Studi/Contributions
Ripensare le teorie economiche e manageriali per una cultura
d’impresa antropocentrica
Flaviano Moscarini
Introduzione
«All’elenco dei campi in cui si
manifestano gli effetti perniciosi del peccato, si
è aggiunto ormai da molto tempo anche quello
dell’economia. Ne abbiamo una prova evidente
anche in questi periodi. La convinzione di
essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il
male presente nella storia solo con la propria
azione ha indotto l’uomo a for coincidere la
felicità e la salvezza con forme immanenti di
benessere materiale e di azione sociale. La
convinzione poi della esigenza di autonomia
dell’economia, che non deve accettare
“influenze” di carattere morale, ha spinto
l’uomo ad abusare dello strumento economico
in modo persino distruttivo. A lungo andare
queste convinzioni hanno portato a sistemi
economici, sociali e politici che hanno
conculcato la libertà della persona e dei corpi
sociali e che, proprio per questo, non sono stati
in grado di assicurare la giustizia che
promettevano». Ecco come Benedetto XVI
affronta, nell’Enciclica Caritas in Veritate, le
difficoltà contingenti e le disfunzioni strutturali
dell’economia e delle convinzioni che ne
influenzano il divenire. In continuità con quanto
scritto dai Suoi predecessori, al centro del
pensiero del Pontefice vi è lo sviluppo integrale
umano. Uno sviluppo autentico di ogni uomo e
di tutto l’uomo, così come ricordato
nell’Enciclica Popolorum Progressio. Il
Pontefice
constata
come
l’esplosione
dell’interdipendenza
planetaria
–
la
globalizzazione –, l’eclettismo e l’appiattimento
culturali richiedano un impegno inedito e
creativo molto vasto e complesso per cui si
rende necessario «dilatare la ragione e renderla
numero tre
capace di conoscere e di orientare queste
imponenti nuove dinamiche animandole nella
prospettiva di quella «civiltà dell’amore» il cui
seme di Dio ha posto in ogni popolo, in ogni
cultura» (Caritas in Veritate, n. 33).
Prendendo spunto dalla traiettoria eticoculturale tracciata nell’Enciclica Caritas in
Veritate, di seguito si tenta di individuare e far
emergere alcuni aspetti dell’economia e delle
scienze economiche e manageriali che più di
tutti potrebbero essere oggetto di una seria
rivisitazione.
Gli attuali limiti delle
economiche e manageriali
teorie
Gran parte degli economisti, nella
formulazione delle loro teorie economiche,
hanno assecondato per anni una visione solo
produttivistica e utilitaristica dell’esistenza
(Caritas in Veritate, n. 34). Le teorie
macroeconomiche hanno descritto fenomeni
quali la domanda aggregata di consumo o
l’offerta aggregata di beni e servizi, la
disoccupazione, l’inflazione, la formazione dei
tassi di interesse, l’andamento e l’efficacia della
spesa pubblica. Le teorie microeconomiche
hanno classificato i protagonisti dell’attività
economica in consumatori (individui o
famiglie) e produttori (imprese) e ne hanno
esaminato il comportamento in termini di utilità
marginale, elasticità della domanda e
dell’offerta, preferenze individuali. Teorie
macro e microeconomiche che, in sostanza,
pongono al centro del sistema un’economia
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Caritas in Veritate
delle “quantità” governata da modelli
all’abrogazione nel 1999 del Glass-Steagall Act,
decisionali definiti come “obiettivamente
si sono esse stesse trasformate in fondi
razionali”.
Quantità
da
aggregate
e
speculativi facendo dell’ingegneria finanziaria
disaggregare. Equazioni matematiche che
applicata al trading “in conto proprio” e “per
ambiscono a descrivere e contenere in un
conto terzi” una delle loro principali attività e
vettore di varabili il comportamento delle
fonte di guadagni, tradendo in parte la loro
persone e di complesse organizzazioni di
missione sociale di sostegno alle imprese e alle
persone (su tutte, le imprese). Queste teorie,
famiglie.
basate su convinzioni, hanno espresso e servito
per molti anni – e continuano ancora a farlo
Le
teorie
economiche
neoclassiche,
nonostante le recenti critiche mosse da
accompagnate dai modelli di finanza
accademici di fama e dalla
quantitativa della financial
1
stampa – gli interessi di alcune
economics, per molto tempo
L’individualismo
frange
dell’alta
dirigenza
hanno contribuito a legittimare
metodologico e il
aziendale e di determinate
i fasti della “finanza creativa”
tipologie
di
investitori
e i “talenti” che ne hanno fatto
neodarwinismo posti a
istituzionali, giustificando certe
fondamento delle teorie ampiamente ricorso traendone
modalità di “creazione di
lauti guadagni. Queste teorie
economiche
neoclassiche
valore”
d’impresa
e
di
hanno protetto un sistema
distribuzione
del
“valore
economico-finanziario
hanno forgiato l’etica
aggiunto”. Non mancano, è
rendendolo
autoreferenziale e
personale dei manager e
bene sottolinearlo, studi teorici
credibile agli occhi della classe
orientato il modo di
che indagano gli aspetti
politica
e
dell’opinione
motivazionali e sociali del
pubblica. Allo stesso tempo,
percepire i diritti e le
comportamento degli agenti
queste teorie sono state
responsabilità delle
economici (si pensi alla
diffusamente accettate da parte
imprese
behavioral economics che, pur
dei vertici delle grandi imprese
non
abbandonando
talune
industriali e bancarie (il
ipotesi del modello neoclassico, fa propria la
riferimento è soprattutto alla grandi corporation
prospettiva della razionalità limitata). Inoltre, la
americane ed europee) e sono state in grado di
letteratura manageriale contemporanea offre
conquistare l’entusiasmo di molti, tra
importanti
spunti
di
riflessione
e
professionisti, accademici e studenti. Gli
argomentazioni sul tema dell’etica d’impresa,
assiomi posti a fondamento delle teorie
ma non rappresenta una corrente di pensiero
neoclassiche e dell’economia finanziaria hanno
dominante. Ad ogni modo, verso gli anni
contribuito a formare il substrato culturale da
Ottanta l’orientamento all’economia delle
cui sono maturati atteggiamenti di tipo
quantità si è manifestato in tutta la sua pienezza
predatorio nei confronti della “ricchezza” e del
con l’avvento della financial economics.
lavoro umano. Sono stati realizzati veri e propri
Concetti quali la massimizzazione dei
modelli educativi spendibili nella pratica
rendimenti di un portafoglio di mercato, la
imprenditoriale e professionale diffusi nelle
frontiera efficiente delle scelte di investimento,
aule delle più prestigiose scuole di business del
il rapporto rischio-rendimento e il modello di
mondo. Forse la paura di un eventuale ma
governo aziendale principale-agente, basati
improbabile ritorno, nei momenti di crisi, di
sull’ipotesi di efficienza dei mercati, hanno
un’idea di economia pianificata, forse il
trovato terreno fertile nelle sale operative dei
prevalere del dogmatismo liberista incardinatosi
fondi speculativi – hedge funds –, delle grandi
nelle logiche mercantili globali o forse
banche d’investimento e delle banche
semplicemente l’astuzia e l’avidità di pochi
commerciali
che,
successivamente
capaci di cavalcare l’onda del mercatismo
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Studi/Contributions
(termine recentemente coniato dal Ministro
Tremonti per indicare la versione degenerata del
liberismo2), hanno fatto sì che il comportamento
delle grandi istituzioni economiche (in
particolare le corporation) si sia appiattito verso
pratiche mercatorie giustificate da teorie
economiche
autoreferenziali
e
modelli
finanziari di tipo quantitativo-centrici basati su
convinzioni non sempre corrette o su assunti
incompleti. I capisaldi epistemologici delle
teorie economiche neoclassiche e dell’economia
finanziaria hanno orientato le scelte di politica
economica degli Stati e, soprattutto, il
comportamento (strategico ed organizzativo)
delle grandi corporation. In altre parole, hanno
definito i tratti etico-culturali di un complesso
sistema
economico-finanziario
ed
imprenditoriale che, soprattutto dopo gli anni
della crisi petrolifera del 1973, ha avuto uno
sviluppo “disordinato” ma sostenuto da periodi
prolungati di crescita della produzione e
incremento dello stock di ricchezza che ha dato
solo l’impressione di un maggior benessere
diffuso. L’economia finanziaria ha messo radici
nel diritto commerciale, nelle discipline legale
all’organizzazione d’impresa e al management.
della cupidigia umana, rappresenta ancora lo
stimolo ideologico principale per tante imprese
e manager. I casi Parmalat, Enron, Worldcom
(solo per citarne alcuni ben noti) e, a livello
generale, la recente crisi finanziaria che ha
investito il mondo economico occidentale,
hanno dimostrato come anche una grande
impresa industriale o bancaria possa collassare
con estrema facilità quando il vertice aziendale
e l’intera organizzazione perdono di vista la
natura umana, la visione personalista e la
dimensione comunitaria dell’attività economica.
Vero è che le grandi imprese contribuiscono al
progresso economico ma il giudizio eticosociale complessivo sul loro agire è arduo.
«Occorrerebbe accertare – osserva il Prof.
Zanda – se la logica di sviluppo della grande
impresa
gratifica
i
bisogni
autentici
dell’umanità, e se la società moderna ha la
capacità di controllare il comportamento della
grande organizzazione economica in maniera
che
la
macchina
produttiva
resti
permanentemente al servizio dell’uomo»3.
Il tecnicismo economico, l’efficienza dei
mercati, la concorrenza perfetta, il valore degli
azionisti, sono concetti asettici e privi di qualità
normative che, tuttavia, sono stati elevati a
valori sociali intrappolando i manager in un
circolo vizioso. Le teorie economiche – osserva
Ghoshal – hanno «formalmente assolto i
manager da tutti gli obblighi morali e, dal
momento che le responsabilità umane si
fondano in definitiva sulla ragione e la morale,
ha liberato i manager da ogni senso di
responsabilità per i loro sforzi … Il
riduzionismo da un lato e l’esagerazione
dall’altro nella teoria e nell’analisi si sono
reciprocamente rafforzati fino a rendere la
pratica allo stesso tempo inumana e
irresponsabile. Da questo calderone è emerso
l’ordine normativo nel quale i manager oggi si
trovano rinchiusi»4. I principali attori
dell’economia moderna sono confinati in una
prigione etico-culturale frutto di una “assurdità
nella teoria” ma che li rende responsabili di una
“disumanizzazione nella pratica”. In ambito
L’individualismo metodologico e il
neodarwinismo posti a fondamento delle teorie
economiche neoclassiche hanno forgiato l’etica
personale dei manager e orientato il modo di
percepire i diritti e le responsabilità delle
imprese. Ad una classe di manager ed
imprenditori che con analisi lungimiranti si
sono fatti interpreti dei profondi legami che lega
la loro impresa ai territori in cui opera, negli
ultimi anni si è affiancata una classe
cosmopolita di manager che rispondono solo
alle indicazioni degli azionisti di riferimento
costituiti in genere da fondi anonimi che
stabiliscono di fatto i loro compensi e che,
ancor più grave, impongono l’adozione di una
visione economica ed imprenditoriale di breve o
di brevissimo termine (Caritas in Veritate, nn.
32 e 40). L’economia finanziaria di tipo
speculativo - predatoria, giammai sfumata del
tutto e sempre pronta a riemergere dall’alveo
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Caritas in Veritate
organizzativo, si è consolidato un imperialismo
culturale monodimensionale appiattito sull’idea
di un tecnicismo/razionalismo economico che
giustifica tutto e tutti sulla base dei risultati
economici. Scrive Mons. Fisichella: «abbiamo
assistito a un adombramento nella rilevanza non
solo dei problemi connessi con l’idea stessa di
impresa e con i suoi risultati in prospettiva di
crescita di un giusto benessere materiale, ma si
è ignorato anche l’insieme di elementi necessari
per comprendere e porre in essere una coerente
cultura d’impresa»5.
(Caritas in Veritate, n. 40). Osserva la Prof.ssa
Alford che il problema alla base delle più
diffuse argomentazioni sull’etica e sulla
responsabilità sociale dell’impresa consiste in
una antropologia incompleta. «Un punto di
partenza individualista – scrive la Alford – non
riesce a riconoscere un bene reale e intrinseco
nella relazione tra persone. Su tale punto
debole, un’antropologia personalista, come
sviluppata all’interno della tradizione del PSC
(Pensiero Sociale Cristiano, n.d.T.), può essere
d’aiuto. L’approccio personalista riconosce
l’importanza dell’aspetto individuale dell’essere
umano nonché i vantaggi e guadagni creati
Una visione antropologica della
dagli elaboratori delle teorie individualiste»6.
cultura d’impresa
Per superare gli attuali limiti delle teorie
È necessaria un’evoluzione delle teorie
economiche e manageriali nel più ampio e
economiche e manageriali che incida
turbolento contesto della
profondamente
sulla
cultura
globalizzazione,
dei
organizzativa per evitare il rischio di Perché oggigiorno ancor mutamenti tecnologici e
ulteriori clamorose derive strategiche
più che in passato si
dei
cambiamenti
quali quelle che hanno portato molte
intravede la necessità di geopolitici appare quindi
grandi imprese ad assumere elevati
opportuna una svolta
rischi finanziari in nome di un’idea di ripensare le moderne teorie antropologica in senso
progresso economico lontana dalle economiche e di traghettare personalista. «La transivere esigenze delle persone. Una
l’economia contemporanea zione insita nel processo
nuova
teoria
economica
e
di globalizzazione –
manageriale dovrebbe aiutare a nel XXI secolo ridefinendo avverte Benedetto XVI –
liberare la cultura d’impresa dal mito priorità e doveri dell’agire presenta grandi difficoltà
dell’individualismo metodologico, di
e pericoli, che potranno
economicoquella posizione cioè che analizza le
essere superati sole se si
imprenditoriale?
azioni solo in termini di razionalità
saprà prendere coscienza
(massimizzazione della funzione di
di quell’anima antropoutilità
individuale
di
tipo
logica ed etica, che dal profondo sospinge la
monodimensionale) e nega il carattere
globalizzazione stessa verso traguardi di
relazionale della persona. «La sfera economica
umanizzazione sociale. Purtroppo tale anima è
– ammonisce il Pontefice – non è né eticamente
spesso soverchiata e compressa da prospettive
neutrale né disumana e antisociale. Essa
etico-culturali di impostazione individualistica
appartiene all’attività dell’uomo e, proprio
e utilitaristica» (Caritas in Veritate, n. 42). Un
perché umana, deve essere strutturata e
cultura ed un’etica d’impresa improntata su una
istituzionalizzata eticamente» (Caritas in
visione antropologica avrebbe l’effetto di
Veritate, n. 36). Il Pontefice invita a profondi
influenzare in modo profondo e duraturo i
cambiamenti nel modo di intendere l’impresa.
valori e gli obiettivi delle persone e lo spirito
«È vero – osserva Benedetto XVI – che si sta
che permea l’intera impresa. In altre parole,
dilatando la consapevolezza circa la necessità
«perché si possa procedere verso un’economia
di una più ampia “responsabilità sociale”
imprenditoriale che porti impressi in sé i segni
dell’impresa», ma le impostazioni etiche che
indelebili di vera libertà è necessario e
guidano il dibattito non sono tutte accettabili
determinante che si ponga a fondamento una
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visione antropologica che sorregge lo stesso
impianto etico»7. La razionale giustificazione di
prassi manageriali quali la ricerca della
massimizzazione del profitto, l’elargizione di
compensi multi milionari ad amministratori e
top manager, la speculazione finanziaria, sono
il risultato di una totale assenza, nell’analisi
economica e finanziaria moderna, di un’etica
sociale. Nel contesto della recente crisi
finanziaria è emersa l’irrazionalità etico-sociale
della razionalità economica obiettiva la cui
deriva pragmatica si è dimostrata essere hubris,
cioè tracotanza del più forte. L’agire
irresponsabile delle grandi imprese –
consapevolmente indotto dalle scelte dei
manager – può essere ascritto al contemporaneo
manifestarsi della scissione tra etica sociale ed
etica personale e dell’oscuramento della finalità
vera (politica, sociale e culturale) dell’attività
economica e imprenditoriale. La verità, in
campo economico, trova la sua chiave di lettura
nelle sue diverse interconnessioni con la
politica, con la società e con la cultura. Queste
tre dimensioni distinguono un’economia o
un’istituzione economica di tipo civile da quelle
asociali o socialmente neutre in cui le leggi
anonime e impersonali del mercato e le forze
della competizione si sostituiscono alle
relazioni interpersonali e all’evoluzione
culturale8. Se i vari attori del sistema economico
fossero guidati dal solo libero arbitrio e non
avessero un’etica-sociale da seguire non
potremmo fidarci di loro o sarebbero
assimilabili a pericolosi asociali9. Come osserva
puntualmente il Prof. Compagnoni, la presenza
di norme etiche costruite alle luce della ragione
aumenta la prevedibilità del comportamento
altrui e quindi favorisce la vita sociale e lo
sviluppo umano integrale. Sviluppo umano che,
per potersi definire integrale, deve tener conto
anche dell’ambito ecologico in quanto «la
natura, specialmente nella nostra epoca, è
talmente integrata nelle dinamiche sociali e
culturali da non costituire quasi più una
variabile indipendente … Il degrado della
natura è infatti strettamente connesso alla
cultura che modella la convivenza umana:
numero tre
quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro
la società, anche l’ecologia ambientale ne trae
beneficio» (Caritas in Veritate, n. 51). Il
Pontefice introduce una nozione di sostenibilità
ambientale diversa da quella consegnataci dalle
scienze sociali (giustamente concentrate sul
problema dell’equità intergenerazionale). Egli
supera i limiti del razionalismo economico
(«per salvaguardare la natura umana non è
sufficiente intervenire con incentivi o
disincentivi economici») e arriva al cuore del
problema: la complessiva tenuta morale della
società. La visione ecologica delineata dal
Pontefice, porta l’impresa a svilupparsi in modo
sano ed equilibrato e a radicarsi sempre più
nell’ambiente naturale in cui opera: l’attività
economica – in quanto actus personae – e
l’ecologia non si escludo ma sono condizione
l’una dell’altra.
Osservazioni conclusive
Perché oggigiorno ancor più che in
passato si intravede la necessità di ripensare le
moderne teorie economiche e di traghettare
l’economia contemporanea nel XXI secolo
ridefinendo priorità e doveri dell’agire
economico-imprenditoriale? L’esigenza nasce
dalla percezione che la società prossima
ventura, il manager e l’impresa del futuro, una
volta dominato il processo di globalizzazione,
dovranno confrontarsi con il progresso nelle
scienze mediche e biologiche e le innovative
applicazioni tecnologiche che ne deriveranno.
Avverte il Pontefice: «campo primario e
cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo
della tecnicità e la responsabilità morale
dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si
gioca radicalmente la possibilità stessa di uno
sviluppo umano integrale» (Caritas in Veritate,
n. 74). I temi legati alla bioetica rendono
l’Enciclica uno scritto dal valore premonitivo
per chi un domani non troppo lontano dovrà
gestire le potenzialità commerciali delle
biotecnologie che, se da una parte renderanno
grandi benefici alle persone in termini di
miglioramento delle condizioni di vita,
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Caritas in Veritate
dall’altra parte richiederanno un’attenta
valutazione etico-sociale. Il Pontefice prevede
scenari inquietanti per il futuro dell’uomo a
causa di «posizioni culturali negatrici della
dignità umana … destinate ad alimentare una
concezione materiale e meccanicistica della
vita umana» (Caritas in Veritate, n. 75). A
parere di chi scrive, la prossima Rivoluzione
industriale sarà guidata dall’ingresso sul
mercato delle biotecnologie e permetterà alle
economie di tornare ai livelli di crescita almeno
pari a quelli verificatisi nei decenni scorsi. Alla
luce di quanto è stato scritto nei precedenti
paragrafi e a meno di cambiamenti di indirizzo
in campo economico, esiste il pericolo che le
applicazioni commerciali di queste nuove
tecnologie mettano radici profonde nel
mercatismo e traggano successivo sostenta-
mento ideologico dal razionalismo economico.
Senza
l’apertura
della
ragione
alla
trascendenza, queste innovazioni nel campo
della biotecnologia sono destinate ad
alimentare una concezione materiale e
meccanicistica della vita umana (Caritas in
Veritate, nn. 74 e 75). Pertanto, solamente
un’etica economica ed una cultura d’impresa
improntate ad una visione personalista,
relazionale e comunitaria del progresso
economico renderanno possibile lo sviluppo
integrale della persona e quindi il superamento
del mercatismo, degli squilibri sociali causati
dal processo di globalizzazione e delle
incertezze legate all’introduzione delle nuove
tecnologie.
NOTE:
economico, in Unione Industriale di Torino (a cura di),
Etica, economia, legalità, IlSole24Ore, Milano, 2008, p.
35.
1
Su tutti, vedasi quanto scritto da G.A. Akerlof – R..J.
Shiller (Spiriti animali. Come la natura umana può
salvare l’economia, Rizzoli, Milano, 2009) e da P.
Krugman (Economisti per caso. E altri dispacci dalla
scienza triste, Garzanti, Milano, 2000) e i recenti articoli
apparsi su The Economist (July 18-24, 2009).
6
H. Alford, Il pensiero sociale cristiano e le deboli
radici etiche della RSI, in H. Alford, F. Compagnoni,
Fondare la responsabilità sociale d’impresa, Città
Nuova, Roma, 2008, p. 199.
7
Mons. Rino Fisichella, Valori religiosi e sviluppo
economico, cit., p. 36.
2
G. Tremonti, La paura e la speranza, Mondadori,
Milano, 2008.
8
Cfr. S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città
Nuova, Roma, 2007, p. 18.
3
G. Zanda, La grande impresa. Caratteristiche strutturali
e di comportamento, Giuffrè, Milano, 1974, p. 546.
9
Cfr. F. Compagnoni, Diritti umani e responsabilità
sociale d’impresa. Fondamenti e problemi aperti, in H.
Alford, F. Compagnoni (a cura di), Fondare la
responsabilità sociale d’impresa, cit., pp. 241-242.
4
S. Ghoshal, P. Moran, Alla ricerca di una buona teoria
manageriale, in S. Ghoshal, Una buona teoria
manageriale, IlSole24Ore, Milano, 2009, pp. 15-16.
5
Mons. Rino Fisichella, Valori religiosi e sviluppo
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