Del buon uso delle istituzioni? Mitterrand presidente e la

Del buon uso delle istituzioni?
Mitterrand presidente e la sinistra italiana
Marco Gervasoni
SOMMARIO: 1. Primo antefatto: le presidenziali del ’74. – 2. Secondo antefatto: le legislative del ’78. – 3. Le grand soir? La vittoria dell’81. – 4. Le legislative
dell’86. – 5. Le presidenziali dell’88. – 6. Quasi un epilogo.
È interessante studiare come la sinistra italiana si sia posta di
fronte alla Quinta Repubblica governata da François Mitterrand,
perché, fin dal ’58, con pochissime eccezioni, questa famiglia politica
ha sempre manifestato una netta ostilità per la creatura di De Gaulle.
La vittoria di Mitterrand nell’81 sembra perciò smentire tutte le più
fosche previsioni della sinistra italiana sulla democrazia francese.
Prima di cominciare, è giusto però chiarire di quale sinistra ci occuperemo: i comunisti e i socialisti, vale a dire le principali forze politiche che, da quando Craxi ha lanciato nel ’79 la «Grande riforma»1,
assieme alla Dc discutono verso quale modello istituzionale riformare la nostra Costituzione. Ragion per cui mostreremo se e come la
presidenza Mitterrand porti con se anche una maggiore simpatia
della sinistra per il modello istituzionale della Quinta repubblica.
Mitterrand rappresenta infatti un esempio a più risvolti:
a) c’è il Mitterrand presidente, che vince grazie ad una leadership costruita a partire dalle presidenziali del ’65, passando per
1 BETTINO CRAXI, Ottava legislatura, «Avanti!», 28 settembre 1979. Il segretario socialista aveva proposto un’«alleanza riformatrice» per un vasto spettro di riforme, non
solo istituzionali. Tanto che avrebbe dovuto essere rivisto il sistema di «economia mista
[…] virtù mediana tra i mali del capitalismo selvaggio e i vizi del capitalismo burocratico» che «rischia di assommare insieme i mali dell’uno e i vizi dell’altro». Quanto all’impianto costituzionale, ha «bisogno di una verifica storica» perché anche gli «edifici
più solidi» si misurano con «il logorio del tempo». Si deve così procedere ad un «accorta revisione», in cui «il presidenzialismo può essere considerato come una superficiale fuga verso un’ipotetica Provvidenza», ma sempre meglio dell’«immobilismo» che
«è ormai diventato dannoso».
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quelle del ’74, capace di sfruttare appieno tutte le opportunità offerte dalla Cinquième;
b) c’è il Mitterrand dell’unità delle sinistre;
c) c’è il Mitterrand con il suo programma economico e sociale.
Ognuno di questi «Mitterrand» porta con sé la domanda se sia
possibile importare tale modello in Italia. Quindi:
a) se e come introdurre il semipresidenzialismo francese;
b) se e come realizzare l’unità delle sinistre;
c) se e come ispirarsi al programma economico e sociale mitterrandiano.
Per mostrare il dibattito sul modello Mitterrand ci soffermeremo soprattutto sulle due elezioni presidenziali dell’81 e dell’88 e
quasi esclusivamente sulla questione istituzionale. Prima di entrare
nel vivo del tema, è però necessario presentare l’antefatto del decennio precedente, attraverso una breve analisi di come la sinistra italiana recepisca le elezioni presidenziali del 1974 e quelle per il rinnovo dell’Assemblée nationale nel 1978.
1.
Primo antefatto: le presidenziali del ’74.
L’eccellente risultato di Mitterrand contro Valery Giscard d’Estaing nel ’74 viene accolto trionfalmente sia dal Pci che dal Psi. Per
i comunisti, Mitterrand ha sfiorato la vittoria soprattutto grazie all’alleanza con il Pcf, anche se un editoriale dell’«Unità», subito dopo
i risultati del primo turno, elogia indirettamente il sistema, sottolineando l’effetto di leadership dell’elezione presidenziale che ha permesso al candidato della gauche di raccogliere centomila in voti in
più delle liste che lo appoggiavano2. L’ostilità al sistema maggioritario si fa però palese dopo il secondo turno, quando, per il quotidiano
comunista, a far vincere Giscard è una «legge elettorale fatta apposta
per avvantaggiare» il blocco conservatore3.
Per i comunisti italiani Mitterrand non è un modello praticabile
nell’immediato: dimostra sì l’avanzata delle sinistre nella società e lo
spostamento consistente di voti, un fenomeno che si sta verificando
anche in Italia, ma nulla più. È questo il senso della dichiarazione di
Enrico Berlinguer, per il quale ad avere raccolto «il consenso della
2 AUGUSTO
3 ID.,
PANCALDI, Una forte avanzata, «L’Unità», 7 maggio 1974.
Spaccature a metà, «L’Unità», 20 maggio 1974.
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metà dei francesi» sono stati meno la leadership mitterrandiana che i
«contenuti del programma comune»4. All’indomani del voto, le conclusioni dei socialisti non divergono molto da quelle dei comunisti: la
Francia «ha acquistato una profonda coscienza di classe» e solo «le
classi in disfacimento» ormai appoggiano Giscard5.
Neppure da parte socialista si fa cenno alle istituzioni della
Quinta repubblica come elemento favorevole in quel momento alla
sinistra. Solo il Partito radicale di Marco Pannella rompe il tabù. I
radicali guardavano a Mitterrand già da prima del Congresso di Epinay, forse perché si sentono vicini a chi, come lui, dal mondo radicale
francese è partito per unificare la sinistra. Per il Pr è la leadership di
Mitterrand a fare la differenza, è il suo essere la sola «alternativa al
regime», come scrive un Pannella inviato dall’«Espresso» a seguire le
legislative del ’736. I radicali sono poi gli unici a credere che il modello Mitterrand sia importabile anche in Italia: quella specie di «bipartitismo» uscito dalle legislative del ’73, scrive Angiolo Bandinelli,
in Italia dovrebbe ispirare un’alleanza delle sinistre per sconfiggere la
Dc e costringerla all’opposizione. Peccato che i primi a non volerlo
siano proprio i comunisti7. Una previsione corretta: in quel periodo,
infatti, il dibattito sul superamento del «bipartitismo imperfetto»,
che qualche seguito aveva avuto nel decennio precedente, è passato
del tutto in secondo piano. In casa socialista si pensa che la lezione
francese, assieme a quella del referendum sul divorzio, potrebbe indurre Moro a farsi carico degli «equilibri più avanzati» richiesti dal
segretario Francesco De Martino (cioè il coinvolgimento comunista
nel governo), mentre in casa comunista si fa ben attenzione a paragonare la Dc a Giscard. V’è poi la convinzione, comune a socialisti e
comunisti, che il vento della storia soffi a sinistra e che la vittoria sia
comunque prossima.
2.
Secondo antefatto: le legislative del ’78.
Anche i militanti e gli elettori della sinistra francese sono convinti che per la vittoria non ci sia da attendere ancora molto. Per
4 Dichiarazione
di Berlinguer sul voto per l’Eliseo, «L’Unità», 21 maggio 1974.
GOZZANO, La Francia vuole cambiare, «Avanti!», 20 maggio 1974.
6 MARCO PANNELLA, Quanto vale Mitterrand, «L’Espresso», 11 marzo 1973.
7 ANGIOLO BANDINELLI, Verso il bipartitismo, «Notizie radicali», 8 marzo 1973.
5 FRANCESCO
194
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questo la rottura dell’union de la gauche, nel settembre ’77, è accolta
con sorpresa e delusione. In Italia, invece, Craxi vede la fine del programma comune con sollievo, tanto che, nel primo incontro ufficiale
con Mitterrand dopo il Midas, dichiara che il suo Psi non vuole essere «unitario», che la rottura dell’union è tutta da addebitare al Pcf,
essendo stata «calcolata» e voluta da Mosca8. Il Craxi che parla ai
cugini francesi è assai più libero di quello che si esprime in Italia,
ufficialmente ancora sulle posizioni degli «equilibri più avanzati»9.
Già l’anno precedente, intervistato dall’organo settimanale del Psf,
«L’Unitè», si era mostrato assai scettico sull’opportunità di importare
l’union de la gauche in Italia per via degli «squilibri all’interno della
sinistra». Mentre in Francia l’alternativa di sinistra sarebbe a guida
socialista, in Italia finirebbe per avvantaggiare i comunisti, «ciò che
provocherebbe problemi al paese in generale»10.
Una freddezza, quella di Craxi, subito percepita da Mitterrand,
che infatti lo ritiene quasi un equivalente italiano dell’odiato Michel
Rocard, mai troppo entusiasta dell’union de la gauche11. Al contrario
Mitterrand e Berlinguer, che intrattengono una special relationship
fin dal ’75, dopo la rottura con Marchais stringono ancor più i legami. Da questo momento, fino almeno all’82, Mitterrand e Berlinguer si giustificheranno a vicenda. Berlinguer serve a Mitterrand per
dimostrare la sua volontà di allearsi con comunisti aperti come quelli
italiani e non settari come i francesi. Mitterrand a sua volta serve a
Berlinguer per dimostrare che con i «veri» socialisti, come appunto
il leader francese, i comunisti italiani intrattengono relazioni positive,
mentre i pessimi rapporti con Craxi sarebbero solo la conseguenza
della volontà di rottura del segretario socialista12.
Anche per queste ragioni, le elezioni legislative francesi del ’78
rappresentano un brusco risveglio per il Pci, fino a quel momento
8 «Le
Monde», 4-5 settembre 1977.
COLARIZI, MARCO GERVASONI, La cruna dell’ago. Craxi, il Psi e la crisi della
Repubblica, 2ª ed., Roma-Bari, Laterza, 2006.
10 Bettino Craxi (Psi): «tous les pouvoirs sont paralysés par le dettes», «L’Unitè», 22
ottobre 1976.
11 MARCO GERVASONI, François Mitterrand una biografia politica e intellettuale, Torino, Einaudi, 2007.
12 PHILIPPE BUTON, I socialisti francesi e la questione italiana (1972-1983), in Bettino Craxi, il socialismo europeo e il sistema internazionale, a cura di Andrea Spiri, Venezia, Marsilio, 2006, pp. 121-137.
9 SIMONA
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convinto che la gauche, sebbene divisa, avrebbe vinto. Come nel ’74,
anche ora per i comunisti le cause della sconfitta della sinistra francese sono da addebitare al sistema maggioritario, che ha creato una
«bipolarizzazione», un fenomeno negativo perché porta con se «instabilità e un paese «spaccato in due»13. Ancora più chiaro l’editoriale del condirettore dell’«Unità», Claudio Petruccioli, secondo cui
la Quinta repubblica spingerebbe ad una «bipolarizzazione» con effetti illusori: «se trae dal sistema politico un vantaggio, la sinistra può
anche pagare ad esso un prezzo, con l’illusione di aver già raggiunto
i traguardi unitari non ancora del tutto consolidati»14. L’union de la
gauche ha insomma portato a un buon accordo elettorale che però
celava le differenze ancora assai forti tra elettorato comunista e
quello socialista.
Mentre per l’«Unità» il Pcf è solo in minima parte responsabile
della sconfitta della gauche, per Craxi i socialisti francesi «sono stati
colpiti alle spalle» da Marchais e «solo un miracolo può far vincere
la sinistra»15, anche se la soddisfazione è grande nel notare il sorpasso sui comunisti16. Dopo il risultato del secondo turno, persino
Claudio Signorile, leader della sinistra interna, incolpa il Pcf di avere
lavorato per la sconfitta, preso dalla «paura di governare» tipica dei
partiti eurocomunisti17. La rottura dell’union de la gauche per i socialisti è un segnale preoccupante anche in Italia: come spiega Craxi
al Congresso socialista di Torino, è il segno di prevalere di «altre logiche» (alias il peso di Mosca) e comunque di grande difficoltà del
«processo di convergenza tra ‘eurosocialismo’ e ‘eurocomunismo’»18.
Nel ’74 il modello Mitterrand di unità della sinistra era considerato eccellente, ancorché non immediatamente esportabile in Italia,
ma quattro anni dopo è una soluzione assai meno affascinante. Non
ne sono interessati i comunisti, in quel momento parte della maggioranza e convinti che manchi poco all’ingresso effettivo nel governo.
13 La
destra prevale in Francia, «L’Unità», 20 marzo 1978.
PETRUCCIOLI, Per superare il difetto di unità, «L’Unità», 21 marzo 1978.
15 «L’Avanti!», 14 marzo 1978.
16 Un voto per cambiare, «L’Avanti!», 12-13 marzo 1978.
17 «L’Avanti!», 21 marzo 1978.
18 B. CRAXI, Uscire dalla crisi. Costruire il futuro, Relazione congressuale 41 Congresso PSI, Torino, 29 marzo 1978 in Il socialismo di Craxi. Testi e interventi del Psi, a
cura di Ugo Finetti, Milano, M&B Publishing, 2003, pp. 130-131.
14 CLAUDIO
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Ancor più distaccati sono i socialisti, che non mancano di far notare
quanto sia pericoloso allearsi con i comunisti.
3.
Le grand soir? La vittoria dell’81.
Se i sondaggi precedenti le elezioni presidenziali del ’74 e le legislative del ’78 avevano aggiudicato la vittoria della sinistra, quelli
dell’81 sono assai più incerti. Ma non è solo questo a rendere le previsioni della sinistra prima del voto assai prudenti. È il clima internazionale ad essere cambiato, con l’apparizione di una «nuova destra» di Thatcher e di Reagan, con il timore di una crisi storica della
sinistra. Se nel ’74 la sinistra marciava nel senso della storia, ora questo sentiero appare assai meno luminoso, ricco d’incertezze com’è.
La divisione è ormai profonda, a Parigi come a Roma, tra i partiti del
«movimento operaio». Ancora nel ’78 molti potevano pensare ad
una ricomposizione in altre forme dell’union de la gauche. Una previsione smentita dalla campagna presidenziale di Marchais, candidato del Pcf, tutto preso ad attaccare con maggior veemenza Mitterrand invece di Giscard o Chirac. Quanto all’Italia, nel ’78 il Pci era
convinto di essere a pochi passi dalla stanza dei bottoni, mentre
nell’81 le presidenziali francesi si svolgono poco dopo la cosiddetta
«seconda svolta di Salerno» del Pci, in cui Berlinguer ha lanciato
l’«alternativa democratica» per mandare all’opposizione la Dc. Solo
che il principale alleato di questa alternativa, il Psi, non è affatto intenzionato a farne parte19.
Agli occhi dei comunisti, infatti, il Psi è già un partito infido,
perché diffonde una lettura della società falsamente modernizzante e
soprattutto propone riforme istituzionali considerate pericolose per
la democrazia20. Rispetto al ’78, il Psi è ora ufficialmente il partito
della «Grande riforma», che non ha ancora caratteri chiarissimi, ma
che certo guarda anche alla Quinta Repubblica. Non a caso lo stesso
giorno in cui l’«Unità» commenta i risultati del primo turno delle
presidenziali francesi, largo spazio è dedicato al congresso di Palermo del Psi, in cui Craxi ha cominciato la costruzione del partito
19 SILVIO
PONS, Berlinguer e la fine del comunismo, Torino, Einaudi, 2006.
CRAVERI, L’ultimo Berlinguer e la questione socialista, «Ventunesimo secolo», marzo 2002; SIMONA COLARIZI, MARCO GERVASONI, La cruna dell’ago, cit.
20 PIERO
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del leader. Una svolta, quella socialista, che il direttore dell’«Unità»,
Petruccioli, legge in termini assai preoccupati21, mentre un ampio articolo in prima pagina lascia spazio alle considerazioni dell’ex segretario De Martino, secondo cui Craxi vorrebbe imporre al partito (ma
poi anche al paese?) una «democrazia autoritaria»22.
I commentatori comunisti evidentemente ignorano (o fingono
di ignorare) che i mutamenti del socialismo francese sono stati talmente radicali da avere trasformato il Psf, già poco tempo dopo la
rifondazione di Epinay, in un partito del presidente23, mentre per il
Psi questa meta è ancora lontana24. Questo Mitterrand ad uso del
Pci, così lontano da un Craxi pericolosamente attratto dalle sirene
della leadership, è costruito dalla stampa comunista per diventare il
rappresentante francese dell’«alternativa democratica»25.
In quanto tale, il leader francese è dipinto dai comunisti italiani
come un nemico della Quinta Repubblica, quasi che egli non avesse
cambiato idea da quando, vent’anni prima, aveva accusato la Repubblica di De Gaulle di essere un «colpo di Stato permanente»26. Benché abbia fatto progredire la Francia, per l’«Unità» il principio maggioritario e il presidenzialismo hanno prodotto un sistema «autoritario» in deficit di partecipazione popolare. La vittoria di Mitterrand
invertirà le tendenza maggioritaria e presidenziale, farà ritornare la
Francia al parlamentarismo e perciò segnerà «la fine della Quinta repubblica gollista»27. Il Mitterrand per così dire «reale», in campagna
21 C.
1981.
22 De
PETRUCCIOLI, Si è voluto offrire un modello al paese?, «L’Unità», 28 aprile
Martino amareggiato: «Non capisco questa scelta di democrazia autoritaria»,
«L’Unità», 28 aprile 1981.
23 MARCO GERVASONI, François Mitterrand, cit.
24 ORESTE MASSARI, Le trasformazioni nella leadership del Psi, in Riv. it. sc. pol., n.
3, 1987, pp. 400-431; W. MERKEL, Prima e dopo Craxi. Le trasformazioni del Psi, Padova,
Liviana, 1987.
25 A. PANCALDI, Il settennato che ha rimodellato il gollismo, «L’Unità», 25 aprile
1981.
26 FRANÇOIS MITTERRAND, Le coup d’Etat permanent, Paris, Plon, 1964. Su questo
testo cfr. M. GERVASONI, François Mitterrand o dell’uscita dal bonapartismo in Napoleone
e il bonapartismo nella cultura politica italiana 1802-2005, a cura di Alceo Riosa, Milano,
Guerini & associati, 2007, pp. 303-307.
27 A. PANCALDI, Chi potrà dire ancora in Francia «Lo Stato sono io»?, «L’Unità», 29
aprile 1981. «Democrazia autoritaria» viene definita la Quinta Repubblica anche da alcuni giuristi cfr. MAURO VOLPI, La democrazia autoritaria, Bologna, Il Mulino, 1979.
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elettorale non aveva però manifestato alcuna intenzione di riformare
le istituzioni. Con lui Presidente, aveva assicurato il candidato socialista, la Repubblica non sarebbe mai ritornata ad essere «il regime
dei partiti che si sostituiscono all’Esecutivo»28.
Nonostante una certa distanza tra il Mitterrand «francese» e
quello recepito in Italia, dopo il secondo turno egli diventa un modello e la sua vittoria una conferma delle tesi comuniste. A dirlo è
Berlinguer all’indomani del voto: Mitterrand ha vinto per la sua capacità di mantenere l’unità della sinistra contro il sistema di potere
giscardiano, nonostante le polemiche con i comunisti. Essendo in
Italia la Dc l’equivalente di Giscard, Mitterrand deve insegnare alle
sinistre italiane a combattere il sistema di potere democristiano ed
aderire all’«alternativa democratica»29. Dove, dalle parole di Berlinguer, sembrerebbe che Mitterrand abbia applicato in Francia la strategia della «terza via»; un’eco della convinzione, tipica del Pci, dell’Italia come anomalia felice nell’Europa occidentale, addirittura
come laboratorio politico a cui le democrazie «normali» dovrebbero
guardare per uscire dalla loro crisi.
Per il vicedirettore di «Rinascita», Fabrizio d’Agostini, con Mitterrand vince la «società civile» a cui si appella anche l’alternativa
democratica dei comunisti e «come i comunisti italiani», la ricetta
del neo eletto è quella di un «governo nuovo della crisi», né socialdemocratica né conservatrice30. Sulla stessa linea Alfredo Reichlin
scrive che Mitterrand fa trionfare la «terza via» comunista, un progetto politico che di fronte alla crisi mondiale propone nuovi strumenti per la «socializzazione»31.
Nella visione comunista la ricerca della leadeship e della governabilità, se non conducono proprio verso l’autoritarismo, costituiscono comunque un forte indebolimento della democrazia. Per questo non si fa cenno alle peculiarità del sistema istituzionale francese:
anzi, per Petruccioli, Mitterrand avrebbe vinto indipendentemente
dagli effetti di personalizzazione indotti dall’elezione presidenziale.
28 Intervento di François Mitterrand al Club de la Presse, Europe 1, 8 settembre
1980 cit., in M. GERVASONI, François Mitterrand, cit., p. 132.
29 Un giudizio di Enrico Berlinguer, «L’Unità», 12 maggio 1981.
30 FABRIZIO D’AGOSTINI, L’effetto Mitterrand, «Rinascita», 15 maggio 1981.
31 ALFREDO REICHLIN, Si, si può. Il cambiamento nelle società moderne, «L’Unità»,
13 maggio 1981.
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Tanto è vero che gli eventi francesi smentirebbero le tesi dei «decisionisti», cioè dei socialisti craxiani32. Per questo, secondo Stefano
Rodotà, Mitterrand dovrà introdurre robuste riforme istituzionali in
senso parlamentare «per uscire dalle secche della democrazia autoritaria» della Quinta repubblica. Il discorso di Rodotà, il solo giurista
ad intervenire in questa fase, è naturalmente più complesso. Il senatore della Sinistra indipendente prevede che Mitterrand introdurrà
delle riforme nella «costituzione materiale» della Repubblica, sfruttando le «virtualità multiple» che la carta contiene in sé, come ha già
chiarito dichiarando di voler sciogliere l’Assemblea nazionale per
«ristabilire quella omogeneità tra maggioranza presidenziale e maggioranza parlamentare» considerata «la vera condizione per il corretto funzionamento» della Repubblica. Per Rodotà, Mitterrand dovrà per forza di cose introdurre la proporzionale perché il modello
del ’58 non ha «raggiunto uno degli obiettivi centrali», cioè quello di
«determinare una semplificazione dei partiti in termine di una secca
contraddizione di uno schieramento all’altro»33.
Per i comunisti, Mitterrand avrebbe quindi vinto nonostante la
Quinta Repubblica. Solo il politologo Stefano Bartolini su «Rinascita»
si sofferma sulla capacità aggregante di Mitterrand, tanto che si
chiede se la sua vittoria non debba essere considerata «più la vittoria
di un presidente socialista che quella della ‘sinistra’»34. Una conclusione a cui obtorto collo deve giungere anche l’«Unità» dopo le elezioni legislative di giugno, in cui il declino comunista non ha più le
scusanti dello scarso carisma di un Marchais improbabile candidato
all’Eliseo. Sono infatti più di un milione i voti passati dalle liste comuniste a quelle socialiste, effetto del «fattore presidenziale». Ma i dirigenti del Pci, che pure hanno cominciato dal ’79 a perdere voti e
iscritti, spiegano la drammatica crisi del Pcf con il settarismo di Marchais e non vedono le prime crepe in casa propria. Li distoglie la convinzione che la vittoria di Mitterrand sia anche e soprattutto una conferma delle tesi di Berlinguer, contro quelli di Craxi e dell’Internazio32 C.
1981.
PETRUCCIOLI, Si afflosciano le vele del moderatismo, «L’Unità», 12 maggio
33 STEFANO
RODOTÀ, Cosa potrà fare François Mitterrand nello stato di Charles
De Gaulle, «L’Unità», 12 maggio 1981.
34 STEFANO BARTOLINI, Un presidente socialista nel sistema gollista, «Rinascita», 22
maggio 1981.
200
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nale socialista. La certezza che Mitterrand sia in fondo più vicino a
Berlinguer che a Brandt, Schmidt, Gonzalez, rende insomma miope il
Pci nell’intravedere l’inizio della fine del comunismo europeo.
Per comprendere tutto ciò i comunisti dovrebbero valutare la
Quinta repubblica diversamente da una «democrazia autoritaria» e
soprattutto dovrebbero guardare in altro modo il ruolo dei socialisti,
al di là e al di qua delle Alpi. Al contrario Berlinguer, Petruccioli,
Reichlin polemizzano, pur senza nominarlo mai, con il Psi, colpevole
due volte, di non voler mettere in discussione il sistema di potere Dc
da un lato e dall’altro di inseguire le sirene della leadership e della
«semplificazione della democrazia» che, secondo i comunisti, è un
modo di affrontare la crisi rincorrendo la destra. Come scrive Berlinguer all’indomani delle legislative francesi del giugno, la vittoria di
Mitterrand è quella dell’unità della sinistra, un unità possibile in Italia «solo con le forze che si staccano dall’attuale sistema democristiano»35. Non è un caso che l’organo comunista polemizzi proprio
con il Psi, e in particolare con Claudio Martelli, accusato di essere
«in imbarazzo» per il successo di Mitterrand36. E persino chi nel Pci
non sposa posizioni antisocialiste, come Giorgio Napolitano, rimprovera a Craxi di non parlare mai di sinistra europea e rivendica i numerosi punti di convergenza tra l’Internazionale socialista e il Pci37.
L’«Unità» evoca «prudenza» e addirittura «imbarazzo» di Craxi
e di Martelli per la vittoria di Mitterrand, assieme al plauso e all’entusiasmo della minoranza Psi, di Fabrizio Cicchitto e di Franco Bassanini. È il consueto gioco comunista di dividere il Psi in socialisti
veri (gli oppositori del segretario) e in socialisti tiepidi (i craxiani).
Anche se qualcosa di vero, almeno nel senso della prudenza, è presente nei commenti socialisti. L’«Avanti!», nel coprire la campagna
elettorale francese, ha fatto rilevare come il Psf parli anche agli elettori di centro, scontando le durissime polemiche comuniste. È naturale perciò che quella di Mitterrand sia presentata come una vittoria
non della «unità delle sinistre» ma dei socialisti38. Potrebbe sembrare
35 ENRICO
BERLINGUER, Il partito del cambiamento, «Rinascita», 19 giugno 1981.
commenti, «L’unità», 12 maggio 1981.
37 GIORGIO NAPOLITANO, Le condizioni del dialogo tra eurocomunismo e socialismo
europeo, «Rinascita», 8 maggio 1981.
38 F. GOZZANO, Un successo che premia la lotta socialista, «Avanti!», 12 maggio
1981.
36 I
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201
quasi pleonastico sottolineare l’appartenenza di Mitterrand al…socialismo, ma è una risposta ai comunisti, per i quali come si è visto il
neo presidente francese sarebbe una felice anomalia nella Internazionale socialista.
Mentre per il Pci sarebbe esportabile il modello mitterrandiano
di unità delle sinistre, purché non accoppiato al presidenzialismo,
per i socialisti le distanze tra Francia e Italia sono troppo vaste.
Come scrive Mario Zagari, la Dc, partito di centro, non è per nulla
paragonabile al blocco gollista giscardiano. Quanto alle alleanze a sinistra, Mitterrand ha vinto proprio perché dopo la rottura dell’union
de la gauche è apparso agli occhi dell’elettorato francese autonomo
dai comunisti. Tra i dirigenti socialisti, Zagari è quello che coglie
maggiormente nel segno le ragioni del successo mitterrandiano: il
doppio turno, che ha portato gli elettori comunisti a scegliere per
Mitterrand, e la divisione della destra39. Anche Francesco Forte ritiene Italia e Francia troppo lontane: a Parigi l’alternanza è possibile
perché i gollisti hanno modernizzato l’apparato statale. Forte intravede poi un altro fattore a rendere ancor meno praticabile la via
francese in Italia, quella della incompatibilità internazionale di un
governo social-comunista in un paese dell’Europa occidentale40.
La prudenza del Psi nel commentare la vittoria mitterrandiana
non deve sorprendere. Difficilmente i socialisti potrebbero evocare
la praticabilità immediata del modello mitterrandiano senza provocare problemi alla Dc. Non a caso tutti i democristiani, da Flaminio
Piccoli a Giovanni Galloni, vedono in Mitterrand un socialista opposto a Craxi, come a mettere in guardia chi voglia intraprendere disegni troppo avveniristici41. I socialisti non hanno però alcuna intenzione di rompere la ritrovata alleanza con i democristiani. Da questo
punto di vista la vittoria mitterrandiana non ha alcun effetto immediato sul panorama politico italiano. Rinfocola però il progetto
craxiano di rafforzamento dell’autonomia socialista, come mostrano
gli interventi a caldo ospitati su «Mondoperaio». Che, non a caso,
polemizzano esplicitamente con la lettura comunista di Mitterrand.
39 MARIO
1981.
ZAGARI, È la svolta attesa dalla sinistra europea, «Avanti!», 13 maggio
40 FRANCESCO
41 I
FORTE, Il progresso socialista, «Avanti!», 14 maggio 1981.
commenti, «L’Unità», 12 maggio 1981.
202
LA V REPUBBLICA FRANCESE
Per Massimo Salvadori, infatti, Mitterrand ha vinto grazie all’ampio esercizio della sua leadership, «non perché il fattore K abbia
cessato la sua pericolosità, ma perché ha subito una sconfitta»42. La
crisi dei comunisti francesi appare infatti ancora più chiara all’indomani delle elezioni legislative del giugno. Di fronte a questo risultato,
le lezioni della vittoria francese per il nostro paese sono molteplici,
come spiega il direttore Federico Coen. Il Pci deve capire che «la tattica dello sfondamento basata sulla rincorsa massimalista» porta alla
sconfitta: non basta dichiararsi il «partito dalle mani pulite» per accedere al governo. Il Psi deve sapere invece «spezzare il bipolarismo
inconcludente» Dc-Pci per creare un «polo laico e socialista» capace
di attuare all’interno della sinistra il riequilibrio a favore dei socialisti43. Il modello Mitterrand di unità delle sinistre (diversa da quelle
frontiste del passato e anche dalla sua recente versione berlingueriana) sarò insomma possibile in Italia solo quando avverrà un riequilibrio del peso tra le due forze politiche.
Sul piano programmatico, la vittoria di Mitterrand riaccende il
dibattito sulle riforme istituzionali lanciato anni prima da «Mondoperaio» e fa apparire più appetibile il sistema francese44. Se Giuliano
Amato, nel ’77 e nel ’79, aveva rotto il tabù della elezione diretta del
capo dello Stato e del presidenzialismo, scarsi per il resto erano stati
i riferimenti al modello francese (lo ha invocato solo Pio Marconi)45.
Tanto che il documento della corrente riformista di Craxi al Congresso di Palermo non parlava neppure di presidenzialismo46. Anche
nei primi commenti a caldo di «Mondoperaio» il riferimento alla Costituzione della Quinta repubblica è piuttosto marginale. Passata
qualche settimana, si sentono però toni diversi, almeno all’interno
42 MASSIMO
SALVADORI, Il capolavoro politico di Mitterrand, «Mondoperaio», maggio 1981.
43 FEDERICO COEN, Dalla Francia all’Italia, «Mondoperaio», giugno 1981.
44 MARCO GERVASONI, Le insidie della modernizzazione. «Mondoperaio», la cultura
socialista e la tentazione della Seconda Repubblica in L’Italia repubblicana nella crisi degli
anni Settanta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, vol. IV. Sistema politico e istituzioni,
a cura di Gabriele De Rosa e Giancarlo Monina
45 PIO MARCONI, I partiti nella crisi delle istituzioni, «Mondoperaio», febbraio
1981.
46 Documento della corrente riformista in Novant’anni di pensiero e di azione socialista Il PSI attraverso i suoi congressi, 5 voll., a cura di Franco Pedone, Venezia, Marsilio, 1985, vol. V, pp. 499-503.
MARCO GERVASONI
203
dell’intellighentsia socialista: ad esempio per Bernardo Valli Mitterrand ha vinto grazie alle istruzioni della Quinta repubblica che lo
«proteggono»47.
A guardare con interesse al semipresidenzialismo francese sono
soprattutto Giuliano Amato e lo storico Salvatore Sechi. Con la vittoria di Mitterrand, spiega Amato, il modello gollista si afferma nella
sua solidità, capace di garantire il passaggio dell’alternanza. Il «partito del presidente» diventa centrale grazie «alle elezione popolare
del capo dello Stato» che genera e compatta un «consenso» anche
sulle elezioni parlamentari. Mitterrand «accetta la caratterizzazione
maggioritaria dell’assetto attuale e accetta che questo trovi il suo fulcro in un forte esecutivo, con un presidente che non è più l’arbitro
ma l’ispiratore e il custode dei grandi indirizzi di cui è portatore l’Esecutivo», senza per questo prevaricare il Parlamento. Con Mitterrand vincente, la sinistra deve capire che «un governo reso forte dall’autorità di un presidente eletto dal popolo e dal sostegno di una
salda maggioranza parlamentare non è in quanto tale il pilone di un
sistema autoritario»48 Ancor più esplicito Sechi, per cui «Mitterrand
ha saputo mettere nell’otre del gollismo il vino nuovo di un programmatore riformatore moderno, non ideologico». Quella di Mitterrand è la vittoria della «sintesi presidenziale» dall’aver accettato
cosi come è il sistema della Quinta repubblica, la forma del governo
presidenziale. La lezione per l’Italia è che il nostro paese dovrebbe
darsi «l’ossatura della Quinta repubblica»49.
Nessuno però, a parte Sechi, è convinto che nell’immediato si
possa importare la Quinta Repubblica in Italia. Come scrive Amato,
la sinistra francese si è liberata dal «complesso del tiranno», quella
italiana molto meno. Senza un sistema come quello della Quinta Repubblica, però, viene meno anche lo schema mitterrandiano di unità
a sinistra. A chiarirlo è Gilles Martinet, per il quale in Francia
«siamo stati favoriti dalla vittoria del gollismo» mentre in Italia con
il sistema elettorale proporzionale per i socialisti sono possibili solo
governi di coalizione50. La Francia insomma «è lontana». Talmente
lontana che un mese dopo le elezioni francesi, Berlinguer rilascia a
47 BERNARDO
VALLI, La sfida di Mitterrand, «Mondoperaio», luglio-agosto 1981.
AMATO, La prova del fuoco della Quinta Repubblica, Ivi.
49 SALVATORE SECHI, Vino nuovo nell’otre di De Gaulle, Ivi.
50 Francia chiama Europea. Intervista a Gilles Martinet e a Giorgio Ruffolo, Ivi.
48 GIULIANO
204
LA V REPUBBLICA FRANCESE
Eugenio Scalfari la poi celebre intervista sulla «degenerazione dei
partiti», in cui sferra un duro attacco ai socialisti, interessati solo «ad
accrescere il potere del loro partito nella spartizione e nella lottizzazione dello Stato». Alla domanda di Scalfari su Mitterrand, Berlinguer controbatte negando risolutamente che il leader francese abbia
vinto grazie alle istituzioni della Quinta Repubblica. Contro Craxi,
che rimanda a un riequilibrio della sinistra, Berlinguer risponde che
«Mitterrand non ha aspettato d’essere più forte del Pcf per ricercarne l’alleanza». E questo perché non vuole»escludere dal governo
del paese la classe operaia»51.
Le parole di Berlinguer pongono una pietra tombale sulla possibilità di una alleanza mitterrandiana in Italia, tanto che anche il
gruppo dirigente socialista (e non più solo gli intellettuali d’area) cominciano a muoversi autonomamente verso la via presidenziale. Non
tanto nella Conferenza di Rimini, dove il Psi acquisisce a livello programmatico la sua piena identità riformista52, quanto a partire dall’ottobre ’82, dopo un seminario programmatico svoltosi a Trevi. Da
quel momento si comincerà a parlare di elezione diretta del presidente della Repubblica. Siamo tuttavia ancora lontani dal modello
francese, perché, come spiega Giuliano Amato, nel disegno socialista
il presidente dovrebbe assumere il ruolo di «arbitro» e di «garanzia».
La riforma presidenziale fungerebbe così da «utile correttivo della
vigente forma di governo parlamentare»53. La proposta, fatta propria
da Craxi nel Comitato centrale del Psi di fine ottobre54, non convince però i fautori della Quinta Repubblica, come Gianni Baget
Bozzo, per il quale, se l’obiettivo è «una seconda repubblica», dove i
partiti non devono più avere «la preminenza politica che essi hanno
acquisto a partire dall’evento fondatore della Repubblica, l’antifascismo e la resistenza», allora si deve introdurre «una forma di governo
51 EUGENIO SCALFARI, Che cosa è la questione morale. Intervista ad Enrico Berlinguer, «La Repubblica», 28 luglio 1981.
52 Governare il cambiamento. Conferenza programmatica del Psi, Rimini 31 marzo4 aprile 1982, Roma, Quaderni de «Il Compagno», 1983. Sulle riforme istituzionali vi intervengono Federico Mancini, Enzo Cheli, Alberto Spreafico, senza che nessuno tocchi
la questione del presidenzialismo.
53 G. AMATO, Eleggere il presidente, «Mondoperaio», novembre 1982; ID., Un capo
dello Stato eletto dal popolo, «La Repubblica», 28 ottobre 1982.
54 B. CRAXI, Si può si deve fare, discorso al Comitato centrale del Psi, Roma, 29 ottobre 1982 ora in Il socialismo di Craxi. Interventi e documenti del Psi, cit., p. 209.
MARCO GERVASONI
205
presidenziale», non «il regime a responsabilità morbida» proposto
da Amato55. Anche il modello presidenziale per cosi dire morbido
spaventa però, come si vede dall’intervento di Roberto Ruffilli56
mentre la rivista di area Pci più aperta, «Laboratorio politico», nonostante il suo conclamato revisionismo, sul tema non va molto oltre
quello che scrive l’ingraiana «Democrazia e diritto»57.
Accusati da ogni parte di vocazione plebiscitaria, Craxi e i socialisti non sono interessati, almeno sul breve periodo, a cercare di imitare il modello Mitterrand, né sul piano della politica delle alleanze né
su quello istituzionale, mentre per quanto riguarda le policies, le convergenze saranno più ampie tra il governo Craxi e il monocolore socialista di Laurent Fabius, che con i primi due governi Mauroy. Tuttavia, come il segretario socialista aveva detto in parlamento, la vittoria di Mitterrand segna anche in Italia «un bisogno di cambiamento e
di rinnovamento»58. I successi del «socialismo latino» convincono
così Craxi della possibilità di una soluzione alla Mitterrand (o, più
realisticamente, alla Gonzalez), portare un socialista alla guida dell’esecutivo, in chiave però italiana, senza mutare troppo il quadro delle
alleanze precedenti – un cambiamento senza alternanza tipico della
tradizione trasformistica presente nei sistemi politici succedutisi nel
nostro paese. Tutto ciò fidando nel trend negativo dei voti della Dc e
del Pci e in quello positivo del Psi, come avverrà nelle elezioni politiche dell’83 e in parte nelle amministrative dell’8559. Prova di questo
atteggiamento è la cautela con cui Craxi, nel suo discorso della fidu-
55 GIANNI
BAGET BOZZO, I rischi di un presidenzialismo dimezzato, «Mondoperaio», dicembre 1982.
56 Roberto Ruffilli, Elezione del presidente: una semplificazione pericolosa, «Mondoperaio», maggio 1983.
57 Sulle questioni istituzionali, Antonio Baldassarre vede nelle proposte socialiste
l’incarnazione di un modello plebiscitario, per altro non applicabile in Italia (A. BALDASSARRE, Il retrobottega della democrazia, «Laboratorio politico», nn. 5/6, 1982, pp. 78111) cosi come critiche al progetto socialista sono rivolte da Stefano Rodotà e da Alberto Asor Rosa nei loro vari articoli, mentre un intero numero, il 1 del 1983, è dedicato
alla «crisi terminale delle socialdemocrazia» e a come andare oltre tale esperienza politica.
58 B. CRAXI, Pentapartito a guida repubblicana, Camera dei Deputati, 10 luglio
1981 in ID., Discorsi parlamentari 1969-1993, a cura di Gennaro Acquaviva, Roma-Bari,
Laterza, 2007, p. 87.
59 SIMONA COLARIZI, MARCO GERVASONI, La cruna dell’ago, cit.
206
LA V REPUBBLICA FRANCESE
cia nell’agosto dell’83 parla della riforma istituzionale, senza alcun
cenno al presidenzialismo o al maggioritario60.
La Commissione parlamentare per la riforma istituzionale, inaugurata dalla nuova legislatura e guidata dal liberale Bozzi, mostra infatti subito le divergenze tra i tre principali partiti61. La Dc è tendenzialmente ostile al presidenzialismo e al sistema maggioritario,
preferendo intervenire sullo sbarramento elettorale e sulla introduzione della «sfiducia costruttiva» di ispirazione tedesca. Quanto ai
socialisti in Commissione (Silvano Labriola, Salvo Andò, Gino Giugni, Giuliano Vassalli) si esprimono per un blocco del 5%, per la diminuzione del numero dei deputati, per la riforma del regolamento
della Camera. Tali proposte saranno poi presentate e discusse durante il Congresso nazionale del Psi a Verona, nel maggio 198462.
Benché non possano dirsi esattamente soluzioni presidenzialistiche,
sono accolte come autoritarie da un fuoco di fila che va da Antonio
Baldassarre a Fabio Mussi, da Renato Zangheri a Petruccioli63.
Infatti il divario tra DC e PCI sul tema delle riforme istituzionali
è assai meno ampio di quello che divide comunisti e socialisti. Al di
là del rigetto deciso della prospettiva presidenzialistica, considerata
al contempo inutile e pericolosa64 Pietro Ingrao e Luigi Berlinguer
vorrebbero rafforzare ancor più le prerogative parlamentari65.
Quanto al principio maggioritario, il Pci evoca ancora la «legge
truffa» e difende strenuamente la proporzionale66. Isolate sono al-
60 B.
CRAXI, Obiettivi del nuovo governo, «Avanti!», 7 agosto 1983; ID., Un grande
impegno di concretezza e di lavoro, «Avanti!», 10 agosto 1983.
61 PIERO SCOPPOLA, La Repubblica dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1991, pp. 439449.
62 Novant’anni di pensiero e di azione socialista, cit., vol. V, p. 661.
63 ANTONIO BALDASSARRE, L’incerto percorso di Craxi, «Rinascita», 27 aprile 1984;
FABIO MUSSI, Dove sono le sfide di un tempo? «Rinascita», 4 maggio 1984; ADALBERTO
MINUCCI, Immagine e realtà del PSI, «Rinascita» 11 maggio 1984; La soglia autoritaria.
Intervista a Renato Zangheri, «Rinascita», 11 maggio 1984; CLAUDIO PETRUCCIOLI, Nuovi
riformisti o nuovi integralisti?, «Rinascita», 18 maggio 1984.
64 Per le critiche da parte comunista alle proposte di Amato cfr. MASSIMO BRUTTI,
Cambiare le regole del gioco, «Democrazia e diritto», gennaio 1982.
65 LUIGI BERLINGUER, Riforma elettorale, non è il terreno decisivo, «Democrazia e
diritto», maggio 1984; PIETRO INGRAO, Crisi e riforma del Parlamento, «Democrazia e diritto», febbraio 1985.
66 P. SCOPPOLA, La repubblica dei partiti, cit., pp. 445-446.
MARCO GERVASONI
207
cune voci, peraltro della Sinistra indipendente, come quella di Gianfranco Pasquino67.
Gli anni del governo Craxi sono caratterizzati, come scrive già
allora Fulco Lanchester, da un «approccio gradualistico» che ha «affievolita l’iniziativa istituzionale del Psi in campo macro istituzionale»68. Ciò non impedisce, almeno all’interno dell’intellighentsia socialista, di parlare in maniera ancora più diretta che nell’81-82 di regime presidenziale: basti vedere l’attenzione a quanto proposto dal
Gruppo di Milano di Gianfranco Miglio, demonizzato invece dai comunisti69. Ma è un discutere astratto, visto che persino i più convinti
fautori del modello francese si dicono scettici riguardo le possibilità
di addivenire in tempi anche medi ad una autentica riforma. Pio Marconi non ritiene ancora maturo il passaggio a una Seconda Repubblica, preferendo riforme che non incidano sulla carta costituzionale,
come ad esempio la modifica dello scrutinio elettorale70. L’ideale per
il nostro paese, scrive invece Sechi, sarebbe il semipresidenzialismo
alla francese, con lo scrutinio maggioritario a due turni71. Ma troppo
forte è la «passione consociativa, la triste ideologia dello stare e del
votare insieme», retaggio della «cultura antifascista moderata» che
porta a pensare al sovrano come al tiranno72. Anche Lucio Colletti auspica la riforma istituzionale e il passaggio a una seconda repubblica
per sbloccare la democrazia consociativa, anche se il peso di questa
cultura è talmente forte da annebbiare tutto73.
67 Pasquino, senatore della Sinistra indipendente, ha presentato in Commissione
Bozzi una riforma elettorale che prevede un premio di maggioranza in un secondo turno
elettorale alla coalizione che ha raggiunto almeno il 40% dei voti. cfr. GIANFRANCO PASQUINO, Riforme elettorali: praticare una filosofia politica, «Democrazia e diritto», maggio 1984. Cfr. anche ID., Restituire lo scettro al principe, Bari, Laterza, 1985. La sua proposta sarà ripresa ufficialmente solo dopo la nascita del Partito democratico della Sinistra.
68 FULCO LANCHESTER, Un approccio gradualistico alla riforma istituzionale, «Mondoperaio», maggio 1985.
69 Verso una nuova Costituzione, a cura di Gianfranco Miglio, Milano, Giuffrè,
1983. cfr. C. PETRUCCIOLI, I signori del nuovo Leviatano, «Rinascita», 22 dicembre 1983;
G. MIGLIO, Conservatore è chi non decide, «Rinascita», 6 gennaio 1984.
70 P. MARCONI, Istituzioni: l’utopia e la riforma, «Mondoperaio», dicembre 1983.
71 S. SECHI, Da Salò alla repubblica presidenziale, Mondoperaio», luglio 1986.
72 ID., Perché segna il passo la riforma costituzionale, «Mondoperaio», aprile 1984.
73 LUCIO COLLETTI, I guasti della «democrazia consociativa», «Mondooperaio», luglio 1985.
208
4.
LA V REPUBBLICA FRANCESE
Le legislative dell’86.
Gli intellettuali di «Mondoperaio» invocano Craxi presidente
del Consiglio perché si faccia sentire con voce più netta, anche se
nessuno ancora preconizza, come invece da lì a poco, l’«atto di decisione» o lo «sbrego costituzionale» per sbloccare la situazione. Del
resto, negli anni del governo Craxi, l’appeal di Mitterrand è decisamente in calo rispetto ai giorni dell’euforia dell’81. Prima la svolta
«neoliberale» in politica economica e finanziaria dell’83, poi la brusca caduta di consensi del presidente e del governo, quindi la sostituzione di Mauroy con Fabius nell’84, infine nell’85 lo scandalo
Rainbow Warrior74. Alle elezioni legislative dell’anno successivo, la
gauche viene sconfitta e Mitterrand deve nominare Jacques Chirac
primo ministro, avviando così il primo caso di «coabitazione».
Già prima della sconfitta, però, i comunisti italiani avevano mostrato una forte disillusione verso Mitterrand. La crisi del presidente
e del suo governo è la conferma che non può funzionare il «bipolarismo perfetto» da qualcuno tanto desiderato per l’Italia. Dopo quattro anni di socialismo, scrive Gerardo Chiaromonte, in Francia è diventata egemone una cultura di destra, il comunismo è in grave crisi
(certo per i limiti di Marchais), e le ricette economiche neoliberali
dell’ultimo Mauroy e di Fabius sono «insufficienti». In politica
estera poi Mitterrand si sarebbe del tutto adagiato sulla politica di
Reagan. Tutto ciò dimostra la «fragilità e alla lunga l’impotenza» di
uno schieramento di governo che si basi solo sulle forze della sinistra
e che riscuote il consenso di una maggioranza risicata di cittadini.
Aveva perciò visto giusto Berlinguer, non quello della «svolta» di Salerno ma quello del compromesso storico, nel ribadire come nei momenti di crisi occorrano governi di emergenza75.
L’intervento di Chiaromonte è abbastanza significativo dello
stato di crisi non tanto della Francia e dell’Italia, quanto dei comunisti italiani, se uno degli esponenti più lucidi dell’area «migliorista»,
sempre attento ai rapporti con le socialdemocrazie e buon conoscitore della Francia, può stendere un’analisi così poco eloquente. Chiaromonte dice assai poco sulla Francia, perché quella vissuta da Mit74 MARCO
GERVASONI, François Mitterrand, cit.
CHIAROMONTE, Che cosa ci insegna il caso francese, «Rinascita», 13 lu-
75 GERARDO
glio 1985.
MARCO GERVASONI
209
terrand non è la crisi del bipolarismo, a cui comunque l’esponente comunista sa rispondere solo con una semplice riproposta del compromesso storico. E dice molto sull’Italia: nonostante in area comunista
ci si muova con maggior attenzione verso le ipotesi di riforma elettorale e di rafforzamento dell’esecutivo (ma non verso il presidenzialismo), è ancora assai forte la convinzione proporzionalista e consociativa. Non stupisce che, di fronte alle difficoltà di Mitterrand, ritorni il
mantra tardo berlingueriana del superamento della socialdemocrazia.
Persino Chiaromonte chiede ai suoi compagni di non considerare i
partiti socialisti e socialdemocratici «un’ala dello schieramento conservatore e le mosche cocchiere del neoliberismo», anche se il bilancio dei governi Mauroy e Fabius in campo economico e sociale non
può dirsi «positivo»76. L’opinione di Chiaromonte non è pero condivisa dal segretario Natta, per il quale i leader della socialdemocrazia
europea, come Mitterrand, Gonzalez, Papandreu e ovviamente Craxi,
sono ormai sono affascinati dal potere «carismatico-plebiscitario»,
tanto da inseguire la destra senza neppure riuscire a vincere77.
Infierire sulla sconfitta del Psf consente ai comunisti italiani di
minimizzare la contemporanea disastrosa debacle del Pcf. Quella
dell’86 è però una «strana sconfitta» per il partito di Mitterrand, che
rimonta rispetto alle elezioni europee dell’84 e soprattutto allarga il
distacco con il Pcf, ormai sulla strada di un’inevitabile declino. I socialisti sono diventati il partito maggioritario a sinistra, ma a nulla
serve se i comunisti italiani continuano a dirsi convinti della «crisi
delle socialdemocrazia». Solo Mario Telò descrive un partito socialista vivace, che ormai ha acquisito la «legittimità a governare»78; per
il resto i commenti comunisti sono assai più severi sul partito di
Mitterrand. Poiché i socialisti francesi hanno intrapreso la via carismatica plebiscitaria, il Psf si è svuotato, è diventato un partito «di
supporto al presidente», incapace di essere «egemone». Per questo,
inseguendo il modello conservatore di potere e la strada della «razionalizzazione produttiva», i cittadini si sono rivoltati contro un governo che faceva «l’opposto del programma sul quale era stato
76 ID.,
1986.
Per una politica di governo delle sinistre in Europa, «Rinascita», 12 aprile
77 ALESSANDRO
78 MARIO
marzo 1986.
NATTA, Il Psi di ieri e quello di oggi, Ivi.
TELÒ, Socialisti e comunisti: diverse vie all’opposizione, «Rinascita», 29
210
LA V REPUBBLICA FRANCESE
eletto»79. Mitterrand, insomma, non è più «l’erede di Jaurès e di
Blum»80.
Le elezioni dell’86 si sono svolte con la proporzionale: comprensibilmente il Pci non enfatizza la scelta francese, perché mostra
che il declino comunista non è rimediabile neppure con quel sistema
elettorale. A sottolineare il peso della proporzionale sono invece i socialisti, per bocca del vicesegretario Valdo Spini, soddisfatto della
sconfitta ridimensionata, grazie soprattutto all’introduzione del proporzionale. Non è una sorpresa perché uno dei tanti modelli di
riforma dei socialisti riguarda l’elezione diretta del presidente della
Repubblica con la proporzionale81. Una proposta che sarà presentata
ufficialmente l’anno successivo al congresso socialista di Rimini.
Craxi rilancia il vecchio slogan della «grande riforma», questa volta
con il presidenzialismo82, mentre Lelio Lagorio e Salvo Andò propongono un modello francese, che, come ha dimostrato l’86, può
convivere anche con la proporzionale83. Anche se Lagorio e Andò
guardano maggiormente verso la Francia, le loro tesi sono comunque
debitrici della versione Amato dell’82, che ora lo stesso esponente
socialista presenta come «la meno traumatica» tra quelle possibili.
Sicuramente meno traumatica del passaggio ‘di botto’ al maggioritario»84. Questo sistema, proposto da De Mita e ormai in parte anche
da Occhetto85, senza «un forte centro d’impulso e decisioni», senza
che il capo dello stato eletto direttamente dal popolo sia il garante
della «maggioranza reale esistente nel paese», insomma il maggioritario senza presidenzialismo potrebbe accentuare l’instabilità, mentre al contrario, in Francia, «l’intero esecutivo» è «rafforzato dall’investitura popolare riveduta dal presidente»86.
79 GIORGIO FANTI, Se Chirac diventa l’inquilino di Mitterrand, «Rinascita», 15
marzo 1986.
80 ID., Mitterrand-Chirac, «Rinascita», 28 marzo 1986.
81 ALBERTO STABILE, Il Pci: è una lezione, «La Repubblica», 18 marzo 1986.
82 B. CRAXI, Il nostro congresso, «Mondoperaio», marzo 1987.
83 LELIO LAGORIO, Una scelta di popolo, «Critica sociale», gennaio-febbraio 1987;
Salvo Andò, Riforme istituzionali, «Avanti!», 12 marzo 1987.
84 G. AMATO, La nostra proposta e quella di De Mita, «Mondoperaio», giugno 1987.
85 Nelle discussioni che precedono il XVIII Congresso, nel 1989, cfr. GIUSEPPE
VACCA, Il PCI tra «vecchio» e «nuovo» pensiero, «Democrazia e diritto», gennaio-aprile
1989.
86 S. ANDÒ, Riformare le istituzioni: partire dalla testa, «Mondoperaio», maggio
1989, p. 28.
211
MARCO GERVASONI
5.
Le presidenziali dell’88.
Nel frattempo avviene la riconferma di Mitterrand. Se sette anni
prima i dirigenti socialisti erano stati assai sobri nel rivendicare la vittoria del leader francese, ora Craxi interviene subito salutando nella
seconda vittoria del presidente francese «un successo dell’Europa e
del socialismo europeo»87. Ha vinto, scrive il direttore dell’«Avanti!»
Ugo Intini, un socialismo «moderno» e «aperto», l’idea di Europa
unita contro i nazionalismi, la «tolleranza» contro «l’autoritarismo».
Ha prevalso con Mitterrand una sinistra «pragmatica», con una «concezione laica, anziché salvifica, matura e concreta della politica», propria di chi ha abbandonato «massimalismo, corporativismo sindacale
e assistenzialismo burocratico»88. Dal punto di vista istituzionale, Mitterrand ha saputo adeguarsi ai cambiamenti mantenendo inalterato lo
spirito della Quinta Repubblica. Non è quindi, come credeva Berlinguer nell’81, il riformatore della istituzioni golliste ma il suo più limpido esponente, capace di sfruttare ancora meglio che sette anni
prima le istituzioni: è lui il vero continuatore di De Gaulle, mentre il
gollismo si è dimostrato incapace di regger la sfida del tempo89.
La Francia dell’88 è un modello più vicino all’Italia rispetto
all’81? Craxi è prudente: paragonata alla Francia, alla Spagna, alla
Grecia, «l’Italia sta nel mezzo, in equilibrio tra le forze progressiste e
forze conservatrici che pure stanno nella stessa maggioranza», anche
se la Dc non può essere definito un partito conservatore. Con la vittoria di Mitterrand si afferma però una nuova idea di socialismo, per
cui la battaglia non è più come un tempo per «la prevalenza di una
idea logica» ma «per condizionare uno sviluppo economico»90. Se
questo è vero, Mitterrand non è più un esempio dell’unità delle sinistre, una strategia ormai logorata dal tempo.
È stato del resto lo stesso presidente francese a promettere, in
campagna elettorale, un governo diverso, aperto alla società civile e
alle formazioni centriste. Subito dopo la vittoria, Mitterrand ha nominato primo ministro Michel Rocard, il cui governo vede al suo interno
esponenti centristi, e ha sciolto l’Assemblée nationale91. Mitterrand e
87 Con
Mitterrand voglia di nuovo, «L’Avanti!», 10 maggio 1988.
88 UGO INTINI, L’idea di un socialismo moderno e aperto, Ivi.
89 G. BAGET BOZZO, La disfatta di Chirac chiude l’era del gollismo,
90 B.
CRAXI, Oggi guardate lontano, «L’Avanti!», 17 maggio 1988.
91 M. GERVASONI, François Mitterrand, cit.
Ivi.
212
LA V REPUBBLICA FRANCESE
Rocard hanno così superato l’idea del governo delle sinistre per un sinistra-centro che l’«Avanti!» considera molto somigliante al centrosinistra del pentapartito, tanto da elogiare Rocard, a cui va il merito di
aver «rinnovato profondamente il socialismo francese», dandogli un
«volto liberale», aprendolo ai «valori progressisti del liberalismo». In
questo nuovo scenario, l’auspicio è che mentre i socialisti tengono il
timone, i comunisti aiutino a remare»92. Un ripensamento del bipolarismo che spinge addirittura a prevedere il «superamento della
Quinta repubblica» in nome del «superamento delle ideologie»93.
Fa riflettere quest’involontario nostalgia per la Quarta repubblica sull’organo di un partito che un anno prima ha rilanciato le
riforme istituzionali optando chiaramente per il modello presidenzialista francese. Ma non sorprende più di tanto, perché come si è visto,
il Psi separa lo scrutinio maggioritario, cui non è troppo favorevole,
dall’elezione diretta del presidente della Repubblica. La Francia, con
l’ouverture di Mitterrand e di Rocard, sembra confermare questa
tendenza. Quanto alle lezioni per l’Italia, l’esempio francese non
ispira tanto la riforma istituzionale, quanto quella del Psi. Mitterrand
ha saputo «levarsi al di sopra della mischia» perché il Psf è ormai da
tempo il partito del leader. In Italia invece il Psi non è ancora il partito del presidente, occorre perciò alleggerire «l’organizzazione» ed
eliminare la «reti di poteri locali»94.
Per i socialisti la Francia non è più cosi lontana come nell’81,
anche se in Italia non sono proprio al timone, visto il rinnovato protagonismo della Dc, né i comunisti sembra abbiano intenzione di remare, benché il risultato delle elezioni dell’87 possa far intravedere
uno scenario del genere. In casa comunista, infatti, gli effetti della riconferma di Mitterrand sono assai minimizzati e sono lontani i toni
di sette anni prima. Chiaromonte apprezza naturalmente la vittoria
della «difesa dei diritti individuali» ma la sinistra francese «non appare in grado di dare una risposta convincente ai più complessi problemi». Sbaglia Craxi a festeggiare e a vedere nel secondo Mitterrand l’equivalente del centro-sinisrta italiano; mentre quello di Mit92 ROBERTO VILLETTI, Rocard socialisti al timone comunisti ai remi, «Avanti!», 12
maggio 1988.
93 F. GOZZANO, Mitterrand un successo con problemi, «Avanti!», 14 giugno 1988.
94 GIOVANNI SALOMONE, Francia e Italia: il carisma del leader e i limiti del partito,
«Avanti!», 16 giugno 1988.
MARCO GERVASONI
213
terrand è un vero modello riformatore, perché i socialisti sono maggioritari, in Italia il Psi è costretto a condurre una politica centrista95.
Dove riappare la vecchia idea berlingueriana di Mitterrand «vero»
socialista, rispetto a un Craxi succube della Dc. Con la sconfitta di
Le Pen, i comunisti vedono poi nella vittoria di Mitterrand una riconferma dell’antifascismo. Come spiega Giorgio Napolitano, Le
Pen è riuscito a catalizzare voti «anche operai» e la sfida ha assunto
toni «drammatici». Tuttavia quella di Mitterrand non è semplicemente la vittoria della «democrazia» contro i pericoli autoritari. Dimostra che la sinistra francese è diventata ormai forza di governo,
che l’81 non è stata una parentesi. La lezione per l’Italia è che «raccogliere il più arco ampio di forze di sinistra» e al tempo stesso «riuscire ad andare oltre i tradizionali confini della sinistra»96.
Il governo di ouverture mette per una volta d’accordo socialisti
e comunisti. Mitterrand, scrive l’«Unità», sta facendo uscire la Francia dal «deleterio bipolarismo istituzionale»97. Altro che importare il
maggioritario francese in Italia: sono gli stessi elettori francesi a non
volere più un sistema che rende la democrazia «fragile». Su questo
tasto batte il quotidiano comunista subito dopo il risultato del primo
turno delle legislative di giugno. Il sistema maggioritario «deforma la
democrazia francese», con una «camera che non riflette le tendenze
politiche del paese reale», svaluta il Parlamento, allontana i cittadini
dalle elezioni, svilisce il ruolo della minoranza e rende la maggioranza «agli ordini degli esecutivi». Il paese è diventato così in una
«monarchia repubblicana»98. Dopo il secondo turno esce una Francia «spaccata in due» senza che né la sinistra né la destra abbiano i
numeri per governare: per cui «anche la Francia deve proporsi, per
ragioni opposte a quelle italiane» una riforma della Costituzione e
del sistema elettorale99.
Il governo di ouverture di Rocard si rivelerà in pochi mesi assai
fragile, mentre si accentuerà la competizione tra il presidente della
repubblica e il primo ministro. La funzionalità del sistema francese
95 G.
CHIAROMONTE, Se la sinistra sa governare, «Rinascita», 21 maggio 1988.
Mitterrand sulla sinistra europea. Intervista a Giorgio Napolitano,
«L’Unità», 11 maggio 1988.
97 A. PANCALDI, L’azzardo calcolato di Mitterrand, «L’Unità», 16 maggio 1988.
98 ID., Quel sistema maggioritario che deforma la democrazia francese «L’Unità», 7
giugno 1988.
99 ID., Il Presidente non ce l’ha fatta, «L’Unità», 13 giugno 1988.
96 L’effetto
214
LA V REPUBBLICA FRANCESE
comincia ad apparire quanto meno dubbia. Sarà anche per questa ragione che, in casa socialista si passa repentinamente dal modello
francese a quello statunitense, presentato al Congresso nazionale socialista di Milano nell’89100. Per sbloccare la situazione di stallo, poi,
Amato propone una raccolta di firme per «chiedere al Paese: vuoi
l’elezione diretta del presidente della Repubblica?»101. Dalle colonne
di «Mondoperaio» si scrive che «tra il modello gollista, oggi ereditato da Mitterrand, contrassegnato da una presidenza forte e da un’istituzione parlamentare debole, e il modello statunitense, nel quale la
forza centralistica della presidenza viene controbilanciata da un forte
e onnicomprensivo controllo parlamentare, il Psi si è orientato decisamente verso questo secondo»102. La linea del Psi viene mantenuta
anche nella conferenza programmatica di Rimini, l’anno successivo103. Il presidenzialismo comincia a fare breccia anche tra i postcomunisti, tanto che Massimo D’Alema apprezza «l’idea del presidenzialismo collegata ad una prospettiva di alternativa»104.
Ma è una posizione che passa in secondo piano nella cultura politica dell’ex Pci. Basta sfogliare pochi numeri dell’«Unità», per vedere come l’opinione dei dirigenti e della base, nel valutare la vicinanza di Craxi a Mitterrand, sia paradossalmente assai vicina a quella
di Pannella. Si è visto come il leader radicale fosse il primo e più antico estimatore italiano del leader francese, tanto da essersi trasferito
nell’81 in Francia per contribuire direttamente alla campagna presidenziale mitterrandiana. I radicali avevano poi ovviamente accolto
con entusiasmo la vittoria del leader francese, enfatizzando le sue
prese di posizione contro la pena di morte e per l’allargamento dei diritti civili. Non potevano saperlo, ma avevano puntato sulla sola parte
del programma mitterrandiano poi realizzata integralmente. Sul versante italiano, per Pannella il Craxi nell’81 aveva tutte le carte per essere il Mitterrand italiano e l’idillio tra Psi e Pr, da culturale qual’era
stato fino ad ora, sembrò tramutarsi anche in una possibile alleanza
politica. Otto anni dopo, Pannella nonostante tutto non si dice
troppo deluso da Mitterrand, mentre Craxi è ormai diventato per lui
100 B.
CRAXI, Un chiaro messaggio, «Avanti!», 14 maggio 1989.
capo dello Stato eletto dal popolo, «Avanti!», 17 maggio 1989.
102 ANTONIO LANDOLFI, Attualità della grande riforma, «Mondoperaio», luglio 1989.
103 Un riformismo moderno, un socialismo liberale, Tesi della Conferenza programmatica del Psi, Rimini, 22-25 marzo 1990, s.l.
104 MASSIMO D’ALEMA, Nella giusta direzione, «Critica sociale», marzo 1990.
101 Il
MARCO GERVASONI
215
l’anti Mitterrand. Il leader francese, infatti, ha costruito le sue vittoria
attraverso una vera e propria «offensiva di tolleranza e di amicizia nei
confronti del Pcf francese, due volte più forte e cento volte meno democratico del Pci; e attaccando come discriminante essenziale la sinistra e la destra, gli abusi di una informazione pubblica illiberale,
aprendo le porte di radio e televisione a tutte le componenti politiche,
anche le più nemiche, mostrando di saper affidare al rispetto e all’esaltazione delle regole democratiche e laiche l’avvenire oltre che il
presente, suo proprio e del suo partito». Insomma Mitterrand ha
mantenuto fede alla sua identità di sinistra. Al contrario Craxi, con il
suo «presidenzialismo di sapore peronista» è diventato «nemico di
tutti i tradizionali amici del Psi e intollerante aggressore di un Pci in
via di onesto e coraggioso rinnovamento. Craxi si trova costretto ad
usare in modo ormai violento e antidemocratico il potere e il sottopotere dei quali ampiamente e sproporzionatamente è divenuto proprietario»105.
6.
Quasi un epilogo.
All’inizio degli anni Novanta i rapporti tra i due partiti di sinistra hanno raggiunto il punto più basso. I dirigenti post-comunisti
nelle segrete stanze aprono ai socialisti ma il popolo di sinistra, militanti ed elettori, ritiene più che mai Craxi un pericolo per la democrazia. Tanto che gli Occhetto e i D’Alema non possono che blandire
queste immagini, assai diffuse proprio sull’«Unità», sulla stampa di
partito, nelle riviste e soprattutto nei programmi televisivi d’area106.
Quasi dieci anni dopo l’auspicio di Amato, la sinistra non ha perso il
complesso del tiranno. Il presidenzialismo, quando proposto da
Craxi, non può che essere l’equivalente di peronismo e populismo107.
Così quando il segretario socialista appoggerà Francesco Cossiga nel
suo «interventismo presidenziale» a favore, secondo le parole del
Presidente, di un «soggetto decisionale singolo e non collegiale»108, e
105 M.
PANNELLA, Bettino Craxi l’anti Mitterrand, «Il Manifesto», 16 giugno 1989.
COLARIZI, MARCO GERVASONI, La cruna dell’ago, cit.
107 Il sostenitore di questa tesi più ascoltato dai vertici del Pci-Pds tra la svolta
della Bolognina e il 1992 è Paolo Flores d’Arcais (cfr. P. FLORES D’ARCAIS, Il populismo
italiano da Craxi a Berlusconi, Roma, Donzelli, 1996)
108 C. DE FIORES, Il presidente della discordia, «Democrazia e diritto», luglio-agosto 1991.
106 SIMONA
216
LA V REPUBBLICA FRANCESE
il Pds promuove contro il Quirinale una sorta di impeachment, il
cerchio sembra chiudersi. Dopo la breve parentesi «americana», il
modello francese torna in auge tra i socialisti109, ma non è Mitterrand
ad essere preso ad esempio ma lo stesso De Gaulle. La situazione italiana, scrive Luciano Cavalli, è infatti ormai simile alla Quarta Repubblica del ’58. È venuto il momento di operare una rottura costituzionale e di uscire dalla crisi attraverso una «leadership presidenziale» che può essere incarnata da Craxi110 oppure, come proporrà
un anno dopo Mario Patrono, dallo stesso Cossiga111.
Quanto a Mitterrand, dopo la disastrosa sconfitta dei socialisti
francesi alle legislative del marzo ’93, non trova più molti sostenitori
a sinistra: prima ancora delle sue uscite sulla giovinezza vichysta,
un’opinione pubblica italiana ormai avvinta al giustizialismo segue
con attenzione la campagna di stampa contro un presidente accusato
di essere corrotto, a capo di una banda di quarante voleurs, i cui collaboratori di lunga data si suicidano nelle stanze dell’Eliseo112. A
questo punto, nell’opinione pubblica francese è l’Italia a diventare
un modello, tanto che un quotidiano come «Le Monde» auspica una
Mains propres francese i cui obiettivi sono ovviamente Mitterrand e i
socialisti, al governo ininterrottamente da dodici anni (a parte la
breve parentesi tra l’86 e l’88). Quanto all’Italia, la «rivoluzione giudiziaria» tra il ’92 e il ’93 sembra promettere un rinnovamento immediato, in cui le proposte presidenziali, anche di marca francese,
non ottengono più alcun consenso di fronte al principio maggioritario affermatosi sull’onda dei referendum Segni. Con la fine della
Prima Repubblica e poi con la morte di Mitterrand si chiude una vicenda cominciata all’inizio degli anni Settanta, anche se non finirà,
nel nostro paese, l’interesse per il semipresidenzialismo francese, la
cui evocazione dal ’94 ad oggi possiede già una sua storia alle spalle.
109 G. AMATO, Repubblica presidenziale referendum propositivo, «Avanti!», 12 dicembre 1990; ID., Soggetti e strumenti della democrazia governante, «Mondoperaio»,
febbraio 1991.
110 LUCIANO CAVALLI, La repubblica presidenziale, «Mondoperaio», novembre
1990.
111 MARIO PATRONO, Il messaggio Cossiga: quale repubblica? «Mondoperaio», novembre 1991.
112 Il riferimento è al fortunato libro di JEAN MONTALDO, Mitterrand et le quarante
voleurs, Paris, Albin Michel, 1994. Per tutta questa vicenda cfr. M. GERVASONI, François
Mitterrand, cit.