Incendi Violenti

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 Incendi Violenti
Ramon Vallejo
Alejandro Valdecantos
Collana di Opuscoli : B Numero: 2 Contenuti: IL FENOMENO DEI GRANDI INCENDI NEL MONDO: CAUSE E CONSEGUENZE Gli incendi nel Mediterraneo Settentrionale INCENDI BOSCHIVI COME FORZE MOTRICI DELLA DESERTIFICAZIONE Gli Effetti degli incendi su ecosistemi e paesaggi Effetti sui suoli e sul ciclo dell’acqua Effetti sulla vegetazione e sulla fauna Vulnerabilità agli incendi L’ INTERFACCIA TRA LO SPAZIO RURALE ED IL TESSUTO URBANO‐INFRASTRUTTURALE. STRATEGIE ATTE A RIDURRE IL RISCHIO D'INCENDIO, ATTENUARE GLI EFFETTI DEL FUOCO E RICOSTITUIRE LE AREE FORESTALI Stabilire priorità Sviluppo dei criteri per l’identificazione degli ecosistemi vulnerabili – caso di studio: Regione di Valencia, Spagna (progetto FIREMAP) Strategie ed azioni di ripristino e di prevenzione degli incendi – Caso di studio: sito di Ayora (Valencia, Spagna) CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA E ULTERIORI LETTURE 1
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tali elementi necessitano, infatti, del fuoco per rigenerarsi. Gli ecosistemi sensibili agli incendi, sono quelli che non presentano adattamenti al fuoco e che bruciano più raramente; conseguentemente recuperano difficilmente dopo un incendio e sono inclini ai processi di desertificazione. Individuare l'impatto dell’incendio sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi costituirà la base per valutare la necessità di attuare azioni di ripristino. Gli incendi possono avere effetti negativi diretti e / o indiretti impatti sulla biodiversità, sull’erosione del suolo e sulle inondazioni, oltre che a contribuire alla desertificazione. 5
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IL FENOMENO DEI GRANDI INCENDI NEL MONDO: CAUSE E CONSEGUENZE Gli incendi fanno parte dei processi dell’ecosistema naturale, in molte regioni del mondo. Le zone secche e semi‐aride sono particolarmente inclini agli incendi violenti grazie alla loro vegetazione continua che si secca durante le stagioni asciutte, consentendo al fuoco di propagarsi e diffondersi facilmente. Nell’ambito dell’UNCCD, si è assunto che climi asciutti e sub‐umidi, in regioni semiaride, favoriscono lo sviluppo di grandi incendi boschivi. Al contrario, le aree più secche non dispongono di una copertura vegetale continua, quindi gli incendi non tendono a propagarsi e a diffondersi. Le attività umane condotte in aree densamente popolate costituiscono importanti fattori di combustione e forze motrici dei processi di desertificazione. Hanno contribuito ad incrementare la frequenza degli incendi e ne hanno modificato il regime in molte zone del mondo. Secondo la relazione esistente fra la capacità di adattamento degli ecosistemi e la storia gli incendi, è possibile distinguere ecosistemi che si adattano agli incendi ed ecosistemi sensibili. Per i primi, il fuoco rappresenta una forza ecologica essenziale che determina la conformazione, la struttura e la varietà del paesaggio; Figura 1. Gli effetti degli incendi sulle foreste. La necessità di intraprendere azioni di mitigazione, di riabilitazione o di ripristino deriva dall'identificazione degli effetti negativi post‐incendio Gli incendi nel Mediterraneo Settentrionale 1 Nei paesi mediterranei settentrionali, gli ultimi cinquant’anni sono stati testimoni di trasformazioni socio‐economiche che hanno determinato il passaggio da una società rurale ad una società urbana con il conseguente abbandono dei pascoli e dei campi coltivati e lo sfruttamento eccessivo della legna da ardere. Tali fenomeni hanno condotto allo sviluppo del turismo forestale. L'implementazione di politiche di prevenzione e lotta agli incendi, inoltre, ha contribuito all'accumulo di elevati volumi di combustibile, soprattutto nell’understory, caricando il combustibile dalla base fino alla volta della foresta. Le pratiche di rimboschimento praticate nei diversi paesi mediterranei, prevedevano l’impianto di conifere ed eucalipti. Tali azioni, tuttavia, erano caratterizzate da una non adeguata gestione delle piantagioni così costituite. Tutte queste trasformazioni hanno portato all’aumento della diffusione, all’interno del paesaggio, di ecosistemi inclini all’incendio. Si verifica, di conseguenza, un aumento delle probabilità di vulnerabilità ed insorgenza di incendi nel lungo termine (rischio incendi), determinata da fattori dinamici (es: variabili metereologiche) e statici (struttura, modelli di combustibile). INCENDI BOSCHIVI COME FORSE MOTRICI DELLA DESERTIFICAZIONE. Gli effetti degli incendi sugli ecosistemi e sui paesaggi. Il fuoco incide direttamente sulla vegetazione, sul suolo e sulla fauna. Gli ecosistemi che hanno subito un incendio perdono, totalmente o parzialmente, la copertura vegetale per un periodo di tempo che può interessare diversi mesi o anni. Durante questo periodo, il terreno è esposto a fenomeni di erosione da vento e da acqua e subisce il degradoe della sua parte più superficiale. Sotto l’aspetto paesaggistico, il suolo risulta trasformato, manifestando cambiamenti relativi all’intercettazione, all’evapo‐traspirazione e all’infiltrazione dell’acqua piovana. La struttura del paesaggio diventa più omogenea ed i flussi di acqua, sedimenti e nutrienti risultano alterati. Si assiste, inoltre, all’incremento del deflusso superficiale, della redistribuzione del terreno proveniente dai versanti collinari e dei sedimenti. Negli anni immediatamente successivi ad un incendio, i rischi di inondazioni ed insabbiamenti sono maggiori; la stessa evoluzione si registra in riferimento ai rischi di danni alle strutture e alla popolazione (es: frane e detriti). Figura 2. Evoluzione della superficie annuale bruciata e 2 numero degli incendi nella regione di Valencia dal 1874 (in alto, Pausas 2004); recenti statistiche sugli incendi in alcuni paesi del mediterraneo settentrionale (periodo 1995‐2004; in basso, fonti FAO 2006 ed Eurostat). Figura 4. Foresta di pini non‐rigenerata, vicina ad un bacino non bruciato nello spartiacque di Guadalest, quattro anni dopo un incendio (Alicante, Spagna orientale). Figura 3. Giovane pineta (< 25 anni), con strati di under story altamente infiammabili, principalmente dominata da Ulex parviflorus, Cistus albidus e Rosmarinus officinalis (tutte appartenenti alla specie obligate seeder) Effetti sui suoli e sul ciclo dell'acqua Figura 5. Processi di degrado che si verificano durante e immediatamente dopo un incendio. L'impatto degli incendi sulle proprietà del suolo, e su fenomeni quali l’erosione e il deflusso superficiale, derivano dagli effetti combinati del riscaldamento prodotto durante la combustione superficiale (severità) o sotterranea, e della perdita di copertura vegetale e suolo forestale. Tale impatto è strettamente collegato a fattori quali l’intensità e la frequenza dei fenomeni incendiari. Gli incendi più gravi, infatti, raggiungendo temperature molto elevate presso gli strati superficiali del suolo, causano: perdita di materia organica e di azoto dal suolo boschivo e superficiale; sterilizzazione; formazione di croste superficiali (specialmente in suoli limosi). L’idrorepellenza può essere modificata (specialmente nei suoli sabbiosi) sia in aumento che in diminuzione, a seconda della temperatura raggiunta e del tempo di residenza. Gli incendi molto violenti possono inoltre causare un’elevata suscettibilità all’impatto delle gocce di pioggia e una perdita della capacità d’infiltrazione, quando il suolo sviluppa molte croste oppure un’elevata idrorepellenza. Quando si verifica una modifica transitoria delle proprietà idrauliche del terreno, si assiste ad un incremento di fenomeni quali il deflusso superficiale e l’erosione del suolo; ciò induce un impoverimento locale del suolo che si ripercuote a livello globale. Anche la microflora e la fauna del suolo possono essere direttamente influenzate dagli incendi; infatti, fenomeni quali le elevate temperature e la modifica del microhabitat, alterano le proprietà fisiche e chimiche del terreno (come, per esempio, il pH o il contenuto idrico). Di conseguenza, la composizione (più batteri autotrofi e meno simbiotici), la struttura ed il funzionamento dei componenti del suolo risultano squilibrati e lontani dalle condizioni precedenti all’incendio. Questo è particolarmente vero per le associazioni simbiotiche di pianta‐microbo (piccole mycorrhizal formation). Le comunità batteriche degli strati più superficiali del suolo sono maggiormente esposte alla violenza del fuoco; le colonie situate a livelli profondi, invece, beneficiano di un più rapido raffreddamento del terreno. Fenomeni incendiari ricorrenti causano una maggiore perdita di nutrienti, che non dispongono del tempo necessario ad un completo ripristino: il risultato di questo squilibrio si manifesta in una netta riduzione della fertilità del suolo. Fig. 6. Idrorepellenza del suolo superficiale causata da fenomeni incendiar Effetti sulla vegetazione e sulla fauna Le specie vegetali caratteristiche delle regioni asciutte hanno sviluppato un adattamento evolutivo funzionale agli incendi. Ne sono testimonianza gli ecosistemi mediterranei che, al passaggio del fuoco, si rigenerano efficientemente. Le specie vegetali recuperano tramite emissione di getti vegetativi (specie resprouters), abbondante rinnovazione da seme (specie seeders), o da entrambe le strategie rigenerative (specie facultative seeders). La capacità di ripresa delle specie a strategia vegetativa resprouters è più rapida rispetto 3 alle specie seeders. Gli ambienti dominati da specie che rigenerano tramite emissione di getti vegetativi, saranno dunque caratterizzati da un minor rischio di erosione e degrado. Le specie seeders, la cui strategia è basata sull’abbondante disseminazione, a loro volta, si affidano alla graduale dispersione dello stock di semi, come nel caso dei pini. Un elevato tasso di frequenza dei fenomeni incendiari minerebbe la rigenerazione dei pini mediterranei, che necessitano di un periodo di 15‐20 anni per ripristinare lo stock di semi, non producendone una banca permanente. Generalmente, è possibile affermare che le specie mediterranee non sono influenzate negativamente dagli incendi boschivi, a condizione che tali fenomeni non si verifichino congiuntamente ad alterazioni aggiuntive. Allo stesso modo, specie estranee all’ambiente mediterraneo difficilmente si riproducono in terreni inariditi dal fuoco. funzione delle proprietà del suolo (erodibilità, capacità di infiltrazione) e delle condizioni climatiche e topografiche. E’ possibile determinare tale vulnerabilità combinando informazioni relative alla capacità di recupero della vegetazione, al tasso di erosione del terreno, al clima ed alla topografia. L’ INTERFACCIA TRA LO SPAZIO RURALE ED IL TESSUTO URBANO‐INFRASTRUTTURALE. Figura 7. Ri‐germinazione post‐incendio dell'albero del mastice (Pistacia lentiscus). Figura 8. La ginestra mediterranea rientra nella categoria delle obligate seeder; nel suo stadio di maturità (12‐18 anni), accumula elevati livelli di combustibile, che contribuisceo alla formazione di grandi incendi, da cui si rigenera molto lentamente. 4 L'impatto degli incendi sugli animali dipende dalla loro dimensione e dalla loro mobilità, anche se, in generale, l’attività faunistica si riduce fortemente in seguito all’incendio. I gruppi più colpiti sono probabilmente i rettili. La nidificazione degli uccelli è spesso scelta come indicatore sensibile degli impatti del fuoco sulla fauna. I dati provenienti dal sud della Francia mostrano che il pieno recupero delle comunità di uccelli nelle foreste può richiedere 25‐30 anni. Tuttavia, le foreste e le macchie colpite da fenomeni incendiari sviluppano solitamente buoni pascoli, che migliorano l'habitat degli erbivori ed il potenziale di caccia. Vulnerabilità agli incendi Le azioni di ricostituzione post‐incendio devono considerare l’impatto del fuoco sugli ecosistemi e sui paesaggi e le relative conseguenze sociali ed economiche. Il sovra‐sfruttamento delle aree boschive rallenta la capacità di rigenerazione della vegetazione. Rilevamenti effettuati presso diversi tipi di suoli, segnalano una vulnerabilità agli incendi boschivi che è L'abbandono della terra e la diffusione di insediamenti presso aree rurali, affievoliscono il limite tra spazio rurale e spazio urbano. Tale confusione favorisce la diffusione di fenomeni incendiari che si propagano dalle attività umane e raggiungono le aree forestali e viceversa, incrementando il rischio che gli incendi boschivi ledano alloggi e strutture urbane. Da queste riflessioni si desume che le dinamiche scaturite in corrispondenza dell'interfaccia tra lo spazio rurale ed il tessuto urbano conducono ad un elevato rischio di degrado strutturale e funzionale dell’ambiente. A tale scopo, alcuni paesi si sono incaricati di elaborare una serie di normative atte a ridurre i combustibili presenti nel perimetro delle abitazioni e l’infiammabilità dei materiali edili. Altre misure si propongono di ridurre il rischio d’incendi nel W‐U attraverso la rimozione degli alberi, la potatura delle parti più alte, e l’eliminazione di strisce di undestory nei dintorni delle abitazioni per evitare il rischio di combustione. Un'altra importante considerazione riguarda le specie esotiche ornamentali e altamente infiammabili (vale a dire Cupressus spp.) che sono spesso introdotte nell’interfaccia rurale‐urbana. Esse possono svolgere un ruolo importante sia come punti di partenza del fuoco, sia per accelerare la diffusione dell’incendio. Figure 9. incendio ad Oakland (California) nel 1991, con interfaccia urbano‐rurale STRATEGIE ATTE A RIDURRE IL RISCHIO D'INCENDIO, ATTENUARE GLI EFFETTI DEL FUOCO E RICOSTITUIRE LE AREE FORESTALI Stabilire le priorità Gli interventi di ricostituzione delle aree forestali possono essere molteplici. In relazione all'impatto del fenomeno incendiario, si possono annoverare una serie di obiettivi prioritari: 1) Protezione del suolo e regolamentazione delle acque. 2) Riduzione del rischio di incendi ed incremento della resistenza e della resilienza degli ecosistemi e dei paesaggi. 3) Promozione delle risorse forestali. A seconda del rischio di degrado e degli obiettivi perseguiti, diverse sono le strategie di mitigazione e ricostituzione implementabili. La pacciamatura (con o senza la semina) è un opzione di riabilitazione adatta nelle pendenze con bassa copertura vegetale e capacità di rigenerazione, e ad alto rischio di erosione. Piantare le piantine o far ri‐
germinare gli arbusti e gli alberi è un’opzione consigliata laddove la protezione del suolo non rappresenta il principale intervento di recupero ma aumenta la diversità del sito, la resilienza e il suo funzionamento (per maggiori informazioni consultare LUCINDA, opuscolo C1). Figura 10. Strategie di ricostituzione post‐incendio implementate nella regione di Valencia, Spagna orientale (Vallejo, 1996). Sviluppo dei criteri per l’identificazione degli ecosistemi vulnerabili – caso di studio: Regione di Valencia, Spagna (progetto FIREMAP) La vulnerabilità di un ecosistema rappresenta la predisposizione dell’ambiente a subire danni da una fonte esterna. Può essere definita anche come l'inverso del potere tampone, che assorbe i disturbi esterni senza dispersione di qualità. La valutazione della qualità dell'ecosistema potrebbe considerare sia i danni subiti che la svalutazione delle risorse socio‐
economiche (produzione di legno) ed ecologiche (erosione, paesaggio). L'erosione, le dinamiche della vegetazione e la struttura del paesaggio rappresentano i tre fattori da prendere in considerazione della valutazione della vulnerabilità ecologica verso gli incendi. I metodi proposti tendono ad individuare l’entità dei danni subiti e la capacità di recupero dell’ecosistema a seguito di un violento incendio. La scala temporale varia dal brevissimo termine (< 1 anno, per l’individuazione delle zone sensibili ai fenomeni erosivi) al medio termine (25 anni, che indicano cambiamenti nella composizione e nella struttura nella vegetazione). Tuttavia, esistono due fattori rilevanti che risultano poco prevedibili: l’intensità dell’incendio e le condizioni meteorologiche post‐incendio. Di conseguenza, per elaborare correttamente una valutazione di questo tipo ed indicare specifiche azioni di ripristino, occorre completare la ricerca sul campo o effettuare un’analisi 5 a distanza. Valutazione di breve termine (< 1 anno). La tipologia di bedrock e di suolo, l'intensità delle precipitazioni, la pendenza e la lunghezza del versante, l’erodibilità delle particelle di materia minerale del terreno rappresentano i fattori fisici che modulano il rischio di erosione del suolo, insieme con la struttura della vegetazione. Nel primo anno post‐incendio, la capacità di recupero di un ecosistema dipenderà dalle caratteristiche della vegetazione, che determinano il tasso di recupero di breve termine. Per esempio, un sito con una pendenza superiore al 15%, con un contenuto di materia organica inferiore al 2%, soggetto a sealing e croste, e con una vegetazione composta di forbs, erbe e arbusti radi, può presentare un elevato grado di vulnerabilità a causa dell’erodibilità suolo, della pendenza e delle proprietà della vegetazione bruciata. Ma questo potrebbe essere tamponato se il sito presenta un livello medio di aggressività climatica (valori dell’indice di Fournier inferiori a 20). In generale, più breve sarà il tempo necessario alla vegetazione per ricoprire una soglia percentuale del suolo (30‐40%), minore risulterà la predisposizione all’erosione. Gli attributi vitali di specie (resprouting, disseminazione, capacità di sviluppo e di dispersione) possono essere utilizzati come indicatori della capacità di recupero della vegetazione; il tasso di recupero dipenderà dalla combinazione di strategie rigenerative (seeder vs. resprouter) ed aspetti fisici quali il clima. Le specie resprouting sono caratterizzate da una capacità 6 di ripresa più veloce rispetto alle seeder (Pausas & Vallejo, 1999); tale facoltà risulta indipendente dalla variabilità delle precipitazioni. Al contrario, la capacità di rigenerazione delle specie a strategia obligate seeder è strettamente vincolata alle precipitazioni. Figura 11. Approccio metodologico per la valutazione della vulnerabilità di breve termine di un ecosistema. Valutazione di medio termine (≈ 25 anni) Considerando il medio termine, la vulnerabilità di un ecosistema dipenderà dalla sua capacità di mantenere inalterati composizione, struttura e biomassa/copertura delle diverse specie. Generalmente, le foreste mature caratterizzate da specie obligate seeder, manifestano una media/elevata vulnerabilità, a seconda della capacità rigenerativa post‐incendio. Per esempio, il pino d’Aleppo ed il pino marittimo (Pinus halepensis e P. pinaster) denotano un’elevata sopravvivenza del seme ed un elevato tasso di germinazione post‐incendio grazie alla loro capacità di trattenere i semi all’interno delle pigne fino al verificarsi dell’incendio (serotinìa). Al contrario, i semi del pino domestico (P. pinea), e dei pini dell’area sub‐mediterranea o temperata (P. nigra, P. sylvestris) e dei ginepri (Juniperus phoenicea) non hanno sviluppato efficienti strategie di rinnovazione post‐incendio, ostacolando il completo ripristino della vegetazione. Le pinete giovani risultano più vulnerabili di altre, dato che i pini non producono un gran quantità di semi, per cui la disponibilità di nuovi esemplari è veramente limitata. Le foreste mature dominate da latifoglie resprouting (Quercus ilex L.) manifestano un’elevata capacità di resilienza (sono poco vulnerabili). Per concludere, le macchie costituite da specie obligate seeder (Ulex parviflorus, Cistus, Rosmarinus officinalis) manifestano una vulnerabilità media poiché, generalmente, hanno una buona adattabilità agli incendi grazie all’elevata disseminazione. Inoltre, la loro germinazione viene stimolata dal fuoco e/o dalle nuove circostanze prodotte dall’incendio (per esempio elevate oscillazioni quotidiane di temperatura). Figura 12. Rigenerazione del pino d’Aleppo (Pinus halepensis): le pigne si aprono con il passaggio del fuoco e liberano semi sullo strato di cenere. Con la prima pioggia autunnale o primaverile, si verifica un’elevata germinazione, grazie alla massiccia disponibilità di nutrienti ed alla scarsa competizione vegetale. Strategie ed azioni di ripristino e di prevenzione degli incendi – Caso di studio: sito di Ayora (Valencia, Spagna) Le peculiarità del suolo e del land use (spesso strettamente collegate), i disturbi ambientali e la topografia determinano il tipo e le caratteristiche della rigenerazione della comunità, post‐incendio. La Fig. 13 indica le dinamiche vegetative osservate in una foresta matura di pini a seguito di un violento incendio, prendendo in considerazione il bedrock e la frequenza degli ulteriori incendi. Figura 13. Modello concettuale delle dinamiche della vegetazione mediterranea in una foresta di pini, prima dell’incendio. Il modello include il bedrock (ed anche il tipo di suolo) e la ricorrenza degli incendi. Le frecce indicano transizioni da un tipo di vegetazione ad un altro. I punti interrogativi indicano le transizioni sconosciute. Ule par = Ulex parviflorus; Ros off= Rosmarinus officinalis; Que coc = Quercus coccifera. Da Baeza ed altri (2007). Il recupero dell’ecosistema forestale può essere molto lento negli ambienti mediterranei e le fasi vegetative di transizione, prima di arrivare alla costituzione di una struttura forestale, risultano particolarmente vulnerabili al fuoco. La maggior parte di queste fasi di transizione sono costituite da fitte macchie con una componente organica fine e morta. Queste caratteristiche conferiscono a tali formazioni un elevato rischio di combustione e provocano l’ingresso dei sistemi in cicli di degrado da incendi. Il progetto UE SPREAD (Prevenzione e Mitigazione della Diffusione degli incendi forestali) propone di migliorare la qualità della vegetazione, attraverso la riduzione dei rischi d'incendio e l’aumento della resilienza vegetativa, rompendo così il feedback positivo tra incendi e omogeinizzazione del paesaggio. Oggetto della ricerca sono state le macchie mediterranee mature, particolarmente vulnerabili al fuoco. Tali ecosistemi risultano dominati da specie a strategia obligate seeder, come la ginestra Ulex parviflorus, mentre si registra l’assenza di specie resprouters (arbusti e alberi). Le tecniche di ripristino implementate in tali aree sono state: l’impianto di specie a strategia resprouter e il disbosco selettivo della vegetazione. Le strategie attuate hanno incluso: controllo (macchie), disbosco ed impianto di macchie; disbosco ed impianto di terreni. I residui di tali operazioni sono stati sminuzzati ed utilizzati come pacciamatura. Tre anni dopo le operazioni di disbosco, è stato osservato un cambiamento profondo nella struttura della vegetazione e del combustibile. Tale attività selettiva ha permesso il passaggio da una macchia fitta e altamente infiammabile ad un’area pascolativa caratterizzata da arbusti resprouting, in cui il carico di combustibile risulta discontinuo. L'accumulazione di biomassa è stata ridotta significativamente, da circa. 3.000 a 500 g m‐2, ma la copertura vegetale totale è diminuita soltanto dall’ 85 al 56%, e il terreno nudo nel punto della rimozione vegetale era più basso del 5% poichè lo strato dei residui eliminati ha protetto la superficie del terreno. Dopo tre anni, la proporzione tra la superficie occupata dalla specie resprouter 7 rispetto a quella occupata dalle seeder risulta notevolmente incrementata La superficie del terreno ricoperta con la pacciamatura ha ridotto notevolmente i tassi di germinazione delle obligate seeder; il numero totale di semenzali era 2 volte superiore nei terreni di controllo. Di conseguenza, i terreni disboscati risultavano caratterizzati da un rapporto resprouters vs. seeder 10 volte superiore rispetto a quelli di controllo, conferendo una maggiore capacità di resilienza e di resistenza al nuovo ecosistema. Figura 14. Passaggio di una macchia di ginestre da una fase di maturità ad una di vecchiaia. Figura 15 Passaggio di una macchia di ginestra da una fase di maturità ad una di vecchiaia un anno dopo aver disboscato ed impiantato delle specie resprouter. 8 Figura 16 Effetti del disboscamento della vegetazione sul rapporto seeder/resprouter tre anni dopo l’intervento. La sopravvivenza e lo sviluppo dei semenzali introdotti risultava strettamente suscettibile ai trattamenti sperimentali implementati, in particolare alle operazioni di disbosco. Il successivo impianto di latifoglie nelle aree degradate del mediterraneo ha prodotto tassi di sopravvivenza e di accrescimento bassi. Sono gli alti tassi di sopravvivenza dei semenzali del leccio (Quercus ilex) e del Rhamnus alaternus (intorno al 90%) a costituire un successo. In conclusione, la combinazione delle operazioni di disbosco ed impianto di specie resprouting si è rivelata utile alla gestione delle macchie sensibili agli incendi. Infatti, il carico di combustibile ed il tasso di accumulazione del combustibile sono risultati drasticamente ridotti e le specie resprouting introdotte hanno conferito un’elevata resilienza all'ecosistema, diminuendo la vulnerabilità agli incendi e, quindi, fenomeni di desertificazione. CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA ED ULTERIORI LETTURE Alloza, J.A. & Vallejo, V.R. 2006. Restoration of burned areas in forest management plans. In: Desertification in the Mediterranean Region: a Security Issue. W.G. Kepner, J.L. Rubio, D.A. Mouat & F. Pedrazzini eds. 475‐488. Springer.Dordrecht. •
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INCENDI VIOLENTI Gli ecosistemi sensibili agli incendi non si adattano agli incendi intensi e sono inclini al degrado post‐incendio. Le trasformazioni indotte dall’uomo/la storia del land use portano ad un aumento del rischio di vasti e violenti incendi. La microbiologia del suolo è molto sensibile al fuoco e ai cambiamenti derivanti nelle sue proprietà fisiche. Si riducono le associazioni simbiotiche pianta‐microbo. Le specie vegetative resprouter, abitualmente recuperano più velocemente di quelle seeders. L’impatto dell’incendio sulla fauna dipende dalla dimensione e dalla mobilità degli animali. L’interfaccia urbana – rurale sta diventando più grande in molti paesi, aumentando drammaticamente il rischio d’incendi e i danni agli insediamenti. STRATEGIE PER SCONFIGGERE GLI INCENDI La protezione del suolo, la regolazione dell’acqua, la riduzione del rischio incendi e la promozione dei boschi sono i principali obiettivi della gestione forestale negli ecosistemi inclini agli incendi. L’identificazione delle aree vulnerabili si basa sull’erodibilità del suolo e sulla percentuale di recupero potenziale della vegetazione. La strategia di riproduzione delle piante per le specie dominanti è il fattore chiave nella percentuale di recupero vegetativo (resilienza). La gestione forestale dovrebbe essere orientata a ridurre sia la frequenza che l’intensità degli incendi, e ad aumentare il recupero degli ecosistemi (resilienza). Baeza, M.J., Valdecantos, A., Alloza, J.A. & Vallejo V.R. 2007. Human disturbance and environmental factors as drivers of long‐term post‐fire regeneration patterns in Mediterranean forests. Journal of Vegetation Science 18: 243‐252. Pausas, J. & Vallejo R. 1999. The role of fire in European Mediterranean ecosystems. In: Remote Sensing of Large Wildfires in the European Mediterranean Basin. E. Chuvieco Ed. Springer, Berlin. 3‐16 pp. Pausas, J.G. 2004. Changes in fire and climate in the Eastern Iberian Peninsula (Mediterranean Basin). Climatic Change 63: 337‐350. Pausas, J.G., Bladé, C., Valdecantos, A., Seva, J.P., Fuentes, D., Alloza, J.A., Vilagrosa, A., Bautista, S., Cortina, J. & Vallejo, V.R. 2004a. Pines and oaks in the restoration of Mediterranean landscapes of Spain: New perspectives for an old practice – a review. Plant Ecology 171: 209‐220. Pausas, J.G. Bradstock, R.A., Keith, D.A., Keeley, J.E., 9 & GCTE Fire Network, 2004b. Plant functional traits in relation to fire in crown‐fire ecosystems. Ecology 85 (4), 1085‐1100. Vallejo, V.R. (ed.). 1996. La restauración de la cubierta vegetal en la Comunidad Valenciana. CEAM, Valencia. www.eufirelab.org 
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