Linee Guida Bozza - Emergenze oncologiche ROL

ROL
“Linee guida per la gestione delle fasi acute in oncologia”
1° stesura
SOMMARIO:
Sindrome da lisi tumorale
pag. 2
Sindrome della vena cava superiore
“
4
Ipercalcemia
“
7
Neutropenia febbrile
“
10
Iponatriemia e SIAD
“
13
Coagulazione intravascolare disseminata
“
19
Compressione midollare da localizzazione metastatica
“
21
Porpora trombotica trombocitopenia (PTT)
“
23
Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare
“
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1
Sindrome da lisi tumorale
Descrizione della patologia
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Serie di anormalità metaboliche che derivano dalla distruzione acuta delle cellule neoplastiche
con il conseguente rilascio delle sostanze intracellulari nel circolo in seguito a trattamento
oncologico.
Si verifica soprattutto in malattie bulky chemio sensibili (linfomi ad alto grado, leucemie con alte
conte di blasti, tumori germinali ecc) qualche giorno dopo il trattamento.
Come fattori di rischio dell’insorgenza gli elevati valori pretrattamento di acido urico, deficit nella
funzionalità renale, ed elevati valori di LDH.
Principali squilibri metabolici e sintomi
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Iperuricemia per aumentato catabolismo di RNA e DNA. Aumentati livelli di urati tendono a
precipitare nei tubuli renali distali riducendo la funzionalità renale;
Iperfosfatemia per rilascio di fosfati da parte delle cellule neoplastiche, inizialmente compensata
dall’aumentata escrezione renale degli stessi. All’aumentare della concentrazione, i fosfati si
combinano con il calcio e precipitano nei tubuli renali e nei tessuti molli con conseguente
sviluppo di insufficienza renale e
Ipocalcemia che clinicamente si può manifestare con agitazione, tetania e dolore osseo.
Iperpotassiemia dovuta al rilascio del potassio in circolo dalle cellule lisate. Rappresenta lo
squilibrio metabolico più pericoloso dal punto di vista clinico per la comparsa di aritmie cardiache
anche gravi.
Tali squilibri metabolici, che complicano il trattamento di tumori altamente proliferanti, chemiosensibili e
con vasta estensione di malattia, possono causare come evento finale insufficienza renale grave e
morte.
Trattamento
Trattamento profilattico risulta essere l’atteggiamento terapeutico più importante prima dell’inizio della
chemioterapia, dopo identificazione dei pazienti a rischio per sindrome da lisi tumorale. Il trattamento
comprende:
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allopurinolo (inibitore della xantinossidasi che blocca la trasformazione delle xantine e delle
ipoxantine in acido urico). Esiste la necessità di iniziare la terapia qualche giorno prima del
trattamento citotossico effettuando comunque un’abbondante idratazione per evitare la
formazione a livello tubulare di cristalli di xantina. Riduce la secrezione di chemioterapici (purine)
quali la 6-mercaptopurina e l’azatioprina, con la necessità di ridurre il dosaggio di tali farmaci se
somministrati in contemporanea. L’allopurinolo deve essere somministrato al dosaggio di 100
mg/mq/dose ogni 8 ore o 10 mg/kg/die diviso in tre somministrazioni (massimo 800 mg tot die).
idratazione per via endovenosa. Tale idratazione deve essere abbondante, con valutazione di
un abbondante flusso urinario che permetta l’escrezione di acido urico e fosfati attraverso
l’aumento del volume intravascolare, del flusso sanguigno a livello renale e della filtrazione
glomerulare. L’utilizzo dei diuretici può essere necessario per mantenere un’adeguata diuresi, ma
l’utilizzo di tali farmaci è controindicato in caso di ipovolemia o di uropatia ostruttiva.
alcalinizzazione delle urine (pH 7.0 - 7.5) con sodio bicarbonato che aumenta la solubilità
dell’acido urico e riduce la precipitazione intratubulare di urati. L’alcalinizzazione delle urine non
aumenta in modo sostanziale la solubilità delle xantine e delle ipoxantine. Nei casi in cui tali
metaboliti siano abbondanti, come dopo terapia con allopurinolo, è possibile che precipitino
cristalli di xantina a livello dei tubuli renali, con una conseguente uropatia ostruttiva da xantine.
Fondamentale è comunque che venga effettuata una abbondante idratazione con aumento del
flusso urinario.
rasburicase (Fasturtec) un urato ossidasi ricombinante in grado di convertire l’acido urico nella
più solubile allantoina. Più recentemente utilizzato rispetto all’allopurinolo. Ottiene una più rapida
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riduzione dell’acido urico rispetto ad allopurinolo e idratazione. Viene solitamente somministrato al
dosaggio di 0.2 mg/kg/die una volta al giorno per via endovenosa, appena prima o
contemporaneamente all’inizio della chemioterapia. Possibile innalzamento enzimi epatici.
Nel trattamento della sindrome da lisi tumorale vengono solitamente distinti pazienti:
- a basso rischio, nei quali è indicata esclusivamente l’osservazione
- a rischio intermedio, da trattare con idratazione ed allopurinolo (rasburicase solo in caso di
pazienti pediatrici o se sviluppo di iperuricemia in corso di trattamento con allopurinolo ed
idratazione)
- a rischio alto, da trattare ab initio con idratazione e rasburicase.
Nel corso del periodo iniziale ad alto rischio
-
monitorare nel sangue i valori biochimici ogni 4-6 ore
monitorare il bilancio idrico
monitorare il peso corporeo e la pressione arteriosa
In caso di insufficienza renale grave può essere indicata la terapia dialitica per il trattamento
dell’insufficienza renale e dell’iperpotassiemia.
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Sindrome della vena cava superiore
Descrizione della patologia
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La sindrome della vena cava superiore è il risultato di un aumento della pressione venosa
centrale nella parte superiore del corpo dovuta all’ostruzione della vena cava superiore.
Le patologie oncologiche che più frequentemente causano una sindrome della vena cava
superiore sono il microcitoma, il carcinoma del polmone non a piccole cellule, i linfomi, i tumori
germinali, il carcinoma della mammella, i timomi.
La compressione della vena cava in corso di patologia tumorale è di solito dovuta allo sviluppo di
masse a livello della parte centrale o anteriore del mediastino (linfoadenomegalie paratracheali
destre o precarenali, tumori che si sviluppano a livello del bronco lobare superiore destro).
L’aumento della pressione venosa a livello della vena cava superiore causa la formazione di
circoli collaterali, come vie alternative di scorrimento del flusso sanguigno, a livello delle vene
azygos, intercostali, mediastiniche, paravertebrali, emiazygos, toracoepigastriche, mammarie
interne, toracoacromioclavicolari e toraciche anteriori
La severità dei sintomi è correlata al grado di ostruzione, alla possibilità di sviluppare circoli
collaterali di compenso (prognosi peggiore per ostruzioni al di sotto dell’insorgenza delle vene
azygos) ed alla rapidità d’insorgenza dell’ostruzione.
Sintomi
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Segni
Dispnea
gonfiore facciale e
senso di testa pesante
tosse
gonfiore alle braccia
dolore toracico
disfagia
paralisi delle corde vocali
sindrome di Horner
(ptosi palpebrale, enoftalmo, miosi, anidrosi)
- dilatazione delle vene del collo
- dilatazione delle vene toraciche
- edema della faccia
- cianosi cutanea
- pletora della faccia
- edema delle braccia
Valutazione e diagnosi per immagini
- Esame fisico per la verifica dei sintomi che classicamente tendono a peggiorare a paziente supino
(soprattutto il gonfiore facciale e la pletora). Particolare attenzione deve essere posta all’identificazione
di qualsiasi nodulo palpabile che possa essere utilizzato come sito bioptico per la diagnosi istologica di
malattia oncologica.
- TC del torace con contrasto esame fondamentale che permette di valutare la causa, il livello e
l’estensione dell’ostruzione e la presenza di circoli collaterali. Il completamento della TC con immagini
dell’addome può permettere di identificare possibili siti per effettuare l’esame bioptico.
- Venografia con Tc99m utile per identificare ostruzioni trombotiche e per pianificare il posizionamento
di uno stent venoso. Non fornisce notizie sulla localizzazione ed estensione delle masse estrinseche che
causano l’ostruzione.
- RMN per lo studio del torace e delle vene mediastiniche in pazienti che non possono essere sottoposti
a TC con contrasto.
Trattamento
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-
Il trattamento della sindrome della vena cava superiore dovuta a patologia oncologica dipende
dall’eziologia del tumore, dall’estensione della malattia, dalla severità dei sintomi e dalla prognosi
del paziente.
La terapia comprende sia trattamenti per il tumore che trattamenti volti a ridurre i sintomi da
ostruzione che devono essere utilizzati dai curanti in modo flessibile tanto da permettere il
miglioramento delle condizioni generali del paziente.
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Trattamento sintomatico
Riconoscimento di sintomi gravi
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Se presenza di sintomi suggestivi di compromissione delle vie aeree (stridore respiratorio con
evidenza TC di edema laringeo o ostruzione tracheale), posizionamento di tubo
endotracheale per respirazione assistita.
Se presenza di sintomi da edema cerebrale, mettere in atto tecniche rianimatorie con utilizzo di
iperventilazione, sopraelevazione del capo e diuretici osmotici (mannitolo)
Trattamento sintomatico standard
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ossigenoterapia
Al fine di ridurre la pressione a livello della parte superiore del corpo
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riduzione introduzione fluidi
diuretici (trattamento d’efficacia non comprovata da studi)
posizionamento della testa sollevata rispetto al corpo
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Trattamento steroideo (efficace soprattutto in caso di linfoma o timoma) per ridurre l’edema e i
sintomi associati. Solitamente utilizzato desametasone 4 mg ogni 6 ore.
Trattamento anticoagulante indicato esclusivamente in presenza di accertata trombosi. Tale
evenienza è frequente in caso di presenza di catetere venoso centrale, che deve essere rimosso.
-
In casi di sintomatologia grave, soprattutto in assenza di diagnosi istologica o in presenza di malattia
neoplastica chemio resistente o in presenza di un trombo ostruente, indicazione a posizionamento di
stent per via percutanea a livello dell’ostruzione della vena cava superiore.
Dopo diagnosi istologica e la valutazione dell’estensione di malattia indicazione frequente a trattamento
della patologia neoplastica tramite radioterapia e/o chemioterapia.
Radioterapia
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efficace nel migliorare i sintomi in circa i ¾ dei pazienti con microcitoma ed in circa 2/3 dei
pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule.
risposta evidenziabile dopo 7-15 giorni anche se primi segni di risposta dopo circa 72 ore.
Indicazioni per il trattamento radiante:
a) sempre, se la sindrome è secondaria a neoplasia polmonare
b) subordinata all’esistenza di un protocollo terapeutico specifico, se la sindrome è
secondaria ad un linfoma.
c) Tuttavia, rappresentando la sindrome della vena cava superiore un’urgenza, il
trattamento radiante può essere avviato anche se il medico radioterapista non è
ancora in possesso dell’esame istologico.
Controindicazioni relative all’utilizzo della radioterapia sono il pregresso trattamento nella stessa
zona, la presenza di disordini del connettivo quali la sclerodermia, la presenza di un tumore radio
resistente. La pregressa irradiazione mediastinica è da considerarsi una controindicazione al
trattamento radiante, escludendo due casi:
a) pregressa RT sulla catena mammaria interna
b) pregressa RT mediastinica con dose inferiore a 30 Gy, per linfoma.
In tali situazioni, è possibile trattare il paziente con sindrome della vena cava
superiore con una dose di 20 Gy in 10 frazioni.
l’avvio del trattamento deve avvenire entro 48 ore dalla segnalazione.
la dose raccomandata dipende da:
a) volume di irradiazione
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piccolo: l’area del campo di irradiazione è inferiore a 100 cm 2 .
grande: l’area del campo di irradiazione è superiore a 100 cm 2 .
b) condizioni del paziente
paziente in grado di mantenere la posizione supina
paziente non in grado di mantenere la posizione supina
Distinguiamo, quindi, quattro situazioni possibili:
1.
volume piccolo- paziente supino:
20 Gy in 5 frazioni
2.
volume piccolo- paziente non supino:
20 Gy in 5 frazioni
3.
volume grande- paziente supino:
30 Gy in 10 frazioni
4.
volume grande- paziente non supino:
20 Gy in 5 frazioni.
Quando il paziente è in grado di mantenere la posizione supina, il trattamento viene
effettuato con campi contrapposti, con tecnica isocentrica.
Quando il paziente non è in grado di mantenere la posizione supina, il trattamento viene effettuato con
campo diretto con fotoni da 6 o 15 MV, normalizzando la dose al centro della massa, se esiste il modo di
identificarlo, altrimenti all’emispessore.
In linea generale, il PTV è rappresentato da tutta la malattia radiologicamente visibile aumentata di 1 cm
A giudizio clinico, il PTV può essere inferiore al CTV nel caso in cui il CTV risulti eccessivamente
dimensionato o non si ritenga il paziente in condizioni tali da sopportare un volume irradiato troppo
ampio.
Non è indispensabile ma altamente consigliabile effettuare controlli portali di verifica alla prima
applicazione.
Chemioterapia
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effettuata soprattutto in caso di neoplasie altamente chemiosensibili quali i linfomi, i tumori
germinali ed il microcitoma, patologie nelle quali si ottiene un’elevata percentuale di risposta con
una veloce e cospicua riduzione dimensionale della massa tumorale.
utilizzare gli schemi terapeutici previsti per le specifiche patologie, cercando di evitare, se
possibile, cicli chemioterapici che necessitino un sovraccarico di liquidi.
la chemioterapia ottiene un miglioramento dei sintomi da ostruzione della vena cava superiore
nel 80% dei casi di linfoma e nel 77% dei casi di microcitoma.
l’aggiunta di radioterapia alla chemioterapia non migliora in modo significativo la sintomatologia.
Indicazione a trattamento radioterapico postchemioterapico nel caso ve ne sia indicazione clinica
(microcitoma in stadi limitato, linfoma nonHodgkin in stadio iniziale)
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Ipercalcemia
Descrizione della patologia
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-
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l’ipercalcemia è una complicanza metabolica comune in corso di malattie neoplastiche
che spesso richiede un intervento d’emergenza
può complicare qualsiasi malattia neoplastica, ma risulta più frequente in corso di malattie
ematologiche come il mieloma ed il linfoma ed in corso di carcinoma della mammella, carcinoma
del polmone e carcinoma del rene.
l’ipercalcemia associata alla presenza di una neoplasia può essere classificata come:
a) ipercalcemia osteolitica locale per aumento del riassorbimento osseo osteoclastico
nelle aree circostanti le cellule neoplastiche all’interno dello spazio midollare
b) ipercalcemia umorale associata a neoplasia, causata dalla secrezione sistemica di
proteina simil ormone paratiroideo (PTHrP) da parte delle cellule tumorali. La PTHrP
causa aumento del riassorbimento osseo ed aumentata ritenzione di calcio da parte
del rene.
c) Ipercalcemia umorale causata da secrezione di 1,25 diidrossi-vitamina D (forma attiva
della vitamina) da parte delle cellule tumorali che causa aumentato riassorbimento
osseo da parte degli osteoclasti ed aumentato assorbimento di calcio a livello
intestinale (in caso di linfoma)
d) Ipercalcemia da secrezione ectopica di autentico PTH (raro)
La comparsa di ipercalcemia in un paziente affetto da patologia neoplastica assume significato
prognostico negativo, con circa il 50% di tali pazienti che muoiono entro il mese successivo.
Sintomi
Segni
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Stanchezza
Nausea e vomito
Costipazione
Poliuria
Polidipsia
Affaticamento muscolare
Disturbi psicologici
- Disidratazione
- Affaticabilità neurologica
- Iporeflessia
- Ridotto stato di coscienza
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L’aumento dei valori di calcemia in maniera rapida, un preesistente disturbo neurologico e
cognitivo in pazienti anziani o la concomitante somministrazione di sedativi e narcotici sono tutti
elementi che possono rendere più evidenti i sintomi neurologici a parità di valori di calcemia.
-
L’ipercalcemia può causare una progressiva compromissione delle facoltà mentali, fino al coma
ed insufficienza renale, quadri clinici osservati soprattutto in pazienti terminali.
Esami diagnostici
-
calcemia totale nel siero
ipercalcemia modesta tra 10.5 e 11.9 mg per decilitro
ipercalcemia media tra 12 e 13.9 mg per decilitro
ipercalcemia severa al di sopra dei 14 mg per decilitro
-
livelli di calcio ionizzato nel siero in caso di ipo- o iper-albuminemia
.
L’aumento o la riduzione dei livelli di albumina sierica può causare aumenti o riduzioni improprie dei
livelli del calcio sierico totale, non indicativi dal punto di vista clinico. Esistono formule per il calcolo del
calcio ionizzato anche se non sempre precise ed attendibili
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Aggiungere 0.8 mg per decilitro al livello di calcio totale
per ogni 1 g per decilitro di albumina sierica al di sotto
del livello di 3.5 g per decilitro
Aggiungere (40 – albumina sierica) X 0.025 ai livelli di calcio totale sierico
Molto meglio è ottenere valori di calcio ionizzato direttamente calcolato dal laboratorio.
-
variazioni nel tracciato ECG
bradicardia
prolungato intervallo PR
accorciato intervallo QT
allargamento delle onde T
aritmia
Trattamento
-
sospensione di eventuale trattamento con calcio per os o ev o con vitamina D
sospensione di trattamento con farmaci che inibiscono l’escrezione urinaria di calcio o riduce il
flusso sanguigno a livello del rene (diuretici tiazidici, litio, calcitriolo, anti-infiammatori non
steroidei)
- sospendere/non somministrare sedativi che possono peggiorare la sintomatologia
neurologica.
- Idratazione con fluidi per via endovenosa per contrastare disidratazione dovuta dagli effetti del
calcio sul rene (difetto di concentrazione dell’acqua a livello del rene – diabete insipido
nefrogenico). La disidratazione produce una riduzione del filtrato glomerulare che ulteriormente
riduce la capacità del rene di eliminare il calcio sierico. L’idratazione migliora i sintomi da
disidratazione ed induce l’escrezione renale di calcio.
- Somministrazione di fosfati per via orale o tramite sondino naso gastrico. L’ipofosfatemia si
riscontra facilmente in corso di ipercalcemia (utilizzo di diuretici dell’ansa, effetto fosfaturico del
PTHrP, trattamento con la calcitonina e con gli antiacidi). La presenza di ipofosfatemia rende più
difficoltoso il trattamento dell’ipercalcemia.
- Terapia diuretica con furosemide che aumenta l’escrezione renale di calcio. La terapia deve
essere iniziata esclusivamente dopo avere effettuato una terapia reidratante per non aggravare
la mancanza di acqua libera correlata a mancanza di sodio e calcio.
- Trattamento con bifosfonati per ottenere una riduzione durevole dei livelli di calcio attraverso
l’inibizione dell’attività osteoclastica e la conseguente riduzione del riassorbimento osseo. Il
pamidronato viene utilizzato per via endovenosa al dosaggio di 60-90 mg somministrato in due
ore con una risposta del 60% dopo la somministrazione di 60 mg e del 100% dopo la
somministrazione di 90 mg di farmaco. Il pamidronato ottiene un’iniziale riduzione della calcemia
dopo 12-48 ore, effetto che perdura per circa 2 settimane. Lo zoledronato ha il vantaggio di una
più facile e rapida somministrazione ed una lieve maggiore efficacia a discapito di un maggior
costo.
- Trattamento con glucocorticoidi con efficacia nel breve periodo soprattutto in caso di
ipercalcemia in corso di linfoma o mieloma.
- Trattamento con calcitonina con rapida riduzione dei valori di calcio, ma con frequenti problemi
di reazioni allergiche ed anafilassi.
- La dialisi, effettuata con dialisato privo di calcio, trova indicazione nei pazienti con insufficienza
renale acuta o cronica che non possono essere idratati ed ai quali devono essere somministrati
con cautela i bifosfonati.
Il trattamento con mitramicina e nitrato di gallio, utilizzati frequentemente prima dell’avvento dei
bifosfonati, sono attualmente utilizzati assai raramente vista la loro tossicità (trombocitopenia, difetto di
aggregazione piastrinica, anemia leucopenia, epatite, insufficienza renale per la mitramicina ed insuf
renale, che richiede prolungata idratazione, per il nitrato di gallio).
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L’efficacia del trattamento specifico oncologico, con la conseguente riduzione della massa tumorale,
porta solitamente ad un controllo dell’ipercalcemia. Se possibile, giusto iniziare al più presto un
trattamento antitumorale per provare ad ottenere un durevole controllo dei valori di calcio.
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Neutropenia febbrile
Descrizione della malattia
Definizione :
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Febbre: riscontro con singola misurazione di temperatura orale al di sopra dei 38.5°C o riscontro
di temperatura orale superiore a 38 °C della durata di almeno un’ora
Neutropenia: conta dei neutrofili < 500/mmc o conta che ci si attende possa scendere < 500
mmc nelle successive 48 ore. Si definisce neutropenia grave/profonda” una conta assoluta di
neutrofili < 100 mmc.
Epidemiologia, eziologia e mortalità:
-
-
-
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-
Emergenza oncologica solitamente correlata ad un trattamento chemioterapico con farmaci
leucopenizzanti.
Il 10-50% dei pazienti con neoplasie solide e più dell’80% dei pazienti con neoplasia ematologica
presenta un episodio di neutropenia febbrile durante uno o più cicli di chemioterapia.
Nella maggior parte dei pazienti non viene identificata una precisa eziologia infettiva
Infezioni documentate clinicamente si rilevano nel 20-30% degli episodi febbrili: le sedi più
frequenti di infezioni sono il tratto intestinale, il polmone e la cute.
Una batteriemia viene rilevata nel 10-25% di tutti i pazienti e la maggior parte dei casi nel
sottogruppo di pazienti con prolungata e severa/profonda neutropenia (conta assoluta di neutrofili
< 100 /mmc).
La frequenza delle batteriemie da gram-positivi è del 57%, quelle da gram-negativi del 34% e
quelle da associazioni microbiche del 9%.
Attualmente l’agente infettivo più frequentemente isolato in corso di batteriemia è lo
Staphylococco coagulasi-negativo; le enterobacteriaciae (ad es Enterobacter species,
Escherichia coli e Klesbiella species) e i bacilli gram negativi quali Pseudomonas aeruginosa
vengono isolati meno frequentemente.
Le batteriemie da gram-negativi sono associate a maggiore mortalità (18%) rispetto a quelle da
gram-positivi (5%)
I funghi raramente sono identificati come causa del primo episodio febbrile nel paziente
neutropenico; generalmente un’infezione fungina viene riscontrata dopo una settimana di
neutropenia prolungata e di terapia antibiotica empirica.
tra i fattori di rischio per infezione:
a) grado, rapidità d’insorgenza e durata della neutropenia.
b) basso performance status ed età anziana del paziente
c) patologia neoplastica non in remissione, soprattutto se con infiltrazione
midollare
d) catetere venoso centrale o catetere vescicale in sede
e) precedente episodio di neutropenia febbrile
f) effetto dei trattamenti sulle barriere mucose
g) utilizzo di anticorpi monoclonali che inducono immunosoppressione (es.
Riruximab)
la mortalità globale per neutropenia febbrile si è costantemente ridotta negli ultimi anni, ma
rimane comunque elevata:
a) mortalità globale del 5% in pazienti con tumore solido (1% in quelli a basso
rischio)
b) mortalità globale dell’11% in neoplasie ematologiche
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Valutazione pel paziente con febbre e neutropenia:
Definizione del rischio per serie complicanze infettive: determina il tipo di terapia antibiotica
empirica da somministrare (orale o endovenosa), luogo di trattamento ( domicilio o ricovero) e durata
della terapia antibiotica
Distinzione tra pazienti ad alto rischio e a basso rischio di complicanze infettive
Alto rischio che devono essere necessariamente ricoverati e trattatati con terapia
empirica antibiotica per via ev:
 neutropenia anticipata e attesa prolungata (> 7 giorni)
 neutropenia grave (< 100 mmc)
 presenza di significative condizioni cliniche quali :
ipotensione
mucosite orale o gastrointestinale (diarrea)
sintomi gastrointestinali: dolore addominale, nausea o vomito, diarrea
polmonite
sintomi neurologici e/o ai alterazione dello stato mentale,
evidente infezione di CVC
 evidenza di insufficienza epatica o renale
Basso rischio che possono essere candidati a una terapia empirica antibiotica orale:
 neutropenia anticipata di breve durata (< 7 giorni)
 assenza di significative condizioni cliniche
 normale e stabile funzione epatica e renale
In alternativa può essere utilizzato il MASCCC prognostic index ideato dalla Multinational Association
for Supportive Care in Cancer che definisce ad alto rischio i paziente con score < 21 e a basso rischio
quelli con score =/> 21 :
nessuno o moderati sintomi per la neutropenia febbrile
sintomi severi per la neutropenia febbrile
non ipotensione (pressione sistolica > 90 mmHg)
non broncopneumopatia cronica ostruttiva
non precedente infezione fungina in corso di neoplasia
non disidratazione
paziente ambulatoriale al momento di insorgenza neutropenia febbrile
età inferiore ai 60 anni
5
0
5
4
4
3
3
2
Per un MASCC score > 21 è stata valutata una percentuale di mortalità del 3%, mentre per un
MASCC score < 15 la mortalità sale al 36%.
Valutazione iniziale ed esami da effettuare:
-
-
attento esame obiettivo (segni e sintomi di infiammazione sono spesso ridotti o assenti nel
paziente neutropenico)
dettagliata raccolta anamnesi
esami ematochimici completi comprendenti :
emocromo completo con formula
esami funzionalità renale : azotemia, creatinina, elettroliti
esami funzione epatica : GOT GPT bilirubina
almeno due serie di emocolture da vena periferica e da CVC se presente
Colture di ogni sede sospetta per infezione: coprocoltura in caso di diarrea con ricerca
Clostridium, urinocoltura, esame colturale di lesioni cutanee sospette, escreato etc.
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-
RX torace se clinicamente indicato, in caso di presenza di sintomi respiratori.
Markers sierici di infiammazione (PCR , procalcitonina)
Trattamento empirico:
Paziente ad alto rischio:
-
-
-
-
-
è richiesta l’ospedalizzazione
monoterapia con:
cefalosporine ad ampio spettro (cefepime, ceftazidime)
carbapenemico (meropenem o imipenem-cilastina)
piperacillina-tazobactam
altri antibiotici (aminoglicosidici, chinolonici e/o vancomicina) possono essere aggiunti alla
terapia iniziale per il trattamento di complicanze (es. ipotensione e polmonite) o nel caso
venga sospettata o provata antibiotico resistenza
L’uso di vancomicina o altri farmaci attivi su cocchi aerobi gram positivi non è raccomandato come
terapia standard iniziale antibiotica in presenza di neutropenia febbrile.
Va considerato in caso di infezione sospetta del CVC, infezione dei tessuti molli o cute,
polmonite o instabilità emodinamica.
Nei pazienti allergici ai beta lattamici utilizzare combinazioni di vancomicina + aztreonam
oppure ciprofloxacina + clindamicina
Modificazione della terapia empirica iniziale può essere considerata nei paziente clinicamente
instabili o in quelli in cui le emocolture fanno sospettare infezioni da batteri resistenti quali lo
Staphyloccocco meticillino-resistente (MRSA) (vancomicina, linezolide o daptomicina),
Enterococco vancomicina-resistente (VRE) ( linezolide o daptomicina),
Klesbiella pneumoniae carbapenemase (KPC) ( tigeciclina, colistina)
Un trattamento empirico antifungino va considerato nei pazienti al alto rischio che presentano
febbre persistente dopo 4-7 giorni di antibioticoterapia ad ampio spettro e nessuna sede di
infezione è stata identificata
Paziente a basso rischio:
-
trattamento antibiotico orale:
ciprofloxacina + amoxicillina/ac. Clavulanico
ciprofloxacina + clindamicina o azitromicina
levofloxacina
-
I pazienti in profilassi con fluorochinolonici non devono ripetere una terapia empirica orale con un
chinolonico
-
in casi selezionati il paziente può essere trattato a domicilio ma il ricovero deve essere prontamente
effettuato in caso di febbre persistente o in caso di comparsa di segni o sintomi che indicano un
peggioramento dell’infezione per iniziare un trattamento antibiotico parenterale ad ampio spettro.
Uso terapeutico G-CSF
Non è raccomandato di routine in associazione alla terapia antibiotica anche se può essere considerato
nei pazienti ad alto rischio.
Riduce la durata della neutropenia e della ospedalizzazione, ma la mortalità correlata all’infezione
appare influenzata solo marginalmente
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Iponatriemia e SIAD
Descrizione della patologia
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L’iponatriemia, definita come un eccesso di acqua rispetto al sodio presente nei fluidi
extracellulari, è il più comune disordine elettrolitico nei pazienti ospedalizzati: una iponatriemia
lieve (135>Na+>130 mmol/L) è presente nel 15-22% delle persone ospedalizzate ed una
iponatriemia moderata (130>Na+>125 mmol/L) nel 7%; una iponatriemia con Na+ < 125 mmol/L
è presente nel 4% dei pazienti con tumore.
l’iponatriemia è importante clinicamente per l’alto rischio di mortalità nelle forme acute
sintomatiche e per il rischio di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica (o
mielinolisi centrale pontina) da correzione troppo rapida delle forme croniche.
L’iponatriemia può essere:
a) iso-osmolare o pseudoiponatremia (osmol. plasmatica 280-295): iperproteinemica,
iperlipidemica
b) iper-osmolare (osmol. plasmatica >295): iperglicemica, per somministrazione di mannitolo,
glicerolo, sorbitolo, immunoglobuline ev in soluzione di maltosio al 10%
c) ipo-osmolare (osmol.plasmatica <280) a sua volta classicamente distinta in:
ipovolemica, euvolemica e ipervolemica (Tab1)
la sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico (SIADH) è la causa più
frequente di iponatriemia (30-40% di tutte le iponatriemie) ed è definita come una condizione
nella quale l’organismo sviluppa un eccesso d’acqua e una carenza nella concentrazione del
sodio come risultato di impropri segnali di omeostasi chimica dell’organismo, in assenza di una
patologia del rene o di qualsiasi stimolo identificabile non-osmotico a rilasciare ADH.
normalmente l’organismo mantiene un controllo molto stretto tra l’ammontare totale d’acqua e la
concentrazione del sodio. L’ormone antidiuretico o arginina-vasopressina, viene secreto dalla
ghiandola pituitaria ed esercita una funzione molto importante sull’omeostasi sodio/acqua. La
ghiandola pituitaria rilascia ADH nel sangue quando i recettori presenti in vari organi (reni, cuore,
ghiandole surrenali, tiroide) indicano una carenza d’acqua o una troppo alta concentrazione di
sali e causa una ritenzione di acqua libera da parte del rene.
Esistono molteplici cause di SIAD (Tab 2)
In alcuni casi la SIAD è la conseguenza della produzione e secrezione di ADH da parte del
tumore (soprattutto in caso di microcitoma). In alcuni pazienti, le mutazioni del recettore per la
vasopressina regolanti i canali dell’acqua causano un’aumentata concentrazione delle urine in
assenza di ADH. Siccome non tutti i pazienti con tale sindrome hanno aumentati livelli di ADH
circolante, è stato proposto il termine di sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD) e non da
inappropriata secrezione di ADH (SIADH).
Sintomi e segni
I sintomi dell’iponatriemia sono prevalentemente neurologici, sono correlati all’entità e alla velocità della
riduzione della concentrazione plasmatica del sodio e sono espressione della disfunzione indotta
dall’edema cerebrale.
-
L’ iposodiemia severa (Na+<125 mmol per litro), soprattutto se a sviluppo rapido (insorta entro 48
ore) può causare una sintomatologia grave:
a) confusione mentale
b) allucinazioni
c) convulsioni
d) coma
e) erniazione cerebrale
f) arresto respiratorio e morte
-
L’iposodiemia cronica può essere relativamente asintomatica o manifestarsi con sintomi lievi e
aspecifici:
a) cefalea
13
b)
c)
d)
e)
f)
g)
difficoltà di concentrazione
deficit mnemonici
crampi muscolari
astenia
disgeusia
deficit della deambulazione con facilità alle cadute soprattutto negli anziani
Diagnosi
Elementi essenziali
-
-
osmolarità sierica effettiva <275 mOsm/kg d’acqua (osmolarità effettiva o tonicità = osmolarità
misurata – urea plasmatica / 2.8)
osmolarità urinaria >100 mOsm/kg d’acqua in presenza di ipotonicità plasmatica
euvolemia clinica:
a) non segni clinici di deplezione del volume dei fluidi extracellulari (ipotensione
ortostastica, tachicardia, ridotto trofismo della cute, secchezza delle mucose)
b) non segni clinici di eccessivo volume dei fluidi extracellulari (edemi o ascite)
sodio urinario > 40 mmol/litro con normale introito di sale con la dieta
normale funzione tiroidea e surrenalica
non uso recente di diuretici.
Elementi supplementari
-
acido urico plasmatico < 4 mg/dl
urea plasmatica < 10 mg/dl
escrezione frazionata del sodio > 1%; escrezione frazionata dell’urea > 55%.
mancata correzione dell’iponatriemia con infusione di soluzione fisiologica allo 0.9%
correzione dell’iponatriemia tramite restrizione dell’introito di fluidi.
anormali risultati del test da carico d’acqua (escrezione < 80% di 20 ml d’acqua per kg di peso
corporeo in un periodo di 4 ore) o inadeguata diluizione urinaria (<100 mOsm/Kg di acqua)
elevati livelli plasmatici di arginina vasopressina, nonostante la presenza di ipotonicità e la
presenza di euvolemia clinica.
Trattamento
L’unico trattamento definitivo della SIAD è l’eliminazione della causa sottostante (sospensione del
farmaco responsabile, trattamento efficace della neoplasia causale etc..)
-
In caso di iponatriemia acuta (insorta entro 48 ore) o di iponatriemia con presenza di gravi
sintomi neurologici, indipendentemente dalla durata che spesso non è nota, il trattamento
consiste nell’ infusione di soluzione fisiologica ipertonica al 3% alla velocità di 1 o 2 ml per
Kg di peso corporeo all’ora per ottenere un incremento della sodiemia, rispettivamente, di 1 o 2
mmol/L all’ora; in presenza di coma o convulsioni si può utilizzare una velocità di infusione
doppia (2-4 ml per kg al’ora) per la prime 2-4 ore, mentre nei pazienti con sintomatologia lieve
può essere utilizzata una velocità di infusione di 0.5 ml per kg all’ora. La sodiemia deve essere
controllata ogni 2-3 ore e la velocità di infusione della soluzione salina modificata di
conseguenza. Un’alternativa alla infusione continua di soluzione salina ipertonica, nei pazienti
gravemente sintomatici, è rappresentata dall’iniezione di un bolo di 100 ml di soluzione fisiologica
al 3% ripetibile dopo 10 minuti per un massimo di 3 volte. Alcuni autori raccomandano di
associare all’infusione di soluzione salina l’uso di furosemide (20-40 mg ev) perché promuove
l’escrezione di acqua libera e previene l’espansione del volume extracellulare, mentre altri autori
ne consigliano l’uso solamente in presenza di segni di sovraccarico di volume. Secondo gli
esperti, anche in caso di iponatriemia acuta e sintomatica, la correzione della sodiemia non deve
essere maggiore di 8-10 mmol/L nelle prime 24 ore e di 18 mmol/L nelle prime 48 ore. Il
trattamento in acuto deve essere interrotto una volta raggiunto uno qualunque dei seguenti
obiettivi: 1) risoluzione dei sintomi da iponatriemia; 2 ) un livello sicuro di [Na], (generalmente ≥
14
120 mmol/L); 3) una correzione totale della [Na] di 18 mmol/L. La correzione troppo rapida
dell’iponatriemia cronica (insorta ≥ 48 ore) è assolutamente da evitare perché gravata dal rischio
di insorgenza della sindrome da demielinizzazione osmotica. Questa complicanza, che può
comprendere sia una mielinolisi centrale pontina che una mielinolisi extrapontina, da segno di se
(di solito dopo un iniziale miglioramento dei sintomi da iponatriemia) inizialmente con sintomi
quali letargia e cambiamenti dell’affettività e successivamente
con disartria,
disfagia,
quadriparesi spastica, paralisi pseudo bulbare. La prognosi è pessima e il danno neurologico è
spesso irreversibile.
- Nei pazienti con iponatriemia cronica pauci o asintomatica la correzione deve essere molto
graduale. Il trattamento di prima scelta è in genere rappresentato dalla restrizione dell’introito
di fluidi: 1) tutti i fluidi, non solo l’acqua, devono essere inclusi nella restrizione; 2) l’entità della
restrizione richiesta dipende dalla diuresi (generalmente l’introito di liquidi deve essere 500 ml al
di sotto della diuresi nelle 24 ore precedenti, di media 800 ml/die) 3) sono necessari diversi giorni
per avere un aumento significativo dell’osmolarità plasmatica; 4) il massimo apporto di fluidi
tollerato è proporzionale al carico osmotico assunto per via orale, così che un adeguato apporto
di proteine e sali con la dieta deve essere incoraggiato. Il limite principale di questo regime è
rappresentato dalla scarsa compliance dovuta a un intatto meccanismo della sete.
Spesso è perciò necessario un trattamento farmacologico:
- Il trattamento con urea (30 g al giorno) è efficace nel trattamento a lungo termine, con effetto
protettivo sulla mielinolisi ed il danno cerebrale, ma è mal tollerato per il suo sapore sgradevole
ed è controindicato nei pazienti con cirrosi poiché in grado di generare o peggiorare i sintomi
dell’encefalopatia.
- Demeclociclina (da 300 a 600 mg due volte al giorno) derivato della tetraciclina agisce
provocando un diabete insipido nefrogenico. L’effetto si manifesta dopo 2-5 giorni dall’inizio della
terapia con un profilo tossicologico che comprende fotosensibilità cutanea e nefrotossicità.
- Antagonisti dei recettori per la vasopressina o Vaptani:
Conivaptan (Vaprisol, Astellas Pharma) antagonista dei recettori per la vasopressina V1a e V2.
Disponibile solo in preparazione parenterale e quindi somministrabile esclusivamente in
ospedale, è approvato dalla FDA per la terapia dell’iponatremia euvolemica ed ipervolemica.
Vista la scarsa selettività del farmaco, che blocca anche i recettori V1 della vasopressina
inducenti vasodilatazione, vi è il rischio di indurre ipotensione da trattamento.
Tolvaptan (Samsca, Otsuka Pharmaceutical Europe Ltd. OPEL), antagonista del recettore per la
vasopressina V2, disponibile per via orale, è stato approvato dall’Unione Europea nell’agosto del
2009 per il trattamento della SIADH. In studi controllati il farmaco ha dimostrato un miglioramento
dell’iponatremia sia a breve che a lungo termine con effetti collaterali assolutamente minimi.
Nella fig. 1 viene indicato un algoritmo per il trattamento della iponatriemia severa.
15
Tabella 1: Cause di iponatremia in base alla volemia
IPOVOLEMICA
Perdita renale di sodio con ritenzione di
acqua
Nefropatia con perdita di sali
Terapia con diuretici
Perdita di sali da causa cerebrale (Cerebral salt
wasting): traumi, interventi neurochirurgici
Bicarbonaturia, chetonuria, glicosuria
Deficit di mineralcorticoidi
Perdita extrarenale di sodio con ritenzione di
acqua
Perdite gastroenteriche (vomito, diarrea)
Sudorazione profusa (esercizio fisico prolungato)
Perdite nel terzo spazio (pancreatiti, ustioni,
occlusione intestinale,traumi muscolari)
EUVOLEMICA
IPERVOLEMICA
Deficit di glucocorticoidi
Scompenso cardiaco congestizio
Ipotiroidismo
Cirrosi
SIADH
Insufficienza renale acuta e cronica
Eccessivo introito di birra associato a ridotta
assunzione di cibo (Beer potomania)
Sindrome nefrosica
Dieta con contenuto proteico molto ridotto
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Tabella 2: Cause di SIAD
NEOPLASIE
MALATTIE POLMONARI
virali,
MALATTIE DEL SNC
Neoplasie polmonari:
-carcinoma a piccole cellule
-mesotelioma
Infezioni
(batteriche,
tubercolosi, ascessi)
Infezioni (meningiti,
ascessi, AIDS)
Carcinomi dell’orofaringe
Stato asmatico
Lesioni emorragiche/masse:
-ematoma subdurale
-emorragia sub aracnoidea
-accidenti cerebrovascolari
-neoplasie cerebrali
-trauma cranico
-idrocefalo
-trombosi del seno cavernoso
Carcinomi
del tratto gastroenterico:
-stomaco
-duodeno
-pancreas
Carcinomi
del tratto genitourinario:uretere,vescica,prostata,
endometrio
Fibrosi cistica
S. di Guillain-Barrè
Sclerosi multipla
Timoma endocrino
Linfomi
Sarcomi (S. di Ewing)
S. di Shy-Drager
Delirium tremens
17
encefaliti,
FARMACI
Farmaci che stimolano il rilascio
di ADH:
-clorpropamide
-inibitori del reuptake della
serotonina
-antidepressivi triciclici
-clofibrato
-carbamazepina
-nicotina
-narcotici
-antipsicotici
-antineoplastici
(vincristina,
ifosfamide, ciclofosfamide)
-FANS
-Ecstasy
Analoghi dell’ADH:
-desmopressina
-ossitocina
-vasopressina
ALTRE CAUSE
Ereditaria
Idiopatica
Transitoria (nausea, dolore,
stress, anestesia generale,
esercizio fisico prolungato)
[Na] <125 mmol/L
Insorgenza acuta (< 48 ore)
o coma, convulsioni
Insorgenza di durata non nota,
sintomi moderati
asintomatica
Infusione immediata di
soluzione fisiologica 3% 1-2
ml/kg/h sino a miglioramento
dei sintomi oppure bolo di100
cc ogni 10 min sino a un
massimo di 3 volte
Controllo della sodiemia ogni 2
h e aggiustamento della
velocità di infusione
Valutazione diagnostica
Valutazione diagnostica
Escludere deplezione del
volume extracellulare (2L di
sol. Fisiologica 0.9% in 24 ore)
L’obiettivo è aumentare [Na] di
0.5-2 mmol/L/h
Controllo della sodiemia ogni
2-4 h e aggiustamento della
velocità di infusione
Considerare furosemide o
vaptani
Interrompere quando [Na]
aumenta di 8-10 mmol nelle
prime 24 h
Valutazione diagnostica
Trattamento dei fattori
correggibili
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Coagulazione intravascolare disseminata
Descrizione della patologia
-
-
la coagulazione intravascolare disseminata (CID) è una sindrome caratterizzata
dall’attivazione sistemica della coagulazione con formazione intravascolare di fibrina e
conseguente frequente occlusione trombotica di vasi di piccolo e medio calibro che può
compromettere la perfusione degli organi con scompenso funzionale.
la CID può complicare una varietà di patologie quali sepsi, traumi, neoplasie (tumori solidi
soprattutto mucinosi, leucemia).
clinicamente la CID associata a neoplasia ha generalmente una presentazione meno
drammatica rispetto alla CID che complica la sepsi o i traumi. Una più graduale, ma anche
più cronica attivazione sistemica della coagulazione può progredire in maniera subclinica.
Presentazione clinica e diagnosi
La CID può associarsi a sanguinamento da piastrinopenia, da consumo dei fattori della
coagulazione e da iperfibrinolisi.
- il sanguinamento, talvolta di grado severo, è solitamente la prima e più frequente
manifestazione clinica indicante la presenza della CID, dovuto ad un esaurimento di
piastrine e fattori della coagulazione da parte del processo coagulativo in atto, con
evidenza agli esami ematochimici di piastrinopenia, ipofibrinogenemia ed alterazione
dei test emocoagulativi.
- se la funzionalità epatica non è compromessa, l’aumentata sintesi di proteine della
coagulazione potrebbe mascherare il sottostante consumo di fattori ed in questo caso la
piastrinopenia è il segno più prominente di una CID sottostante.
- la misura dei markers correlati alla fibrina come la fibrina solubile e i prodotti di
degradazione della fibrina possono essere utili a stabilire la diagnosi in un ambito di
routine, tuttavia la specificità di tali tests nella CID correlata al cancro non è stata ancora
stabilita.
- non possiamo a tutt’oggi avvalerci di un singolo test di laboratorio in grado di stabilire o
escludere la diagnosi di CID. Sono stati proposti score diagnostici che combinano segni
clinici e parametri di laboratorio anche se rimane difficile stabilire la loro reale applicabilità
ed affidabilità dal momento che l’ evidenza disponibile è scarsa. Pur tuttavia in pazienti con
sospetta CID si suggerisce l’ uso dello score dell’ International Society of Thrombosis
and Haemostasis per effettuare la diagnosi. Tale score prevede una valutazione iniziale
del rischio che un paziente con una data patologia possa incorrere in una CID: si utilizzano
poi dei test coagulativi quali il tempo di protrombina (TP), il dosaggio del fibrinogeno e dei
prodotti della degradazione del fibrinogeno-fibrina ( D-Dimero) ed il conteggio delle
piastrine assegnando ad un dato valore un punteggio.
Piastrine > 100 mmc = 0; < 100 = 1; < 50 = 2.
D-Dimero v.n.= 0; fino a 10 volte la norma = 1; superiore a 10 volte la norma = 2.
PT <1.25 = 0; tra 1.25 e 1.50 = 1; > 1.50 = 2.
Un punteggio uguale o superiore a 5 è compatibile con la diagnosi di CID.
Trattamento
-
la terapia più importante nel tentativo di controllare una CID è il trattamento della
patologia che ne ha causato l’insorgenza.
una terapia si supporto (plasma, piastrine, crioprecipitato) è frequentemente necessaria allo
scopo di correggere le alterazioni emo-coagutative indotte dalla CID:
Piastrine
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Valori bassi di piastrine e dei fattori della coagulazione possono accrescere il rischio di
sanguinamento. Tuttavia la terapia sostitutiva non deve essere istituita solo sulla base di
risultati di laboratorio, ma è indicata:
- in pazienti con sanguinamento in atto,
- in quelli che richiedono una procedura invasiva
- in quelli che siano di per sé a rischio di sanguinamento.
La soglia per trasfondere piastrine dipende dallo stato clinico del paziente. In generale la
trasfusione di piastrine viene riservata a pazienti che sanguinano e che hanno un numero di
piastrine inferiore a 50 x109/L. Nei pazienti che non sanguinano si trasfondono piastrine a una
soglia di 10-20 x109/L.
Plasma
Per correggere il difetto della coagulazione potrebbe essere necessaria una dose iniziale di
plasma fresco congelato pari a 15 ml/kg anche se c’è evidenza che una dose pari a 30 ml/kg
possa produrre una miglior correzione del livello dei fattori della coagulazione.
Crioprecipitato
Se i livelli di fibrinogeno circolante sono inferiori a 1 g/L si suggerisce la somministrazione
di crioprecipitato o concentrato di fibrinogeno.
Non si suggerisce l’uso di Eparina non frazionata o a basso peso molecolare ad
esclusione della profilassi del tromboembolismo venoso nella CID senza sanguinamento
Non si suggerisce l’uso dell’antitrombina.
Non si suggerisce l’uso di dermatan solfato
Non si suggerisce l’uso routinario di fattore VII attivato ricombinante; solo nel caso di
sanguinamento non controllato da precedenti misure terapeutiche si suggerisce l’uso del
fattore VII ricombinante alla dose di 90 microgrammi/kg
Non si suggerisce l’uso di gabesato
In generale non si suggerisce l’uso di agenti antifrinolitici; in pazienti con CID che è
caratterizzata da uno stato iperfibrinolitico primario e che si presentano con un
sanguinamento severo potrebbero essere trattati con ac. tranexamico (es. alcuni casi di
leucemia promielocitica o tumore della prostata).
20
Compressione midollare da localizzazione metastatica
Descrizione della patologia
-
-
-
-
definita come compressione del midollo spinale o della cauda equina dovuta alla
compressione diretta da parte della neoplasia e/o dal crollo o instabilità vertebrale indotte
dalla malattia metastatica o dall’estensione diretta della neoplasia che si teme possa
causare o che già causi disabilità neurologiche.
è una grave complicanza che riguarda il 5-10% dei malati neoplastici.
fondamentale per aumentare le possibilità di cura di questi pazienti è effettuare un
trattamento precoce di questa complicanza, laddove viene frequentemente descritto in
letteratura un ritardo dal momento della comparsa dei primi sintomi al momento nel quale
vengono messe in atto le appropriate terapie.
Circa la metà dei pazienti con compressione midollare da neoplasia non è in grado di
camminare al momento della diagnosi; di questi la maggior parte (circa il 67%) non
ottengono il recupero funzionale ad una valutazione ad 1 mese.
la capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi viene mantenuta nella
maggior parte dei casi (circa 81% dei casi) dopo un mese dall’inizio delle cure.
la capacità di camminare autonomamente al momento della diagnosi risulta
significativamente correlata alla sopravvivenza globale dei pazienti.
Sintomi e segni
-
-
sensazione di tensione spinale localizzata.
dolore radicolare
dolore alla colonna: è il sintomo più caratteristico di compressione midollare. Tale dolore
può essere progressivo o acuto e difficilmente controllabile (come in caso di collasso
vertebrale). Tale dolore viene accentuato dallo sforzo o da manovre tipo il tossire, lo
starnutire, lo sforzarsi per andare di corpo.
deficit sensoriali
ipostenia a livello degli arti
difficoltà nel camminare
disfunzioni degli sfinteri vescicali ed anali
Diagnosi
-
la risonanza magnetica nucleare della colonna in toto deve essere effettuata in tempo
utile, a meno che non esistano specifiche controindicazioni alla sua esecuzione.
deve essere effettuata entro una settimana in caso di dolore alla colonna sospetto per
metastasi alla colonna ed entro 24 ore nel caso di dolore alla colonna e sintomi o segni
neurologici suggestivi per compressione midollare. Talvolta la RMN deve essere effettuata
immediatamente se esiste evidenza clinica per un intervento chirurgico d’urgenza nel
tentativo di preservare la funzionalità d’organo.
Trattamento
-
-
I paziente con dolore severo suggestivo per instabilità della colonna o con qualsiasi
sintomo o segno neurologico suggestivo per compressione midollare, dovrebbe essere
posizionato in maniera idonea su una superficie piana e con mezzi di contenimento in
modo da ottenere un allineamento della colonna in posizione neutrale fino a quando sia
assicurata una stabilità dell’osso e neurologica.
Effettuare trattamento steroideo
21
-
-
-
Iniziare il trattamento definitivo (chirurgia, radioterapia), se possibile, prima di qualsiasi
segno di peggioramento neurologico e comunque, idealmente, entro le 24 ore dalla
conferma della diagnosi di compressione midollare.
Pianificare la chirurgia per massimizzare la possibilità di preservare la funzione
neurologica, nel caso non esista eccessivo rischio per il paziente, tenendo conto delle sue
condizioni generali, della sua prognosi e di cosa egli preferisca fare.
Assicurarsi un accesso urgente (entro 24 ore) e la disponibilità di un trattamento
radioterapico,.
Trattamento radioterapico
-
-
Esiste indicazione al trattamento radiante solo se i sintomi neurologici non sono consolidati
e non è fattibile un trattamento chirurgico.
L’avvio del trattamento deve avvenire entro 48 ore dalla segnalazione.
La dose raccomandata è di 20 Gy in 5 frazioni in cinque giorni consecutivi (se sono
interessati i giorni festivi, occorre la presenza del medico e del tecnico reperibili e
dell’infermiera su ordine di servizio).
Il volume di irradiazione deve essere piccolo, comprendente solo la zona della
compressione midollare.
22
Porpora trombotica trombocitopenia (PTT)
Descrizione della patologia
-
-
definita come disordine della coagulazione che causa una microtrombosi estesa dei piccoli
vasi di tutto il corpo (microangiopatia trombotica).
la maggior parte dei casi insorge per l’inibizione dell’enzima ADAMTS13, una
metalloproteasi responsabile del clivaggio dei multimeri del fattore di vonWillebrand (vWF)
in unità più piccole. In presenza di grossi multimeri del vWF, si verifica un aumento dei
fenomeni coagulativi.
esiste una forma di PTT idiopatica, di natura autoimmune, dovuta all’inibizione dell’enzima
ADAMTS13 da parte di autoanticorpi, una rara forma ereditaria, la sindrome di UpshawSchulman, dovuta al deficit dell’enzima e una forma secondaria correlata a diversi fattori:
a)
b)
c)
d)
tumori
trapianto di midollo
gravidanza
uso di farmaci (quinine, inibitori dell’aggregazione piastrinica come la ticlopidina
ed il clopidogrel)
e) immunosoppressori (ciclosporina, tacrolimus), ed immunostimolanti (interferone)
f) chemioterapici (mitomicina, gemcitabina)
g) infezione da HIV-1
h) casi di microangiopatia trombotica sono stati correlati a trattamenti con nuovi
farmaci a target molecolare (bevacizumab, sunitinib, imatinib, immunotossine)
-
-
-
nelle forme secondarie il meccanismo eziopatogenetico è poco compreso; l’attività
dell’enzima ADAMTS13 non è generalmente depressa come nella forma idiopatica e non
sono solitamente presenti in circolo inibitori dell’enzima.
difficoltà nella diagnosi differenziale tra PTT e sindrome uremica emolitica (SUE).
Entrambe sono caratterizzate da una anemia emolitica microangiopatica e da
trombocitopenia, ma la sintomatologia neurologica è più facilmente associata alla PTT
mentre l’insufficienza renale alla SUE (anche se in entrambe le patologie possono esserci
nessuno o entrambi i sintomi). Nella PTT esiste frequentemente un deficit severo
dell’attività dell’enzima ADAMTS13, cosa che non si verifica in caso di SUE. Bambini nei
quali si evidenzia un’anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia ed insufficienza
renale, tipicamente dopo un periodo di diarrea, sono considerati affetti da SUE. In caso di
SUE il plasma exchange non è considerato trattamento standard.
la sintomatologia è dovuta al ridotto flusso sanguigno dovuto alla trombosi a livello degli
organi irrorati, con presenza di danno d’organo. Il passaggio dei globuli rossi attraverso i
microcoaguli causa una emolisi intravascolare con danneggiamento della membrana
cellulare e formazione di schistociti.
Sintomi e segni
Insorgenza acuta o subacuta di sintomi correlati a disfunzione neurologica, insufficienza renale,
anemia e piastrinopenia. Classicamente le seguenti cinque caratteristiche sono indicative di PTT
anche se, nella maggior parte dei casi, non sono tutte presenti:
-
sintomi neurologici: allucinazioni, comportamenti strani, stato mentale alterato, mal di
testa, stroke, deficit neurologici focali fluttuanti.
insufficienza renale
febbre
trombocitopenia causante ematomi o porpora
23
-
anemia emolitica microangiopatica
I sintomi di PTT possono essere inizialmente assai sfumati con evidenza esclusivamente di
malessere generale, febbre, mal di testa e, qualche volta, dolore addominale e diarrea. Con la
progressione della microangiopatia trombotica si manifestano i sintomi emorragici (porpora,
ecchimosi, sanguinamento soprattutto di naso e gengive) ed i sintomi dovuti a deficit del flusso
sanguigno a livello di alcuni organi, soprattutto rene ed encefalo.
Data l’alta mortalità della PTT quando non trattata, una diagnosi presuntiva di PTT deve essere
fatta in presenza anche solo di anemia microangiopatica e piastrinopenia.
Esami di laboratorio
-
-
Emocromo completo con piastrine
a) piastrinopenia spiccata (solitamente PLT 20000 – 50000 per microlitro)
b) emoglobina moderatamente ridotta (solitamente 8-9 g/dl)
c) globuli bianchi normali o solo lievemente ridotti
Vetrini di sangue periferico: Schistociti. Considerati da alcuni la “conditio sine qua non”
per la diagnosi, possono non essere presenti nelle fasi iniziali della coagulopatia
Coagulazione (PT ed aPTT) sono solitamente normali o solo lievemente allungati
D-dimero (indicatore di attivazione della trombina e di fibrinolisi) normale o solitamente
solo lievemente aumentato
Fibrinogeno tipicamente alto/normale
Azotemia e creatinina elevata in caso di danno renale
Latticodeidrogenasi elevata (non raramente sopra 1000 IU/L)
Bilirubina indiretta elevata
Emoglobinuria con urine scure
L’esecuzione dei test di coagulazione risultano importanti nel differenziare PTT e SUE dalla CID.
Altri esami che possono avere una valenza clinica sono:
-
Test di Coombs diretto negativo (se positivo più facilmente anemia emolitica autoimmune)
Test HIV nelle PTT di nuova diagnosi, vista possibile correlazione con il virus
La misurazione dell’attività dell’enzima ADAMTS13, non disponibile di routine, non possiede
un’utilità clinica dimostrata.
Trattamento
-
-
-
Plasma exchange con plasma fresco congelato. Solo in caso di non immediata
disponibilità della procedura, si ricorre alla semplice infusione di plasma, stando attenti a
non sovraccaricare il circolo, fino al momento in cui sia possibile effettuare il plasma
exchange.
Di solito almeno 5 procedure di plasma exchange sono effettuate nei primi 10 giorni
In caso di SUE è talvolta necessario sottoporre il paziente a dialisi.
La comparsa di ipotensione è l’effetto collaterale più frequente della procedura.
I criteri per definire una risposta completa sono la scomparsa dei sintomi neurologici, la
normalizzazione di emoglobina, piastrine, LDH, bilirubina e creatinina.
Nei pazienti refrattari al plasma exchange è possibile ottenere efficacia utilizzando plasma
“cryopoor” o “cryosupernatant”, plasma fresco congelato dal quale viene rimosso il
crioprecipitato, in questo modo ottenendo la deplezione dei multimeri ad alto peso
molecolare del fattore von Willebrand che hanno un valore patogenetico fondamentale
nell’insorgenza della PTT (la maggiore efficacia del plasma supernatant rispetto al plasma
fresco congelato normale deve essere comunque ancora dimostrata in studi randomizzati).
In casi di malattia refrattaria al plasma exchange, viene talvolta associato trattamento
immunosoppressivo con steroidi, vincristina, ciclofosfamide, ciclosporina o rituximab.
24
-
Mancano evidenze scientifiche forti che indirizzino in maniera più precisa all’utilizzo delle
varie terapie immunosoppressive.
Le trasfusioni piastriniche devono essere evitate se non in presenza di emorragie
pericolose per la vita del paziente (soprattutto a livello del SNC).
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Trombosi venosa profonda ed embolia polmonare
Descrizione della patologia
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La trombosi venosa profonda (TVP) è l'ostruzione parziale o completa di una vena della
circolazione venosa profonda da parte di un coagulo di sangue o trombo. Maggiormente
interessati sono gli arti inferiori (90% dei casi), ma può interessare tutto il sistema venoso,
localizzandosi più frequentemente alla vena cava, alle vene iliache, alla vena femorale
superficiale, alla vena poplitea, alle vene tibiali anteriori e alle vene tibiali posteriori.
L’embolia polmonare (EP), complicanza della TVP, è l'ostruzione acuta, completa o
parziale, di uno o più rami dell'arteria polmonare da parte di materiale trombotico
proveniente dalla circolazione venosa sistemica. Pertanto viene anche meglio definita
tromboembolia polmonare (TEP).
Il tromboembolismo venoso rappresenta una delle più importanti e frequenti cause di
morbidità e mortalità nei pazienti oncologici con un’incidenza dello 0.8-8% in questi
pazienti.
esistono fattori di rischio in pazienti con tumore
Generali:
- neoplasia attiva
- stadio avanzato
- sede (pancreas, stomaco, tumori ginecologici, vescica, polmoni, encefalo, linfoma,
patologie mieloproliferative, rene)
- masse linfonodali determinanti compressione vascolare estrinseca.
- Ipercoagulabilità acquisita
- patologie mediche associate (infezioni, malattie renali, malattie polmonari, scompenso
cardiocircolatorio, tromboembolismo arterioso)
In corso di chemioterapia:
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tipo di neoplasia
conta piastrinica pre-chemioterapia > 300.000/mcL
leucociti pre-chemioterapia > 11.000/mcL
emoglobina < 10 g/dL
uso di fattori stimolanti l’eritropoiesi
indice di massa corporea > 35 Kg/m2
precedenti episodi di tromboembolismo venoso
Legati al trattamento
- chirurgia maggiore
- catetere venoso centrale; catetere venoso
- chemioterapia
o
o
Bevacizumab
Talidomide/lenalidomide con desametasone ad alte dosi
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terapia con estrogeni
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terapia ormonale sostitutiva
contraccettivi
- Tamoxifene/Raloxifene
- Dietilstilbestrolo
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Altri fattori di rischio
- allettamento
- immobilizzazione di un arto (gesso)
- fumo
- obesità
- ridotta attività fisica
Fattori di rischio specifici per mieloma
- picco monoclonale > 1.6 g/dL
- malattia in progressione
- iperviscosità
Diagnosi di trombosi venosa profonda o superficiale
Sospetto clinico
edema di un’estremità
senso di peso ad un’estremità
dolore
persistente inspiegabile crampo ad un polpaccio
edema al volto, al collo ed allo spazio sovraclaveare
malfunzionamento di CVC
Riscontro radiografico in pazienti asintomatici
Accertamenti
Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica
PT
aPTT
Eco-color Doppler venoso
In caso di negatività, con sospetto persistente
Ripetizione di eco-color Doppler venoso
TAC
Flebografia RM
Flebografia
Diegnosi di embolia polmonare
Sospetto clinico
Trombosi venosa profonda in atto o recente
Dispnea, dolore toracico, tachicardia, tachipnea, oppressione toracica inspiegabili
Sincope
Desaturazione O2
Riscontro radiografico in pazienti asintomatici
Accertamenti
Esame emocromocitometrico completo con conta piastrinica
PT
aPTT
ECG
Angio-TC
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Terapia della trombosi venosa profonda ed embolia polmonare
Fase acuta
Eparina a basso peso molecolare (EBPM)
Dosi fisse aggiustate al peso corporeo
200 U/Kg 1 volta/die (nadroparina o dalteparina)
100 U/Kg 2 volte/die (enoxaparina)
Eparina non frazionata (ENF)
Bolo iniziale di 5000 UI.
Infusione endovenosa continua di dosi variabili (in genere circa 30.000 U/24 ore) per
ottenere e mantenere aPTT compreso tra 1.5 e 2.5 volte il basale.
Tale trattamento è attualmente effettuato sempre meno frequentemente per la
maggior sicurezza e maneggevolezza del trattamento con eparine a basso peso
molecolare.
Antagonisti della vitamina K
Embricatura tra trattamento eparinico e con antagonisti della vitamina K. Al
raggiungimento del range terapeutico, mantenuto per almeno 2 giorni consecutivi, si
sospende la terapia con eparina.
NOTA: il fondaparinux è un altro farmaco approvato per la fase acuta della terapia della trombosi
venosa profonda. Le dosi giornaliere raccomandate, da somministrare sottocute una volta al
giorno, sono:
5 mg per pazienti con peso < 50 kg
7.5 mg per pazienti con peso compreso tra 50 e 100 kg
10 mg per pazienti con peso > 100 kg.
Il farmaco è controindicato in pazienti con creatinina clearance < 30 ml/min, e deve essere usato
con cautela in pazienti con creatinina clearance compresa tra 30 e 50 ml/min, o con peso < 50 kg
o con età > 75 anni
Terapia trombolitica
Da considerare in specifici sottogruppi di pazienti come casi di embolia polmonare con
severa disfunzione ventricolare destra, o con trombosi iliaco-femorale massiva a rischio di
gangrena dell’arto, quando è richiesta una rapida decompressione venosa con un ripristino
del flusso.
Durata del trattamento anticoagulante
La terapia va mantenuta almeno tutto il tempo in cui la malattia è in fase attiva, o sono in corso
terapie antitumorali (fatte salve le controindicazioni).
Terapia a lungo termine
I pazienti neoplastici con tromboembolia venosa, durante il trattamento con anticoagulanti orali
sono esposti a rischio significativo sia di recidive trombotiche sia di complicanze emorragiche.
La terapia con Warfarin è spesso di gestione complessa:
è difficile mantenere INR entro il range terapeutico
o Vomito
o Inappetenza
o Dieta obbligata
o Alterazioni dell’assorbimento e/o della funzionalità epatica
sono frequenti le interazioni farmacologiche
è spesso necessario interrompere il trattamento per l’esecuzione di procedure mininvasive
(toracentesi, biopsie) o per piastrinopenia intercorrente.
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La terapia con EBPM è considerata oggi lo standard nella profilassi secondaria della trombo
embolia venosa.
La dose di EBPM raccomandata è pari al 75-80% di quella iniziale.
La durata del trattamento anticoagulante per la prevenzione delle recidive non è stata
espressamente studiata. Si considera necessario proseguire la terapia fino a quando vi è evidenza
di malattia attiva.
In assenza di malattia attiva (ad esempio, in pazienti in trattamento adiuvante) si prosegue il
trattamento per sei mesi (un mese alla dose per la fase acuta, cinque mesi alla dose di
mantenimento). In caso di embolia polmonare viene consigliato un trattamento per 6-12 mesi.
Terapia delle recidive
Se la recidiva si verifica in corso di terapia con anticoagulanti orali con INR al di sotto del
range, occorre adeguare la dose per riportare INR entro il range (2-3);
Se la recidiva si verifica in corso di trattamento con anticoagulanti orali con INR entro il
range terapeutico, si considera il raggiungimento di un range terapeutico superiore (3.5) o il
passaggio ad ENF o ad EBPM;
Se la recidiva si verifica in corso di terapia con EBPM alla dose di mantenimento (75-80%
della dose della fase acuta), si somministra nuovamente EBPM alla dose piena;
Utilizzo del filtro cavale
pazienti ad alto rischio di estensione della trombosi venosa prossimale
pazienti con embolie polmonari ricorrenti nonostante un trattamento anticoagulante
adeguato
pazienti in cui la terapia anticoagulante sia controindicata
o sanguinamento attivo (> 2 U trasfuse in 24 ore) non controllato
o emorragia cerebrale attiva
o lesioni intracraniche o spinali a rischio di sanguinamento
o pericarditi
o ulcera peptica o altre ulcere gastrointestinali
o ipertensione arteriosa severa, non controllata o maligna
o sanguinamento cronico clinicamente significativo
o piastrinopenia < 50.000
o disfunzione piastrinica severa
o recente intervento ad alto rischio di sanguinamento.
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