C U LT U R A L’ECO DI BERGAMO LUNEDÌ 5 NOVEMBRE 2001 27 GIOVANNI GREPPI nasce la città fabbrica «Dalmine» Dagli anni Venti, case, scuole e uffici intorno agli stabilimenti sotto la guida di un unico artista P ercorrendo i larghi viali alberati che si inoltrano nei diversi quartieri residenziali di Dalmine sono rintracciabili ancora oggi i segni di una città che a partire dagli anni Venti del Novecento, sotto la mano di un unico artefice, è progressivamente cresciuta intorno all’area già allora occupata dalla Società Anonima Stabilimenti Dalmine. In quegli anni, e precisamente in un arco di tempo che va dal 1925 al 1941, un periodo altamente significativo in Italia per le note vicende politiche e sociali che investirono tutto l’arco della cultura nazionale e, in particolare, l’architettura, l’architetto milanese Giovanni Greppi (1884-1960) fu incaricato dall’amico Mario Garbagni, allora presidente della Dalmine (e a sua volta riorganizzatore dei vecchi reparti e creatore di nuovi grandiosi impianti produttivi dentro la fabbrica), di progettare l’intero insediamento intorno all’industria, venendo così a creare un insediamento simile ai casi più noti dei «villaggi industriali» nel Nord Italia (oggi chiamate One Company Town), come il precedente caso di Crespi d’Adda, vicino più di altri, ad una logica paternalistico-filantropica di fine Ottocento, o come il «villaggio Falck» di Sesto San Giovanni e il «villaggio Rossi» di Schio. Il proficuo legame tra l’amministratore e l’architetto milanese si basava su una solida amicizia risalente agli anni della Grande Guerra. Greppi e Garbagni formarono un dittico professionale perfetto, composto, come sostiene la studiosa Elena Zambon, da «un architetto disponibile, laborioso, operante sulla falsariga di un’avanguardia moderata, ma già rilevante (si pensi alle realizzazioni in Milano tra cui Casa Collini, Villa Gagliano o i villini di Piazza Piemonte del 1919) e un nuovo presidente, ingegnere mosso da intenti sociali progressisti, lanciato verso il prestigio ed il benessere socio-economico e l’efficiente produttività». Ancora poco, tuttavia, si conosce dei reali intenti politico-economici che spinsero Garbagni alla realizzazione di questa città e di quali motivazioni implicite, al di là di una salda amicizia, portarono ad identificare proprio Greppi nell’architetto dell’Azienda; non è chiaro, inoltre, quanto la città di Dalmine debba essere analizzata alla luce degli squilibri sociali post bellici e dei fattori politici relativi all’avvento del Fascismo, in altre parole quanto possa essere considerata un insediamento «funzionale al sostegno dello sviluppo produttivo, in adesione all’ideologia del Regime» e quindi quanto il Regime stesso avesse investito sulla costruzione di tale insediamento. Resta il fatto che attraverso una mole incredibile di disegni, oggi gran parte conservati presso l’Archivio della Fondazione Dalmine, Greppi realizzò tutti gli elementi qualificanti del nuovo insediamento - dalle abitazioni operaie agli edifici rappresentativi e religiosi, dagli spazi ricreativi per l’istruzione a quelli per le funzioni amministrative e il commercio - progettandone l’impianto urbanistico generale, studiandone l’inserimento proprio nelle vicinanze degli stabilimenti, ed elaborando quindi un’opera interessante sia per carattere e proporzioni sia perché si collocava in una parentesi temporale coincidente con la formazione dell’architetto. LE DUE FASI DEI LAVORI Il «villaggio Dalmine» viene realizzato in due distinte fasi edilizie: la prima va dal 1925 al 1931, mentre la seconda copre gli anni dal 1934 al 1941. Entrambe le fasi di realizzazione sono un’utile chiave di lettura dello sviluppo del linguaggio greppiano in relazione soprattutto alle diverse scelte culturali assunte nel corso degli anni, condizione che, non a torto, lascia sfuggire la sua opera a rigide classificazioni o a giudizi sommari, seppur una formazione legata a schemi classici fa sì che Greppi sia stato considerato vicino alle contemporanee posizioni culturali dei Novecentisti milanesi, che egli peraltro ben conosceva e frequentava. La sua è un’architettura peculiare, dotata di una specifica identità LE TAPPE DEL VILLAGGIO I FASE 1925 Albergo-Pensione privata 1926-28 Scuola privata elementare 1926-28 Scuola materna 1928 Quartiere «Leonardo da Vinci»: villini per impiegati. Monofamiliare: Tipo «Alja» (realizzato a partire dal 1934); bifamiliare: tipo «Bhia», tipo «Aprilia»; trifamiliare: tipo «Aprilia II», tipo «Gamma», quadrifamiliare: tipo «Mega», tipo «Delia» 1928 Quartiere «M. Garbagni», detto «La Bagina»: case per operai. Vengono realizzate tre tipologie edilizie: 1) Fabbricato composto da 4 unità abitative dislocate su due piani (duplex); 2) Fabbricato composto da 4 unità abitative due per piano servite da unico ingresso e vano scala; 3) Fabbricato composto da 5 unità abitative dislocate su due piani (duplex) 1929 Padiglione per la mostra dei prodotti (interno alla Dalmine S.p.A) e progetto di Laboratorio chimico per gli stabilimenti Dalmine 1929-31 Centro religioso: chiesa parrocchiale, I e II casa parrocchiale II FASE 1934 Deposito cicli (modificato dallo stesso Greppi nel 1950) e mensa aziendale, cooperativa di consumo e spaccio alimentare 1935-36 Negozi e appartamenti del centro. Stazione carburante 1937 Colonia elioterapica, piscina scoperta e l’azienda agricola (costituita da otto gruppi colonici dislocati in tutta Dalmine) 1938 Sede direzionale della Dalmine S.A. 1938-39 Centro civico: casa del dopolavoro, casa del fascio, fontana monumentale 1939-1940 Ospizio (attuale sede dell'Università degli studi di Bergamo -Facoltà di Ingegneria) 1941-42 Poliambulatorio (attuale consultorio ASL) 1954 Autorimessa per autobus ALTRE Sopra, il Palazzo degli Uffici Dalmine; sotto, da sinistra, una veduta del Villaggio operaio e la chiesa che, tuttavia, si modifica nel passaggio dagli anni Venti agli anni Trenta attraverso un lento, ma pur percettibile cambiamento di stile evidente soprattutto nelle opere pubbliche (differente è infatti il linguaggio delle prime opere, quasi accademiche rispetto a quello delle seconde). I risultati della produzione architettonica si presentano dunque eterogenei, talvolta imprevedibili e denotano un’insistente esigenza di affinamento, arricchimento e rinnovamento, finalizzata, comunque e sempre, alla elaborazione di un linguaggio personale. L’Albergo o Pensione Privata, realizzata per il personale delle acciaierie privo di famiglia nel 1925, apre la lunga e programmata sequenza di realizzazioni che cambieranno il volto di Dalmine. In stile Art Decò l’albergo è un edificio ben proporzionato che Greppi progetta sino nei minimi dettagli: suoi sono gli arredi, come i lampadari e l’apparato decorativo, i parapetti in ferro dei balconi e quello della grande scalinata interna, il cancello. Qualche anno più tardi, nel 1928, sorgono i due noti quartieri residenziali, che Greppi volle distinti nell’ubicazione più o meno prossima all’Azienda. I QUARTIERI RESIDENZIALI Il quartiere operaio «Mario Garbagni», detto «La Bagina» e situato al confine nord ovest della fabbrica (oggi lungo la strada per Mariano), è contraddistinto da una configurazione planimetrica ippodamea, e il quartiere «Leonardo da Vinci» per impiegati, ad est, costituito da diverse tipologie di villette con differenti dimensioni e articolazioni volumetriche, realizzate nel corso di più anni: edifici «a blocco» circondati da giardini e gravitanti intorno alla piazza L. da Vinci nella quale sorgono le quattro ville principali e sulla quale si affaccia il grande Albergo. Non molto distante dal quartiere dei villini viene costruito il Velodromo con pista sopraelevata in cemento armato dotata di tribuna, spogliatoi, servizi, campo di calcio, e abbellito da portali d’ingresso Art Decò. Nello stesso periodo vengono realizzati l’asilo infantile (1926) e la scuola elementare (1928). Anche questi due edifici si inquadrano in un modello abitativo autosufficiente, costituito da spazi organici e funzionali in stretto rapporto con la fabbrica e con il centro produttivo, e teso ad un nuovo rapporto equo, integrato e vivibile per i datori di lavoro e i dipendenti. Entrambi sono edifici semplici, lineari, basati su pochi elementi caratteristici: ingresso centrale, con portone arcuato e frontone a cuspide, innalzato su gradini. Nel 1929, infine, iniziano i lavori per la realizzazione della chiesa, inno al Decò ed inserita in una delle due piazze antistanti la fabbrica, quella a nord est, e delle due vicine Case Parrocchiali, edifici donati dalla Società alla Comunità nel marzo del 1931. Con la morte di Garbagni nel 1930 si chiude il primo ciclo edificatorio intrapreso da Greppi a Dalmine, forse il più sentito dall’architetto, poiché nato da un’amichevole collaborazione e da un comune intento «progressista» alla ricerca di maggior benessere, assistenza e protezione per i lavoratori attraverso un sistema libero OPERE DELLA SOCIETÀ ANONIMA STABILIMENTI DALMINE 1931-33 A Castione della Presolana colonia alpina «M. Garbagni» 1936 A Riccione colonia marina «F. Ratti» da pregiudizi interclassisti. Il desiderio d’ordine, evidente nella chiarezza distributiva degli edifici, contraddistingue questo primo insediamento organizzato in strade e vialetti rettilinei con una semplificazione anche degli elementi architettonici e della struttura stessa espressa proprio in quello stile Decò, contenuto e di sapore classico, che enuncia un bisogno di rappresentazione molto caro al gusto di quegli anni e simbolo della classe dirigente imprenditoriale (così come lo era stato il Liberty). Una scelta di linguaggio controtendenza in un periodo in cui in Europa, ma anche in Italia, andavano affermandosi le teorie legate all’architettura d’avanguardia razionalista, al Movimento Moderno e alla Bauhaus in Germania, ai famosi «cinque punti di una nuova architettura» esposti da Le Corbusier. Nell’Archivio del Comune di Dalmine si trovano i disegni firmati da Greppi anche a partire dal 1934, anno che sancisce l’inizio della seconda fase di realizzazione. Nel giugno dello stesso anno l’architetto milanese richiede al Podestà il permesso di costruire il Refettorio per gli operai e la Cooperativa di consumoSpaccio alimentare, entrambi al posto delle proprietà Camozzi, di fronte all’ingresso dello Stabilimento. Nello stesso anno e non molto distante dalla Mensa per gli operai sorge l’edificio destinato a Deposito cicli, oggi rimodernato per far posto ad alcune strutture dell’Università, costituito da due corpi di fabbrica e risistemato dallo stesso Greppi negli anni Cinquanta (gli stessi anni in cui realizzerà inoltre il Deposito delle corriere). Insieme agli edifici di nuova costruzione Greppi si occupa in questi anni anche dell’ampliamento del vecchio Albergo (1935) con la costruzione di una piccola loggia, dei quartieri residenziali, aggiungendo nuove tipologie di villini come la villa Omega e la villa Alfa, e delle case operaie, come della numero 34. A queste realizzazioni si aggiungono, nel 1935, a nord ovest dell’Azienda, i negozi e gli appartamenti, distribuiti su tre piani e retti da un portico costruito su pilotis, esili tubi della Dalmine, opere che sembrano aderire questa volta ai formulari razionalisti (i riferimenti formali e funzionali sono quelli del Weissenhof di Stoccarda o del Werkbund Siedlung di Vienna, specie delle case di Hoffman), ma che non fanno altro che sottolineare lo stile personale di Greppi, quasi a rappresentare un periodo a cavallo tra la prima e la seconda fase di realizzazione del villaggio. Ancora nel 1937 Greppi realizza la Colonia elioterapica (come aveva realizzato nel 1931 sempre per la Dalmine una Colonia alpina «M. Garbagni» a Castione della Presolana e nel 1937 lo stabilimento balneare «F. Ratti» a Riccione), la piscina scoperta, la stazione carburante e l’azienda agricola, quest’ultima costituita da otto gruppi colonici dislocati su tutto il territorio, desti- LA CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE 1884 Giovanni Greppi nasce a Milano il 19 settembre; collabora sin dai primi anni della giovinezza con il padre, da cui apprende le tecniche di lavorazione del ferro battuto. Di questo particolare apprendistato l’architetto si servirà per progettare dettagli e rifiniture in ferro battuto presenti nei suoi edifici. 1905 Si iscrive al I corso della Scuola Superiore di Architettura della Reale Accademia di Belle Arti in Milano. 1906 Si laurea ed ottiene presso l’Onorevole Segreteria della Reale Accademia di Belle Arti la patente di «Professore di disegno architettonico». Inizia la sua collaborazione nello studio di Raimondo D’Aronco, uno dei massimi esponenti del Liberty italiano (artefice del Padiglione alla Esposizione d’Arte di Torino del 1902). 1907 Partecipa al Concorso per la Scuola greca di Costantinopoli, in cui ottiene un riconoscimento e vince un concorso governativo che gli attribuisce una pensione annuale con la quale si potrà permettere un soggiorno all’estero. Altri due premi (Tantardini e Canonica) sono del 1910. Dal 1908 al 1910 Greppi frequenta l’«École des Beaux Arts» a Parigi. 1911 Nei mesi di febbraio e marzo espone alcuni acquarelli (tecnica cui si dedicherà tutta la vita e che adotterà come mezzo espressivo nei bozzetti e nei disegni progettuali) alla Mostra dell’Associazione degli Acquarellisti lombardi presso il Palazzo della Società per le Belle Arti di Milano. 1912 Partecipa al Concorso nazionale per la progettazione della Stazione ferroviara da erigersi in piazza A. Doria (Stazione Centrale) di Milano e si classifica al secondo posto 1913 Partecipa con E. Fagiuoli al concorso nazionale per il Progetto di una nuova sede centrale della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno e si classifica ancora una volta al secondo posto. 1914 Realizza Villa Greppi-Frizzi a Varenna, sul lago di Como. Nello stesso anno si sposa con Rosa Labus, che diverrà sua compagna di vita e sensibile consigliera nell’attività professionale (la figlia Giulia Rosa nascerà nel dicembre dell’anno successivo). 1915 L’Italia entra in guerra e Greppi è nominato sottotenente nel Genio Militare e incaricato di realizzare una serie di grandi incisioni per rappresentare le risorse ed i mezzi impiegati dall’Industria italiana per la guerra (oggi conservate presso il Castello Sforzesco). 1919 Realizza una serie di case d’abitazione in Piazza Piemonte a Milano e la Casa Collini, in via Statuto, oltre al progetto non realizzato di Villa Gagliano, in cui è possibile riconoscere un legame di dipendenza lessicale rispetto ai modelli della Secessione Viennese (filtrata nel pensiero di Greppi dalla frequenza del D’Aronco). A partire da questi anni inizia la sua esperienza e attività di scenografo che lo porta a realizzare alcuni allestimenti per l’Arena di Milano. 1921 Partecipa al concorso per il Piano Regolatore dell’Isola Comacina. 1923 Inizia la sua esperienza come membro della Commissione ordinatrice della Biennale delle Arti decorative di Monza, che si protrarrà sino al 1927. 1924 Progetta la propria residenza per la villeggiatura a Craveggia, in Val Vigezzo. Negli anni successivi progetterà le residenze per una colta committenza, di cui spesso fanno parte gli stessi amici di famiglia: Villa Argentina (Craveggia), Villa Tridenti-Pozzi (Vocogno), Villa Perego (Vocogno), Villa Gennari (S. Maria Maggiore). 1925 Realizza la Pensione Privata, prima opera a Dalmine. Seguiranno altri edifici a differente destinazione d’uso, una lunga serie di realizzazioni che si protrarranno sino ai primi anni Quaranta 1926 Partecipa al concorso per il Piano Regolatore di Milano. Su incarico del Comune di Como elabora il progetto dello stadio Giuseppe Sinigaglia, oggi modificato. Progetta Villa Garbagni ad Ello in Brianza. 1927-28 Progetta il Padiglione dell’Irpinia e la sistemazione decorativa dei tubi Mannessmann di Dalmine per la fiera campionaria di Milano. 1929 Realizza due case di abitazione a Milano: casa Piazza-Valesi in via Goldoni e casa F.lli Greppi in via Mameli; un anno dopo progetta la Casa FacettiSuitermaister accanto alla casa PiazzaValesi. 1931-33 In dicembre viene inaugurata la sede centrale della Banca Popolare di Milano nella nodale piazza Crispi (oggi piazza Meda). Realizza inoltre in questi anni anche la Cassa di Risparmio, in collaborazione con Giovanni Muzio. 1935 Viene inaugurato il grande Sacrario militare del Monte Grappa (iniziato nel 1932). Seguiranno nel 1938 i progetti di altri Ossari della guerra 1915-18 in diverse località, tra cui Redipuglia. 1938-39 A Dalmine nella piazza XX Marzo 1919 viene inaugurata la Fontana monumentale: è l’ultimo atto del villaggio progettato ed iniziato più di dieci anni prima con l’amico Mario Garbagni. L’anno successivo l’Italia entra in guerra e l’attività progettuale di Greppi sarà costretta a subire una pausa di arresto. L’architetto, tuttavia, prosegue proprio a Dalmine alcuni lavori di modifica e di ampliamento dell’esistente. Progetta per il fratello una nuova villa in Val Vigezzo. 1938-40 Progetta la sede della S.E.E.E. (Società Emiliana Esercizi Elettrici) di Parma. 1950-1960 Realizza ben 21 sedi per la Banca Popolare di Novara, fra cui la sede centrale. Progetta il quartiere Cinquantenario a Dalmine. 1959 Il 12 aprile rimane vittima di un grave incidente automobilistico, in seguito al quale muore esattamente un anno dopo: il 12 aprile 1960. (Nota biografica tratta da E. ZAMBON, Il Novecento di Giovanni Greppi - Giovanni Greppi architetto del Novecento milanese, 1984-’85) nati a ricordare ai lavoratori l’amore per la terra e uniche opere oggi difficilmente rintracciabili, perché demolite o pesantemente rimaneggiate. IL CENTRO CIVICO Nel 1938-39 Greppi progetta gli importanti edifici del nuovo centro civico: la Casa del Fascio, la Casa del Dopolavoro, la Casa comunale, opere che si inquadrano nel programma di diffusione degli organismi di controllo del regime e che gravitano intorno ad una stessa piazza circolare (oggi piazza della Libertà), al cui centro venne innalzato un alto pennone, attraversata da una strada diretta alla nuova sede direzionale dell’Azienda, sede costruita anch’essa proprio in quegli anni. Il nuovo impianto urbano ha quindi come punto focale proprio la facciata degli Uffici della Dalmine, davanti a cui si apre nel 1939 la grande piazza alberata 20 marzo 1919 (oggi piazza Caduti del VI Luglio), organizzata intorno ad una fontana marmorea disegnata proprio dal Greppi ed eretta in occasione del Ventennale del discorso di Mussolini a Dalmine. Sopraggiunto un nuovo bisogno di affermazione, di dichiarazione, di celebrazione le architetture greppiane del secondo periodo sono accomunate da un linguaggio classico, aulico e monumentale: opere decisamente permeate dalla cultura del periodo. Raffaele Calzini nella prefazione di un volume del 1932 dedicato alle opere allora già realizzate da Greppi aveva colto l’origine del suo stile, aveva già capito quanto «la funzione dell’edificio da costruire» fosse veramente «il suo punto di arrivo, trattisi di un palazzo o di un’officina» e di come l’architetto avesse sempre ricercato «il nesso più logico tra la funzione dell’edificio e il suo aspetto esteriore». Sempre Calzini aggiunge quanto «lo studio diligente che egli fece delle piante fosse prezioso per la precisa e calcolata economia dello spazio e per l’originalità della concezione», quello spazio che deve essere destinato non soltanto «alle esigenze della vita contemporanea, ma anche a quella della vita di generazioni future». Ed in effetti i suoi edifici a Dalmine sono contraddistinti da una certa disponibilità funzionale (la stessa che peraltro connota la rete stradale), di cui è certamente un esempio l’Ospizio sorto nel 1940, poi divenuto Scuola professionale, in seguito Palazzo degli Uffici della Dalmine, e, infine, sede della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bergamo. L’ultimo edificio di questa seconda fase greppiana sorge infine nel 1941 ed è il Poliambulatorio, oggi Consultorio Asl di via Betelli. Nella realizzazione di tutte le opere di Dalmine Greppi ha sempre rispettato le preesistenze storiche e culturali, controllato gli inserimenti ambientali, creato, come abbiamo visto, architetture funzionali, misurate e composte, ma talvolta anche audaci e con strutture all’avanguardia, oltre ad avere ridefinito formalmente gli spazi, i percorsi e le reti di relazione: luoghi di vita sociale e di dialogo con l’azienda. Restano aperti tuttavia ancora molti argomenti di approfondimento nella lettura della Dalmine greppiana e tra questi resta soprattutto da analizzare e da verificare il legame fisico con l’area occupata dall’azienda e quanto dell’organizzazione «urbana» di quest’ultima si sia riflesso nel disegno del villaggio. Le carte urbanistiche del periodo presentano infatti una grande macchia in negativo intorno alla quale si è appunto sviluppato il «di fuori», che, ciò nondimeno, è relazionato al «di dentro»: l’edificio della sede direzionale della Dalmine si affaccia sulla città, dialoga in particolare con i luoghi e i centri primari della vita cittadina, lo spazio religioso e lo spazio civile, separati da un lungo viale in asse proprio con gli uffici dell’azienda. Rimane infine da capire se vi fosse stata allora un’idea operativa, un’indicazione di metodo o, piuttosto, una suggestione formale, una linea direttrice di ogni operazione architettonica da cui scaturì un intervento urbano ancora così fortemente leggibile nella Dalmine di oggi. Lara Mazzoleni Coordinamento Attilio Pizzigoni