315
Amadeus
ANNO XXVIII - NUMERO 2 (315) FEBBRAIO 2016 EURO 11,00 MENSILE POSTE ITALIANE SPED. IN A. P - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, LO/ MI
Il Quartetto per archi / Anniversari: Tosti / Grimaud / Puccini / Emma Dante / United Nations Orchestra
ANNO XXVIII - FEBBRAIO 2016
Il mensile della grande musica
CD1 ESCLUSIVO
Talenti italiani
Quartetto Noûs
il futuro è già qui
CD2 download
Speranza&Ciccarelli
Le Romanze di Tosti
Amadeus
Pianisti
Hélène Grimaud
Storia&Storie
Puccini critico musicale
Tendenze
Vietato annoiarsi
Quartetto Noûs
60002
9 771120
454004
numero 315 febbraio 2016
€ 11,00
2 Amadeus
Amadeus 3
T H E R O YA L O P E R A
AGORÀ
Firenze batte Napoli
A
lla fine l’accordo è stato trovato, Orchestra e Coro hanno approvato l’operazione, ma sulla vicenda
di Zubin Mehta al Maggio restano delle ambiguità. Nel suo camerino al San Carlo di Napoli,
il giorno della prova generale della Carmen che ha inaugurato la stagione, Zubin Mehta aveva
il ritaglio di un’edizione fiorentina sul caso che lo vedeva protagonista (suo malgrado) da giorni: di
fatto, Firenze lo stava demansionando. Dopo trent’anni, non sarà più direttore principale dell’Orchestra
dell’Opera di Firenze. Al suo posto, designato nel 2016 ma effettivo dal 2018, arriva Fabio Luisi come
direttore musicale. Nome apprezzato da Mehta. Il quale a sua volta è stato nominato direttore emerito a vita.
Il sindaco di Firenze Dario Nardella, che era preoccupato perché da politico conosce le regole del consenso
e sa quanto Mehta sia amato a Firenze, ha scritto un messaggio entusiasta su Facebook: «Mehta rimarrà per
sempre al Maggio». E in un comunicato l’Opera di Firenze ha parlato di «svolta storica». Peccato che Mehta
fosse già (dal 2006) direttore onorario a vita: da onorario a emerito, cosa cambia? Che ci fosse un po’ di coda
di paglia, lo dimostra il fatto che Nardella si è soffermato a lungo prima su Mehta, e poi sulla vera notizia, e
cioè che il nuovo capo dell’Opera di Firenze è Fabio Luisi. Non era facile spiegare alla città perché sia stato
demansionato uno dei pochi direttori di prima grandezza (quanti ce ne sono alla guida dei teatri italiani?).
Solo ragioni anagrafiche? A Firenze Mehta come direttore principale curava soltanto i suoi spettacoli,
mentre Luisi come direttore musicale sarà responsabile dell’intera programmazione. Questo è uno dei nodi
Come le due città si sono contese Mehta, che
resta al "suo" Maggio, lasciando il timone a Luisi
TALVOLTA AMARE QUALCUNO
SIGNIFICA LASCIARLO ANDARE
VIOLETTA VALÉRY VENERA GIMADIEVA
ALFREDO GERMONT SAIMIR PIRGU | GIORGIO GERMONT LUCA
SALSI
TRAVIATA
MUSICA GIUSEPPE
VERDI | REGIA RICHARD EYRE | DIRETTORE D’ORCHESTRA YVES ABEL
IN DIRETTA AL CINEMA IL 4 FEBBRAIO - ORE 19,45
Image by AKA (©ROH, 2015)
LA
più delicati della vicenda: Firenze ha avuto sì un grande direttore, ma, come dire, “a mezzo servizio”:
i contratti li firma di volta in volta, per ogni singolo spettacolo che lo vede coinvolto. Insomma, se ha fatto
crescere molto l’orchestra, non era coinvolto nella macchina organizzativa e artistica, e un teatro ha tutto
il diritto di trovare un ammiraglio in grado di scendere anche nella stiva, di sporcarsi (nel caso) di grasso e
di mandare avanti la nave. Mehta compirà 80 anni in aprile e, parola del sindaco, potrà dirigere a Firenze
quanto e come vorrà fino al 2023 (l’ultimo impegno lirico al momento è il previsto Don Carlo del 2017).
La nuda verità è che a Firenze si chiude l’era Mehta e si apre l’era Luisi. E Mehta, che pure ha vissuto male
questa vicenda, da uomo pragmatico, ha accettato la situazione. Chi in questa vicenda ne esce malissimo è
il sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Il quale, insieme con il vertice del San Carlo che lui presiede, aveva
mandato una lettera che in realtà era una supplica scomposta a Mehta affinché assumesse le redini del teatro.
Cominciava così: «La Città di Napoli, il Teatro di San Carlo, i Professori d’Orchestra, gli artisti del Coro,
i tersicorei, il personale tecnico, le maestranze tutte…». Il sindaco ricordava al celebre direttore
l’emozionante Tristano e Isotta con cui aveva fatto il suo debutto lirico assoluto al San Carlo. E poi: «Caro
Maestro, a lei scegliere la forma, Direttore Principale? Direttore Principale Ospite? Direttore in residence?
Direttore residente ospite?». De Magistris ha corteggiato Mehta entrando a gamba tesa nella delicata
trattativa tra il grande direttore e una città, Firenze, in cui svolge un lavoro continuativo da trent’anni.
Il sindaco nel foyer del San Carlo rispondeva a chi gli chiedeva novità sulla proposta a Mehta: «Incrociamo
le dita». Conoscerà di sicuro il codice, l’ex magistrato, ma il galateo, quello non lo conosce proprio.
Valerio Cappelli
www.rohalcinema.it
Amadeus 5
12A è il grado di censura previsto dal British Board of Film Classification per tutti gli spettacoli: tutti i minori di 12 anni devono essere accompagnati da un adulto
Grandangolo
Body Scores è un nuovo progetto del compositore Jacopo Baboni Schilingi presentato
in Francia, Cina, Giappone e questo mese negli Usa: il 3 dicembre a New York (The Spectrum)
e il 9 alla Harvard University. Racconta Baboni Schilingi: «Da anni non scrivo più su carta
da musica, tanto meno al computer. Scrivo su corpi di modelli e modelle. Scrivere a mano sulla
pelle mi obbliga a un più alto livello di concentrazione poiché non è possibile correggere.
Ho deciso di trasformare la fase di scrittura di una partitura in performance. Credo nell’autenticità
della calligrafia e Body Scores è il mio modo di affermarlo!». Body Scores è anche un libro
fotografico pubblicato dalla casa editrice francese NNO-Design. Info: innodesign.fr.
Foto di Jacopo Baboni Schilingi
Grandangolo
Il pianista russo-tedesco Igor Levit, interprete tra i più intensi e originali della sua generazione e l’artista
serba Marina Abramović, icona dell’arte contemporanea, sono stati protagonisti di “Goldberg”.
Una performance straordinaria allestita nei suggestivi, vasti spazi (più di 5.000 metri quadrati) della Wade
Thompson Drill Hall al Park Avenue Armory di New York, antica armeria costruita dai volontari di Lincoln
nel 1861 divenuta uno dei luoghi teatrali più all’avanguardia della Grande Mela.
Foto di Marco Anelli
La foto del mese
mancano (ultimo duetto Zenobia-Arsace ad esempio). Ma lo
spettacolo di Mario Martone, con le scene semplicissime, fatte
di siparietti multifunzionali, di metastorici di Ursula
La performance artist, ha adattato il suo celebre “metodo Abramović” per introdurre
il pubblico alla musica, «la più immateriale delle arti».
Depositati tutti gli effetti personali in un armadietto, dotati di cuffie antirumore,
gli spettatori si sono accomodati su sedie sdraio per un lungo periodo
di tempo prima di togliere le cuffie e ascoltare Levit eseguire le Variazioni Goldberg.
Foto di James Ewing
La foto del mese
mancano (ultimo duetto Zenobia-Arsace ad esempio). Ma lo
spettacolo di Mario Martone, con le scene semplicissime, fatte
di siparietti multifunzionali, di metastorici di Ursula
Igor Levit ha inciso per Sony Classical, un triplo cd proprio dedicato al tema “Variazioni”
nel quale oltre al capolavoro di Johann Sebastian Bach, interpreta le Diabelli di Beethoven
e le 36 Variazioni costruite dal compositore e pianista statunitense Frederic Rzewski
sul tema El pueblo unido jamás será vencido! (vedi a pag.100). In febbraio Levit sarà
in tournée negli Usa con un programma dedicato a Bach, Schubert, Beethoven e Prokov’ef e
poi in Europa per una lunga serie di concerti. Info: igorlevit.com
Foto di James Ewing
SOMMARIO
5
Agorà di Valerio Cappelli
6
Grandangolo
17 Il lettore
18
Quattro/quarti 22
IL DISCO
Il Quartetto per archi di Cesare Fertonani
Quartetto Noûs di Gregorio Moppi
30
IL DOWNLOAD
Speranza&Ciccarelli di Claudia Abbiati
33
IN SCENA
Anteprima
La critica
di Michele dall’Ongaro, Giovanni Gavazzeni, Giordano Montecchi, Giorgio Pestelli
50
Francesco Paolo Tosti: dal cenacolo dannunziano di Francavilla
al Mare alla corte della regina Vittoria, ritratto del celebre "maestro
della romanza da salotto" a cento anni dalla scomparsa
49 Appunti
50 Francesco Paolo Tosti di Giovanni Gavazzeni
54
Hélène Grimaud di Federico Capitoni
58
Storia&Storie: Puccini critico musicale 62
Emma Dante di Valerio Cappelli
66
Tendenze: vietato annoiarsi
70
United Nations Orchestra
74
Antica di Massimo Rolando Zegna
75
Musicaoggi di Paolo Petazzi
76
All’opera di Emilio Sala
77
Danza di Valentina Bonelli
78
Jazz di Franco Fayenz
di Alberto Cantù
di Luisa Sclocchis
di Edoardo Tomaselli
54
Intervista a Hélène Grimaud: Water, il suo ultimo "fluido" progetto
musicale, ora è diventato un disco. Dopo i lupi, la natura ispira
ancora la pianista francese
SOMMARIO
80 Fuoritema di Riccardo Santangelo
81 Fondazione Amadeus
82
Education di Carlo Delfrati e Pietro Dossena
84
Note di viaggio di Luigi di Fronzo
86
Mecenati di Edoardo Tomaselli
88
A tavola con Falstaff di Ambrogio Maestri
91
LIBRI
93
Lo scaffale di Paola Molfino
94
Hi Tech di Andrea Milanesi
96
News in studio di Giuseppe Scuri
99
DISCHI
109 Imperdibili di Cesare Fertonani
110 CALENDARIO
118 Addii di Oreste Bossini
122 La conversazione di Alessandro Cannavò
58
Giacomo Puccini: l'Epistolario rivela il compositore lucchese
nell'inedita veste di critico musicale riservata a familiari, amici
e collaboratori, un incredibile assieme di gusti, giudizi e intuizioni
CD 1
ANTON WEBERN
Langsamer Satz
FELIX MENDELSSOHN
Quartetto per archi n. 6 op. 80
PËTR IL'JČ ČAJKOVSKIJ
Quartetto per archi n. 3 op. 30
Quartetto Noûs
guida all’ascolto
di Vittoria Fontana
CD 2 in download
FRANCESCO PAOLO TOSTI
Romanza italiana
Ivanna Speranza, soprano
Enrica Ciccarelli, pianoforte
codice IS315EC16
Amadeus
Periodico di cultura musicale edito da Bel Vivere S.r.l.
Anno XXVIII numero 2 (315) febbraio 2016
Direttore responsabile Gaetano Santangelo
In copertina, Quartetto Noûs (Foto di Lidia Montanari)
amadeusonline.net
IL LETTORE
pordenone
ad opera di artisti sempre ai massimi
livelli di eccellenza, come confermano
gli oltre 25 anni di storia della rivista e
proprio il numero di dicembre attualmente in edicola, dedicato a Giovanni
Antonini e al “suo” Giardino Armonico. Ovviamente una programmazione
che appunto fa riferimento a interpreti
di questo calibro non si può mai improvvisare e noi, oltre ad avere praticamente chiuso il calendario dell’anno
prossimo, stiamo già lavorando ai progetti per il 2017. E saranno sorprese
più che gradite per tutti gli amanti della
grande musica!
REFLEX
Antiruggine
39a serie
I
CONCERTO DI APERTURA DOMENICA 7 FEBBRAIO
CHLOE MUN PIANOFORTE
Primo premio 60° Concorso Pianistico Internazionale
“F. Busoni” Bolzano 2015
Musiche di F. Chopin
in collaborazione con Concorso Pianistico Internazionale “F. Busoni” di Bolzano
e Associazione Musica Pura Pordenone
DOMENICA 14 FEBBRAIO
DOMENICA 28 FEBBRAIO
Musiche di Repnikov, Angelis, Buxtehude, Zubickij,
Čajkovskij, Bonakov
in collaborazione con Conservatorio di Trieste
TRIO JOY
Ana Avšič violino
Domen Hrastnik violoncello
Julija Zadravec pianoforte
LE REALTÀ
CONCERTISTICHE
DEI CONSERVATORI
E DELLE SCUOLE
DI MUSICA DEL
TRIVENETO
Auditorium
Lino Zanussi, ore 11
Centro Culturale
Casa A. Zanussi
Pordenone
Al termine di ogni
concerto verrà offerto
un aperitivo
Michele Toppo fisarmonica
Ozren Grozdanić fisarmonica
Una iniziativa
Musiche di Haydn, Brahms, Piazzolla
in collaborazione con Università di Lubiana
con il sostegno
PROVINCIA DI
PORDENONE
DOMENICA 6 MARZO
JAZZ ENSEMBLE
DEL CONSERVATORIO
DI VENEZIA
Massimo Parpagiola sax tenore e soprano
Jacopo Giacomoni sax alto
Paola Furlano voce
Arrigo Cappelletti pianoforte
Alvise Seggi contrabbasso
Raul Catalano batteria
Musiche di Andrew Hill e Arrigo Cappelletti
in collaborazione con Conservatorio di Venezia
INGRESSO LIBERO
www.centroculturapordenone.it
l Manifesto lo trovate sul sito
antiruggine.eu: «Antiruggine,
perché nel “capanon”,
luogo che useremo per dar vita
ai pensieri e alle idee,
una volta si lavorava il ferro.
Lavoro duro, materia di fuoco e terra,
che la tenacia, la passione,
l’intelligenza arriva a piegare e dar
forma. Non lasciamo la nostra mente
alla ruggine. Metti antiruggine».
Quest’idea si deve alla fervida mente
di Mario Brunello, che non regala solo
musica, ma fantasia e stimoli.
Il capanon di Brunello è un luogo
simbolo carico di significati. Si
parte dalla ruggine, che è qualcosa
che aggredisce lentamente e
inesorabilmente, ma non è una
conseguenza da imputare solo
all’invecchiamento, la ruggine
aggredisce a tutte le età. Entrare
quindi nel capanon non è solo un gesto
simbolico ma un modo di vivere. Qui
dove si forgiava il ferro e si usava il
fuoco, la forza, l’incudine, il martello…
Si deve entrare con cautela e con
rispetto perché qui ancora si lavora.
È un lavoro quello che compie il
musicista per trarre le melodie dal suo
strumento. È un lavoro lo studio del
musicologo che cerca di dare significato
e pensiero al linguaggio della musica.
È un lavoro quello di chi non forgia il
ferro ma le idee. Perché se vuoi evitare
la ruggine non devi fermarti alla
superficie delle cose. Devi battere il
ferro delle idee reso incandescente
dalla gioventù e poi forgiarlo fino
a farlo diventare oggetto, utensile,
opera d’arte. Ma per ottenere tutto ciò
ci vuole l’antiruggine. E qui occorre
molta fantasia, almeno quanta ne ha
messa Brunello nel realizzare questa
sua idea che meriterebbe di uscire da
Castelfranco Veneto e percorrere le vie
di questo Paese per dare a tutti l’idea di
libertà, che troverete varcando la soglia
del capanon. Un’idea che viene dalla
cultura, dal dialogo, dalla conoscenza.
Ecco perché mi piacerebbe che qualcuno
si prendesse l’impegno di moltiplicare
lungo la penisola i capanon dove con
la cultura si combatte la ruggine.
Attualità e qualità
da scoprire
mese dopo mese
Per un editore, com’è noto, l’abbonamento costituisce la miglior garanzia
di fedeltà di un lettore. Ecco perché,
soprattutto in questo periodo dell’anno, si moltiplicano le offerte e i lettori
più fedeli si lasciano tentare dal risparmio o da un omaggio. La nostra proposta, corredata di non pochi vantaggi, di sottoscrivere un abbonamento ad
Amadeus ha provocato una richiesta
legittima da parte di un affezionato
lettore. In sostanza egli ci dice:
Facebook 19 dicembre 2015
(...) Mi chiedo come sia possibile abbonarsi “al buio”, senza cioè sapere il
programma delle pubblicazioni e i
contenuti dei cd allegati. Sicuramente
la redazione di Amadeus decide “strada facendo” il percorso delle pubblicazioni mensili, rendendo impossibile
una programmazione anticipata delle
stesse. La mia è un’ipotesi, ma credo
verosimile. Continuerò ad aspettare il
primo del mese per vedere, con grande interesse, il contenuto del cd allegato.
Marco Tagliabue
La pronta risposta del nostro responsabile artistico Andrea Milanesi è stata chiara ed esauriente:
Abbonandosi “al buio” il lettore di
Amadeus è sicuro che ogni mese potrà trovare una registrazione inedita
Altrettanto pronta è stata la replica
di Marco:
Perfetto, allora non sarebbe possibile
– per un affezionatissimo e vecchissimo lettore – conoscere l’elenco dei
cd in programma per il 2016? So bene
che si tratta di repertorio selezionato
e interpreti di prim’ordine ma… mi basterebbe gradirne sette/otto su dodici
e l’abbonamento sarebbe assicurato!
Marco Tagliabue
L’abbonamento sarebbe assicurato.
La prova che si tratta di un lettore attento e affezionato è data dalla fitta
corrispondenza che anche in passato
si è svolta con la nostra redazione
riguardo al repertorio dei cd allegati
alla rivista. Si tratta di segnalazioni
spesso condivisibili ma solo in linea
puramente teorica, dato che quando
si calano nella realtà di un lavoro che
presenta rigidità e complessità non
comuni è proprio il caso di dire che la
musica cambia. Abbiamo più volte
affrontato questi temi nel corso dei 26
anni di vita di Amadeus e siamo quindi adeguatamente preparati a motivare le nostre scelte. Detto questo, e
sulla base della risposta di Milanesi,
risulta un po’ più difficile spiegare le
ragioni che ci impediscono di diffondere l’elenco dettagliato dei cd allegati ai prossimi numeri. Nell’intento di
fornire sempre il meglio, capita nel
corso dell’anno di dover sostituire un
cd con un altro. Talvolta si tratta di una
sostituzione definitiva, tal’altra di un
semplice rinvio: perché rinunciare a
una registrazione importante ma disponibile solo per un breve periodo
(vedi per esempio il numero di giugno
2014 con Claudio Abbado o di genna-
io 2015 con Daniel Harding, o dicembre 2015 con Il Giardino Armonico)?
Perché dar seguito a una registrazione che l’artista o i nostri responsabili
artistici ritengono inadeguata? Come
far fronte ai ritardi nella consegna di
un master?
Non è difficile immaginare che questi
spostamenti di titoli da un mese all’altro o sostituzioni provocherebbero
reazioni e lamentele da parte di molti lettori. Vi sono infine ragioni più complesse: l’attenzione con cui il nostro
lavoro di produttori di novità discografiche è seguito da chi opera in questo
settore ci ha messo di fronte, in più di
un'occasione, alla sorpresa di vederci anticipati con gli stessi titoli da nostri concorrenti: può essere un caso?
Amadeus non è un collezionabile
monografico come quelli proposti dai
quotidiani. Amadeus è un mensile di
informazione e cultura musicale e la
decisione di non anticipare le informazioni sulle nostre uscite è ampiamente
giustificata e accettata senza batter
ciglio dalla maggioranza dei nostri
lettori (praticamente tutti).
Gaetano
Santangelo
Lettere al Direttore
[email protected]
facebook.com/Amadeus.Rivista
twitter.com/AmadeusOnlineIT
Amadeus 17
[email protected]
C
Jeu de cartes
Cronaca minima
C’è musica su Marte
Repert(or)i
LA VITTORIA
DELLA METRICA
INGIURIE A
SCENA APERTA
L’INCREDIBILE
HULK
REGINA
ELISABETH
Michele dall'Ongaro
Giovanni Gavazzeni
Giordano Montecchi
Giorgio Pestelli
ome sanno i cultori della radio e della II guerra
mondiale in codice Morse tre punti e una linea
formano l’iniziale V di Victory. Tre brevi e una
lunga. Sillabe, ad esempio: la classificazione di questo
piede della metrica greca dipende dalla posizione della
sillaba lunga. Il peone quarto (una delle due sostituzioni
naturali del cretico) con la sillaba lunga all’ultimo posto
dopo le tre brevi ci ricorda come sappiamo l’attacco della
Quinta di Beethoven: Ta-ta-ta taaaaaaaaa. Certo: l’omaggio
ad Apollo qui sfugge un po’ ma questa arcinota opera del
“Divino Sordo” (copyright Mario Bortolotto) è una sorta
di peana. E qui torniamo alla V di Victory perché da canto
lirico religioso il peana diventa canto di guerra e di vittoria,
appunto. Come dire: I greci, Beethoven e gli alleati si sono
parlati a distanza senza saperlo. Che questo piede innervi
la Sinfonia in lungo e in largo tutti lo sanno. Ma questo
legame è più sottile di come a volte sembra: se perfino
un orecchio distratto riconosce “il destino che bussa alla
porta” anche nel tema del quarto movimento bruscamente
abbaiato dai corni altre apparizioni appaiono più sfumate.
Le prime due battute dell’Andante con moto, ad esempio,
hanno proprio questa scansione metrica, occultata tra
semicrome puntate. Però se cantate gli accenti sulle tre note
dei tre movimenti della prima battuta e sul battere della
seconda (do, do, lab, fa) ritrovate il motto iniziale. Non è
una citazione come nel successivo Allegro però contribuisce
a dare unità strutturale non solo per la gioia degli analisti
ma anche per l’ascoltatore occasionale che comunque
percepisce una coesione di senso e una direzionalità
drammaturgica chiara che è una delle chiavi principali per
capire il successo di questo testo sacro. Peraltro questo
metro è una “parola” comune nella tradizione: dalle
canzoni dei Gabrieli ai concerti di Mozart, dalle sinfonie di
Haydn (la 96, per dirne una) allo stesso Beethoven (dall’op.
10 n. 1 alla Appassionata) la V di Victory svetta sul fronte
della Musica con gagliarda fierezza.
18 Amadeus
4/4
4/4
I
rapporti fra direttori d’orchestra e registi sono
mutati. La messa in scena è passata dalle mani dei
compositori e/o degli editori (come al tempo di
Verdi) a quelle dei grandi direttori d’orchestra (uno
degli ultimi registi-direttori, non dotati, fu Herbert
von Karajan). Oggi si parla della Cenerentola della
Dante, del Don Giovanni di Carsen. Indicativo,
emblematico quanto successo alla Scala alla
conclusione dell’inaugurazione della stagione con la
Giovanna d’Arco: le ingiurie che la coppia registica
Moshe Leisher & Patrice Caurier (uno o entrambi
poco conta) hanno rivolto al maestro Riccardo Chailly
davanti a tutte le maestranze del teatro e ai cantanti
scavalca qualsiasi immaginazione, e meriterebbe decise
prese di distanza, se non sanzioni. A tanto si è arrivati
per la scriteriata licenza, con cui i reggitori dei teatri
bambagiano i sedicenti “registi”. Siamo al paradosso
che per seguire i capricci dei “pensatori” scenici si
diminuiscono le prove musicali. Tutti sproloquiano
della messa in scena (argomento potabile, dove possono
accedere anche i dilettanti) e pochi sono in grado di
misurare una concertazione musicale. La responsabilità
è delle bacchette, troppo spesso anestetizzate nel
proprio egotismo o rassegnate al divismo altrui, come
se la messa in scena non li riguardasse. In questo
bailamme non si sa più di chi è la colpa, e la regia
non nasce più all’interno della musica, ma sopra, di
fianco con glosse di drammaturghi a foglio paga, o
peggio, contro. Non conta più nemmeno il risultato:
i reprobi, pur sommersi da fischi, vengono scritturati
nuovamente, rampognando, si capisce, l’arretratezza del
pubblico. Nel recente passato ci sono state contestazioni
fortissime, ma alla Scala tutti hanno fatto quadrato.
Se dopo un franco successo, ai bronci e alle ripicche
si risponde con plateale, isterica scurrilità, dov’è finita
l’unicità del tempio piermarinesco?
N
ell’avvicendarsi dei nostri amori musicali ci
sono stagioni in cui siamo posseduti da questo
o quell’autore, alcuni dei quali incancellabili,
nel loro andirivieni carsico. Momenti felici di solito, di
abbandono, a volte di ebbrezza o lacrime. Schubert ad
esempio. Ultimamente, il caso mi ha fatto incrociare
tre pianisti – due immensi e il terzo molto famoso –
impegnati con la sua ultima Sonata: così dolce in si
bemolle e così tristemente postuma.
Per il primo fu un mirabolante esercizio di stile, degno
della grandezza indiscussa del pianista, maestro forse
oggi ineguagliato di articolazioni, polifonie, nitidezze, ma
anche perlage, velature, sfumature, nonché cantabilità e
lirici abbandoni. Per il secondo fu l’epifania di un’affinità
elettiva. Sublime tout court. Iperuranica persino, nella
più pura accezione platonica. E poi il terzo. Gigante,
dominatore della tastiera nel senso più atletico e muscolare
del termine. Un virtuoso rotto a tutti i Liszt e Rachmaninov
che si piega sull’esile Schubert. Capita non di rado,
ultimamente, che questi interpreti del repertorio pianistico
trascendentale dedichino le loro attenzioni proprio a
Schubert. Cos’è in lui che attira oggi certi culturisti della
tastiera? Moda? Sazietà da troppe note? Brivido estetico
della nudità francescana, come una sorta di ecologia
sonora? Oppure tentazione egolatrica di impugnarne a
modo proprio il testo? Traendo magari lava incandescente
dall’interno dei “...molto moderato”, “...con delicatezza”,
“...ma non troppo”? Nella fattispecie, fu l’ultima opzione,
purtroppo. Ne usciva uno Schubert siliconato, il cui
inizio, così adamantino e quieto, risultava animato
da un’inopinata inquietudine di rubati e narcisistici
saliscendi dinamici, laddove per ben 33 battute quel pp
iniziale dovrebbe rimanere immutato, parmenideo.
Il resto andò di conseguenza, e prepotenza, da iscrivere
nella serie «Ecco a voi il MIO Schubert».
Inquinamento, non ecologia.
P
oco più di un secolo fa nasceva Elisabeth
Schwarzkopf (il 9 dicembre 1915) e per celebrarla
Warner Classics ha prodotto un cofanetto con
trentuno cd incisi fra il 1952 e il 1974 e comprendenti
interi album di Lieder, oltre a una quantità di arie da opere
e operette, più un paio di recital dal vivo. Repertorio
classico-romantico per eccellenza, da Mozart a Richard
Strauss, quindi per lo più conosciuto, ma con molte
cose da riscoprire in una testimonianza così ampia;
la cosa che colpiva di più in quella grande artista era
lo stesso impegno, assoluto e totale, che investiva in
qualunque cosa cantasse, un’aria da eroina tragica come
una canzoncina di Natale o un Lied popolare: era lei,
intera, in ogni pagina, e qui è facile rendersene conto.
Nelle sue corde, ma anche nella bellezza luminosa e fin
negli abiti che indossava nei concerti liederistici, era
di una dignità severa e composta, quasi monumentale,
non ci fossero state grazia e amabilità ad alleggerirne
l’effetto. Incantevole quello «sciocca!» con cui redarguiva
Dorabella in Così fan tutte, quando la sorellina inclinava
ad accettare qualche vezzo amoroso; e tuttavia com’era
piena d’indulgente esperienza nell’ultima scena del
Rosenkavalier quando, voltandosi di tre quarti, porgeva la
mano da baciare alla coppia dei giovani.
Nel cofanetto c’è anche il recital dedicato a Hugo Wolf
con Furtwängler al pianoforte e registrato al Festival di
Salisburgo nel 1953: quasi un passaggio di consegne fra
il sommo direttore e la cantante nel pieno della gloria
(ma già sui quarant’anni, in una carriera ritardata dalla
guerra); si ritrovano qui, sparse a piene mani, tutte
le pietre preziose del suo stile: fra i Lieder su testi di
Goethe, da risentire subito Die Bekehrte (La convertita)
con il conturbante, misterioso esotismo dei suoi “Ralla-la”; idem per l’umorismo malignetto dei tre re magi
(“Epiphanias”), con Furtwängler che si diverte un mondo
ad accompagnare la scenetta dal pianoforte.
Amadeus 19
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Il disco Quartetti per archi
Fragile armonia
Breve fenomenologia di un genere cameristico
ideale e puro, organismo delicato e sensibile,
sfida assoluta per compositori e interpreti
di Cesare Fertonani
P
er tutto ciò che il quartetto per archi ha rappresentato – e
continua a rappresentare ancor oggi – è impossibile
sottovalutarne l’importanza nella storia della musica. Tale
importanza ha inizio nella seconda metà del Settecento grazie a
Haydn, Boccherini e Mozart e si fonda su aspetti tanto musicali
quanto sociologici e culturali. Con le sue quattro parti – due acute
(violini), una mediana (viola) e una grave (violoncello) – il
quartetto è anzitutto un organico ben equilibrato nei registri e nelle
sonorità, omogeneo nel timbro degli archi ma al contempo dal
registro molto esteso: un assetto ideale dal punto di vista tanto
contrappuntistico (il trattamento paritario dei quattro strumenti è il
presupposto essenziale della loro reciproca interazione e
integrazione) quanto armonico (la scrittura a quattro parti consente
di impiegare gli accordi in modo essenziale, senza raddoppi
superflui). D’altro canto, nel genere si scorge da subito l’immagine
sonora di una conversazione musicale: in un quartetto, per citare le
celebri parole di Goethe, «si ascoltano quattro persone ragionevoli
che s’intrattengono, si crede di trarre partito dal loro discorrere e
di conoscere i particolari tratti caratteriali degli strumenti»
(lettera a Zelter, 9 novembre 1829), e la metafora contribuisce ad
accentuare, nell’estetica del genere, il ruolo della struttura formale,
del tessuto dialogico e della relazione tra le parti.
Con raccolte capitali come l’op. 20 (1772) e l’op. 33 (1781) di Haydn
il quartetto diviene a Vienna il genere per eccellenza della musica
da camera, l’emblema stesso dello stile classico e dunque l’ideale
corrispettivo della sinfonia: per questo esso presuppone esecutori
tanto abili quanto dedicati e si rivolge a un pubblico scelto e attento
di intenditori, in grado di apprezzarne l’equilibrio e l’integrazione
delle parti, le sottigliezze della scrittura, la fantasia delle tessiture
strumentali, la trama musicale finemente lavorata e intessuta, il
tono appunto di conversazione. Nelle sue memorie (1826) il tenore
irlandese Michael Kelly, amico di Mozart e primo interprete di
Basilio e Don Curzio nelle Nozze di Figaro, racconta di una serata
in cui Haydn e Dittersdorf ai violini, Mozart alla viola e Vanhal al
violoncello eseguirono quartetti davanti a una ristretta cerchia di
ascoltatori, tra i quali Paisiello, commentando che «non si poteva
immaginare una delizia più grande o straordinaria». Il quartetto
diventa il simbolo non soltanto estetico ma anche sociale della
musica strumentale per raffinati intenditori, eseguita in privato: in
un articolo anonimo apparso sull’Allgemeine Musikalische Zeitung
(16 maggio 1810) si legge che «è impossibile odiare qualcuno con
cui si è fatta musica seriamente e coloro che in qualche stagione
invernale si sono liberamente uniti per suonare quartetti stringono
amicizia per il resto della loro vita».
Da allora sino a oggi il prestigio estetico del quartetto per archi
non è mai venuto meno. Quando un autore scrive un quartetto non
compone un pezzo qualunque, ma s’impegna in una prova
decisiva sulla base della quale – egli lo sa bene – la critica e il
22 Amadeus
pubblico più competente misurerà il suo talento e la sua arte. Nella
sinfonia un compositore può sfruttare le risorse di timbro e di
colore date dalla varietà degli strumenti dell’orchestra, nel
concerto il potenziale drammatico del rapporto tra l’individuo
(il solista) e la società che lo circonda (l’orchestra); nel quartetto,
invece, dovrà invece concentrarsi piuttosto sulla struttura formale
e sulla logica musicale in quanto tali.
Se fino a un certo momento a eseguire queste musiche negli
ambienti aristocratici e borghesi possono esserci anche
appassionati dilettanti, nell’Ottocento iniziano a formarsi quartetti
d’archi di professionisti, come quelli di Ignaz Schuppanzigh –
amico di Beethoven e Schubert – a Vienna o
di Pierre Baillot a Parigi, e la musica da essi eseguita entra nei
programmi dei concerti pubblici.
unQUARTETTOsecondoBRECHT
Sotto i verdi alberi del pepe
i musicisti battono il marciapiede, in coppia
con gli scribacchini. Bach
ha un quartetto battonesco nel taschino. Dante dimena
il deretano magro.
Bertolt Brecht
Da Hollywoodelegien 4, in Poesie II (1934-1956),
Torino, Einaudi, 2005, pag. 383
(traduzione di Roberto Fertonani)
Nella prima metà del secolo la complessità compositiva e le
crescenti difficoltà tecniche rendono infatti questo genere sempre
più inaccessibile alla maggior parte dei dilettanti: punti di svolta al
riguardo sono tanto la diffusione dei quatuors brillants (in cui
prevale il virtuosismo solistico del primo violino) di autori come
Viotti, Rode o lo stesso Baillot quanto i tre Quartetti op. 59
(1805-06) di Beethoven, dedicati all’ambasciatore russo a Vienna,
Andrej Rasumovskij, e poi dai Quartetti D 804, D 810 e D 887
(1824-26) di Schubert, con i quali l’autore affermò di volersi
spianare «la via verso la grande sinfonia» (lettera a Josef
Kupelwieser, 31 marzo 1824). Proprio l’ingresso della musica da
camera nelle stagioni dei concerti pubblici segna una differenza di
ruolo sempre più marcata tra chi fa musica e chi l’ascolta: una
platea di intenditori paga per apprezzare le adeguate esecuzioni di
abili professionisti.
L’intreccio di aspetti musicali e sociologici si coglie nel proliferare
in tutta Europa di formazioni professionali come i Quartetti
Hellmesberger (1849), Armingaud (1855) e Joachim (1869) nonché
di associazioni di musica da camera, come la London Quartet
Society di Londra (1846) e le Società del Quartetto fondate in Italia
a Firenze (1861), Napoli (1862) e Milano (1864). D’altro canto
questo spostamento d’accento sulla dimensione pubblica di un
Amadeus 23
genere che aveva avuto origine nella sfera privata dei palazzi
aristocratici non pregiudicò affatto il tono intimo e raccolto né
tanto meno la diffusione del quartetto tra la borghesia colta, ceto
portatore della musica da camera dell’Ottocento. Si pensi alla
cerchia degli amici di Brahms, che dedica i suoi quartetti per archi
a due illustri amici medici: il dittico dell’op. 51 (1873) al chirurgo
– pianista e violinista –Theodor Billroth e l’op. 67 (1876) al
fisiologo – e violoncellista – Theodor W. Engelmann.
Sul piano della storia compositiva entro il 1800 prevale il quartetto
di tradizione classica, alla cui definizione dopo Haydn e Mozart –
da ricordare soprattutto i sei lavori significativamente dedicati
proprio a Haydn nel 1785 – concorre Beethoven con l’op. 18
(1798-1800). Sarà appunto nel solco di questa tradizione che
tenderà a collocarsi, salvo eccezioni di idiosincratica originalità
come quella dei sei Quartetti (1814-37) di Cherubini, lo sviluppo
successivo del genere. Se Beethoven è fonte e origine della musica
tedesca – e non solo – nell’Ottocento, la sua eredità è condivisa e
al contempo ferocemente contesa dai compositori delle
generazioni romantiche, tra loro diversi per idee e aspirazioni. La
disputa sull’eredità riguarda tanto l’estetica e lo stile quanto il
ruolo del compositore nella società e la ricchezza straordinaria
della musica di Beethoven rende possibili, attraverso la lente
deformante di forzature unilaterali di natura tanto estetica quanto
ideologica, interpretazioni molteplici e perfino di segno opposto:
lo testimonia lo scontro, nella seconda metà del secolo, tra i
“neotedeschi” (capeggiati da Liszt e Wagner) favorevoli alle novità
della musica a programma, del poema sinfonico e del dramma
musicale, e i “classicisti” (che riconoscevano in Brahms il loro
caposcuola) propensi a rivendicare piuttosto la validità dei generi
e delle forme della tradizione.
In realtà lo scenario è molto più articolato e sfumato di quanto
non facciano intendere queste contrapposizioni, tra le quali si
delineano non a caso punti di convergenza, contatto, intersezione
o sovrapposizione, ma è indubbio che i compositori volti a
perseguire l’ideale di una «musica dell’avvenire», da Berlioz a
Liszt e Wagner e poi sino a Bruckner, Mahler e Richard Strauss,
si disinteressano del quartetto, coltivato invece e sviluppato
dagli autori che intrattengono, sia pure a vario titolo, un rapporto
fiduciario e dialettico con le forme classiche: Mendelssohn,
Schumann, Brahms, Čajkovskij, Dvořák. Del resto il ruolo stesso
di Beethoven nel quartetto è molto diverso da quello che egli
esercita nella sinfonia, dove l’ombra lunga – e opprimente – delle
sue opere si estenderà sino alla fine del secolo. Gli ultimi
Quartetti op. 127, op.130-133 e op.135 (1825-26), oggi considerati
tra i vertici assoluti della musica occidentale, non ebbero quasi
alcuna ricaduta sui compositori delle generazioni romantiche – a
eccezione del giovane Mendelssohn dell’ op. 12 (1829) e dell’op.
13 (1827, pubblicato nel 1830) – a causa della proiezione
precorritrice e visionaria che li rendeva a malapena comprensibili
ai contemporanei quanto a complessità ed estrema sperimentazione
nella forma, nella struttura armonica e nel caleidoscopico
accostamento di differenti tecniche di scrittura (tra le quali
spiccano il contrappunto e la variazione). Un giudizio come
quello espresso da Niccolò Paganini, che pure si disse desideroso di
suonare questi ultimi quartetti, «detta musica è molto stravagante»
(lettera a Luigi Guglielmo Germi, 11 giugno 1828), era senza dubbio
condiviso, non senza imbarazzo, da molti contemporanei.
Il canone del quartetto nell’Ottocento si costruisce così intorno
a Haydn, Mozart, al Beethoven dell’ op. 18 e dell’op. 59 e quindi
ai capolavori in cui gli archetipi classici sono ripensati in
funzione di una sintesi tra i processi di elaborazione tematica
loro connaturati e le istanze propriamente romantiche del Lied
ohne Worte, del frammento poetico, della variazione di carattere
e dell’introspezione soggettiva: soprattutto la terna dell’op. 44
(1837-39) e l’op. 80 (1847) di Mendelssohn e la terna dell’op. 41
(1842) di Schumann. Il codice genetico del quartetto per archi
rivela insomma un legame più tenace con la tradizione classica
rispetto al trio, al quartetto e al quintetto con pianoforte, tutti di
più immediata connotazione ottocentesca. D’altronde, come si
diceva, il prestigio estetico del genere non conosce flessioni.
Per un giovane compositore fin de siècle il quartetto può essere
un eloquente biglietto da visita, come accade per Debussy (1893)
e poi per Ravel (1903), mentre il riflesso del profondo rapporto
di Schönberg e dei suoi maggiori allievi, Berg e Webern, con
la grande tradizione classica si coglie tra l’altro nella centralità
che il genere ha nella loro produzione così come nei cataloghi
di autori tra loro molto distanti come Bartók, Šostakovič,
Villa-Lobos, Milhaud e Hindemith.
Nel Novecento il significato simbolico del quartetto come
quintessenza della musica colta occidentale è stato spesso utilizzato
nella letteratura e nel cinema. Non sorprende che nella sua critica
politica e ideologica a un’arte commerciale asservita alla logica
capitalistica del profitto, Bertolt Brecht si prenda gioco di quanto
possa esservi di più nobile in musica, rendendolo oggetto nella
quarta delle Hollywoodelegien (1942, vedi box a pag.21) di un
graffiante gioco di parole: invece di «Streichquartett» («quartetto
d’archi») Brecht usa infatti il neologismo «Strichquartett»
(«quartetto battonesco», Strich significa in tedesco
“prostituzione”). D’altro canto l’intrigante campo di relazioni
affettive e umane che stringe tra loro i membri di un quartetto
professionale in una sorta di matrimonio a quattro ha offerto più
volte materia alla fiction di romanzi e film. Qualcuno forse
ricorderà le pagine del Quartetto Rosendorf (The Rosendorf
Quartet, 1987) di Nathan Shaham o di Una musica costante (An
Equal Music, 1999) di Vikram Seth oppure le immagini e i suoni
del Quartetto Basileus (1982) di Fabio Carpi o del recente Una
fragile armonia (A Late Quartet, 2012) di Yaron Zilberman, con
Philip Seymour Hoffman nei panni di un tormentato, affascinante
secondo violino alla ricerca di se stesso. 
Quando il cinema racconta la musica: due scene del film Una fragile
armonia, diretto nel 2012 del regista Yaron Zilberman; a interpretare
un immaginario Quartetto al lavoro sull'op. 131 di Beethoven: Philip
Seymour Hoffman, Christopher Walken, Catherine Keener e Mark Ivanir
24 Amadeus
Amadeus 25
Il disco Quartetto Noûs
IDENTITÀ
collettiva
Premi, consensi, concerti: tutti parlano di loro.
Protagonisti del nostro cd sono quattro musicisti italiani
sensibili e appassionati, eredi di una storia importante
di Gregorio Moppi
26 Amadeus
P
ropizio l’anno appena trascorso per il Noûs, giovane quartetto
d’archi con le carte in regola per far parlare di sé. Festeggia
adesso cinque anni d’attività e due medaglie prestigiose che
gli sono state appuntate sul petto pochi mesi fa: il premio “Arthur
Rubinstein - Una vita nella musica” conferito dalla Fenice di
Venezia e il "Piero Farulli" assegnato dai critici musicali italiani,
nell’ambito dei premi “Abbiati”, alla migliore formazione
cameristica emergente. Il Noûs sono Tiziano Baviera e Alberto
Franchin, violini, Sara Dambruoso, viola, Tommaso Tesini,
violoncello. Protagonisti del cd del mese con il Langsamer Satz di
Anton Webern, il Quartetto op. 80 di Mendelssohn, il Quartetto op.
30 di Čajkovskij. «Nell’interpretare queste pagine ci ha conquistato
la loro profondità e la vivezza espressiva che vi emerge. Abbiamo
stabilito di inserirle nello stesso disco per sottolineare come opere
di compositori e periodi diversi, differenti per linguaggio,
tradizione e contesto, possano trasmettere in chi le ascolta emozioni
simili», spiegano a una voce. E così avviene per il resto della
conversazione: ciascuno parla come portavoce degli altri, cosicché
a esprimersi è il Noûs in quanto identità collettiva, non i singoli
componenti (tra l’altro Franchin e Dambruoso sono sposati).
Come, quando si è formato il Quartetto?
«Inizio 2011, al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano
dove ognuno di noi si trovava separatamente per perfezionarsi.
Proveniamo da città differenti (Bologna, Roma, Palermo) e
avevamo già avuto l’opportunità di vivere esperienze cameristiche,
orchestrali e di insegnamento. Però negli anni abbiamo maturato la
consapevolezza di quale fosse realmente la nostra passione, la
nostra più grande ambizione, ovvero suonare in un quartetto
d’archi. Appena cominciate le nostre avventure luganesi, abbiamo
sentito il bisogno di realizzare questo sogno: tra i corridoi del
Conservatorio ci siamo conosciuti e da subito abbiamo percepito in
ognuno di noi l’intenzione di far nascere e portare avanti questo
progetto con la massima dedizione».
Nome singolare, Noûs. Perché questa scelta?
«Volevamo un termine che riassumesse quelli che per noi sono
dei concetti indispensabili e intrinseci del suonare in quartetto.
Perciò abbiamo optato per il termine greco Noûs inteso da
Anassagora come l’intelletto divino che dà ordine al caos e
produce bellezza. Il suo significato è mente e dunque razionalità,
ma anche ispirazione, capacità creativa».
Quali incontri hanno determinato la vostra crescita artistica?
«Il primo, decisivo, con il Quartetto di Cremona all’Accademia
Amadeus 27
“Stauffer” dove abbiamo approfondito tutti gli aspetti legati al
suonare in quartetto e affrontato alcune pietre miliari del repertorio.
In seguito ci siamo perfezionati con Rainer Schmidt del Quartetto
Hagen presso la Musik Akademie di Basilea e attualmente
frequentiamo la Musikhochschule di Lubecca nella classe di Heime
Müller (Quartetto Artemis). Abbiamo inoltre la fortuna di poter
studiare con Günter Pichler, del Quartetto Alban Berg, all’Istituto
superiore di musica da camera “Reina Sofia” di Madrid.
Frequentare grandi quartettisti è per noi fonte di riflessione, stimolo
intellettuale, spinta all’approfondimento, come d’altronde il potersi
confrontare con l’esperienza degli altri giovani quartetti».
Traguardi di cui andate fieri, oltre ai due premi ricevuti nel 2015?
«Per noi i traguardi sono in realtà tappe di un continuo percorso di
crescita da cui ripartire per andare avanti. Comunque ricordiamo
tuttora l’emozione delle prime volte in stagioni come quelle della
Società del Quartetto a Milano, del Bologna Festival, dei Concerti
del Quirinale, della Gog di Genova, di Musica Insieme a Bologna.
Quegli stessi palcoscenici su cui in passato avevamo potuto
ammirare i più grandi artisti del circuito internazionale».
28 Amadeus
Come organizzate il vostro lavoro?
«Portare avanti un progetto come quello di un quartetto d’archi
comporta, oltre che una notevole passione, anche una ferrea
disciplina e molta costanza. Consapevoli di ciò, abbiamo deciso
di trasferirci tutti e quattro a Como così da poter programmare il
nostro lavoro e le prove nel modo più pratico. Proviamo quattrocinque ore quasi tutti i giorni, il che ci permette di approfondire
ogni aspetto musicale e di crearci un’idea comune sia di quel
che interpretiamo, sia dell’attività organizzativa che sta dietro a
ogni concerto. Indispensabile è un’equa suddivisione dei
compiti. Quindi, come in una società ben strutturata, c’è chi si
occupa degli aspetti economici, chi delle pubbliche relazioni,
chi della pianificazione delle prove e dei viaggi o dell’editing di
un disco. Così ciascuno ha piena cognizione di quanto sia
necessario nel gruppo: ciò contribuisce a mantenere saldo
l’equilibrio creato negli anni».
Quali difficoltà deve superare un quartetto per raggiungere
la perfetta armonia?
«Tante, specie nei primi anni. La cosa più complicata è trovare
quattro persone che hanno intenti comuni e la volontà di
intraprendere questa avventura. Noi siamo fortunati, perché
legatissimi, e questo ci consente di affrontare con coraggio i
momenti duri. Messi insieme i partner, altre difficoltà nascono
poi dal fatto che all’inizio nessuno ti conosce, e trovare concerti
non è facile. Ricordiamo le centinaia di proposte inviate via mail
o avanzate per telefono a cui seguivano solo pochissime risposte,
spesso pure negative. E come dimenticare le nostre prime
esibizioni all’interno di hotel o per improbabili convegni? Né va
sottovalutato l’aspetto economico, dato che nei primi tempi sono
più le spese legate ai viaggi, alle lezioni, all’acquisto degli
strumenti e alla loro manutenzione che i guadagni, perciò alle
volte può essere utile accettare altre proposte di lavoro che
permettano di portare avanti la propria passione senza però
perdere di vista gli obiettivi del quartetto. Ecco allora che diventa
fondamentale il momento in cui al quartetto si affianca la figura
di un agente, e noi ora abbiamo Vera Tardiani».
Circoscrivete il vostro repertorio...
«Il repertorio per quartetto è così vasto che non basterebbe una
vita per studiarlo tutto. Comunque, fin dall’inizio, il nostro
pensiero non è stato quello di specializzarci in qualcosa
tralasciando il resto, bensì di affrontare ogni linguaggio, partendo
chiaramente dai classici, Haydn e Mozart, fino ad arrivare alla
contemporaneità. Probabilmente le opere che più ci conquistano
sono quelle di Beethoven, anche se non ce la sentiamo di
affermare di avere precise preferenze comuni».
Cos’è, a vostro giudizio, che rende riconoscibile il Noûs rispetto
a un altro quartetto?
«Fare musica per noi significa comunicare ed emozionare.
Questo è possibile soltanto se si comprende a fondo il linguaggio
di ogni opera filtrandolo poi attraverso il cuore. Inoltre crediamo
che la storia artistica e musicale dell’Italia nei secoli sia parte
integrante del nostro dna e che dunque possa trasparire dalle
nostre interpretazioni».
Progetti per quest’anno?
«Recital in Inghilterra, Germania, Francia e Svizzera, una
tournée in Cina e una lunga serie di appuntamenti promossi dal
Cidim in lungo e in largo per la penisola». 
Amadeus 29
Il download Speranza&Ciccarelli
DOLCI
malinconie
Un Tosti al femminile, nato dall'incontro tra due artiste
alla ricerca della sua anima più italiana e popolare
di Claudia Abbiati
N
el 2016 si celebra il centenario dalla
scomparsa di Francesco Paolo
Tosti, compositore nato a Ortona
nel 1846, con studi al Conservatorio di San
Pietro a Majella di Napoli. Ebbe una
luminosa carriera come tenore che gli aprì
le porte dei salotti di Roma e, in seguito,
della corte della Regina Vittoria, in cui fu
maestro di canto per più di trent’anni. Tosti
ci ha lasciato un corpus di più di 500
romanze per voce e pianoforte, di cui il
soprano argentino di origini italiane Ivanna
Speranza e la pianista Enrica Ciccarelli
propongono una selezione “al femminile”
con l’obiettivo di mantenere la radice
“popolare” di questi brani valorizzandone
la scrittura eminentemente italiana.
Come vi siete conosciute e come è iniziata
la vostra collaborazione come duo? Avete
già collaborato in passato oppure questa è
la vostra prima produzione insieme?
E.C.: «Ci siamo incontrate un paio di anni
fa, complice Angela Fiore della casa
30 Amadeus
cd 2 in download
FRANCESCO PAOLO TOSTI
Romanza italiana
Ivanna Speranza, soprano
Enrica Ciccarelli, pianoforte
accedere al sito amadeusonline.net
e inserire il codice
IS315EC16
discografica SFEM Classics che ha
pubblicato i nostri precedenti cd singoli.
Da quel momento è nata un’amicizia e il
desiderio di fare musica insieme, su un
progetto molto italiano».
Francesco Paolo Tosti è celebre per il suo
vasto corpus di romanze: quali sono le
caratteristiche di questo repertorio?
I.S.: «Tosti ha fatto della romanza da salotto
un genere riconosciuto in tutta Europa e ci
sono due sostantivi che accosterei al grande
patrimonio che ci ha lasciato: raffinatezza e
magia. Sono squisite, di una bellezza
indistruttibile e, come gli scriveva Ruggero
Leoncavallo in una lettera del 1893, “quelle
canzoni resteranno a commuovere altri cuori
perché sono la vera espressione della tua
anima”. Anche oggi, in un momento
particolare per la vita artistica in generale, è a
mio avviso un repertorio molto attuale e
soprattutto da rivalutare e nobilitare, affinché
con la Musica si possa sempre più trascinare
l’ascoltatore in un “mondo di malinconie e
dolcezze dove si compiono i migliori viaggi”,
come ebbe a scrivere di Tosti la grande
scrittrice Matilde Serao».
Come avete selezionato le Romanze
che sono entrate a far parte di questo cd?
I.S.: «Le romanze sono state selezionate
prevalentemente in base alla mia vocalità,
alla lingua – perché volevamo fare un album
tutto italiano – e cercando di abbracciare un
periodo quanto più ampio possibile
all’interno della sua produzione. Ho
selezionato 20 brani all’interno dei 9 primi
cicli editi da Ricordi. La scelta non è stata
facile per la bellezza e la vastità della
produzione, ma ero sicura di non volere
tradire due cose: la limpidezza e la nobiltà. È
stato dunque automatico meditare sul tipo
d’impostazione vocale e su come avrei
dovuto lavorare per riprodurre le tante
dinamiche riportate sullo spartito se l’intento
era “parlare”, come Tosti voleva, alla gente.
Per riuscire a disegnare determinate
sfumature dovevo approfondire la
consapevolezza dell’utilizzo del fiato senza
mancare di intonazione e senza “spoggiare”
i suoni. Il mezzo vocale doveva essere al
totale servizio della parola e dovevo osare, lo
ammetto, cantando in un modo che non è
consueto ai nostri giorni per avvicinarmi
allo stile “di grazia” che ha avuto esponenti
raffinatissimi come Tito Schipa e Luigi Alva
e che aveva consacrato la romanza da
salotto. Con questo approccio ho ritrovato il
belcanto e la verità del timbro. Da questa
ricerca di verità poi sono arrivati i colori in
cui riconoscere il mio spirito e la mia anima,
il mio rapporto con la vita e con gli affetti.
Era il percorso necessario ai fini di
personalizzare le romanze, con la
Il soprano Ivanna Speranza (in abito lungo)
e la pianista Enrica Ciccarelli
consapevolezza, la gioia ma anche la
responsabilità di riproporre un repertorio di
valore inestimabile».
E.C. «Da parte mia voglio aggiungere
che, oltre al piacere di aver collaborato con
Ivanna, per me questo disco è anche un
omaggio a mio padre e alla sua terra
meravigliosa che è l’Abruzzo. Infatti ho
espressamente chiesto di poter inserire un
paio di canzoncine tipiche abruzzesi».
Questo progetto proseguirà? Intendete
fare nuove registrazioni dedicate a questi
brani? Avete altre idee musicali ?
E.C.: «Ci auguriamo prima di tutto di poter
far conoscere l’opera di Tosti anche attraverso
i recital. Abbiamo pensato per i futuri
concerti a una combinazione tra le romanze
tostiane (per lo più incentrate sulla figura
femminile) e una serie di arie scritte da
alcune compositrici/cantanti come Isabella
Colbran. Per quanto riguarda la mia attività di
solista ho diversi appuntamenti in recital, sia
in Italia che impegni all’estero anche con
orchestra, oltre ad alcune collaborazioni
cameristiche cui tengo molto con il
violoncellista Enrico Dindo, il soprano
Amarilli Nizza e il violinista Edoardo Zosi,
con cui tra un mese debutterò nella Weill
Hall della Carnegie Hall a New York, al
termine di una tournée americana».
I.S.: «Devo dire che il repertorio da camera
bussa alla mia porta da tanti anni e ho
intenzione di continuare ad approfondirlo.
Uno dei primi concorsi che ho vinto in Italia
riguardava proprio la romanza da salotto.
Oltre alla mia attività nel repertorio
operistico ripeterò le masterclass in
Argentina e Brasile in primavera e delle
tournées in Corea del Sud; prossime le mie
collaborazioni con Giampaolo Bandini, con
il compositore jazz Alex Fabiani come
cantante ed autrice di testi per le sue colonne
sonore e con Mariano Ceballos che ha
lavorato dal 2007 anche a fianco dell’appena
scomparso Pierre Boulez». 
INSCENA
Anteprima 35-40 La critica 42-47
gli appuntamenti del mese da non perdere
le recensioni degli spettacoli scelti dai nostri critici
Leonora Armellini
LUIS.IT
INSCENA
Jordi Savall
Martha Argerich
anteprima
PERSONE
U
Grigory Sokolov
PAROLA CHIAVE:
Bologna
Festival
LEONORA
ARMELLINI
2016
Budapest Festival Orchestra
GRANDI INTERPRETI
TALENTI
IL NUOVO L’ANTICO
Ian Bostridge
Immersa nella musica sin
da bambina; una passione
per Chopin e un diploma in
pianoforte a soli 12 anni;
ora che ne ha 23, sa che
il talento non ha valore
se non è nutrito dallo studio
ma si batte contro l’idea
che i musicisti classici siano
persone noiose.
n entusiasmo contagioso, il
suo. Quello con cui si muove tra il bianco e nero degli ottantotto tasti. Quello con cui ne
parla. Come se il pianoforte, conosciuto fin dai primi anni di vita, fosse rimasto per lei un gioco.
Così Leonora Armellini, giovane e affermata pianista di origine padovana, con naturalezza e
semplicità riesce a coinvolgere,
fino a travolgere. Il 26 febbraio,
al Teatro Verdi di Padova, sarà
interprete, con l’Orchestra di Padova e del Veneto, del Concerto per pianoforte e orchestra op.
20 di Skrjabin. Un percorso iniziato con la pianista Laura Palmieri, allieva di Arturo Benedetti
Michelangeli, per poi giungere al
diploma, a soli 12 anni, nel Conservatorio della sua città e proseguire all’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia sotto la guida di
Sergio Perticaroli. Tra il gran numero di riconoscimenti, il Premio
Janina Nawrocka per “la straordinaria musicalità e la bellezza
del suono” al Concorso Pianistico Internazionale “F. Chopin” di
Varsavia, nel 2010.
L’incontro con il pianoforte?
«Non è stato casuale. Mia ma-
dre è pianista e, fin da bambina,
il pianoforte è stato parte della
mia vita. Ero immersa nella musica. Per questo non vedevo alternativa all’essere musicista, e,
alla fatidica domanda “cosa vorresti fare da grande?”, rispondevo “perchè, si può fare altro
a parte il musicista?”».
Un autore che sente particolarmente suo?
«Chopin, mi ha affascinato fin da
piccola. È l’autore che ho approfondito maggiormente, a cui mi
sento più vicina, per ciò che trasmette e per il mio sentire».
Tanti premi vinti: quanto conta il
talento, quanto lo studio?
«Penso che il talento derivi da
una somma di fattori: la predisposizione innata, il fatto di esser nato e cresciuto in mezzo alla
musica e di aver acquisito subito e naturalmente una sensibilità che altri sviluppano nel tempo. Ma il talento non ha valore
se non è nutrito con uno studio
ben direzionato e con una ricerca personale».
Consigli per “apprendisti pianisti”?
«Non perdere mai la passione, quel qualcosa che rende
vivo ciò che facciamo. Divertirsi, ma con rispetto, senza strafare, partendo dalla partitura e
cercando di rendere con onestà
l’idea dell’autore. Essere attenti
nel comprendere i propri punti
di forza e debolezza».
La sua ricetta per avvicinare i
giovani alla musica classica?
«Dimostrare, da giovane musicista, quanto la musica classica sia
irresistibile. Cerco di diffondere
questa idea, di parlare, scherzare, ridere naturalmente. Cerco di
battermi contro l’idea che i musicisti classici siano persone noiose e che il nostro sia un mondo distante».
Riferimenti tra i grandi pianisti
del passato?
«Mi piace lasciarmi affascinare un po’ da tutti i grandi del
passato. Adoro Rubinstein per
le sue interpretazioni di Chopin, Arrau per Liszt, per il suo
rispetto per la partitura e la ricerca del suono, mentre Michelangeli è un modello per la direzione da dare allo studio».
Luisa Sclocchis
(Al link amadeusonline.net interviste/2015/entusiasmo-contagioso la
versione estesa dell'intervista)
Uri Caine Ensemble
Vladimir Jurowski
EDUARDO STRAUSSER
Classe 1985, è considerato uno dei più talentuosi artisti
brasiliani della sua generazione, non per nulla, dal 2014, è
direttore residente e vicedirettore del Theatro Municipal de
São Paulo dopo che per due anni è stato direttore musicale
dell’Orchesterverein Wiedikon e della Kammerorchester
Kloten di Zurigo. Dopo aver diretto nel dicembre scorso La
traviata al Teatro Verdi di Pordenone sarà al Teatro La Fenice
di Venezia, il 29 febbraio, per dirigerne la Filarmonica,
insieme al pianista Michelangelo Carbonara. In programma
Fauré, Carrara e Dvořák. Il 3 marzo bis al
Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone.
Info: eduardostrausser.com
xxxv edizione
DAL 15 MARZO
Amadeus 35
ABBONAMENTI dal 17 febbraio
BIGLIETTI dall’ 8 marzo
ACQUISTA ONLINE www.bolognafestival.it
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NORMA RENAISSANCE
SARIA CONVERTINO
L
U
a storia della sacerdotessa druidica,
messa in musica da Vincenzo Bellini,
da alcuni anni ha ripreso il posto che le
spetta nelle stagioni liriche di tutta Europa:
Bologna e Salisburgo, Venezia e Zurigo, Torino e Parigi, sono solo alcune delle piazze
dove le dive d’oggidì hanno recentemente
interpretato il ruolo “enciclopedico” creato
per Giuditta Pasta. Tra tutte Cecilia Bartoli,
Maria Agresta e Mariella Devia. Quest’ultima, dopo aver debuttato il ruolo nel 2013
al Comunale di Bologna, ritorna a vestire
i panni della veggente in una nuova produzione che il Teatro di San Carlo affida a
Nello Santi, per la direzione d’orchestra, e
a Lorenzo Amato, per la regia. Da Napoli a
Trieste, anche al Teatro Verdi echeggiano
le melodie del “cigno” di Catania grazie alla
ripresa dell’allestimento firmato da Federico
Tiezzi nel 2008 per il Comunale di Bologna,
pregevole per il sapiente innesto sulla scena
dell’arte figurativa (in primis Jacques-Louis
David). Nei panni della protagonista Marina Rebeka; la direzione è di Fabrizio Maria
Carminati. Info: teatrosancarlo.it, teatroverdi-trieste.com
AVERSANO ALLE SERATE MUSICALI
I DUE FOSCARI CON DOMINGO
Le Serate Musicali di Milano propongono venerdì 26,
nella Sala Verdi del Conservatorio, un recital solistico
di Emilio Aversano. Il pianista eseguirà, nella prima
parte, la Fantasia in re minore K 397 di Mozart e la
Sonata n. 2 op. 31 “La tempesta” di Beethoven. A seguire due Sonate di Scarlatti, rappresentante eccellente
della tradizione compositiva napoletana, per poi tornare
al genio di Salisburgo con la Fantasia K 475 e concludere eseguendo la Sonata n. 23 op. 57 “Appassionata” di
Beethoven. «È un programma», afferma Aversano, «che
celebra la grande tradizione classica italiana, culla dei
principali moti della cultura occidentale sin da quando
Parmenide dava lezione ai suoi allievi vicino Salerno,
nell’attuale Velia». Info: seratemusicali.it
Dopo Simon Boccanegra Plácido Domingo ritorna al
Teatro alla Scala per una nuova produzione de I due
Foscari di Giuseppe Verdi. Accanto a lui Francesco
Meli nel ruolo di Jacopo e il giovane soprano Anna Pirozzi in quello di Lucrezia. Con il debutto alla Scala di
questa giovane cantante si afferma una precisa volontà
di promozione delle nuove voci italiane, confermata anche dalla presenza del baritono Luca Salsi, nuova stella
del Metropolitan, che si alternerà a Domingo in alcune
recite. Ritorna al Piermarini anche il regista Alvis Hermanis che il pubblico milanese ha già apprezzato per la
sua messa in scena di Die Soldaten nel gennaio 2015. La
parte musicale è affidata a uno dei più validi direttori
italiani, Michele Mariotti. Info: teatroallascala.org
DAL GIAPPONE A TORINO: LA TOSCA DI DANIELE ABBADO
M
artedì 9 debutta al Teatro Regio, in
prima europea, la produzione dello
Hyogo Performing Arts Center (Giappone)
firmata da Daniele Abbado nel 2013, in
bilico tra tradizione e multimedialità. Sul
podio dell’Orchestra Renato Palumbo,
direttore specializzato nel grande repertorio
italiano. Il ruolo di Tosca sarà interpretato da
María José Siri, che il pubblico del Regio ha
già applaudito in diverse occasioni.
Nei panni del pittore Cavaradossi, il tenore
Roberto Aronica; l’impegnativo ruolo
di Scarpia sarà invece interpretato dal
baritono spagnolo Carlos Álvarez. Scene
e costumi sono di Luigi Perego, le luci di
Valerio Alfieri e i video di Luca Scarzella.
La Prima dell’opera sarà trasmessa in
diretta da Rai-Radio3 martedì 9 febbraio
alle 20.00. Info: teatroregio.torino.it
36 Amadeus
n colpo di fulmine. Questo per
Saria Convertino, giovane pugliese
virtuosa della fisarmonica, l’incontro con
lo strumento che ora, neanche trentenne,
insegna al Conservatorio di Musica
“Santa Cecilia” di Roma. «Potrei quasi dire
che sia stata lei a scegliere me», rivela,
e prosegue «me ne sono innamorata
al primo sguardo e al primo ascolto.
Avevo otto anni, tutto è cominciato per
gioco, fino a diventare passione e, infine,
professione, con grande sacrificio ma
immensa soddisfazione». Suonerà il 18
febbraio al Teatro Argentina di Roma
nello spettacolo Pasolini: Roma/Spagna,
concerto per cinque voci, fisarmonica,
violino, canto e due voci, inserito nella
programmazione dell’Accademia
Filarmonica Romana “Musiche dalla
tradizione popolare a Bach”. Fa parte
di un progetto di tango con i Solisti
dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia e sarà a breve in tournée con la
Carmen dell’Orchestra di Piazza Vittorio.
La fisarmonica è spesso associata dai
più alla tradizione musicale popolare,
Nella pagina
precedente: in alto,
Norma, regia di Federico
Tiezzi; in basso, Tosca,
regia di Daniele Abbado;
qui, Saria Convertino;
in basso, Pippo Delbono.
invece...
«Esatto, ma a differenza dell’immagine
stereotipata legata alla tradizione
folcloristica, la fisarmonica inizia a imporsi
in importanti rassegne concertistiche,
acquistando finalmente la stessa dignità
di strumento nobile, al pari di un violino
o un pianoforte».
La risposta del pubblico?
«È incredibile quanto resti sorpreso
dall’ascolto di una sonata di Scarlatti o
di musiche di Bach o Mozart, o di autori
contemporanei come Berio e Ligeti
eseguiti con il bayan. Fortunatamente
si tratta di uno strumento in continua
evoluzione dalla grandissima varietà
timbrica e potenzialità tecnica ed
espressiva».
I suoi concerti sono viaggi da Scarlatti
e Bach, fino a Piazzolla e Sciarrino.
«Mi piace spaziare. Così riesco a
esprimere la mia personalità, eclettica
quanto introspettiva, briosa quanto
nostalgica. La musica si conforma
all’anima, e lei a essa».
l.scl.
A BOLOGNA IL VANGELO EVERSIVO DI PIPPO DELBONO
L
a vera sostanza del vangelo è eversiva».
Questo pensa Pippo Delbono, artefice
di uno spettacolo – Vangelo – che prevede
una versione operistica, battezzata a Zagabria
e dal 25 febbraio al Teatro Comunale di
Bologna, e una versione per i teatri di prosa,
già andata in scena a gennaio a Losanna e
all’Argentina di Roma. «Contesto il sapere
borghese», spiega Delbono, «il linguaggio
corrente del teatro. Vangelo nasce dallo
stare con immigrati e rifugiati nei centri di
accoglienza (ho condiviso la loro vita), con i
degenti d’ospedale. Denuncio come la storia
ci venga raccontata da un solo punto di vista
e non con l’ottica degli altri. Il teatro deve
costituirsi luogo della verità». Le musiche
sono composte da Enzo Avitabile ma non
mancano anche incursioni nel repertorio dei
Rolling Stones. Info: tcbo.it
FANO SINFONICA 3.0
Al Teatro della Fortuna di Fano continua Sinfonica 3.0, ramo fanese della stagione di concerti della
Sinfonica pesarese. Il progetto sancisce la collaborazione tra la Fondazione Teatro della Fortuna
e l’Orchestra Sinfonica G. Rossini (OSR) ed è
rivolto alla creazione di un unico bacino d’utenza all’interno del territorio provinciale. Dopo il
concerto inaugurale con Nicola Alaimo secondo
appuntamento il 5 febbraio con Francesco Ivan
Ciampa che dirigerà l’Orchestra e il Coro del Teatro della Fortuna. In programma la Sinfonia n. 9
detta anche “Dal nuovo mondo” di Dvořák e il Te
Deum che l’autore scrisse nel 1892. Il 21 concerto
con le più belle sinfonie e arie d’opera per soprano
di Gioachino Rossini eseguite da Maria Aleida,
giovane talento del belcanto. Sul podio Daniele
Agiman, direttore principale della OSR. Si chiude
il 13 aprile con Queen’s Symphonies, uno spettacolo dedicato al leggendario gruppo inglese che
ripercorrerà il grandioso percorso della band con
un focus sul leader del gruppo, Freddie Mercury.
Info: teatrodellafortuna.it
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UN “PAGANINI” RITORNA A GENOVA
NUOVO TEATRO MUSICALE ALL’ECLAT DI STOCCARDA
I
I
l violino e la musica di Paganini come
tramite per esprimere un’immensa
gamma di emozioni senza restrizione
alcuna. Così il violinista coreano In Mo
Yang, definito “uno dei più talentuosi
virtuosi del violino della nuova
generazione”, raffigura Niccolò Paganini,
genio del violino a cui Genova ha dato i
natali. Vincitore, nel marzo del 2015, del
Primo Premio della 54esima edizione del
Concorso Internazionale che ne reca il
nome, In Mo Yang sarà interprete, il 26
febbraio al Teatro Carlo Felice di Genova,
del Concerto n. 3 per violino e orchestra
in si minore op. 61 di Camille Saint-Saëns.
Inizia lo studio del violino a cinque anni
con un piccolo strumento economico
acquistato dalla madre, ad appena 11 anni
debutta in recital alla Ewon Prodigy Series
di Seoul e a 15 in concerto con la KBS
Symphony Orchestra. Si succedono poi
le vittorie di svariati premi internazionali,
tra cui, nel 2014, il Primo Premio al CAG
Victor Elmaleh Competition e il Secondo al
Yehudi Menuhin International Competition.
Oggi vanta, seppur giovanissimo, una
ricca carriera solistica.
Com’è cambiata la sua vita dopo la
vittoria del Premio Paganini?
«Dopo il concorso la mia carriera è
cambiata positivamente: il premio mi ha
dato una fama e una reputazione che prima
non avevo. Ma soprattutto l’occasione di
suonare spesso la musica di Paganini».
Sull’esperienza del Concorso?
«Ricordo sempre con grande piacere
Genova e Paganini è parte importante
della mia vita fin dall’infanzia. È stato un
onore gioire nello spirito di Paganini con
altre persone, per non parlare poi del cibo
italiano che penso abbia contribuito a
migliorare la mia condizione durante tutto
il concorso», e sorride.
Per esser un buon violinista?
«Semplicemente una smisurata passione
per la musica». l.scl.
l festival Eclat di Stoccarda presenta
quest’anno, in quattro giorni (dal 4 al 7
febbraio), 16 prime mondiali, compositori
provenienti da 14 diversi paesi, un focus
sulla Russia e sui paesi scandinavi, con una
particolare attenzione per le nuove forme
di teatro musicale. L’interazione del suono
con lo spazio della performance, con il testo, con le luci, con le videoproiezioni, è al
centro dei due lavori di Manos Tsangaris e
François Sarhan. EILAND del compositore
tedesco, allievo di Kagel, è uno spettacolo
“multi-station” che impegnerà i Neue Vocalsolisten e sei clarinetti contrabbasso in
diverse sale del Theaterhaus. Une philosophie dans le boudoir di Sarhan mescola invece pagine dell’omonimo libro di Sade, inno al libertinismo, con citazioni da Wagner,
Adorno, Jan Svankmajer, Jean Dubuffet;
sarà uno spettacolo multidisciplinare, che
riflette sull’insensatezza delle convenzioni
sociali e che sfrutterà, come scenografia,
una scultura di carta sospesa. Nel concerto inaugurale del Klangforum Wien, Enno
In alto a sinistra, In Mo Yang; in basso, bozzetto
per il Barbiere di Siviglia con la regia di Livermoore;
qui, la compositrice Anna Korsun; sotto, una foto
di scena dell’opéra-bouffe di Hervé.
DA SIVIGLIA A ROMA IL BARBIERE È ALL’OPERA
OPÉRA-BOUFFE AL MALIBRAN
D
D
all’11 al 21 febbraio il Teatro dell’Opera propone uno dei più
celebri titoli del repertorio rossiniano: Il barbiere di Siviglia. Si
tratta di un nuovo allestimento affidato a Donato Renzetti, già impegnato
a Roma nella direzione dello storico allestimento del 1900 della
Tosca di Puccini, e Davide Livermoore (regia, scene e luci), da gennaio
2015 nuovo sovrintendente e direttore artistico del Palau de les Arts
di Valencia. I costumi sono disegnati da Gianluca Falaschi, le illustrazioni
38 Amadeus
sono di Francesco Calcagnini; i video sono realizzati dal gruppo
D-Wok. Di livello il cast: Chiara Amarù e Teresa Iervolino per il ruolo
di Rosina; Edgardo Rocha e Merto Sungu per il Conte d’Almaviva;
Florian Sempey e Julian Kim daranno voce al factotum della città;
Ildebrando D’Arcangelo e Mikhail Korobeinikov affronteranno la
parte di Don Basilio; Simone Del Savio e Omar Montanari quella di
Don Bartolo. Info: operaroma.it
opo l’esecuzione all’Opéra national de Bordeaux arriva al
Teatro Malibran di Venezia (7-13 febbraio), in prima italiana,
Les chevaliers de la table ronde, opéra-bouffe tra le più riuscite fra
quelle composte da Hervé, andata in scena per la prima volta nel
1866 al Théâtre des Bouffes-Parisiens. La pièce mette in ridicolo con
sapidità gli eroi del ciclo bretone: cavalieri cialtroni, dame vogliose
e rapaci intrecciano armi e stoccate in schermaglie irresistibili.
Poppe dirigerà il suo vorticoso Koffer, insieme a pezzi di Michael Pelzel e Georg
Friedrich Haas. Ci saranno poi due “isole”
di ascolto concentrato, in due ampi lavori
per strumento solo: urI rito di Giorgio Netti
per contrabbasso solo (Dario Calderone), e
Tombeau et Double di Alberto Posadas per
viola “preparata” (Christophe Desjardins).
Da non perdere le prime di Beat Furrer e
Marko Nikodijevic affidate al locale SWR
Vokalensemble; Partendo, il nuovo pezzo
di Oscar Bianchi per controtenore (Daniel
Gloger) e ensemble (Uusinta Ensemble di
Helsinki); le novità di Lars Petter Hagen
(eseguite dal norvegese Ensemble Cikada), di Anna Korsun, Dietrich Eichmann,
Boris Filanovsky (affidate ai Neue Vocalsolisten. La rassegna si concluderà con un
concerto dell’Orchestra di Stoccarda diretta
da Emilio Pomarico, con tre novità assolute
di Klaus Lang, Sergei Newski (per violino e
orchestra) e di Iris ter Schiphorst (per clarinetto contrabbasso e orchestra).
Gianluigi Mattietti
Merlin e Mélusine, Rodomont e Roland, Totoche e Angélique si
muovono leggeri in un crescendo di situazioni che hanno poco o
nulla a che fare con la cavalleria e molto con il divertimento.
La produzione esecutiva è affidata alla Compagnie Les Brigands,
che eseguirà una trascrizione per tredici cantanti e dodici
strumentisti di Thibault Perrine sotto la direzione di Christophe
Grapperon. Regia di Pierre-André Weitz. Info: teatrolafenice.it
UN ORGANO PER ROMA
AL “QUARTETTO” DI BERGAMO
Si apre sabato 20 febbraio la terza edizione del Festival Un organo per Roma, ideato da
Giorgio Carnini e promosso dall’Associazione Camerata Italica, in collaborazione con
l’Accademia Filarmonica Romana, il Conservatorio di Santa Cecilia e, da quest’anno,
l’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC). La rassegna è parte integrante di un
progetto più ampio che vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e delle
istituzioni sul grave problema della mancanza di un organo da concerto al Parco della
Musica. Il successo dell’iniziativa è stato decretato anche dalla scelta dei programmi,
mirata a sottolineare l’universalità del linguaggio organistico attraverso il dialogo con
strumenti insoliti (la marimba, le percussioni etc.) e forme musicali diversissime che
hanno coinvolto musicisti e spettatori ignari delle infinite possibilità dell’organo. Fra
i programmi segnaliamo gli omaggi a Ferruccio Vignanelli e Ferdinando Germani e il
concerto dedicato all’organo nell’opera di fine ’800 (con l’Orchestra del Conservatorio).
Si chiude con un’insolita versione di Pierino e il lupo di Prokof’ev.
Dal 1904 a Bergamo la musica da camera sta di casa al Quartetto, società ideata
nel 1875 da Emilio Finardi e Giacomo Frizzoni. La stagione numero 112 avrà inizio
il 1 febbraio con un concerto dell’Orchestra Ferruccio Busoni di Trieste diretta da
Massimo Belli; violino solista Lucio Degani. L’8 febbraio recital della pianista sud
coreana Chloe Mun, la vincitrice dell’ultimo Concorso Busoni. Poi due appuntamenti
legati alla musica da camera: il 15 con il Quartetto Donizetti, il 22 con il Quartetto
Noûs. Il 29 è la volta di In Mo Yang, vincitore del Primo premio Niccolò Paganini
2015. Il 7 marzo duo d’eccellenza con il violoncello di Julian Steckel e il pianoforte
di Paul Rivinius. Seguono due serate in cui la tastiera è protagonista assoluta, prima
con Alberto Chines (14) e poi con Enrico Intra (21). Aprile si apre con il duo Silvia
Chiesa e Maurizio Baglini (1-4); l’8 tocca a Filippo Gorini, vincitore del recente Premio
Beethoven di Bonn. Gran finale l’11 con il Quartetto Guadagnini e il 18 con Anna
Tifu e Gloria Campaner. Info: quartettobergamo.it
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Raffinato e SENZA TEMPO
...nel mondo
FEBBRAIO
BERLINO
Deutsche Oper
7-18 Britten, Peter Grimes;
dir. D. Runnicles, reg. D. Alden
BILBAO
Abao Olbe
20-29 Puccini,
Manon Lescaut;
dir. P. Halffter, reg. S. Medcalf
LONDRA
Royal Opera House
1-24 Chabrier, L’Etoile;
dir. M. Elder, reg. M. Clément
MONTECARLO
Opéra
19-25 Bellini, Norma;
dir. D. Fasolis, reg. P. Caurier,
M. Leiser
PARIGI
Opéra Bastille
3-29 Verdi, Il trovatore;
dir. D. Callegari, reg. A. Ollé
2-28 Rossini, Il barbiere di
Siviglia; dir. G. Sagripanti,
reg. D. Michieletto
VIENNA
Staatsoper
7-10 Puccini, Tosca;
dir. P. Lange, reg. M. Wallmann
9-21 Dvořák, Rusalka;
dir. T. Netopil, reg. S-E. Bechtolf
FIGARO: L’AVVENTURA CONTINUA
L
a trilogia di Beaumarchais ha ispirato le celebri opere di Mozart e di Rossini (oltre che di
Paisiello), ma il terzo episodio, La Mère coupable,
è rimasto ignorato dagli operisti, almeno fino ai
tempi recenti, quando se ne sono occupati Darius Milhaud (1966), Inger Wikström (2006), Thierry
Pécou (2010). Ora la trilogia di Figaro rivive in un
interessante progetto della Welsh National Opera
di Cardiff che il 22 febbraio propone, in tre serate
consecutive, due nuove produzioni del Barbiere di
Siviglia e delle Nozze di Figaro, e una nuova opera,
commissionata a Elena Langer, dal titolo Figaro
Gets a Divorce. Il libretto di David Pountney (che
è anche il regista) si ispira in parte alla Mère coupable in parte a Figaro divorzia di Ödön von Horváth,
pièce del 1936 già trasformata in opera da Giselher
Klebe nel 1963. È insieme una commedia e un thriller. La vicenda è trasportata nel XX secolo con tre
coppie - Figaro e Susanna (David Stout e Marie
Arnet), Conte e Contessa (Mark Stone e Elizabeth
Watts), e i loro figli illegittimi Serafin e Angelica (Na-
omi O’Connell e Rhjan Lois) – che entrano in scena
come un gruppo di rifugiati in fuga da una rivoluzione. Come in Beaumarchais c’è il personaggio malvagio, il Maggiore (Alan Oke), una specie di Jago
che tesse le sue trame per mandare in rovina la
famiglia e per sedurre Angelica. Ma non mancano
le soprese: c’è Cherubino (il controtenore Andrew
Watts), che è diventato il losco proprietario di un
nightclub; Susanna, depressa, si ubriaca in questo
night e va a letto con lui; il Conte perde tutti i suoi
soldi al casinò; Figaro diventa un vero giustiziere,
uccide prima Cherubino, poi il Maggiore, e alla fine
si riconcilia con Susanna (quindi non divorzia). La
compositrice russa, naturalizzata britannica, allieva
di Julian Anderson e Simon Bainbridge, ha creato
una musica eclettica, melodica, piena di echi di
songs e di danze. Coprodotta col Grand Théâtre
de Genève, Figaro Gets a Divorce, sarà diretta da
Justin Brown. Dopo la prima, il 21 febbraio a Cardiff, l’opera sarà in scena fino al 7 aprile tra Bristol,
Birmingham, Plymouth, Southampton. g.matt.
CATS IN TOUR
Sopra, David Stout, Figaro
nella nuova opera di Elena Langer:
Figaro Gets Divorce;
qui, una scena di Cats, in tour in Italia
dal 18 febbraio al 20 marzo
40 Amadeus
Torna in Italia la versione originale di Cats, uno dei più famosi musical nel mondo, con orchestra dal vivo. A Bags Live
il compito di organizzare il tour italiano che prevede tappe a
Genova (Teatro Carlo Felice, 18-21 febbraio), Torino (Teatro
Regio, 25-28 febbraio), Milano (teatro Arcimboldi, 2-4 marzo), Bari (Teatro Petruzzelli, 10-13 marzo) e Bologna (Teatro
EuropAuditorium, 17-20 marzo). Il musical, tornato in tour
nel 2013, ha riconquistato il West End londinese nel 2014. Per
l’occasione si è riunito il team creativo originale: il regista
Trevor Nunn, la regista associata e coreografa Gillian Lynne,
lo scenografo John Napier e il compositore Andrew Lloyd
Webber che ne ha rivisto alcuni brani. Lo spettacolo ha anche
ottenuto delle nomination ai recenti Olivier Awards 2015.
Info: catsthemusical.com
h e l i c o n i a è i l f r u t t o d i u n a s t r a o r d i n a r i a c o l l a b o r a z i o n e t r a s t e i n way & s o n s e l a l i q u e , c o n l’a s p i r a z i o n e c o m u n e a l l a
p e r f e z i o n e d e l l’a r t i g i a n a t o a r t i s t i c o. D i s p o n i b i l i i n n e r o o b i a n c o, i p i a n o f o r t i a c o d a h e l i c o n i a e m a n a n o b e l l e z z a e d e l e g a n z a , g r a z i e a s p l e n d i d i c r i s t a l l i e d i n t a r s i a r g e n t a t i . Un a r r i c c h i m e n t o p e r o g n i c a s a n o n s o l o e s t e t i c o, m a m u s i c a l e e c o n
i l s u o n o i n i m i t a b i l e d i s t e i n way & s o n s . E U . S T E I N W A Y. C O M
S T R I N A S A C C H I S N C R A P P R E S E N TA N T E P E R L ´ I TA L I A D I C A S A S T E I N W AY & S O N S
v i a q uat t r o n o v e m b r e , 1 1 b · 3 7 1 2 6 v e r o n a
T E L : 0 4 5 8 3 4 5 6 9 2 · FA X : 0 4 5 8 3 0 1 8 3 7
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lacritica
UTRECHT
Tivoli-Vredenburg
Boulez Festival
Un ultimo, spettacolare
inconsapevole addio
U
trecht l’Ensemble Insomnio ha chiuso
l’anno di Boulez con un festival interamente dedicato alla sua musica. Ed è stato
davvero l’ultimo addio, ancora inconsapevole, al grande compositore e direttore d’orchestra che ha segnato un’intera epoca della storia della musica. Una rassegna che ha
ripercorso alcune tappe fondamentali della
sua carriera, e l’evoluzione del suo linguaggio musicale, svelandone la varietà, la profondità poetica (messa spesso in ombra da
una certa retorica del rigore costruttivista),
la modernità. L’ensemble olandese è stato
fondato nel 1997 da Ulrich Pöhl, direttore
tedesco che si è formato tra Amsterdam e
San Diego, ha studiato la musica africana
in Senegal, è stato assistente di Michel Tabachnik, ha lavorato insieme a Boulez nel
2011 nella preparazione del bel cd Pierrot
to Marteau (Encora enc-013), che ha vinto
il premio della Critica discografica tedesca
nel 2012. Ovviamente Le Marteau sans
maître era tra i pezzi eseguiti. Pöhl ne ha
offerto un’esecuzione personale, elastica,
capace di fare emergere non solo il severo
costruttivismo ma anche il gusto armonico
e timbrico francese (da Debussy e Messiaen), le inflessioni viennesi (da Webern), le
venature esotiche (delle percussioni). Molto
interessante anche l’interpretazione vocale,
affidata a Cécilie van der Sant, mezzosoprano abituato anche a ruoli wagneriani, una
lettura precisa ma di raro spessore drammatico, con un ricco vibrato, capace di restituire alla voce un ruolo di primo piano. Negli
spazi del Tivoli-Vredenburg, il nuovo auditorium di Utrecht che racchiude cinque sale
da concerto, su piani raggiungibili attraverso un complesso intreccio di scale mobili,
che sembrava progettato da Escher, si sono
ascoltati anche Répons, per grande ensemble, sei solisti e elettronica, Dérive 2, per 11
strumenti, e Sur Incises per tre pianoforti,
tre percussioni e tre arpe. Nell’esecuzione
di Répons emergeva con grande plasticità
la spazializzazione del suono, il gioco re-
lacritica
sponsoriale tra solisti, ensemble e live electronics: Pöhl, al centro della sala, dirigeva
con grande energia, come uno sciamano
che sembrava far emergere i suoni dal nulla,
proiettarli nello spazio, trasformarli in continuo gioco di metamorfosi, in un caleidoscopio sonoro, fatto di ampie armonie, effetti
formicolanti, sonorità acide e taglienti. Un
vero spettacolo, reso ancora più suggestivo
dai giochi di luce sui solisti disposti intorno all’orchestra. Pöhl ha affrontato anche
un pezzo impegnativo come Dérive 2 con
grande concentrazione, offrendone una
lettura più fluida e distesa rispetto a quella
di Boulez, a tratti anche lirica, quasi romantica, come un flusso sonoro avvolgente, nel
quale venivano dipanati con cura i complessi intrecci strumentali. Dinamica, piena di
energia, l’esecuzione di Sur Incises metteva
in risalto gli intrecci ritmici, le stratificazioni
temporali, le scomposizioni acustiche tra
pianoforti, arpe e quelle percussioni metalliche che avevano attratto Boulez per la
loro capacità di simulare suoni elettronici.
E che, nelle sue mani, diventavano capaci
di continue seduzioni timbriche.
Gianluigi Mattietti
L’Ensemble Insomnio diretto da Ulrich Pöhl esegue Répons durante il Festival Boulez tenutosi al Tivoli-Vredenburg di Utrecht
42 Amadeus
NAPOLI
Teatro San Carlo
Bizet Carmen
Dodicimila lampadine
non bastano
a dare luce a un’opera
L’
apertura della stagione del San Carlo,
con Carmen diretta da Zubin Mehta,
è stata caratterizzata da due trovate, di
natura diversa, entrambe negative.
Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha
cercato di strappare Mehta a Firenze, la
città con cui il celebre direttore indiano ha
un rapporto trentennale, come direttore
principale dell’Orchestra del Maggio.
È scoppiata una crisi che ha portato
all’ambigua decisione di nominare lui
direttore emerito a vita, e Fabio Luisi
direttore musicale; ambigua perché la
carica onorifica era l’unico modo per non
tagliare il cordone ombelicale tra Mehta
e una città che lo ama. In questa delicata
trattativa, con malagrazia e zero fairplay, si
era inserita Napoli, che ne è uscita a mani
vuote (vedi Agorà a pag.5). E questa è la
prima trovata. La seconda è stata la regia
della Carmen, affidata a Daniele Finzi
Pasca. È un regista svizzero che viene dal
mondo del circo più ispirato (Cirque du
Soleil), si è avvicinato alla lirica sei anni
fa, ha cominciato alla English National
Opera e a Napoli aveva già messo in
scena Pagliacci. Carmen è un’opera
asciutta e tagliente che va dritta al cuore
dello spettatore, modernissima, ha nel
femminicidio la sua profetica attualità. Con
una regia esclusivamente scenografica,
senza alcuna idea di recitazione, Finzi
Pasca si è limitato a creare una Siviglia
esteriore, una trovata appunto, consistita
nel giocarsi tutte le carte con la luce (ma
non nell’uso poetico e strutturale che
ne fa Bob Wilson). Il regista si è servito
di dodicimila lampadine. Negli ultimi
due atti, grazie ai sensori, reagivano alle
dinamiche e alle frequenze del canto e
davano una luce più intensa quando le
Carmen al Teatro San Carlo: protagonista Maria José Montiel, direttore Mehta, regia Finzi Pasca
note salivano in alto, più debole con i
suoni più flebili. «È una scenografia dove
le cose si accendono e si spengono», ci
disse alla vigilia. Le lampadine creavano
architetture moresche anche gradevoli alla
vista, trasformando lo spazio scenico in
una festa di paese, poi c’erano delle barre
al neon che diventavano ora transenne
(quando alle gitane salta la mosca al naso),
ora corde nel ring tra i due protagonisti:
una Maria José Montiel senza carisma
(il che è doppiamente grave quando si
deve interpretare Carmen), e il Don José
di Brian Jadge; straordinaria invece la
morbidezza della Micaela di Eleonora
Buratto. Il San Carlo aveva già invitato un
artista del Cirque du Soleil, quando Franco
Dragone allestì l’Aida del 2013 tutta fatta di
corde. Che aveva una sua idea. Qui siamo
al mero decorativismo. Zubin Mehta ha
una lunga esperienza con il capolavoro
di Bizet (fin dagli anni ’60, Shirley Verrett,
altro fascino). Qui, forse indispettito dalle
vicende fiorentine, ha diretto con eleganza
ma senza accensioni. La luce, in realtà, alla
Carmen delle dodicimila lampadine, non si
è accesa mai.
Valerio Cappelli
Amadeus 43
INSCENA
INSCENA
lacritica
lacritica
RAVENNA
PALERMO
Teatro Alighieri
Puccini La bohème
Teatro Massimo
Wagner Siegfried
Commovente melodia
acqua e sapone
senza lacrime e melassa
Le ossessioni personali del regista Vick
salvate da direttore e cantanti
A
ttorno alla Bohème e a Puccini ha
ruotato la coda autunnale del Ravenna Festival. Cristina Mazzavillani Muti vi ha
firmato una nuova produzione dell’opera
(sul podio Nicola Paszkowki) e ideato il “divertimento alla bohémienne” Mimì è una civetta, ossia un’elaborazione della partitura
per band a cura di Alessandro Cosentino,
con la partecipazione della tromba di Fabrizio Bosso, inscenata alla maniera di un
musical da Greg Ganakas. Inoltre, nel PalaCredito di Forlì, Riccardo Muti al pianoforte
ha tenuto un recital pucciniano con le voci
di Anna Netrebko, Eleonora Buratto e Yusif Eyvazov per raccogliere fondi destinati
a iniziative benefiche. La bohème è uno
spettacolo che si prevede di lunga tenuta.
Da qui ai prossimi mesi andrà in scena a
Vilnius, Piacenza, Novara. Scrostarne dalle note lacrime e melassa di tradizione è
l’impegno che si assumono Paszkowski e
Mazzavillani. Compito forse impopolare,
però qualcuno deve pur farlo. Puccini lo
merita. A dispetto di quel che pensava un
A
l contrario di quanto credono in molti, è raro che le cosiddette
“regie attualizzanti” riescano nello scopo di affermare la
perdurante validità di un capolavoro del passato: investendo la
superficie dell’opera e non i suoi contenuti profondi, la conversione
forzata di moduli drammaturgici, tratti stilistici e presupposti
referenziali, finisce spesso per sancire l’esatto contrario di quello
che si vorrebbe, e cioè l’irrimediabile incomunicabilità dell’opera
con il presente. Se quindi un regista “attualizzante” come Graham
Vick, alle prese con la seconda giornata del Ring al Teatro
Massimo di Palermo (a cui proprio in questi giorni è seguito Il
crepuscolo degli Dei che è la terza e ultima n.d.r.), prevede che
Sigfrido forgi Notung nel barbecue della sua squallida cucina
La bohème allestita al Ravenna Festival: regia di Cristina Mazzavillani Muti, sul podio Nicola Paszkowki
Meagan Miller (Brünnhilde) nel Siegfried andato in scena al Teatro Massimo di Palermo: regia Graham Vick, direttore Stefan Anton Reck
secolo fa il musicologo Fausto Torrefranca
quando imputava al compositore di essere
femmineo, non solo per le copiose stille di
pianto che sapeva far versare alle signore in sala, ma perché sottometteva la sua
creatività ai gusti più ordinari dell’epoca.
Antiche polemicuzze che hanno lasciato
strascichi nella mentalità comune. Invece
nell’allestimento al Teatro Alighieri l’emo-
FIRENZE: UN SAX E UN PIANOFORTE
È come lo scrivere sulla sabbia ciò che fanno i sax di
Javier Girotto in recital con il pianista Michele Campanella (nella foto). Tracciano linee, più o meno sottili e profonde, che poi il mare cancella; solo la sabbia
resta. Tuttavia, per quanto perdurano, di quei segni
fugaci si contempla il disegno incantevole, la finezza dell’invenzione e, appena svaniti, la scia argentea
che si lasciano alle spalle. La sabbia, per il jazzista
argentino, si materializza in pagine di Debussy e Ravel, Suite bergamasque, Children’s corner, Miroirs.
Di per sé autosufficienti. E come tali Campanella le
tratta: ne cava sonorità estatiche su cui si adagia la
sovrascrittura di Girotto (raddoppi, contrappunti,
improvvisazioni) quasi fosse la cosa più naturale al
mondo, anziché una scommessa. Così è cominciata
l’attività concertistica del rinnovato Museo dell’Opera del Duomo a Firenze, casa per capolavori di Ghiberti, Donatello, Michelangelo, ora anche spazio per
la musica, una volta al mese. g.mop.
44 Amadeus
e poi la tempri nell’acquario che completa un arredamento da
slum sudamericano, non si viene messi in comunicazione con ciò
che nell’opera di Wagner ci riguarda ancora oggi, ma solo con le
personali ossessioni di chi la mette in scena. Grazie al Siegfried
andato in scena a Palermo, sappiamo che Vick mette sotto accusa
i vecchi borghesi cinici e libidinosi per quello che hanno fatto ai
figli, che pur essendo un bamboccione viziato Sigfrido ha ancora
tutto l’incanto della giovinezza, che il corpo maschile e femminile
ha una dignità che prescinde dalla contingenza e rinvia a un
iperuranio dove è conservata la sua Idea: peccato soltanto che
Richard Wagner avesse altro da dire. Incolpevole di uno spettacolo
sbagliato, il cast dà buona prova: a eccezione di Christian Voigt
(Siegfried) e Peter Bronder (Mime), entrambi inadeguati al ruolo,
Thomas Gazheli (Wotan), Sergei Leiferkus (Alberich), Michael Eder
(Fafner), Judit Kutasi (eccellente Erda), Meagan Miller (Brünnhilde) e
Deborah Leonetti (un ottimo uccellino), ben diretti da Stefan Anton
Reck, riescono a ricordarci che siamo davanti a uno dei grandi
capolavori del teatro d’opera di tutti i tempi, stracolmo di significati
nascosti, ricco di un’inesauribile stratificazione mitica, capacissimo
di significare il presente senza decampare di un millimetro dai
propri assunti formali. Sara Zurletti
tività fremebonda non ha spazio. La commozione, sì. Non epidermica, bensì quella
ingenerata dalla lettura musicale che si
prefigge oggettività e dalla messinscena
di taglio minimal e d’impostazione naturalistica irraggiata da videoproiezioni che
richiamano il decadentismo, specie la pittura di Odilon Redon. Paszkowski procede
a passo serrato, e grazie all’Orchestra Cherubini che gli risponde benone non rinuncia
a stendere tappeti soffici a fine primo atto,
né a contrappuntare costellazioni di timbri
e silenzi al principio del terzo. Bandisce leziosaggini dal fraseggio. Crede, a ragione,
che semmai debba essere la melodia in
sé a far palpitare il pubblico, non la posa
artificiosa con cui si potrebbe cantarla.
Lo seguono, consapevoli, le voci: Matias
Tosi, Damiana Mizzi, Daniel Giulianini, Luca
Dall’Amico. Benedetta Torre e Alessandro
Scotto di Luzio, Mimì e Rodolfo acqua e
sapone, riversano la freschezza della loro
gioventù nei due protagonisti. Lei, via via,
acquista spessore psicologico, e da ultimo
si trova a giacere moribonda su un letto che
è già un sepolcro. Gregorio Moppi
Amadeus 45
INSCENA
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lacritica
lacritica
BOLZANO
Teatro Comunale
Bernstein Trouble in Tahiti
Barber A hand of bridge
Achtung!
Anacronistiche traduzioni
e video-riempitivi
A
chtung, Leonard! Bernstein in tedesco?
Succede a Bolzano, dove è andato
in scena l’agile Trouble in Tahiti, in
efficace abbinata con l’opera “più corta
della storia”, A hand of bridge di Samuel
Barber. Tradurre le opere è anacronistico
in Italia, normale in Germania dove è
nata la produzione (della Leipzig Oper)
ereditata dalla Fondazione Haydn che
da quest’anno programma la lirica in
regione: e a Bolzano – dove l’inglese
è “terzo comodo” in terra bilingue – la
traduzione stonava particolarmente.
Si perdeva naturalmente il brio dello
swing linguistico dell’originale (limitato
agli intraducibili giochi di parole) con
una nota inconsapevolmente comica:
nel terzetto corale che accompagna la
narrazione, Sandra Maxheimer è vestita
da Marylin (Monroe) ma canta nella lingua
di Marlene (Dietrich). Traduzione a parte,
l’allestimento godeva di una bella vivacità:
pensato come proposta alternativa a titoli
di lunga tradizione, proponeva un modo
“altro” di vivere il teatro portando tutti
(spettatori e interpreti) sul palcoscenico,
con il pubblico disposto in scalinate
attorno a una pedana rotonda. In scena
Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein, andato in scena Bolzano; sotto, Fiorenza Cedolins
e Leonardo Caimi (Mimì e Rodolfo) nella Bohème allestita al Carlo Felice con la regia di Ettore Scola;
a destra, un momento di Le Prophète, l'opera di Meyerbeer proposta con successo a Karlsruhe
un quartetto vocale affiatato formato da
Jennifer Porto (Geraldine in A hand of
bridge e Dinah in Trouble in Tahiti), Toby
Girling (anche lui nel doppio ruolo di
David e Sam), Sandra Maxheimer (Sally
in A hand of bridge) e Patrick Vogel
(Bill in A hand of bridge). Nascosta da
una enorme radio a valvole, l’Orchestra
Haydn era diretta da Anthony Bramall.
Esecuzione scorrevole, sempre godibile,
valorizzata da una regia (di Patrick
Paldyga) frizzante ma non eccessiva,
capace con elementi essenziali (qualche
GENOVA: LA BOHÈME SECONDO SCOLA
Ettore Scola, grande regista cinematografico appena scomparso all’età di 84
anni (19 gennaio), aveva recentemente portato anche al Carlo Felice di Genova
la sua lettura de La bohème di Puccini, la medesima produzione andata in scena a Torre del Lago nel 2014. Per sua stessa ammissione, Scola si è accostato
con cautela a un linguaggio registico per lui sempre nuovo, consapevole dei
rischi in cui si può incorrere sperimentando su un terreno inesplorato. Ne risulta quindi, ben integrata alle belle scene di Luciano Ricceri, una lettura ligia
al dettato tradizionale, arricchita da una cura particolare verso una gestualità
attentamente calibrata sulle caratteristiche dei personaggi e degli interpreti,
che riesce a porli in risalto senza alterarne i consueti equilibri. Ben centrata
la direzione di Giuseppe Acquaviva, direttore artistico del teatro, e cast vocale
discretamente in parte – Fiorenza Cedolins e Leonardo Caimi come Mimì e
Rodolfo – in cui nettamente spiccava il bel debutto, come Musetta, di una
Desirée Rancatore spigliata e sensibile. W. Edwin Rosasco
46 Amadeus
giro di pedana, moderati giochi di luci e
immancabili arredi anni ’50) di raccontare
l’inconsapevole claustrofobia delle coppie
in scena. A contrappunto dell’infelicità
mascherata degli sposini americani, la
produzione sciorinava – purtroppo – una
serie di video interviste firmate da Isabel
Bialdyga a coppie felici nella Germania di
oggi: romanticismi privati raccontati senza
una mediazione artistica, sostanzialmente
inutili se non come riempitivo per l’ora
scarsa di musica.
Emilia Campagna
KARLSRUHE
Staatstheater
Meyerbeer Le Prophète
Forza e intelligenza per profeti della
banlieue dell’emergente Tobias Kratzer
D
iverse produzioni recenti in Germania e questa nuova di
Tobias Kratzer a Karlsruhe, dimostrano un recente interesse
verso Meyerbeer, oggi piuttosto raro. Le produzioni di Tobias
Kratzer, regista tedesco di nuova generazione, invitato a Bayreuth
nel 2019 per Tannhäuser, hanno da un po’ di tempo suscitato
vivo interesse. Il suo Prophète è ambientato nella Francia delle
banlieue (scene iperrealistiche di Rainer Sellmaier), dove giovani
abbandonati a se stessi si lasciano influenzare da predicatori,
fino alla rivolta contro il potere nel nome di un falso profeta
che li guida. Fedele al libretto, con precisione e rigore, Kratzer
trasforma la storia della rivolta degli anabattisti a Münster nel
’500 in una storia della Francia contemporanea. Violenza sociale,
violenza del potere e ruolo ambiguo della religione, falsificazione
mediatica, manovre politiche, tradimenti, anche violenze carnali:
tutti gli elementi sono già in filigrana nel libretto di Scribe e il
regista non ha difficoltà a trarne legami con quello che succede
oggi, in particolare la violenza a nome di Dio. Ne risulta uno
spettacolo forte, intelligentissimo, anche sarcastico a volte, quasi
senza tagli che legge il nostro mondo con uno spirito molto acuto.
A questa regia appassionante corrisponde una realizzazione
musicale notevole con le forze del Teatro di Karlsruhe e qualche
cantante invitato, in particolare la direzione precisa e dinamica
di Johannes Willig, seguito da un’orchestra col suono pieno
di colori e di raffinatezze, che non copre mai i cantanti, e da
un coro a dir poco eccelso (preparato da Ulrich Wagner) con
una dizione francese molto curata. Meyerbeer, amante della
vocalità rossiniana non ha mai risparmiato difficoltà ardue ai
suoi interpreti, e non è facile riunire cantanti adeguati a uno stile
ormai raro sui palcoscenici. Eppure stupisce la bravura della
compagnia di canto, senza voci di spicco, ma senza debolezze,
molto impegnata nella regia, tutti attori bravissimi: tra di loro la
Fidès di Ewa Wolak, voce potente, con bella personalità scenica,
molto commovente, cosicché la Berthe della giovane Agnieszka
Tomaszewska, fresca, con bella tecnica, molto controllata e
sconvolgente in scena. Erik Fenton è Jean, il Profeta, voce ben
impostata e resistente malgrado arie di notevole difficoltà e
lunghezza, tra gli anabattisti, bravi, James Edgar Knight (Jonas)
e Lucia Lucas (Mathisen), segnaliamo lo Zacharias di Guido
Jentjens che ha sostituito un cantante ammalato e cantato
partitura alla mano. Andrew Finden (Oberthal, che nell’opera
è il cattivo), tratteggia un personaggio a volte violento, a volte
comico, con bella voce e stupenda dizione francese.
La coreografia – il celebre balletto Les patineurs – era a cura
del gruppo tedesco di breakdance TruCru/Incredible Syndicate,
perfettamente in linea con la regia, ma anche con la musica, che
ha avuto un trionfo clamoroso. Immenso successo per tutti, dopo
un finale mozzafiato che ha lasciato il pubblico di stucco.
Guy Cherqui
Amadeus 47
APPUNTI
prosa cinema arti
Piccola selezione
di occasioni culturali
e mete artistiche
in giro per l'Italia
LA GRANDE MUSICA SINFONICA SU CLASSICA HD
DOMENICA ORE 21.10
BOLOGNA
La Camera. Sulla materialità della fotografia
indaga il rapporto tra quest’ultima e la scultura
spostandone il baricentro verso il medium
fotografico. Palazzo De’ Toschi ospita opere
realizzate con tecniche insolite e rare: dai dagherrotipi
alle stampe al platino e molte altre scelte eccentriche
per spiazzare lo spettatore e riportarlo alla meraviglia
sperimentata dagli uomini dell’Ottocento verso il
mezzo fotografico. La scultura riemerge nei soggetti,
tra le pellicole fosforescenti e l’antica tecnica
dell’ambrotipia. Fino al 28 febbraio.
Info: bancadibolognaeventi.it/mostra-arte-la-camera
FABRIANO (AN)
Elica Love(s) Difference è un progetto di
Michelangelo Pistoletto e dell’associazione
culturale da lui fondata, Love Difference. A
promuoverlo la Fondazione Ermanno Casoli ed
Elica: per l’occasione la facciata dell’azienda sarà
trasformata grazie a una delle opere più famose di
Pistoletto, Love Difference, composta da una serie
di scritte al neon che illumineranno l’architettura
dell’edificio, offrendo al tempo stesso un
messaggio di pace decisamente attuale, un invito
al rispetto e alla comprensione reciproca tra le
diverse culture. Fino a dicembre 2016.
Info: fondazionecasoli.org
FERRARA
A cento anni dalla creazione tornano nella città
estense i rari capolavori che Giorgio de Chirico
dipinse tra il 1915 e il 1918. La mostra Metafisica e
avanguardie documenta la loro profonda influenza
su Carlo Carrà, Giorgio Morandi e sulle avanguardie
europee del dadaismo, del surrealismo e della Nuova
oggettività. De Chirico rende Ferrara protagonista di
alcuni celebri dipinti, nei quali il Castello Estense o le
grandi piazze deserte svolgono un ruolo magico.
Fino al 28 febbraio. Info: palazzodiamanti.it
NAPOLI
Il MADRE è stato nominato miglior museo italiano
del 2015 da Artribune. In attesa del debutto
dell’esposizione primaverile dedicata a Mimmo
Jodice, è possibile ammirare tre opere sitespecific commissionate dal museo: Axer/Désaxer
(fino al 4 luglio) e Come un gioco da bambini
(fino al 29 febbraio) dell’artista francese Daniel
Buren e La Voce. Nel giallo faremo una scala
o due al bianco invisibile dell’empolese Marco
Bagnoli (fino al 29 febbraio). Progetto a cura di
Achille Bonito Oliva. Info: madrenapoli.it
ROMA
Gillo Dorfles. Essere nel tempo è la prima
antologica che rende omaggio all’opera totale di un
padre storico della cultura visiva italiana: da un lato
la sua personalissima vivacità espressiva, dall’altro
lato il suo sguardo che indaga le oscillazioni del
gusto e le evoluzioni del presente. In mostra al
Macro oltre 100 opere: dipinti, disegni e opere
grafiche, ma anche una selezione di ceramiche e
gioielli, dagli esordi degli anni ’30 alle creazioni
dell’estate 2015, a cui si aggiungono una sezione
dedicata a foto e carteggi e una sull’attività di critico
d’arte. Fino al 30 marzo. Info: dorflesmuseomacro.it
TORINO
Debutta al Teatro Carignano in prima nazionale
Morte di Danton di Georg Büchner, con
un cast tra cui spiccano Giuseppe Battiston,
Paolo Pierobon e Iaia Forte e la regia di Mario
Martone. La pièce (1835) descrive l’atmosfera
degli ultimi giorni del Terrore e si concentra
sui due protagonisti della Rivoluzione francese
Danton e Robespierre, prima compagni e poi
avversari, destinati alla ghigliottina a pochi giorni
di distanza tra loro. Lo spettacolo andrà poi in
scena al Teatro Strehler di Milano (1-13 marzo)
e al Teatro Lac di Lugano (15-16 marzo). Dal 9
al 28 febbraio. Info: teatrostabiletorino.it
Amadeus 49
Francesco Paolo Tosti (1846-1916)
Il gentiluomo
della MELODIA
Dal cenacolo dannunziano di Francavilla al Mare
alla corte della regina Vittoria. Ritratto del "maestro"
della romanza da salotto a 100 anni dalla morte
di Giovanni Gavazzeni
I
n un applauditissimo concerto di canto
al Teatro alla Scala nell’estate passata,
il tenore Juan Diego Flórez, che ha
costruito la sua meritata fama come
impareggiabile protagonista delle opere di
Rossini, ha inserito alcune suggestive
romanze di Francesco Paolo Tosti (Ortona,
1846 - Roma, 1916). Il rapporto fra Tosti e i
grandi cantanti di ogni tempo (soprattutto
tenori) non è mai venuto meno, sulla scia
leggendaria dei dischi di Enrico Caruso,
da Jussi Björling fino a Luciano Pavarotti.
Un fatto che sottolinea quanto il compositore
abruzzese sia stato sentito come l’ultimo
rappresentante della grande scuola di
bel-canto napoletana, essendo stato
studente al Conservatorio di San Pietro a
Majella, allievo per la composizione del
direttore, Francesco Saverio Mercadante.
Nei decenni del secondo dopoguerra
novecentesco, la sua produzione ha
conosciuto un certo sfavore critico, spesso
frutto di scarsa conoscenza, esteso in quei
tempi a tutta la cerchia della cosiddetta
50 Amadeus
Giovane Scuola Italiana – non si facevano
distinzioni fra Puccini e gli altri –
figuriamoci in un genere considerato
minore rispetto all’opera, come la romanza
da salotto della Belle époque. Il lavoro
encomiabile di Francesco Sanvitale, anima
dell’Istituto di Studi tostiano di Ortona,
sfociato nella pubblicazione di una ricca
miscellanea (1991) e di un’altrettanto densa
biografia (Il canto della vita, Edt, 1996),
accompagnato dalla pubblicazione delle
Opere complete, in quattordici volumi,
presso Ricordi, ha posto le basi per una
conoscenza più approfondita di uno dei più
fulgidi rappresentanti della canzone d’arte,
nel passaggio fra Otto e Novecento.
Quando Tosti pubblicò nel 1887 presso
Ricordi, la prima melodia che Flórez ha
cantato alla Scala, Malìa, godeva, nel
genere floridissimo della “romanza da
salotto”, di una fama – fatte le debite
proporzioni – comparabile a quella di
Giacomo Puccini nel campo operistico.
I due, fra l’altro, furono molto amici.
Si conobbero quando Tosti aveva appena
cominciato a essere il famoso “melodista”
e Puccini gli leggeva il travagliato libretto
della Manon Lescaut nel villino di Giulio
Ricordi a Cernobbio, sul Lago di Como.
Un sodalizio strettissimo, tanto che Tosti e
la moglie Berthe, assistettero Puccini a
Roma, circondandolo di affetto e
attenzioni, durante la drammatica
istruttoria, a seguito del suicidio della
cameriera del maestro, Doria Manfredi,
ritenuta da Elvira Puccini una delle amanti
del marito. Malìa è l’emblema della
romanza tostiana. Sul testo, abilissimo
artigianato di Rocco E. Pagliara, prolifico
rimatore per conto di Ricordi, fervente
wagneriano e bibliotecario del
Conservatorio di Napoli, si innesta la
musica raffinata e cordiale quintessenza
dello stile-Tosti. «La compostezza, il
carattere pacato e sentimentale del brano,
uniti a una estrema economia di mezzi
tecnici, sembrano studiati per esprimere
Amadeus 51
DʼANNUNZIOperTOSTI
L’alba separa dalla luce l’ombra*
L’alba separa dalla luce l’ombra,
E la mia voluttà dal mio desire.
O dolci stelle, è l’ora di morire.
Un più divino amor dal ciel vi sgombra.
Pupille ardenti, o voi senza ritorno Stelle
tristi, spegnetevi incorrotte!
Morir debbo. Veder non voglio il giorno,
Per amor del mio sogno e della notte.
Chiudimi, o notte, nel tuo sen materno,
Mentre la terra pallida s’irrora.
Ma che dal sangue mio nasca l’aurora
E dal sogno mio breve il sole eterno!
*(da Quattro canzoni d’Amaranta, 1907)
musicalmente l’atmosfera del testo»,
precisa Sanvitale, «per intenerire e
ammaliare magicamente l’ascoltatore,
come nel caso del primo verso Cosa c'era
ne 'l fior che m’hai dato». Tosti seppe
scegliere non solo rimatori periti, ma
autentici poeti, come nel caso di una delle
sue più celebri melodie: il canto
napoletano, Marechiare (1886), versi di
Salvatore Di Giacomo, poeta che
Benedetto Croce definì il sollevatore
«della canzone di Piedigrotta a istituzione
letteraria, e, per virtù del suo genio, a
opera originalissima di poesia».
Lo spunto, secondo la leggenda diffusa
dalla Gazzetta Musicale di Milano di
Ricordi, venne a Tosti ascoltando «un
oscuro posteggiatore (…) il quale, prima
di iniziare l’accompagnamento delle
canzoni che il suo compagno cantava,
ripeteva ogni sera, sul suo flauto il tema
melodico dal quale sboccia la musica di
Marechiare, fresca e odorosa di alghe
52 Amadeus
marine». I legami con Roma, Napoli e
l’Abruzzo natio furono sempre saldissimi,
testimoniati dai periodi in cui il
compositore fu parte attiva del cenacolo
di Francavilla al mare, insieme al pittore
Michetti, allo scultore Barbella, a
D’Annunzio, Matilde Serao e Edoardo
Scarfoglio e a quanti venivano da loro
attratti dalla Capitale. Anche in quella
sede Tosti suonava e cantava: «senza
stancarsi, obliandosi dinnanzi al
pianoforte, talvolta improvvisando, con
una foga e con una felicità d’ispirazione
davvero singolare».
Così D’Annunzio, celato sotto lo
pseudonimo di Duca minimo, rivelava
l’amicizia e l’ammirazione per “Ciccio”
Tosti, cui affidò una poesia scritta per
scommessa (per dimostrare di saper
scrivere anche nel dialetto napoletano),
’A vucchella (1907), cavallo di battaglia
indimenticato di Roberto Murolo, in cui i
due abruzzesi riuscirono partenopei al
livello più alto possibile. Nello stesso anno,
D’Annunzio scrisse per Tosti le Quattro
canzoni d’Amaranta («di forma e di stile
piene di difficoltà») nel ritiro della
Versiliana, a Marina di Pietrasanta.
Nel ciclo, D’Annunzio sublimava
il rapporto con Amaranta (Guseppina
Mancini), il cui destino (finirà folle)
l’Orbo Veggente accomunava all’Isotta
di Wagner. Lo stesso tema della canzone
più nota – immortalata dalla voce brunita
di Caruso sul grammofono – L’alba
separa dalla luce l’ombra (vedi box sopra),
è molto tristaniano, nell’abbraccioopposizione di luce/ombra, amore/morte.
Il prezioso discorso dannunziano spinse
Tosti a cogliere le più intime risonanze
poetiche. Qui siamo già nel clima della più
eletta lirica italica: Martucci, Pizzetti,
Respighi. Quando Tosti morì – il 2
dicembre di cent’anni fa, negli anni più
cupi della Prima Guerra Mondiale – in un
appartamento dell’Hotel Excelsior di Via
Veneto a Roma, giunsero alla vedova
Berthe de Verrure, telegrammi degli amici
più cari che erano non solo il conterraneo
d’Annunzio, ma teste coronate: Re Giorgio
V e la Regina Mary, Alessandra, Regina
madre d’Inghilterra e vedova di Edoardo
VII che aveva nominato Tosti, Sir
Francesco Paolo. Telegrafarono la Serao,
i tre assi della chiave di tenore, Caruso,
Fernando De Lucia e Alessandro Bonci;
e gli operisti: Puccini, Mascagni,
Leoncavallo, Giordano, Cilèa, Boito.
Per la traslazione della salma al cimitero
del Verano c’era tutta Roma: «Guglielmo
Marconi e il sindaco Ernesto Nathan, il
basso Nazareno De Angelis e il baritono
Antonio Cotogni, l’attrice Adelaide Ristori,
i poeti Trilussa e Cesare Pascarella»,
rappresentanze politiche inglesi e italiane.
Una simile (altolocata) popolarità era frutto
della non comune versatilità di Tosti che
scrisse non solo centinaia di preziose
melodie italiane, ma altrettanto idiomatici
songs inglesi, chansons francesi
(per i maligni, per soffocare i pettegolezzi
“reali”) fu decisiva per la carriera di Tosti,
che si avvalse della collaborazione di un
illustre conterraneo, il violoncellista
Gaetano Braga, ben introdotto nei circoli
attorno alla Corte.
Le sue fortune divennero quelle
dell’Editore Giulio Ricordi, al quale Tosti
fu legato da intima e personale amicizia,
diventando una sorta di Ministro
plenipotenziario di Casa Ricordi a Londra.
Come ricorda il Sanvitale: «Ricordi, nella
politica di espansione internazionale degli
interessi della Casa, nel 1878 firma un
contratto di affitto per la propria sede di
Londra da attivarsi entro il 1880 al
numero 265 di Regent Street. Non erano
estranei, infatti, alla scelta inglese di
Ricordi, l’attività e il successo dei tanti
musicisti italiani». Prima e insieme a Tosti,
stimati musicisti italiani dirigevano l’opera
come Michael Costa e Luigi Arditi e Luigi
Mancinelli, o insegnavano canto nei
colleges più prestigiosi come Pasquale
Mario Costa e Luigi Denza.
«Nel maggio del 1879 Tosti compose a
Nel dicembre 1916, per la traslazione
della salma al cimitero
del Verano c'era tutta Roma
(il languido mal d’amore di Pour un
baisier, 1905), deliziose canzoni in lingua
napoletana e nel natìo vernacolo abruzzese.
Contò molto la perizia indiscussa come
maestro di canto (consigliato anche da
Verdi), già disputato dai blasonati della
nuova Capitale del Regno: i Giustiniani, i
Del Drago, i Massimo, i Borghese, i Chigi.
In Roma Capitale, Tosti fu insegnante
– e forse qualcosa di più – della Regina
Margherita di Savoia, animatore dei
suddetti salotti aristocratici, dove lo aveva
introdotto Giovanni Sgambati,
l’aristocratico allievo romano di Liszt,
che era solito svernare a Roma. L’idea
di trasferirsi da Roma alla capitale
dell’Impero britannico
Londra la sua prima romanza su testo
inglese, For Ever and For Ever! che Ricordi
edita il 29 giugno dello stesso anno
destinandola a quel mercato: uno
strepitoso successo che in pochi mesi
raggiunge le 50.000 copie vendute».
Un successo che divenne una costante,
e gli valse un contratto sontuoso con
l’editore inglese Chappell per la
produzione di quattro songs l’anno.
Uno dei fattori decisivi al successo era la
“cantabilità”, intesa non solo come dono
melodico, ma come adattabilità della
scrittura musicale alla voce umana.
«Le sue romanze sono il prodotto finale di
un’attività esercitata con costante impegno
ed intelligente discrezione. Egli fu
innanzitutto un grande insegnante di
canto e come tale probabilmente l’ultimo
esponente della scuola di canto
d’ascendenza napoletana: trasfondeva
nelle sue romanze tutta la sapienza di una
tecnica inossidabile che giornalmente
esercitava con i professionisti - tutti i
grandi che frequentavano le stagioni del
Covent Garden, tra il 1880 e il 1910,
andavano spessissimo a studiare le opere
con lui, dalla Melba alla Tetrazzini,
da Caruso a Scotti».
Nei diari della Regina Vittoria sono
riportate le feste, dove davanti al Gotha
nobiliare sfilava quello vocale: il soprano
svedese Christina Nilsson, il baritono
francese Victor Maurel (primo Jago e
Falstaff verdiano), il soprano canadese
Emma Albani, i fratelli polacchi Eduard
e Jean De Reszkè, il soprano australiano
Nellie Melba e gli italiani Cremonini,
De Lucia, Caruso (tenori) e Scotti e
Ancona (baritoni). Morta Vittoria, Tosti
continuò con Edoardo VII, maestro
privato di canto di tutta la Casa reale.
La duchessa di Cambridge e altri blasonati
studiarono l’italiano per ammirazione e
per amicizia al loro maestro. Era naturale
che Puccini e Mascagni a lui si affidassero
per arrivare a Windsor. «Di tutti si hanno
lettere e citazioni sull’accoglienza
riservata da Tosti, e sull’influenza da lui
esercitata nell’introdurli e presentarli a
Corte». D’altronde il motto di questo
gran gentiluomo della melodia vocale
era: “Vivi e lascia vivere”… 
A sinistra, Nizza, marzo 1897: Francesco Paolo
Tosti è con Eleonora Duse e Matilde Serao
Amadeus 53
Hélène Grimaud
Come
L’ACQUA
Water, il suo ultimo "fluido" progetto musicale,
ora è diventato un disco. Dopo i lupi,
la natura ispira ancora la pianista francese
di Federico Capitoni
B
asta coi lupi? Non del tutto. Hélène
Grimaud continua con l’attività del
Wolf Conservation Center (di cui è
fondatrice) che per un periodo l’ha resa
quasi più famosa come animalista che
come pianista, ma che ora ha lasciato
andare da solo, essendo definitivamente
decollato: «Il progetto», dice, «è cresciuto
molto da quando ho cominciato nel 1997,
soprattutto in termini di programmi
educativi sul rispetto della natura e degli
animali. Il focus si è anche spostato dai
lupi a una più generale attenzione
all’ambiente e all’ecosistema. Quello che
volevo dimostrare è che la paura, per una
creatura diversa, è solo ignoranza». Così
adesso questa artista dai molteplici talenti
(è anche un’apprezzata scrittrice) può
legare totalmente la sua notorietà alla sua
vocazione principale e cioè al pianismo,
della cui scena internazionale è
indiscutibile protagonista da anni. In Italia
sarà il prossimo 9 aprile al Parco della
54 Amadeus
musica di Roma con Antonio Pappano e
l’Orchestra dell’Accademia di Santa
Cecilia: suonerà il Quarto Concerto di
Beethoven. Per molto pubblico, la pianista
francese quarantaseienne è anche “quella
bella”, complice un volto che sulle
copertine dei dischi fa particolare presa.
Lei, naturalmente, se si affronta la
questione del rapporto bellezza/successo,
si schermisce: «Mi è difficile rispondere
perché non mi vedo in questi termini.
Sono sul palco da trentadue anni e non
credo sia per l’aspetto fisico. Guardiamo
Martha Argerich o Evgeny Kissin, o i
giovani pianisti di oggi: sembrano tutti
belli, ma perché hanno qualcosa da dire.
La bellezza secondo me esce fuori
attraverso la musica».
Beltà, lupi o libri, Hélène Grimaud resta
un’acclamata pianista, valente interprete di
Chopin, Brahms e Rachmaninov, che
proprio di recente è tornata a far parlare di
sé grazie a un particolare recital pianistico,
diventato anche un disco (registrato dal
vivo) in questi giorni in uscita per
Deutsche Grammophon (dal 5 febbraio),
che ha come tema conduttore l’acqua.
Water, quindi, è il titolo di una raccolta di
brani che ha non semplicemente l’elemento
acquatico come protagonista, ma più in
generale il flusso, la metamorfosi,
l’incatturabilità. Concetti che
caratterizzano dunque l’acqua come
elemento naturale e lo spirito come
concetto metafisico. Infatti tra i pezzi, di
compositori che vanno da Berio e
Takemitsu a Fauré e Liszt, ci sono titoli
didascalici e altri dove non è tanto l’acqua
a essere protagonista, quanto alcune sue
caratteristiche. Nel caso per esempio di
Albéniz, Almería, l’elemento è
«l’ondulazione ritmica che rispecchia la
vita, scandita dal mare, della popolazione
di quella città costiera», dunque un
principio musicale che però può qualificare
Amadeus 55
«Quando scrivo, scelgo la parola,
compio una traduzione del sentimento;
con la musica questo non è possibile.
Con la musica non si può mentire»
56 Amadeus
l’acqua in movimento. In questo concept
album i pezzi pianistici sono intervallati
da alcune composizioni elettroniche,
chiamate “transizioni”, di Nitin Sawhney,
compositore angloindiano, molto amato
dalla pianista, che ha anche prodotto il cd:
«Gli ho chiesto subito di collaborare a
questo progetto. L’idea», continua la
pianista, «era di aprire nuovi orizzonti di
suono non comuni in un recital di
pianoforte. Ha cercato di sintetizzare
diverse tradizioni musicali e ha dato,
creando dei ponti tra una musica e l’altra,
una particolare continuità, comprendendo
immediatamente l’atmosfera del lavoro».
Anche se apparentemente i brani di
Sawhney sembrano non c’entrare nulla con
il suono che abita il cd, essi servono
appunto a passare da una stanza all’altra
di un edificio molto eterogeneo per epoche
e compositori. È un filo rosso
concretamente sonoro, non concettuale,
che contribuisce a riconoscere tutte le
forme che l’acqua può assumere.
Grimaud, che origine ha questa idea
dell’acqua che lega tutti i brani?
«La suggestione è iniziata quando ero
piccola, prima con le Années de
pèlerinage di Liszt poi, visto che
comunque studiavo in Francia, con le
musiche di Debussy e Ravel che
ricorrevano spesso a temi acquatici.
Subito riconobbi che molti compositori
avevano una fascinazione dall’acqua.
Così adesso ho deciso di creare un
programma su questo argomento. Non è
stato facile scegliere poiché i pezzi legati
all’acqua sono moltissimi, dunque ogni
scelta è stata arbitraria e senza alcuna
ambizione “collezionistica” o di
completezza. Così ho cercato di
rappresentare al meglio i compositori e
nello stesso tempo di alternare pezzi al
programma (che parlano di acqua) ad altri
in cui invece l’acqua è lo spirito che li
anima. Per esempio, Jeux d’eau di Ravel
appartiene al primo gruppo, In the Mists
(n. 1) di Janáček, al secondo.
Ciò che trovo interessante è come il
linguaggio musicale esprime l’acqua e il
suo flusso. A pensarci bene il pianoforte
non ha molti espedienti: arpeggi,
risonanze, poco altro. Eppure i pezzi del
disco sono tutti diversi. Questo perché
l’acqua è fluida, cambia, quindi ha
diverse manifestazioni».
Tra i motivi che l’hanno condotta
alla scelta dell’acqua, c’è anche l’aspetto
del rapporto con la natura. Ma i
compositori in questione ci pensavano?
«La natura li ha probabilmente ispirati,
ma non credo avessero (a parte forse i più
contemporanei) coscienza di questioni
ambientali e dell’importanza dell’acqua
per il pianeta, visto che non c’erano
i problemi climatici di oggi».
Nel proporre dal vivo questo disco,
la seconda parte del concerto la dedica
a Brahms, uno dei compositori che
suona più spesso. Che rapporto ha con
la sua musica?
«Non so da dove venga questa attrazione,
ma c’è da quando ero bambina. Trovo nella
sua musica una perfetta sintesi tra
classicismo e romanticismo, quindi la
coniugazione tra il rigore della struttura
e l’espressione del sentimento.
C’è sempre tensione, controllo senza essere
trattenuti. A ogni modo, è un’affinità
soggettiva, più alchemica – come tra due
persone – che cerebrale».
Il repertorio classico ha sedimentato
decenni di interpretazioni. Come, oggi,
un musicista può suonare in maniera
“nuova”, diversa, un brano passato sotto
innumerevoli mani?
«Ogni interpretazione è nuova. Lo è
perché le persone che la danno sono
diverse e anche la stessa persona è diversa
da un giorno all’altro. Quindi la copia non
è comunque possibile, se ovviamente hai
una personalità artistica, altrimenti è
un’imitazione di cui nessuno ha bisogno. I
professionisti non si stanno a interrogare
sul passato delle interpretazioni per fare
qualcosa di diverso, pur tenendo in
considerazione i maestri. Anche io ho
degli interpreti di riferimento, come
Gould, Gilels, Serkin, ed è difficile dire
qualcosa che non sia stato detto. Ma allo
stesso tempo bisogna avere la mente
aperta abbastanza per sentire la ricchezza
che ogni musicista sa restituire. Anzi, ciò
che è interessante è proprio vedere cosa
ogni artista sa portare alla luce di una
composizione e d’altro canto l’unico modo
per dare vita alla musica è suonarla. Alla
fine ciò che conta è essere onesti: se cerchi
a tutti i costi l’originalità solo per essere
differente, sbagli. E bisogna essere
generosi, dare cioè tutto».
Spesso ha sottolineato il suo carattere
ribelle e autonomo. Come se l’è cavata
nell’ambiente accademico durante
i suoi anni di studio?
«Al Conservatorio ho certamente imparato
tanto, specialmente perché ho iniziato
tardi, da adolescente, non a tre o quattro
anni come tanti colleghi. Si tratta di
un’istituzione importante e meritevole di
considerazione. Allo stesso tempo, però,
ho trovato il sistema limitato,
nei programmi di studio e nella visione
complessiva. Ho sempre pensato che
il conservatorio debba aprirsi un po’ di
più e coinvolgere maggiormente gli
studenti, che per la gran parte del tempo
studiano a casa. E bisogna avere la
fortuna di incontrare bravi insegnanti,
come è successo a me».
Lei ha anche una costante attività
di scrittrice. Ha in programma
un nuovo libro?
«No, per il momento. Normalmente passa
del tempo tra un libro e l’altro. Non mi
considero una scrittrice perché scrivo lavori
autobiografici e l’auto-fiction non è vera
letteratura. Per me è solo un modo per
comunicare quello che non riesco a dire con
la musica. Ovviamente è più realistico, più
dettagliato, ma meno “onesto” perché
passa attraverso l’operazione
intellettuale del pensiero. Quando
scrivo, scelgo la parola, compio cioè
una traduzione del sentimento; con la
musica questo non è possibile. Con la
musica non si può mentire, soprattutto
se si è sul palco».
A proposito di questo, quanta
verità c’è nel libro Lezioni private,
in cui la protagonista racconta di un
suo viaggio in Italia?
«Nessuna, in quel caso ho inventato tutto.
Pensi che non sono mai stata a Venezia nella
mia vita. Certamente per raccontare quei
luoghi ho letto molto. Anche i personaggi
non esistono, ma sono manifestazioni
di caratteri di persone che conosco o che
ho incontrato. Il novanta per cento
insomma è immaginato, ma l’esperienza
narrata è davvero personale». 
Amadeus 57
Storia & Storie
RINNOVARSI
o morire
L'epistolario rivela l'inedito tratto del Puccini critico musicale,
riservato a familiari, amici, collaboratori.
Gusti personali, giudizi folgoranti, intuizioni sul futuro
di Alberto Cantù
C
hi sa fa, chi non sa fare critica», chiosava la mente
acuminata di Georg Bernard Shaw. Il quale Shaw però,
oltre a sapere fare, era pure critico musicale formidabile sia
pure per procurarsi l’argent de poche. Per primo individua in
Giacomo Puccini – ascolta Manon Lescaut a Londra; è il 1894 –
l’erede di Giuseppe Verdi. Lo riconosce tale anche se ben
comprende che il mondo pucciniano dista anni luce da quello
verdiano nel rispecchiare – Puccini campione della modernità – le
ansie e gli smarrimenti dell’uomo del XX secolo, nell’accogliere e
lenire i suoi bisogni emotivi.Shaw risulta precocissimo e iperacuto
anche nel confronto Puccini-Mascagni e nel valutare a caldo
Cavalleria rusticana, per nulla turbato dalla turbolenza mondiale
che l’atto unico provoca dalla sua apparizione romana nel 1890. Se
in Puccini – scrive – «il contesto è così cambiato che si potrebbe
pensare di essere in un paese nuovo», Cavalleria come i Pagliacci
prossimi venturi (1892) di Ruggero Leoncavallo, non è altro che
«l’opera di Donizetti razionalizzata, concentrata, inzeppata e
radicalmente modernizzata»
A differenza di Robert Schumann, per cui quella di critico
musicale è professione ed arte, o di Hector Berlioz, pagato un
tanto a riga – anche per lui il mestiere di chroniqueur rientra fra i
travaux alimentaires –, Puccini non esercita mai la critica.
58 Amadeus
Almeno non lo fa ufficialmente o in senso tradizionale ma le
lettere alla mamma Albina e al fratello (i Puccini sono musicisti
da cinque generazioni), all’editore e vice padre Giulio Ricordi o ai
tiranneggiati librettisti contengono osservazioni e pagine critiche
di tutto rispetto anzi folgoranti. Che il primo volume
dell’Epistolario (a cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter
Schickling) per l’Edizione Nazionale delle Opere di Giacomo
Puccini (Olschki, Firenze 2015) – 150 lettere inedite – conferma e
ribadisce sin dagli anni 1877-1896: l’arco di tempo che copre gli
studi milanesi, Le Villi, Edgar e La bohème.
Ascoltando “Cavalleria”
Ecco così un Puccini che non è da meno di Shaw quanto ad
acutezza nel suo giudizio su Cavalleria nonostante voglia bene
all’ex compagno di studi milanesi e (forse) di stanza, a colui
assieme al quale ha comprato lo spartito del neo pubblicato
Parsifal. Prendiamo una lettera dell’agosto 1890 a «Miele»
(Michele), il fratello mezzo musicista e tutto scavezzacollo
precocemente scomparso. Cappello, come si dice in gergo
giornalistico (filato: senza punteggiatura). «Mascagni è salito alla
gloria la più sgonfiata si è fatta la Cavalleria Rusticana prima a
Roma poi Livorno Firenze Bologna Torino adesso si farà alla
Scala dove quest’anno impera [l’editore] Sonzogno si darà il
Cid la Cavalleria, la Lionella di Samara [prima alla Scala] e
un’opera nuova di Gomes [autore del popolare Guarany] del
quale l’altro giorno al Dal Verme sentii la Fosca [del 1873]
orribile opera senza l’ombra di modernità e senza quella vena
melodica italiana all’antica, niente, preferisco la Jone [di
Petrella] figurati! Almeno nel suo trivialismo è più sincera».
Massenet alla Scala, l’Erodiade ascoltata «in piccionaia con una
lira e mezzo» («che bella musica!; il pubblico [sulle prime
maldisposto] si è dovuto chinare davanti al Genio indiscutibile
di Massenet»; l’Oratorio La Rédemption di Charles Gounod,
battezzato alla Scala sotto la bacchetta di Franco Faccio nel 1883,
invece non gli piace: roba vecchia che lo ha «nojato mortalmente».
Wagner e l’influenza
Quanto a Wagner, per tornare alle “anime” pucciniane, da erede
di musicisti che da generazioni sono chiamati per fornire lavori
alle festività civili e religiosa di Lucca, Puccini chiede al
drammaturgo strumenti concreti, linguistici da annettere al
proprio mondo. Ricordi lo manda a Bayreuth, sulla Sacra
collina, per i Maestri cantori in vista dell’allestimento scaligero
prossimo venturo – prima italiana – che prevede una versione
stile Reader’s Digest: scorciata (da Puccini) d’un terzo. Giacomo
ne parla in una malinconica lettera-cronaca al fratello del 1°
maggio 1890. «I Maestri cantori alla Scala hanno avuto una
buonissima esecuzione, specie la Gobbi [recte Gabbi]. Ma non
ci va nessuno. Qui tutti hanno l’influenza compreso [il maestro
concertatore Franco] Faccio e molti dell’orchestra e dei cori.
[…] Tempo orribile. Nebbia e pioggia fina. Mezza Milano è
influenzata. Domani credo che chiudano le scuole».
Effetti e pistolotti
Valutazione critica di Cavalleria (e pensi a Shaw) con
premessa. «Ritornando a Mascagni, il Corriere e la Lombardia
ne dissero ira di dio; il Corriere dice che è una fila di
canzonette alla Tosti e la Lombardia l’analizza nota per nota
distruggendo tutto. Intanto il Secolo [quotidiano di Sonzogno]
strombazza ai 4 venti il nuovo Genio etc: la Musica Italiana
risorta lo chiama il Bizet d’Italia [sottolineatura d’enfasi e
disapprovazione]». Giudizio lapidario ma non sommario.
«A me piace poco la musica, niente originalità e ha rubato
tutto, effetti vecchi; l’unico pregio è il dramma bellissimo
di Verga ridotto a melodramma benissimo e la gran rapidità
e facilità di melodie, scorrevoli orecchiabili, con violinate,
insomma tutti i pistolotti finora in uso».
Se il baritono è vile
Dopo le prove di Manon Lescaut (lettera a Ricordi dell’agosto
1892; l’opera sta per debuttare al Teatro Regio di Torino) dice
che orchestra e coro «fanno niente più che le note, non hanno
forza, par che suonino, e cantino sotto il palco ». Del baritono
che debutterà Marcello, Tieste Wilmant (lettera a Luigi Illica
del 1° ottobre 1896) ribadisce: «è vile; non capisce uno zero;
e non riuscirà neppure si provasse quanto a Bayreuth»
(viene in mente Michelangelo Zurletti quando, a proposito
di un sedicente Heldentenor, scrisse che aveva «l’eroismo
d’un bignè»: bei tempi!).
Quel genio di Massenet
Certo. Puccini critico musicale spesso assona con Puccini
compositore e le sue tre “anime”: italiana, francese, e tedesca,
Anima italiana vuole dire teatralità infallibile che Giacomo
eredita anzitutto dal suo maestro di composizione a Milano
Amilcare Ponchielli e naturalmente dalla lezione di Giuseppe
Verdi (la folgorazione di Aida nel 1876). Il côté francese è
attestato dal gusto armonico, da debussismi prima di
Debussy, da tinte, soggetti, ambientazione e anche
dall’amore inteso come eros. Di qui, in una lettera alla
madre del 1882, gli elogi rivolti a una novità per l’Italia di
60 Amadeus
Strauss e Debussy
Osservazioni critiche pucciniane del 1906, l’anno funestato
dalla morte di Giuseppe Giacosa (nel ’12 se ne andrà anche
il Sor Giulio). Richard Strauss. «La Salomè [sic] è la cosa più
straordinaria cacofonia terribilmente [sic] ci sono delle
sensazioni orchestrali bellissime ma finisce a stancare molto».
Pelléas et Mélisande di Claude Debussy con un giudizio da
operista nato e – appunto – italiano anche se ammiratore
(non contraccambiato) di Debussy, L’opera ha «qualità
straordinarie di armonie e sensazioni diafane strumentali».
È un teatro che però «“mai” ti trasporta, ti solleva è sempre
d’un colore “sombre”, uniforme come un abito di Francescano»;
è «il soggetto che interessa e fa da rimorchiatore alla musica»
(n.b.: alla ricerca del soggetto giusto che sarà Madama Butterfly,
Puccini pensa a Pelléas et Mélisande. Pare che Maurice Maeterlinck
restasse molto deluso dall’accordo mancato con il celebre operista;
i diritti, però, li aveva già ceduti a Debussy).
Melodia addio
Aggiornato e curioso, acuto e coerente – il fascino delle
“sensazioni” non basta a fare teatro musicale – Puccini vede
il mondo che cambia sotto i suoi occhi in un decennio difficile
per lui e per tutti: «Rinnovarsi o morire?» si domanderà
retoricamente. I tempi, più ancora che il tempo, incalzano e
affannano: «È triste, è triste molto perché il tempo se ne va di
corsa». E confessa: «Com’è difficile scrivere un’opera oggi!».
La polemica lo porterà a dire, più borbottone che convinto delle
sue parole: «Ormai il pubblico per la musica nuova non ha più
il palato a posto; ama, subisce musiche illogiche, senza buon
senso. La melodia non si fa più o, se si fa, è volgare. Si crede
che il sinfonismo debba regnare e invece io credo che è la fine
dell’opera di teatro. In Italia si cantava, ora non più. Colpi,
accordi discordi, finta espressione, diafanismo, opalismo,
linfatismo. Tutte malattie celtiche, vera lue oltremontana».
Ne «la melodia non si fa più» c’è anche la polemica nostrana con
Ildebrando Pizzetti e il suo declamato; e una valutazione, peraltro
azzeccata, di Debora e Jaele (1922, gli “brucia” anche che a
dirigerne la prima alla Scala sia l’odiosamato Toscanini ) dove
– notazione profetica – «l’abolizione della melodia è un grande
sbaglio perché quest’opera non potrà mai aver vita lunga».
Roba da matti
Ancora. Se la chiosa pucciniana sul Sacre du printemps
di Stravinskij è «roba da matti» (ma in Turandot un passo
– le quattro note di “Mai non langue”, fa il paio con uno negli
Auguri primaverili proprio del Sacre), a Vincenzo Tommasini,
incontrato in una via di Parigi, dopo avergli chiesto se avesse
ascoltato e visto la novità stravinskiana – non ancora – caldeggia:
«Ci vada; perché di quella musica si parlerà ancora quando non
si parlerà più della mia». Roba da matti ma da matti di genio
che fanno la Storia della musica come Puccini critico riconosce. 
In queste pagine, due lettere di Giacomo Puccini riportate nel primo
volume dell'Epistolario curato da Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling:
in apertura, lettera al librettista Luigi Illica conservata al Fondo Illica
della Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza, istituzione che, nel mondo,
per numero di lettere di Puccini conservate è seconda solo a Museo
Puccini di Lucca; a sinistra, lettera a Carlo Clausetti, all'epoca direttore
della filiale Ricordi di Napoli (collezione privata)
Amadeus 61
Emma Dante
Una parte
DI ME
Crede nei percorsi, non negli eventi.
Anche nella regia d'opera. Che affronta
in punta di piedi, ieri al Teatro alla Scala
con Carmen, oggi all'Opera di Roma
con Cenerentola
di Valerio Cappelli
F
orse non tutti sanno che Emma Dante
nasce attrice. All’inizio fece piccole
cose accanto a due giganti come
Gassman e Mastroianni: «Un mostro di
naturalezza. Gassman invece portò a un
programma televisivo gli allievi
dell’Accademia d’arte drammatica, che
avevo frequentato. Ci diceva: “Vi odio perché
siete giovani”». Quando nel 2009 debuttò
come regista alla Scala, Emma nel mondo
dell’opera apparve come la neofita conosciuta
solo dall’avanguardia teatrale: molto
apprezzata dagli addetti ma ancora da
scoprire per il grande pubblico.
Improvvisamente ebbe il suo battesimo di
fuoco a Milano, con una Carmen destinata a
dividere gli spettatori. Firmò altre regìe
liriche. È una artista che fa un teatro sociale,
molto fisico e musicale nel senso che attinge
al suono del dialetto più stretto. Eppure non si
considera ancora una regista d’opera.
Nel teatro musicale dice di lavorare solo
quando ha la possibilità di immergersi in un
62 Amadeus
progetto senza limiti di tempo. «Credo nei
percorsi, non negli eventi», dice.
Per esempio, La Cenerentola di Rossini con
cui ha appena fatto il suo debutto assoluto
all’Opera di Roma (a febbraio si replica il 12
e il 19, direttore Alejo Perez, protagonista
Serena Malfi) ha cominciato a prepararla un
anno fa a Palermo con la compagnia dei suoi
attori, denominata Sud Costa Occidentale,
poi un mese di prove nella capitale.
A prima vista, Emma Dante che mette in
scena Cenerentola è qualcosa di lontano da
immaginare. Poi pensi al ritmo, alla denuncia
sociale che pure esiste all’interno della
favola, alla vita quotidiana per la
sopravvivenza, al realismo spicciolo di
Rossini, a tutti quegli aspetti che forgiano
il teatro della regista palermitana, e allora
prende forma l’intuizione spiazzante.
Un’opera come Cenerentola la sente
vicina o lontana?
«In Cenerentola ho ritrovato una parte di me.
Ho fatto spettacoli per l’infanzia. Per me le
favole sono un territorio di grandi scoperte e
esplorazioni. Quando ho ascoltato l’opera
di Rossini ho capito che ci sono cose che
coincidono con me, anche se, è vero, di
primo acchito no. Penso alla scena della
tempesta, che viene raccontata con la musica.
Ho immaginato una tempesta di botte,
la violenza è dentro la casa, la musica ti dà
delle suggestioni, ti fa venire in mente il
patrigno e le sorellastre, il perfido trio».
Qualcuno aveva parlato di una
Cenerentola, anzi di Angelina, come si
chiama in questo lavoro, alla riscossa.
«È una favola che ha elementi violenti,
essendoci questo rapporto familiare
difficile, complesso, conflittuale col
patrigno e le sorellastre, e lei che viene
spogliata dei suoi averi da queste tre
creature perfide. Si intravede una violenza
domestica su di lei. Non è stata una
messinscena edulcorata, si raccontano la
favola e il segreto di una famiglia, come
vive quella ragazza ridotta al ruolo di serva
a cui vengono fatti dei soprusi. C’è nel
finale del racconto tutt’altro che il perdono,
i cattivi vengono simbolicamente puniti».
Non c’è nella storia.
«È una mia interpretazione, non sopporto il
perdono e i lieti fine, penso che va punito chi
ha fatto del male. Ma ho rispettato il libretto:
il bracciale al posto della scarpina eccetera.
Però non devo illustrare: devo interpretare».
La sua Cenerentola-Angelina è circondata
da strane creature.
«Sono cinque bambole meccaniche, sai
quelle con la chiavetta dietro? Sono le sue
Amadeus 63
proiezioni, amiche, accompagnatrici, come
un modo per vivere la solitudine con meno
dolore, sono il suo segreto favolistico,
spazzano, fanno i servizi in casa. All’inizio
c’è un bel passaggio musicale, Cenerentola
di qua, Cenerentola di là, la chiamano
continuamente, come se si dovesse
sdoppiare per fare tutto quello che le
chiedono. Ho pensato che l’idea potesse
essere raccontare il dono dell’ubiquità con
la mia compagnia di attori».
Facevano i mimi?
«No, sono attori! Nel linguaggio dell’opera
vengono chiamati figuranti o mimi, invece io
porto il teatro all’opera, anche se non parlano,
non recitano e non cantano, loro rispettano la
drammaturgia dei corpi a volte in modo più
eloquente delle parole. Le aspiranti spose
erano tutte vestite da sposa al ballo, poi si
scopre che sono armate, in competizione tra
di loro per la scalata sociale, vogliono mettere
le tende a Palazzo e sono disposte a tutto».
64 Amadeus
Difficile ripensare ad altre edizioni.
«Amo quella di Ponnelle, ma mi sono ispirata
piuttosto al movimento pop surrealista
americano, a certi quadri di ambientazione
favolistica con elementi macabri o di
minaccia. Ecco, una favola minacciosa».
Non sono sempre minacciose, le fiabe?
«Siamo noi che cerchiamo di depurarle
quando le raccontiamo, la favola è il luogo
dove esiste anche la crudezza, si racconta
la verità in modo sublimato».
L’ha ambientata ai nostri tempi?
«No, c’è anche la carrozza. È una favola dei
nostri tempi. Non sopporto le ambientazioni
moderne delle opere, ho bisogno di tornare
all’antico per trovare il moderno, a qualcosa
di lontano da me per poterlo acchiappare. Qui
c’è molto di onirico, mitologico, è una storia
che raccontiamo da tanto tempo ai nostri figli
e che abbiamo sentito da quando eravamo
bambini. C’è qualcosa di antico che voglio
recuperare, che ha a che fare con la mia
infanzia. L’antichità è tornare bambini».
È d’accordo che in “Cenerentola” si ritrova
il suo teatro, a dispetto delle apparenze?
«Sì, quando l’ho studiata ho ritrovato tante
cose del mio teatro, che non è lugubre e cupo
come si può pensare. Il lato surreale di
Cenerentola, fa parte del mio linguaggio».
Carmen al Teatro alla Scala è stato
il suo debutto all’opera. Com’è entrare
dalla porta principale?
«Vi entrai con inconsapevolezza,
la sensazione che mi viene in mente è
l’incoscienza. Se tu entri dalla porta
principale con genuinità e autenticità puoi
fare grandi cose; se entri in punta di piedi e
la consapevolezza di essere dentro un grande
tempio quasi religioso, è finita, è impossibile
da gestire, se hai paura sei già vinto».
Ci furono applausi e dissensi.
«Ho fatto il mio lavoro come avrei fatto in
qualsiasi altro luogo, mantenendomi fedele al
mio linguaggio teatrale. Non mi è importato
nulla di essere stata contestata, ho fatto quello
che volevo fare col sostegno di un grande
artista come Daniel Barenboim. Avevo il suo
consenso e mi bastava. Tornando la sera di
quel 7 dicembre 2009 a casa a Milano, ho
ricevuto minacce, sia su internet che sul mio
computer: “vai via, non ti presentare mai
più…” di una violenza inaudita, melomani
pazzi che mi scrivevano cose atroci. Spero di
continuare a produrre reazioni vitali, se ci
sono fischi te li prendi, se poi diventa una
questione di principio dà fastidio. Quella
Carmen è uno dei miei spettacoli più belli».
All’opera bisogna fare i conti con i più
tradizionalisti, che si sentono depositari di
una memoria di carta, che non esiste.
«L’opera è specchio dell’Italia, un paese
conservatore in tutto, che ha paura del
nuovo, dell’ignoto. Nel teatro di prosa
(lo dico in maniera provocatoria) sono
reazionaria, guardo al passato. Sono anche
feroce, cerco di far bruciare gli occhi ma
senza compiacimenti, non voglio
sconvolgere gli altri: voglio sconvolgere
me. Nella lirica, forse perché conosco meno
la materia, vado in punta di piedi, è la
musica che decide il mio lavoro, non mi
piace la provocazione fine a se stessa, trovo
insopportabili molte regie tedesche».
In Italia invece…
«In Italia i melomani non vogliono essere
disturbati dalle regie, da troppe idee. Fare
un’opera lirica è snervante, c’è un metodo
radicato e io vado contro questo sistema.
Prima delle prove faccio laboratori, studi.
Questo modo di usare il tempo non aiuta a
sperimentare. È un paese che ha perso il
coraggio, è come se ci fosse una specie di
anestesia, tutto è addormentato».
Però in seguito ha fatto altre regìe d’opera.
«La muta di Portici all’Opéra Comique a
Parigi e poi al Petruzzelli di Bari, dove andò
meglio. Lì ho conosciuto Carlo Fuortes, che
ho poi ritrovato sovrintendente all’Opera
di Roma per La Cenerentola. Al Teatro
Massimo della mia città, Palermo, ho allestito
in due inaugurazioni Feuersnot di Richard
Strauss e Gisela! di Henze».
Gisela! fu l’ultima opera di Henze:
quando non si hanno riferimenti alle
spalle un regista è più libero di pensare
alle sue “ossessioni”.
«È un omaggio di Henze all’Italia, mise a
confronto la Germania e Napoli. Ci sono
elementi autobiografici nella storia di una
ragazza tedesca che si trova col fidanzato
in vacanza nel nostro paese, e si innamora
di un napoletano, una guida turistica
che la sera interpreta Pulcinella a teatro.
Il libretto è sulla falsariga delle trame
d’opera: lei, lui e l’altro che si arrabbia”.
Pulcinella, per una regista che fa un teatro
di segni fisici forti e dirompenti come lei…
«Ho lavorato sulla malattia di Pulcinella
che rivela la sua anima più malinconica,
«Nella lirica
non mi piace
la provocazione
fine a se stessa,
trovo insopportabili
molte regie
tedesche»
sulla sua nevrosi più che sugli stereotipi.
Poi c’è il Vesuvio, che mi segue in tanti
spettacoli, come segni di un destino che non
leggo: come fai a mettere in scena un
vulcano? È contro i miei principi, si rischia
l’oleografia. Bisogna giocare con i simboli».
Con Palermo lei non ha un rapporto facile.
«È una città allo sfascio, con un forte degrado
culturale e civico. La mancanza di rispetto
per l’altro, per i luoghi pubblici, per il bene di
tutti…Si è riseduta, riammuffita, è tanto
regredita. Ho un buon rapporto invece con le
istituzioni. Dal Massimo al Teatro Biondo,
che stava morendo, era in grande crisi, non
aveva più pubblico, ho allestito la scuola dei
mestieri e dello spettacolo. Mi occupo della
formazione, insegno non solo recitazione ma
tutto ciò che circonda il fare teatro, come si
fa la scenografia, le luci…A Palermo non ci
ho vissuto sempre, ci sono tornata da quindici
anni, sono stata a Roma per l’Accademia
d’arte drammatica, a Torino dove ho fatto
parte della compagnia di Gabriele Vacis».
Come regista d’opera si considera un
outsider?
«Non mi sento tanto una regista d’opera, non
voglio fare uno spettacolo ogni anno, faccio
solo progetti con persone che stimo. Il mio
rapporto con la musica? Non avevo una
predilezione per un certo tipo di musica. Ero
arida da adolescente. Utilizzo molto, nei miei
spettacoli, Bach, Mozart e Beethoven. Non ho
un compositore di riferimento. Sono stata una
ragazza introversa che stava nel silenzio,
circondata dal silenzio nella mia stanza, con
gli occhi al soffitto immaginavo le cose che
mi piacevano. Tutte le cose di cui mi nutro
non c’erano, come se avessi preparato il
terreno per accoglierle. Poi sono arrivate».
E il cinema?
«Il mio film, Via Castellana Bandiera, non è
mai uscito in dvd e non è stato mai acquistato
da Sky. È stato abbandonato, dimenticato.
Forse perché non faccio parte di nessuna
famiglia, ora fatico a trovare una produzione
per il mio secondo film, dal mio spettacolo
teatrale sulle Sorelle Macaluso. Eppure il mio
esordio andò in gara alla Mostra di Venezia, e
vinse due premi, migliore attrice Elena Cotta e
migliore colonna sonora. Come se non avessi
fatto nulla. A teatro ho grandi soddisfazioni,
riesco a fare progetti che hanno un senso
profondo. Ma il cinema è una spina nel cuore».
In “Le sorelle Macaluso” c’è un funerale.
Lei si avvicinò al teatro dopo un lutto,
l’incidente d’auto di suo fratello, e quando
scoprì che sua madre era malata terminale.
«In quello spettacolo c’è un funerale di una
delle sorelle, ma lei non lo sa. È una delle mie
parabole sulla morte, che ci sta accanto anche
se noi facciamo finta di non saperlo. Quanto a
me, il dolore anziché annientarmi mi ha dato
una consapevolezza della morte, che non è
una cosa solo negativa, ti apre la testa e ti fa
vedere cose che prima non vedevi, entri in
una percezione diversa del mondo. Dentro di
me qualcosa di potente ha cominciato a
scricchiolare, ho cominciato a scrivere da un
altro punto di vista. E ho scoperto il teatro». 
Emma Dante al lavoro sul palcoscenico del Teatro
dell'Opera di Roma con gli interpreti della
Cenerentola di Rossini, in scena sino al 19 febbraio
Amadeus 65
Tendenze
VIETATO
annoiarsi
Il violino crossover di David Garrett, l'ironia
di Igudesman&Joo, il cabaret delle Salut Salut. E una serie tv.
Aggirare il pregiudizio anticlassica: prove e strategie
di Luisa Sclocchis
Q
uale futuro per la musica classica?
La risposta per evitarne un possibile
declino pare consistere nell’attrarre
nuovo pubblico, nell’avvicinare i più giovani
e vincere il pregiudizio che la
identificherebbe ancora come un genere di
difficile ascolto riservato a una ristretta élite.
Come? Le strategie a opera degli addetti ai
lavori, musicisti, direttori artistici e
organizzatori, sono varie. Leitmotiv?
Coinvolgere, e fare della musica un aspetto
del quotidiano: dalle iniziative a sfondo
sociale alla musica nelle scuole, dalla
commistione con altri generi alla proposta
della musica classica in luoghi alternativi
rispetto alle consuete sale da concerto.
Anche i luoghi dedicati all’alta formazione
musicale in Italia, negli ultimi tempi, si sono
scrollati di dosso quell’aria vetusta e
quell’atmosfera vagamente museale:
nell’offerta formativa compaiono, insieme a
quelle tradizionali, discipline come jazz,
musica elettronica, etnomusicologia,
66 Amadeus
management. Tuttavia, il pregiudizio pare
essere ancora piuttosto diffuso, anche in
Paesi in cui la musica classica è certamente
più “sentita”: quelli della Mitteleuropa, in
particolare, in cui, secondo il modello della
Grecia classica, le è riconosciuto un ruolo
fondamentale nella formazione della persona.
Rimane un dato ineludibile: a prevalere nelle
sale da concerto sono le chiome cineree. Un
felice tentativo di “rottura degli schemi” è
certamente quello del violoncellista Mario
Brunello che, con i Suoni delle Dolomiti,
porta la musica da camera in “contesti altri”,
proponendo un insieme di riletture di
“intoccabili” capisaldi del repertorio classico
rigorosamente “in quota”.
Seguendo questo “fil rouge” potremmo
includere, tra le strategie per “avvicinare”, i
concerti voluti e organizzati della
Filarmonica della Scala in Piazza Duomo a
Milano. Dopo Stefano Bollani e Lang Lang,
protagonista del 2015 accanto a Riccardo
Chailly, il celebre musicista “crossover”
David Garrett, violinista tedescostatunitense, apprezzato come interprete
classico da nomi del calibro di Zubin Mehta
e Daniel Barenboim. Studi compiuti alla
Juilliard di New York, Itzhak Perlman come
mentore e incisioni attualmente per Decca e
per le maggiori etichette discografiche:
Deutsche Grammophon gli fece il suo primo
contratto discografico nel 1994 - quando
aveva solo 14 anni - facendogli registrare
due Concerti mozartiani nientemeno che
con Claudio Abbado. tra cui Deutsche
Grammophon. Suona un violino Stradivari e
un Guadagnini. Il segreto del suo successo?
Parrebbe, la cura dell’immagine così come
della comunicazione (su YouTube lo
troverete anche protagonista di un "mini
reality" web a puntate). Invece, alla
domanda “come conquistare nuovo
pubblico?”, Garrett risponde «Amando ciò
che fai. Questo è visibile sul palco e quando
parli delle cose: la cosa più attraente nelle
Amadeus 67
persone non è l’aspetto o il modo di vestire
ma ciò che amano fare e come ne parlano.
Insomma, il segreto è forse proprio non
cercare di catturare nuovo pubblico». Sulla
sua interpretazione dei capolavori della
musica classica dice:«L’interpretazione non
può essere troppo personale poiché segue
ciò che è scritto in partitura. Si è interpreti
dell’idea del compositore. Naturalmente,
esistono diversi aspetti su cui si può
intervenire: il suono è probabilmente la
cosa più personale». L’estrema poliedricità
gli consente di assumere la duplice veste di
solista nei celebri concerti del repertorio
violinistico, ma anche di scatenato interprete
di cover del repertorio rock. Il suo rapporto
con tradizione e innovazione? «Penso si
debba sempre partire dalla tradizione.
Bisogna conoscere profondamente la
tradizione per essere innovativi». La sua
visione del futuro della musica classica?
«Non so cosa riservi il futuro. Ma è ovvio
che per la musica classica ci sarà sempre un
posto in questo mondo, per me si tratta di
musica senza tempo così come la musica
pop o rock. E un gran pezzo sarà sempre un
gran pezzo, quindi non mi preoccupo».
Nonostante lo scetticismo e le
manifestazioni di vago conservatorismo dei
puristi del genere, che mal sopportano l’idea
di una musica nobile che esca dal tempio a
lei dedicato, sono tanti ormai a riconoscere
il valore delle varie riletture del repertorio
classico. Sempre a condizione che a proporle
siano musicisti di elevatissimo livello. In
proposito si possono ricordare le “parodie”
proposte dal duo Igudesman&Joo. Il
violinista Aleksey Igudesman e il pianista
Hyung-ki Joo, eccellenti musicisti di
formazione classica, si incontrano dodicenni
alla Yehudi Menuhin School, nel Regno
Unito. Autori di veri e propri show teatrali,
da sold out, risultato di un fortunato
connubio tra commedia, musica classica e
cultura popolare. Nel loro sito ufficiale le
parole del celebre direttore d’orchestra
Bernard Haitink: «Aleksey Igudesman e
Hyung-ki Joo hanno suonato per il mio 80°
compleanno. Sono quasi morto dal ridere.
68 Amadeus
Mi piacerebbe invitarli ancora per il mio
85° ma potrebbe essere considerato
spericolato... Grandi musicisti, grande
divertimento». Ma, come nasce il loro show,
la loro rilettura dei colossi del repertorio
classico? «Lavoriamo in modo meticoloso e
proviamo intensamente: ogni show è scritto
con estrema cura», raccontano, e, riguardo
alla reazione del pubblico, aggiungono «il
pubblico si diverte e scopre brani del
repertorio classico interpretati in modo
totalmente inaspettato. Cerchiamo così di
riportare in vita questi classici poiché
crediamo che la musica sia di tutti». Per loro
il connubio di tradizione e innovazione è
decisamente irresistibile: «è, è stato e sarà
un grande mix, che consiste nel presentare
qualcosa di molto prezioso e definito in una
veste fresca. Il nostro mix di musica classica
e commedia è fatto di divertimento sul
palco, interazione con il pubblico e con i
fans, dopo lo show o attraverso i social
media, così come di straordinari artisti e
musicisti con cui ci esibiamo». Uno degli
ingredienti fondamentali per conquistare
nuovo pubblico è «la cura dell’elemento
sorpresa nello show»; e confessano, «è tutto
quel che possiamo rivelare...». La loro
“visione” del futuro della musica classica:
«In ogni concerto guadagniamo nuova
ispirazione e un obiettivo più forte. Una
cosa è certa: la musica classica
sopravviverà! Possa la forza essere con
noi!», e sorridono. Altra nota di colore,
nell’aura grigio polvere che per alcuni
avvolge il sistema musica classica, è data
dalle teutoniche Salut Salon, un nuovo
disco, Carnival Fantasy, in uscita per
Warner Classics proprio nelle prossime
settimane. Nota di colore rosa, trattandosi di
quartetto tutto al femminile. Originario di
Amburgo, è composto da Angelika
Bachmann, violino, Iris Siegfried, violino e
voce, Anne-Monika von Twardowski,
pianoforte, e Sonja Lena Schmid,
violoncello. Soliste e virtuose del proprio
strumento, combinano tango, chansons,
musica folk e colonne sonore di film con il
repertorio classico a loro caro: ognuna
ricopre così un ruolo essenziale nel
“condire” abilità e virtuosismo classici con
cabaret, fascino e disarmante autoironia.
La loro personale interpretazione dei
capisaldi della musica classica? «Divertente,
come Competitive Foursome su Youtube, ma
anche basata su una lunga e seria
discussione sul brano. Questo è per noi
Salut Salon, la libertà di interpretare i
capolavori della musica classica in modo
talvolta sorprendente e divertente», spiega
Iris Siegfried, e prosegue «il pubblico
sembra apprezzare sia la parte seria che
quella più divertente». Valutano la tradizione
già irresistibile di per sé ma «naturalmente
la miscela che offriamo con Salut Salon è
sorprendente. Amiamo raccontare storie
attraverso la nostra musica e condividere
con il pubblico la nostra gioia di vivere.
Questo è l’elemento veramente irresistibile».
Come immaginano il futuro della musica
classica? «Speriamo che ogni cosa resti
com’è. Esistono diversi sistemi di educazione
alla musica classica che apprezzo. Noi
abbiamo realizzato diverse iniziative per
tenerla in vita e coinvolgere i bambini che
imparano a suonare uno strumento. Se
dovessi esprimere un augurio, sarebbe che
ognuno possa cantare o imparare a suonare
uno strumento. La musica ha la forza di
arricchire il cuore delle persone. E questo è
quel che conta nella vita». Dalle
performance di solisti ed ensemble coinvolti
nel superamento di stereotipi associati alla
musica classica, a un cult della trascorsa
stagione tv “made in Usa” che, a suo modo,
ha sortito un effetto analogo. Il riferimento è
a Mozart in the jungle, comedy targata
Amazon fresca vincitrice di ben due Golden
Globe, andata in scena l'estate scorsa su Sky
Atlantic e Sky Arte. Una la promessa: «la
serie che vi farà vedere il mondo della
musica classica come non l’avete mai visto
né immaginato. Signore e signori è tempo di
Mozart in the jungle, è tempo di sex, drugs
and classical music!». Ed ecco che,
parafrasando il celebre “sex, drugs and
rock’n’roll”, tratta dall’omonimo libro di
memorie dell’oboista Blair Tindall, nasce la
serie capace di diffondere un’immagine del
mondo della musica classica decisamente
intrigante, un mondo spogliato dal cupo velo
di serietà e rigore a cui viene ancora
associato. Un’immagine libera dal clichè che
vuole gli interpreti anacronistici e dediti alla
sola pratica dello strumento. Un grande
cameo capace di avvicinare, a suon di
eccessi, eventi mondani e passioni, e sotto la
guida dell’eccentrico e riccioluto direttore
d’orchestra Rodrigo De Souza (liberamente
ispirato al venezuelano Gustavo Dudamel),
un mondo ancora percepito come distante. 
In apertura, una delle immagini promozionali
dell'ultimo disco di David Garrett, Explosive:
il violinista sarà in Italia in aprile, il 14 al Carlo
Felice di Genova e il 15 al Ponchielli di Cremona;
qui, il quartetto a "quota rosa" Salut Salon
e il duo Igudesman&Joo, questo mese in Italia:
a Cagliari l'8, a Mestre il 9 e a Taranto il 10
Amadeus 69
United Nations Orchestra
ENERGIA
mondiale
Provengono da tutto il mondo e lavorano
soprattutto per l'Onu gli oltre 70 musicisti non professionisti
che da cinque anni a Ginevra suonano
per passione e per una buona causa
di Edoardo Tomaselli
70 Amadeus
V
engono da tutto il mondo: il Messico e la Svizzera, gli Stati
Uniti e la Spagna, l’Albania e il Giappone, la Colombia e
l’Olanda. E se anche si dirà che il multiculturalismo è parte
del dna di ogni orchestra, questa formazione – che nel 2016 festeggia
i suoi primi cinque anni di vita – è diversa da qualsiasi altra. La
United Nations Orchestra nasce a Ginevra dall’idea del suo direttore
musicale e artistico, Antoine Marguier. Una formazione che riunisce
oltre settanta musicisti non professionisti, la maggior parte dei quali
lavora per le diverse organizzazioni che operano all’interno
dell’Onu. Un’orchestra i cui concerti di volta in volta sostengono
cause umanitarie, in cui militano strumentisti che non ricevono
alcun compenso per il loro impegno e che, al di là della musica,
si applicano anche nello sforzo della macchina organizzativa
e amministrativa. Una formazione di amatori ma con un notevole
livello artistico e qualitativo, con una regolare cadenza per le prove
e soprattutto forte della presenza di un direttore di alta caratura,
che richiede e pretende la medesima professionalità dai suoi
strumentisti. Come in qualsiasi altra orchestra.
Lo stesso Marguier è un musicista che ha fatto scelte precise
nella sua vita. Vive a Ginevra da 23 anni: è entrato giovanissimo
come primo clarinetto nella Gustav Mahler Jugendorchester
diretta da Abbado, e per quasi un ventennio ha fatto parte
Amadeus 71
da un pubblico sempre più avanti con gli anni, mentre la musica
classica sembrava diventare una realtà elitaria... Insegnando a
Ginevra sono poi in contatto con molti strumentisti amatoriali,
di grande livello, che hanno il desiderio di suonare in orchestra
ma che la vita ha portato a svolgere una professione diversa. E
da sempre il mio desiderio è quello di democratizzare la musica,
rendendola disponibile veramente per tutti. Anni fa ho invece
avuto l’opportunità di conoscere Madre Teresa di Calcutta, ed è
stato un incontro che ha cambiato profondamente la mia vita.,
Dopo un lunghissimo periodo di attività come musicista, avevo
affrontato un periodo di crisi. Lasciai l’Orchestra de la Suisse
serata inaugurale del 2011 sono stati raccolti fondi per lo
tsunami che aveva devastato il Giappone, e da allora sono state
molteplici le iniziative di sostegno, in ogni parte del mondo e su
fronti diversi. In uno degli ultimi concerti, nell’estate del 2015
– in occasione del 70° anniversario della nascita delle Nazioni
Unite – sono stati raccolti fondi a favore dei rifugiati siriani,
mentre nel concerto dello scorso novembre è stata supportata
l’attività di Geneva Call, organizzazione che si occupa di
rifugiati in zone di guerra. «Con il passare del tempo riceviamo
sempre più proposte, ma ogni progetto che decidiamo di
sostenere viene attentamente vagliato, e nel tempo si controlla il
feedback di ogni iniziativa supportata, in
modo che ogni forma di aiuto arrivi lì
dove deve arrivare...» Non solo: la
nascita di questa formazione fuori dal
comune ha destato interesse anche in
alcuni grandi solisti della scena
internazionale, che hanno destinato la
loro musica (e i loro cachet) a concerti al fianco dell’Orchestra
delle Nazioni Unite, come è stato per esempio il caso della
pianista georgiana Khatia Buniatishvili.
«Molti credono che l'Orchestra riceva fondi
dalle Nazioni Unite. Non è così: siamo
un progetto speciale auto-organizzato»
Romande, e decisi – avendone la possibilità – di prendermi un
periodo di pausa. Infine c’è Ginevra, e le Nazioni Unite che
rappresentano una specie di città all’interno della città. Sentivo
il desiderio di intraprendere qualcosa di nuovo...». Il resto nasce
da un rapporto di amicizia: quello di Antoine Marguier con
Martine Coppens. «Con Martine – che tra le altre cose segue
alcuni progetti umanitari in Africa – ci eravamo conosciuti anni
addietro: lavorammo assieme nel progetto di un’orchestra
giovanile, e quando pensai di dare vita dell’Orchestra delle
Nazioni Unite, fu la prima persona che contattai. Dopo aver
lasciato l’Orchestra della Suisse Romande avevo bisogno di
nuove energie. Così iniziammo il lavoro di costruzione della UN
Orchestra, di cui oggi Martine è Presidente.»
dell’Orchestre de la Suisse Romande. E questo finché la
direzione d’orchestra non è diventata sempre più parte della sua
attività professionale. Dal 2010 ha diretto a Lione, Monte Carlo,
Strasburgo, Amsterdam e Losanna, così come negli Usa, Africa
del Sud, Giappone e Cina. Tra musica e impegno sociale, in
nome della pace, il 15 agosto scorso è stato chiamato a dirigere
un concerto al confine tra la Corea del Sud e la Corea del Nord.
E oltre al musicista c’è anche l’insegnante di musica da camera,
all’Haute École de Musique di Ginevra, e il direttore
dell’orchestra del Conservatorio, sempre a Ginevra. «Come
nasce l’idea di dare vita all’Orchestra delle Nazioni Unite?
Diciamo che le ragioni sono diverse...», spiega Marguier, reduce
da un concerto parigino con l’Orchestre Lamoureux. «La prima
è legata alla musica e alla necessità di impegnarsi in prima
persona: da troppo tempo, suonando, vedevo platee composte
72 Amadeus
IWienerperirifugiati
Se a Ginevra l’Orchestra delle Nazioni Unite festeggia i suoi primi cinque
anni di vità, una seconda orchestra cerca di unire diverse nazioni, sempre
sotto il segno della musica. E di internet. Alla fine di novembre la Filarmonica di Vienna ha infatti lanciato un crowdfunding, una raccolta di fondi in
rete, per aprire un centro per richiedenti asilo in Austria. L’idea è quella di
arrivare a raccogliere 250.000 euro per comprare e rinnovare un hotel nel
sud del paese: un luogo che da un lato accoglierà famiglie di rifugiati, e
dall’altro sarà un centro di cultura che ospiterà concerti, incontri e corsi di
lingua. Un progetto che coinvolge la stessa Filarmonica a fianco della Diakonee Refugee Commission. Una risposta simbolica, a assieme concreta,
che vede la musica dare un contributo alla crisi umanitaria europea degli
ultimi mesi: un’idea, questa, nata da una quarantina di musicisti dell’orchestra, a loro volta nati in famiglie di migranti. E tutto con un evidente presupposto di partenza: che solo nel dialogo si crea la comprensione tra culture.
Info: wemakeit.com/projects/wiener-philharmoniker-haus
Il processo di creazione non è stato facile: una prima difficoltà è
stata quella di usare il nome e il logo delle Nazioni Unite per
l’orchestra – difficoltà vinta grazie alla caparbietà e al
curriculum artistico di Marguier – ma ancora più complesso è
stato selezionare e scegliere i musicisti. «Venne creato il sito,
lanciammo le audizioni: si presentarono un centinaio di
strumentisti. Ne scegliemmo ottanta e ne selezionammo solo
trenta. E dopo un anno arrivò il primo concerto, il 20 marzo del
2011 a Ginevra. Nel tempo il progetto è cresciuto in maniera
esponenziale, e l’orchestra ha più che raddoppiato il suo
organico, sempre e comunque in crescita. La maggior parte dei
musicisti proviene da organizzazioni che ruotano attorno alle
Nazioni Unite, mentre gli altri appartengono a Ong e ad
ambienti del settore diplomatico. E questo senza dimenticare
alcuni ottimi musicisti ginevrini, perché rimane fondamentale il
rapporto diretto con la città che ci ospita...».
Fin dal primo concerto l’Orchestra sostiene una serie di progetti
umanitari ai quali devolve gli incassi degli spettacoli: nella
«Molti credono che la nostra orchestra riceva fondi dalle Nazioni
Unite. Non è così: siamo un progetto speciale, in continua crescita
e assolutamente auto-organizzato nella sua gestione. Ma
un’orchestra è una macchina complessa, e per il futuro ci serve
qualcuno che si dedichi a tempo pieno sul versante
amministrativo. L’Onu ci supporta invece mettendo gratuitamente
a disposizione una sala prove, e la città di Ginevra donandoci
l’uso della Victoria Hall per alcuni concerti.». Il 13 marzo si potrà
ascoltare l’Orchestra a Ginevra, in un concerto che festeggerà i
primi cinque anni di vita della formazione: in programma c’è la
Quinta sinfonia di Šostakovic e il Doppio Concerto di Brahms con
due solisti d’eccezione, i cui nomi saranno rivelati a breve. «Per il
futuro mi piacerebbe che ci dedicassimo alle Sinfonie di Brahms,
a Mahler e al repertorio della grande orchestra sinfonica, ma
sono interessato anche alla musica dei compositori della nuova
generazione.» E a fianco dell’Orchestra delle Nazioni Unite e dei
suoi impegni da direttore, Marguier ha anche trovato il tempo di
fondare una piccola compagnia chiamata Le Rossignol, con la
quale sta registrando capolavori del ’900 cameristico (a partire
dall’Histoire du Soldat) in collaborazione con musicisti
dell’orchestra della Suisse Romande e dell’attore Joan Mompart.
Questione di energia, per l’appunto. 
La United Nations Orchestra, come l'Onu, ha sede a Ginevra: in apertura,
Antoine Marguier, direttore artistico e musicale durante una prova al Palazzo
delle Nazioni; a sinistra, un concerto alla Victoria Halll con Khatia Buniatishvili
Amadeus 73
C
omposizione drammatica sacra ma
non liturgica in cui un soggetto
essenzialmente biblico viene
trattato senza far ricorso a una vera e
propria rappresentazione scenica, a partire
dall’età barocca l’Oratorio si è affermato
come uno dei generi portanti della musica
dell’Occidente.Il genere assunse una
fisionomia precisa nella seconda metà del
’500, in Santa Maria Vallicella (Chiesa
Nuova) a Roma, per iniziativa di Filippo
Neri, quando il termine Oratorio iniziò
a definire in maniera specifica un tipo
di riunione devozionale in cui la lettura
di testi spirituali e biblici, le preghiere
e i sermoni venivano accompagnati dal
canto di Laudi (quindi in lingua volgare).
Il secondo filone che contraddistinse
la genesi dell’Oratorio fu quello in
lingua latina. Ruolo decisivo lo svolse
la confraternita del SS. Crocifisso,
nella chiesa romana di San Marcello,
in cui operò Giacomo Carissimi: il
compositore che affermò artisticamente
una forma organizzata già dal 1630.
Nel corso del ’600, l’apertura di numerose
congregazioni filippine in molte città
italiane favorì in maniera importante una
capillare diffusione dell’oratorio musicale
che, in un secondo momento, trovò
fortuna anche presso altre confraternite
laiche, congregazioni religiose, collegi di
nobili, seminari, palazzi della nobiltà e
cappelle di corte; per sconfinare, alla fine,
fuori dal territorio della penisola italiana,
attestando la sua importanza epocale.
Della diffusione del genere dell’Oratorio
anche nei repertori di autori barocchi
meno noti è testimone la figura di
Ippolito Ghezzi; compositore alla cui
recente riscoperta è risultato importante
il lavoro di Roberto Cascio che, a partire
dal 2007, assieme alla Cappella Musicale
di San Giacomo Maggiore in Bologna,
74 Amadeus
ANTICA
MUSICAOGGI
Oratorio
Tra ordine e caos
La nascita
e la capillare diffusione
barocca
di una forma
drammatica sacra
che ha segnato
la musica
dell'Occidente
Montepulciano. Successiva al 1709,
ma ignota, è la data di morte. Al 1700
risale la pubblicazione di Oratori sacri
a tre voci op. 3. La stampa bolognese
ne raccoglie quattro, tutti destinati a sole
voci e basso continuo (Abele, Adamo,
Abramo e David Trionfante) e tutti
registrati da Cascio in prima assoluta,
assieme ad altre composizioni di Ghezzi.
Si tratta di pagine emblematiche di un
momento specifico della diffusione
dell’Oratorio presso contesti privati –
oltre alle confraternite anche salotti – in
occasione quindi non solo d’incontri
devozionali, ma anche d’intrattenimenti
mondani. La dedica dell’op. 3 di Ghezzi,
non a caso, è rivolta al cavaliere
bolognese Cesare Gagnioni: un nobile
di rango non particolarmente elevato,
dilettante di musica. In tal senso,
appare significativo il trattamento
particolarmente libero dei soggetti
biblici che, come scrive Carlo Vitali
nelle illuminanti note storiche del
booklet, conduce le vicende narrate ad
«assomigliare a quel repertorio di affetti
umani, o magari troppo umani, che già
l’opera veneziana di metà-fine Seicento
aveva codificato in forme drammaticomusicali ricorrenti».
Caravaggio Davide con la testa di Golia
(particolare, 1610)
ha realizzato un progetto discografico
in quattro dischi dedicato appunto alla
musica sacra di Ghezzi. Da qualche mese,
il box è stato pubblicato da Tactus.
Nato probabilmente a Siena o a Sinalunga
attorno al 1650, Ippolito Ghezzi, entrò
nell’ordine dei Monaci Agostiniani e
dal 1679 al 1700 svolse la funzione di
maestro di cappella della cattedrale di
di Massimo
Rolando Zegna
[email protected]
P
ierre Boulez ci ha lasciato il 5
gennaio, e qualcuno nel ricordarlo
ha riproposto una lettura
approssimativa e semplicisticamente
“antiespressiva” della sua poetica, o ne
ha sottolineato la “inattualità”. Certo, i
giovani compositori oggi si confrontano
con problemi radicalmente diversi da
quelli di chi aveva 20 anni nel 1945, e
siamo lontanissimi dall’insofferenza,
dall’urgenza con cui fu sentito il bisogno
di un radicale rinnovamento, di una vera
e propria palingenesi, il cui significato in
quel momento storico andava oltre la sfera
puramente artistica. Il rinnovamento era
perseguito anche attraverso il superamento,
o il controllo, della soggettività, attraverso
procedimenti seriali complessi (che
ognuno dei protagonisti di allora usò in
modo diverso): a chi ama affidarsi senza
pensarci troppo alla propria “ispirazione”
non sarà inutile ricordare che essa è intrisa
di memoria e di riflessi condizionati
(difficilmente ne uscirà qualcosa di nuovo).
Formulazioni teoriche e violenze polemiche
discutibili vanno rilette in rapporto a una
feconda urgenza creativa.
Il tentativo di fare tabula rasa (mai
condiviso da Maderna, Nono o Berio)
fu subito superato dallo stesso Boulez.
Il troppo analizzato e citato primo libro
delle Structures (1951) non è la sua opera
più rappresentativa; assai più conta, subito
dopo, la definizione di una dialettica tra
organizzazione di grande rigore e liberi
interventi della fantasia del compositore:
nacque allora uno dei capolavori più noti
di Boulez, Le marteau sans maître (finito
nel 1954) su tre poesie tratte dall’omonima
raccolta di Char. Boulez ha più volte
sottolineato: «Tutto il mio cammino ha
perseguito la libertà momentanea in una
disciplina generale». E questo cammino,
nella continuità e varietà di un percorso
coerente e complesso, è approdato a esiti
Ricordare Boulez, al di là di letture approssimative.
L'urgenza di rinnovamento creativo giovanile,
la libertà nella disciplina, la complessità
molto lontani dal radicalismo dei primi
lavori. Illuminante, su questo percorso,
qualche frase di una intervista: «amo molto
la dialettica tra l’ordine e il caos, perché è
una dialettica fisica della natura ed è una
dialettica della mente. […]
In una composizione bisogna navigare
tra un minimo di ordine e un minimo di
disordine, a costo di esplorare i territori
estremi per un tempo limitato. Si può
avere il caos, ma fino al momento in cui la
mente se ne disinteressa e allora bisogna
riportarlo a qualcosa che la mente possa
afferrare. Questo problema non me lo
ponevo affatto quando ero molto giovane,
perché davo e ancora non ricevevo,
mentre l’attività di interprete mi ha molto
insegnato sul circuito dare-ricevere».
Simili riflessioni gettano luce sul rapporto
tra le attività di compositore e di direttore
d’orchestra, sul rapporto di Boulez con
il passato, sulle revisioni che conobbero
alcune partiture giovanili, dove «la spinta
di rinnovamento in senso radicale era così
forte che non ci si preoccupava troppo
della percezione».
Negli ultimi anni diversi quartetti si sono
confrontati con le enormi difficoltà del
Livre pour quatuor (1949-50), a lungo
trascurato: una riscoperta ardua, ma
meravigliosa. Si deve sperare che i criteri
frettolosi ed economici di gran parte della
vita musicale non portino all’esclusione di
Pli selon pli e di tanti altri capolavori dello
scarno ma essenziale catalogo di Boulez.
di Paolo
Petazzi
[email protected]
Amadeus 75
ALL’OPERA
DANZA
Mutare la voce
Ecologia artistica
L
o scrittore contemporaneo Pascal
Quignard, diventato celebre col
romanzo Tous les matins du monde
(1991) dedicato al musicista Marin Marais
(da cui Alain Corneau ha tratto l’omonimo
film), ha talmente insistito sul tema della
“muta della voce” da farlo diventare
una sorta di “mito personale”. Esso
entra in risonanza profonda col mondo
dell’opera e può essere interessante
dedicargli una entry specifica. Il modello
di rappresentazione tradizionale tende a
considerare la muta della voce come una
specie di metamorfosi positiva attraverso
la quale il bruco (la voce infantile)
diventa farfalla (la voce adulta).
Così, per esempio, nel film Enrico
Caruso, leggenda di una voce, diretto
da Giacomo Gentilomo (1951), non c’è
nessun trauma tra la voce bianca del
piccolo Enrico che canta come puer
cantor in una chiesa di Napoli e la sua
voce di tenore che conquisterà il mondo.
Il trauma è semmai la morte della madre
che diventerà una sorta di angelo custode
per il grande cantante (si veda il lemma
Mammismo, Amadeus n.308, luglio
2015). Per Quignard, invece, la muta
della voce è un vero e proprio “trauma
originario”. Già nel libriccino intitolato
La leçon de musique (1987), di cui Tous
les matins du monde è una specie di
sviluppo romanzesco, egli ha messo in
relazione l’arte della composizione con la
ricerca della voce perduta: una condizione
tipicamente maschile.
Non è un caso che le donne compositrici
siano così rare. «Definizione possibile
della muta maschile: malattia sonora che
soltanto la castrazione guarisce». Ma la
pagina più densa e rivelatrice consacrata
a questo tema-mito si trova in un altro
testo più recente Quignard: La haine de
la musique (1996) che Edt ha appena
76 Amadeus
Metamorfosi positiva
da bruco a farfalla
o trauma originario?
Riflessioni su una
questione prettamente
maschile
Haine de la musique, troviamo appunto
questo passo: «Da bambino, cantai. Da
adolescente, come tutti gli adoloscenti, la
mia voce si ruppe. Ma rimase strozzata e
perduta. Mi immersi con passione nella
musica strumentale. C’è un nesso diretto
tra la musica e il cambio di voce. Le
donne nascono e muoiono in un soprano
che sembra indistruttibile.
La loro voce è un regno. Gli uomini
perdono la loro voce infantile. […] Allora
o gli uomini tagliano le borse testicolari e
interrompono la muta: è la voce infantile
per sempre. Sono i castrati. Oppure gli
uomini compongono con la voce perduta.
Sono chiamati i compositori.
Ricompongono come possono un
territorio sonoro che non muta,
immutabile. O ancora compensano
con l’aiuto di strumenti la défaillance
fisica e l’abbandono sonoro in cui
l’abbassamento della voce li ha fatti
precipitare. Essi riconquistano così i
registri acuti, nello stesso tempo infantili
e materni, dell’emozione natia, della
patria sonora. Sono chiamati i virtuosi».
Le voci bianche del Windsbacher Knabenchor
pubblicato in traduzione italiana (L’odio
della musica, 2015). Si tratta di un essay
che «vuole esprimere fino a che punto
la musica può diventare odiosa a coloro
che l’hanno più amata». In esso si parla
a lungo della presenza della musica nei
campi di sterminio nazisti. Paradigmatica
la storia di Hedda Grab-Kernmayr (18991989). Internata nel campo di Terezín, il
mezzosoprano partecipò a vari concerti
e vi cantò anche Carmen nel 1944. Dopo
la liberazione emigrò negli Stati Uniti e
non volle mai più non solo cantare, ma
neppure (sentir) parlare di musica.
Tornando alla muta della voce, nella
di Emilio
Sala
[email protected]
Cigni, corvi e gru,
eleganti e imprevedibili
in scena accanto
all'uomo, contro
ogni visione
antropocentrica
S
e un tempo la metamorfosi scenica
bastava a trasformare una ballerina in
cigno, oggi un paio di ali meccaniche
possono mutarla in un meno rassicurante
corvo, sempre che la nostra protagonista non
si trovi a dividere la scena con veri volatili.
Nessun intento sensazionalistico: l’empatia
artistica tra noi e loro, che da mimesi
si è spinta fino alla convivenza, sembra
auspicare l’avvento di un universo dai
confini incerti tra umanità e animalità, siano
esseri della terra, dell’aria e dell’acqua.
Tutto ha origine dal balletto imperiale
russo, Il lago dei cigni (molto attesa la
ricostruzione dell’originale di PetipaIvanon firmata da Alexei Ratamansky,
coproduzione Ballett Zürich, dal 6 febbraio,
- Corpo di ballo del Teatro alla Scala, 30
giugno-14 luglio, ), che racchiude in sé
un altro archetipo, quello della fanciullacigno, nella sua doppia personificazione di
virginale cigno bianco, Odette, e malioso
cigno nero, Odile. Primo discendente
quell’essere stilizzato in procinto di spirare
che nella miniatura La Morte del cigno
affermava in una manciata di minuti
l’avvento delle avanguardie. La prima
interprete Anna Pavlova strinse un legame
dai tratti morbosi con quella creatura:
capeggiato dal prediletto Jack, uno stormo
di cigni nuotava nello stagno di Ivy House,
la dimora londinese, mentre penne e piume
di veri esemplari adornavano il tutù della
sua pièce de résistance. All’ossessione della
ballerina russa il suo devoto ammiratore
francese Roland Petit avrebbe dedicato
Il coreografo Luc Petton in scena con una delle gru della Manciuria protagoniste di Light Bird
l'ambiguo abbraccio di uno squisito tableau
del balletto Ma Pavlova: Leda e il Cigno.
Se sulle scene contemporanee il cigno ha
subito innumerevoli mutazioni, anche di
gender, per l’inglese Wayne MacGregor è
venuto il momento di dare nuove sembianze
ornitologiche alla ballerina. Raven Girl,
creato per il Royal Ballet, porta in scena la
graphic novel di Audrey Niffenegger: favola
dark di una fanciulla nata da padre umano
e madre corvo che si illude di trovare il
proprio posto nel mondo rinunciando alle
braccia per un paio di ali. Elegiaco nei toni
ed etico per slanci nonostante la vena noir,
il balletto sembra profetizzare l’inclusione
nelle nostre vite di quelle creature animali
che ancora percepiamo diverse.
Di lì a portare in scena un vero corvo il
passo è breve: ci aveva già provato con il
toccante duetto Bones in Pages Saburo
Teshigawara, danzatore e coreografo
giapponese. Ma è il francese Luc Petton
ad aver formato con Le Guetteur una
troupe di danzatori e uccelli senza
gerarchie, insieme in pièces di ascolto
e relazione. In Swan in palcoscenico ci
sono cigni bianchi e cigni neri allevati con
l’imprinting sin dallo schiudersi delle uova
dalle danzatrici che dividono la scena con
loro. In Light Bird (3-6 marzo, La Criée,
Théâtre National de Marseille, Marsiglia;
atteso in Italia la prossima estate) danzatori
e gru della Manciuria (in estinzione)
interpretano una partitura coreografica con
spazi di aleatorietà e imprevisto, perché le
protagoniste alate sono curiose e talvolta
aggressive, ma con le loro pose eleganti e
i salti maestosi sanno veramente danzare.
Dev’essere arrivato il tempo di una nuova
ecologia artistica, aliena da ogni visione
antropocentrica, che rivendicando la
preesistenza della danza smentisce che sia
l’uomo l’unico a possederla.
di Valentina
Bonelli
[email protected]
Amadeus 77
Aria fresca
Il trombettista e compositore Dave Douglas è il nuovo direttore artistico
di Bergamo Jazz, che inaugurerà la stagione dei grandi festival italiani
LO SCHIACCIANOCI DEL “DUCA”
C’è stato di recente (pare che succeda in vista delle feste
di fine d’anno) un pregevole revival dello Schiaccianoci
di Pëtr Il’ic Cajkovskij sia nella forma originale del balletto
in due atti, sia in forma concertante. Ne ha beneficiato
indirettamente anche questa interpretazione jazz che nel
1960 propose Duke Ellngton, in quegli anni alla testa di
una delle sue orchestre migliori con Billy Strayhorn assistente del direttore e con solisti di altissimo livello quali
Johnny Hodges e Harry Carney ai sassofoni, Ray Nance
e Willie Cook alle trombe, Juan Tizol e Lawrence Brown
ai tromboni, SamWoodyard al contrabbasso e Aaron Bell
alla batteria, oltre naturalmente a Duke Ellington al pianoforte. Sostengono comunque due illustri “dukologi” italiani, Antonio Berini e Giovanni Volontè, che la Nutcracker
Suite ellingtoniana costituisca opera originale, come succede nel jazz migliore che prende a pretesto un lavoro
altrui e se ne appropria, pur nel rispetto del primo artefice. Lo hanno testimoniato a Milano l’Orchestra Sinfonica
Verdi e la Tomelleri Big Band che sotto la direzione di
John Axelrod hanno eseguito insieme le due versioni in
tre concerti consecutivi premiati con applausi da stadio.
TRE LIBRI D’INIZIO ANNO
F
ra i più importanti festival del jazz che si tengono in Italia, il
primo a proporsi nel 2016 è Bergamo Jazz. La parte musicale,
preceduta da un proemio cinematografico dedicato anch’esso
al jazz, si terrà da giovedì 17 marzo a domenica 20 marzo: le date
sembrano il lieto annuncio che la primavera starà per cominciare.
Quest’anno Bergamo Jazz è particolarmente importante perché
c’è stato l’avvicendamento del direttore artistico: a Enrico Rava
è succeduto Dave Douglas, celebre musicista cinquantenne del
New Jersey. Douglas è trombettista (non sbaglia mai una nota,
dicono gli esperti), compositore, direttore d’orchestra e produttore
discografico con una propria etichetta, la Greenleaf. Appena
ricevuto l’incarico ha impostato tutto il programma. E perché
chiunque sapesse da che parte sta, ha diffuso la conoscenza
del suo ultimo cd che si intitola Fabliaux (significa favola
breve). Per realizzarlo si è servito del Monash Art Ensemble,
un’orchestra australiana di quindici elementi compresi un violino
e un violoncello, diretti dal pianista Paul Grabowsky. Basta il
primo ascolto dei nove brani composti e arrangiati da Douglas
per capire che oggi il nostro, come compositore e come solista,
si proietta in ogni direzione: e questa stessa impronta ha dato a
Bergamo Jazz 2016.L’incipit del festival è ambientato nel Teatro
Sociale, la stupenda sala della Città Alta di Bergamo. L’onore
78 Amadeus
spetterà al quartetto del pianista Franco D’Andrea con Mauro
Ottolini trombone, Daniele D’Agaro clarinetto e Han Bennink
batteria. A seguire il gruppo del giovane trombonista americano
Ryan Keberle, una delle realtà più promettenti della musica
d’oltre oceano. Il 18 marzo avrà luogo la prima delle tre consuete
serate al Teatro Donizetti. Vi partecipano Geri Allen come
pianista solista, e subito dopo il sassofonista tenore Joe Lovano
in quartetto. Da lui si attende la sua straordinaria abitudine di
un continuo rinnovamento. Il 19, fortemente voluta dal direttore
artistico, si esibirà la clarinettista Anat Cohen, pluripremiata per
la freschezza espressiva e comunicativa. A gareggiare idealmente
con lei è chiamato Kenny Barron, maestro riconosciuto della
tastiera, nel classico trio di pianoforte, contrabbasso e batteria.
Nella serata conclusiva il palcoscenico sarà ceduto a due gruppi
guidati rispettivamente dai batteristi Billy Martin e Louis
Moholo-Moholo, incaricati di offrire insolite atmosfere sospese
fra tradizione e avanguardia. Il programma è completato da
concerti pomeridiani affidati ai sassofonisti Tino Tracanna e
Massimiliano Milesi, al batterista Mark Guiliana e al pianista
albanese Markelian Kapedani. Per ascoltare un altro festival di
questo livello bisognerà attendere maggio, trasferirsi a Vicenza e
assistere alla XXI edizione di New Conversations.
Attenzione, qui questa volta non parliamo di
un terzo cd, ma di tre libri assai belli e utili di
recente pubblicazione e pertinenti alla materia. Naturalmente si tratta di brevi segnalazioni: lo spazio non consente recensioni. Enrico
Bettinello è il più generoso di pagine (334)
per questa sua «guida sentimentale alla vita
di cinquanta e più maestri da Louis Armstrong
a Charlie Haden» ricavata da articoli che chi
lo segue in parte già conosce e apprezza,
anche perché l’autore cerca di raccontare a
chi magari ha nelle orecchie altri suoni. Il libro
che impegna di più il lettore, come succede
alle opere monografiche, è Uri Caine di Enzo
Boddi (pagg. 242), anche perché il personaggio effigiato è in grado di occuparsi di tutte le
musiche di questo mondo, vira spesso di prua
e non cessa di sorprendere. Se la memoria non
m’inganna, Caine mi diede un cd a suo nome
(Sphere Music) a Padova nel 1993. Sono passati 22 anni e da allora le virate (sue) non si contano. Parecchi sorrisi li regala Stefano Bollani
(pagg. 132), con Il monello, il guru, l'alchimista...
non nuovo a rubare il mestiere a giornalisti
e scrittori (purtroppo non sono la stessa cosa) «inseguendo le vite di Frank Zappa, Billie
Holiday, Armstrong o Ravel», per cui ci trasporta «verso spiagge poco affollate dove è bello
perdersi e sognare una via di fuga».
The Nutcracker Suite
Duke Ellington
Columbia 1 cd (Sony)
Storie di Jazz
Enrico Bettinello
Arcana
Uri Caine
Enzo Boddi
Sinfonica Jazz
DISCOTECAIDEALE
JAZZ
The Illinois Concert 1963
Eric Dolphy
Blue Note 1 cd (Universal)
È trascorso più di mezzo secolo da
quel 29 giugno 1964, quando si
diffuse del tutto inattesa la notizia che
il sassofonista, claronista, flautista e
compositore californiano Eric Dolphy
si era spento a 36 anni in un
ospedale di Berlino, gettando nella
costernazione tutto il mondo del jazz
non solo. «Sei anni di musica», scrisse
il giornalista francese Jean-Louis
Comolli, ma sembrò che urlasse, «sei
anni soltanto affinché esplodesse
una musica nuova». Dolphy, infatti,
era apparso nel 1958 come una
meteora fulgidissima e innovatrice.
Sei anni. E oggi, l’ammirazione e il
rimpianto per ciò che Dolphy ha dato
alla musica e avrebbe potuto dare
per molti anni ancora, non sono
affatto diminuiti.
Per citare, secondo l’uso di questa
rubrica, uno dei suoi dischi storici
che bisogna avere, si potrebbe
scegliere a scatola chiusa.
Ma la palma va a questo cd dal vivo,
dove Dolphy suona con Herbie
Hancock, Eddie Khan e J.C, Moses,
perché qui ci sono otto minuti di un
brano che gli è familiare, God Bless
The Child scritto da Billie Holiday.
Dolphy lo improvvisa al clarone in
totale solitudine e costruisce nota
per nota un capolavoro assoluto,
straordinario anche per il fraseggio
e per il suono speciale che riesce
a cavare dallo strumento.
Il monello, il guru,
l’alchimista e...
Stefano Bollani
Mondadori
di Franco
Fayenz
[email protected]
Amadeus 79
FUORITEMA
Il compleanno (69 anni), il nuovo, atteso disco
"Blackstar": due giorni dopo, la morte improvvisa
G
uardate il video del brano Lazarus!
Vedrete la morte... Quell’uomo
disteso su un misero letto (che pare
una brandina da ospedale), vestito con
una camicia da notte, bendato e che canta
«Look up here, I’m in heaven / I’ve got
scars that can’t be seen / I’ve got drama,
can’t be stolen / Everybody knows me
now», fa venire i brividi. Anche perché la
musica che lo accompagna è incalzante,
quasi tetra, che mozza il respiro. Queste
sensazioni sarebbero state le stesse anche se
non fosse avvenuto nulla due giorni dopo la
pubblicazione di questo video, l’8 gennaio,
stessa data dell’uscita del disco dal titolo
Blackstar che contiene quel pezzo; e che nel
contempo segnava anche il 69° compleanno
di quell’uomo protagonista del video.
Due giorni dopo (precisamente il 10) David
Bowie, il “Lazarus bendato”, moriva a New
York, dopo 18 mesi di lotta contro il cancro.
La carriera di David Robert Jones (vero
80 Amadeus
5
DISCOTECAIDEALE
Bowie l’alieno terrestre
nome di Bowie) prese il via a metà degli anni
’60, e subito Bowie si presentò al pubblico
come un artista “trasformista”, che poteva
essere nel contempo “alieno” e “terreno”.
Sospeso tra il mondo “extraterrestre” di brani
come Life on Mars?, Starman, Space Oddity
e The Man Who Sold the World; e brani più
“terreni” come Heroes, Under Pressure,
Let’s Dance e China Girl. In cinque decenni
Bowie ha operato una propria trasformazione
della musica rock, reinventando nel tempo il
suo stile e la sua immagine, e assumendo gli
alter ego di Ziggy Stardust, Halloween Jack,
Nathan Adler e The Thin White Duke (noto
in Italia come il “Duca Bianco”). Pur essendo
un compositore soprattutto di musica
rock, l’artista britannico ha anche percorso
i sentieri del folk acustico, elettronica,
krautrock, glam rock, soul, divenendo
maestro per le generazioni successive. Alla
carriera di compositore e musicista Bowie
ha affiancato quella d’attore, interpretando
da protagonista o no, pellicole come L’uomo
che cadde sulla Terra, Miriam si sveglia
a mezzanotte, Furyo, Tutto in una notte,
Absolute Beginners, Labyrinth, L’ultima
tentazione di Cristo. Con David Bowie
scompare un artista poliedrico e versatile,
che si è sempre confrontato con il tempo che
stava vivendo, cercando di raccontarlo senza
mai banalità e scelte troppo facili.
www.fondazioneamadeus.org
L'invenzione della musica
Blues Breakers with Eric Clapton
John Mayall
Decca 1 cd (Universal) 1966
Blackstar
David Bowie
Sony 1 cd
PER
MILLE
destina il tuo
cinquepermille
al c.f. 06057580968
A volte c’è bisogno di alcune
buone congiunture per costruire
un capolavoro. Nel caso della
realizzazione dell’album Blues
Breakers with Eric Clapton, le tessere
che dovevano legarsi nel modo giusto
dovevano essere molte. Prima di
tutto la possibilità che due caratteri
forti come quelli di John Mayall ed
Eric Clapton, potessero convivere
nella stessa band, e poi quella di
trovarsi contemporaneamente in
una forma interpretativa strepitosa.
Il chitarrista Eric Clapton da poco
aveva abbandonato il gruppo The
Yardbirds, che era all’apice del
successo. Mentre John Mayall
(cantante, armonicista, chitarrista, e
tastierista) era alla ricerca di un nuovo
collaboratore per la sua band (i Blues
Breakers) per accrescere la popolarità.
Entrambi inglesi, i due si trovarono
subito in sintonia, dividendosi il palco
in vari concerti. Contrariamente la
convivenza in studio di registrazione
non fu facile (soprattutto per il
caratteraccio di Clapton), ma il risultato
fu sorprendente. Una manciata di
cover blues prese dalla produzione
di Otis Rush, Robert Johnson, Willie
Dixon, Freddie King, Ray Charles,
Little Walter; mischiate insieme a brani
a firma di Mayall. Dodici pezzi in cui la
chitarra di Clapton suona impeccabile
e Mayall lo segue a suo pari.
di Riccardo
Santangelo
[email protected]
TW: @RickySixtySix
FB: riccardo.santangelo.71
Conoscere Beethoven attraverso un ciclo di Concerti
e un progetto universitario. Un percorso firmato Luciani-Motterle
P
ortare la musica nei luoghi non destinati a ospitare concerti
ed eventi musicali è un atto meritorio che la nostra Fondazione non ha mai ignorato. Quando poi lo scopo è quello
di offrire capolavori immortali, con un percorso idoneo a
stimolare la curiosità di chi abitualmente non frequenta sale da
concerto, è doppiamente meritorio. Ecco che questo mese ci
viene offerta l’occasione di incontrare il violinista Fulvio Luciani,
che, oltre all’importante attività di docente e concertista, riesce a
costruire, in collaborazione con il pianista Massimiliano Motterle
(nella foto), percorsi quanto mai originali e stimolanti.
“Beethoven, l’invenzione della musica” è un ciclo di concerti
alla Verdi e un progetto di formazione all’Università degli
Studi di Milano Bicocca (quasi.unimib.it). È stato preceduto
da un ciclo intitolato “Romantico Bach”: sbaglio o stiamo
rimescolando le carte?
«La conoscenza di Bach è un fatto tutto ottocentesco. Sono
stati i romantici a interessarsene e a rivelarcelo, quasi un secolo
dopo la morte. Noi lo conosciamo attraverso di loro; in questo
senso, nella nostra percezione, Bach è un autore “romantico”. Beethoven inventa il significato moderno della musica:
qualcosa che ha un senso profondo per ognuno di noi, in cui
riconoscersi e interrogarsi. Beethoven usa la musica per dire
cose che nessun compositore aveva mai detto prima. Sono le
cose che ancora oggi noi cerchiamo nella musica, anche in
quella scritta prima di Beethoven».
Bene, mi ha convinto. Saranno quindi eseguite tutte le Sonate per violino e pianoforte di Beethoven, ma in cosa consiste
la novità?
«Ognuno dei dieci concerti è costruito intorno a una singola
Sonata, come a leggerla direttamente e insieme specchiarla in
altro che in qualche modo le si riferisca. Uno solo ne contiene
due, quarta e quinta, che furono scritte per essere eseguite
insieme, e questo apre la strada a un concerto interamente
dedicato a Schubert, la parte in ombra dell’epoca beethoveniana. Motterle e io abbiamo immaginato un percorso che
fosse misterioso e attraente prima di tutto per noi. Non è a
dimostrare una tesi e sono sicuro che dovessimo rifare tutto
daccapo faremmo tutto diverso».
L’interesse di un’istitituzione come l’Università degli Studi di
Milano Bicocca per un ciclo affiancato da conferenze e laboratori, può essere un tentativo utile per colmare la lacuna che
affligge in particolar modo le scuole superiori, dove l’insegnamento della musica è del tutto assente?
«Quando mi capita di parlar di musica vedo brillare occhi
dalla felicità. L’assenza della musica dalla nostra scuola non
è solo una tristezza e una vergogna, è un derubare intere
generazioni di una cosa bella».
Lei insegna al Conservatorio di Milano e nelle sue Officine estive, tiene concerti con Massimiliano Motterle e cicli di concerti
per la Verdi. A queste attività si aggiunge l’Università Bicocca,
pensa sia possibile rendere sempre più stretti e frequenti i
rapporti di scambio tra le istituzioni?
«Penso di sì, certamente. Tutto quel che serve è mettere a
disposizione le proprie idee e le proprie capacità. Con l’Università è stato così, con naturalezza. È il modello della bottega rinascimentale, in cui convivono produzione, istruzione e
riflessione sull’arte. La scuola dovrebbe essere questo». g.s.
I prossimi appuntamenti
21 febbraio 2016
Beethoven, l’invenzione della musica 3 - Schubert, la parte in ombra
Franz Schubert: Sonata in la maggiore op. 162 D 574 (1817)
Fantasia in do maggiore op. 159 D 934 (1827)
Rondò brillante in si minore op. 70 D 895 (1826)
3 aprile 2016
Beethoven, l’invenzione della musica 4
Wolfgang Amadeus Mozart: Sonata in sol maggiore K 379 (1781)
Béla Bartók: Sonata n. 2 per violino e pianoforte (1922)
Ludwig van Beethoven: Sonata in re maggiore op. 12 n. 1 (1798)
Info sul programma completo: fulvioluciani.it
EDUCATION
di Pietro
Dossena
MasterCLASSConCorsiMasterCLASSConCorsi
BRUXELLES
Concorso “Merci, Maestro!” per
giovani pianisti fino ai 19 anni
16-17 aprile scadenza 15 marzo
mercimaestro.be
Masterclass di tromba e musica
d’insieme per ottoni
Stephen Burns
3-7 marzo scadenza 19 febbraio
amicimusica.fi.it
FIRENZE
Concorso di composizione
Counterpoint composizioni
per strumento
solo o ensemble
scadenza 15 marzo
counterpoint-italy.com
LONDRA
Grand Prize Virtuosovarie
categorie, selezione
da registrazione
scadenza 14 febbraio
grandprizevirtuosointernational
musiccompetition.com
MILANO
Master class di violino
Francesco Manara
23-24 marzo
scadenza 23 febbraio
consmilano.it
MILANO
Master class di batteria jazz
Gregory Hutchinson
1-2 aprile
scadenza 1 marzo
consmilano.it
Eccellenze senesi: il “Rinaldo Franci”
Prendere il volo
L'Orchestra Giovanile Regionale della Liguria: come trasformare
un piccolo ensemble di studenti in una compagine di 80 elementi
O
ra succede che i ragazzi dei corsi
più avanzati, passati all’orchestra
dei “grandi”, chiedano di poter
restare anche in quella giovanile».
Vittorio Marchese, violinista dalla
prestigiosa carriera internazionale,
attualmente primo violino del Quartetto
di Torino, racconta alcune curiose
dinamiche sorte nell’Orchestra
Giovanile Regionale della Liguria,
da lui fondata e diretta.
Come si riesce a trasformare in pochi
anni una piccola compagine di studenti
di conservatorio in un’orchestra di 80
elementi? Prima di tutto viene lo slancio
educativo, spiega Marchese:
«I ragazzi hanno il diritto di poter fare
esperienze musicali collettive di qualità.
Dobbiamo renderli consapevoli
di essere indispensabili a un progetto
importante». Il primo nucleo orchestrale
è stato formato nel 2011 in seno
82 Amadeus
al Conservatorio di Genova, dove
Marchese insegna violino. Il pieno
riconoscimento istituzionale è arrivato nel
2014, mentre l’attività concertistica ha
preso il volo durante il 2015, toccando
non solo il Conservatorio del capoluogo,
ma anche importanti sale nella regione
e l’Auditorium di Milano. L’evento
più memorabile è stato un concerto nella
Sala Nervi del Vaticano, alla presenza
di papa Bergoglio, in cui lo stesso
Marchese ha imbracciato il violino
per suonare con i ragazzi.
Un grande merito dell’orchestra è
la sua apertura a tutte le realtà musicali
della regione: oltre al Conservatorio
di Genova, che ne resta capofila, licei
e istituti musicali di ogni tipo, e anche
l’Orchestra Giovanile del Ponente
Ligure (“Ligeia”). I componenti
dell’Orchestra Regionale, selezionati
mediante audizioni, preparano le parti con
i rispettivi insegnanti, per poi partecipare
alle prove d’insieme a Genova.
Le difficoltà logistiche si risolvono con il
supporto attivo delle famiglie, coinvolte
dall’entusiasmo dei ragazzi, che si
sentono pienamente responsabili dell’esito
artistico del proprio lavoro. «L’orchestra
suona con il piglio delle orchestre
professionali», racconta emozionato
Marchese, che sa bene come trarre un
suono “sinfonico” dai giovani strumentisti
(l’età è compresa tra 11 e 18 anni).
Il repertorio stupisce per lungimiranza
e valore formativo: Bach, Ives,
Čajkovskij, persino 4’33” di John Cage.
Le prove si trasformano in maratone
in cui ci si scorda di fare pausa,
l’orchestra diventa una grande famiglia
di traboccante umanità: adotterà presto
un bambino a distanza.
D
alla Liguria alla Toscana: un altro
esempio di come le realtà formative
d’eccellenza debbano aprirsi al contesto
territoriale, non solo per comunicare e
diffondere verso l’esterno, ma anche per
ricevere e, di conseguenza, crescere.
Parliamo dell’Istituto Superiore di Studi
Musicali “Rinaldo Franci” di Siena
con il suo direttore, il flautista Luciano
Tristaino.
Come interagite con le realtà locali?
«Siamo interessati a sviluppare la
formazione “in verticale”, relazionandoci
con le scuole primarie e il liceo musicale.
Abbiamo siglato 23 convenzioni con
scuole private di musica, che seguono i
nostri programmi di studio e preparano
gli studenti agli esami dei corsi pre-
A sinistra, l'Orchestra Giovanile Regionale
della Liguria in concerto; qui, alcuni musicististudenti dell'Istituto Franci di Siena
accademici, consentendo così un
inserimento fluido nella fascia accademica
della nostra istituzione. Favoriamo anche
il dialogo tra gli insegnanti, per un
aggiornamento continuo delle competenze
didattiche».
E con l’Accademia Chigiana?
«Effettuiamo una pre-selezione interna
per inviare i nostri migliori alunni ai corsi
della Chigiana. In caso di ammissione, una
speciale convenzione economica stabilisce
che le tasse di frequenza siano pagate per
metà dall’Accademia e per metà dall’Istituto
“Franci”».
Anche in Toscana esiste un’orchestra
giovanile regionale.
«Dal 2014 è stato attivato un percorso
regionale di formazione orchestrale:
l’Orchestra Toscana dei Conservatori
riunisce i migliori allievi provenienti
dagli istituti di alta formazione di Firenze,
Livorno, Lucca e Siena. È una preziosa
opportunità, che prepara i ragazzi alla
professione del musicista d’orchestra.
Le prove hanno sede presso il Maggio
Musicale; i direttori si avvicendano
a seconda delle produzioni, che girano
nei teatri del territorio. Dopo una
Cavalleria rusticana rappresentata
a Livorno, ora abbiamo in programma
il Requiem di Cherubini».
IL PUNTO
[email protected]
di Carlo Delfrati
A scuola
con il corpo
Quando si guarda l’educazione
musicale dall’alto dei secoli, Platone è
la figura che fatalmente emerge sopra
le altre. Quasi non c’è dialogo che
non veda i suoi interlocutori parlare di
musica: di strumenti, di modi (dorico,
frigio…), di pratiche. «I giovani», scrive
nella Repubblica, «trarranno vantaggio
da ogni parte donde un effluvio di
opere belle ne colpisca la vista o
l’udito… Il ritmo e l’armonia penetrano
profondamente entro l’anima e assai
fortemente la toccano, conferendole
armoniosa bellezza… Chi ha avuto
una perfetta educazione musicale sarà
prontissimo ad accorgersi delle cose
trascurate imperfettamente lavorate
o difettose per nascita e, giustamente
disgustato, loderà le cose belle”».
La condizione ideale per trarre profitto
dalla musica è però quella di non
isolarla dal corpo. «Chi meglio combina
ginnastica e musica e le applica
all’anima nella misura più giusta, è
il musico più perfetto e armonioso…».
Davanti a tale autorità il musicista
sopporterà di dividere l’encomio con
il ginnasta, e la limitazione con cui
Platone chiude la frase: «… più perfetto
e armonioso, assai più di chi accorda
tra loro le corde», cioè il musicista
ineducato fisicamente. Poco prima
ripeteva la stessa raccomandazione
al ginnasta. E conclude: «Coloro che
praticano la pura ginnastica risultano
troppo selvatici, quelli che praticano
la pura musica diventano troppo molli».
Oggi il musicista pigro, rassegnato
a sentirsi chiamare molle da Platone
pur di salvare i suoi spazi, a questo
punto prova il bisogno di saperne
di più. Perché poi ‘molle’? Mai visto
András Schiff scatenarsi sulla tastiera,
o Toscanini sbracciarsi a dirigere
Beethoven? Platone non avrebbe
saputo rispondere. Meno che mai
come saprebbe ben dire e fare oggi
un bravo docente di strumento: che
non si accontenta che l’allievo sappia
tradurre in suono quel che vede scritto,
ma promuove la sua consapevolezza
corporea e gli fa esercitare gli arti. Il
motto “a scuola con il corpo” vale
anche per l’educazione musicale.
Amadeus 83
NOTE DI VIAGGIO
Bielorussia
P
arti pensando alle casette di legno
colorato nei paesini dipinti da
Marc Chagall, e scopri un mondo
urbano di candore neoclassico. La capitale
Minsk in particolare, in quello che è il
Corso Nesavisimosti e nei quartieri che a
questo si affiancano, dimostra una scelta
assoluta del rassicurante ed elegante
linguaggio classico dell’architettura.
Timpani sorretti da colonnati sia che si tratti
del Palazzo dei Sindacati o dell’ingresso
monumentale di uno dei romantici parchi si
alternano alle costruzioni che proseguono
stilisticamente col razionalismo degli
anni ’30. Quest’ultimo, come in Italia,
ammorbidisce il suo rigore con decorazioni
plastiche, non celebrative come da noi
ma geometriche o floreali, e quando cala
la sera, suggestive luci colorate mettono
in risalto questo o quel dettaglio degli
edifici. Verrebbe da pensare che sia la non
lontana San Pietroburgo voluta da Pietro
il Grande ad avere ispirato queste scelte,
ma così non è: la presenza del gusto, e
degli architetti italiani, data in Bielorussia
84 Amadeus
Alla fine
del mondo
A Minsk e dintorni:
architettura italiana,
colori slavi, grandi
parchi, laghi. E molta
opera e balletto
di Annamaria Pellegrini
già dal Rinascimento. A quell’epoca
risalgono Chiese per la comunità cattolica
ispirate nella pianta basilicale alla romana
Chiesa del Gesù, e da allora il rapporto
tra la creatività italiana e quel mondo che
culturalmente ci sembra così lontano è
continuato, tanto che i locali della composta
movida cittadina capita che si chiamino
Venezia, o Milano. Che fosse per il grand
tour o per pellegrinaggi, i viaggiatori che
tornano in patria se sono principi, magnati
o consacrati della chiesa di Roma portano
non solo un’idea dell’arte che oggi convive
con quella tradizionale delle terre russe, che
tanto affascina noi con lo splendore delle
iconostasi e delle cupole dorate, ma anche
architetti italiani ben lieti di così prestigiose
committenze.
Non lontano dalla capitale si scopre il
castello di Nesvige, in un bosco dai colori
meravigliosi. Il suo restauro si è compiuto
nel 2010, e fu il comasco Giovanni Maria
Bernardoni a trasformarlo per i principi
Radziwill in raffinata dimora campestre.
Il suo busto ritratto continua a sorvegliare
l’opera compiuta dal parco. Circondata
dall’antico fossato, la sua opera si specchia
nelle acque ferme e limpide. Boschi e laghi
sono del resto il trait d’union del territorio
bielorusso, le domeniche d’estate le città
sono deserte perché nei laghi si riversa
la popolazione, e per quanto riguarda i
boschi ci sono i più ricchi polmoni verdi
ed ecosistemi, tra tutti il Byelovezhskaya
Puscha National Park, patrimonio Unesco.
E le piccole case colorate dipinte da Marc
Chagall, che nato in paese alla fine del
mondo, come disse sua moglie Bella,
diventa cittadino del mondo? Ne resistono
ancora nei piccoli paesi, colorate di verde
e giallo rosa e blu accostati a contrasto
(talune lasciate andare, altre amorevolmente
curate) così come lì resistono le croci ornate
di fiori coloratissimi e di nastri sgargianti.
Anche i cimiteri in campagna sono colorati,
delimitati da transenne coloratissime e
decorazioni rosa acceso e turchese.
Quanto di più lontano dal gusto
neoclassico, quello popolare che l’artista
ha fatto conoscere a noi tutti.
MUSICA PER GIOVANI
Le architetture di Minsk e i paesaggi naturali
che la circondano; in alto, il Teatro dell'Opera
Il “National Academic Bolshoi Ballet & Great Opera Theatre”, il gran teatro d’opera e balletto della
Repubblica di Bielorussia, è nel cuore di Minsk,
vicino alla Città Vecchia, ma circondato da un parco
ti appare improvvisamente nel suo monumentale
candore. La visione prospettica del suo timpano
sostenuto da colonne e sovrastato da statue classicheggianti è particolarmente suggestiva accedendo dal viale principale, dove si specchia in una
fontana. Costruito nel 1938, il suo recente restauro
è durato tre anni, nel corso dei quali tuttavia non si
sono fermati gli eventi musicali, che avevano luogo
nel Palazzo della Repubblica. Il pubblico che ama
opera, concerti e musica classica non è un pubblico d’élite: come in genere nei paesi di cultura
russa, frequentare opera e balletto è assolutamente abituale. L’educazione musicale è praticata fin
dai primi anni e lo dimostra anche la quantità di
spettacoli dedicati ai bambini (bolshoibelarus.by).
Decidiamo di continuare la nostra esperienza musicale alla Belarusian Philharmonic Society dove
siamo colpiti dal gran numero di giovani spettatori.
Anche questo edificio risale agli anni ’30 del ‘900,
ma qui il carattere neoclassico della facciata che
dà sul corso principale, servito da una metropolitana “d’epoca” anch’essa di interesse artistico,
prosegue all’interno con caratteri architettonici e
di arredo originali che sembrano preannunciare
già il design degli anni ’60, come le decorazioni
artistiche che rappresentano sulla scalinata interna
il mondo della musica e della danza. Diverse qui
le sale da concerto, in particolare è spettacolare l’organo nella sala più grande, al piano nobile
(philharmonic.by). Ma nella capitale bielorussa anche le grandi piazze cittadine possono diventare in
estate luoghi deputati alla musica, in questo caso
gratuite, e ovviamente, gremite di gioventù. a. pell.
Amadeus 85
MECENATI
Restituire un dono
N
asce tutto a Bologna, nel 2006.
Uno è il messaggio di Claudio
Abbado da cui tutto ha origine:
«La musica è necessaria alla vita: può
cambiarla, migliorarla, e in alcuni casi
addirittura salvarla». Soprattutto in
luoghi difficili dove si crede che proprio
la musica potrebbe non entrare. Ad
esempio gli ospedali, o le carceri. Nasce
così l’Associazione Mozart14, che
dall’intuizione di Abbado si trasforma
in una realtà concreta, che ha oggi una
lunga esperienza alle spalle. «La musica
è necessaria alla vita...»: lo si riafferma
nel sito dell’Associazione (mozart14.com)
che nel novembre scorso ha organizzato
a Bologna Le Giornate di Tamino, una
tre giorni di festa e studio sul tema della
musicoterapia. E dietro i personaggi
mozartiani si nascondo i progetti promossi
da Mozart14. In primo luogo Tamino, che
dal 2006 coinvolge con attività e laboratori
musicali bambini dei reparti pediatrici e
strutture socio assistenziali. Un’esperienza
consolidata nel tempo con i reparti di
pediatria del Policlinico Sant’Orsola
di Bologna: un progetto interrotto
nel 2013 e ripartito l’anno seguente grazie
all’intervento dell’Associazione, che
lo ha ereditato dall’Orchestra Mozart.
Una realtà, quella di Mozart14, che assieme
a Tamino sostiene altri grandi progetti:
ad esempio il Coro Papageno, che riunisce
detenuti del penitenziario Dozza, e
le attività legate a Leporello nel carcere
minorile Pratello, sempre a Bologna.
Infine Cherubino, rivolto ad adolescenti
che si trovano in situazioni di disagio e
sofferenza. «Tamino nacque all’interno
dell’Orchestra Mozart, e dopo la chiusura
dell’orchestra mi resi conto che sarebbe
scomparso: così fondai Mozart14, per
portare avanti i progetti di mio padre
nel sociale.», spiega la presidente
dell’associazione Alessandra Abbado.
86 Amadeus
Premio
da assegnarsi
ad uno studioso
Nata 10 anni fa da un'intuizione di Claudio
Abbado Mozart14 è un'associazione
attiva per adulti, adolescenti e bambini
nelle carceri e negli ospedali bolognesi
«Oggi Tamino ha dieci anni di vita, e si è
radicato in numerosi reparti del Policlinico
Sant’Orsola di Bologna. Operiamo anche
con la Ausl e stiamo lavorando per portare
la musicoterapia anche a Milano e Palermo.
Siamo pronti, ma servono le risorse per
riuscirci. Nonostante la musicoterapia
sia una disciplina ormai affermata
scientificamente nel mondo, in Italia
siamo indietro, al punto che la figura del
musicoterapeuta non è ancora riconosciuta.
L’Associazione Mozart14 è un significativo
punto di riferimento nazionale e farà la sua
parte. Ma noi siamo una realtà associativa
“speciale”, composta in gran parte da
professionisti: musicoterapisti, maestri e
insegnanti del coro Papageno, psicologi,
educatori. Una scelta coraggiosa a cui
non vogliamo rinunciare, che rende però i
costi molto più alti. Per fortuna abbiamo
alcune realtà come Unicredit, Ima e
GD che ci sostengono. Anche i privati
ci mandano piccole somme, che per
noi sono molto significative. Abbiamo
bisogno dell’aiuto di tutti coloro che
amano la musica, e desiderano che la
sua forza tocchi anche chi soffre».
E se qualcosa insegna la presenza di una
realtà come Mozart14, è che: «L’arte e la
bellezza sono un dono inestimabile quando
le riceviamo», Alessandra Abbado. «Il
mecenatismo è da questo punto di vista la
capacità di comprendere che questo dono
deve essere restituito. Non possiamo tenerlo
per noi. Non solo per riconoscenza, quanto
perché chi impara a conoscere la bellezza
attraverso l’arte, scopre che nessuno
dovrebbe esserne escluso...».
di Edoardo Tomaselli
[email protected]
che intenda svolgere
ricerche di argomento
pucciniano
da compiersi
in due anni,
a partire
dal luglio 2016.
Premio di € 10.000
Il Rotary Club di Lucca e la Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, d’intesa con il Centro
studi GIACOMO PUCCINI, bandiscono il «Premio Rotary Giacomo Puccini Ricerca», da assegnarsi
ad uno studioso che intenda svolgere ricerche di argomento pucciniano. Le ricerche dovranno
concludersi con la presentazione di uno studio monografico, che potrà essere pubblicato dal
Centro studi GIACOMO PUCCINI.
Il concorso, a cui possono partecipare studiosi di qualsiasi nazionalità, viene bandito per
una ricerca da compiersi in due anni, a partire dal luglio 2016. Il premio consiste in una somma di € 10.000 (euro diecimila), da corrispondersi a lavoro ultimato, con facoltà di concedere
acconti intermedi fino ad un massimo del 50% del premio; il saldo del premio verrà corrisposto dopo che il testo sarà approvato.
Il premio non può essere considerato una borsa di studio.
Al concorso si partecipa mediante la presentazione di un progetto di ricerca accompagnato da un curriculum vitae del candidato corredato dai dati anagrafici e dai recapiti. Nel progetto vanno specificati, oltre agli argomenti, anche i materiali che lo studioso intende
utilizzare per la ricerca stessa: il Centro studi GIACOMO PUCCINI acquisirà i documenti segnalati
dal vincitore, qualora non fossero già disponibili presso la sua sede.
I progetti possono essere redatti in italiano, inglese, francese o tedesco.
I progetti devono essere inviati sia tramite raccomandata R.A. (farà fede il timbro postale)
sia tramite posta elettronica in formato pdf.
L’indicazione «Premio Rotary 2016» deve essere evidente sia sul plico postale, sia nell’oggetto della e-mail.
La Commissione giudicatrice dei progetti di ricerca è composta dal Presidente del Centro
studi GIACOMO PUCCINI o da un suo delegato, dal Presidente pro-tempore del Rotary Club di
Lucca o da un suo delegato, e da altri tre rappresentanti per ciascuno di questi due Enti. Il
Centro studi GIACOMO PUCCINI nomina tra i membri della Commissione il Presidente, il cui voto
prevale in caso di parità numerica. La Commissione può attribuire menzioni speciali e ha altresì facoltà di non assegnare il premio.
La Commissione ha competenza relativamente alla nomina del vincitore e al controllo dello
svolgimento della ricerca.
La ricerca si articola in due anni, con presentazione di una dettagliata relazione alla fine
del primo e con la consegna dell’intero elaborato, pronto per la pubblicazione, alla fine del secondo. L’elaborato approntato dall’autore deve essere consegnato entro il 30 giugno 2018 alla Commissione per l’approvazione. Eventuali e limitate proroghe possono essere concesse
a insindacabile giudizio della Commissione.
Nel valutare le domande, la Commissione giudicatrice tiene conto dei seguenti criteri:
– originalità della proposta di ricerca;
– pertinenza della metodologia con cui s’intenda realizzarla;
– impatto del progetto nell’ambito degli studi sinora compiuti;
– congruenza tra la ricerca proposta e i limiti temporali della sua realizzazione;
– acquisizione di documenti inediti, o comunque di rilevante interesse.
Le domande devono pervenire alla sede del Centro studi GIACOMO PUCCINI entro il 30 maggio 2016.
L’esito del concorso viene comunicato entro il 30 giugno 2016.
L’elaborato deve essere consegnato entro il 30 giugno 2018.
A TAVOLA
con Falstaff
Grande baritono e
gran cuoco, ha cantato
il Falstaff di Verdi più
di 250 volte nel mondo.
Si esibisce volentieri
anche ai fornelli sul suo
sito: ambrogiomaestri.com
Le ricette di Ambrogio Maestri
In maschera
I
nterpretare un ruolo in scena è in fondo
mettersi una maschera, calarsi nei panni
di un altro. Dedico, così, la mia ricetta
di questo mese proprio al Carnevale, che
in febbraio riempie le città di travestimenti
e manifestazioni. Ogni regione d’Italia ha
le sue tradizioni culinarie per festeggiare
questa ricorrenza, ma io ho scelto i tipici
“cenci” toscani – fritti e dalla forma a fiocco
– in onore del compositore livornese Pietro
Mascagni, che con l’opera Le Maschere,
su libretto di Luigi Illica, nel 1901 omaggiò
la commedia dell’arte e mise in scena
le vicessitudini di Florindo, Colombina,
Arlecchino, Rosaura e Pantalone.
Le Maschere, però, non ebbe grande
successo e non riuscì a imporsi nel
repertorio, come invece fecero altre opere
del compositore come Iris e L’amico Fritz.
A rendere Mascagni celebre nel mondo
fu soprattutto la sua prima opera, Cavalleria
rusticana, in cui canterò, travestito
da Alfio il carrettiere, al Metropolitan
di New York fino al 26 febbraio, direttore
Fabio Luisi, regia di David McVicar.
Quest’anno festeggerò, quindi, lontano dal
mio paese, cucinando i “cenci” per gli amici
e i colleghi di tutte le nazionalità, perché
“a Carnevale ogni dolce vale”!
88 Amadeus
“Cenci”
Ingredienti per 6 persone
 500 gr. di farina  60 gr. di zucchero  50 gr. di burro  4 uova
 zucchero a velo  olio di semi per friggere  un bicchierino di vino bianco  sale
Vino consigliato: Vin Santo del Chianti
Versate la farina su un piano da cucina e mescolatela con lo zucchero e un pizzico
di sale. Create un varco al centro per inserire il burro, fatto precedentemente
ammorbidire, le uova e un bicchierino di vino bianco. Lavorate l’impasto con le mani,
come se fosse pasta per le tagliatelle, e fatene una palla liscia che farete riposare
per circa mezz’ora coperta da un tovagliolo. Tirate, poi, la pasta col mattarello
dandole uno spessore di circa 2-3 millimetri e tagliandola con la rotellina dentellata
in rettangoli lunghi circa 12 centimetri e larghi 4. Date ai rettangoli la forma a nodo
o a fiocco e fateli friggere – pochi pezzi alla volta – in abbondante olio di semi bollente.
Quando avranno preso un bel colore dorato, sgocciolateli, fateli asciugare su carta
assorbente e infine riponeteli in un piatto cospargendoli con zucchero a velo.
Consumateli caldi o freddi a piacere!
LIBRI
Corsi di Alto Perfezionamento
Artistico e Musicale
scadenza domande
15 febbraio/15 luglio
violino
viola
Ana Chumachenco
Marco Rizzi
Roberto Ranfaldi
Pavel Berman
Rudens Turku
Anna Serova
musica da camera
flauto
clarinetto
violoncello
Robert Cohen
pianoforte
Konstantin Bogino
Ramin Bahrami
composizione
liuteria - restauro
Fine Arts Quartet
Yumiko Urabe
Anna Serova
Davide Formisano
Enrico M. Baroni
Azio Corghi
Carlos Arcieri
anno accademico 2016
Palazzo Gromo Losa - Corso del Piazzo 24 - 13900 Biella
tel. +39 015 29040 - fax +39 015 3528282 - [email protected]
www.accademiaperosi.org
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Dipartimento dello Spettacolo
Direzione PromozioneAttività
Culturali, Istruzione e Spettacolo
Settore Spettacolo e Cultura
FUORI DAL TEATRO.
MODI E PERCORSI DELLA
DIVULGAZIONE DI VERDI
LA MUSICA ALLA RADIO,
1924-1954
a cura di Angela Ida
de Benedectis
e Franco Monteleone
a cura di Antonio Carlini
Marsilio, 2015,
pagg. 275, € 28,00
Bulzoni, 2015, pagg. 417, € 30,00
U
n libro meritevole su Giuseppe
Verdi. Si tratta degli atti del
convegno promosso dall’Istituzione
casa della musica di Parma. Un
pregevole spaccato, ben documentato,
sulla rapida espansione della musica
verdiana al di fuori della sede
canonica del teatro. Espansione che
ha invaso gli ambiti più disparati
della realtà sociale, fino a entrare
nell’immaginario collettivo della gente
comune oltre che nella consuetudine
quotidiana di molte persone. Luoghi
comuni, modi di dire, temi musicali
codificati nella pratica salottiera
come nelle bande paesane e cittadine
(trascrizioni), nelle corali parrocchiali
fino alle funzioni liturgiche, persino
nella canzone popolare di protesta
e nel teatro di marionette, per non
parlare del mondo discografico e
del relativo mercato che proprio
all’indomani della morte del maestro
di Busseto muoveva i primi passi
“tecnologici”. Nessun musicista
italiano è riuscito come Verdi a
penetrare la vita musicale nazionale
così come gli ambienti di tutti i
segmenti di società. La spiegazione?
Ce la fornisce Primo Levi, citato nel
libro:«Verdi non era più soltanto il
grande maestro italiano, era il solo
grande maestro vivente, in sè e in una
creazione che bastava a riassumere
le tendenze, le aspirazioni, le voci di
tutto il rinnovato mondo civile».
Antonio Brena
P
DEBUSSY, LA BELLEZZA
E IL NOVECENTO
Ernesto Napolitano
Edt, 2015, pagg. 224, € 22,00
S
i rivela sempre più stretto, col passare degli anni, il vincolo che la
musica di Debussy ha contratto nei primi decenni del Novecento fra
la modernità e la bellezza», con questa affermazione, che è veramente
tutto un programma, si apre il volume Debussy, la bellezza e il Novecento.
“La Mer” e le “Images” pubblicato per Edt da Ernesto Napolitano, studioso
che ha insegnato Istituzioni di Fisica teorica presso la Facoltà di Scienze
e, in seguito, Storia della Musica moderna e contemporanea nel corso di
laurea in Dams dell’Università di Torino; oltre che autore di svariati saggi e
articoli sulle opere di Mozart e su autori del Novecento, fra cui Mahler, Berg,
Maderna, Xenakis. Impossibile non ricordare Mozart. Verso il Requiem.
Frammenti di felicità e di morte (Einaudi 2004). Attraverso un’avvincente
analisi di due capolavori del compositore francese (appunto il trittico
sinfonico La Mer e la raccolta pianistica delle Images), Napolitano guida in
maniera appassionata il lettore nel riconoscimento della peculiare idea di
bellezza che, affondando le radici in un mondo naturale, Debussy concepì
ispirandosi all’immaginazione istantanea ed espresse attraverso una visione
musicale aliena dalle elaborazioni formali della tradizione tedesca.
Massimo Rolando Zegna
erché 1924-1954? Perché
proprio tra questi due estremi
temporali prende forma e inizia
a trasmettere l’Uri, l’unione
radiofonica italiana, mentre il 1954
sigla ufficialmente la nascita della tv
pubblica italiana. Dietro, e attorno a
queste date, si sviluppa l’imponente
volume curato dalla musicologa
Angela Ida de Benedectis, che
raccoglie un lunghissimo elenco
di contributi ad ampio raggio sul
medium radiofonico. Contributi
che si è scelto di dividere in
quattro grandi sezioni, dedicate
al rapporto tra musica e strategie
produttive, all’analisi di altre
realtà radiofoniche europee, alla
diffusione di musica popolare, jazz
e leggera, e infine alla nuova musica
trasmessa alla radio. Saggi critici
in primo luogo, ma assieme una
raccolta di testimonianze dirette e
ricordi – fuori onda, come si scrive
in quarta di copertina – di grandi
protagonisti della storia della radio.
Un volume che, anche davanti
agli impressionanti cambiamenti
tecnologici degli ultimi vent’anni –
in cui sembra dominare l’immagine
prima di ogni altra cosa – «si pone
come un elogio alla forza dell’udito,
basato sulla convinzione che ancora
oggi... la voce e il suono della radio
continueranno a vincere».
Edoardo Tomaselli
Amadeus 91
Turandot. Analisi critica
Lo scaffale
Paolo Martina
Schwan Edizioni, 2015
pagg. 40, s.i.p.
ARPE, MARI E MADRI
I
n una quarantina di pagine
firmate da Paolo Martina, un’agile
introduzione per il lettore non
esperto alla Turandot di Giacomo
Puccini: dalla trama, alla genesi e
realizzazione, all’analisi, fino a una
discografia ragionata.
VITA QUOTIDIANA
Enrica Lisciani-Petrini
Bollati Boringhieri, 2015
pagg. 262, € 25,00
I
nsegnante di Filosofia teoretica
presso l’Università di Salerno,
studiosa dei rapporti tra filosofia
e arte (in particolare quelli
riguardanti la musica) e del pensiero
francese contemporaneo, Enrica
Lisciani-Petrini ha pubblicato
per Bollati-Boringhieri il volume
Vita quotidiana. Dall’esperienza
artistica al pensiero in atto. Il
volume segue altre pubblicazioni,
come Il suono incrinato. Musica
e filosofia nel primo Novecento
(2001), Risonanze. Ascolto,
corpo, mondo (2007) e Charis.
Essai sur Jankélévitch (2013).
In Vita quotidiana, la studiosa
cerca di riportare al cuore della
riflessione contemporanea la sfera
dell’esperienza del quotidiano:
una dimensione in cui siamo
inevitabilmente coinvolti, ma nei
cui confronti la tradizione filosofica
ha sempre registrato una singolare
difficoltà a confrontarsi, attratta più
dalle sfere, come scrive l’autrice,
dell’eccezionale, dell’eroico,
dell’autentico. Impegno non facile
che qui viene affrontato attraverso
una strategia di aggiramento. In
sostanza, anziché partire dal piano
del discorso filosofico, si perviene
a esso attraverso i linguaggi
dell’arte, della letteratura, della
psicanalisi, del cinema, della
moda e, ovviamente, della musica,
direttamente affacciati sul flusso
della vita di ogni giorno: le vertigini
del quotidiano del Wozzeck di Berg,
le vite inautentiche di Erwartung e
Die glückliche Hand di Schönberg,
le scene di strada di Brecht...
Massimo Rolando Zegna
92 Amadeus
VERDI & WAGNER
NEL CINEMA E NEI MEDIA
a cura di Sergio Miceli
e Marco Capra
Marsilio-Casa della Musica, 2014
pagg. 124, s.i.p.
I
l titolo è bello e disinvolto, con
quella congiunzione che sa tanto
di ditta d’affari: ma no, sono atti di
un convegno internazionale tenuto
a Parma, presso l’efficiente Casa
della Musica, i giorni 10-11 maggio
2013 (certo, di per sé, più ricchi e
laboriosi di quanto non risultino ora).
Nell’ambito del bicentenario, dunque,
a proposito del quale i curatori
parlano addirittura di un «briciolo
di perversione del Fato». Si tratta
di sette saggi, comprensivi anche di
un’audace Cavalcata delle Valchirie
che parte da Griffith e raggiunge
Coppola, a firma di studiosi di
cinema, spesso giovani, per i quali
la musica, alla buon’ora, non è più né
inutile ornamento né povera ancella.
Nella Traviata, per esempio, Birgit
Schmidt ravvisa piani d’orchestra
e di canto contrapposti in maniera
stereofonica, quasi cinematografica.
Poi Giovanni Lasi riconosce al
vecchio cinema d’opera una virtù
divulgativa capace di portare
all’opera stessa, specie gli ignari ceti
bassi del primo Novecento. Quanto
a Wagner, ecco il Parsifal di HanJürgen Syberberg (1982, un secolo
esatto dalla prima di Bayreuth), film
che raduna riferimenti a Donatello,
Moore, Arcimboldo, Klimt, Rossetti,
Millais, Van der Goes, Portormo e a
Caravaggio, la cui Medusa troneggia
sullo scudo di un protagonista oramai
più qualificabile come “puro folle”.
Piero Mioli
PROTAGONISTI DELLA
DANZA DEL XX SECOLO
È
LO SGUARDO OBLIQUO.
IL TEATRO MUSICALE DI
CORGHI E SARAMAGO
Elena Randi
Graziella Seminara
Carocci, 2014, pagg. 257, € 21,00
Ricordi Lim, 2005, pagg. 466, € 23,00
S
e è vero che ogni scelta
implica e determina una catena
di esclusioni, il nuovo volume di
Elena Randi ce ne dà conferma.
Protagonisti della danza del XX
secolo non è una monografia
dedicata alla storia della danza
del Novecento attraverso i suoi
protagonisti, né sull’argomento
intende avere completezza ed
esaustività. È, invece, una raccolta
di nove saggi ciascuno dei quali
incentrato sulla personalità di
un coreografo novecentesco e
sulla sua poetica, esaminata in
relazione a un’opera particolare
e a essa circoscritta. Entrano,
quindi, nello studio della Randi,
collocati in ordine cronologico,
Loïe Fuller con la Danza
Serpentina, Isadora Duncan,
Vaclav Nižinskij con L’Aprèsmidi d’un faune, Mary Wigman
con La danza della strega e
i Carmina Burana, Martha
Graham con Night Journey, Alwin
Nikolais con Noumenon, Pond
e Crucible, Merce Cunningham
con Scramble, Simone Forti
(saggio di Margherita Pirotto)
con Home Base, Pina Bausch
con Kontakthof. Ciascun saggio
propone un evento, un momento
dell’evoluzione della modern
dance e il suo contrappunto
con la storia del teatro e le
teorie della scena, una sezione
tagliata sul continuum storico,
apparentemente autonoma
eppure rappresentativa in se
stessa di un impulso operato sul
processo infinito dell’arte.
Ida Zicari
C
Le canzoni degli animali
Lorenzo Tozzi, Maria Elena Rosati,
Gabriele Clima
Curci, 2015, pagg. 36 + cd, € 15,00
I
l terzo volume cartonato,
vivacemente illustrato della nuova
collana “Le canzoni dei bambini”
proposta da Edizioni Curci.
Qui sono protagonisti il gatto,
l’elefante, il dromedario, una giraffa
di stoffa, un ghepardo che corre
come il vento, una povera lumaca,
un pipistrello e una zanzara. Nel
cd allegato i brani cantati e le basi
musicali per il karaoke.
onverrà cominciare a smettere
di citare sempre e solo Da
Ponte e Mozart o Boito e Verdi.
Perché il rapporto, l’autentico
sodalizio fra uno scrittore e un
compositore è anche viva prassi
d’oggi: che la Blimunda del 1990
sia un’opera di valore e successo è
fuori discussione, ma che la musica
di Azio Corghi vi abbia coperto un
testo di José Saramago diventando
l’origine di una collaborazione
ammontante a ben sette opere,
questo è significativa materia di
studio. Così Graziella Seminara
ha raccolto tutti i libretti sorti
dall’artistica coppia, li ha decorati
con sostanziosi commenti e con
l’edizione del carteggio intercorso.
E dunque si leggano i primi
avvistamenti generici, le leste
prove e dichiarazioni di fiducia
e amicizia, gli andirivieni anche
un po’ zoppicanti che presiedono
a operazioni come queste (con
direttori artistici, concertatori,
registi [si pensò anche a Fellini!])
e tutte le soddisfazioni dei prodotti
finali. Non di meno si leggano i
testi, di uno spessore letterario ben
degno dell’intonazione imminente:
ecco Divara, che accampa forti
tematiche religiose e femminili;
La morte di Lazzaro, che della
famosa resurrezione si fa un bel
baffo; e magari anche Il dissoluto
assolto, il solito, vecchio e ormai
quasi simpatico don Giovanni che si
rassegna a cancellare un inutile don.
Piero Mioli
un’assonanza che la lingua francese consente, quella tra “la mer” (il mare)
e “la mère” (la madre) ad averci fornito la chiave per entrare davvero nel
cuore dell’ultimo romanzo di Abraham Yehoshua. Ne La comparsa, La
mer è quella di Claude Debussy, i tre schizzi sinfonici (De l’aube à midi sur la mer,
Jeux de vagues, Dialogue du vent e de la mer) composti nel 1905 nel cui organico
ha un ruolo cruciale la presenza di due arpe. Perché la protagonista del libro di
Yehoshua è un’arpista, appunto. Si chiama Noga, è israeliana ma vive in Olanda
dove suona nella Het Gelders Orkest di Arnhem (di cui nella realtà Antonello
Manacorda è direttore principale dal 2011). Preso un periodo di aspettativa, torna
a Gerusalemme per prendersi cura dell'appartamento della madre, la quale ha
deciso di trascorrere un periodo in una casa di riposo a Tel Aviv, al termine del
quale deciderà se trasferirsi lì, dove abita il figlio maschio con la moglie e i figli.
Noga invece non ha bambini, non ne ha voluti, e il marito pur amandola in modo
possessivo e financo ossessivo l’ha lasciata per questo, risposandosi ed avendo
poi dei figli. Ed ecco apparire “la mère”:, perche Noga non lo è – e per scelta – in
una società in cui anche gli ebrei laici sembrano negare femminilità a chi non
vive la maternità. In quei giorni trascorsi nella casa della sua infanzia, dove il
vecchio quartiere in cui è nata e cresciuta si è “tinto di nero”, abitato ormai per la
maggior parte da ebrei integralisti, genitori di nidiate di bambini poco accuditi e
mal educati, Noga è costretta a interrogarsi sul rapporto con il suo paese, con la
madre anziana (che durante una discussione le dice «se tu pensi di suonare me
allora suona le note giuste»), con il fratello, con l’ex marito, con il padre morto poco
tempo prima, con gli uomini. E con la sua identità femminile. Non avendo generato
è una comparsa Noga – che per occupare il suo tempo israeliano accetta di
lavorare come tale sul set di telefilm e anche nella Carmen al Festival di Masada –
o è ancora una donna? Questo sembra domandare Yehoshua al lettore. Per noi
è nell’arpa l’anima di Noga, la sua essenza. Nella musica che è per lei «qualcosa
di essenziale, non di sottofondo», nella passione e nell’amore per la musica che
in lei riescono a fermare i pensieri e a placare il dolore fisico. La musica dell’arpa
del Concerto per flauto e arpa K 299 di Mozart, della Sinfonia fantastica di Berlioz,
delle Danze sacre e profane e delle due arpe (una nera una dorata) della Mer di
Debussy che nell’epilogo trasognato e dolorosamente liberatorio del libro Noga
suona in concerto a Kyoto, in quel Giappone a cui tanto si legano gli “esquisses”
debussiani la cui partitura originale portava in copertina l’iconica onda di Hokusai.
LETTERE A BERLINO
M
entre tutto il Nord Europa e la pur
accogliente Germania della cancelliera Merkel sono scossi da sussulti
antieuropeisti e si parla di chiudere le
frontiere assaltate da popoli in fuga, risuonano davvero profetiche le parole
conclusive della Musica scorre a Berlino, nuova edizione rivista e ampliata di
quelle dense conversazioni su musica,
arte, vita tra Claudio Abbado e Lidia Bramani che erano state pubblicate per la
prima volta nel 1997 con l’evocativo e
cinematografico titolo La musica sopra
Berlino. Abbado – dalla sua scomparsa
sono appena passati 2 anni – pensando al periodo trascorso alla guida dei
Berliner Philharmoniker, ai cicli musicali
realizzati, agli obiettivi artistici, culturali e
sociali raggiunti, rifletteva: «Ritrovo nel-
le parole della grande scrittrice (Herta
Muller) che ha scelto Berlino come sua
patria d’adozione la forza delle città e
dei paesi che sanno accogliere chi ha
alle spalle tradizioni differenti e ricordi
spesso non facili. Questa è la parte più
propositiva della Berlino che amo. [...]
Chissà se Berlino saprà mantenersi fedele a se stessa. Chissà se Berlino saprà
insegnare questo atteggiamento a tutta
la Germania e a tutta l’Europa. Chissà».
L’ 8 ottobre 1989 «il Muro sarebbe crollato entro un mese e un giorno», Abbado
era stato nominato successore di Karajan sul podio dei Berliner. Avrebbe tenuto il suo primo concerto alla Philharmonie
come Chefdirigent il 16 dicembre e lo
sarebbe rimasto sino al 2002 per dodici
indimenticabili e indimenticati anni.
LA COMPARSA
Abraham B.Yehoshua
Einaudi, 2015
pagg. 260, € 20,00
LA MUSICA SCORRE
A BERLINO
Claudio Abbado
conversazione
con Lidia Bramani
Bompiani, 2015
pagg.152, € 13,00
di Paola Molfino
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I
n un mondo a sempre più alta vocazione
tecnologica, il concetto di “casa
intelligente” sta aprendo scenari fino
a pochi anni fa inimmaginabili; l’idea di
una dimora in grado di adattarsi su misura
allo stile di vita di chi la abita, all’interno
della quale le azioni di routine vengono
automatizzate e programmate nei minimi
dettagli, è diventata quanto mai attuale
e soprattutto realizzabile. Si tratta di
configurazioni rese possibili da sistemi
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Milanesi
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Amadeus 95
NEWS
in studio
Gioco e leggerezza
e dolce, ma anche dall’aspetto ironico,
spiritoso e giocoso soprattutto del suo
ultimo movimento. La maggior parte dei
miei compagni di classe invece studiava
quello in do maggiore; spesso assistevo
alle loro lezioni e ciò mi ha aiutato molto
quando ho deciso di avvicinarmici. Li
amo moltissimo entrambi, sono i più
eseguiti del mio repertorio. Quello in do
è il più richiesto, molto immediato e il più
popolare: forse proprio per questo io ho un
affetto particolare per quello in re. Nella
registrazione di quest’ultimo ho scelto di
eseguire una cadenza molto frequentata in
questo momento storico, spesso richiesta
in audizioni e concorsi, e della quale
non ci sono molte versioni oltre a quella
dell’autore: il grande Maurice Gendron».
La Sinfonia dei Giocattoli è una musica
che per alcuni, come me, riporta alla
memoria ricordi di fanciullezza: era la
sigla della Tv dei Ragazzi, trasmissione
Rai anni ’70. Perché ha deciso di
affiancarla ai Concerti?
«Anche a me fa lo stesso effetto, mi riporta
a quel periodo e alla stessa trasmissione
televisiva! Ho deciso di inserire questa
Sinfonia – di difficile attribuzione –
soprattutto per il suo aspetto di
leggerezza e di gioco che condivide con
i Concerti: il filo conduttore del cd».
Quest’anno, I Solisti di Pavia festeggiamo
i 15 anni di attività. Che qualità e
caratteristiche specifiche ha voluto
ottenere da questo organico?
«Sono molto orgoglioso dei miei Solisti, 15
anni è un bel traguardo, in questo momento
storico “resistere” è molto importante.
Siamo continuamente attaccati da una
generale tendenza al ribasso e da una cultura
artistica che aspira alla spettacolarizzazione,
prima ancora che alla sostanza. Grazie al
sostegno della Fondazione Banca del Monte
di Lombardia in seno alla quale nacque
la Fondazione I Solisti di Pavia, e grazie
soprattutto, ci tengo molto a sottolinearlo,
alle persone che siedono nel consiglio di
amministrazione, si è creato in questi anni
un ambiente molto familiare. Fare musica
tra amici è una delle esperienze artistiche
più appaganti che esistano e con I Solisti è
così a ogni prova. La disciplina nell’insieme,
la ricerca di un suono sempre di altissima
qualità e la leggibilità del fraseggio sono le
fondamenta sulle quali baso la mia ricerca
personale e che di conseguenza condivido
con i miei compagni di viaggio».
Mi dica quali sono per lei i tre
imprescindibili nomi del violoncello.
«Questo è un giochino che non amo molto
perché nella lista ci potrebbero stare decine di
violoncellisti come nessuno; l’obiettivo di un
artista è la perfezione, la quale non essendo
parte di questa vita, e forse di nessun’altra, di
fatto non esiste. Cedo comunque volentieri
alla richiesta nominando le tre figure che
hanno più inciso nella mia formazione:
Mstislav Rostropovič, Pierre Fournier e
Antonio Janigro».
MAKINGOF
PROGETTO MARAIS
E
nrico Dindo non ha bisogno di
presentazioni; è semplicemente
uno dei più grandi violoncellisti
dei nostri anni. Per Decca è appena uscito
il suo nuovo cd nel quale, assieme al suo
ensemble I Solisti di Pavia, interpreta i due
Concerti per violoncello e orchestra in do
maggiore e in re maggiore di Haydn, oltre
alla cosiddetta Sinfonia dei giocattoli.
I due Concerti di Haydn sono un must
nella storia del violoncello e un suo
cavallo di battaglia da sempre: li registrò
anche per Amadeus 15 anni orsono. Come
si è sviluppato il suo rapporto con queste
composizioni?
«Uno degli aspetti più straordinari della
musica è il fatto che non la si può fermare
né congelare: è in continua trasformazione,
e personalmente credo che l’aspetto della
96 Amadeus
Enrico Dindo festeggia
i quindici anni di attività
dei suoi Solisti di Pavia
con un cd Decca
dedicato ai Concerti
per violoncello
di Franz Joseph Haydn
di Giuseppe Scuri
registrazione sia solo la testimonianza
dell’emozione di un attimo. I Concerti
per violoncello di Haydn non sfuggono a
questa logica, sono tra i primi ad apparire
sui nostri leggii di giovani violoncellisti
e ci accompagnano per tutta la vita;
attendere il giorno in cui si possa essere
definitivamente soddisfatti è inutile quanto
dannoso, l’attesa si può trasformare
addirittura in frustrazione. Poterli registrare
in diversi momenti della vita è un grande
privilegio, ma è solo la testimonianza di
un percorso che sarà lungo come la mia
esistenza.Da ragazzo ricordo di aver amato
prima quello in re maggiore, non so bene
perché, ma quando mettevo un lp, dono
dei miei genitori, giravo il disco sempre
da quel lato, ero molto attratto dalla sua
eleganza e dal suo essere così tenero
Allievo di Paolo Pandolfo e di Rudolf Lutz
alla Schola Cantorum Basiliensis, François
Joubert-Caillet ha al suo attivo una serie di
collaborazioni eccellenti con formazioni di
prim’ordine: due per tutti, Les Talens Lyriques
e Le Concert d’Astrée. Nel 2009, ha fondato
L’Achéron, un ensemble ad assetto variabile
che riunisce giovani musicisti provenienti da
tutto il mondo, con cui ha realizzato alcune
imprese discografiche: anche in collaborazione con Wieland Kuijken. Nell’autunno del
2014, nella splendida Chapelle Notre-Dame
de Centeilles, nel dipartimento francese
dell’Hérault (Languedoc-Roussillon), assieme
al suo gruppo Joubert-Caillet ha iniziato per
Ricercar un progetto discografico di grande
impegno: la registrazione dei cinque Libri di
Pièces de Viole di Marin Marais (oltre 600
composizioni ordinate in 20 cd). Sarà completata nel 2022. Il primo disco della serie
viene pubblicato in questo mese di febbraio,
e raccoglie diciotto pagine tra le più famose
tratte dai cinque Libri.
Amadeus 97
MAURIZIO BAGLINI
DISCHI
SCHUMANN
★ insufficiente
P I A N O S O N ATA S 1 & 2
P R E S T O PA S S I O N AT O
T O C C ATA
★★ sufficiente
★★★ discreto
★★★★ buono
Maurizio Baglini dà avvio alla registrazione
dell’opera integrale di Schumann con le due
Sonate per pianoforte e la celebre Toccata op. 7.
★★★★★ ottimo
A
L’album contiene anche il Presto Passionato,
originariamente concepito come finale
della prima versione della Sonata op. 22.
AA.VV.
Cœur. Airs de cour français de la fin du XVIe siècle
A
Le Poème Harmonique, Vincent Dumestre
Alpha 1 cd (Self-Tàlea) 2015
Photo: © Michele Maccarrone
D
CD 4812391 / DIGITALE
A L T R E
ENRICO DINDO
HAYDN
Concerti per violoncello
n. 1 e 2
Sinfonia dei giocattoli
I Solisti di Pavia
N O V I T À
I MUSICI
VIVALDI
RECORDINGS
SCHUBERT
THE EDITION VOL. 1
Musica per orchestra,
da camera e per
pianoforte
EDIZIONE LIMITATA
39 CD
27 CD
Universal Music Group - Classics & Jazz Italia
27 CD 4824391
SPECIALE
www.universalmusic.it/classica
Erato 16 cd (Warner) 1951-1976
Artistico: HHHHH Tecnico: HHH
P
rosegue la volenterosa iniziativa
della Erato che pubblica l’opera
discografica integrale di uno dei più
importanti flautisti di tutti i tempi:
Jean-Pierre Rampal. Un interprete che
ha dominato l’intero repertorio
flautistico segnando indelebilmente il
ventesimo secolo. La perizia
strumentale del celebre solista
francese è del tutto evidente in questi
16 cd – registrati tra il 1951 e il 1976
– che spaziano dal barocco di Bach,
Telemann, Händel, Vivaldi e Rameau,
al Classicismo viennese di Haydn,
Mozart e Beethoven, al Romanticismo
di Scubert, Schumann, Chopin,
Mendessohn e Bellini,
all’Impressionismo francese di
Debussy e Ravel, alla composizione
moderna di Stravinskij, Honneger,
Falla, Malipiero e Ravi Shankar.
Grande ecletticità stilistica, sempre
colta con precisione sonatistica,
efficace espressività di lettura e
lungimirante piglio interpretativo di
cultura e impianto classico: queste le
caratteristiche che emergono
dall’ascolto di queste registrazioni,
spesso datate e non sempre “pulite”
per le nostre orecchie
tecnologicamente assuefatte alle
illimitate potenzialità del digitale. Alle
imperfezioni tecnico-esecutive il
flautista di Marsiglia supplisce con un
senso profondo della musicalità e con
un istintivo senso della poesia. Del
resto con lui collaborano i più grandi
musicisti dell’epoca, sia direttori,
solisti ed ensemble strumentali.
Antonio Brena
PREZZO
PREZZO
CD 4812376 / DIGITALE
opo un certo periodo di silenzio, questo nuovo titolo segna il ritorno al
disco per Alpha di Vincent Dumestre e del suo Le Poème Harmonique.
In linea con le precedenti, tutte caratterizzate da un altissimo valore specifico,
anche questa produzione appare ricercata nella scelta del repertorio,
selezionato sempre con grande intelligenza e personalità, come nella
realizzazione e nella riuscita interpretativa. Cœur. Airs de cour français de la
fin du XVIe siècle recita il titolo: ovvero pagine di bellezza assoluta composte
perlopiù nell’arco di trent’anni, tra il 1570 e il 1600, da autori oggi poco o
nulla conosciuti, quali sono Girard de Beaulieu (ca 1540-1590), PierreFrancisque Carroubel (1566-1611), Jean Boyer (prima del 1600-1648), Pierre
Guédron (ca 1565-1620), Didier Le Blanc (fl. 1579-1584), Fabrice-Marin
Caiétain (ca 1540-dopo il 1578), Lorenzini (fl. seconda metà del XVI secolo),
Guillaume Costeley (ca 1530-1606), Adrian Le Roy (ca 1520-1598). Gemme
di ammaliante bellezza che con un’impronta interpretativa inimitabile
Dumestre fa affiorare con folgorante bellezza dall’oblio discografico e
concertistico, assieme al nobile genere musicale che nutriscono. Quattro voci e
pochi strumenti, sono sufficienti a Dumestre per evocare in maniera assieme
aristocratica e appassionata un intero mondo, una civiltà musicale irripetibile e
perduta, in cui s’incontrano sussurri e passione, epica e abbandoni lirici,
dolcezze e colori accesi. Il modo con cui Dumestre sa porgere la musica è
unico e il disco è più che mai imperdibile.
Massimo Rolando Zegna
I dischi migliori
del mese
scelti per voi
da Amadeus
AA.VV.
Jean-Pierre Rampal.
The complete HMV
Recordings 1951-1976
SPECIALE
39 CD 4795545
Amadeus 99
Classical Collections
DISCHI
MARTÍN CODAX
Ondas
A
Vivabiancaluna Biffi, Pierre Hamon
Arcana 1 cd (Self-Tàlea) 2014, 2015
B
isogna chiudere gli occhi e immaginarsi seduti sul crinale di una scogliera
della Galizia, mentre si ascolta questo cd: ovvero sulle propaggini ultime
del mondo conosciuto nel Medievo. Il consiglio non è così grettamente
gratuito come si potrebbe pensare di primo acchito. Ondas, l’ultima
registrazione di Vivabiancaluna Biffi, è stata volutamente concepita per
amplificare in più punti la presenza dell’Oceano: uno spazio, meglio ancora,
un “vuoto” che nel Medioevo era sentito come infinito e soprannaturale, così
come in un certo senso lo è ancora per noi oggi il cielo. Non a caso a questo
mondo misterioso e mistico, quasi fosse il paradiso, indirizzano per lo più il
loro canto d’amore, solitudine, lontananza e nostalgia, ma anche di preghiera
di un ritorno, le donne protagoniste delle Cantigas de amigo di Martín Codax:
un giullare galego-portoghese di grande sensibilità artistica attivo attorno alla
metà del XIII secolo durante il regno di Alfonso III di Portogallo, quando la
Galizia era teatro di una fervida attività letteraria inscritta nell’imponente
movimento trovadorico. Si tratta di sette splendide pagine in cui ricorre la
presenza del mare, assieme a quella della città di Vigo, qui incastonate da due
coeve Cantigas de amor: rispettivamente di Rui Fernandes de Santiago e Paio
Gomes Charinho. Ondas sviluppa un doppio straordinario ossimoro, estremo e
incrociato che nutre le Cantigas di Martín Codax: da una parte la mobile
vastità dell’ignoto, dall’altra la fissa introspezione di alcune giovani donne.
Una doppia dualità che nel disco viene accompagnata, amplificata e
trasfigurata dal ritmo lento e sensuale di una musica che rispecchia quello delle
onde del mare di Vigo. Se qui Vivabiancaluna Biffi ci fa affiorare antiche
emozioni musicali provate con Andrea von Ramm, fondamentale risulta la
presenza arcaica ed arcana dei flauti medievali di Pierre Hamon.
Massimo Rolando Zegna
100 Amadeus
DISCHI
AA.VV.
Violin Sonatas op. 100 & 108,
ecc.
AA.VV.
Goldberg Variations, Diabelli
Variations, ecc.
Isabelle Faust, Alexander Melnikov
Harmonia Mundi 1 cd (Ducale) 2014
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
I
sabelle Faust e Alexander
Melnikov terminano il ciclo delle
Sonate di Johannes Brahms –
Seconda e Terza più F.A.E. che è
Sonata a più mani: Albert Dietrich
(primo tempo) e Schumann
(secondo) oltre all’Amburghese
(terzo e quarto) – e completano il cd
con le Tre Romanze op. 94 di Robert
Schumann. La lettura della Sonata in
re minore è in bilico sin dal primo
tempo fra intimità (i ristagni sulla
dominante e sulla tonica) e canto
sfogato nel violino come in un
pianoforte davvero eccellente e
sempre ben “cantante”. È questo
oscillare fra empito e ripiegamenti la
chiave di lettura d’un Brahms,
appunto Fine secolo: dal bell’affondo
lirico nell’Adagio, scorrevole nello
Scherzo, limpido (gran pianista
Melnikov) nell’eccitato-ripiegato
Finale. Idem il discorso per la tenera,
lacustre Sonata in la maggiore,
molto ben partecipata (e
chiaroscurata) dalla Faust col
fondamentale supporto di un
pianoforte sensibilissimo, d’una
diffusa dolcezza (Andante tranquillo)
e ariosità (Vivace) nel secondo
tempo come nel Finale, tra
sospensioni e accensioni liriche.
Intima, tenera e accurata è, a sua
volta, la lettura delle Romanze
schumanniane: tersa e senza
sentimentalismi (notevole per
eccitazione la parte centrale della
Seconda e più nota). Gran finale con
la F.A.E. la cui lettura, impeccabile
nell’Allegro dietrichiano,
eccitatissima in quello brahmsiano,
non fa rimpiangere il disco epocale
di Isaac Stern. Ampie e trilingue le
note di Roman Hinke.
Alberto Cantù
BEAMISH
The Singing
BEETHOVEN
Violin Sonatas nn. 6, 7, 10
Igor Levit
Sony 3 cd (Sony) 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
Royal Scottish National Orchestra,
Martyn Brabbins
Bis 1 cd (New Arts International) 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
Francesca Dego, Francesca Leonardi
Dg 1 cd (Universal) 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHH
I
T
gor Levit e le variazioni. Il primo cd
contiene le Goldberg di Bach, il
secondo le Diabelli di Beethoven e il
terzo quelle assai meno famose del
vivente Frederic Rzewski, costruite
sul celebre motivo della canzone degli
Inti Illimani El pueblo unido jamás
será vencido! Il perché della
vocazione del 28enne pianista russotedesco, lo si capisce da una domanda
che si pone e che dallo specifico
musicale evidentemente sfora nella
vita: «quanto posso andare lontano
rimanendo allacciato alla mia
ancora?» (vedi Grandangolo pag.6).
E in effetti, se si considera quanto
immaginifiche sono le elucubrazioni
bachiane e beethoveniane che
sgorgano dall’incantevole e tornito
tema Andante espressivo dell’autore
barocco e dalla geometria del Valzer
di Diabelli (sufficientemente
schematica per fargli piombare
addosso la gigantesca investigazione
del genio di Bonn), non si può che
condividere l’assunto avventuroso del
quesito. Inoltre, avventuroso lo è pure
l’interprete oltreché tecnicamente
ineccepibile. Dimostra un fine gusto
nelle Goldberg che lo porta ad
“approfittare” dei ritornelli per
ricamare ulteriori abbellimenti
stilisticamente appropriati. E anche in
Beethoven persuade, seppure un po’
troppo registrato sul “bi-color” dei
contrasti, mentre nelle variazioni
dell’americano Rzewski dà sfoggio di
granitiche sonorità e sognanti
titillamenti. Anche se – diciamolo con
franchezza – giusto l’empatia per
l’esaltante hit cilena ci fa digerire
l’accoppiamento un po’ stranito a
cotanti capolavori dal profilo assoluto.
Nicoletta Sguben
re concerti con tre grandi solisti,
per i quali sono stati
espressamente scritti e pensati: lavori
che hanno visto la luce tra il 2003,
come il Trumpet Concerto interpretato
da Hakan Hardemberger, e Reckless
per orchestra da camera del 2012. Il
sassofonista Brandford Marsalis
suona la versione di Under the Wing
of the Rock (2006\2008) per sax e
archi, mentre l’accordeonista James
Crabb apre il cd con la partitura che
dà il titolo al disco, The Singing, del
2006. A Cage of Doves, per orchestra,
è l’ultimo dei lavori della
compositrice inglese Sally Beamish
(1956) che compare in questo cd, una
partitura ispirata da un racconto dello
scrittore scozzese George Mackay
Brown, commissionata da Sir
Maxwell Davies. Un disco
profondamente scozzese non solo per
i richiami musicali al mondo della
tradizione nordica del folk (presente
soprattutto nei nove movimenti di The
Singing), ma per le stesse origini della
Beamish – nata a Londra ma residente
in Scozia da quasi un trentennio –
dello stesso Crabb e delle due
orchestre coinvolte in questo progetto:
la Royal Scottish National Orchestra e
la National Youth Orchestra. La
Scozia come fonte di ispirazione per i
suoi paesaggi e la sua cultura – da un
lato – e dall’altro i richiami al mondo
del jazz, come spiega la stessa
Beamish nel booklet del cd. Un disco
interessante, pagine specchio di una
curata e raffinata ricerca timbrica: ma
soprattutto un’originale voce
compositiva, capace di creare
paesaggi sonori immersi in una luce
densa di ombre e inquietudini
notturne.
Edoardo Tomaselli
S
i completa con questo cd
l’integrale delle Sonate per
violino e pianoforte di Beethoven.
Bene hanno fatto le due interpreti a
concludere il progetto con l’op. 96
(1812) la più lirica delle dieci, in
sintonia per altro con lavori coevi
(dalla Sonata per pianoforte op. 90
al ciclo liederistico “An di ferne
Geliebte”). L’esecuzione del duo
Leonardi-Dego è nell’insieme
pregevole, accurata nei particolari
dove più emerge il suo affiatamento
quanto a scelte dinamiche e stacco
dei tempi; a quest’ultimo proposito,
di ottima riuscita è il finale
dell’Allegro con brio della n. 7
restituito con la necessaria tensione
drammatica. Decisamente amabile è
la resa del tempo lento della n. 6,
ma i migliori esiti artistici
appartengono alla n. 10 aperta da un
incipit di quattro note dal quale si
distende tutta la cantabilità del
primo tempo al quale forse la Dego
avrebbe potuto conferire un più
caldo respiro lirico pur nella
perfezione del fraseggio e
dell’intonazione. In compenso
le variazioni conclusive del Poco
allegretto finale sono una delle perle
di questa esecuzione e di tutto
il progetto che ha il merito
di valorizzare le qualità artistiche
di due tra le migliori musiciste
italiane di nuova generazione.
Come già nei due primi cd, qualche
riserva suscita l’equilibrio dei piani
sonori: nel primo era a danno
del violino, nel secondo del
pianoforte che anche qui, nel terzo
cd, risulta spesso penalizzato.
Ettore Napoli
BERG, WELLESZ
Lyric Suite, Sonnets by Elizabeth
Barrett Browning op. 52
Renée Fleming, Emerson String Quartet
Decca 1 cd (Universal) 2014, 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
È
nota la vicenda romanzesca della
Suite lirica, ispirata ad Alban
Berg dall’amore, inconfessato e
invonfessabile, per Hanna FuchsRobettin. Assai meno noto è il fatto
che per il Largo desolato che
conclude il capolavoro il compositore
aveva pensato a un testo da intonare,
niente meno che il De profundis
clamavi di Baudelaire nella
traduzione di Stefan George. In questa
registrazione della Suite lirica il
Quartetto Emerson con Renée
Fleming propone, di seguito al finale
puramente strumentale della versione
pubblicata nel 1927, appunto la
versione vocale, in cui la presenza del
soprano e della parola poetica produce
un effetto di grande suggestione. La
dimensione narrativa e teatrale latente
della Suite lirica diviene così
manifesta e permette anche uno
sguardo retrospettivo nuovo sui
cinque movimenti precedenti della
composizione. Accoppiato alla Suite
lirica è un pezzo di rara esecuzione, il
ciclo Sonetti di Elisabeth Barrett
Browning op. 52 (1934) di Egon
Wellesz. Personalità di primo piano
della cultura musicale Viennese degli
anni Venti e Trenta, come Berg allievo
anch’egli di Schönberg, Wellesz
diverrà tuttavia più noto come storico
della musica che come compositore,
insegnando per decenni a Oxford.
Della qualità della sua musica,
organica al linguaggio
dell’espressionismo e più in generale
a un senso della tradizione che risale
sino a Mahler e Zemlinsky, il ciclo
qui interpretato con convinta
trasparenza e partecipazione è una
prova significativa quanto sino in
fondo godibile.
Cesare Fertonani
BRAHMS
The Songs of Brahms, vol. 6
Ian Bostridge, Graham Johnson
Hyperion 1 cd (Sound and Music) 2013
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
I
an Bostridge è il protagonista,
insieme a Graham Johnson, del
sesto volume dell’integrale Hyperion
dei Lieder per voce e pianoforte di
Brahms. L’edizione non segue
l’ordine cronologico di
composizione delle liriche (anche
perché l’autore incluse spesso nelle
raccolte a stampa edite con numero
d’opus pezzi risalenti ad anni
anteriori) ma tende a raggrupparle
tenendo conto piuttosto dell’ordine
con cui esse furono pubblicate e di
criteri musicali. Il sesto volume è
costituito da due raccolte complete,
Lieder und Gesänge op. 32 e Vier
Lieder op. 96, e da quindici altre
liriche; vi compaiono, tra l’altro, tutti
e sei i Lieder su testi di Heine.
Bostridge canta qui da interprete
raffinato, nel segno di quella sorta di
fuoco raggelato che ne
contraddistingue l’arte vocale:
l’impatto con la lirica di Brahms è
impressionante per l’intensità e
l’estensione – lungo l’intero arco
della registrazione – con cui sono
rese le inquietudini, le sfumature
espressive, le sottigliezze di
pronuncia e intonazione della linea.
Addentrarsi con Bostridge
nell’universo dei Lieder di Brahms è
scoprire innumerevoli percorsi
emozionali, sempre imprevedibili e,
per così dire, a fior di pelle sotto il
nitore del controllo formale. L’esito
riesce tanto più memorabile se si
considera che quasi nessuno dei
ventotto Lieder in programma (fanno
eccezione Auf dem Kirchhofe e
Ständchen) appartiene al novero
degli hits brahmsiani e va
sottolineato il contributo di qualità
decisiva della parte pianistica di
Johnson.
Cesare Fertonani
Amadeus 101
DISCHI
DAVID
Herculanum
LISZT
Après une lecture de Liszt
NIELSEN
Symphonies 1-6
PÄRT
Musica selecta
PÄRT
Passacaglia
PROKOF’EV
Prokofiev-Viktoria Mullova
Gens, Desbayes, Montvidas, Flemish
Radio Choir, Brussels Philharmonic,
Hervé Niquet
Edition Singulares 2 cd (Sound and
Music) 2014
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHH
Giuseppe Albanese
Dg 1 cd (Universal) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
London Symphony Orchestra, Colin Davis
Lso 3 cd (Sound and Music) 2011
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
Interpreti vari
Ecm 2 cd (Ducale) 1983-2011
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
È
R
N
Anne Akiko Meyers, Mdr Leipzig Radio
Symphony Orchestra and Chorus,
Kristjan Järvi
Naïve 1 cd (Self-Tàlea) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
Viktoria Mullova, Tedi Papavrami,
Frankfurt Radio Symphony Orchestra,
Paavo Järvi
Onyx 1 cd (Milano Dischi) 2012-2014
Artistico: HHHH Tecnico: HHHH
A
V
P
A
MOZART
Sonate per violino e pianoforte K 303, 304, 378, 379
Caterina Demetz, Federica Bortoluzzi
Movimento Classical 1 cd 2015
C
hi ha detto che in Italia non esistono cameristi autentici? Che i
Conservatorio non li sanno formare? Che la musica da camera, da noi, è
un ripiego per solisti mancati? Prendete il duo Caterina Demetz, classe 1989
e Federica Bortoluzzi, entrambe frutti del Conservatorio di Milano, entrambe
cameriste nate (la Demetz si è diplomata pure in pianoforte) e cresciute.
Perché con le Sonate per pianoforte e violino di Mozart non si può barare o
suonare all’incirca. Qui l’intesa è perfetta, il rilievo dei due strumenti
studiato col bilancino del farmacista, il suono flessibile ed espressivo e
il fraseggio vario ed eloquente. Chapeau! Cuore di questo récital (pubblicato
in anteprima da Amadeus nel febbraio 2015 come cd in download, n.d.r.)
risulta la Sonata in mi minore KV 304 dove il duo Bortoluzzi-Demetz attacca
misteriosamente e deliba con estatica dolcezza e studiatissime pause
il doloroso canto d’anime dei due movimenti. Chiarezza, profondità,
tenerezza e mistero del suono, chiaro rilievo del contrappunto, smarrimenti
ed aperture ad hoc. Tutto calcolatissimo eppure d’effetto spontaneo. Come
nei modi della Sonata in si bemolle maggiore KV 378 dall’arioso, tenero
concertante su studiatissime leggerezze e un’agogica (vedi ancora la K 304)
impeccabile, con una gioia del canto ben comunicativa. Gioia di fare musica
e di farla al meglio. Rara consapevolezza interpretativa tanto da sperare che
questo cd, registrato ottimamente, sia il primo di un’integrale. Note senza
fronzoli, al cuore dei brani di Ettore Napoli.
Alberto Cantù
102 Amadeus
DISCHI
rima dell’Unesco e dei recenti
crolli, il Vesuvio e le città sepolte
di Pompei e di Ercolano non
mancarono di stupire un pubblico
avido di catastrofi come quello
dell’Opéra di Parigi (allora Académie
Impériale de Musique), abituato alle
eruzioni del «formidabil monte
sterminatore» fin dal finale della Muta
di Portici di Daniel Auber. Su questo
sublime spettacolo naturale puntarono
gli astuti reggitori della grande
Boutique, quando nel 1859 affidarono
l’opera in quattro atti Herculanum al
compositore provenzale Félicien
David. Nel 1844 divenne celeberrimo,
non solo in patria, per la sua odesinfonia, Le Désert, lodatissima da
Berlioz e non ignota a Verdi.
Herculanum esalta la fede cristiana
nel contrasto con la corruzione
pagana, fra palazzi fastosi e sfingi,
colonne doriche e fantasie etrusche,
giardini lussureggianti e falde
vulcaniche minacciose. David per tutta
la vita fu esiliato nel “deserto” dal
successo di un genere. Una vignetta lo
mostrava suonare un’arpa dalle corde
spezzate, seduto sulla carcassa
scheletrica di un cammello, accanto a
un cartello: “Eterno deserto”.
Herculanum, ripescata dall’oblio ed
eseguita eccellentemente a Bruxelles,
è merito della Fondazione Bru Zane di
Venezia, modello culturale francese al
quale dovrebbero prestare più
attenzione i nostri enti lirici (fanno
eccezione la Fenice di Venezia e Santa
Cecilia), magari solcando il pelago
immenso dei nostri compositori
emigrati oltralpe.
Giovanni Gavazzeni
dedicato al Franz Liszt
europeista ante litteram,
viaggiatore e concertista moderno il
nuovo cd del pianista reggino
Giuseppe Albanese, che abbiamo già
potuto apprezzare in passato per la
profondità analitica delle sue letture
musicali. Ci presenta qui un Liszt
che sa trarre ispirazione ugualmente
dalle manifestazioni della natura e
dall’ingegno dell’uomo come dai
riferimenti a Schiller, alla Commedia
e al teatro musicale. Se il perno del
cd è la Fantasia quasi Sonata Aprés
une lecture de Dante, non a caso
costruita su quell’intervallo
“diabolico” evocativo dell’Inferno
dantesco che è il tritono, non
mancano altri nuclei tematici. Il
primo è l’acqua come simbolo di vita
e di fede: un percorso che parte
dall’ispirazione bucolica di Au bord
d’une source alla meraviglia
idraulica dei Jeux d’eau à la Villa
d’Este fino ad arrivare al misticismo
di St. François de Paule marchant
sur les flots. Il secondo è quello delle
trascrizioni, da Berlioz (Danse des
Sylphes), Wagner (Isoldens
Liebestod) e Bellini (Réminiscences
de Norma): tre pagine magnifiche
che gettano uno sguardo ancor più
internazionale su questa raccolta. Da
ultima la Rapsodia Spagnola, che
vive del contrasto tra la religiosità
tormentata del Tema della Follia e la
gioia popolaresca della Jota
aragonese. Albanese si conferma qui
interprete lucido, in grado di
conferire a brani di altissimo livello
ma non sempre uniformi per
provenienza e ispirazione un filo
conduttore di grande rigore che
spinge l’ascoltatore a godersi questa
registrazione tutta d’un fiato.
Claudia Abbiati
egistrata live nel 2011 al Barbican
Center di Londra, è ora
disponibile per il 150° della nascita
l’integrale delle sinfonie di Nielsen,
che con Grieg e Sibelius ha avuto il
problema della coesistenza tra
l’ingombrante influenza del
sinfonismo tedesco e istanze proprie
della cultura musicale nordica; prima
tra tutte la tendenza al descrittivismo
di paesaggi così caratteristici. È dalla
Sinfonia n. 4 in poi (1916) che il
compositore danese trova la soluzione,
quasi filosofica, nella
«rappresentazione in musica di tutto
quello che pensiamo e sentiamo
riguardo la vita». Musicalmente
questo si traduce nel ricorso alla
cosiddetta “tonalità progressiva”,
ovvero al passaggio da una tonalità
all’altra senza curarsi troppo delle
regole dell’armonia tradizionale. Per
fare questo Nielsen ricorre a
un’orchestrazione ricca di effetti
nell’ambito di strutture classiche
(variazione, fugato, forma-sonata);
sotto la guida di Colin Davis la
London Symphony Orchestra il
risultato di questo arduo percorso è
più che eccellente. La riprova la
fornisce il secondo movimento della n.
3 al quale i vocalizzi senza parole di
soprano e baritono (Lucy Hall e
Marcus Farnsworth) conferiscono un
originale fascino idilliaco. Quasi tutte
in quattro movimenti spesso collegati
tra loro, le sei sinfonie devono alla Lso
e a Davis se da certi passaggi,
tutt’altro che rari, non emerge un certo
vuoto di idee; è il caso delle variazioni
conclusive della n. 6, che orchestra e
direttore esaltano al meglio nonostante
il ricorso del compositore a soluzioni
timbriche che sfiorano l’effetto-fanfara.
Ettore Napoli
ella storia della musica, ci sono
autori che rimandano per via
diretta al contesto geografico in cui
operarono. Basti pensare a Vivaldi:
ascoltando la sua musica è impossibile
non pensare immediatamente a
Venezia, alle sue calli solitarie o al suo
mare: a volte oniricamente nebbioso
a volte solarmente sensuale. Tra gli
autori del nostro tempo, Arvo Pärt ci
appare vivamente radicato negli
orizzonti della sua Estonia: da cui la
sua musica sembra sgorgare
naturalmente: dalle basse tundre
desolate, come dalle mura scarne e
geometriche delle antiche chiese
ortodosse. La vena compositiva di
Pärt, infatti, pare coniugare
virtualmente l’ampiezza e la vastità
del paesaggio, con la sobrietà e la
sacralità dei templi religiosi:
sentinelle di epoche e stagioni dove
storia e leggende paiono confondersi
nella dimensione temporale e spaziale.
Quasi a riprova di tutto ciò, è il
libretto allegato a questi due cd, dove
le immagini prevalgono di gran lunga
sul breve testo scritto. Immagini, quasi
tutte scattate all’esterno in bianco e
nero. I brani raccolti nei due dischi
sono testimonianza importante degli
ultimi decenni di attività dell'ormai
80enne compositore estone. Fra di
essi ricordiamo Mein Weg del 1976
per 14 archi e percussione eseguito
con affidabile interpretazione dalla
Tallinn Chamber Orchestra sotto la
guida illuminata di Toni Kalijuste. E
poi ancora Kanon Pokjanen del 1997
dedicato agli stessi interpreti, da
sempre testimoni artistici eletti della
musica di Pärt. Infine segnaliamo il
duetto per violino e pianoforte Fratres
(1980) interpretato al meglio da Gidon
Kremer e Keith Jarret.
Antonio Brena
scoltando la musica di Pärt viene
in mente un verso di una poesia di
Emily Dickinson, in cui si legge:
«Preferisco venire dal silenzio per
parlare...». E davvero nelle opere del
compositore estone i suoni emergono
rarefatti da una lontananza siderale,
per muoversi nello spazio in una quasi
immobilità, fatta di impercettibili e
lievi mutamenti. In questo disco della
Naïve si ascoltano nove diverse opere:
alcune ormai entrate in un repertorio
mainstream, come nel caso di Fratres,
o del Credo, a fianco di altre meno
conosciute, in una produzione
considerevolmente vasta nonostante i
periodi di silenzio creativo di Pärt, che
nel 2015 ha festeggiato i suoi 80 anni.
Ad interpretare questo corpus di lavori
(che comprende la Passacaglia, La
sindone, Festina Lente, Darf Ich, Mein
Weg e Summa) c’è la Mdr Leipzig
Radio Symphony Orchestra and
Chorus diretta da Kristjan Järvi, con la
partecipazione della violinista Anne
Akiko Meyers cui è affidata la lettura
di Fratres, nella versione del 1977. E
in questo nuovo volume (il quarto) che
Naïve dedica a Järvi e alla sua
proteiforme attività di direttore
d’orchestra, emergono una serie di
legami familiari attorno alla musica di
Pärt, da anni amico di Neeme Järvi
(padre di Kristjan), ed entrambi nati
nella città di Tallin. E seguendo la
tradizione dei Järvi di essere i primi a
eseguire i nuovi lavori di Pärt, in
questo cd si ascolta anche l’ultima
versione (rivista) di La Sindone, un
viaggio interiore che riflette in musica
uno dei grandi simboli della
spiritualità cristiana.
Edoardo Tomaselli
iktoria Mullova, si sa, è grande
interprete dei compositori russi.
Non di Čajkovski, per scelta
(«l’impegno esecutivo è decisamente
superiore alla qualità musicale del
brano») ma senz’altro e con piena
convinzione di Prokof’ev. Un recital
di fine anni Ottanta porta una squisita,
trasparente lettura della Seconda
sonata con Bruno Canino in stato di
grazia. Sempre per la Philips, la
violinista russa ha lasciato una lettura
di pieno risalto del Secondo concerto
(con l’eclettico André Previn sul
podio della Royal Philharmonic)
assieme al Primo concerto di Dimitri
Šostakovič, autore quest’ultimo
particolarmente caro e congeniale
all’artista moscovita. Questo nuovo
disco somma alcuni live prokofiani
da Francoforte. Le cose migliori
sono due brani poco battuti come
le Sonate per violino e due violini
soli, quest’ultima registrata di
recente con risultati notevolissimi
anche dal Pima Duo ossia Matteo e
Maddalena Pippa (Dynamic, 2014).
Risaltano, nella Mullova come in
un egregio Tedi Papavrami, il
suono nordico, senza sole, non
mediterraneo e l’intreccio delle
parti è senza fallo. Meno
convincente risulta la lettura del
Secondo concerto. L’accuratezza
della solista è quella di sempre,
fuori discussione a partire dal
suono immacolato mentre la
bacchetta di Järvi risulta più corriva
e anche l’Orchestra di Francoforte
non brilla per particolare
espressività. Solo informative sono
le noti (trilingue) di Daniel Jeffe.
Buona è la presa del suono.
Alberto Cantù
Amadeus 103
DISCHI
SARASATE
Opera Phantasies
Volker Reinhold, Ralph Zedler
Mdg 1 cd (Sound and Music) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
V
PROKOF’EV, ČAJKOVSKIJ
Piano Concerto n. 2, Piano Concerto n. 1
A
Beatrice Rana, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Antonio Pappano
Warner 1 cd (Warner) 2015
N
on occorre essere il sommo Aldo Ciccolini per prevedere un futuro
radioso a Beatrice Rana. È sufficiente averla ascoltata alla Scala con la
Filarmonica nel maggio scorso, o deliziarsi con questo cd dove è spalleggiata
dall’esuberante orchestra ceciliana. Sì, ma il celebre “guru” glielo
diagnosticò per iscritto il futuro radioso. Le scrisse una dedica scomodando
niente meno che Clara Haskil, chiamata in causa come possibile o
impossibile reincarnazione della fanciulla. La piccola Beatrice aveva solo 9
anni: dovette attendere di arrivare a casa per documentarsi su chi era mai
quella misteriosa signora del pianoforte nominata dal suo mentore. Oggi ne
ha poco più di 20, ed è davvero molto brava. Non solo perché ha tecnica
impeccabile, spessore sonoro e musicalità: soprattutto perché, malgrado la
giovane età, ha qualcosa da “raccontare” con la musica. E questo non è così
frequente in un mondo come il nostro dove le mani baciate dalla grazia
prolificano come funghi, ma non con altrettanta rapidità le personalità e le
teste. Inoltre qui affronta due Concerti da brivido in grado di massacrare gli
arti superiori nel piglio battagliero col quale il pianoforte si oppone
all’orchestra: l’aguzzo e vitreo Secondo di Prokof’ev (il più ostico dei suoi
5) e il celeberrimo e insidioso Primo di Čajkovskij. Pappano è un eccellente
alter ego contro cui combattere; e farà piacere a Beatrice sapere che certi
suoni battaglieri e assieme radiosi ci hanno ricordato quelli della dea Martha
(Argerich) quando era giovane e imbronciata.
Nicoletta Sguben
104 Amadeus
ariazioni su un tema e Fantasie
operistiche sono pane
quotidiano per i virtuosi d’Ottocento,
violinisti o chitarristi, pianisti,
contrabbassisti o flautisti che siano.
Non fa eccezione Pablo de Sarasate
(1844-1908) da Pamplona che studiò
14 ore al giorno per 37 anni e mise a
punto 13 Fantasie d’opera da
proporre nei concerti con l’orchestra
– un’orchestra invero assai
sussidiaria – o nei salotti, a scopo
proporzionale, col pianoforte come
in questo cd e prima nei salotti
parigini con ideali Fantasie et similia
su opere francesi di successo: dal
Faust alla Dame Blanche a Mireille a
Mignon a Zampa più il Don
Giovanni di Mozart. Finalmente
troviamo raccolte in due cd – questo
è il secondo e porta 7 brani – le
Fantasie operistiche di Sarasate. Le
ha curate, dalla Germania, il
violinista Volker Reinhold, aria da
giovanottone spigliato e strumentista
spigliatissimo, solido e ben ferrato
tecnicamente nuovamente in coppia
affiatata con un Ralph Zedler al
pianoforte ben teatrale come si
conviene a questi lavori e fantasioso
come di raro avviene con le parti
cosiddette d’accompagnamento. Il
suonare con agio e margine di
Reinhold più l’eleganza di Zedler
fanno risaltare a dovere la Nouvelle
Fantaisie sur Faust – introduzione a
cadenza, più un tenero, ben tornito e
per nulla ovvio remake del «Salut,
demeure» – e un Souvenir de Faust
con ampia cadenza polifonica a solo
e un «Salut» stavolta in linea con
l’originale. Buona la presa del suono.
Alberto Cantù
DISCHI
SCHUBERT
Symphonies, Masses nn. 5-6,
Alfonso und Estrella
SCHUMANN, BERG
Liederkreis, Frauenliebe
und -leben, Sieben frühe Lieder
Röschmann, Streit, Gerhaher, Berliner
Philharmoniker, Nikolaus Harnoncourt
Berliner Philharmoniker 8 cd + 1 blu-ray
disc (Ducale) 2003-2006
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
Dorothea Röschmann, Mitsuko Uchida
Decca 1 cd (Universal) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
È
veramente possente il progetto
discografico dedicato a Schubert
da Harnoncourt e dai Berliner
Philharmoniker. E degna
dell’occasione è la realizzazione
grafica di gran pregio che raccoglie
otto cd e un blu-ray disc. Registrati
live alla Berlin Philharmonie tra il
2003 e il 2006, i dischi si dedicano
alle otto Sinfonie, alle ultime Messe
(la n. 5 e la n. 6) e al melodramma
Alfonso und Estrella: con la
partecipazione del Rundfunckchor
Berlin, nell’opera di una compagnia di
canto in cui spiccano Dorothea
Röschmann (Estrella), Kurt Streit
(Alfonso) e Christian Gerhaher
(Froila), e di altre voci di primordine
nelle due Messe (come quelle di Luba
Orgonášová, Bernarda Fink e Jonas
Kaufmann). Il blu-ray ripropone su
supporto video le medesime
interpretazioni. Coinvolgendo i
repertori sinfonico, sacro e teatrale,
l’operazione discografica si offre
come una significativa sintesi del
pensiero interpretativo che
Harnoncourt affida alla musica del
compositore viennese e assieme come
uno straordinario omaggio del
direttore d’orchestra al compositore
che – parole sue – sente più vicino al
suo cuore, per la sua unicità, per la sua
vicinanza alla morte. In tal senso, di
Harnoncourt sono soprattutto
significative le interpretazioni delle
due Messe, che il maestro intende non
come atti di devozione quanto di
esplosiva potenza con cui Schubert
viene a patti con la morte. Magnifici
– manco a dirlo – i Berliner, in primis
per compattezza e suono.
Massimo Rolando Zegna
I
l programma del recital liederistico
con Dorothea Röschmann e
Mitsuko Uchida, registrato dal vivo
alla Wigmore Hall di Londra, è
corposo e bellissimo. Il Liederkreis
op. 39 e Fraunliebe und -leben op.
42 di Schumann incorniciano i
Sieben frühe Lieder di Berg,
delineando un trittico dove le
meravigliose liriche giovanili del
futuro autore di Wozzeck rispondono
a due grandi capolavori della
liederistica ottocentesca. L’intesa è
eccellente, forse anche perché si
dispiega su un duplice piano.
L’approccio interpretativo condiviso
pone anzitutto in rilievo un’intensità
emozionale palpitante, addirittura
febbrile nei Lieder di Berg e in certi
passaggi di Fraunliebe und -leben,
pur senza rinunciare affatto alla
finezza nella lavorazione dei dettagli
di tono, pronuncia (tanto della parola
musicata nel canto quanto della
melodia pianistica, così decisiva in
Schumann), fraseggio e dinamiche,
in un esito di ispirata e vivida
naturalezza reso possibile dal
concerto dal vivo. Al contempo la
sensibilità discreta, squisitamente
cameristica della resa pianistica di
Mitsuko Uchida si configura come
controparte ideale al temperamento
acceso e alla generosità esuberante,
forse in qualche frangente anche sin
troppo connotata – e caricata – in
senso teatrale di Dorothea
Röschmann, che tuttavia alla fine
non manca di affascinare e
convincere al di là delle perplessità.
In fondo basterebbe ascoltare gli
ultimi due Lieder di Fraunliebe und
-leben per rendersi conto che si tratta
di un’interpretazione magnifica.
Cesare Fertonani
SCHUMANN
Piano Trios 1 & 2
SCHUMANN
Das Paradies und die Peri
SIBELIUS
The Symphonies
Trio Metamorphosi
Decca 1 cd (Universal) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
Matthews, Padmore, Royal, Fink,
London Symphony Chorus, London
Symphony Orchestra, Simon Rattle
Lso 2 sacd (Sound and Music) 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
Lahti Symphony Orchestra, Okko Kamu
Bis 3 cd (New Arts International) 2015
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
A
rendere la musica immortale è il
genio del compositore.
Rinnovarla e mantenerla viva tocca
agli esecutori. Più o meno attenti nel
cogliere la vera, intima, profonda
musicalità insita nella pagina scritta.
Il compito diventa più arduo se
occorre coordinare il lavoro e lo
studio con quello di altri interpreti:
come avviene nella musica d’insieme.
Forse anche per questo il repertorio
cameristico gode di meno popolarità
e passione da parte degli ascoltatori.
In quanto, è molto più difficile
restituire la grandezza artistica e la
sottile bellezza – quasi sempre
metafisica – che esprimono i trii o i
quartetti dei grandi musicisti.
L’ascolto di questo cd del Trio
Metamorphosi è in tal senso
esemplare. Il primo merito è quello di
trasmettere tutta la finezza sonora e la
grana poetica di quei due capolavori
che sono gli schumanniani Trii con
pianoforte n. 1 e n. 2, ottimamente
registrati nella Fazioli Concert Hall di
Sacile. Il primo, op. 63, fu eseguito la
prima volta in famiglia con pochi
amici nel 1847, e pochi mesi dopo
presso l’editore Härtel a Lipsia, con
Ferdinand David al violino, Johann
Andreas Grabau al violoncello e
Clara Schumann al pianoforte;
mentre il secondo, op. 80, sempre a
Lipsia, nel 1850 al Gewandhaus. Il
violinista Mauro Loguercio, il
violoncellista Francesco Pepicelli e il
pianista Angelo Pepicelli riescono a
fondere i rispettivi metalli pregiati in
un stupefacente amalgama di
musicalità, arricchito da delicatezza
digitale, lungimiranza espressiva,
coesione d’intenti e intelligenza
dialettica. Cd assolutamente
imperdibile.
Antonio Brena
A
l di là della qualità musicale delle
sue pagine e della fascinazione
melodica che lo percorre, il grande
oratorio di Schumann Die Paradies
und die Peri rappresenta ogni volta
una sfida interpretativa dal punto di
vista della drammaturgia e della
tenuta narrative, per non parlare della
distanza che sembra allontanarlo dal
gusto oggi prevalente. Occorre, in
altri termini, credere sino in fondo
alle qualità di questa partitura per
poterla valorizzare come merita.
Simon Rattle crede innanzi tutto alle
intrinseche qualità musicali
dell’oratorio e lo dimostra in una
restituzione smagliante alla quale
contribuiscono i solisti di rango (Sally
Matthews, Mark Padmore, Kate
Royal, Bernarda Fink, Andrew
Staples, Florian Boesch), il Coro e
l’Orchestra della London Symphony.
Credere alle qualità di questa musica
vuol dire anche divertirsi a
individuare l’appropriata cifra
espressiva per i diversi registri
stilistici e livelli espressivi che la
sostanziano: dalla prevalente
impronta liederistica al trattamento
neo-händeliano dei cori, dalle finezze
strumentali di una scrittura quasi
cameristica alla consistenza del
tessuto connettivo sinfonico. A
emergere in tutta evidenza, alla fine, è
prima di ogni altra cosa la forza
inventiva, immaginifica e sottilmente
allusiva della scrittura di Schumann,
di cui Rattle rende la sensuale
bellezza non meno che la sapienza
costruttiva in un’esecuzione dal vivo
che ha la vera vividezza e la
coinvolgente tensione del concerto.
Cesare Fertonani
N
el 2015 si sono festeggiati i 150
dalla nascita di Sibelius: con la
Sibelius Edition la Bis ha deciso di
rendere omaggio al re dei
compositori finlandesi, attraverso un
progetto discografico di 13 cd in cui
compare l’opera omnia. Le sette
sinfonie, tutta la musica da camera,
le opere corali e vocali, le pagine per
pianoforte, i poemi sinfonici e il
repertorio teatrale. Come tiene a
specificare il booklet di questo
cofanetto sinfonico, l’opera omnia si
basa su registrazioni effettuate negli
ultimi 28 anni, per un totale di oltre
ottanta ore. Per chi ama Sibelius, c’è
l’imbarazzo della scelta. Per chi
invece è interessato alle sue sinfonie,
qui si ascolta un’eccellente orchestra
(anche lei finlandese) guidata con
mano sicura da uno storico direttore
finlandese, e tre dischi di eccellente
qualità audio. Le sinfonie di Sibelius
– ad eccezione della Prima, che per
ammissione del suo autore ha un
relativo legame espressivo con le
sinfonie di Čajkovskij – sfuggono a
qualsiasi classificazione: composte
nell’arco di una ventina d’anni a
partire dagli albori del 1900, vivono
di un’architettura sonora che – negli
anni in cui l’Europa affrontava la
crisi del sistema tonale – recuperava
invece gli antichi modi, vicini e affini
al repertorio popolare cui Sibelius
restò sempre legato. Un cofanetto
che è un modo per tornare a riflettere
su questo corpus sinfonico, in un
percorso che muove da atmosfere
tardoromantiche per ricercare una
sempre maggiore semplicità
espressiva, la stessa che Adorno –
più a torto che a ragione – riteneva
essere povera nella stesura e
nell’ascolto.
Edoardo Tomaselli
Amadeus 105
DISCHI
SKRJABIN
Nuances
Valentina Lisitsa
Decca 1 cd (Universal) 2014
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
N
PUCCINI
Manon Lescaut
A
Opolais, Kaufmann, Maltman, Muraro, Orchestra & Chorus of the Royal Opera
House Covent Garden, Antonio Pappano, Jonathan Kent regia, Jonathan Haswell
regia video
Sony 1 dvd (Sony) 2015
O
ggi quasi non ci si fa più caso a strillate come: "la migliore stagione degli
ultimi cinquant’anni", "il più grande direttore pucciniano vivente"
(defunti, non a caso, esclusi). Con quest’andazzo anche il superlativo,
nemmeno più relativo, è sceso al valore di aggettivo qualificativo (impotente).
Mai però queste affermazioni escono dalla bocca da chi avrebbe titolo o
medaglie specifiche da apporsi sul petto. È il caso, per esempio di Antonio
Pappano e del suo rapporto congeniale con il teatro di Puccini, testimoniato
dalle numerose incisioni discografiche fra Bruxelles, Londra e Roma, e dai
dvd che riportano i recenti spettacoli nel teatro dove è direttore musicale, il
Covent Garden di Londra. Flagrante la statura dell’interprete nel primo
capolavoro pucciniano, Manon Lescaut, grazie alla collaborazione dell’asso
tenorile Jonas Kaufmann, un artista che ha tutto – leggerezza nell’approccio
amoroso e resistenza drammatica – e della generosità vocale di Kristine
Opolais (che bello sentire che ha ascoltato e tratto partito dalla grande Renata
Tebaldi). Perfino la messa in scena, solita trasposizione attualizzante, con
sovrappiù di gusto sgradevole (“trovate” come le effusioni erotiche del
musico e i vegliardi libidinosi, amici di Geronte), dovuta al regista Jonathan
Kent, non impedisce al fiume di passione lirica e musicale che quest’opera
solleva di scuotere anche i sudditi di Sua Maestra Elisabetta II. Niente elogi
questa volta, anche se il versante musicale è superlativo, ma solo per invertire
la tendenza alla lauda stolida e la deriva superlativa.
Giovanni Gavazzeni
106 Amadeus
on è la prima volta che la
talentuosa pianista russa
Valentina Lisitsa afferma il suo amore
musicale per Alexandr Skrjabin,
compositore che nonostante la
scomparsa in giovane età si è
affermato come uno dei più moderni e
anticonformisti tra i musicisti vissuti
tra ’800 e ’900. In Nuances però la
scelta di repertorio è piuttosto radicale
e rivolta quasi interamente alle opere
giovanili di Skrjabin, che affondano
solide radici nella tradizione
romantica e, in particolar modo, si
nutrono del modello chopiniano.
Un’eredità evidente fin dai titoli
(Valzer, Notturni, Mazurche, Scherzi
ecc.) per una selezione di 23
composizioni che in gran parte non
riportano neppure un numero d’opera:
solo in un secondo momento, a partire
dal 1893, il compositore ebbe accesso
alla pubblicazione. Per questo motivo
i primi tra questi brani sono da
considerarsi pregevoli esercizi di stile
in cui uno Skrjabin allievo del
Conservatorio di Mosca cercava di
trovare la propria voce personale
evolvendola dallo stile di Chopin. La
maturazione lo portò a scrivere i suoi
primi esempi di Poemi (op. 41 e op.
59), che preludono senz’altro allo
sviluppo dei tre grandi Poemi
orchestrali, e tra i brani selezionati
dalla Lisitsa c’è anche una versione
alternativa del celebre Studio op. 8 in
re diesis minore, meno “esplosiva” di
quella oggi più conosciuta ma di pari
interesse. L’interprete valorizza questo
repertorio poco noto caratterizzando
ogni pagina con le sue proprie
peculiarità di virtuosismo o intimismo
e conferendogli la vitalità che merita.
Claudia Abbiati
DISCHI
SUK
Asrael Symphony,
A Summer’s Tale
THUILLE
Violin Sonatas, Cello Sonata,
Trio for Violin, Viola & Cello
Orchester der Komischer Oper Berlin,
Kirill Petrenko
Cpo 3 cd (Sound and Music) 2002,
2004 e 2006
Artistico: HHHH Tecnico: HHHHH
Frank-Immo Zichner, Mark Gothoni,
Ulrich Eichenauer, Peter Hörr
Cpo 1 cd (Sound and Music) 2011
Artistico: HHHH Tecnico: HHHH
J
osef Suk (1874-1935) è stato tra i
più importanti compositori cechi
del primo Novecento, oltre che
fondatore – e secondo violino – del
leggendario Quartetto Boemo. Oggi
la sua cospicua produzione –
soprattutto strumentale – è pressoché
sconosciuta fuori dai confini della
Repubblica Ceca, schiacciata da
quella di Dvořák da un lato e di quella
di Janáček dall’altro, ma è indubbio
che contenga composizioni di un
certo interesse. Negli anni trascorsi
alla direzione della Komische Oper di
Berlino (2002-07), Kirill Petrenko ha
inciso diversi pezzi sinfonici di Suk,
ora qui riuniti in tre cd: l’ouverture Il
racconto d’inverno op. 9 (da
Shakespeare), la Sinfonia “Asrael”
op. 27, i poemi sinfonici Un racconto
d’estate op. 29 e Maturazione op. 34.
Completa il programma delle
registrazioni il poema sinfonico Il
lago incantato op. 62 di Ljadov.
Petrenko ha mano felice nella
concertazione di partiture dalla
sontuosa orchestrazione, che sa
restituire con trasparenza e al
contempo profondità di spessore; la
determinazione degli equilibri tra le
sezioni e il gusto per le tinte degli
impasti denota una non comune
sensibilità per l’articolazione
espressiva del suono che va oltre la
generica ricerca dell’effetto e della
brillantezza fine a se stessa. Del resto
anche la cura del fraseggio e degli
altri dettagli appare condotta e
realizzata con un’autorevolezza che
non ha alcunché di sforzato e
artificioso per perseguire la massima
naturalezza espressiva.
Cesare Fertonani
N
el 1907 moriva a Monaco di
Baviera Ludwig Andrä Maria
Thuille, bolzanino di nascita (1861)
ma di originai savoiarde (La Thuile,
appunto) e tedesco d’adozione
(Innsbruck, Monaco), allievo di un
allievo di Bruckner e di Rheinberger,
il maestro solidissimo di Wolf-Ferrari,
il «Puccini tedesco» come disse
(esagerando) Gatti-Casazza del Met,
l’artista in schietta amicizia con
Richard Strauss che gli dedica il Don
Juan e dirige a Meiningen la Sinfonia
in fa maggiore dove il pubblico
tributa a Thuille un gran successo. Al
compositore bolzanino-savoiardotedesco la benemerita Cpo dedica una
serie di cd (Sinfonia in fa maggiore,
Concerto per pianoforte, Quartetti col
pianoforte) sino al nostro doppio
album cameristico diviso fra Sonate
per violino op. 1 e op. 30 (1880;
1894) e violoncello op. 22 (1901-2) e
il Trio (1885) senza numero d’opus.
La Sonata op. 22, tradizionalissima e
tonalissima – due temi e sviluppo –
vede nell’Allegro pianoforte e
violoncello cantare in pienezza con
entrambi i temi e uno stile concertante
il cui empito Strauss certo ammirò.
L’Adagio è un recitativo che si
intenerisce via via. Il Finale, una
danzetta contrappuntistica con
variazioni e una gran bella scrittura
pianistica (Thuille era pianista).
Accattivante è anche il Trio con la
viola mentre più deboli sono le Sonate
violinistiche: la giovanile e quella
matura pur congegnata ad arte. Gli
interpreti sono bene affiatati ed
eccellenti, come la registrazione. Note
accurate in tedesco e in inglese.
Alberto Cantù
ČAJKOVSKIJ
The Nutcracker
MOZART
Don Giovanni
PUCCINI
La Fanciulla del West
Salenko, Walter, Iseki, Staatsballett Berlin,
Staatliche Ballettschule Berlin, Orchestra
and Children’s Choir of the Deutsche Oper
Berlin, Robert Reimer, Vasily Medvedev
& Yuri Burlaka coreografia (da Petipa e
Ivanov), Andy Sommer regia video
BelAir 1 dvd (Ducale) 2014
Artistico: HHHH Tecnico: HHHH
Mattei, Terfel, Netrebko, Frittoli,
Filianoti, Prohaska, Kočan, Coro e
Orchestra del Teatro alla Scala, Daniel
Barenboim, Robert Carsen regia,
Patrizia Carmine regia video
Dg 2 dvd (Universal) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHH
Stemme, Kaufmann, Konieczny, Orchestra
e Coro della Wiener Staatsoper, Franz
Welser-Möst, Marco Arturo Marelli regia,
Felix Breisach regia video
Sony 1 dvd (Sony) 2013
Artistico: HHHH Tecnico: HHHH
N
essun colpo d’ala verso
l’eccentrico nello Schiaccianoci
prodotto dallo Staatsballett di
Berlino nel 2014. L’allestimento
tedesco propone coreografia,
scenografia e costumi basati sulla
versione storica nata dalla
collaborazione tra Petipa e
Čajkovskij per i Teatri Imperiali di
San Pietroburgo. Il celeberrimo
balletto natalizio torna a essere
quindi uno spettacolo di puro
intrattenimento. Eppure, la qualità
del successo dello Schiaccianoci è lì,
nel nocciolo di quella sublime sintesi
tra lo Schiaccianoci e il re dei topi di
Hoffmann in rilettura alleggerita per
il diletto dei ballettomani, una
magistrale elaborazione coreografica
e drammaturgica nel codice della
danza classica e della pantomima,
una scenografia festosa, e una musica
capace di riverberare i più ineffabili
sensi anche laddove il gesto
ballettistico si fa maniera e
decorativismo; ciò da cui, cioè, in un
momento d’oro per l’arte coreutica,
scaturì quel capolavoro della
rappresentazione, in forma di danza
teatrale ottocentesca, della semplicità
gioiosa, dei sogni, delle paure del
mondo infantile, vitale motivazione e
felice evasione all’esistere degli
adulti. E proprio nel segno di questa
essenza lo Staatsballett di Berlino fa
rivivere lo Schiaccianoci, con i
coreografi Vasily Medvedev e Yuri
Burlaka, la giovanissima Elena Iseki
nel ruolo di Clara, e l’affiatato duo
Iana Salenko e Marian Walter.
Ida Zicari
R
egistrata live alla Scala in
occasione della prima della
stagione 2011-2012, è resa ora
finalmente disponibile una delle più
belle edizioni degli ultimi anni del
dramma giocoso di Mozart; in realtà
si tratta del riversamento in dvd della
diretta Rai. La regia video di Patrizia
Carmine valorizza al meglio
l’allestimento (semiscenico) di
Carsen di teatro nel teatro in quanto
funzionale, come sempre dovrebbe
essere, allo sviluppo drammaturgico
della partitura, che, come è
(purtroppo) costume, è un mix tra
l’edizione di Praga (1787) e quella di
Vienna (1788); il montaggio delle
riprese video, infatti, consente di
apprezzare da un lato scenografia,
costumi e movimenti di scena
dall’altro la resa musicale e teatrale
dei protagonisti con inquadrature che
vanno dalla figura intera al primo
piano. Esempi probanti sono, tra i
tanti, l’aria di Donna Anna «Non mi
dir bell’idol mio» della splendida
Netrebko (delle tre voci femminili di
gran lunga la migliore) e tutto il
finale secondo. Il dvd conferma per
altro la qualità artistica di tutto il
cast, dove oltre al soprano russo
spiccano Mattei per colore della voce
e presenza scenica e Barbara Frittoli,
in grande forma anche come attrice
(l’aria del catalogo). L’unica riserva
è forse per Terfel, che già
dall’iniziale «Giorno e notte faticar»
gigioneggia. La lettura dei titoli di
testa infine è compromessa da una
modesta qualità grafica.
Ettore Napoli
L
a sintesi del ritorno della
Fanciulla del west di Puccini
all’Opera di Vienna nel 2013 (alla
sua prima viennese, cent’anni prima,
la partitura entusiasmò Webern)
potrebbe essere quello di una grande
occasione perduta. L’opera non
tollera che uno solo dei suoi elementi
portanti azzoppi il tavolo. Veniamo
con ordine. Il regista (scenografo e
light-designer) Marco Arturo Marelli
trasloca l’azione nel west
contemporaneo, rispettando
perfettamente la drammaturgia
prevista da Puccini (salvo la
mongolfiera arcobaleno su cui si
allontanano gli amanti). La coppia di
protagonisti è ideale: la Stemme
(salopette di jeans e capelli color
ciliegia a parte) ha gran resistenza
per sostenere la pesantezza della
tessitura di Minnie; e Kaufmann con
il suo carisma scenico-vocale
trasforma Johnson/Ramireez nel
coprotagonista dell’opera. Potente
vocalmente, ma squarquoio il
baritono Konieczny, che non ha nulla
del sarcasmo cinico e dell’amarezza
dello sceriffo biscazziere deluso. La
nota dolente viene dal direttore
d’orchestra, Welser-Möst, al quale è
affidata una partitura straordinaria,
che Dimitri Mitropoulos diresse
senza voci per dimostrarne l’unicità.
Egli smorza, appiattisce, livella tutto,
senza slanci, senza cambi di passo
drammatici, senza privilegiare né
il melos né la preziosità dello
strumentale, squadrato ritmicamente,
atono nei coloriti. Più che nel West
siamo nella terra (interpretativa)
di nessuno.
Giovanni Gavazzeni
Amadeus 107
ILVINILE
DISCHI
L’opera
F
A
Wiener Philharmoniker, Carlos Kleiber
Deutsche Grammophon 1 lp (Universal) 1975, 1976
ire che questo è uno dei dischi più importanti di sempre è
affermare un’ovvietà, ma anche assolvere a un piacere/dovere.
Poco più di un anno e mezzo dopo aver registrato per Dg la Quinta
Sinfonia di Beethoven con i Wiener Philharmoniker nella
Musikvereinssaal di Vienna (tra il marzo e l’aprile 1974), il
quarantacinquenne Carlos Kleiber incise la Settima (tra il novembre
1975 e il gennaio 1976): stessa orchestra e stesso luogo; ingegnere del
suono Klaus Scheibe. Con l’avvento del cd, riunite su un unico disco,
le due registrazioni hanno vissuto per anni un'esistenza di coppia –
dioscuri del Beethoven-pensiero di Kleiber – con la Quinta che ha in
una certa misura posto in ombra la Settima. Con il recente rilancio del
supporto lp, l’interpretazione di Kleiber della Settima (masterizzata e
impressa su vinile di alta qualità di 180 grammi) riacquista la sua
autonomia e, forse, anche un giudizio più lucido. Sulla composizione
ha scritto in maniera illuminante Maynard Solomon in L’ultimo
Beethoven. Lo studioso individua nell’opera un impulso
rinascimentale; un complesso, immaginifico e a tratti incantatorio
utilizzo dei metri poetici greci come sorgenti generatrici della
partitura; un punto culminante del progetto di rinnovamento della
Sinfonia classica attraverso la ricostruzione fantasiosa dell’antico
mondo pagano; un’opera che spazza via i residui dello stile sinfonico
classico, pur trattenendone i contorni, sostituendo il gaio razionalismo
apollineo con una retorica dionisiaca capace di rappresentare stati
estremi dell’essere (bacchici, estatici, orgiastici) propri di quelle
cerimonie a cui tali metri si presumeva fossero associati; e, quindi, un
sentiero verso l’estasi o un regno sacro. Alla luce di ciò risulta profetica
la tesa e dettagliata interpretazione di Kleiber, proprio per quella sua
capacità di evocare un mondo neo-antico intriso di energia
inarrestabile, saturo di implicazioni dionisiache, dirompente e
selvaggiamente infuocato, tagliente soprattutto nei fiati e pregno
d’instabilità e ipnotica ebrezza.
Massimo Rolando Zegna
108 Amadeus
imperdibili
George Gershwin
Rhapsody in Blue
BEETHOVEN
Symphonie Nr. 7
D
DISCHI
ROSSINI
La donna del lago
VERDI
Macbeth
DiDonato, Florez, Barcellona, Osborn,
The Metropolitan Orchestra and
Chorus, Michele Mariotti, Paul Curran
regia, Gary Halvorson regia video
Erato 2 dvd (Warner) 2015
Artistico: HHHHH Tecnico: HHHHH
Lucic, Netrebko, Pape, Calleja, The
Metropolitan Opera Orchestra &
Chorus, Fabio Luisi, Adrian Noble regia,
Gary Halvorson regia video
Dg 2 dvd (Universal) 2014
Artistico: HHHH Tecnico: HHHH
U
C
na volta tanto un regista ha piena
ragione e realizza quanto
predica, senza partecipazione di
drammaturgie appiccicate all’uopo.
Paul Curran che firma, insieme a
Kevin Knight (scene e costumi) la
messa in scena della Donna del lago
di Rossini alla Metropolitan Opera,
riconosce che la ragion d’essere di
quest’opera è il “belcanto”, profuso a
far tremare le vene delle quattro
formidabili “parti” di Elena (la radiosa
Joyce DiDonato), del re Giacomo
sotto le mentite spoglie del cacciator
Uberto (il rossiniano principe Juan
Diego Flórez), dei guerrieri Rodrigo
(il gagliardissimo John Osborn) e
Malcolm (la possente Daniela
Barcellona). Oggi il reparto tenorile è
straordinariamente munito, come
dimostra la prova altrettanto strepitosa
di Osborn nella complessa sortita e
nella grande scena del duello
pirotecnico alla fine del secondo atto.
Il pubblico del Met reagisce con
ovazioni imponenti, trionfali, a questa
tenzone di virtuosismi, ai quali si
associano due stelle del voltaggio
della DiDonato e della Barcellona.
Curran inserisce la cornice del
soggetto di Walter Scott sulla solida
terra della Scozia tardocinquecentesca, spiegando bene cosa
succede. Protagonisti i cantanti,
assecondati con convinzione da
Michele Mariotti, che ha potuto
contare sul coro sempre in perfetto
appiombo, istruito da Donald
Palumbo, sulla sontuosa banda e sugli
splendidi corni fuori scena, e
sull’orchestra ritmicamente appuntita
e doviziosa in ogni settore del Met.
Giovanni Gavazzeni
hi si è stupito della prova
verdiana di Anna Netrebko nella
parte di Giovanna d’Arco, ancora non
l’ha sentita come Lady Macbeth,
ruolo impervio che di solito è affidato
a soprano drammatici o a
mezzosoprani sfogati. Anche il mito,
risalente a Verdi, che vorrebbe una
voce “brutta” per dare corpo alla
disumanità della sua ambizione
omicida, viene smentito. È possibile
sentire una voce sontuosa e doviziosa
in tutti i registri come quella della
Netrebko, disegnare un personaggio
credibile, senza atteggiamenti satanici
e grinta indemoniata. Una voce così
“bella” vale il biglietto della serata. Il
pubblico del Met giustamente le
regala ovazioni trionfali a conclusione
di tutte le arie e le sue cabalette. Il
successo non è lesinato a nessuno,
nemmeno a un baritono dalla
recitazione primitiva e monocorde
come Lucic. Eccellente il Banquo di
Pape (con solo difetto
nell’eliminazione delle doppie
consonanti) e intenso il Macduff di
Joseph Calleja, nonostante il
“vibrato” disturbante. Regia (Adrian
Noble) molto rispettosa dei tempi e
della teatralità verdiana (e
shakespeariana), eccellente nel
manovrare il coro, sebbene i costumi
maschili di area balcanico-cetnica e
quelli femminili di area britannicasecondo dopoguerra non abbiano
contribuito all’omogeneità della
messa in scena. La sempre sfavillante
orchestra del Met e il suo superbo
coro, istruito da Don Palumbo, erano
diretti con preciso controllo e vigore
misurato da Fabio Luisi.
Giovanni Gavazzeni
E
mblema dell’incontro controverso e
affascinante tra canzone, jazz e tradizione
colta e al contempo immagine musicale
per eccellenza dell’America dei Roaring Twenties
e di un’epoca che Francis Scott Fitzgerald
raccontò come «età del jazz», la Rhapsody in
Blue per pianoforte e orchestra (1924) fu decisiva
per il suo autore. Sino a quel momento, George
Gershwin era stato soltanto un eccellente autore
di canzoni; dopo Rhapsody in Blue sarebbe
diventato un compositore a tutto tondo, forse il più
famoso degli Stati Uniti. Commissionato da Paul
Whiteman come esperimento di “jazz sinfonico”
per avvicinare il grande pubblico al concerto e
all’opera, il pezzo fu scritto in fretta da Gershwin
in una stesura per due pianoforti con accenni di
strumentazione e orchestrato dall’arrangiatore di
Whiteman, Ferde Grofé: il che non sorprende
sia per l’inesperienza allora dell’autore come
orchestratore sia per la divisione di competenze,
nel mondo del musical, tra compositore e
arrangiatore. Della Rhapsody in Blue Grofé
realizzerà tre versioni successive per organici
via via più ampi: alla prima, per jazz band, del
1924 – con l’aggiunta di una sezione di violini
ai fiati, alle percussioni e al banjo del complesso
di Whiteman – seguirà la seconda nel 1926 e
poi la terza pubblicata nel 1942 (è quella per
orchestra sinfonica abitualmente eseguita sino
al 1976, quando Michael Tilson Thomas con
la Columbia Jazz Band registrò per la prima
volta la ricostruzione della versione originale
utilizzando per la parte solistica un rullo inciso
dallo stesso Gershwin nel 1925). È comunque
importante ricordare che in occasione della
prima esecuzione (New York, 12 febbraio 1924)
di questo pezzo, in cui la forma e il processo
compositivo sono determinati dai temi e dalle
sottili relazioni che li legano nonché dalle tecniche
della ripetizione e della variazione proprie della
canzone, Gershwin improvvisò alcuni passaggi
non ancora formalizzati nella scrittura.
ascoltata da
Cesare Fertonani
Ogni mese
un critico
racconta
un capolavoro
e le sue incisioni
più belle
Leonard Bernstein (a destra)
con Michael Tilson Thomas
André Previn
Le registrazioni
T
ra le innumerevoli registrazioni della
Rhapsody in Blue, alcune (oltre a quella già
menzionata di Tilson Thomas) appaiono
particolarmente significative. Consideriamo
anzitutto le registrazioni di due pianisti-direttori,
Leonard Bernstein e André Previn, entrambi
non a caso musicisti poliedrici e anche autori,
come Gershwin, di commedie musicali e canzoni
di grande successo. Sontuosa per intenzioni
e attenzioni interpretative, l’interpretazione
di Bernstein con la Columbia Symphony
Orchestra (Cbs, 1959) lavora a fondo sulla
natura propriamente rapsodica del lavoro: è una
meraviglia di morbidezze nella flessibilità di tempi
mai troppo mossi e improntati anzi a un comodo
ed effusivo lirismo, nella individuata e rigogliosa
bellezza dei timbri strumentali, nel gusto per
una resa quanto più espressiva e antivirtuosistica
della parte pianistica. Non meno raffinata è
l’interpretazione di Prévin con la London
Symphony Orchestra (Emi, 1971).
Qui la Rhapsody in Blue appare meno un potpourri
di temi memorabili che una forma saldamente
organizzata, seppure secondo criteri diversi rispetto
a quelli eurocolti: all’esecuzione smagliante
dell’orchestra corrisponde la brillantezza del
pianismo di Previn, che mette splendidamente in
luce i riferimenti multiculturali della scrittura di
Gershwin, dallo stride e dal novelty (evoluzioni del
ragtime) all’autentica improvvisazione jazzistica,
dal charleston a Rachmaninov. Straordinaria,
infine, l’interpretazione di Stefano Bollani con
l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta
da Riccardo Chailly (Decca, 2010). La scelta di
ricorrere alla versione originale del 1924 è del
tutto funzionale a una lettura dai comportamenti
e dai colori strumentali più vividi, dunque una
lettura più fresca, meno “sinfonica” e “retorica”,
che si giova della personalità esuberante e
delle specifiche doti di jazzista di Bollani,
naturalmente portato a tratti a improvvisare con
bravura, ironia, sensibilità.
Amadeus 109
CALENDARIO
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esclu­sivamente i programmi che arrivano alla nostra redazione per posta, fax o e-mail all'indirizzo
[email protected] entro il giorno 20 di due mesi prima dell’uscita del numero;
ad esempio, il 20 febbraio si chiude la raccolta dei materiali per il numero di aprile
B
Como
 Teatro Sociale
27 Beethoven, Brahms, Braga;
vlc. L. Piovano, pf. A. Pappano
Info: teatrosocialecomo.it
Bari
 Teatro Petruzzelli
2 Mozart, Le nozze di Figaro;
dir. M. Maucoin, reg. C. Muti
24, 25, 26, 27, 28 Verdi, Nabucco;
dir. R. Böer, reg. J. Franconi Lee
Info: fondazionepetruzzelli.it
Cremona
 Teatro Ponchielli
1 Mendelssohn, Mozart;
vl. G. Pieranunzi, pf. M. Baglini
12 Bacalov, Cervantes, Piazzolla;
pf. L. Bacalov, bandoneón J. Mosalini,
cb. G. Tommaso, perc. D. Bacalov
26 Mozart, Poulenc, Cara;
pf. B. Lupo e B. Rana, Orch. I Pomeriggi
Musicali, dir. C. Rovaris
Info: teatroponchielli.it
Bergamo
Società del Quartetto
 Auditorium della Libertà
1 Boccherini, Donizetti, Elgar e a.;
vl. L. Degani, vl.e dir. M. Belli
8 Chopin; pf. C. Mun
15 Donizetti; Quartetto Donizetti
22 Schubert, Beethoven, Dvořák;
Quartetto Noûs
29 Schumann, Dvořák, Pisendel e a.;
vl. In Mo Yang, pf. Y. Rafalimanana
Info: quartettobergamo.it
Bologna
 Teatro Comunale
6, 7 Beethoven; Orch. del Teatro
Comunale, dir. M. Mariotti
10 Mozart; Orch. del Teatro
Comunale, dir. F. Biondi
17, 18, 19, 20, 21 Without & La strada;
Ballet de lʼOpéra National du Rhin
25, 26, 27, 28 Avitabile, Vangelo.
Opera contemporanea;
reg. P. Delbono
Info: tcbo.it
 Auditorium Manzoni
8 Stravinskij, Čajkovskij, Brahms e a.;
pf. K. Labèque e M. Labèque
15 Čajkovskij; vl. B. Belkin, Filarmonica
del Teatro Comunale, dir. G. Gelmetti
22 Musorgskij, Čajkovskij,
Rachmaninov; pf. D. Matsuev
Info: auditoriumanzoni.it
110 Amadeus
Il pianista Giuseppe Albanese in concerto il 31 per Ferrara Musica
Bolzano
 Auditorium
2 Glinka, Prokof’ev, Čajkovskij;
pf. A. Toradze, dir. A. Volmer
6 Bach; Hofkapelle München,
vl. e dir. R. Lotter
23 Mozart, Britten, Beethoven;
s. A. Komsi, dir. J. López Cobos
C
Cagliari
18 Beethoven; vlc. M. Brunello,
pf. A. Lucchesini
15 Kerschbaumer, Kodály, Brahms;
Trio Greifer, dir. D. Giorgi
Info: teatrocomunale.bolzano.it
 Teatro Lirico
5, 6 Beethoven, Dvořák;
Orch. del Teatro Lirico di Cagliari,
dir. G. Bisanti
8 A Little Nightmare Music;
vl. A. Igudesman, pf. R. Hyung-ki Joo
12, 13 Beethoven, Borodin,
Šostakovič; Orch. del Teatro Lirico
di Cagliari, dir. H. Albrecht
19, 20 Beethoven; Orch. del Teatro
Lirico di Cagliari, dir. M. Mazza
Info: teatroliricodicagliari.it
Brescia
Catania
 Teatro Grande
 Teatro Massimo Bellini
28 Cara, Mozart, Poulenc;
pf. B. Lupo e B. Rana,
Orch. I Pomeriggi Musicali,
dir. C. Rovaris
Info: teatrogrande.it
6 Ravel, Fedele, D’Amico;
vl. F. D’Orazio, vlc. N. Fiorino, pf. G. Nuti
12, 13 Mozart; cl. D. Brlek,
dir. G. Neuhold
19, 20 Brahms; Orch. del Teatro
Massimo Bellini, dir. X. Zhong
Info: teatromassimobellini.it
 Conservatorio
F
Ferrara
Ferrara Musica
 Luoghi vari
13 Mendelssohn; Chamber Orchestra
of Europe, dir. Y. Nézet Séguin
31 Liszt; pf. G. Albanese
Info: ferraramusica.it
Firenze
 Opera
2, 7 Falla, El amor brujo; Granados,
Goyescas; dir. G. García Calvo,
reg. A. De Rosa
3 Ullmann, L’imperatore di
Atlantide ovvero Il rifiuto della morte;
dir. R. Misto, reg. P.P. Pacini
4 Rossini, Boccherini/Berio,
Beethoven; Orchestra del Maggio
Musicale Fiorentino,
dir. G. García Calvo
5 Poulenc, La voix humaine;
Puccini, Suor Angelica;
dir. X. Zhōng, reg. A. De Rosa
11 Bizet; Cantanti e pianisti
dell’Accademia del Maggio
Musicale Fiorentino
12, 13 Zappa, Adams, Ravel e a.;
Orchestra del Maggio Musicale
Fiorentino, dir. J. Axelrod
24, 25, 26, 27, 28 Bizet,
Les Pêcheurs de perles;
dir. R. McAdams, reg. F. Sparvoli
Info: operadifirenze.it
Amici della Musica
 Teatro della Pergola
1 Haydn, Hindemith;
Quartetto Zehetmair
6 Beethoven, Brahms;
Quartetto Schumann
7 Grieg, Schubert, Janáček;
Quartetto Schumann
13 Chopin, Skrjabin; pf. L. Lortie
14 Dvořák, Brahms; pf. L. Lortie,
Quartetto Panocha
20 Schumann, Liszt, Rachmaninov;
pf. D. Matsuev
21 Strauss, Schubert, Cras e a.;
Ensemble Amarcord
22 Beethoven; pf. A. Lucchesini,
vla. Isabel Villanueva, Quartetto
di Cremona
27 Szymanowski, Strauss;
pf. E. Pace, vl. L. Kavakos
28 Bermel, Ives, Kern e a.;
v. C. Zavalloni, pf. E. Arciuli,
vl. G. Pieranunzi, vlc. S. Downes
Info: amicimusica.fi.it
G
Genova
 Teatro Carlo Felice
2, 3, 6, 7 Mozart, Don Giovanni;
dir. C. Poppen, reg. R. Cucchi
5 Prokof’ev, Mozart;
Orch. del Teatro Carlo Felice,
dir. C. Poppen
12, 13, 14, 16 Prokof’ev, Roméo et
Juliette; cor. A. Preljocaj
18, 19, 20, 21 Lloyd Webber, Cats;
reg. T. Nunn
26 Saint-Saëns, Falla; vl. In Mo Yang,
mzs. A. Vestri, Orch. del Teatro
Carlo Felice, dir. A. Chauhan
Info: carlofelicegenova.it
J
Jesi
 Teatro G.B. Pergolesi
2 Lebrun, Vivaldi, Mozart e a.;
ob. F. Di Rosa, vl. e dir. A. Cervo
18 Schubert, Mozart; vl. L. Bortolotto,
Orchestra Filarmonica Marchigiana,
dir. H. Soudant
29 Rossini, Molinelli; s. M. Aleida,
Orchestra Sinfonica G. Rossini,
dir. D. Agiman
Info: fondazionepergolesispontini.com
L
La Spezia
 Teatro Civico
2 Brahms, Schubert; pf. A. Volodos
25 Glazunov, Ligeti, Barber e a.;
Signum Saxophone Quartet
Info: fondazionecarispezia.it
Lucca
 Teatro del Giglio
6, 7 Lehár, La vedova allegra;
dir. N. Paszkowski, reg. F. Sparvoli
Info: teatrodelgiglio.it
Lugano
 LAC
2 Schubert, Beethoven e a.;
pf. M. João Pires e M. Popovic
8 Schubert, Beethoven,
Rachmaninov; vlc. N. Shugaev,
pf. F. Alieva
20 Castello, Marini, Corelli e a.;
Ensemble Claudiana
26 Beethoven, Ravel;
Cuarteto Casals
27 Beethoven, Berg;
Quartetto Arcanto
28 Bartók. Beethoven;
Jerusalem Quartet
Info: luganolac.ch
M
Macerata
 Teatro Lauro Rossi
8 Beethoven, Grieg, Ravel;
vl. L. Marzadori, pf. O.J. Laneri
19 Debussy, Poulenc, Saint-Saëns;
I Solisti di Santa Cecilia
Info: appassionataonline.it
foto: Giampiero Bianchi
Milano
 Teatro alla Scala
1 Wagner; mzs. W. Meier, pf. J. Breinl
2, 4 Brahms; s. C. Tilling,
br. H. Müller-Brachmann,
dir. B. Haitink
3, 5, 7, 10, 12, 13 Händel, Il trionfo
del Tempo e del Disinganno;
dir. D. Fasolis, reg. J. Flimm
6 Verdi, Rigoletto; dir. M. Franck,
reg. G. Deflo
9, 11, 14, 16, 18, 19, 20, 24 Čajkovskij,
Lo schiaccianoci; cor. N. Duato
21 Ensemble Strumentale
Scaligero
22 Beethoven, Verdi, Liszt e a.;
R. Buchbinder, dir. G. Prêtre
25 Verdi, I due Foscari;
dir. M. Mariotti, reg. A. Hermanis
Info: teatroallascala.org
Filarmonica della Scala
 Teatro alla Scala
8 Dvořák, Brahms; pf. M.A. Hamelin,
dir. H. Jacob
15 I. Strauss, R. Strauss;
vl. L. Kavakos, dir. D. Harding
(14 prove aperte)
Info: filarmonica.it
Masterclass di violino
barocco e classico
a cura di Enrico Onofri
Napoli 21, 22 aprile 2016
Le attività didattiche del centro
proseguono per l’intero anno e si articolano
nei seguenti percorsi
k Masterclass di canto barocco
a cura di Sara Mingardo
k Laboratorio di tecnica e interpretazione vocale
a cura di Maria Ercolano
k Progetto “Quartet in Residence”
a cura del Quartetto d’archi Gagliano
k “Liberi di Cantare”
Coro della Pietà de’ Turchini
Coro di Voci bianche di San Rocco
Per approfondimenti www.turchini.it/it/attivita/didattica/
laVerdi
 Auditorium Fondazione Cariplo
4 Beethoven; Coro sinfonico di
Milano Giuseppe Verdi, pf. M. Baglini
7 Morricone, Berio, Schubert e a.;
v. P. Buttafuoco, pf. N. Carusi
12, 14 Mendelssohn, Beethoven;
Orch. Sinfonica di Milano Giuseppe
Verdi, dir. P. Inkinen
13 Campogrande; Orch. Sinfonica
di Milano Giuseppe Verdi,
dir. C. Tenan
18, 19, 21 Paisiello, Rossini;
Orch. e Coro Giuseppe Verdi,
dir. C.P. Flor
26, 28 Wagner, Brahms;
Orch. Sinfonica di Milano
G. Verdi, dir. J. Bignamini
Info: laverdi.org
I Pomeriggi Musicali
 Teatro Dal Verme
4, 6 Cacciatore, Copland, Haydn
e a.; cl. A. Carbonare,
Orch. I Pomeriggi Musicali,
dir. A. Cadario
11, 13 Ravel, Debussy, Lemut;
Orch. I Pomeriggi Musicali,
pf. e dir. M. Zanini
18, 20 Vacca, Haydn, Pergolesi;
Orch. I Pomeriggi Musicali,
dir. V. Moretto
21 Bach; Orch. di Archi
dei Pomeriggi Musicali,
pf. e dir. R. Bahrami,
25, 27 Cara, Mozart, Poulenc;
pf. B. Lupo e B. Rana,
Orch. I Pomeriggi Musicali,
dir. C. Rovaris
Info: ipomeriggi.it
San Fedele Musica
 Auditorium
2 fisarm. e laptop S. Zanchini,
vl. e live electronics E. Manera
20 pf. J.-L. Plouvier
Info: centrosanfedele.net
Bocconi Musica
 Università
11 Liszt, Skrjabin, Stravinskij;
pf. A. Gadjiev
25 Bach, Beethoven, Schumann;
pf. L. Buratto
Info: unibocconi.it
Serate Musicali
 Conservatorio
1 Čajkovskij, Gershwin;
pf. R. Cappello
8 Scarlatti, Bach, Beethoven;
pf. A. Hewitt
15 Mendelssohn, Schumann,
Weinberg; Kremerata Baltica,
dir. G. Kremer
22 Kurtág, Bach; vlc. S. Isserlis
26 Scarlatti, Mozart, Beethoven;
pf. E. Aversano
29 vl. L. Kavakos, pf. E. Pace
Info: seratemusicali.it
Società del Quartetto
 Conservatorio
2 Prokof’ev, Šostakovič, Smetana;
Quartetto Pavel Haas
16 Schubert, Beethoven;
pf. M.J. Pires e L. Grigoryan
23 Bach; s. A. Lewandowska,
a. A. Potter, t. T. Hobbs,
b. e dir. S. MacLeod
Info: quartettomilano.it
Milano Classica
 Palazzina Liberty
6 Mozart, Galante, Paganini;
vl. P. Sacco, vlc. A. Shimura,
chit. E. Della Chiara
12 Chopin; pf. S. Marchegiani
14 Debussy, Gemelli, Schumann;
pf. G. Caruso
21 Corelli, Locatelli, Vivaldi e a.;
Orch. da Camera Milano Classica
28 Brahms; Le Cameriste Ambrosiane
Info: orchestramilanoclassica.it
17
Rondò 2016
 Teatro Litta
5 Cutting, Servière, Covello e a.;
pf. M.G. Bellocchio, Divertimento
Ensemble, dir. S. Gorli
 Libreria Utopia
11 L’avventura del comporre;
A. Solbiati
Info: divertimentoensemble.it
Maria João Pires in concerto
il 2 al LAC di Lugano
21, 23, 24, 26, 27, 28 Bellini,
Norma; dir. N. Santi, reg. L. Amato
Info: teatrosancarlo.it
Fondazione Pietà de’ Turchini
 Chiesa di San Rocco a Chiaia
6, 13 Ensemble La.Vi.Co
28 L. Amitrano
 Palazzo Zevallos Stigliano
20 Ensemble Divino Sospiro
Info: turchini.it
Padova
 Teatro Comunale
Amici della musica
 Auditorium Pollini
8 Schubert; t. W. Güra, pf. C. Berner
18 Schubert; cl. M. Caldarini,
fag. M. Fattori, cor. E. Bognetti,
cb. A. Piccioni
23 Chopin, Liszt, Busoni e a.;
v. G. Giannini, pf. G. Bellucci
Info: amicimusicapadova.org
N
Napoli
 Teatro San Carlo
2, 3 Lehár, La vedova allegra;
dir. A. Eschwé, reg. F. Tiezzi
6, 7 Beethoven, Strauss;
pf. R. Buchbinder, dir. R. Weikert
“Giampaolo Coral Award”
dal 29 al 31 ottobre 2016
DEADLINE 1 MARZO 2016
Primo Premio € 5.000,00
Secondo Premio € 1.000,00
P
Modena
19, 21 Donizetti, Lucia di
Lammermoor; dir. S. Ranzani,
reg. H. Brockhaus
22 Mozart, Schubert;
vl. e dir. A. Martini, cl. A. Carbonare
27 Mahler, Beethoven; br. A. Luongo,
Filarmonica Arturo Toscanini,
dir. S.A. Reck
Info: teatrocomunalemodena.it
PREMIO
TRIO DI TRIESTE
dedicato alla COMPOSIZIONE
per TRIO e QUARTETTO
con pianoforte e archi
Talenti al Tempio
 Tempio Valdese di Milano
12 Idyllen; fl. A. Vizziello,
pf. A. Marangoni,
armonium G. Piovani
Info: musicaaltempio.it
Incontri Musicali
 Castello Sforzesco
27 dir. P. Beier
Info: fondazionemilano.eu
CONCORSO INTERNAZIONALE
Palermo
 Teatro Massimo
19, 20, 21, 24, 26 Verdi, Attila;
dir. D. Oren, reg. D. Abbado
24, 25, 26 Corrado, Babbelish;
reg. OperAlchemica
Info: teatromassimo.it
Duo Lavrynenko-Guliei
Premio Trio di Trieste 2015
Associazione Chamber Music
34121 Trieste - Italy - via S. Nicolò 7
Tel. +39 040 3480598 - Fax +39 040 3477959
www.acmtrioditrieste.it - [email protected]
accademia
FONDAZIONE
PAOLO GRASSI
MARTINA FRANCA
del
2016
belcanto
Rodolfo Celletti
LABORATORI
DI STUDIO E
WORK EXPERIENCE
in collaborazione con il
42° Festival della Valle d’Itria
TECNICA, STILE E
INTERPRETAZIONE
NEL BELCANTO ITALIANO
Direttore Fabio Luisi
TRE SESSIONI
16-24 marzo
26 aprile-3 maggio
7-29 giugno
MATERIE DI STUDIO
Fonetica e dizione
Studio dello spartito
Masterclass
d’interpretazione
Arte e tecnica
del recitativo,
della vocalità
seicentesca,
della variazione,
della coloratura
belcantista e barocca
Dinamica respiratoria
Cultura della professione
del cantante lirico
Analisi del personaggio
Tecnica attoriale
e recitazione
Fisiologia e igiene
dello strumento
Applicazione di stile:
dal barocco
alla vocalità
nella musica
contemporanea
INFORMAZIONI, BANDO E ISCRIZIONI
www.fondazionepaolograssi.it
tel. +39 080 4306763
[email protected]
Parma
 Auditorium Parco della Musica
 Teatro Regio
18, 19, 20, 21 Rossini, L’occasione
fa il ladro. O l’occasione fa l’artista;
dir. A. D’Agostini, reg. A. Cigni
23 Chopin; pf. G. Sokolov
27, 28 Les Ballets Trockadero de
Monte Carlo
Info: teatroregioparma.it
1, 2 Glazunov, Šostakovič,
Rachmaninov; vl. A. Tifu, Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, dir. Y. Temirkanov
5 Lully; Accademia Barocca di
Santa Cecilia, Coro dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,
dir. F.M. Sardelli
6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14 La parola
canta; Toni & Peppe Servillo
6, 8, 9 Šostakovič, Prokof’ev,
Beethoven; pf. E. Ax, Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, dir. P. Heras-Casado
7 Šostakovič, Prokof’ev; Orchestra
dell’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia, dir. P. Heras-Casado
12 Beethoven; vl. R. GonzalezMonjas, pf. K. Armstrong
13, 15, 16 Mozart; Orchestra e
Coro dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, dir. C. Carydis
14 Mozart; Orchestra e Coro
dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, dir. C. Carydis
18 Beatlestory
20 Essenze Jazz Event
20, 22, 23 Mozart, Brahms;
pf. B. Lupo, Orchestra dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,
dir. J. van Zweden
24 Rachmaninov, Schumann, Liszt;
pf. D. Matsuev
28 Bryan May & Kerry Ellis
27, 29 Stravinskij, Haydn; Orchestra
e Coro dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, dir. S. Oramo
Info: auditorium.com
Pavia
 Teatro Fraschini
11 Liszt; pf. G. Albanese
13, 14 Benatzky, Al cavallino bianco;
dir. R. Catino
24 Fresu; tr. P. Fresu, bandoneon
Daniele Di Bonaventura
Info: teatrofraschini.it
Pisa
 Teatro Verdi
2 Schumann; Trio Metamorphosi
9 Gershwin, Anderson, Rota e a.;
Orchestra della Toscana,
dir. T. Brock
20, 21 Lehár, La vedova allegra;
dir. N. Paszkowski, reg. F. Sparvoli
23 Mozart, Turina, Beethoven;
Quartetto Voce
Info: teatrodipisa.pi.it
Pordenone
 Teatro Verdi
14 Shohat; dir. G. Shohat
16 Jazz Loft
19 Balletto del Teatro Nazionale
di Gyor
24 Kabalevskij, Šnitke, Šostakovič;
vlc. D. Maselnnikov, pf. N. Kudritskaia
Info: comunalegiuseppeverdi.it
R
Ravenna
 Teatro Alighieri
5, 7 Rossini, Il turco in Italia;
dir. G. Di Stefano, reg. F. Bertolani
13 Schumann; vlc. A. Gerhardt,
Orchestra Leonore, dir. D. Giorgi
14 vl. A. Iannucci Cecchi,
vlc. C. Sette, pf. M. Tongiorgi
18 Franck, Bach, Brahms;
pf. F. Colli
21 mzs. V. Vanini, pf. M. Santià
22 Locatelli, Corelli, Vivaldi;
Europa Galante, dir. F. Biondi
28 Tosti; s. V. Cortesi, pf. N. Carusi
Nicola Benedetti in concerto
il 27 all’Università La Sapienza di Roma
29 Debussy, Chopin; pf. N. Goerner
Info: teatroalighieri.org
Reggio Emilia
 Teatro Municipale Valli
5 Beethoven; Mahler Chamber
Orchestra, dir. D. Gatti
15 Schubert, Beethoven;
pf. M.J. Pires e L. Grigoryan
27 Bach; pf. P. De Maria
Info: iteatri.re.it
Roma
 Teatro dell’Opera
11, 13, 14, 16, 17, 18, 20, 21 Rossini,
Il barbiere di Siviglia; dir. D. Renzetti,
reg. D. Livermore
12, 19 Rossini, La Cenerentola;
dir. A. Pérez, reg. E. Dante
26, 27, 28 Grandi coreografi;
Orchestra, Étoiles, Primi Ballerini,
Solisti e Corpo di Ballo del Teatro
dell’Opera, dir. D. Garforth
Info: operaroma.it
IUC
 Aula Magna Università Sapienza
2 Bach, Scarlatti, Beethoven;
pf. A. Hewitt
6 Ensemble Micrologus
13 Beethoven; Quartetto di Cremona
16 Satie, Debussy, Poulenc e a.;
s. L. Windsor, I Cameristi
del Maggio Musicale Fiorentino,
pf. e dir. A. Ballista
27 Szymanowski, Beethoven,
Elgar; vl. N. Benedetti, pf. A. Grynyuk
Info: concertiiuc.it
Accademia Filarmonica Romana
 Luoghi vari
4 Mozasrt, Beethoven;
v. S. Cappelletto, Quartetto Prometeo
12 Sciarrino, Telli, Jolivet e a.;
fl. G. Megna
18 Pasolini: Roma\Spagna;
v. S. Lombardi, A. Volpetti, R. Misiti,
vl. F. D’Orazio, fisarm. S. Convertino,
reg. F. Tiezzi
25 Bach, Schubert, Brahms e a.;
vlc. M. Maisky, pf. L. Maisky
26 Fedele, Costa, Berio e a.;
vl. F. Severini
Info: filarmonicaromana.org
È Musica Eliseo
 Teatro Eliseo
7 Rimskij-Korsakov, Piazzolla,
Gershwin e a.; Cecilia Wind
Orchestra, dir. G. Pocoroba
14 Vivaldi, Händel, Jommelli e a.;
Orchestra Barocca
del Conservatorio S. Cecilia,
dir. L. Mangiocavallo
28 Mozart, Vivaldi; Orchestra
Barocca del Conservatorio S. Cecilia,
dir. G. Lanzetta
Info: teatroeliseo.com
STAGIONE CONCERTISTICA 2016
La Chamber Music al Ridotto
SALA VICTOR DE SABATA DEL TEATRO VERDI DI TRIESTE
AL RIDOTTO ALLE ORE 18
LUNEDÌ 18 GENNAIO 2016 ORE 18
S
Mario Ancillotti flauto
Yuval Gotlibovich viola
Jasna Corrado Merlak arpa
musiche di Debussy e Ravel
Siena
GIOVEDÌ 18 FEBBRAIO
Micat in Vertice
 Palazzo Chigi Saracini
20 Stefano Battaglia Trio
Info: chigiana.it
VENERDÌ 18 MARZO
T
Torino
 Teatro Regio
9, 10, 11, 12, 14, 16, 17, 18, 20, 21
Puccini, Tosca; dir. R. Palumbo,
reg. D. Abbado
13 Verdi, Wagner; Orchestra e Coro
del Teatro Regio, dir. R. Abbado
25, 26, 27, 28 Lloyd Webber, Cats;
reg. T. Nunn
Info: teatroregio.torino.it
Filarmonica
 Conservatorio
16 Brahms, Beethoven, Kernis;
dir. A. Mayer
Info: oft.it
Belenus Quartett (quartetto d'archi)
musiche di Haydn e Beethoven
Herbert Duo (pianoforte e violino)
musiche di Mozart, Beethoven e Stravinsky
LUNEDÌ 31 OTTOBRE
15° FESTIVAL PIANISTICO
“Giovani interpreti
& grandi Maestri”
LUNEDÌ 19 SETTEMBRE ORE 20.30
Evgeni Koroliov
“L'inesauribile immaginazione”
musiche di J.S. Bach e Beethoven
LUNEDÌ 26 SETTEMBRE
Antonii Baryshevskyi
“L'Esprit de joie”
musiche di Chopin, Debussy, Ligeti, Messiaen
LUNEDÌ 3 OTTOBRE
Philippe Cassard - Cedric Pescia (pianoforte a 4 mani)
Duo Lavrynenko - Guliei (pianoforte e violoncello) “Dialogo a due, poesia sonora”
musiche di Mobilio, Prokof'ev, Coral e Schnittke
musiche di Mozart, Brahms e Schubert
12° SALOTTO CAMERISTICO
LUNEDÌ 18 APRILE ORE 20.30
Enrico Dindo violoncello
I Solisti di Pavia
musiche di Sibelius, R. Strauss, Rossini,
Vivaldi e Haydn
LUNEDÌ 10 OTTOBRE
Alexander Gadjiev
I Virtuosi Italiani
“Il diritto di ridere e il turbamento doloroso”
musiche di Shostakovich
LUNEDÌ 17 OTTOBRE
LUNEDÌ 2 MAGGIO
François-Joël Thiollier
“I riferimenti patriottici e la nostalgia”
musiche di J.S. Bach, Chopin,
Rachmaninov e Gershwin
LUNEDÌ 9 MAGGIO
Auguri di Natale 2016
LUNEDÌ 16 MAGGIO
Sala dell'Iniziativa Centro Europea
via Genova 9
LUNEDÌ 23 MAGGIO
Alexandra Conunova violino
musiche di J.S. Bach, Ysaÿe e Paganini.
Duo Banciu - Goicea (pianoforte e violino)
musiche di Beethoven, Prokof'ev e R. Strauss
Josef Suk Piano Quartet
I Virtuosi Italiani
musiche di Haydn e Mozart
Duo Lavrynenko - Guliei (pianoforte e violoncello)
musiche di Beethoven, Schubert e Franck.
Filarmonica del Festival Pianistico
Internazionale di Brescia e Bergamo
Pier Carlo Orizio direttore
Sonia Formenti flauto
Tatiana Alquati arpa
musiche di Mozart e Čajkovskij
concerto straordinario
fuori abbonamento
LUNEDÌ 19 DICEMBRE ORE 18
Associazione Chamber Music - 34121 Trieste - Italy - via S. Nicolò 7
Tel. +39 040 3480598 - Fax +39 040 3477959
www.acmtrioditrieste.it - [email protected]
STAGIONE
CONCERTISTICA
2015-2016
11A EDIZIONE
Progetto artistico
Paolo Fazioli, Elena Turrin
Organizzazione
Fazioli Pianoforti SpA
I Concerti del Lingotto
 Auditorium Giovanni Agnelli
4 Beethoven; dir. D. Gatti
29 Dvořák, Čajkovskij;
Czech Philharmonic Orchestra,
pf. K. Gerstein, dir. J. Bělohlávek
Info: lingottomusica.it
Venerdì 6 novembre 2015
Venerdì 12 febbraio 2016
RACHEL NAOMI KUDO
JOSEF SUK
PIANO QUARTET
pianoforte
——
Haydn, Debussy, Barber, Chopin
Venerdì 20 novembre 2015
JIN JU
pianoforte
ALEXANDRA CONUNOVA
violino
QUINTETTO
DE I VIRTUOSI ITALIANI
ALBERTO MARTINI violino
LUCA FALASCA violino
FLAVIO GHILARDI viola
LEONARDO SAPERE violoncello
SANTE BRAIA contrabbasso
RADIM KRESTA violino
EVA KRESTOVÁ viola
VÁCLAV PETR violoncello
VÁCLAV MÁCHA pianoforte
——
Mozart, Jiráčková, Brahms
Venerdì 26 febbraio 2016
YUN DI
pianoforte
——
Chopin, Schumann, Beethoven
Venerdì 18 marzo 2016
FAZIL SAY
——
Schubert, Chausson
pianoforte
——
Mozart, Say
Venerdì 4 dicembre 2015
Venerdì 15 aprile 2016
BORIS PETRUSHANSKY
MARC-ANDRÉ HAMELIN
pianoforte
——
Chopin, Skrjabin
Venerdì 15 gennaio 2016
pianoforte
——
Mozart, Hamelin, Debussy,
Schubert
LUDOVICA RANA
Venerdì 29 aprile 2016
BEATRICE RANA
pianoforte
violoncello
pianoforte
——
Schumann, Brahms, Rachmaninov
Venerdì 29 gennaio 2016
MARIA JOÃO PIRES
KAITO KOBAYASHI
pianoforte
——
Haydn, Beethoven
ILIA KIM
pianoforte
Introduzione all’ascolto
di Piero Rattalino
Musica e pittura: visionari e simbolisti
nella letteratura pianistica
——
Franck, Rachmaninov, Liszt, Beethoven
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Stand E20 in Hall 9.0
FAZIOLI CONCERT HALL
SACILE (PN)
Informazioni e biglietteria:
tel. 0434 72026 / 72576 int. 3
[email protected]
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Rai NuovaMusica
 Auditorium Rai “Arturo Toscanini”
5 Sciortino, Mosca, Fedele e a.;
pf. L. Mosca, dir. M. Angius
12 Britten, Panfili, Ligeti e a.;
fl. A. Barletta, ob. F. Pomarico,
dir. J. Webb
19 Vacchi, Dean, Kurtág;
vlc. F. Dillon, pf. E. Torquati,
dir. O. Elts
Info: lingottomusica.it
Taranto
Amici della Musica
 Luoghi vari
6 Euridice e Orfeo;
M. Riondino, F. Fracassi
10 Igudesman & Joo
25 v. G. Giannini, pf. G. Bellucci
Info: amicidellamusicataranto.it
Treviso
 Teatro Comunale
11 Stefano Battaglia Trio
16 Brahms, Bach, Beethoven;
pf. H. Schuch
28, 29 Pierino e il lupo vegetariano;
dir. D. Basso
Info: teatrispa.it
Trieste
 Teatro Verdi
2, 4, 6 Bellini, Norma;
dir. F.M. Carminati, reg. F. Tiezzi
Info: teatroverdi-trieste.com
Società dei Concerti
 Teatro Verdi
3 Brahms; Trio di Parma,
cor. G. Pellarin
17 vlc. J. Hagen, pf. C. Opalio
24 Schubert; M. Goerne,
pf. A. Schmalcz
Info: societadeiconcerti.it
V
Venezia
 Teatro La Fenice
1 Haydn, Mozart, Dvořák;
Quartetto Mucha
3 Verdi, Stiffelio; dir. D. Rustioni,
reg. J. Weigand
5, 6, 7, 9, 10, 11 Verdi, La traviata;
dir. D. Rustioni, reg. R. Carsen
 Teatro Malibran
4 Hazon, Agenzia matrimoniale;
Wolf-Ferrari, Il segreto di Susanna;
dir. E. Calesso, B. Morassi
7, 9, 11, 12, 13 Hervé,
Les chevaliers de la table ronde;
dir. C. Grapperon, reg. P.A. Weitz
15 Liszt; pf. G. Albanese
22 Dvořák; Quintetto Barutti
27, 28 Bruckner; Orchestra
del Teatro La Fenice, dir. E. Inbal
29 Fauré, Carrara, Dvořák;
Orchestra Filarmonica della Fenice,
pf. M.Carbonara, dir. E. Strausser
Info: teatrolafenice.it
Verona
TVCINEMACINEMATVTVCINEMACINEMATV
CINEMA
Doppio appuntamento nel mese di febbraio in
tutte le sale del circuito UCI Cinemas. Si comincia il 4 con una delle produzioni più popolari
della Royal Opera House: La traviata nell’allestimento tradizionale di Richard Eyre. In questa
messa in scena Violetta ha la voce del soprano russo Venera Grimadieva, che debutta alla
Royal Opera House dopo la fortunata apparizione, sempre nei panni della protagonista,
al Glyndebourne Festival (distribuzione QMI).
Secondo appuntamento l’11 con la diretta del
Trovatore dall’Opéra di Parigi. Cast stellare con
Anna Netrebko, Ludovic Tézier, Marcelo Àlvarez ed Ekaterina Semenchuk. La direzione è di
Daniele Callegari, la regia di Àlex Ollé (distribuzione Rising Alternative). Info: ucicinemas.it
Joyce DiDonato, Romeo nei Capuleti e
Montecchi di Bellini, il 13 febbraio su Classica HD
TELEVISIONE
Classica HD (Sky 138) offre anche
per il mese di febbraio un ricco calendario di appuntamenti: si comincia il 2 con il Werther di Massenet;
la regia è dello statunitense Robert
Tannenbaum, che riambienta la
vicenda negli anni ’50. A dar voce
all’amore impossibile tra il giovane Werther e Charlotte sono Keith
Ikaia-Purdy e Silvia Hablowetz. Il 9
è la volta del Tannhäuser di Wagner
in una recente edizione del Liceu di
Barcellona; la sorprendente regia
di Robert Carsen mette l’accento
suli tormenti interiori del protagonista dell’opera, interpretato da Peter
Seiffert. Il 13 spazio al belcanto con
uno dei titoli cardine del melodramma: I Capuleti e i Montecchi di Bellini, capolavoro amato e temuto dalle
grandi voci, scrigno di gemme musicali disseminato d’insidie tecniche.
A dare voce ai personaggi di Giulietta e Romeo, in questa edizione
registrata alla San Francisco Opera con la direzione di Carlo Frizza,
sono infatti due star come Nicole
Cabell e Joyce DiDonato. Il 25 da
non perdere I due Foscari in diretta
dal Teatro alla Scala, una nuova produzione con Plácido Domingo. Direzione di Michele Mariotti e regia di
Alvis Hermanis. Info: mondoclassica.it
Su Rai5 segnaliamo, il 4, l’appunta‑
mento con Petruška: Michele dal­
l’Ongaro incontra Zubin Mehta per
ripercorrere le tappe della sua straordinaria carriera, iniziata a Bombay
ascoltando l’orchestra fondata dal
padre autodidatta. Il 6, con La Vita
Nova, comincia il Ciclo Piovani, 5
puntate in cui si valorizza la collaborazione tra il compositore e la Compagnia della Luna. Info: rai5.rai.it
 Teatro Filarmonico
2, 4, 7 Rossini, La Cenerentola;
dir. S. Rolli, reg. P. Panizza
13, 14 Mendelssohn, Rutter;
vl. G.A. Zanon, dir. G. Bisanti
18, 19, 20, 21 Barber, Kreisler,
Bach e a.; vl. A. Tifu, Orchestra e
Corpo di Ballo dell’Arena di Verona,
dir. V.H. Toro
27, 28 tr. M. Longhi, dir. M. Boemi
Info: arena.it/filarmonico/it
Vicenza
 Teatro Comunale
5 Haydn, Mozart, Beethoven e a.;
pf. M. Perahia
10 Bach, Kraus, Beethoven;
Orchestra del Teatro Olimpico, dir.
F.M. Sardelli
15 Brahms, Dvořák; Quartetto
Panocha, pf. L Lortie
22 Schubert; br. M. Goerne,
pf. A. Schmalcz
Info: tcvi.it
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ADDII
Fu direttore per
quasi 30 anni della
Gewandhausorchester
di Lipsia. Poi New York.
Un Kapellmeister
imponente e austero,
testimone del '900
Kurt Masur
Brzeg (Polonia) 18 luglio 1927
Greenwich (Usa) 19 dicembre 2015
MANI NUDE
E NOBILE
TRISTEZZA
P
er capire la grandezza di un artista
come Kurt Masur, scomparso il 19
dicembre scorso all’età di 88 anni,
bisognava scrutare nei suoi occhi,
perennemente offuscati da un velo di
nobile tristezza. Masur infatti ha vissuto
da vicino tutti i drammi del Novecento.
Appena indossata la divisa, il giovane
Masur ha assistito al tragico tramonto del
suo mondo. Era nato in una cittadina della
Slesia sulle rive dell’Odra, Brieg, passata
dopo il conflitto alla Polonia. L’ultimo
inverno di guerra fu orribile, con la
maggior parte degli abitanti in fuga o
morti per gli stenti e le incursioni nemiche.
Dopo la resa, i pochi tedeschi rimasti
vennero evacuati e la città ripopolata con i
profughi polacchi dell’Est. L’unica nota
positiva per Masur, in mezzo a questa
catastrofe, fu di continuare gli studi
musicali a Lipsia. Una malformazione al
mignolo gli aveva precluso la speranza di
diventare un pianista, ma la direzione
d’orchestra si rivelò una felice alternativa.
Il nome di Masur è legato in maniera
indissolubile all’Orchestra del
Gewandhaus, che ha diretto dal 1970 al
1997, malgrado sia passato alla storia come
il Maestro dell’11 settembre. Masur ha
vissuto a Lipsia il periodo più ostico della
“guerra fredda”, riuscendo a preservare la
reputazione della venerabile istituzione.
Grazie al suo prestigio, convinse i politici
del regime a costruire la nuova sala del
Gewandhaus e soprattutto a scongiurare,
nella crisi del 1989, un bagno di sangue e la
guerra civile. Basterebbe questo per
scolpire il nome di Masur nella storia del
Gewandhaus, ma sono soprattutto i meriti
artistici a giustificare il primato del loro
sodalizio. Il Gewandhaus di Masur ha
incarnato un ideale etico del far musica
insieme, che trova nel repertorio sinfonico
corale del grande Ottocento romantico il
suo apice artistico. Ogni musicista
dell’orchestra e del coro sa di partecipare a
un evento in cui la comunità conta molto di
più dell’espressione individuale.
La qualità del singolo è concepita come una
sorta di dovere morale, a cominciare dal
direttore d’orchestra, responsabile supremo
di questo afflato collettivo.
Dopo la caduta del Muro, la New York
Philharmonic, il cui glamour era
decisamente appannato, si rivolse a questo
Kapellmeister venuto da un altro mondo per
cercare un rilancio artistico indispensabile.
In dieci anni Masur riuscì a riportare
l’orchestra nel cuore dei newyorkesi e la
prova più toccante di questo ritrovato
legame fu il Deutsches Requiem di Brahms
in memoria delle vittime dell’11 settembre,
pochi giorni dopo l’attentato, concerto che
il Times definì «la sua ora più bella e un
dono alla città». Alieno da forme di
protagonismo e di narcisismo, Masur ha
interpretato il ruolo di sommo civil servant
musicale, con uno spirito francescano
riconoscibile già nel costume di dirigere a
mani nude. In questi tempi stracolmi di
nanerottoli presuntuosi, ci sia di conforto la
figura imponente e austera di Masur, il suo
sguardo severo e infiammato, il suo stile
energico e privo di orpelli.
Oreste Bossini
“Portarono la notizia in città
e per la campagna;
la gente andò a vedere ciò che era
avvenuto.”
(Marco 5, 14)
Frequenza principale: FM 94.8
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LA CONVERSAZIONE
1° CONCORSO PIANISTICO
“LA PALMA D’ORO”
Lella Costa
C
parole che cambiano la percezione del
rapporto tra i due. E a quel punto non si
può non sentire un brivido di emozione».
Da una parte l’opera, dall’altra i cantautori.
«Non voglio essere nostalgica, ma è
incontestabile che certi protagonisti della
mia generazione siano sopravvissuti e
piacciono anche ai giovani di oggi. Una
delle mie figlie, 19 anni, mi ha detto tempo
fa: ho scoperto un gruppo meraviglioso,
devi ascoltarlo. Erano i Doors…».
on quella leggera ironia che
l’accompagna nella vita, Lella Costa
usa un ossimoro per manifestare
l’amore verso la musica. «È la mia
partner nei monologhi teatrali. Con lei
ho una relazione costante e paritaria: le
riconosco un’autonomia di narrazione».
L’attrice ha avuto un’educazione musicale
«inconsapevole e passiva». «Ho cominciato
a studiare il pianoforte a 5 anni e ho smesso
a 6… Ma mio nonno era un violinista, mia
mamma è diplomata al Conservatorio e si
mette alla tastiera anche adesso che ha 90
anni. Mio fratello insegna musica. Certo che
però quando a Milano mi hanno assegnato
il premio “Una vita per la musica” mi
veniva da ridere. Figuriamoci, ero accanto
a Luciana Savignano…».
Eppure basterebbe il bellissimo e fortunato
spettacolo su Traviata per giustificare il
riconoscimento. «In effetti mi dicono che ho
orecchio… la musica mi ha molto giovato
nella recitazione. Allo scorso Maggio
Musicale Francesco Micheli mi ha voluta a
tutti i costi come voce recitante del Candide
di Bernstein. Mi toccava parlare in inglese
anche sui pattini a rotelle… Ogni volta che
mi capita di fare qualcosa di musicale per
me è una festa». L’opera è stata per Lella
Costa un incontro dell’età adulta «prima ci
fu l’innamoramento per i cantautori». Ma
con il melodramma si è creato subito un
legame speciale, attraverso le sue forti figure
femminili. «Trovo che nella lirica il ruolo
delle donne sia quasi sempre risolutivo,
c’è una pariteticità con l’uomo che non
esiste nella letteratura. Penso a Traviata,
Carmen, Tosca, Norma, Manon. Ma la mia
opera di riferimento è il Don Giovanni.
La dichiarazione d’amore totale che Don
Ottavio esprime nella splendida aria “Della
sua pace/ la mia dipende/ quel che a lei
piace/ vita mi rende…” è una valorizzazione
122 Amadeus
Per l'attrice la musica
è narrazione:
il melodramma,
i cantautori, e oggi
la tromba di Paolo
Fresu. Sognando
Paolo Conte
dell’universo femminile con pochi uguali».
Nei suoi spettacoli Lella ha sempre collegato
il discorso sulle donne all’ “intelligenza
del cuore”. «Quella di Violetta, che assume
chiaramente nell’opera di Verdi un ruolo
di leader nella relazione con Alfredo. Fino
a quando lei spiega come si può andare
avanti, lui ce la fa; quando lei compie il
patto scellerato con Germont padre lui
non ce la fa più… C’è da riflettere sul
sostanziale analfabetismo sentimentale del
mondo maschile… Pensiamo alla potenza
del detto e non detto musicale e verbale:
“Amami Alfredo quant’io t’amo…” poche
Da una parte l’opera, dall’altro il mito
antico. Per il suo prossimo spettacolo,
Human, scritto con Marco Baliani,
Lella Costa attingerà alla leggenda di
Ero e Leandro. Ogni sera il giovane
Leandro attraversava a nuoto lo stretto
dell’Ellesponto per raggiungere sull’altra
sponda l’amata Ero che lo aiutava nel
tragitto con una lanterna. Ma una sera una
tempesta spense la luce e Leandro morì
tra i flutti. «Mi servirà per ragionare sulle
migrazioni contemporanee e su che cosa
parliamo oggi, quando parliamo di umano
e di umanità». Dopo Fossati per Magoni e
Bollani per Ragazze, ad accompagnarla in
questo nuovo viaggio ci sarà la musica del
jazzista Paolo Fresu. Debutto a Cagliari in
giugno, poi il Ravenna Festival e da ottobre
il tour. Resta a Lella Costa un desiderio
ancora non realizzato. Fare uno spettacolo
con Paolo Conte. «Ma lui è talmente
importante come musicista, come scrittore
e come amico che questo può bastare».
di Alessandro
Cannavò
[email protected]
SAN BENEDETTO DEL TRONTO
20 - 22, Maggio 2016
PRESIDENTE DI GIURIA
Riccardo Risaliti
DIREZIONE ARTISTICA
Lorenzo Di Bella
SEZIONE A CATEGORIE | SEZIONE A 4 MANI
PREMIO PIANISTICO NAZIONALE “LA PALMA D’ORO”
CONTATTI
Info artistiche: tel. +39 348 344 2958
Info organizzative: tel. +39 348 652 0772
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CONTEMPORANEA
PIPPO DELBONO
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