Il Tempietto Antonio Rosmini “Padre della Patria” Il grande pensatore di Rovereto si impegnò con intelligenza e senso politico per l’indipendenza dell’Italia Luciano Malusa A distanza di più di centocinquant’anni dalla sua scomparsa (1° luglio 1855) il Beato Antonio Rosmini viene sempre più riscoperto nel valore di quello che pensò e fece, e dell’esempio che diede. Egli mostrò un impegno per la causa della nostra indipendenza nazionale degno di essere ricordato. Fino a poco tempo fa Rosmini non era ben conosciuto per la sua azione politica, che fu esercitata nell’ambito di pochi anni, ma che si rivelò decisamente importante. Oggi siamo in grado di apprezzare i suoi sforzi e le sue mediazioni faticose. Poco prima delle celebrazioni bicentenario della nascita (svoltesi tra il 1997 ed il 1998) nessuno avrebbe affermato che Rosmini era stato una specie di “padre della patria” alla stregua di politici e statisti come Cavour, Mazzini, Gabrio Casati, Cesare Balbo, Marco Minghetti, Bettino Ricasoli. Poi si incominciò, magari con qualche riserva, a considerare il nostro Beato (ancora non proclamato tale) come un grande spirito che aveva lavorato in maniera determinante per l’indipendenza e l’unità del nostro paese. Mi ricordo benissimo che, 181 quando fu presentato a Genova il volume da me curato, che pubblicava per la prima volta in modo integrale il commentario Della missione a Roma, steso da Rosmini per ricordare gli eventi del 1848-49, visti dal suo punto di osservazione1, il direttore del Museo Mazziniano, Leo Morabito, che tutti i genovesi conoscono per il suo impegno nella diffusione della conoscenza del pensiero e della figura di Giuseppe Mazzini, padre della Patria doppiamente per un genovese, in quanto spese tutta la sua vita per la causa dell’indipendenza nazionale e si batté per un’Italia repubblicana, una e popolare, disse che si era ottenuto con la divulgazione della versione integrale del suo diario degli eventi del Quarantotto di fare pure di Rosmini un «padre della Patria». Lo disse forse con un qualche punta d’ironia, avendo letto le introduzioni di diversi studiosi italiani al Commentario, dalle quali si intendevano valutazioni positive di quanto il pensatore di Rovereto aveva pensato e tentato per avviare il nostro paese ad una forma politica federale, che preparasse un intenso lavoro per l’effettiva unificazione attorno ad un principio filosofico e religioso, con lo scopo di dare agli italiani un governo di libertà2. Ma lo disse quasi rassegnato del fatto che si potesse dire che accanto a Mazzini si collocava, sia pure parecchi gradini sotto, un prete e pensatore che aveva operato in un momento delicato della prima guerra della nostra Indipendenza nazionale perché l’Italia unisse le forze riuscendo a provocare a livello internazionale un movimento di simpatia per la nostra causa. 182 Il Tempietto Simpatia, non dimentichiamolo, che si manifestò invece concretamente con la seconda guerra di indipendenza, quando la Francia portò le sue armate in Italia settentrionale, al fine di porre fine all’egemonia austriaca nel nostro paese ed alla potenza dell’Impero d’Austria. Il 24 giugno 2009 sono stati celebrati i centocinquant’anni dalle battaglie di Solferino e San Martino, che segnarono la prima affermazione di un progetto di indipendenza, sia pure limitato (come si pensava allora) all’Italia settentrionale. Le premesse per questa liberazione della Lonbardia furono di certo poste anche da iniziative moderate che nel 1848-49 convinsero l’allora Presidente della Repubblica francese, Luigi Napoleone Bonaparte, che la causa italiana era importante per l’equilibrio dell’Europa. Antonio Rosmini agì nel 1848 con l’intenzione di operare un accordo tra alcuni degli Stati della penisola, mirato a porre sul piatto della bilancia delle trattative internazionali un interlocutore serio e soprattutto credibile: la Confederazione italiana, composta dal Regno di Sardegna, dal Granducato di Toscana e dallo Stato Romano (o Stato Pontificio), guidata dalla presidenza del papa e sorretta dalle decisioni legislative una Dieta nazionale. Questo progetto fu portato avanti dal pensatore di Rovereto nella sua veste di plenipotenziario del Regno di Sardegna, designato dal Governo di Gabrio Casati e munito delle più ampie garanzie di re Carlo Alberto. Nel corso dei mesi di agosto e settembre 1848 Rosmini condusse trattative in Roma, presso il palazzo Albani, dove egli era ospite della nobile famiglia trentina del Castelbarco, e giunse a formulare il progetto dell’indipendenza nazionale in un documento che merita di essere qui fatto conoscere per intero, perché rappresentò il progetto più concreto di unificazione federale del nostro paese. Il documento, redatto da Rosmini e sottoscritto dagli ambasciatori dei tre Stati interessati, merita di essere integralmente conosciuto. Lo prendo dall’edizione da me curata. Esso suona così: Progetto In nome della Santa e indivisa Trinità. Fin da quando i tre Governi, di Roma, Torino, e Firenze, formarono la Lega Doganale, fu loro pensiero di addivenire ad una Lega Politica, che fosse come il nucleo cooperatore della nazionalità italiana, e potesse dare all'Italia quell'unità di forza che è necessaria alla difesa interna ed esterna ed allo sviluppo regolare e progressivo della prosperità nazionale. Il qual intento non potendosi ottenere in modo compiuto e permanente, se l'indicata Lega non prende la forma di una Confederazione di Stati; i tre Governi suddetti, costanti nel proposito di ridurre a pieno effetto il loro divisamento, e proclamare in faccia all'Italia e all'Europa, che esiste fra loro la predetta Confederazione, come altresì per istabilire le prime basi della medesima, deputarono a loro plenipotenziarii S. Santità S. M. il Re di Sardegna S. A. I. e R. il Gran Duca di Toscana Il Tempietto i quali, scambiati i loro pieni poteri ec., convennero fra di loro nei seguenti articoli, che riceveranno valore di formale Trattato dopo la ratifica delle Alte Parti contraenti. Art. I. Tra gli Stati della Chiesa, del Re di Sardegna, e del Gran Duca di Toscana è stabilita una perpetua Confederazione, colla quale, mediante l'unità di forze ed azione, sieno guarentiti i territorii degli Stati medesimi, e sia protetto lo sviluppo progressivo e pacifico delle libertà accordate e della prosperità nazionale. Art. II. L'augusto ed immortale Pontefice Pio IX, mediatore e iniziatore della Lega e della Confederazione, ed i suoi successori ne saranno i presidenti perpetui. Art. III. Entro lo spazio d'un mese dalle ratifiche della presente convenzione si raccoglierà in Roma una rappresentanza dei tre Stati confederati, ciascuno de' quali ne invierà tre, e verranno eletti dal potere legislativo; i quali saranno autorizzati a discutere e stabilire la Costituzione federale. Art. IV.3 La Costituzione federale avrà per iscopo di organizzare un potere centrale che dovrà essere esercitato da una Dieta permanente in Roma, i cui uffici principali saranno i seguenti: a) dichiarare la guerra e la pace, e 183 tanto nel caso di guerra quanto in tempo di pace ordinare i contingenti de' singoli Stati necessarii tanto all'esterna indipendenza, quanto alla tranquillità interna; b) regolare il sistema delle dogane della Confederazione e fare l'equo comparto delle relative spese ed entrate fra gli Stati; c) dirigere e stipulare i trattati commerciali e di navigazione con estere nazioni; d) vegliare alla concordia e buona intelligenza fra gli Stati confederati e proteggere la loro uguaglianza politica esistendo nel seno della Dieta una perenne mediazione per tutte le controversie che potessero insorgere fra di essi; e) provvedere all'uniformità del sistema monetario, de’ pesi e delle misure, della disciplina militare, delle leggi commerciali, delle poste, e concertarsi cogli Stati singoli per arrivare gradatamente alla maggiore uniformità possibile anche rispetto alle altre parti della legislazione politica, civile, penale e di procedura; f) ordinare e dirigere col concorso e di concerto co’ singoli Stati le imprese di universale vantaggio della nazione. Art. V. Rimarrà libero a tutti gli altri Stati italiani di accedere alla presente Confederazione. Art. VI. Il presente trattato sarà ratificato dalle alte parti contraenti entro lo spazio di un mese e più presto se sarà possibile. 184 Il Tempietto Mai era stato steso un documento tanto esplicito e soprattutto esprimente un’intenzione così seria e ponderata. Il progetto, lodevole anche per la sua chiarezza e sinteticità, purtroppo non poté essere ratificato dai tre governi ed entrare in vigore, in quanto si manifestarono nel corso dei mesi successivi delle riserve da parte del governo piemontese tendenti a limitare la portata dell’accordo da una vera e propria Confederazione ad una sorta di Lega offensiva contro l’Austria, che non togliesse però al Regno sardo l’iniziativa di una guerra contro l’Austria da cui si speravano ancora risultati positivi. Duole dover dire che l’atteggiamento piemontese scoraggiò anche i plenipotenziari degli altri due Stati ed indusse i loro governi ad accantonare l’intenzione di provare un accordo confederale. Il papa si era dimostrato favorevole ad un accordo che vedesse la sua figura esaltata anche dal punto di vista del prestigio morale di dover guidare uno Stato che voleva realizzare pacificamente lo scopo di unire gli italiani dietro ad un destino fatto di religione, di stabilità politica e militare. Lo stesso Granduca di Toscana aveva guardato con simpatia un accordo che vedeva lo Stato toscano in posizioni di pariteticità con gli altri Stati. Tra i politici piemontesi solo Gioberti aveva mostrato di gradire il progetto, che in fondo non faceva che rendere concrete le sue indicazioni contenute nella sua grande opera Del Primato morale e civile degli italiani. Eppure poco dopo il pensatore torinese si gettava dalla parte dei Democratici italiani ed operava nel parlamento sardo con l’intenzione di preparare il paese alla guerra (il disegno poi riuscì, ma fu accompagnato dal disastro di Novara). Quello che si deve rilevare del progetto è che esso cercava di ottenere il massimo risultato in un contesto obiettivamente sfavorevole, con l’Austria ormai ritornata padrona del Regno Lombardo Veneto, e con il papato in posizione di disimpegno rispetto ad ogni tipo di intervento militare accanto al Regno di Sardegna. Inoltre con il maggio 1848 re Ferdinando Ii di Borbone aveva praticamente posto fine al governo costituzionale nel Regno delle Due Sicilie, e quindi si era ritirato da ogni guerra contro l’Austria. Il progetto di Confederazione infatti non prendeva in considerazione l’adesione del Regno meridionale, pur proclamando solennemente (art. 5) la disponibilità dei contraenti il patto per la Confederazione ad ampliare il numero dei membri di essa. La realizzazione della Confederazione avrebbe posto in uno stato di forza gli Stati che intendevano intervenire a livello internazionale nelle trattative iniziate in Parigi dalle potenze europee, Francia ed Inghilterra soprattutto, per mediare nel conflitto che contrapponeva l’Austria al Regno di Sardegna sul Regno LombardoVeneto, conflitto arrivato alla fase dell’armistizio, sottoscritto l’8 agosto 1848 dal generale Salasco. Rosmini era convinto che con la trattativa si sarebbe potuto convincere l’Impero austriaco a rinunciare a questo regno, Il Tempietto creato dal Congresso di Vienna, che non apparteneva alla Confederazione germanica e neppure allo stesso Impero d’Austria, essendo stato assegnato in via di unione personale all’Imperatore d’Austria. La conoscenza dei queste trattative, da noi, in Italia, è sempre rimasta piuttosto nebulosa. Ora come ora non esistono studi in proposito che abbiano scavato negli archivi dei Ministri degli Esteri della Repubblica Francese e del Regno Unito. Sicuramente tracce di queste trattative e degli orientamenti dei paesi europei se ne potrebbero trovare. Ritengo segno di un certo nostro provincialismo anche storiografico il fatto di non possedere una narrazione compiuta e esaustiva di quanto avvenne presso le Cancellerie europee a proposito della questione italiana, che fu poi praticamente dimenticata quando, con totale incapacità di intendere la situazione, il Regno di Sardegna decise, nel marzo 1849, di fare a meno delle trattative e di rompere l’armistizio. Nella Missione a Roma Rosmini ha parole di fuoco contro l’irresponsabilità piemontese nel volere la ripresa della guerra, e sottolinea che la prudenza di papa Pio IX aveva le sue motivazioni. Solo una Confederazione italiana avrebbe potuto ergersi come controparte credibile in trattative che avessero ad oggetto la fine del dominio austriaco in Italia, o comunque l’attenuazione della 185 presenza austriaca. Solo una Confederazione con la presidenza del papa e con l’intera sua autorità morale a sostegno di un’azione pacifica volta a dare unità e pace alle genti italiane poteva dare agli Stati europei la convinzione che gli italiani intendevano fare sul serio chiedendo di essere indipendenti in tutti i sensi e costruttivi nel contesto europeo. Il progetto di Rosmini non arrivò in porto ed egli fallì nell’intento di realizzare un’Italia federale, momento di passaggio dalla diversità degli Stati e della loro distanza anche culturale e politica. Avvicinare i popoli con accordi tra gli Stati ed amalgamare la cultura ed i costumi degli italiani, questo si poteva fare ed andava fatto grazie anche alla mediazione dello Stato della Chiesa e della visione cattolica della politica e della morale. In quel momento storico questa mediazione si sarebbe potuta avere, solo che Pio IX avesse avuto maggior coraggio e Carlo Alberto non avesse ascoltato voci diverse, che parlavano di ripresa delle armi. Noi che oggi ci troviamo in una situazione del tutto particolare, in una fase incerta, di passaggio da uno schema di Stato centralizzato ad un ordinamento detto federale, dobbiamo meditare sul messaggio di Rosmini e sulla sua lungimiranza. Chissà che questa voce di moderazione non possa oggi essere ascoltata meglio di quanto non lo fu ieri. 186 Il Tempietto Note 1. A. Rosmini, Della missione a Roma di Antonio Rosmini-Serbati negli anni 1848-49. Commentario, a cura di L. Malusa, Edizioni rosminiane Sodalitas, Stresa 1998. 2. La presentazione si tenne nel 1999 nella sede del Banco di Napoli (oggi BIPOP), e vide l’intervento, oltre che di Leo Morabito, anche di Umberto Muratore e Michele Nicoletti, i quali illustrarono i diversi aspetti del volume. 3. Una precedente versione dell’Art. IV suona così: «Rimarrà libero a tutti gli altri Principi italiani indipendenti da Potentati stranieri di accedere alla presente Confederazione». Questo testo, significativamente abbreviato, sarà ripreso nell’Art. V.