il sistema elettorale proporzionale per i
socialisti sono possibili solo governi di coalizione.50 La Francia insomma “è lontana”.
Talmente lontana che un mese dopo le elezioni francesi, Berlinguer rilascia a Eugenio
Scalfari la poi celebre intervista sulla “degenerazione dei partiti”, in cui sferra un duro
attacco ai socialisti, interessati solo “ad accrescere il potere del loro partito nella
spartizione e nella lottizzazione dello Stato”. Alla domanda di Scalfari su Mitterrand,
Berlinguer risponde negando risolutamente che il leader francese abbia vinto grazie alle
istituzioni della Quinta Repubblica. Contro Craxi, che rimanda a un riequilibrio della
sinistra, Berlinguer risponde che “Mitterrand non ha aspettato d’essere più forte del Pcf
44
Marco Gervasoni
Pio Marconi, I partiti nella crisi delle istituzioni, “Mondoperaio”, febbraio 1981
46
Documento della corrente riformista in F. Pedone (a cura), 90 anni di pensiero e di azione socialista Il PSI
attraverso i suoi congressi, 5 voll., Venezia, Marsilio, 1985, vol V, p. 499-503
47
Bernardo Valli, La sfida di Mitterrand, “Mondoperaio”, luglio-agosto 1981
48
Giuliano Amato, La prova del fuoco della Quinta Repubblica, Ivi
49
Salvatore Sechi, Vino nuovo nell’otre di De Gaulle, Ivi
50
Francia chiama Europea. Intervista a Gilles Martinet e a Giorgio Ruffolo, Ivi
45
per ricercarne l’alleanza”. E questo perché non vuole”escludere dal governo del paese la
classe operaia”.51
Le parole di Berlinguer pongono una pietra tombale sulla possibilità di una
alleanza mitterrandiana in Italia, tanto che anche il gruppo dirigente socialista (e non più
solo gli intellettuali d’area) cominciano a guardare alla via presidenziale. Non tanto
nella Conferenza di Rimini, dove il Psi acquisisce a livello programmatico la sua piena
identità riformista,52 quanto a partire dall’ottobre ‘82. Da quel momento si comincerà a
parlare di elezione diretta del presidente della Repubblica, anche se siamo ancora lontani
dal modello francese, perché, come spiega Giuliano Amato, nel disegno socialista il
presidente dovrebbe continuare ad assumere il ruolo di “arbitro” e di “garanzia”. La
riforma presidenziale fungerebbe cosi da “utile correttivo della vigente forma di governo
parlamentare”.53 La proposta infatti non convince i fautori della Quinta Repubblica,
come Gianni Baget Bozzo, per il quale, se l’obiettivo è “una seconda repubblica”, dove i
partiti non devono più avere “la preminenza politica che essi hanno acquisto a partire
dall’evento fondatore della Repubblica, l’antifascismo e la resistenza”, allora si deve
introdurre “una forma di governo presidenziale”, non “il regime a responsabilità
morbida” proposto da Amato.54 Anche il modello presidenziale per cosi dire morbido
spaventa però, come si vede dall’intervento di Roberto Ruffilli55 mentre la rivista di area
Pci più aperta, “Laboratorio politico”, nonostante il suo conclamato revisionismo, sul
tema non va molto oltre quello che scrive l’ingraiana “Democrazia e diritto”.56
Accusati da ogni parte di vocazione plebiscitaria, Craxi e i socialisti non sono
interessati, almeno sul breve periodo, a cercare di imitare il modello Mitterrand, né sul
piano della politica delle alleanze né su quello istituzionale, mentre per quanto riguarda
le policies, le convergenze sono più ampie tra il governo Craxi e il monocolore socialista
di Laurent Fabius, che con i primi due governi Mauroy. I successi del “socialismo
latino”, tra cui quello di Mitterrand, hanno infatti convinto Craxi della possibilità di una
soluzione alla Mitterand (o, più realisticamente, alla Gonzalez), portare un socialista
alla guida dell'esecutivo, in chiave però italiana, senza mutare troppo il quadro delle
alleanze precedenti – un cambiamento senza alternanza tipico della tradizione
trasformistica presente nei sistemi politici che si sono succeduti nel nostro paese. Tutto
ciò fidando nel trend negativo dei voti della DC e del PCI e in quello positivo del
PSI,come avvenuto appunto nelle elezioni dell’83 e come in parte, avverrà nelle
amminsrtative dell’85.57 Prova di questo atteggiamento è la cautela con cui Craxi, nel
51
Eugenio Scalfari, Che cosa è la questione morale. Intervista ad Enrico Berlinguer, “La Repubblica”, 28
luglio 1981
52
Governare il cambiamento, Conferenza programmatica del Psi, Rimini 31 marzo-4 aprile 1982,
Roma,Quaderni de “Il Compagno”, 1983.Sulle riforme istituzionali vi intervengono Federico Mancini,
Enzo Cheli, Alberto Spreafico, senza che nessuno tocchi la questione del presidenzialismo.
53
G. Amato, Eleggere il presidente, “Mondoperaio”, novembre 1982; Id., Un capo dello Stato eletto dal
popolo, “La Repubblica”, 28 ottobre 1982
54
Gianni Baget Bozzo, I rischi di un presidenzialismo dimezzato, “Mondooperaio, dicembre 1982,
55
Roberto Ruffilli, Elezione del presidente: una semplificazione pericolosa, “Mondoperaio”, maggio 1983
56
Il bimestrale, pubblicato da Einaudi, esce tra il gennaio del 1981 e il giugno del 1983 e vede nel comitato
di direzione, e tra le principali firme, Alberto Asor Rosa, Remo Bodei, Angelo Bolaffi, Massimo Cacciari,
Franco Cazzola, Giacomo Marramao, Stefano Rodotà, Gian Enrico Rusconi, Ezio Tarantelli, Mario Tronti,
Mario Calise. Sulla questioni istituzionali, Antonio Baldassarre ad esempio muove alle proposte del PSI le
stesse critiche di qualche anno prima, vedendovi l’incarnazione di un modello plebiscitario, per altro non
applicabile in Italia (A. Baldassarre, Il retrobottega della democrazia, “Laboratorio politico”, nn. 5/6, 1982,
pp. 78-111) cosi come critiche al progetto socialista sono rivolte da Stefano Rodotà e da Alberto Asor Rosa
nei loro vari articoli, mentre un intero numero, il 1 del 1983, è dedicato alla “crisi terminale delle
socialdemocrazia” e a come andare oltre tale esperienza politica
57
Simona Colarizi-Marco Gervasoni, La cruna dell’ago, cit.,
suo discorso della fiducia nell’agosto dell’83 parla della riforma istituzionale, senza
alcun cenno al presidenzialismo o al maggioritario58.
Del resto, la Commissione parlamentare per la riforma istituzionale, inaugurata
dalla nuova legislatura e guidata dal liberale Bozzi, mostra infatti subito le divergenze
tra i tre principali partiti.59 La DC è tendenzialmente ostile al presidenzialismo e al
sistema maggioritario, preferendo intervenire sullo sbarramento elettorale e sulla
introduzione della “sfiducia costruttiva” di ispirazione tedesca. Quanto ai socialisti in
Commissione (Labriola, Salvo Andò, Gino Giugni, Giuliano Vassalli) si esprimono per
un blocco del 5%, per la diminuzione del numero dei deputati, per la riforma del
regolamento della Camera. Tali proposte saranno poi presentate e discusse durante il
Congresso nazionale del Psi a Verona, nel maggio 1984.60 Benché non possano dirsi
esattamente soluzioni presidenzialistiche, sono accolte come autoritarie da un fuoco di
fila che va da Antonio Baldassarre a Fabio Mussi, da Renato Zangheri a Petruccioli.61
Infatti il divario tra DC e PCI sul tema delle riforme istituzionali è assai meno ampio di
quello che divide comunisti e socialisti. Al di là del rigetto deciso della prospettiva
presidenzialistica, considerata al contempo inutile e pericolosa62 Pietro Ingrao e Luigi
Berlinguer vorrebbero rafforzare ancor più le prerogative parlamentari.63 Quanto al
principio maggioritario, il Pci evoca ancora la “legge truffa” e difende strenuamente la
proporzionale.64 Isolate sono alcune voci, peraltro della Sinistra indipendente, come
quella di Gianfranco Pasquino.65
Gli anni del governo Craxi sono caratterizzati, come scrive già allora Fulco
Lanchester, da un “approccio gradualistico” che ha “affievolita l’iniziativa istituzionale
del PSI in campo macro istituzionale”.66 Ciò non impedisce, almeno all’interno
dell’intellighentsia socialista, di parlare in maniera ancora più diretta che nell’81-82 di
regime presidenziale: basti vedere l’attenzione a quanto proposto dal Gruppo di Milano
di Gianfranco Miglio, demonizzato invece dai comunisti.67 Ma è un discutere astratto,
visto che persino i più convinti fautori del modello francese si dicono scettici riguardo le
possibilità di addivenire in tempi anche medi ad una autentica riforma. Pio Marconi non
ritiene ancora maturo il passaggio a una Seconda Repubblica, preferendo riforme che
non incidano sulla carta costituzionale, come ad esempio la modifica dello scrutinio
58
B.Craxi, Obiettivi del nuovo governo, “Avanti!”, 7 agosto 1983; Id., Un grande impegno di concretezza e di
lavoro, “Avanti!”, 10 agosto 1983
59
P. Scoppola, La Repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, pp.439-449
60
F. Pedone, op. cit, vol V, p. 661
61
Antonio Baldassarre, L’incerto percorso di Craxi, “Rinascita”, 27 aprile 1984; Fabio Mussi, Dove sono le
sfide di un tempo? Ivi, 4 maggio 1984; Adalberto Minucci, Immagine e realtà del PSI, ivi, 11 maggio 1984;
La soglia autoritaria. Intervista a Renato Zangheri, ivi, 11 maggio 1984; Claudio Petruccioli, Nuovi riformisti
o nuovi integralisti?, ivi, 18 maggio 1984
62
Per le critiche da parte comunista alle proposte di Amato cfr. Massimo Brutti, Cambiare le regole del
gioco, “Democrazia e diritto”,1, 1982, pp. 5-12.
63
Luigi Berlinguer, Riforma elettorale, non è il terreno decisivo, “Democrazia e diritto”, 1984, n. 5, p. 41;
Pietro Ingrao, Crisi e riforma del Parlamento, “Democrazia e diritto”, 1985, 2, pp. 35-66
64
P. Scoppola, La repubblica dei partiti, cit., p.445-446
65
Pasquino, senatore della Sinistra indipendente, ha presentato in Commissione Bozzi una riforma
elettorale che prevede un premio di maggioranza in un secondo turno elettorale alla coalizione che ha
raggiunto almeno il 40% dei voti. cfr. Gianfranco Pasquino, Riforme elettorali: praticare una filosofia
politica, “Democrazia e diritto”, 1984, 5, pp. 25-37. Cfr. anche Id., Restituire lo scettro al principe, Bari,
Laterza, 1985. La sua proposta sarà ripresa ufficialmente solo dopo la nascita del Partito democratico
della Sinistra.
66
Fulco Lanchester, Un approccio gradualistico alla riforma istituzionale, “Mondoperaio”, maggio 1985
67
Verso una nuova Costituzione, a cura di Gianfranco Miglio, Milano, Giuffré, 1983. cfr. C Petruccioli, I
signori del nuovo Leviatano, “Rinascita”, 1983, n. 44; G. Miglio, Conservatore è chi non decide, “Rinascita”,
6 gennaio 1984.
elettorale68 L’ideale per il nostro paese, scrive Sechi, sarebbe il semipresidenzialismo alla
francese, con lo scrutinio maggioritario a due turni.69 Ma troppo forte è la “passione
consociativa, la triste ideologia dello stare e del votare insieme”, retaggio della “cultura
antifascista moderata” che porta a pensare al sovrano come al tiranno.70. Anche Lucio
Colletti auspica la riforma istituzionale e il passaggio a una seconda repubblica per
sbloccare la democrazia consociativa, anche se il peso di questa cultura è talmente forte
da annebbiare tutto.71
Le legislative dell’86
Gli intellettuali di “Mondoperaio” invocano Craxi presidente del Consiglio
perché si faccia sentire con voce più netta, anche se nessuno ancora preconizza, come
invece da lì a poco, l’ “atto di decisione” o lo “sbrego costituzionale” per sbloccare la
situazione, Del resto, negli anni del governo Craxi l’appeal di Mitterrand è decisamente
in calo rispetto ai giorni dell’euforia dell’81. Prima la svolta neoliberale in politica
economica e finanziaria dell’83, poi la brusca caduta di consensi del presidente e del
governo, quindi la sostituzione di Mauroy con Fabius nell’84, infine nell’85 lo scandalo
Rainbow Warrior.72 Alle elezioni legislative dell’anno successivo, la gauche viene
sconfitta e Mitterrand deve nominare Jacques Chirac primo ministro, avviando così il
primo caso di “coabitazione”. Già prima della sconfitta, però, i comunisti italiani
avevano mostrato una forte disillusione verso Mitterrand. La crisi del presidente e del
suo governo è la conferma che non può funzionare il “bipolarismo perfetto” da
qualcuno tanto desiderato per l’Italia. Dopo quattro anni di egemonia socialista, scrive
Nicola Chiaromonte, in Francia è diventata egemone una cultura di destra, il
comunismo è in grave crisi (certo per i limiti di Marchais), e le ricette economiche
neoliberali dell’ultimo Mauroy e di Fabius sono “insufficienti”. In politica estera, poi,
Mitterrand si sarebbe del tutto adagiato sulla politica di Reagan. Tutto ciò dimostra la
“fragilità e alla lunga l’impotenza” di uno schieramento di governo che si basi solo sulle
forze della sinistra e che riscuote il consenso di una maggioranza risicata di cittadini.
Aveva perciò visto giusto Berlinguer, non quello della svolta di Salerno ma quello del
compromesso storico, nel ribadire come nei momenti di crisi occorrano governi di
emergenza.73
L’intervento di Chiaromonte è abbastanza significativo dello stato di crisi non
tanto della Francia e dell’Italia, quanto dei comunisti italiani, se uno degli esponenti più
lucidi dell’area migliorista, sempre attento ai rapporti con le socialdemocrazie e buon
conoscitore della Francia, può stendere un’analisi così poco eloquente sulla Francia.
Chiaromonte dice assai poco sulla Francia, perché quella vissuta da Mitterrand non è la
crisi del bipolarismo, a cui comunque l’esponente comunista sa rispondere solo con una
semplice riproposta del compromesso storico. E dice molto sull’Italia: nonostante in
area comunista ci si muova con maggior attenzione verso le ipotesi di riforma elettorale
e di rafforzamento dell’esecutivo (ma non verso il presidenzialismo), è ancora assai forte
la convinzione proporzionalista e consociativa. Non stupisce che, di fronte alle difficoltà
di Mitterrand, ritorni il mantra tardo berlingueriana del superamento della
socialdemocrazia. Persino Chiaromonte chiede ai suoi compagni di non considerare i
68
P.Marconi, Istituzioni: l’utopia e la riforma, “Mondoperaio”, dicembre 1983.
S. Sechi, Da Salò alla repubblica presidenziale, Mondoperaio”, luglio 1986.
70
Id., Perché segna il passo la riforma costituzionale, “Mondoperaio”, aprile 1984.
71
Lucio Colletti, I guasti della “democrazia consociativa”, “Mondoopeaio”, luglio 1985.
72
Marco Gervasoni, François Mitterrand, cit.
73
Gerardo Chiaromonte, Che cosa ci insegna il caso francese, “Rinascita”, 13 luglio 1985
69
partiti socialisti e socialdemocratici “un’ala dello schieramento conservatore e le mosche
cocchiere del neoliberismo”, anche se il bilancio dei governi Mauroy e Fabius in campo
economico e sociale non può dirsi “positivo”.74 L’opinione di Chiaromonte non è pero
condivisa dal segretario Natta, per il quale i leader della socialdemocrazia europea,
come Mitterrand, Gonzalez, Papandreu e ovviamente Craxi, sono ormai sono
affascinati dal potere “carismatico-plebiscitario”, tanto da inseguire la destra senza
neppure riuscire a vincere.75
Infierire sulla sconfitta del Psf consente ai comunisti italiani di minimizzare la
contemporanea disastrosa debacle del Pcf. Quella dell’86 è però una “strana sconfitta”
per il partito di Mitterrand, che rimonta rispetto alle elezioni europee dell’84 e
soprattutto allarga il distacco con il Pcf, ormai sulla strada di un’inevitabile declino. I
socialisti sono diventati il partito maggioritario a sinistra, ma a nulla serve se i comunisti
continuano a dirsi convinti della “crisi delle socialdemocrazia”. Solo Mario Telò
descrive un partito socialista ancora vivace, che ormai ha acquisito la “legittimità a
governare”76 per il resto i commenti comunisti sono assai più severi sul partito di
Mitterrand. Poiché i socialisti francesi hanno intrapreso la via carismatica plebiscitaria, il
Psf si è svuotato, è diventato un partito “di supporto al presidente”, incapace di essere
“egemone”. Per questo, inseguendo il modello conservatore di potere e la strada della
“razionalizzazione produttiva”, i cittadini si sono rivoltati contro un governo che faceva
“l’opposto del programma sul quale era stato eletto”.77 Mitterrand, insomma, non è più
“l’erede di Jaurès e di Blum”78 .
Le elezioni dell’86 si sono svolte con la proporzionale: comprensibilmente il Pci
non enfatizza la scelta francese, perché mostra che il declino comunista non è
rimediabile neppure con quel sistema elettorale. A sottolineare il peso della
proporzionale sono invece i socialisti, per bocca del vicesegretario Valdo Spini,
soddisfatto della sconfitta ridimensionata, grazie soprattutto all’introduzione del
proporzionale. Non è una sorpresa perché uno dei tanti modelli di riforma dei socialisti
riguarda l’elezione diretta del presidente della Repubblica con la proporzionale.79 Una
proposta presentata ufficialmente l’anno successivo al congresso di Rimini, dove Craxi
torna a lanciare il vecchio slogan della “grande riforma”, che prevede il
presidenzialismo,80 mentre Lelio Lagorio e soprattutto Salvo Andò propongono un
modello francese, che, come ha dimostrato l’86, può esistere perfettamente anche con la
proporzionale81. Anche se le proposte di Lagorio e di Andò guardano maggiormente
verso la Francia, sono comunque debitrici di quella Amato dell’82, che ora lo stesso
esponente socialista presenta come “la meno traumatica” tra quelle possibili.
Sicuramente meno traumatica del passaggio “di botto” al sistema maggioritario.”82
Infatti il sistema maggioritario (proposto da De Mita e ormai in parte anche da
Occhetto,83) senza “un forte centro d’impulso e decisioni”, senza che il capo dello stato,
eletto direttamente dal popolo, sia il garante della “maggioranza reale esistente nel
74
Id., Per una poltica di governo delle sinistre in Europa, “Rinascita”, 12 aprile 1986
Alessandro Natta, Il Psi di ieri e quello di oggi, Ivi
76
Mario Telò, Socialisti e comunisti: diverse vie all’opposizione, “Rinascita”,29 mrzo 1986
77
Giorgio Fanti, Se Chirac diventa l’inqulino di Mitterrand, “Rinascita”, 15 marzo 1986
78
Id., Mitterrand.Chirac, “Rinascita”, 28 marzo 1986
79
Alberto Stabile, Il Pci: è una lezione, “La Repubblica”, 18 marzo 1986
80
B. Craxi, Il nostro congresso, “Mondoperaio”, marzo 1987, p. 3
81
Lelio Lagorio, Una scelta di popolo, “Critica sociale”, gennaio-febbraio 1987; Salvo Andò, La proposta
dell’elezione diretta del capo dello stato, MO, marzo 1987, p. 21. Cfr. anche Id., Riforme istituzionali,
“Avanti!”, 12 marzo 1987
82
G. Amato, La nostra proposta e quella di De Mita, “Mondoperaio”, giugno 1987.
83
Nelle discussioni che precedono il XVIII Congresso, nel 1989, cfr. Giuseppe Vacca, Il PCI tra
“vecchio” e “nuovo” pensiero, “Democrazia e diritto”, gennaio-aprile 1989, pp. 79-107
75
paese”, insomma il maggioritario senza presidenzialismo potrebbe accentuare
l’instabilità, mentre al contrario, in Francia, “l’intero esecutivo” è “rafforzato
dall’investitura popolare riveduta dal presidente”.84
Le presidenziali dell’88
Nel frattempo avviene la riconferma di Mitterrand. Se sette anni prima i dirigenti
socialisti erano stati assai sobri nel rivendicare la vittoria del leader francese, ora Craxi
interviene subito salutando nella seconda vittoria del presidente francese “un successo
dell’Europa e del socialismo europeo”.85 Ha vinto, scrive Ugo Intini, un socialismo
“moderno” e “aperto”, l’idea di Europa unita contro i nazionalismi, la “tolleranza”
contro “l’autoritarismo”. Ha prevalso con Mitterrand una sinistra “pragmatica”, con
una “concezione laica, anziché salvifica, matura e concreta della politica”, propria di chi
ha abbandonato "massimalismo, corporativismo sindacale e assistenzialismo
burocratico”.86 Dal punto di vista istituzionale, Mitterrand ha saputo adeguarsi ai
cambiamenti mantenendo inalterato lo spirito della Quinta Repubblica. Non è stato
quindi, come credeva Berlinguer nell’81, il riformatore della istituzioni golliste ma il suo
più limpido esponente, capace di sfruttare ancora meglio che sette anni prima le
istituzioni: è lui il vero continuatore di De Gaulle, mentre il gollismo si è dimostrato
incapace di regger la sfida del tempo.87
La Francia dell’88 è un modello più vicino all’Italia ora? Craxi è prudente:
rispetto a Francia, Spagna, Grecia, “l’Italia sta nel mezzo, in equilibrio tra le forze
progressiste e forze conservatrici che pure stanno nella stessa maggioranza”, anche se la
Dc non può essere definito un partito conservatore. Con la vittoria di Mitterrand si
afferma però una nuova idea di socialismo per cui la battaglia non è più come un tempo
per “la prevalenza di una idea logica” ma “per condizionare uno sviluppo economico”.88
Se questo è vero, Mitterrand non è più un esempio dell’unità delle sinistre, una strategia
ormai logorata dal tempo. In campagna elettorale infatti il presidente ha promesso un
governo diverso, di apertura alla società civile e alle formazioni centriste. Subito dopo la
vittoria, Mitterrand ha nominato primo ministro Michel Rocard, il cui governo vede al
suo interno esponenti centristi, e ha sciolto l’Assemblée nationale.89 Mitterrand e
Rocard hanno così superato l’idea del governo delle sinistre per un sinistra-centro che
l’“Avanti!” considera molto somigliante al centrosinistra del pentapartito, tanto da
elogiare Rocard, a cui va il merito di aver “rinnovato profondamente il socialismo
francese”, dandogli un “volto liberale”, aprendolo ai “valori progressisti del
liberalismo”. In questo nuovo scenario, l’auspicio è che mentre i socialisti tengono il
timone, i comunisti aiutino a remare”.90 Un ripensamento del bipolarismo che spinge
addirittura a prevedere il “superamento della Quinta repubblica” in nome del
“superamento delle ideologie”.91
Fa riflettere quest’involontario nostalgia per la Quarta repubblica sull’organo di
un partito che un anno prima ha rilanciato le riforme istituzionali optando chiaramente
per il modello presidenzialista francese. Ma non sorprende più di tanto, perché come si è
84
S. Andò, Riformare le istituzioni: partire dalla testa, “Mondoperaio”, maggio 1989, p. 28.
Con Mitterrand voglia di nuovo, “L’Avanti!, 10 maggio 1988
86
Ugo Intini, L’idea di un socialismo moderno e aperto, Ivi
87
G. Baget Bozzo, La disfatta di Chirac chiude l’era del gollismo, Ivi
88
B. Craxi, Oggi guardate lontano, “L’Avanti!, 17 maggio 1988
89
M. Gervasoni, François Mitterrand, cit.
90
Roberto Villetti, Rocard socialisti al timone comunisti ai remi, “Avanti!”, 12 maggio 1988
91
F. Gozzano, Mitterrand un successo con problemi, “Avanti!”, 14 giugno 1988
85
visto il Psi separa lo scrutinio maggioritario, cui non è troppo favorevole, dall’elezione
diretta del presidente della Repubblica. La Francia, con l’ouverture di Mitterrand e di
Rocard, sembra confermare questa tendenza. Quanto alle lezioni per l’Italia, l’esempio
francese non ispira tanto la riforma istituzionale, quanto quella del Psi. Mitterrand ha
saputo “levarsi al di sopra della mischia” perché il Psf è ormai da tempo il partito del
leader. In Italia il Psi non è ancora il partito del presidente, occorre perciò alleggerire
“l’organizzazione” ed eliminare la “reti di poteri locali”.92
Per i socialisti la Francia non è più cosi lontana come nell’81, anche se in Italia
non sono proprio al timone, visto il rinnovato protagonismo della Dc, né i comunisti
sembra abbiano intenzione di remare, benché il risultato delle elezioni dell’87 possa far
intravedere, sia pure alla lunga, uno scenario del genere. IN casa comunista, infatti, gli
effetti della riconferma di Mitterrand sono assai minimizzati e sono lontani i toni di sette
anni prima. Chiaromonte apprezza naturalmente la vittoria della “difesa dei diritti
individuali” ma la sinistra francese “non appare in grado di dare una risposta
convincente ai più complessi problemi”. Sbaglia Craxi a festeggiare e a vedere nel
secondo Mitterrand l’equivalente del centro-sinisrta italiano; mentre quello di
Mitterrand è un vero modello riformatore, perché i socialisti sono maggioritari, in Italia
il Psi è costretto a condurre una politica centrista. 93 Dove riappare la vecchia idea
berlingueriana di Mitterrand “vero” socialista, rispetto a un Craxi succube della Dc. Con
la sconfitta di Le Pen, i comunisti vedono poi nella vittoria di Mitterrand una riconferma
dell’antifascismo,. Come spiega Giorgio Napolitano, Le Pen è riuscito a catalizzare voti
“anche operai” e la sfida ha assunto toni “drammatici”. Tuttavia quella di Mitterrand
non è semplicemente la vittoria della “democrazia” contro i pericoli autoritari. Dimostra
che la sinistra francese è diventata ormai forza di governo, che l’81 non è stata una
parentesi. La lezione per l’Italia è che “raccogliere il più arco ampio di forze di sinistra”
e al tempo stesso “riuscire ad andare oltre i tradizionali confini della sinistra”.94
Il governo di ouverture mette per una volta d’accordo socialisti e comunisti.
Mitterrand, scrive l’“Unità”, sta facendo uscire la Francia dal “deleterio bipolarismo
istituzionale”.95 Altro che importare il maggioritario francese in Italia: sono gli stessi
elettori francesi a non volere più un sistema che rende la democrazia “fragile”. Su questo
tasto batte il quotidiano comunista subito dopo il risultato del primo turno delle
legisalative di giugno: il sistema maggioritario “deforma la democrazia francese”, con
una “camera che non riflette le tendenze politiche del paese reale”, svaluta il
Parlamento, allontana i cittadini dalle elezioni, svilisce il ruolo della minoranza e rende
la maggioranza “agli ordini degli esecutivi”. Il paese è diventato così in una “monarchia
repubblicana”.96 Dopo il secondo turno, esce una Francia “spaccata in due” senza che
né la sinistra né la desta abbiano i numeri per governare: per cui “anche la Francia deve
proporsi, per ragioni opposte a quelle italiane” una riforma della Costituzione e del
sistema elettorale.97
Il governo di ouverture di Rocard si rivelerà in pochi mesi assai fragile, mentre si
accentuerà la competizione tra il presidente della repubblica e il primo ministro. La
funzionalità del sistema francese comincia ad apparire quanto meno dubbia. Sarà anche
per questa ragione che, in casa socialista si passa repentinamente dal modello francese a
quello americano presentato al Congresso dell’Ansaldo a Milano nell’89.98 Per sbloccare
92
Giovanni Salomone, Francia e Italia: il carisma del leader e i limiti del partito, “Avanti!”m 16 giugno 1988
G. Chiaromonte, Se la sinistra sa governare, “Rinascita”, 21 maggio 1988
94
L’effetto Mitterrand sulla sinistra europea. Intervista a Giorgio Napolitano, L’Unità, 11 maggio 1988
95
A. Pancaldi, L’azzardo calcolato di Mitterrand, “L’Unità”, 16 maggio 1988
96
Id., Quel sistema maggioritario che deforma la democrazia francese “L’Unità”, 7 giugno 1988
97
Id.,Il Presidente non ce l’ha fatta, “L’Unità”, 13 giugno 1988
98
B. Craxi, Un chiaro messaggio, “Avanti!”, 14 maggio 1989
93
la situazione di stallo, poi, Amato propone una raccolta di firme per “chiedere al Paese:
vuoi l’elezione diretta del presidente della Repubblica?”.99 Dalle colonne di
“Mondoperaio” si scrive che “tra il modello gollista, oggi ereditato da Mitterrand,
contrassegnato da una presidenza forte e da un’istituzione parlamentare debole, e il
modello statunitense, nel quale la forza centralistica della presidenza viene
controbilanciata da un forte e onnicomprensivo controllo parlamentare, il Psi si è
orientato decisamente verso questo secondo”.100 La linea viene mantenuta anche nella
conferenza di Rimini, l’anno successivo.101 Il presidenzialismo comincia a fare breccia
anche tra gli ormai ex comunisti, se il vicesegretario Massimo D’Alema apprezza “l’idea
del presidenzslimo collegata ad una prospettiva di alternativa”.102
Ma è una posizione che passa in secondo piano nella cultura politica
postcomunista. Basta sfogliare pochi mesi dell’“Unità”, per vedere come l’opinione dei
dirigenti e della base dell'ex Pci, nel valutare la vicinanza di Craxi a Mitterrand, sia
paradossalmente assai vicina a quella di Marco Pannella, antico estimatore del leader
francese. Tanto da trasferirsi, nell’81, in Francia per contribuire alla campagna
elettorale. Pannella e i suoi avevano ovviamente accolto con entusiasmo la vittoria del
leader francese, enfatizzando le sue prese di posizione contro la pena di morte e per
l’allargamento dei diritti civili. Non potevano saperlo, ma avevano puntato sulla sola
parte del programma mitterandiano poi realizzata integralmente. Per Pannella, Craxi
nell’81 aveva tutte le carte per essere il Mitterrand italiano e l’idillio tra Psi e Pr, da
culturale qual’era, alle elezioni amminsrtative dell’anno precedente era diventato
addirittura un’alleanza. Otto anni dopo, Pannella nonostante tutto non è troppo deluso
da Mitterrand, mentre Craxi è ormai diventato l’anti Mitterrand. Il leader francese,
infatti, ha costruito le sue vittoria attraverso una vera e propria “offensiva di tolleranza e
di amicizia nei confronti del Pcf francese, due volte più forte e cento volte meno
democratico del Pci; e attaccando come discriminante essenziale la sinistra e la destra,
gli abusi di una informazione pubblica illiberale, aprendo le porte di radio e televisione a
tutte le componenti politiche, anche le più nemiche, mostrando di saper affidare al
rispetto e all’esaltazione delle regole democratiche e laiche l’avvenire oltre che il
presente, suo proprio e del suo partito”. Insomma Mitterrand ha mantenuto fede alla sua
identità di sinistra. Al contrario Craxi, con il suo “presidenzialismo di sapore peronista”
è diventato “nemico di tutti i tradizionali amici del Psi e intollerante aggressore di un Pci
in via di onesto e coraggioso rinnovamento. Craxi si trova costretto ad usare in modo
ormai violento e antidemocratico il potere e il sottopotere dei quali ampiamente e
sproporzionatamente è divenuto proprietario”.103
Quasi un epilogo
All’inizio degli anni Novanta i rapporti tra i due partiti di sinistra hanno
raggiunto il punto più basso. I dirigenti post-comunisti nelle segrete stanze aprono ai
socialisti ma il popolo di sinistra, militanti ed elettori, ritiene più che mai Craxi un
pericolo per la democrazia. Tanto che gli Occhetto e i D’Alema non possono che
99
Il capo dello Stato eletto dal popolo, “Avanti!”, 17 maggio 1989
Antonio Landolfi, Attualità della grande riforma, “Mondoperaio”, luglio 1989, p, 28
101
Un riformismo moderno, un socialismo liberale, Tesi della Conferenza programmatica del Psi, Rimini, 2225 marzo 1990.
102
Massimo D’Alema, Nella giusta direzione, “Critica sociale”, n, 4, marzo 1990, p. 11
103
M. Pannella, Bettino Craxi l’anti Mitterrand, “Il Manifesto”, 16 giugno 1989
100
blandire queste immagini, assai diffuse proprio sull’ “Unità”, sulla stampa di partito,
nelle riviste e soprattutto nei programmi televisivi d’area.104 Quasi dieci anni dopo
l’auspicio di Amato, la sinistra non ha perso il complesso del tiranno. Il
presidenzialismo, quando proposto da Craxi, non può che essere peronismo e
populismo.105 Così quando il segretario socialista appoggerà Francesco Cossiga nel suo
“interventismo presidenziale” a favore, secondo le parole del Presidente, di un “soggetto
decisionale singolo e non collegiale”,106 e il Pds promuove contro il Quirinale una sorta
di impeachment, il cerchio sembra chiudersi. E’ ora il modello francese è quello che
riscuote maggior fortuna tra i socialisti,107 ma Mitterrand non viene quasi mai citato. La
situazione italiana, scrive Luciano Cavalli, è infatti ormai simile alla Quarta Repubblica
del ’58. E’ venuto il momento di operare una rottura costituzionale e di uscire dalla crisi
attraverso una “leadership presidenziale” che può essere incarnata da Craxi108 oppure,
come proporrà un anno dopo Mario Patrono, dallo stesso Cossiga.109
Quanto a Mitterrand, dopo la disastrosa sconfitta dei socialisti alle legislative del
marzo ’93, non trova più molti sostenitori a sinistra: prima ancora delle sue uscite sulla
giovinezza vichysta, un’opinione pubblica italiano ormai avvinta al giustizialismo segue
con attenzione la campagna di stampa contro un presidente giudicato corrotto, a capo di
una banda di quarante voleurs, i cui collaboratori di lunga data si suicidano nelle stanze
dell’Eliseo.110 A questo punto, nell’opinione pubblica francese è l’Italia a diventare un
modello, tanto che un quotidiano come “Le Monde” auspica una Mains propres francese
i cui obiettivi sono ovviamente Mitterrand e i socialisti, al governo ininterrottamente da
dodici anni (a parte la breve parentesi tra l’86 e l’88). Quanto all’Italia, la rivoluzione
giudiziaria tra il ’92 e il ’93 sembra promettere un rinnovamento immediato, in cui le
proposte presidenziali, anche di marca francese, non ottengono più alcun consenso a
fronte invece del principio maggioritario che si afferma sull’onda dei referendum Segni.
Con la fine della Prima Repubblica e poi la morte di Mitterrand si chiude una vicenda
cominciata all’inizio degli anni Settanta, anche se non finirà, nel nostro paese, l’interesse
per il semipresidenzialismo francese, la cui evocazione dal ’94 ad oggi ha già una sua
storia alle spalle.
104
Simona Colarizi-Marco Gervasoni, La cruna dell’ago, cit.,
Il sostenitore di questa tesi più ascoltato dai vertici del Pci-Pds tra la svolta della Bolognina e il 1992
è Paolo Flores d’Arcais (cfr. P. Flores d’Arcais, Il populismo italiano da Craxi a Berlusconi, Roma,
Donzelli, 1996)
106
C. De Fiores, Il presidente della discordia, “Democrazia e diritto”, luglio-agosto 1991, p. 228.
107
G. Amato, Repubblica presidenziale referendum propositivo, “Avanti!”, 12 dicembre 1990; Id,
Soggetti e strumenti della democrazia governante, “Mondoperaio”, febbraio 1991
108
Luciano Cavalli, La repubblica presidenziale, “Mondoperaio”, novembre 1990
109
Mario Patrono, Il messaggio Cossiga: quale repubblica? “Mondoperaio”, novembre 1991
110
Il riferimento è al fortunato libro di Jean Montaldo, Mitterrand et le quarante voleurs, Paris, Albin Michel, 1994. Per
tutta questa vicenda cfr. M. Gervasoni, François Mitterrand, cit.
105
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