Dagli anni Venti, case, scuole e uffici intorno agli stabilimenti sotto la

C U LT U R A
L’ECO DI BERGAMO
LUNEDÌ 5 NOVEMBRE 2001
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GIOVANNI GREPPI nasce la città fabbrica «Dalmine»
Dagli anni Venti, case, scuole e uffici intorno agli stabilimenti sotto la guida di un unico artista
P
ercorrendo i larghi viali alberati che si inoltrano nei diversi quartieri residenziali di
Dalmine sono rintracciabili
ancora oggi i segni di una
città che a partire dagli anni Venti del
Novecento, sotto la mano di un unico
artefice, è progressivamente cresciuta
intorno all’area già allora occupata
dalla Società Anonima Stabilimenti
Dalmine. In quegli anni, e precisamente
in un arco di tempo che va dal 1925 al
1941, un periodo altamente significativo
in Italia per le note vicende politiche e
sociali che investirono tutto l’arco della
cultura nazionale e, in particolare, l’architettura, l’architetto milanese
Giovanni Greppi (1884-1960) fu incaricato dall’amico Mario Garbagni, allora
presidente della Dalmine (e a sua volta
riorganizzatore dei vecchi reparti e
creatore di nuovi grandiosi impianti
produttivi dentro la fabbrica), di progettare l’intero insediamento intorno
all’industria, venendo così a creare un
insediamento simile ai casi più noti dei
«villaggi industriali» nel Nord Italia
(oggi chiamate One Company Town),
come il precedente caso di Crespi
d’Adda, vicino più di altri, ad una logica
paternalistico-filantropica di fine
Ottocento, o come il «villaggio Falck» di
Sesto San Giovanni e il «villaggio Rossi»
di Schio.
Il proficuo legame tra l’amministratore
e l’architetto milanese si basava su una
solida amicizia risalente agli anni della
Grande Guerra. Greppi e Garbagni formarono un dittico professionale perfetto, composto, come sostiene la studiosa
Elena Zambon, da «un architetto disponibile, laborioso, operante sulla falsariga di un’avanguardia moderata, ma già
rilevante (si pensi alle realizzazioni in
Milano tra cui Casa Collini, Villa
Gagliano o i villini di Piazza Piemonte
del 1919) e un nuovo presidente, ingegnere mosso da intenti sociali progressisti, lanciato verso il prestigio ed il benessere socio-economico e l’efficiente produttività».
Ancora poco, tuttavia, si conosce dei
reali intenti politico-economici che
spinsero Garbagni alla realizzazione di
questa città e di quali motivazioni implicite, al di là di una salda amicizia, portarono ad identificare proprio Greppi nell’architetto dell’Azienda; non è chiaro,
inoltre, quanto la città di Dalmine debba
essere analizzata alla luce degli squilibri sociali post bellici e dei fattori politici relativi all’avvento del Fascismo, in
altre parole quanto possa essere considerata un insediamento «funzionale al
sostegno dello sviluppo produttivo, in
adesione all’ideologia del Regime» e
quindi quanto il Regime stesso avesse
investito sulla costruzione di tale insediamento.
Resta il fatto che attraverso una mole
incredibile di disegni, oggi gran parte
conservati presso l’Archivio della
Fondazione Dalmine, Greppi realizzò
tutti gli elementi qualificanti del nuovo
insediamento - dalle abitazioni operaie
agli edifici rappresentativi e religiosi,
dagli spazi ricreativi per l’istruzione a
quelli per le funzioni amministrative e il
commercio - progettandone l’impianto
urbanistico generale, studiandone l’inserimento proprio nelle vicinanze degli
stabilimenti, ed elaborando quindi un’opera interessante sia per carattere e proporzioni sia perché si collocava in una
parentesi temporale coincidente con la
formazione dell’architetto.
LE DUE FASI DEI LAVORI
Il «villaggio Dalmine» viene realizzato
in due distinte fasi edilizie: la prima va
dal 1925 al 1931, mentre la seconda copre
gli anni dal 1934 al 1941. Entrambe le fasi
di realizzazione sono un’utile chiave di
lettura dello sviluppo del linguaggio
greppiano in relazione soprattutto alle
diverse scelte culturali assunte nel
corso degli anni, condizione che, non a
torto, lascia sfuggire la sua opera a rigide classificazioni o a giudizi sommari,
seppur una formazione legata a schemi
classici fa sì che Greppi sia stato considerato vicino alle contemporanee posizioni culturali dei Novecentisti milanesi, che egli peraltro ben conosceva e frequentava. La sua è un’architettura peculiare, dotata di una specifica identità
LE TAPPE DEL VILLAGGIO
I FASE
1925 Albergo-Pensione privata
1926-28 Scuola privata elementare
1926-28 Scuola materna
1928 Quartiere «Leonardo da Vinci»: villini per impiegati. Monofamiliare: Tipo «Alja»
(realizzato a partire dal 1934); bifamiliare: tipo «Bhia», tipo «Aprilia»; trifamiliare: tipo
«Aprilia II», tipo «Gamma», quadrifamiliare: tipo «Mega», tipo «Delia»
1928 Quartiere «M. Garbagni», detto «La Bagina»: case per operai. Vengono realizzate
tre tipologie edilizie: 1) Fabbricato composto da 4 unità abitative dislocate su due
piani (duplex); 2) Fabbricato composto da 4 unità abitative due per piano servite da
unico ingresso e vano scala; 3) Fabbricato composto da 5 unità abitative dislocate
su due piani (duplex)
1929 Padiglione per la mostra dei prodotti (interno alla Dalmine S.p.A) e progetto di
Laboratorio chimico per gli stabilimenti Dalmine
1929-31 Centro religioso: chiesa parrocchiale, I e II casa parrocchiale
II FASE
1934 Deposito cicli (modificato dallo stesso Greppi nel 1950) e mensa aziendale, cooperativa di consumo e spaccio alimentare
1935-36 Negozi e appartamenti del centro. Stazione carburante
1937 Colonia elioterapica, piscina scoperta e l’azienda agricola (costituita da otto gruppi colonici dislocati in tutta Dalmine)
1938 Sede direzionale della Dalmine S.A.
1938-39 Centro civico: casa del dopolavoro, casa del fascio, fontana monumentale
1939-1940 Ospizio (attuale sede dell'Università degli studi di Bergamo -Facoltà di
Ingegneria)
1941-42 Poliambulatorio (attuale consultorio ASL)
1954 Autorimessa per autobus
ALTRE
Sopra, il Palazzo degli Uffici Dalmine; sotto, da sinistra, una veduta del Villaggio operaio e la chiesa
che, tuttavia, si modifica nel passaggio
dagli anni Venti agli anni Trenta attraverso un lento, ma pur percettibile cambiamento di stile evidente soprattutto
nelle opere pubbliche (differente è infatti il linguaggio delle prime opere, quasi
accademiche rispetto a quello delle
seconde).
I risultati della produzione architettonica si presentano dunque eterogenei, talvolta imprevedibili e denotano un’insistente esigenza di affinamento, arricchimento e rinnovamento, finalizzata,
comunque e sempre, alla elaborazione
di un linguaggio personale.
L’Albergo o Pensione Privata, realizzata
per il personale delle acciaierie privo di
famiglia nel 1925, apre la lunga e programmata sequenza di realizzazioni che
cambieranno il volto di Dalmine. In stile
Art Decò l’albergo è un edificio ben proporzionato che Greppi progetta sino nei
minimi dettagli: suoi sono gli arredi,
come i lampadari e l’apparato decorativo, i parapetti in ferro dei balconi e quello della grande scalinata interna, il cancello. Qualche anno più tardi, nel 1928,
sorgono i due noti quartieri residenziali, che Greppi volle distinti nell’ubicazione più o meno prossima all’Azienda.
I QUARTIERI RESIDENZIALI
Il quartiere operaio «Mario Garbagni»,
detto «La Bagina» e situato al confine
nord ovest della fabbrica (oggi lungo la
strada per Mariano), è contraddistinto
da una configurazione planimetrica
ippodamea, e il quartiere «Leonardo da
Vinci» per impiegati, ad est, costituito
da diverse tipologie di villette con differenti dimensioni e articolazioni volumetriche, realizzate nel corso di più anni:
edifici «a blocco» circondati da giardini
e gravitanti intorno alla piazza L. da
Vinci nella quale sorgono le quattro
ville principali e sulla quale si affaccia il
grande Albergo. Non molto distante dal
quartiere dei villini viene costruito il
Velodromo con pista sopraelevata in
cemento armato dotata di tribuna, spogliatoi, servizi, campo di calcio, e abbellito da portali d’ingresso Art Decò. Nello
stesso periodo vengono realizzati l’asilo
infantile (1926) e la scuola elementare
(1928). Anche questi due edifici si inquadrano in un modello abitativo autosufficiente, costituito da spazi organici e funzionali in stretto rapporto con la fabbrica e con il centro produttivo, e teso ad un
nuovo rapporto equo, integrato e vivibile per i datori di lavoro e i dipendenti.
Entrambi sono edifici semplici, lineari,
basati su pochi elementi caratteristici:
ingresso centrale, con portone arcuato e
frontone a cuspide, innalzato su gradini.
Nel 1929, infine, iniziano i lavori per la
realizzazione della chiesa, inno al Decò
ed inserita in una delle due piazze antistanti la fabbrica, quella a nord est, e
delle due vicine Case Parrocchiali, edifici donati dalla Società alla Comunità nel
marzo del 1931. Con la morte di
Garbagni nel 1930 si chiude il primo
ciclo edificatorio intrapreso da Greppi a
Dalmine, forse il più sentito dall’architetto, poiché nato da un’amichevole collaborazione e da un comune intento
«progressista» alla ricerca di maggior
benessere, assistenza e protezione per i
lavoratori attraverso un sistema libero
OPERE DELLA
SOCIETÀ
ANONIMA
STABILIMENTI DALMINE
1931-33 A Castione della Presolana colonia alpina «M. Garbagni»
1936 A Riccione colonia marina «F. Ratti»
da pregiudizi interclassisti. Il desiderio
d’ordine, evidente nella chiarezza distributiva degli edifici, contraddistingue
questo primo insediamento organizzato
in strade e vialetti rettilinei con una
semplificazione anche degli elementi
architettonici e della struttura stessa
espressa proprio in quello stile Decò,
contenuto e di sapore classico, che enuncia un bisogno di rappresentazione
molto caro al gusto di quegli anni e simbolo della classe dirigente imprenditoriale (così come lo era stato il Liberty).
Una scelta di linguaggio controtendenza
in un periodo in cui in Europa, ma
anche in Italia, andavano affermandosi
le teorie legate all’architettura d’avanguardia razionalista, al Movimento
Moderno e alla Bauhaus in Germania,
ai famosi «cinque punti di una nuova
architettura» esposti da Le Corbusier.
Nell’Archivio del Comune di Dalmine si
trovano i disegni firmati da Greppi
anche a partire dal 1934, anno che sancisce l’inizio della seconda fase di realizzazione. Nel giugno dello stesso anno
l’architetto milanese richiede al Podestà
il permesso di costruire il Refettorio per
gli operai e la Cooperativa di consumoSpaccio alimentare, entrambi al posto
delle proprietà Camozzi, di fronte all’ingresso dello Stabilimento.
Nello stesso anno e non molto distante
dalla Mensa per gli operai sorge l’edificio destinato a Deposito cicli, oggi rimodernato per far posto ad alcune strutture dell’Università, costituito da due
corpi di fabbrica e risistemato dallo stesso Greppi negli anni Cinquanta (gli stessi anni in cui realizzerà inoltre il
Deposito delle corriere).
Insieme agli edifici di nuova costruzione Greppi si occupa in questi anni
anche dell’ampliamento del vecchio
Albergo (1935) con la costruzione di una
piccola loggia, dei quartieri residenziali, aggiungendo nuove tipologie di villini come la villa Omega e la villa Alfa, e
delle case operaie, come della numero
34. A queste realizzazioni si aggiungono,
nel 1935, a nord ovest dell’Azienda, i
negozi e gli appartamenti, distribuiti su
tre piani e retti da un portico costruito
su pilotis, esili tubi della Dalmine, opere
che sembrano aderire questa volta ai
formulari razionalisti (i riferimenti formali e funzionali sono quelli del
Weissenhof di Stoccarda o del
Werkbund Siedlung di Vienna, specie
delle case di Hoffman), ma che non
fanno altro che sottolineare lo stile personale di Greppi, quasi a rappresentare
un periodo a cavallo tra la prima e la
seconda fase di realizzazione del villaggio. Ancora nel 1937 Greppi realizza la
Colonia elioterapica (come aveva realizzato nel 1931 sempre per la Dalmine una
Colonia alpina «M. Garbagni» a
Castione della Presolana e nel 1937 lo
stabilimento balneare «F. Ratti» a
Riccione), la piscina scoperta, la stazione carburante e l’azienda agricola, quest’ultima costituita da otto gruppi colonici dislocati su tutto il territorio, desti-
LA CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
1884 Giovanni Greppi nasce a Milano il 19
settembre; collabora sin dai primi anni
della giovinezza con il padre, da cui
apprende le tecniche di lavorazione del
ferro battuto. Di questo particolare
apprendistato l’architetto si servirà per
progettare dettagli e rifiniture in ferro
battuto presenti nei suoi edifici.
1905 Si iscrive al I corso della Scuola
Superiore di Architettura della Reale
Accademia di Belle Arti in Milano.
1906 Si laurea ed ottiene presso
l’Onorevole Segreteria della Reale
Accademia di Belle Arti la patente di
«Professore di disegno architettonico».
Inizia la sua collaborazione nello studio
di Raimondo D’Aronco, uno dei massimi
esponenti del Liberty italiano (artefice
del Padiglione alla Esposizione d’Arte di
Torino del 1902).
1907 Partecipa al Concorso per la Scuola
greca di Costantinopoli, in cui ottiene
un riconoscimento e vince un concorso
governativo che gli attribuisce una pensione annuale con la quale si potrà permettere un soggiorno all’estero. Altri
due premi (Tantardini e Canonica) sono
del 1910.
Dal 1908 al 1910 Greppi frequenta
l’«École des Beaux Arts» a Parigi.
1911 Nei mesi di febbraio e marzo espone
alcuni acquarelli (tecnica cui si dedicherà tutta la vita e che adotterà come
mezzo espressivo nei bozzetti e nei disegni
progettuali)
alla
Mostra
dell’Associazione degli Acquarellisti
lombardi presso il Palazzo della Società
per le Belle Arti di Milano.
1912 Partecipa al Concorso nazionale per
la progettazione della Stazione ferroviara da erigersi in piazza A. Doria
(Stazione Centrale) di Milano e si classifica al secondo posto
1913 Partecipa con E. Fagiuoli al concorso
nazionale per il Progetto di una nuova
sede centrale della Cassa di Risparmio
di Verona, Vicenza e Belluno e si classifica ancora una volta al secondo posto.
1914 Realizza Villa Greppi-Frizzi a Varenna,
sul lago di Como. Nello stesso anno si
sposa con Rosa Labus, che diverrà sua
compagna di vita e sensibile consigliera
nell’attività professionale (la figlia Giulia
Rosa nascerà nel dicembre dell’anno
successivo).
1915 L’Italia entra in guerra e Greppi è
nominato sottotenente nel Genio
Militare e incaricato di realizzare una
serie di grandi incisioni per rappresentare le risorse ed i mezzi impiegati
dall’Industria italiana per la guerra (oggi
conservate presso il Castello
Sforzesco).
1919 Realizza una serie di case d’abitazione in Piazza Piemonte a Milano e la
Casa Collini, in via Statuto, oltre al progetto non realizzato di Villa Gagliano, in
cui è possibile riconoscere un legame di
dipendenza lessicale rispetto ai modelli
della Secessione Viennese (filtrata nel
pensiero di Greppi dalla frequenza del
D’Aronco). A partire da questi anni inizia
la sua esperienza e attività di scenografo che lo porta a realizzare alcuni
allestimenti per l’Arena di Milano.
1921 Partecipa al concorso per il Piano
Regolatore dell’Isola Comacina.
1923 Inizia la sua esperienza come membro della Commissione ordinatrice della
Biennale delle Arti decorative di Monza,
che si protrarrà sino al 1927.
1924 Progetta la propria residenza per la
villeggiatura a Craveggia, in Val Vigezzo.
Negli anni successivi progetterà le residenze per una colta committenza, di cui
spesso fanno parte gli stessi amici di
famiglia: Villa Argentina (Craveggia),
Villa Tridenti-Pozzi (Vocogno), Villa
Perego (Vocogno), Villa Gennari (S.
Maria Maggiore).
1925 Realizza la Pensione Privata, prima
opera a Dalmine. Seguiranno altri edifici
a differente destinazione d’uso, una
lunga serie di realizzazioni che si protrarranno sino ai primi anni Quaranta
1926 Partecipa al concorso per il Piano
Regolatore di Milano. Su incarico del
Comune di Como elabora il progetto
dello stadio Giuseppe Sinigaglia, oggi
modificato. Progetta Villa Garbagni ad
Ello in Brianza.
1927-28 Progetta il Padiglione dell’Irpinia
e la sistemazione decorativa dei tubi
Mannessmann di Dalmine per la fiera
campionaria di Milano.
1929 Realizza due case di abitazione a
Milano: casa Piazza-Valesi in via Goldoni
e casa F.lli Greppi in via Mameli; un
anno dopo progetta la Casa FacettiSuitermaister accanto alla casa PiazzaValesi.
1931-33 In dicembre viene inaugurata la
sede centrale della Banca Popolare di
Milano nella nodale piazza Crispi (oggi
piazza Meda). Realizza inoltre in questi
anni anche la Cassa di Risparmio, in collaborazione con Giovanni Muzio.
1935 Viene inaugurato il grande Sacrario
militare del Monte Grappa (iniziato nel
1932). Seguiranno nel 1938 i progetti di
altri Ossari della guerra 1915-18 in
diverse località, tra cui Redipuglia.
1938-39 A Dalmine nella piazza XX Marzo
1919 viene inaugurata la Fontana monumentale: è l’ultimo atto del villaggio progettato ed iniziato più di dieci anni prima
con l’amico Mario Garbagni. L’anno successivo l’Italia entra in guerra e l’attività progettuale di Greppi sarà costretta
a subire una pausa di arresto.
L’architetto, tuttavia, prosegue proprio
a Dalmine alcuni lavori di modifica e di
ampliamento dell’esistente. Progetta
per il fratello una nuova villa in Val
Vigezzo.
1938-40 Progetta la sede della S.E.E.E.
(Società Emiliana Esercizi Elettrici) di
Parma.
1950-1960 Realizza ben 21 sedi per la
Banca Popolare di Novara, fra cui la
sede centrale. Progetta il quartiere
Cinquantenario a Dalmine.
1959 Il 12 aprile rimane vittima di un grave
incidente automobilistico, in seguito al
quale muore esattamente un anno dopo:
il 12 aprile 1960.
(Nota biografica tratta da E. ZAMBON, Il
Novecento di Giovanni Greppi - Giovanni
Greppi architetto del Novecento milanese, 1984-’85)
nati a ricordare ai lavoratori l’amore
per la terra e uniche opere oggi difficilmente rintracciabili, perché demolite o
pesantemente rimaneggiate.
IL CENTRO CIVICO
Nel 1938-39 Greppi progetta gli importanti edifici del nuovo centro civico: la
Casa del Fascio, la Casa del Dopolavoro,
la Casa comunale, opere che si inquadrano nel programma di diffusione
degli organismi di controllo del regime
e che gravitano intorno ad una stessa
piazza circolare (oggi piazza della
Libertà), al cui centro venne innalzato
un alto pennone, attraversata da una
strada diretta alla nuova sede direzionale dell’Azienda, sede costruita anch’essa
proprio in quegli anni.
Il nuovo impianto urbano ha quindi
come punto focale proprio la facciata
degli Uffici della Dalmine, davanti a cui
si apre nel 1939 la grande piazza alberata 20 marzo 1919 (oggi piazza Caduti del
VI Luglio), organizzata intorno ad una
fontana marmorea disegnata proprio
dal Greppi ed eretta in occasione del
Ventennale del discorso di Mussolini a
Dalmine. Sopraggiunto un nuovo bisogno di affermazione, di dichiarazione, di
celebrazione le architetture greppiane
del secondo periodo sono accomunate
da un linguaggio classico, aulico e
monumentale: opere decisamente permeate dalla cultura del periodo.
Raffaele Calzini nella prefazione di un
volume del 1932 dedicato alle opere allora già realizzate da Greppi aveva colto
l’origine del suo stile, aveva già capito
quanto «la funzione dell’edificio da
costruire» fosse veramente «il suo punto
di arrivo, trattisi di un palazzo o di
un’officina» e di come l’architetto avesse
sempre ricercato «il nesso più logico tra
la funzione dell’edificio e il suo aspetto
esteriore». Sempre Calzini aggiunge
quanto «lo studio diligente che egli fece
delle piante fosse prezioso per la precisa
e calcolata economia dello spazio e per
l’originalità della concezione», quello
spazio che deve essere destinato non soltanto «alle esigenze della vita contemporanea, ma anche a quella della vita di
generazioni future». Ed in effetti i suoi
edifici a Dalmine sono contraddistinti
da una certa disponibilità funzionale (la
stessa che peraltro connota la rete stradale), di cui è certamente un esempio
l’Ospizio sorto nel 1940, poi divenuto
Scuola professionale, in seguito Palazzo
degli Uffici della Dalmine, e, infine, sede
della
Facoltà
di
Ingegneria
dell’Università degli Studi di Bergamo.
L’ultimo edificio di questa seconda fase
greppiana sorge infine nel 1941 ed è il
Poliambulatorio, oggi Consultorio Asl
di via Betelli. Nella realizzazione di
tutte le opere di Dalmine Greppi ha
sempre rispettato le preesistenze storiche e culturali, controllato gli inserimenti ambientali, creato, come abbiamo
visto, architetture funzionali, misurate
e composte, ma talvolta anche audaci e
con strutture all’avanguardia, oltre ad
avere ridefinito formalmente gli spazi, i
percorsi e le reti di relazione: luoghi di
vita sociale e di dialogo con l’azienda.
Restano aperti tuttavia ancora molti
argomenti di approfondimento nella lettura della Dalmine greppiana e tra questi resta soprattutto da analizzare e da
verificare il legame fisico con l’area
occupata dall’azienda e quanto dell’organizzazione «urbana» di quest’ultima
si sia riflesso nel disegno del villaggio.
Le carte urbanistiche del periodo presentano infatti una grande macchia in
negativo intorno alla quale si è appunto
sviluppato il «di fuori», che, ciò nondimeno, è relazionato al «di dentro»: l’edificio della sede direzionale della
Dalmine si affaccia sulla città, dialoga
in particolare con i luoghi e i centri primari della vita cittadina, lo spazio religioso e lo spazio civile, separati da un
lungo viale in asse proprio con gli uffici
dell’azienda. Rimane infine da capire se
vi fosse stata allora un’idea operativa,
un’indicazione di metodo o, piuttosto,
una suggestione formale, una linea
direttrice di ogni operazione architettonica da cui scaturì un intervento urbano
ancora così fortemente leggibile nella
Dalmine di oggi.
Lara Mazzoleni
Coordinamento Attilio Pizzigoni