Trauma sociale, trauma relazionale e microtrauma

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Trauma sociale, trauma relazionale e microtrauma
per una differenziazione eziologica e patogenetica tra il disturbo post-traumatico da stress
(PTSD) ed il disturbo borderline di personalità (BPD)
Abstract. The author sustains, there’s the possibility to separate the concept of trauma in two
different categories, social trauma and relational trauma and also introduces the concept of
microtrauma. He makes an etiopathogenetic distinction between the post-traumatic stress disorder
(PTSD) and the borderline personality disorder (BPD) basing himself on the previous trauma’s
concept differences. The author associates a social trauma story to the PTSD and a precocious and
constant relational microtrauma experience to the BPD, considered in the relational trauma
category.Referring to this disorder, in general he deals with a power abuse undergone during the
childhood by significant figures.
Keywords. Power abuse, sexual abuse, verbal and emotional abuse, criticism, neglect, carelessness,
indifference, disdain, exaction, deterrence, Self, self-object, etiology, pathogenesis, borderline
personality disorder (BPD), borderline pathology, post-traumatic stress disorder (PTSD), trauma,
social trauma, relational trauma, microtrauma, dissociative disorders.
Per poter adeguatamente differenziare il trauma (all’interno di un contesto psicologico) in altre
categorie occorre ovviamente definirlo.
Secondo la quarta edizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV,
1994) «un fattore traumatico… implica l’esperienza personale diretta di un evento che causa o
può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica; o la presenza ad un
evento che comporta morte, lesioni o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona; o il
venire a conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte o
lesioni sopportate da un altro membro della famiglia o da altra persona con cui è in stretta
relazione».
Appare chiaro che per il DSM-IV è traumatico ciò che è violento, “oggettivo” ed eclatante e che
il trauma è tale in virtù delle conseguenze che questi eventi o situazioni producono.
Molte ipotesi suggeriscono inoltre che l’esposizione a situazioni "traumatiche" (per noi sarebbe
auspicabile definirle "potenzialmente traumatogene") siano alla base di diversi disturbi tra cui
spiccano il “disturbo post-traumatico da stress” (PTSD), il “disturbo borderline di personalità”
(BPD) e la categoria dei disturbi dissociativi.
Abbiamo analizzato le situazioni cosiddette traumatiche associate ai due primi disturbi
accorgendoci di alcune differenze sostanziali che suggeriscono anche il motivo di una
differenziazione nell'eziopatogenesi delle psicopatologie.
Dalla nostra analisi emergono dati interessanti circa tale distinzione eziologia.
Primo, il "trauma" (la conseguenza di eventi traumatogeni) legato allo sviluppo di un PTSD è,
nella maggior parte dei casi, avvenuto in un’età maggiore rispetto agli eventi a cui è stato
sottoposto chi ha poi sviluppato un disturbo borderline.
Secondo, nel trauma associato al disturbo post-traumatico, l’evento (o gli eventi) era condiviso
o potenzialmente condivisibile come una guerra (ci sono molti studi sui veterani del Vietnam),
una calamità naturale ed altro. Nel borderline invece gli eventi traumatici sembrano
strettamente custoditi e relegati all’interno di una relazione. Qui introduciamo un concetto
chiave. Nel BPD il trauma è, secondo noi, un trauma relazionale cioè che coinvolge una o
poche relazioni interpersonale, nella stragrande maggioranza dei casi con un familiare (in
senso allargato).
Non intendiamo creare falsi legami causa-effetto tra specifiche classi o tipologie di eventi che
potenzialmente possono produrre un trauma e la patologia che ne potrebbe conseguire (che in
fondo rappresenterebbero il trauma stesso).
Per entrambi i disturbi l’eziologia è sicuramente più complessa e legata a fattori multipli.
Non di poca importanza, tra ciò che è possibile osservare, è il fattore cambiamento in funzione
del contesto. Nel caso di una guerra si è costretti a modificare abitudini, modelli cognitivo-
emozionali, atteggiamenti, cioè tutta una gamma di configurazioni al fine di potersi adattare
alla nuova situazione.
Un disturbo può emergere quando si è di nuovo costretti a modificare tutto quello che già a
fatica si è dovuti “riconfigurare”, stavolta in relazione alla cessata calamità.
Ipotizziamo che gli individui che poi svilupperanno un disturbo post-traumatico, probabilmente
non hanno la possibilità di sperimentare in modo maturo (consideriamo la gravità degli eventi)
diversi «livelli di realtà» (Modell, 1990) come separati, seppur in relazione tra loro, e si trovano
a confonderli.
Questa non è una trattazione specifica sull’eziologia del PTSD ma volgiamo presentare degli
elementi che, se colti, possono aiutare il clinico a considerare più fattori nella genesi di tale
disturbo e a differenziarlo dal BPD o da altri disturbi a presunta eziologia traumatica.
Nei casi dell'organizzazione borderline di personalità il trauma sembra legato a complessi
pattern di comportamento non funzionali. Cercherò di spiegare meglio il concetto.
Molte teorie basate su casi clinici affermano che la patogenesi di questo disturbo sia
fortemente legata a situazioni traumatiche come un abuso sessuale e/o fisico (Zanarini, 1996),
abbandono (Zweig-Frank, H., Paris, J. 1991) e gravi abusi emozionali.
Finché si tratta di considerare condizioni eclatanti ed oggettive, la maggior parte dei teorici
sembra concorde.
Cosa dire di tutti quei casi in cui invece, nonostante una chiare diagnosi di BPD, il fattore
traumatogeno “oggettivo” non emerge?
Occorre, secondo noi, introdurre e definire ora il concetto di microtrauma.
Con microtrauma definiamo eventi o situazioni soggettivamente dolorosi che, se isolati e nella
maggior parte dei casi, non producono effetti significativamente negativi sul processo di
sviluppo della personalità. I microtraumi non sono traumi, ma può essere traumatica la
costanza con cui essi si ripetono.
Ad esempio un rimprovero, che spesso ha una forte valenza educativa, può essere considerato,
di per sé un microtrauma, per il fatto che produce un’esperienza soggettiva temporanea
dolorosa. Traumatogena può essere invece l’esperienza costante di tale evento soprattutto se
non motivato e inserito in un quadro relazionale non funzionale.
Kohut sostiene che «questi eventi [brutalmente traumatici] lasciano l’impronta in un numero
minore di gravi disturbi del Sé, rispetto all’atmosfera cronica dominante, creata da
atteggiamenti profondamente radicati negli oggetti-Sé» (Kohut, 1978).
Riteniamo, in accordo con quanto espresso da Heinz Kohut che un evento potenzialmente
traumatogeno eclatante, per quanto drammatico possa rivelarsi, all’interno di alcuni contesti,
potrebbe non produrre effetti così negativi.
Per un momento analizziamo cosa potrebbe accadere all’interno di una relazione in cui è
avvenuto un abuso sessuale e forse si riuscirà a capire cosa potrebbe produrre il vero danno.
Se un genitore, un insegnante o un parente, abusa di un bambino cercherà di fare in modo che
questi non divulghi la notizia per ragioni di ovvia inaccettabilità sociale, per le conseguenze
penali, ecc. Quindi utilizzerà tecniche come il ricatto, l’intimidazione, minacce, ecc. Più in
generale troviamo un quadro di abuso di potere. Secondo noi l'abuso di potere è uno dei più
importanti aspetti eziopatogenetici di patologie considerate a presunta eziologia traumatica.
In alcuni casi potrebbe essere più traumatico ciò che consegue anche un singolo evento
abusivo che l’atto in sé anche se è necessario considerare la frequente simultaneità dei vari
fattori.
In una recente puntata di un noto “talk show” televisivo, una donna di vent’otto anni portava
una storia di abuso sessuale subito da parte del nonno materno durante l’infanzia.
Emblematico è il fatto che, nonostante l’attenzione del pubblico e del conduttore fosse
indirizzata all’evento abusivo, la donna disse esplicitamente che oggi, diventata mamma,
aveva capito che i genitori non "l’abbandonavano ogni volta a casa del nonno, ma che erano
costretti a farlo per motivi di lavoro".
Emerge in tutta la sua drammaticità un vissuto soggettivo di abbandono ed una incapacità da
parte dei genitori di stare attenti alle comunicazioni non verbali della figlia.
Presumibilmente il nonno avrà usato dei comportamenti altrettanto abusivi per non far
emergere l’accaduto (verbalmente) ma c’è stato un ulteriore grave fallimento della relazione
genitori-bambino. In questo caso è impossibile scindere tra l’abuso e gli altri eventi relazionali
potenzialmente traumatogeni perché compresenti. Non sappiamo neanche se l’uno e l’altro
indipendentemente porterebbero alle stesse conseguenze. Ciò che invece sappiamo è quello
che la donna racconta e ciò su cui punta l’attenzione (il fallimento dei genitori). La donna
affermava inoltre di continuare a vedere il nonno e che l’aveva perdonato.
È possibile, ma non possiamo esserne certi, che in un sistema familiare che non funziona, il
nonno sia stato invece vissuto come l’unico che offriva attenzione alla bambina (anche se in
modo abusivo).
Questo è un solo esempio che serve ad indirizzare il nostro pensiero verso altre cause più
“nascoste” e costanti rispetto al singolo evento. Ovviamente esistono casi di abusi ripetuti, ma
il pattern relazionale, il tipo di attaccamento, ecc., risultano disfunzionali.
Sarebbe pertanto più indicato parlare in generale di abuso di potere perché se, facciamo
attenzione, è possibile notare che atteggiamenti quali il criticismo, la svalutazione, la
negligenza, il ricatto, l’indimitazione, l’uso di nomignoli offensivi, ecc., altro non sono che
modalità per controllare l’altro attraverso un processo che Melanine Klein (1946) ha chiamato
«identificazione proiettiva» e che ritroviamo quale meccanismo utilizzato dai pazienti psicotici e
borderline (Rosenfeld, H. 1987).
Un eccessivo criticismo, abusi verbali, l’indifferenza ecc. sono eventi, di per sé microtraumatici,
ma che potenzialmente, se cronoci, possono portare a conseguenze negative spesso
inaspettate come appunto una patologia grave come il disturbo borderline di personalità.
Crediamo quindi possibile connotare come evento traumatogeno la costanza della ripetizione di
tali modalità di comunicazione e atteggiamenti disfunzionali che chiameremo "ambiente
relazionale disfunzionale cronico".
Sarebbe possibile pensare che particolari stili di attaccamento (Bowlby, 1969) si evidenzino
attraverso questi comportamenti. Vogliamo comunque sottolineare che l’effetto
(comportamento) e la causa (stile di attaccamento) sono in realtà interconnessi da un sistema
di retroazione per cui sono gli atteggiamenti stessi che stabiliscono un certo stile di
attaccamento che, a sua volta, influenza il comportamento e viceversa.
Tornando alla distinzione tra eventi traumatogeni implicati nella comprensione eziologica di
PTDS (disturbo post-traumatico da stress) e di BPD ci troviamo ad operare una differenziazione
concettuale.
Distinguiamo un trauma sociale, nel senso di situazioni che coinvolgono un gruppo ampio che
può essere una comunità di riferimento od un’intera popolazione, o che sia potenzialmente
condivisibile, da un trauma relazionale nel caso di eventi o situazioni soggettivamente dolorosi
che coinvolgano una o poche relazioni interpersonali.
È ovvio che situazioni potenzialmente traumatogene di tipo sociale e relazionale possano
coesistere. Un trauma sociale che disturbi ad esempio un precario equilibrio familiare può
produrre a sua volta un trauma relazionale (secondario in ordine di tempo). A quel punto si
rintracciano entrambi ma la differenziazione si può ancora mantenere.
Dato che questo breve articolo vuole essere soltanto un’introduzione ad un lavoro più ampio che
stiamo attualmente affrontando e che con molta probabilità verrà pubblicato su questa rivista,
crediamo sia possibile interrompere qui la trattazione e ringraziare i lettori per l’attenzione.
Baranello, M. (2000)
Trauma sociale, trauma relazionale e microtrauma.
Per una differenziazione eziopatogenetica tra PTSD e BPD.
SRM Psicologia Rivista (www.psyreview.org).
Roma, 15 gennaio 2000.
Riferimenti Bibliografici
A.P.A. (1994) Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 4a ed. (DSM-IV). Masson,
Milano 1996.
Bowlby, J. (1969) Attachment and loss, 1: Attachment, Basic Books, NY. Tr. it. L’attaccamento
alla madre. Boringhieri, Torino 1972.
Klein, M. (1946) Note su alcuni meccanismi schizoidi. Tr. it. in.: Scritti 1921-1958. Boringhieri,
Torino 1978.
Kohut, H. (1978) La ricerca del Sé. Bollati Boringhieri editore, Torino 1990.
Modell, A.H. (1990) Per una teoria del trattamento psicoanalitico. Raffaello Cortina editore,
Milano 1994.
Rosenfeld, H. (1987) Comunicazione e interpretazione. Bollati Boringhieri editore, Torino 1989.
Zanarini, M.C. (1996) Role of sexual abuse in the etiology of borderline personality disorder.
American Psychiatric Press, Washington DC 1997.
Zweig-Frank, H., Paris, J. (1991) Parents’ emotional neglect and overprotection according to the
recollections of patients with borderline personality disorder. American Journal of Psychiatry, 127,
pp. 867-871.
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