Sentenza del 17 luglio 2003 n.15/2003/QM * a cura dell’Ufficio Stampa CORTE DEI CONTI A SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE Presidente: F. Castiglione Morelli - Relatore: N. Masropasqua FATTO In sede di giudizio sull’appello proposto dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per l’Umbria contro il Sig. A. S., rappresentato e difeso dagli avv.ti Arnaldo Picuti e Monica Benedetti, nonché sull’appello incidentale proposto dal medesimo sig. S., avverso la sentenza della predetta Sezione territoriale n. 536/M dell’11 ottobre 2000, la II Sezione giurisdizionale ha proposto con ordinanza 89/2002/A del 14 novembre 2002 la seguente questione di massima: quale sia l’interpretazione da dare all’art. 6, comma 6, D.L. 15 novembre 1933, n. 453, convertito in L. 14 gennaio 1994, n. 19, nella parte in cui contempla il potere del Procuratore generale di “ricorrere in via principale nell’interesse della legge”, ed in particolare se: a) legittimato a proporre il ricorso “nell’interesse della legge” ivi indicato sia solo il Procuratore Generale ovvero anche (o solo) il Procuratore regionale, nei rispettivi gradi di giudizio; b) il detto ricorso abbia o meno assorbito o abrogato il ricorso nell’interesse dell’Erario, di cui all’art. 76 R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, e l’intervento di cui all’art. 70, ultimo comma, c.p.c.; c) il ricorso nell’interesse della legge sia previsto solo per motivi di carattere generale ed eccezionali ovvero possa ordinariamente riguardare anche i vizi intrinseci del provvedimento (dipendenza da causa di servizio, ecc.). Espone la Sezione remittente che con ricorso del 24 maggio 1999 il Procuratore regionale per l’Umbria impugnava, ai sensi dell’art. 6, comma 6, D.L. n. 453/1999, il decreto col quale l’Amministrazione della Difesa aveva concesso al Sig. A. S., ex militare di leva, trattamento vitalizio di 7 cat. per l’infermità “ulcera duodenale, in atto; gastrite e duodenite peptica di 4° grado”. Con l’atto introduttivo della causa, illustrate le ragioni che – ad avviso della Procura regionale – consentono il ricorso principale nell’interesse della legge, anche per profili di dipendenza dell’infermità invalidante e dopo aver argomentato per la proponibilità di un simile ricorso da parte del procuratore regionale, il gravato provvedimento veniva censurato, sia per vizio della motivazione, che per assenza delle condizioni di legge, che consentono il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della suddetta infermità. Il Giudice unico delle pensioni presso la Sezione territoriale accoglieva l’eccezione della parte resistente, dichiarando inammissibile il ricorso, previa declaratoria di manifesta infondatezza della questione di costituzionalità sollevata in udienza dal P.M.. In tal modo, accoglieva le considerazioni espresse dal medesimo legale, sotto il profilo della carenza di legittimazione del Procuratore regionale a proporre ricorso nell’interesse della legge ex art. 6, comma 6, L. 19/1994. Nell’appello interposto avverso la sentenza di primo grado il Procuratore regionale ha dedotto quanto segue: A) Quanto, in primo luogo, alla legittimazione del Procuratore regionale a proporre ricorso in materia pensionistica “nell’interesse della legge”, tale istituto non offre punti di contatto col “ricorso nell’interesse della legge”, di cui all’art. 363 c.p.c., al di là della comune posizione di terzietà rispetto alle parti del Procuratore presso la Corte di cassazione e del Procuratore presso la Corte dei conti e l’istituto stesso resta soggetto alle stesse regole del ricorso in via principale nell’interesse dell’Erario, di cui all’art. 76 R.D. 13 agosto 1993, n. 1038, salvo che per l’aggiuntiva legittimazione processuale del Pro1 curatore regionale, quale nuova articolazione del P.M. presso la Corte dei conti. Nel caso dell’ordinamento della Corte dei conti l’espressione ricorso nell’interesse della legge va dunque riguardata con riferimento alle attribuzioni della Corte ed al ruolo del Pubblico Ministero istituito presso di essa. Sicché è errato ritenere che legittimato a ricorrere sia unicamente il Procuratore generale, nella veste di Organo neutro ed imparziale e non anche il Procuratore regionale, dato che la suddetta natura dell’Organo è tratto caratterizzante l’Ufficio del Pubblico Ministero, sia esso Procuratore generale o regionale. B) La riserva al Procuratore generale dell’azione de qua è lesiva del diritto di difesa del cittadino, ex art. 24 Cost., avendo voluto il legislatore, nel decentrare la giurisdizione, avvicinare il giudice al cittadino, per favorirne la difesa, anche diminuendone gli oneri processuali ed è lesiva degli artt. 3, 97, e 107 Cost., venendosi a determinare una disparità di trattamento tra i cittadini, a seconda se ricorrenti o resistenti in giudizio in materia pensionistica (per i rilevanti oneri di difesa, conseguenti alla attribuzione della funzione de qua, riconosciuta al Procuratore generale); e venendosi a ledere il principio del buon andamento dell’Amministrazione, in conseguenza del venir meno di una plausibile verifica della legalità degli atti da parte del giudice delle pensioni, in un contesto che incide negativamente sull’esercizio della giurisdizione nella materia pensionistica. C) Espone infine censura di merito. In sede di appello il Sig. S. ha dedotto, tra l’altro l’inammissibilità dell’azione proposta per difetto di legittimazione attiva, atteso che sussisterebbe una vera riserva di legge. L’art. 6, comma 6, cit. demanda al solo Procuratore generale, quale Organo apicale di controllo e supervisore, un potere di impugnativa del tutto eccezionale, che non può essere assimilato al ricorso nell’interesse dell’erario, di cui all’art. 76 R.D. 1038/1933, il quale è stato abrogato dal legislatore del 1994. Non potrebbe, inoltre, essere deferita la questione alle Sezioni riunite, essendosi in presenza di un contrasto tra i giudici di primo grado, e di secondo grado, anzi tra due diverse pronunce dello stesso giudice di primo grado, rese nel corso del tempo in differenti giudizi. Nella parte motiva dell’ordinanza la Sezione remittente precisa che con la sentenza di quella Sezione n. 194/98/A del 14 settembre 1998, è stata fornita una prima interpretazione della norma, secondo la quale l’espressione “fatto salvo il potere…” contenuta nel menzionato art. 6, comma 6, D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in L. 14 gennaio 1994, n. 19, significa non gia permanenza in vita di una disposizione già vigente, bensì potere, da parte del Procuratore generale, di ricorrere nell’interesse della legge. In altri termini, il ricorso nell’interesse della legge significa azione diretta all’attuazione ed alla conservazione dell’ordinamento ed alla tutela del diritto obiettivo, azione perseguita e garantita da un Organo terzo ed imparziale (appunto al di sopra delle parti), quale il Procuratore generale. Quest’ultimo, infatti, è Organo portatore di un interesse generale al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi valori generali ed indifferenziati e rappresenta il Pubblico Ministero innanzi alla Corte dei conti (art. 1 T.U. 12 luglio 1934, n. 1214), e, all’interno di questa, innanzi alle Sezioni riunite ed alle Sezioni giurisdizionali di appello (art. 2 comma 1 L.. 19/1994). In tale occasione, pertanto, la Sezione non ha ritenuto che il ricorso nell’interesse della legge possa essere ordinariamente eccitato dal P.G. per rimarcare qualsiasi vizio dell’atto e/o del relativo procedimento e/o del relativo rapporto sostanziale, ed in particolare i vizi intrinseci al provvedimento pensionistico, attinenti al contenuto del medesimo (quali quelli relativi alla dipendenza da causa di servizio di un’infermità ovvero all’aggravamento e/o classifica di infermità già riconosciute dipendenti d causa di servizio). Secondo la citata sentenza n. 194 del 1998, la locuzione in questione ha carattere ampio e generale, in quanto assorbe e ricomprende (e quindi non si identifica con) i concetti di ricorso nell’interesse dell’Erario (di cui all’art. 76 R.D. 1038/1033), nonché di intervento facoltativo del P.M. nella causa intentata da altri, allorché egli ravvisi un pubblico interesse (intervento, di cui all’art. 70, ultimo comma, c.p.c.). In altri termini, il ricorso nell’interesse della legge significherebbe azione diretta all’attuazione ed alla conservazione dell’ordinamento ed alla tutela del diritto obiettivo, azione perseguita e garantita da un Organo terzo ed imparziale (appunto al di sopra delle parti, quale il Procuratore Generale). 2 Il detto ricorso, dunque, potrebbe essere attivato, non già in via ordinaria, bensì nei casi più significativi e di maggior rilievo, in cui sia stato gravemente pretermesso un interesse pubblico di natura primaria, eventualmente anche di tipo patrimoniale e la sussistenza dei motivi, che diano luogo a detto ricorso, sarebbe rimessa all’apprezzamento discrezionale dello stesso Procuratore Generale. Quest’ultimo, quale soggetto deputato alla tutela dello Stato. Ordinamento nel suo complesso, potrebbe pure, in ipotesi in contrasto con l’interesse patrimoniale dell’Erario (che è pur sempre un interesse “ di parte”), assicurare il rispetto del diritto del pensionato, che sia stato vittima di grave ingiustizia e potrebbe, più in generale, intervenire affinché la giurisprudenza si formi e si consolidi in un senso possibilmente univoco e conforme ad un indirizzo ritenuto corretto, con ciò venendo a svolgere una funzione di orientamento della giurisprudenza, in corrispondenza di quanto previsto dall’art. 363 c.p.c.. In diverso avviso è andata successivamente la stessa Sezione remittente con la sentenza n. 375/2000/A del 21 novembre 2000. In essa è stato affermato che una lettura rettificata della contorta espressione letterale, porta al convincimento che il legislatore abbia inteso confermare nel nuovo ordinamento il potere di ricorrere in via principale, previsto dal sopra menzionato art. 76, ma che, nel contempo abbia voluto abbandonare la concezione che identificava il Pubblico Ministero come sostituto processuale dell’amministrazione, per affermarne la posizione di tutore dell’ordinamento e del diritto obiettivo. Quindi, non una disposizione semplicemente conservativa, ma innovativa di altra già esistente, funzionale alla semplificazione ed alla ristrutturazione del processo pensionistico ed all’inserimento di esso nell’ordinamento giurisdizionale decentrato. Cosicché, quando la norma menziona il procuratore generale, in realtà intende riferirsi al pubblico ministero presso il giudice dinanzi al quale si agisce. Secondo la sentenza in questione, considerazioni di ordine logico e stringenti esigenze di natura sistematica, insite nella struttura del nuovo ordinamento e nell’esigenza di funzionalità che ne deriva, inducono a ritenere la legittimazione a ricorrere in via generale nell’interesse della legge in capo al Procuratore regionale, anziché al Procuratore generale, poiché la contraria soluzione incontrerebbe, nel momento applicativo, difficoltà non facilmente risolvibili. Conclusivamente, si è affermato nella sentenza ora riferita, che l’ordinamento della Corte dei conti, per quanto al momento disorganico ed incompleto, nelle linee esenziali contiene una disciplina esauriente in ordine alla legittimazione del pubblico ministero riguardo ai giudizi pensionistici: può ricorrere in via principale soltanto nell’interesse della legge vale a dire agendo in primo grado, e poi eventualmente in appello, contro provvedimenti di liquidazione della pensione, emessi in violazione della legge. Ma l’intervento nei giudizi promossi da altri deve intendersi espressamente escluso dall’art.6, comma 6, della citata legge n.19/1994, sia nella forma obbligatoria che in quella facoltativa. Ancora viene ricordato che la Sezione I centrale (cfr. sentenza 6 aprile 1998 n. 93), esaminando una fattispecie di rigetto in primo grado dell’intervento del Procuratore regionale ha ritenuto che il combinato disposto dell’art.6, comma 6, L.19/1994 e dell’art. 70 c.p.c. costituisce la fonte sia dell’intervento facoltativo, sia del ricorso in via principale, entrambi genericamente riconosciuti al Pubblico ministero. Soluzioni discordanti risultano assunte anche dalle Sezioni regionali. A fronte delle riferite contrarie interpretazioni, il giudice remittente considera preminente il canone secondo il quale nella interpretazione di una norma deve dare prevalenza al criterio letterale o testuale (vedi art. 12, comma 1, dalle disposizioni sulla legge in generale). Sulla base della indicata premessa il giudice remittente sottopone alle Sezioni riunite le questioni di massima innanzi esposte. Il Procuratore Generale nella memoria depositata in data 8 maggio 2003 prospetta una interpretazione della norma in discussione secondo la quale essa ha ampliato il potere previsto dall’art.76R.D 1038/1933, che viene fatto salvo ed esteso. Il ricorso del Pubblico Ministero è inteso infatti al ripristino della legittimità violata dal provvedimento pensionistico, con il limite che l’illegittimità deve concernere l’applicazione di una norma di legge. Quanto alla titolarità del potere di ricorrere, questo segue il disegno organizzativo del decentramento e spetta perciò in primo grado al Procuratore regionale ed in appello al Procuratore Generale. In data 8 maggio 2003 ha depositato memoria il Sig. A. S. tramite i difensori costituiti avv. Arnaldo Picuti e Monica Benedetti, nella quale so- 3 stiene motivando con richiami giurisprudenziali l’esclusività del potere di ricorrere in capo al Procuratore Generale. Nell’udienza di discussione il Pubblico Ministero e il difensore di parte costituita hanno illustrato le rispettive tesi. Considerato in DIRITTO La questione di massima proposta dalla II sezione centrale d’appello è ammissibile in quanto intesa a definire un contrasto giurisprudenziale su un istituto quale il ricorso principale del pubblico ministero in materia pensionistica, e cioè di un istituto a carattere generale, sul quale le sezioni di appello (come esposto in narrativa) hanno assunto posizioni divergenti. La soluzione della questione dovrà poi trovare concreta applicazione nel giudizio innanzi al giudice remittente, il che ne attesta la rilevanza ai fini del decidere. I quesiti posti nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni riunite richiedono la soluzione del problema centrale della posizione e dei poteri del Pubblico Ministero nel giudizio pensionistico successivamente alla riforma recata dalla L. n. 19/1994. L’art. 6 n. 6 della legge 14 gennaio 1994, n. 19 ha abrogato le disposizioni che prevedono e disciplinano le conclusioni e l’intervento del Procuratore Generale nei giudizi in materia di pensioni civili, militari e di guerra, facendo salvo il potere dello stesso di ricorrere in via principale nell’interesse della legge. Detta norma è inserita in una disciplina del giudizio pensionistico completamente rivisitato dalla legge di riforma della Corte dei conti e da ultimo dall’art. 5 della L. n. 205/2000. La nuova normativa ha posto termine ad un tipo di giudizio che era fortemente influenzato da attribuzioni storicamente deferite alla Corte dei conti, modificate nel tempo. Taluni poteri ed in particolare la posizione del Procuratore Generale si connettono infatti alla funzione liquidatrice della pensione originariamente attribuita all’Istituto e quindi all’esercizio seppure in veste neutrale di attività amministrativa da parte della Corte dei conti. Su queste funzioni istituzionali nonché sulle ipotesi della natura del pubblico ministero in genere, suggerite dalle origini storiche del suo ufficio, si fondava la tesi che vedeva nel Procuratore Generale un sostituto processuale dell’Amministrazione, in quanto sia nella veste di controparte necessaria sia in quella di attore principale sia in quella interveniente necessario faceva valere formalmente in nome proprio interessi sostanziali appartenenti alle Pubbliche Amministrazioni, nei confronti delle quali le decisioni adottate dal giudice erano destinate a dispiegare i loro effetti. Questa concezione peraltro era venuta meno dopo la introduzione della Costituzione repubblicana, che ha esaltato la funzione magistratuale anche del Pubblico Ministero ed il suo agire nell’interesse dell’ordinamento. In ogni caso nel previgente giudizio pensionistico erano attribuiti al Procuratore Generale imprescindibili poteri istruttori e di impulso processuale, ai quali era raccordato il potere conferito dall’art. 76 R.D. 1038/1933 di ricorrere in via principale. Va notato tra l’altro che l’art. 76 stabiliva il dies a quo per ricorrere nella data di registrazione alla Corte dei conti del decreto concessivo di pensione o altra indennità, fatto non più verificabile stanti le modifiche della funzione di controllo attribuita alla Corte dei conti. Le leggi di riforma della Corte dei conti hanno travolto il preesistente sistema. Oggi il giudizio pensionistico è essenzialmente giudizio tra parti contrapposte costituite dall’Amministrazione e dal privato ricorrente ed è per molti tratti conformato in primo grado sul giudizio del lavoro. Sono inoltre espressamente venute meno le tipiche funzioni del Procuratore Generale in detto giudizio. In questo contesto deve escludersi che il potere di ricorrere in via principale conservato al Procuratore Generale dall’art. 6 n. 6 della l. n. 19/1994 sia quello richiamato e disciplinato dall’art. 76 R.D. n. 1038/1933, potere che si inseriva e si connotava come sopra rilevato nel generale contesto delle preesistenti funzioni del Procuratore Generale totalmente venute meno per l’effetto abrogativo dell’art. 6 l. n. 19/1994. Pur nella particolarità delle funzioni dell’organo Pubblico Ministero innanzi alla Corte dei 4 conti i principi per individuare il contenuto del potere del Pubblico Ministero in materia pensionistica vanno desunti in forza del rinvio dinamico di cui all’art. 26 R.D. n. 1038/1933 dalle norme del codice di procedura civile ed in particolare dal titolo II del libro primo del codice di rito, per quanto applicabili alle disposizioni contenute nella legge di riforma n. 19/1994. A tal fine occorre esaminare l’istituto dell’intervento del Pubblico Ministero nel processo civile. La dottrina giusprocessualistica civilistica osserva che il Pubblico Ministero non agisce ed interviene del processo civile a tutela di un interesse concreto, corrispondente a specifiche articolazioni della pubblica amministrazione. La sua presenza nel processo esprime, invece, una esigenza di tutela del più generale interesse all’attuazione ed alla esatta applicazione della legge, alla realizzazione dell’ordinamento giuridico, interesse rispetto al quale non è ragionevolmente possibile individuare un titolare. In sostanza il Pubblico Ministero è un organo giudiziario che consente al giudice di provvedere al di là della domanda e delle difese delle parti interessate ai fini del rispetto dei limiti posti per ragioni di pubblico interesse al diritto del privato ed alla sua disponibilità. Il Pubblico Ministero è di conseguenza parte processuale, ma non parte sostanziale stante la sua estraneità al rapporto sostanziale ed all’interesse concreto dedotti in giudizio. Quanto al potere del Pubblico Ministero di esercitare in via principale l’azione civile, l’art. 69 c.p.c. lo riferisce ai soli casi stabiliti dalla legge. Per vero l’art. 73 ord. giud. afferma al comma 2 che il Pubblico Ministero ha azione diretta per fare eseguire ed osservare le leggi di ordine pubblico e che interessano i diritti dello Stato. In forza di questa disposizione è stata affermata una generale e diretta attribuzione al Pubblico Ministero del potere di azione nelle materie nelle quali l’interesse pubblico appaia particolarmente rilevante alla stregua di una considerazione globale dell’ordinamento, sia pure in mancanza di una specifica normativa al riguardo. La prevalente dottrina e giurisprudenza sono però dell’opinione restrittiva, fondandosi sull’art. 75, comma 1 dell’ord. Giurd. e sull’art. 2907 c.c. Peraltro nel processo civile il principio di tassatività vigente per l’azione del Pubblico Ministero è derogato per l’intervento facoltativo, possibile in ogni causa in cui egli ravvisa un pubblico interesse in modo da garantire che il meccanismo necessario per la realizzazione dell’ordinamento attivato dalle parti sia concretamente conseguito e non venga piegato ad esigenze diverse. Sia l’obbligo sia la facoltà di intervento sono assistiti nel processo civile da strumenti idonei a consentirne l’attuazione (art. 71 c.p.c., art. 75 ord. Giud., art. 1 disp. att. c.p.c.) nonché da adeguate sanzioni (artt. 158, 161 e 397 c.p.c.). Va a questo punto accertato come e in quali limiti i sopraenunciati principi siano applicabili al processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti. Come si è detto, dopo le riforme del 1994 e del 2000, il processo pensionistico è un processo tra parti poste su un piano di parità e si connota, almeno per un tratto, sul processo del lavoro, essendo venuto meno il carattere di officialità e di propulsione del Procuratore Generale. Dopo la riforma dei giudizi innanzi a questa Corte, la figura del Procuratore Generale assume connotazioni profondamente diverse nel processo di responsabilità e nel processo pensionistico. Nel primo l’organo è il titolare esclusivo dell’azione, nel secondo non fa valere interessi sostanziali dell’Amministrazione ma può stare in giudizio solo per far valere interessi superiori dell’ordinamento in posizione di equidistanza tra le parti. Il legislatore ha ritenuto che nell’attuale situazione giuridica gli interessi del richiedente il trattamento pensionistico e dell’amministrazione erogante trovino adeguata tutela con un tal tipo di processo, in gran parte coincidente con la tutela accordata ai lavoratori pubblici ed agli altri pensionati. Particolare rilievo per il privato in tale senso assumono la possibilità di promuovere la causa e di stare in giudizio senza l‘assistenza di un avvocato ed i poteri istruttori accordati al giudice dagli artt. 419 e 420 c.p.c.. Gli interessi dell’Amministrazione sono invece adeguatamente tutelati con la sua presenza in giudizio e con l’eventuale patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. D’altro canto, come è stato riaffermato dalla Corte Costituzionale nella recentissima sentenza n. 82/2003, la Pubblica Amministrazione conserva pur sempre, anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato, una connotazione peculiare sotto il profilo della conformazione della condotta al rispetto dei principi costituzionali di lega- 5 lità, imparzialità e buon andamento, cui è estranea ogni logica speculativa. La conformazione dell’attività della P.A. ai principi costitu-zionali di legalità ed organizzativi posti in particolare dall’art. 97 Cost., nonché a quelli di copertura della spesa di cui all’art. 81 Cost. sono idonei ad assicurare in via generale la tutela dell’ordinamento cui erano sottesi i poteri precedentemente attribuiti al Procuratore Generale. Nel sistema del previgente regolamento di procedura n. 1038/1933 non si ponevano problemi di coordinamento tra potere di promozione dell’azione e necessaria presenza in giudizio, essendo questa inderogabile. Anche per questa via appare evidente che non può affermarsi la sopravvivenza dell’art. 76 R.D. 1038/1933 completamente avulso dal sistema nel quale era inserito, sistema ribaltato dal nuovo processo pensionistico nel quale il potere di promozione dell’azione è attribuito al Procuratore Generale nell’interesse della legge e cioè dell’ordinamento generale e non nell’interesse dello Stato Amministrazione (erario). Va ancora rilevato che il ricorso in via principale investe un provvedimento della P.A. assistito dalla presunzione di legittimità e nei confronti del quale è assicurata la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Sicché da una parte il provvedimento provenendo dall’amministrazione tutela gli interessi pubblici secondo i principi costituzionali, dall’altro al soggetto inciso dal provvedimento è assicurata la tutela giurisdizionale in un processo conformato alla salvaguardia della parte “debole”. D’altro canto nell’ordinamento non è prevista neppure nei casi in cui siano in gioco interessi particolarmente rilevanti l’intestazione generalizzata al Pubblico Ministero del potere di promuovere l’azione per la loro tutela. Di conseguenza la previsione di un potere generalizzato di promozione dell’azione intestato all’organo pubblico nel processo pensionistico innanzi alla Corte dei conti costituirebbe immotivato aggravio delle posizioni delle parti pubblica e privata, contrastante con i principi costituzionali di parità di trattamento e di buon andamento. Peraltro in questa sede, esclusa la possibilità di sollevare questioni di costituzionalità, il limite di valutabilità delle norme con principi costituzionali è quello ermeneutico, nel senso di dover dare alla norma presa in esame significato conforme ai principi posti in Costituzione. Va allora rilevato che nel codice di procedura civile il potere di azione del Pubblico Ministero è, almeno secondo la di gran lunga prevalente dottrina e giurisprudenza, tassativamente limitato ai casi previsti dalla legge, che in via di principio si riferiscono alla tutela di interessi ritenuti particolarmente rilevanti per l’ordinamento. Pacifica dottrina e giurisprudenza escludono poi che il pubblico ministero agisca od intervenga nel processo civile a tutela di un interesse concreto, intestato alle singole pubbliche amministrazioni. La sua presenza nel processo esprime, invece, una esigenza di tutela del più generale interesse all’attuazione ed all’esatta applicazione della legge, alla realizzazione dell’ordinamento giuridico, interesse rispetto al quale non è ragionevolmente possibile individuare un titolare dotato di personalità giuridica. Espressione di questa posizione giuridica del pubblico ministero è la sua configurazione come organo agente nell’interesse ed in rappresentanza della collettività strutturalmente organizzata (stato – comunità). Nell’art. 6 n. 6 della L. 19/1994 il potere di ricorrere in via principale del Procuratore Generale è rapportato ad un’azione “nell’interesse della legge”. La dizione “ricorso nell’interesse della legge” è contenuta nel codice di procedura civile solo nell’art. 363, norma nella quale è particolarmente evidente il distacco tra il potere di impugnazione del pubblico ministero e l’interesse sostanziale della parte privata. La decisione sul ricorso, infatti, si risolve in una mera declaratoria di conformità - non conformità all’ordinamento della sentenza impugnata, costituente ormai giudicato sostanziale tra le parti ed è intesa a togliere valore di precedente giurisprudenziale (o a rafforzare in tale veste) alla sentenza impugnata. Il ricorso ex art. 363 c.p.c. è istituito a carattere del tutto eccezionale. La norma pertanto non può essere applicata per regolare altra fattispecie in mancanza di una espressa previsione legislativa. D’altro canto la funzione di unificazione della giurisprudenza e di uniformità nella interpretazione delle norme giuridiche è attribuita nel disegno riformatore della legge 19/1994 a queste Sezioni riunite (art. 1 co. 7) sede giurisdizionale che in pendenza di cause può essere adita direttamente dal Procuratore Generale, in qualsiasi tipo di giudi- 6 zio, promosso innanzi alla Corte dei conti. Al fine di individuare il contenuto del potere di cui all’art. 6 comma 6 L. 19/1994 e l’interesse ad esso sottostante può, però, farsi ricorso non a fini applicativi ma interpretativi all’art. 363 c.p.c., una volta pretermessi gli aspetti strutturali, configurando così il “ricorso nell’interesse della legge” come strumento di omogeneità e uniformità nell’interpretazione normativa avulsa dall’interesse delle parti nel caso concreto. Dalla dizione letterale dell’art. 6 co. 6 n. 19/94 nonché dai principi generali in materia risulta evidente che l’interesse posto alla base del potere conferito all’organo pubblico non è l’interesse delle parti ma l’interesse oggettivo alla realizzazione dell’ordinamento giuridico e quindi alla interpretazione uniforme della legge in una materia nella quale questo “bene giuridico” appare di fondamentale rilevanza per assicurare una risposta giuridica il più possibile omogenea a domande che investono l’ambito applicativo della legge e di impedire la violazione della legge nell’applicazione di principi di diritto. Va allora in primo luogo affermato che l’oggetto del giudizio deve riguardare l’esistenza o inesistenza di una norma primaria, la sua violazione o falsa applicazione, ma non può investire la concreta applicazione di una norma la cui portata non si contesta. Infatti l’esistenza – inesistenza di una prova adeguata nel caso concreto dei fatti posti a base della domanda è questione di fatto che non attiene in via immediata alla regola giuridica da applicare al caso concreto. Inoltre, nell’individuare il limite del potere conferito al Procuratore Generale, appaiono utili elementi desumibili dallo stesso contesto normativo sul quale l’art. 6 n. 6 e’ inserito. Si deve allora rilevare che nel giudizio pensionistico l’appello è limitato ai soli motivi di diritto e che per espressa disposizione normativa costituiscono questioni di fatto tutte quelle attinenti a valutazioni medico legali (cfr. sul punto SS.RR. n. 10/2001/QM e Corte Cost. n. 84/2003 ord.). Ora se l’interesse sottostante al potere attribuito all’organo requirente pubblico è quello all’uniformità nella interpretazione della legge, l’ambito del potere non può che essere segnato dall’ambito del giudizio d’appello nel quale si discute se sia stata negata o fraintesa una norma astratta esistente o ne sia stata fatta applicazione ad una fattispecie da essa non regolata, in modo da giungere a conseguenze giuridiche contrarie a quelle volute dalla legge. D’altro canto l’uniformità della interpretazione giurisprudenziale è assicurata dalle sentenze di queste SS.RR. e quindi dall’ambito del relativo giudizio. Pertanto il ricorso in via principale di cui all’art. 6 n. 6 L. 19/1994 deve riguardare la portata dispositiva di una norma giuridica ed il suo ambito applicativo a fattispecie astratte dalle quali consegue in via immediata la regola da applicare al caso concreto. Eccede l’ambito del presente giudizio il quesito relativo al potere e ai limiti dell’intervento del pubblico ministero nel giudizio pensionistico. Esso è, infatti, non rilevante ai fini del decidere nel caso concreto che ha dato origine alla rimessione a queste Sezioni riunite, dal momento che la causa è stata introdotta con ricorso principale del Procuratore Regionale. Il quesito è pertanto inammissibile. Quanto alla intestazione del potere di ricorrere in via principale va ricordato che nell’ordinamento giudiziario la legittimazione processuale del pubblico ministero è legata non all’interesse di cui è portatore nel processo, ma alla sua competenza in ragione della appartenenza ad un determinato ufficio di procura. A svolgere attività processuali presso il giudice è ammesso soltanto il magistrato appartenente all’Ufficio di procura costituito presso lo stesso giudice. Nel passaggio, poi, del processo da uno ad altro giudice per ragioni di competenza o per il succedersi dei vari gradi del giudizio, le scelte del pubblico ministero costituito presso il nuovo giudice non sono in alcun modo vincolate da quelle del pubblico ministero che ha trattato l’affare nella fase o nel grado precedenti. Di conseguenza il potere di ricorrere in via principale nell’interesse della legge è intestato al Procuratore regionale presso la sezione territoriale competente a decidere la causa, mentre in appello sta in giudizio il Procuratore Generale. Il potere di promuovere direttamente questioni di massima è poi attribuito, per quanto riguarda l’organo pubblico ministero, in via esclusiva al Procuratore Generale. Sulla base delle esposte considerazioni va conclusivamente affermato che: a) l’art. 76 del R.D. 1038/1933, come tutte le altre norme del regolamento di procedura 7 che regolavano poteri ed attribuzioni del pubblico ministero nel processo pensionistico, è stato abrogato dall’art. 6 della L. n. 19/1994; b) nel processo pensionistico conseguente alla riforma recata dalla legge n. 19/1994 e dalle successive modificazioni il potere di ricorrere nell’interesse della legge è attribuito al pubblico ministero al fine di tutelare l’interesse oggettivo alla realizzazione dell’ordinamento giuridico (interesse diverso ed eccedente quello delle parti sostanziali del processo pensionistico) e così ottenere la interpretazione uniforme della legge e impedire la violazione della legge nell’applicazione di principi di diritto. Restano escluse dal potere di ricorrere le controversie su questioni di fatto o a queste equiparate dal legislatore della legge di riforma della Corte e quelle in cui il giudizio abbia ad oggetto la sufficienza delle prove nonchè tutti i casi in cui non sia in discussione l’interpretazione della norma giuridica e il suo ambito applicativo ma l’applicazione concreta che ne è stata fatta; c) il potere di ricorrere nell’interesse della legge è intestato al Procuratore Regionale incardinato presso la sezione territoriale competente a giudicare e, nei gradi successivi al Procuratore Generale al quale spettava in via esclusiva il potere di promuovere questioni di massima. Va, infine, dichiarato inammissibile il quesito relativo all’intervento del pubblico ministero nel giudizio pensionistico perché non rilevante nel giudizio pendente davanti al giudice remittente. P.Q.M. La Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale dichiara che il ricorso principale nell’interesse della legge in materia pensionistica può essere promosso solo nei limiti indicati in motivazione da parte dell’organo di pubblico ministero costituito presso il giudice competente. Dichiara inammissibile perché non rilevante ai fini del decidere il quesito relativo all’intervento del pubblico ministero nel processo pensionistico. Ordina la restituzione degli atti al giudice remittente a cura della Segreteria. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 21 maggio 2003. .Depositata in Segreteria il 17 luglio 2003 8