Capitolo 4 Le civiltà cinese e indiana u1. u2. La Cina L’India u 1.La Cina La presenza di una civiltà sulle rive del «fiume Giallo» risale al sesto millennio a.C., come dimostra il rinvenimento di fossili e di utensili di pietra nella valle dell’Huang-ho e dello Yang-Tze-Kiang, che scorre parallelo al primo. Le antiche leggende della tradizione orale, che vengono raccolte e datate cronologicamente soltanto nel primo millennio a.C., riferiscono che all’inizio della storia cinese si succedono tre sovrani e cinque imperatori, che per secoli verranno indicati come modelli di buon governo. Essi avrebbero, infatti, dettato le prime norme di vita sociale e di diritto e avrebbero fatto eseguire lavori di bonifica e di canalizzazione delle acque dei fiumi. I primi abitatori della Cina sono dediti prevalentemente all’agricoltura e vivono in villaggi costruiti sulle terrazze naturali lungo le rive dei fiumi. Le attività principali sono la coltivazione del riso e l’allevamento di animali domestici. La popolazione agricola vive in ripari scavati nel suolo o costruiti con paglia e argilla e si serve di utensili di pietra. Solo intorno al 2000 a.C. i cinesi iniziano a usare i metalli, nello stesso periodo in cui ha inizio in Egitto e in Mesopotamia l’età del bronzo. La fase storica della civiltà cinese prende l’avvio con l’avvento delle dinastie ereditarie, che si succederanno al governo del paese fino al 1912. La prima dinastia storicamente accertata è quella degli Shang (ca. 1500 - 1027 a.C.), durante la quale si sviluppa una civiltà di tipo urbano caratterizzata dalla lavorazione del bronzo e dalla comparsa della scrittura a caratteri ideografici, la stessa che, con comprensibili modificazioni, è alla base dell’attuale sistema di scrittura cinese. L’impero Shang è ancora un piccolo regno circondato da altri regni di minore importanza, basati su un’organizzazione agricola e sul sistema della schiavitù. È uno Stato che ha connotati feudali: i contadini, che rappresentano la maggioranza della popolazione, sono obbligati a versare tributi ai nobili. La dinastia Shang lotta a lungo contro le tribù della Mongolia, dalle quali apprende l’allevamento dei cavalli e l’uso del carro da guerra. Le incursioni di questi popoli indeboliscono lo Stato degli Shang e nel primo millennio a.C. finiscono per travolgerlo. In particolare, gli Shang cadono sotto il dominio delle tribù guerriere dei Chou, che fondano la dinastia più lunga della storia della Cina (1027 a.C. - 222 a.C.). Essi allargano i confini dell’impero e consolidano il sistema feudale all’interno del paese. Verso il 500 a.C. le città più potenti diventano Stati indipendenti ed esercitano il loro dominio sui territori Le dinastie ereditarie 58 Capitolo 4 circostanti. Sorgono così 15 piccoli Stati, organizzati sia dal punto di vista politico che sotto il profilo militare, i cosiddetti Regni combattenti. È questo un periodo di grandi trasformazioni sociali ed economiche. L’espansione demografica e l’introduzione dell’uso del ferro influenzano positivamente l’agricoltura e la costruzione di opere pubbliche. Risale a questo periodo la Grande Muraglia, la fortificazione lunga più di 2.000 km eretta per difendere i confini dalle invasioni delle tribù di nomadi. Nel periodo tormentato dei Regni combattenti si diffonde in Cina una originale corrente di pensiero, destinata a lasciare un’eredità fondamentale nello sviluppo della cultura e della religione del popolo. Nel disordine generale prodotto dalle lotte feudali il maestro K’ungfu-tzü, il cui nome viene più tardi occidentalizzato in Confucio, si fa promotore di una lotta per la riconquista della pace e dell’ordine universale. L’insegnamento di Confucio non è una dottrina religiosa, ma è una lezione di comportamento, sia per i governanti che per i governati, che si basa sulle esperienze di vita vissuta. Le dottrine religiose La dottrina confuciana ha costituito per duemila anni il codice di comportamento della vita etica, religiosa e politica dei cinesi. Col passare del tempo e con l’introduzione del buddismo in Cina, l’insegnamento di Confucio è stato soggetto, tuttavia, a continue modificazioni che ne hanno alterato in parte il significato originario. Quella di Confucio è una morale aristocratica, che riflette la civiltà feudale del suo tempo. Sia i riti religiosi che la vita sociale sono regolati da un rigido sistema di diritti e doveri. I principi di Confucio furono alla base della politica imperiale dei Chin e costituirono l’ideologia della potente burocrazia. Il confucianesimo, comunque, non è l’unica dottrina che si diffonde nella Cina antica. Dopo Confucio un altro saggio, Lao-Tzu, propone una nuova visione del mondo, più spirituale e mistica rispetto al confucianesimo, che si fondava su un gran numero di norme politiche e morali. Questa dottrina, il taoismo, prende il nome dal Tao, che Lao-Tzu e i suoi discepoli considerano il principio eterno di tutte le cose. Esso non è però una divinità separata dal mondo, ma è l’elemento che costituisce tutte le cose. Al moralismo dei confuciani il Tao oppone un ideale di vita autonoma in cui ciascuno si conforma ai ritmi della vita dell’universo, praticando amore, umiltà e temperanza. La concezione taoista dell’esistenza influenza anche quella politica. Lo Stato, composto da uomini che si accontentano della propria condizione, deve essere guidato da un capo saggio che predichi per sé e per il suo popolo la moderazione. Le civiltà cinese e indiana 59 La civiltà cinese Gli scavi archeologici eseguiti in varie zone della Cina nordorientale nell’ultimo sessantennio hanno permesso di accertare che, già molto prima del terzo millennio a.C., le popolazioni di quella regione piantavano alberi, praticavano l’agricoltura (basata principalmente sulla coltivazione del miglio), allevavano soprattutto maiali, conoscevano la tessitura e facevano uso del cuoio. In una provincia orientale della Cina sono stati inoltre scoperti chicchi di riso e vomeri di aratro fatti con ossa di animali e risalenti a un periodo compreso tra il quinto e il quarto millennio a.C. Da quell’epoca i cinesi hanno conservato un particolare attaccamento alla terra: si pensi che, ancora oggi, il 60% della popolazione attiva cinese si dedica all’agricoltura. Le tracce più copiose e, naturalmente, più certe della civiltà cinese sono quelle rinvenute nella capitale della dinastia Shang e relative a un periodo in cui era stata già inventata la scrittura (metà del II millennio a.C.). I cinesi dell’epoca scrivevano sulle scapole dei buoi e sugli scudi delle tartarughe (dette, tutte, ossa oracolari, perché le iscrizioni venivano consultate prima di intraprendere qualsiasi attività). I testi decifrati mostrano, tra l’altro, l’interesse antichissimo dei cinesi per l’astronomia e la matematica; essi, comunque, si dedicarono con profitto anche alla medicina. Si è potuto accertare che presso quelle popolazioni era in uso un calendario basato sulle fasi lunari, con la suddivisione dell’anno in mesi. Un ciclo di dieci numeri in ordine progressivo (detti «gli steli del cielo») e un ciclo di dodici numeri (detti «rami della terra») indicavano i nomi dei giorni e forse anche dei mesi. Sulle ossa oracolari sono state trovate anche notizie delle eclissi e i nomi di alcune costellazioni, chiamate dai cinesi «case della Luna». La nomenclatura che abbiamo riferito rispecchia la delicatezza e la sensibilità di quelle popolazioni, cui va anche il merito di aver inventato — oltre 3.000 anni prima di Cristo — la musica, da essi considerata «espressione dell’unione tra cielo e terra». L’importanza attribuita all’arte musicale è testimoniata dal fatto che essa figurava tra le sei arti insegnate da Confucio (le altre erano: i riti, il tiro con l’arco, la guida dei carri, gli annali storici, il calcolo). Ricca e raffinata è anche la ceramica che, già presente nel periodo neolitico (terzo millennio a.C.), si traduce nelle splendide porcellane dell’epoca Shang, quando — come si apprende da ritrovamenti del 1952 — erano in uso la ruota da vasaio e gli stampi. Nello stesso periodo (metà del II millennio a.C.), le donne coltivano il gelso per l’allevamento del baco da seta; legate a quest’attività sono pure la tessitura e la manifattura di stoffe pregiate. Molto più tardi (II sec. a.C.) i cinesi inventano la carta, che penetrerà in Occidente solo molti secoli dopo, ad opera degli arabi. 60 Capitolo 4 Lingua e scrittura Nell’antica Cina si parlavano una molteplicità di dia- letti, i quali, sebbene facessero tutti capo a una lingua appartenente alla famiglia sino-tibetana, rendevano difficile la comunicazione tra le varie comunità. Fu questa la ragione per la quale il fondatore dell’impero, Ch’in, provvide all’unificazione della scrittura. Il cinese antico, come quello moderno, era una lingua monosillabica, composta cioè di parole formate da una sola sillaba, rappresentata graficamente da un ideogramma. Nella decifrazione delle ossa oracolari si sono contati circa 5.000 ideogrammi, che, tenuto conto della naturale evoluzione, sono ancora alla base della scrittura cinese. I primi documenti scritti risalgono, come abbiamo detto, al secondo millennio a.C. e si tratta di brevissime iscrizioni; di poco posteriore è una raccolta di poesie (Libro delle odi) che rappresenta la prima opera storico-letteraria. Con il confucianesimo e il taoismo cresce la produzione letteraria, prevalentemente in forma di «massime» e «precetti». Bisognerà, comunque, attendere il II sec. a.C. per le prime compilazioni storiche. L’abito fa l’uomo La dinastia Qin (221-207 a.C.), malgrado i cambiamenti e le riforme importanti, compresa l’unificazione della Cina, ha lasciato scarse informazioni sui vestiti e le mode dell’epoca. Per fortuna i soldati di terracotta e le figure femminili in ceramica, scoperte presso la tomba del primo imperatore Qin nello Shaanxi, forniscono alcuni elementi essenziali sui loro costumi. L’uniforme militare e l’indumento dei lavoratori di questo periodo differivano di poco da quelli della prima epoca degli Stati Combattenti. Uomini e donne indossavano indumenti lunghi fino al ginocchio con maniche strette, con paramano lunghi e squisitamente ricamati e con ampi risvolti, simili a code di rondine e calzavano scarpe di pelle o di tela con punta quadrata e tacco basso. I soldati pettinavano i capelli in un nodo inclinato leggermente indietro, verso destra e indossavano cappelli per lo più di pelle. Le uniformi militari erano di sei o sette tipi, differenti secondo i soggetti, e cioè soldati a cavallo, a piedi e conduttori di carri. Le donne acconciavano i loro capelli all’indietro in un chignon. Durante la dinastia Han (206 a.C. - 220 d.C.), quando il feudalismo era in ascesa, furono introdotte più strette distinzioni di gradi fra gli ufficiali. I ricordi storici forniscono dettagli di più di 20 tipi di arredi cerimoniali o per la vita quotidiana, indossati dagli imperatori e dai ministri. Tutti gli ufficiali indossavano sciarpe di differenti colori e lunghezze che venivano rilasciate dal governo insieme a un sigillo ed erano conservate in una custodia di pelle, quando non venivano usate. La gente del popolo, a giudicare dalle pitture e dalle sculture, vestiva invece abiti più semplici. Durante la dinastia degli Han occidentali, gli uomini pettinavano i loro capelli, e usavano insieme un cappello basso oppure affastellavano e fissavano con spille i loro capelli, usando un copricapo alto, fatto di strisce di bambù, laccato e imbottito di garza, noto come «il cappello della gazza», che aveva avuto origine nello Stato di Chu. L’indumento abituale per gli uomini e per le donne degli Han occidentali era costituito ancora da una tunica di un sol Le civiltà cinese e indiana 61 pezzo. I modelli di gonne femminili trovate in una tomba Han a Mawagdui, nello Hunan, sono squisiti, con motivi decorativi diritti o diagonali e con l’ampio spacco usato nelle gonne del periodo degli Stati Combattenti. Questa tunica, chiamata «la gonna obliqua», consentiva maggiore libertà di movimento. Gli indumenti maschili avevano un ampio collo, davanti erano di un pezzo unico fino a terra, mentre nella parte posteriore terminavano in due code. Uomini e donne usano tutti, sotto gli indumenti, pantaloni sciolti, legati con una fascia e indossano scarpe senza punte. Le donne dipingevano le loro ciglia di nero e attorcigliavano i capelli in crocchia o in un doppio anello sul collo, dietro la nuca, o li lasciavano cadere in trecce come fossero fili di perline. Per una legge della dinastia Han, i contadini potevano indossare soltanto vestiti color canapa, ma più tardi fu loro permesso di usare il blu e il verde. Per il fiorire del commercio, molti mercanti ignorarono il bando della seta e del broccato, una volta riservati all’imperatore e agli ufficiali, e li usarono per ornare le loro case; anche i loro servitori calzavano scarpe di seta con bordi ricamati e ornamenti preziosi. Con il periodo degli Han orientali, la moda del vestire divenne più uniforme. In generale, la gente indossava un copricapo basso, simile a un ponte rovesciato con una, tre o cinque punte. Durante il periodo dei Tre Regni (220-265), il copricapo basso fu sostituito da un pezzo lungo di stoffa, tenuto avvolto intorno alla testa in una varietà di stili di colori. Quando, alla fine degli Han orientali, Zhang Jiao, un capo dei contadini, suscitò una rivolta, il suo esercito indossava turbanti di colore giallo e questa moda continuò fino alle dinastie del Nord e del Sud (420-589). Gli uomini di governo, durante la dinastia Jin (265-420), indossavano un piccolo berretto sotto un cappello di un tessuto sottile e questo stile divenne popolare fra gli uomini e le donne per 600 anni. Gli indumenti lunghi disparvero. Calzoni pieghettati vennero in voga. Gli uomini indossavano una giacca corta, con maniche larghe e pantaloni svasati, legati talvolta al ginocchio con lunghe bende, uno stile che aveva avuto origine nell’esercito. Le donne vestivano con una blusa corta e con una gonna lunga e ampia. Si usavano parrucche al posto delle pesanti crocchie. Durante i Jin occidentali era di moda una crocchia a croce che copriva la fronte e diventò famosa come «la testa posticcia». All’inizio del V secolo, le donne cominciarono ad acconciare i loro capelli in due cerchi e alle scarpe preferirono zoccoli di legno laccato. I materiali preferiti dalle dinastie Qin e Han erano ancora la seta, il broccato con i motivi delle nuvole e dei monti, degli animali e dei fiori. Un rotolo di 10 metri di broccato, ricamato minuziosamente con motivi geometrici o caratteristici, poteva costare 20mila monete, cioè più di 20 volte il prezzo della seta ordinaria. (www.tuttocina.it: «Frammenti d’Oriente», settembre 2002; riduzione) u 2.L’India La penisola indiana che si protende nell’oceano Indiano tra il mar Arabico e il golfo del Bengala vede fiorire nella valle del fiume Indo, nel III millennio a.C., una civiltà che, per molti aspetti, sopravvive ancora oggi in quelle regioni. Anche in India, come in Egitto e in Mesopotamia, le più antiche civiltà si sviluppano lungo il corso di un fiume. Nella bassa valle dell’Indo abitano nei tempi più antichi i dravidi, un popolo di stirpe mongola. Essi I dravidi 62 Capitolo 4 sono originariamente agricoltori, ma diventeranno poi abili costruttori di città. Le città dravidiche, come documentano gli scavi, sono ispirate a principi razionali che anticipano per certi aspetti i moderni criteri urbanistici. Hanno pianta quadrangolare, edifici in mattoni e legno e, sotto il livello stradale, un sistema di condotte di scarico. Oltre all’agricoltura, i dravidi praticano la lavorazione dei metalli e l’arte della ceramica. Molti caratteri di questa civiltà ricordano quelli della contemporanea cultura sumerica, finché i dravidi scompaiono, perché assorbiti dagli invasori arii. La civiltà della valle dell’Indo Provenienti molto probabilmente dall’Asia centrale, gli arii, pastori nomadi di stirpe indoeuropea, giungono in India in due ondate successive, tra il 1500 e il 1000 a.C., stanziandosi prima nel bacino superiore del fiume Indo e spingendosi, successivamente, nella valle del Gange e, infine, nel vasto tavolato del Deccan. Con i loro carri da guerra trainati da cavalli, gli arii hanno facilmente ragione delle pacifiche popolazioni dravidiche e le riducono in schiavitù. Anche nella penisola indiana gli arii continuano a dedicarsi alla pastorizia, organizzandosi però in tante tribù agricole, destinate a trasformarsi poi in piccoli regni, con a capo, ciascuno, un sovrano assoluto, detto rajah. Questi Stati vivono quasi sempre isolati gli uni dagli altri e scarsi sono anche i loro contatti con gli altri popoli. Gli arii Le civiltà cinese e indiana 63 Poco o nulla si sa dell’antica religione dei dravidi, mentre sembra certo che gli indo-arii introdussero nelle regioni conquistate la religione vedica (da Veda, «sapere», «conoscenza»), esposta in quattro libri sacri, raccolti e scritti in lingua sanscrita più tardi, sulla base di una tradizione orale che risaliva al 1500 circa a.C. Gli indo-arii erano, in origine, politeisti e adoravano gli astri e le forze della natura. I loro dèi principali sono: Varana (signore del mondo, degli dèi e degli uomini), Mithra (dio del bene), Indra (dio del cielo), Surva (dio del Sole), Agni (dio del fuoco). Al di sopra degli dèi sta però l’elemento fondamentale da cui ha origine ogni forma di vita celeste e terrestre: il Brahman (essenza eterna di tutte le cose). La casta sacerdotale valorizza via via sempre più questo aspetto delle religioni e attribuisce enorme importanza al rito, capace di conferire sia agli dèi che agli uomini forza e potenza. Pertanto, a partire dall’VIII sec. a.C., l’interpretazione e il commento dei libri Veda da parte dei sacerdoti (o brahmani) modificano sostanzialmente la primitiva religione, trasformandola nel brahmanesimo, che decreta, sia dal punto di vista religioso che sociale, il predominio della casta sacerdotale. La nuova religione venera una Trimurti (= trinità), costituita da Brahma (dio creatore), Vishnù (dio del bene) e Shiva (dio del male). Le religioni Dalla eterna lotta tra il principio del Bene e quello del Male scaturiscono per l’uomo la sofferenza e il dolore e, quindi, la necessità della purificazione. Questa può essere raggiunta attraverso la trasmigrazione delle anime (o metempsicosi), cioè nella successiva reincarnazione in corpi di uomini o di animali, fino al raggiungimento del nirvana (stato dell’individuo che ha estinto in sé ogni desiderio e passione). Col brahmanesimo le caste diventano più rigide e ciò, alla lunga, si dimostra un serio ostacolo allo sviluppo civile dell’India, essendo fattore di conservazione. Infatti, poiché non è possibile il passaggio da una casta all’altra, tutti rimangono legati allo stato sociale e all’attività svolta dai padri e il matrimonio tra appartenenti a caste diverse viene rigorosamente proibito. Quattro sono le caste principali (oltre alle numerose sottocaste): 1. la prima è quella dei brahmani (o sacerdoti), cui è affidato, tra l’altro, il compito di conservare, studiare e interpretare i libri sacri; ai brahmani spetta anche la scelta del re, che appartiene alla classe dei guerrieri, ma che viene preventivamente educato e preparato alla sua funzione; 2. alla seconda appartengono i satriya (o guerrieri), il cui compito principale consiste nella difesa dei brahmani; 3. la terza è costituita dai vaishya (agricoltori, mercanti e artigiani); 4. la quarta ed ultima casta, quella degli shudra, comprende i contadini e i servi. 64 Capitolo 4 Al di sotto delle caste si trovano i paria (schiavi, popoli vinti). Nel VI secolo a.C. il dispotismo oppressivo dei brahmani provoca per reazione il sorgere di due nuove religioni. La prima, il giainismo (da Jina, «il vittorioso», epiteto dell’asceta Mahavira che la predicò), nega l’esistenza degli dèi e, quindi, l’origine divina dei libri Veda, ridimensionando, così, l’autorità dei brahmani. La seconda ha per fondatore il figlio di un rajah, Gautama, detto poi il Buddha («l’illuminato»), che annuncia una nuova dottrina di salvezza. Secondo il buddhismo l’esistenza umana è fonte di dolore, il quale è causato dall’attaccamento al piacere. Per raggiungere la salvezza (estinzione del dolore o nirvana) non è, quindi, necessaria la metempsicosi, ma basta l’inibizione dei propri desideri, praticando la rettitudine in tutte le manifestazioni spirituali e materiali. Da tale dottrina scaturisce l’eguaglianza tra gli uomini e, quindi, l’inaccettabilità delle caste. Le teorie del Buddha, aspramente combattute dai brahmani, ebbero larga diffusione, più che in India, in altre regioni dell’Asia. Un discorso a parte merita l’induismo. Esso corrisponde, in senso stretto, alla fase religiosa dell’India posteriore al periodo vedico e a quella del brahmanesimo ed è quindi databile nel III sec. a.C. Tuttavia, con il termine induismo si vuole intendere oggi tutto il mondo religioso indiano, nelle sue numerose e diverse manifestazioni, a partire dal secondo millennio a.C. L’induismo, infatti, più che una religione ben definita, è un complesso di dottrine, riti e credenze, cui non corrispondeva (e non corrisponde, oggi) un’organizzazione di vertice della quale le varie comunità potessero considerarsi emanazione. Di qui, perciò, un culto molto differenziato, ispirato alle più antiche tradizioni locali, se non addirittura familiari. Del resto, ancora oggi l’India è caratterizzata da una molteplicità di lingue e di sette religiose. La parola induismo deriva da Hindu, nome col quale i persiani indicavano il fiume Indo. Va anche ricordato che, dopo la conquista araba della regione indiana, col nome indù vennero indicati tutti coloro che, nel paese, non professavano la religione islamica o quella cristiana. Un aspetto molto importante della cultura indiana è costituito dalla letteratura, che è la più antica e copiosa tra quelle delle stirpi indoeuropee e abbraccia prevalentemente due settori: —quello dei testi sacri, tra i quali, oltre ai libri Veda, vanno ricordati i Brahmana (commenti e interpretazioni dei brahmani ai Veda) e gli La letteratura Le civiltà cinese e indiana 65 Upanishad (scritti filosofici dell’induismo, divenuti poi la parte conclusiva dei Veda); —quello epico, che comprende i due grandi poemi Mahabharata e Ramayana. Il primo è composto da circa 250.000 versi ed è il più ampio della letteratura universale: corrisponde infatti a sette o otto volte l’Iliade e l’Odissea insieme. È, dunque, poco credibile che sia opera di un solo autore. In proposito, la tradizione ricorda il brahmano Vyasa, vissuto tra il II e il III sec. d.C., il quale, tutt’al più, avrebbe potuto raccogliere e riordinare materiale che risale, in parte, al VII sec. a.C. Nel poema sono narrate, in particolare, le gesta per la conquista dell’Indostan. Il Ramayana narra, invece, le imprese di Rama, il conquistatore del Deccan. È attribuito a Valmiki (I sec. a.C.), ma anche questi ha, probabilmente, solo riorganizzato materiale epico molto più antico. Il carattere principale dell’induismo: la tolleranza Il Concilio Vaticano II (1962-1965), a proposito della religione induista, affermava quanto segue: «Nell’induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; essi cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso le forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza». In realtà, a detta di non pochi studiosi che si sono appassionati a questo argomento, il carattere principale della religione induista può essere individuato, piuttosto, nella tolleranza, come ben si evince dalle considerazioni espresse da Riccardo Loreto nel volume intitolato Grandi civiltà dell’Asia, di cui si propone, di seguito, un eloquente estratto: «[…] È noto a tutti che a partire dal 15 agosto 1947 l’India si è divisa in due Stati politicamente distinti: l’Unione Indiana e il Pakistan. Questo è avvenuto a causa della incompatibilità religiosa, che non ha permesso alle masse indù e a quelle musulmane di convivere sotto un unico regime. Per cui, almeno teoricamente, nel Pakistan si sono raggruppati tutti i seguaci dell’islam, e in India sono rimasti i fautori dell’induismo. Con la parola “induismo” non è indicata una forma religiosa precisa, quale può essere il nostro cristia­nesimo, ma una serie innumerevole di credenze, di scuole, di sette, tutte tese, però, in uno sforzo co­mune per interpretare, nel modo più giusto, il se­greto rapporto che unisce l’uomo al mistero della sua origine e della sua fine. E se lo osserviamo da questo punto di vista, l’induismo ci apparirà molto meno esotico e strano di quello che possa sembrare in un primo momento. In definitiva l’induismo dibatte gli stessi problemi che hanno affaticato l’uma­nità di ogni tempo. E alle terribili domande: chi sono io? che cos’è la vita? cos’è il mondo? chi è Dio? ha cercato di rispondere a modo suo. 66 Capitolo 4 La prima cosa che colpisce fra le affermazioni in­duistiche è che tutte le religioni sono valide, e, cioè, che ciascuno può raggiungere la verità ultima attraverso infinite strade, ognuna adeguata alle possibilità morali e intellettuali del credente. Ne deriva il carattere principale della religione india­na. Questo carattere è la tolleranza. Tolleranza che spesso si trasforma, almeno agli occhi di noi occi­dentali, in una stupefacente capacità di adattamen­to e di compromesso, e che costituisce contempora­neamente la forza e la debolezza dell’induismo. Gandhi, che possiamo considerare il maggiore e migliore rappresentante dell’induismo moderno, ol­tre alle specifiche preghiere della tradizione religio­sa indù, faceva recitare salmi della Bibbia e versetti del Corano, senza che in questo i suoi seguaci ve­dessero qualcosa di sconveniente. Era il simbolo di quella unità religiosa per la quale Gandhi si è sem­pre battuto. Ma se, nonostante la tolleranza, più di una volta induisti e musulmani sono giunti a scon­trarsi violentemente, ciò è dipeso più che altro dal­la intransigenza islamica, la quale discrimina netta­mente tra fedeli e infedeli». Le civiltà cinese e indiana 67 Tavola cronologica ca. 6000 a.C.: III millennio a.C.: ca. 2000 a.C.: 1500 - 1000 a.C.: ca. 1500 a.C.: I millennio a.C.: VIII sec. a.C.: VI sec. a.C.: ca. 500 a.C.: III sec. a.C.: II sec. a.C.: 68 Primi insediamenti nella valle dell’Huang-ho. I dravidi si stanziano nella penisola indiana. I cinesi iniziano a usare i metalli. Gli arii invadono la penisola indiana. Invenzione della scrittura. In Cina la dinastia Shang viene spodestata dalle tribù guerriere dei Chou. Nascita del brahmanesimo. Nascita del giainismo e del buddhismo. Nascita dei Regni combattenti in Cina. In Cina inizia la costruzione della Grande Muraglia. In India nasce l’induismo. I cinesi inventano la carta. Capitolo 4