Direttore di Ricerca: Prof Luigi Maiuri Negli ultimi anni l’attività dei ricercatori dello IERFC è stata rivolta all’identificazione di nuove molecole in grado di correggere il difetto di base della Fibrosi Cistica. Come già precedentemente discusso (LIFC>informati>news, comunicato stampa 12.11.14) l’intensa attività di ricerca preclinica ha portato innanzitutto alla scoperta di un nuovo meccanismo alla base della fibrosi cistica e alla successiva identificazione e validazione, sia su modelli cellulari che in vivo in modelli animali e su cellule primarie nasali di pazienti, di due molecole, la cisteamina e l’Epigallocatechin‐gallato (EGCG), in grado di ripristinare la funzione della proteina CFTR in presenza della mutazione F508del, la mutazione più diffusa nella razza caucasica. Questo tipico esempio di vera ricerca traslazionale è stata anche mirata ad una strategia di “repositioning”, cioè di ricerca di molecole già utilizzate in patologia umana e quindi con un profilo di sicurezza già noto. La cisteamina è notoriamente il farmaco di scelta per la cura della cistinosi nefropatica, malattia genetica rara, ed è ben noto il buon profilo di sicurezza anche in età pediatrica. L’EGCG è invece un nutraceutico, flavonoide del tè verde. La loro azione combinata in studi in vitro su cellule e poi in modelli murini per la Fibrosi Cistica, si è dimostrata in grado di correggere alcuni fondamentali processi di equilibrio cellulare, come la autofagia, alterati nella cellula “malata”, consentendo in tal modo alla proteina CFTR F508del di raggiungere la superficie cellulare e inoltre di acquisire un sufficiente grado di stabilità in membrana. Questo requisito è di fondamentale importanza perché consente di ridurre in maniera significativa lo stato di infiammazione che caratterizza i polmoni dei pazienti con fibrosi cistica. Questi successi degli studi preclinici hanno permesso l'esecuzione di un primo studio clinico pilota di fase 2 su 10 pazienti omozigoti per la mutazione F508del, di età pari o superiore agli 8 anni, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2014 sulla rivista internazionale Autophagy (“Restoration of CFTR function in patients with cystic fibrosis carrying the F508del‐CFTR mutation”). La terapia combinata si è mostrata efficace nel recupero della funzione della proteina CFTR, come evidenziato dalla riduzione significativa della concentrazione del cloro al test del sudore, consensuale all’incremento del flusso di cloro e dell’espressione in membrana della proteina a livello delle cellule epiteliali nasali dei pazienti. Contestualmente, si è osservata una riduzione delle citochine infiammatorie sia a livello dell’espettorato che delle cellule epiteliali nasali, così come una normalizzazione di specifici marcatori cellulari alterati in fibrosi cistica. Lo studio ha inoltre confermato la buona tollerabilità della cisteamina con un’incidenza di eventi avversi sovrapponibile a quella già descritta per l’utilizzo nella cistinosi nefropatica. Considerati gli incoraggianti risultati ottenuti durante la prima fase del trial clinico, è stato chiesto e ottenuto un emendamento dello studio che ha permesso di coinvolgere nella sperimentazione un maggior numero di pazienti anche con mutazioni differenti dalla F508del e soprattutto di testare la risposta al trattamento dei pazienti eterozigoti composti (con una sola mutazione F508del e una mutazione di classe I). Anche in questo secondo studio, un lungo e complesso percorso di ricerca preclinica con generazione di nuovi modelli animali di malattia, ha definito il razionale e le prove di efficacia del trattamento prima della sperimentazione sui pazienti. Lo studio clinico su 42 pazienti ha evidenziato una efficacia della combinazione terapeutica (riduzione della concentrazione del cloro nel sudore, incremento della funzione e dell’espressione della proteina CFTR in membrana nelle cellule nasali dei pazienti, riduzione dell’infiammazione polmonare con un miglioramento della funzione polmonare) non solo nei pazienti omozigoti per la F508del ma anche nei pazienti portatori di una sola mutazione F508del e una mutazione di classe I. Inoltre, il trattamento è risultato efficace anche nei pazienti con mutazioni simili alla F508del, ovvero con altre mutazioni di “classe II”. Al contrario, la combinazione terapeutica non ha avuto alcun effetto in pazienti omozigoti per mutazioni di classe I, in cui vi è una trascurabile quantità di proteina recuperabile mediante la terapia. Lo studio dimostra inoltre che è possibile predire la possibile efficacia del trattamento mediante l’analisi delle cellule nasali dei pazienti prima dell’inizio della terapia nell’ottica di un approccio di medicina personalizzata. I risultati di questo secondo studio sono stati pubblicati recentemente sulla rivista internazionale Cell Death & Differentiation, 2016 (Tosco A et al. “A novel treatment of cystic fibrosis acting on‐
target: cysteamine plus epigallocatechingallate for the autophagy‐dependent rescue of class II‐
mutated CFTR”). Nonostante si tratti di uno studio clinico effettuato su un numero non ampio di pazienti e con un periodo di trattamento troppo breve, si è dimostrato, per la prima volta, che è possibile correggere il difetto di base con strategie diverse da quelle attualmente percorse in pazienti anche con mutazioni diverse dalla F508del. I risultati ottenuti segnano inoltre un decisivo passo avanti nell’ambito della personalizzazione delle terapie in fibrosi cistica attraverso l’identificazione di biomarcatori che consentano sia di predire una possibile efficacia del trattamento prima dell’inizio della terapia, sia di monitorare le fasi piu’ precoci di risposta al trattamento. Questa strategia di medicina personalizzata puo’, in generale, consentire di superare il problema della ben nota variabilità di risposta alle terapie nei pazienti con fibrosi cistica e di individuare la combinazione di molecole piu’ adatta ad ogni paziente, non solo sulla base dei diversi difetti funzionali della proteina CFTR associati alle diverse classi di mutazioni (Theratyping), ma anche sulla base della differente risposta individuale di ogni paziente alla terapia. Studi multicentrici internazionali su un maggior numero di pazienti e di più lunga durata, permetteranno di definire i risvolti clinici di questa nuova combinazione terapeutica. APRILE 2016