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Eclissi di Trumbo: Maccartismo e Hollywood

POSTFAZIONE a “Eclissi” di Dalton Trumbo
(DMG Edizioni, 2018)
Mauricio Dupuis
Trumbo nella tempesta degli albori del maccartismo
Le deposizioni dell’ottobre 1947 davanti alla commissione del Congresso
degli Stati Uniti, voluta dalla presidenza Truman, che indaga su presunte
“attività antiamericane” (HUAC: House Un-American Activities
Committee), portano a notorietà oltre la stretta cerchia degli addetti ai lavori
lo scrittore quarantenne Dalton Trumbo, e con lui un gruppo di
professionisti poco conosciuti al grande pubblico (diversi registi, molti
sceneggiatori, oltre ad attori), ma fino ad allora parte integrante della
creatività del cinema hollywoodiano. Di punto in bianco, col cambio di
politica post-seconda guerra mondiale in cui l’Unione Sovietica, da alleato
necessario nella vittoria contro il nazifascismo, torna ad essere il nemico
pubblico numero uno, le istituzioni statunitensi si preparano a sferrare un
attacco durissimo verso tutto quanto odori di progressismo. A partire dagli
anni del New Deal rooseveltiano il Partito comunista americano trova
aperture per radicarsi nella vita culturale, e l’alleanza coi sovietici ad un
certo punto non fa che confermare la spinta di sinistra; nascono negli anni
Trenta sindacati di categoria anche nel mondo dello spettacolo, che
difendono i diritti delle varie maestranze, e uno dei gruppi più attivi è
proprio quello degli sceneggiatori cinematografici. Tutto muta alla fine
della guerra, quando l’FBI apre indagini molto più pressanti che portano
all’istituzione di commissioni parlamentari sulla presunta infiltrazione
progressista nei vari aspetti della vita americana. Non poche sono, in effetti,
le spie sovietiche scovate in punti nevralgici delle strutture statali e
corporative degli Stati Uniti. I segreti militari in special modo sono
appetibili oltre cortina, e il timore degli americani che tali informazioni
trapelino a vantaggio del nemico è obiettivamente fondato. Nata come
doveroso controllo dopo il secondo conflitto mondiale, la situazione però
sfugge di mano diventando fortemente manichea e senza reale utilità,
colpendo nel mucchio anche personalità il cui ruolo viene sopravvalutato.
Viene messa in discussione e poi punita la libertà di pensiero dei singoli
interessati, fino a rovinare o limitare migliaia di carriere di successo o
comunque molto promettenti.
Sebbene il fenomeno passato alla storia come “maccartismo” 1 abbia
toccato in minima parte l’industria di intrattenimento hollywoodiana, il fatto
stesso che il cinema sia una forma espressiva di larga diffusione - capace
quindi di arrivare a grandi masse di utenti - spinge le autorità a considerarlo
pericoloso perché facile veicolo di messaggi considerati tendenziosi. La
nuova censura va ad aggiungersi al più importante controllo creativo in atto
già ai primordi della fase sonora, il cosiddetto ˝Codice Hays˝, coniato nel
1930 e usato concretamente tra 1933 e 1967. Il Production Code - questo il
suo nome ufficiale - è un regolamento (auto) censorio che consiglia
modalità di attuazione in fase di sceneggiatura e poi in regia in merito a
comportamenti sociali, sfera intima e sessuale, relazioni extraconiugali, figli
illegittimi e altri temi considerati sensibili. Un compromesso al ribasso, ma
che le Case di produzione accettano apparentemente senza eccessive
rimostranze. Sebbene il Codice non sia sanzionatorio, di fatto incanala la
creatività del Dipartimento di scrittura verso una direzione in cui critica
politica e sociale e tematiche cosiddette progressiste sono poste in secondo
piano rispetto all’intrattenimento e al ritratto più edificante delle condotte
sociali. Una visione prettamente ludica e disimpegnata, quindi. Ciò porta
come conseguenza alla nascita, nelle Case di produzione, di un
Dipartimento di scrittura simile a una batteria pre-addestrata e priva di
autonomia creativa, a cui si aggiunge il fatto di essere sottopagata e con
diritti sempre più limitati. Questo appiattimento del talento di scrittori
capaci anche di scrivere romanzi e lavori teatrali genera molto malumore e
vari casi di incomprensione. Diversi autori di primo piano, come Francis
Scott Fitzgerald, che vedono nell’industria un modo di guadagnare ma
anche di applicare il proprio talento in una forma d’arte di massa, sono ben
presto allontanati perché poco adattabili al sistema. Restano i molti scrittori
di mediocre levatura ma più consci delle modalità di lavoro, trattati come
impiegati che si limitano a mettere su carta stereotipi forniti dalla
produzione, con contratti a volte settimanali o a cottimo, senza garanzie per
il futuro. Viene decisa, negli anni Trenta, la formazione di un sindacato, la
Screen Writers Guild, l’associazione degli scrittori cinematografici (in
parallelo si forma la meno progressista Screen Actors Guild), a cui lo stesso
Trumbo si iscriverà già nei primi anni. La corporazione incontra da subito
molti problemi coi produttori. In particolare Irving Thalberg (1899-1936),
giovane capo della Metro-Goldwyn-Mayer, dichiara guerra a questa forma
organizzata e decide di assoggettare gli sceneggiatori a contratti che fanno
capo direttamente a lui, favorendo inoltre la nascita di un sindacato
parallelo meno connotato da rivendicazioni progressiste. La crescente
preminenza del sindacato sceneggiatori è una delle ragioni dello scontro che
avverrà dopo la guerra, e che si tingerà di politica. Gli sceneggiatori in
seguito presi di mira per le loro posizioni politiche sono tra l’altro accusati
di aggirare il Code in modo surrettizio, per promuovere le idee politiche del
partito comunista o anche solo genericamente di sinistra.
Tra i “testimoni ostili” della commissione congressuale in quell’ottobre
1947 c’è, come detto, Dalton Trumbo. Insieme ad altri nove colleghi (in
tutto otto scrittori, un regista - Edward Dmytryk - e un produttoresceneggiatore - Adrian Scott) verrà messo sotto accusa, processato e in
seguito arrestato per non aver risposto in modo corretto - dal punto di vista
della commissione - alle domande sulla sua affiliazione alla SWG e al
Partito comunista americano (CPUSA); non solo Trumbo evita di
rispondere, ma anzi contrattacca con grinta. Quando il presidente del
Committee, John Parnell Thomas, gli rivolge la canonica domanda
sull’affiliazione al sindacato sceneggiatori, Trumbo risponde: «Mi pare
evidente che una domanda di questo tipo miri a identificarmi con il
Sindacato sceneggiatori, per poi identificarmi con il Partito comunista
americano, così che si possa distruggere il sindacato […] A mio avviso
questa domanda ha un doppio fine […] che è quello di stabilire un legame
tra il Sindacato e il Partito comunista americano. […] I diritti dei lavoratori
all’inviolabilità dell’affiliazione ai sindacati sono stati conquistati a prezzo
di sangue e con un grande costo in termini di fame. La Sua domanda
costringerebbe ogni lavoratore americano vicino a un sindacato a
identificarsi qui come tale, e a essere soggetto a future intimidazioni. Per
questi motivi la domanda è a mio avviso incostituzionale. […] Credo di
avere il diritto di sapere quali sono le prove che giustificano una simile
domanda».2 E, a proposito di prove, Trumbo richiama alcuni dei suoi lavori
all’attenzione della Commissione, esprimendosi come segue: «Presidente,
ho portato qui con me le versioni integrali di una ventina di miei lavori
sceneggiati a Hollywood negli ultimi anni. Sono a vostra disposizione in
modo che possiate indicarmi i punti sovversivi che vi avrei inserito. [Sono
lunghi] in media dalle 115 alle 160 o 170 pagine». Il presidente Thomas
risponde con l’incredibile: «Troppe pagine, non le vaglieremo».3 Frase che
non merita ulteriori commenti, se non quello di conclamare un chiaro
partito preso da parte dell’istituzione congressuale, che evidentemente non è
stata creata per indagare in modo oggettivo ma semplicemente per colpire
alcuni bersagli che sarebbero serviti da esempio per gli altri. E lo scopo, se
si pensa ai successivi decenni di guerra fredda, sarà pienamente raggiunto.
Gli Hollywood Ten (i “dieci di Hollywood”) sono quindi gli irriducibili
che al momento delle deposizioni non compiono delazioni su colleghi,
conoscenti o addirittura amici. Si tratta, oltre a Trumbo, degli sceneggiatori
John Howard Lawson, Lester Cole, Herbert Biberman, Ring Lardner jr,
Alvah Bessie, Albert Maltz, Samuel Ornitz, del produttore e sceneggiatore
Adrian Scott e del regista Edward Dmytryk. Solamente per mettere in luce
la svolta a 180° su questi - e molti altri - professionisti, si può accennare che
negli anni immediatamente precedenti molti di loro avevano ottenuto
pubblici riconoscimenti per lavori in seguito considerati “sovversivi”. Ring
Lardner jr vince l’Oscar nel 1943 per Woman of the Year (La donna del
giorno; regia di George Stevens, con Spencer Tracy e Katharine Hepburn.
Lardner vincerà, dopo la fine della “caccia alle streghe”, un ulteriore premio
per M.A.S.H. di Robert Altman). Albert Maltz ottiene la candidatura
per Pride of the Marines (1945, C’è sempre un domani; regia di Delmer
Daves) e verrà premiato - sotto falso nome - nel 1951 col Writers Guild
Award per Broken Arrow (ancora regia di Daves). Alvah Bessie
scrive Objective: Burma! (1945, Obiettivo Burma; regia di Raoul Walsh),
opera alla quale collabora anche Lester Cole. John Howard Lawson è alle
prese invece su Blockade (1938, Marco il ribelle; regia di William Dieterle).
Edward Dmytryk ottiene la candidatura all’Oscar per la regia
di Crossfire(1947, Odio implacabile, prodotto da Adrian Scott per la RKO)
che ha in totale cinque nomination nelle categorie più importanti (film,
regia, sceneggiatura e attori protagonisti) proprio in concomitanza con la
messa in stato d’accusa durante le audizioni congressuali. Trumbo, infine, è
candidato per Kitty Foyle (1940) di Sam Wood. Si vede quindi che, a livello
di riconoscimenti, per tacere della qualità di diverse pellicole (anche rispetto
al riscontro al botteghino) alle quali i Dieci prendono parte, questi uomini
sono parte integrante del sistema; e fino alla svolta politica anti-sovietica
Usa sotto la presidenza Truman, dopo l’alleanza in chiave anti-nazista con
l’Urss (la conferenza di Yalta è del febbraio 1945, appena due anni prima) a
livello ufficiale non ci si preoccupa affatto della formazione, l’adesione
sindacale o il pensiero politico dei professionisti operanti nel cinema.
I Dieci diventano un simbolo della libertà di espressione e del diritto alla
libera associazione dei cittadini (diritti sanciti dal Primo emendamento alla
Costituzione americana, qui però non tenuto in debito conto), ma sono
comunque rinviati a giudizio, condannati nel 1948 a un anno di reclusione
e, dopo aver tentato un inutile ricorso in appello, effettivamente condotti in
prigione. Trumbo è assegnato alla casa correzionale di Ashland, nel
Kentucky, dove tra il 1950 e il 1951 sconta dieci mesi dei dodici previsti,
due dei quali infatti saranno condonati per buona condotta.
Ironia della sorte, per il ben più odioso reato di corruzione, di lì a poco
anche l’interrogante senatore J. Parnell Thomas finirà in carcere, trovandosi
per un periodo nel penitenziario di Danbury, nel Connecticut,
contemporanemente a Lester Cole e Ring Lardner jr. Al processo Thomas si
avvale del Quinto emendamento - che protegge il diritto del cittadino di non
auto-accusarsi in un’indagine - per non rispondere alle domande (i Dieci si
appellano invece al Primo, più rischioso ma considerato più logico nel loro
caso).
La conseguenza però non è limitata al carcere, ma si traduce in un
ostracismo che proseguirà, a seconda dei casi, per i successivi 15-20 anni.
Professionisti ben pagati, prolifici e importanti nel giro produttivo tra gli
anni Trenta e Quaranta, di colpo diventano reietti da espellere dal consesso
creativo, da inserire nella Blacklist, la lista nera. Uno dei Dieci, il regista
Edward Dmytryk, che ha collaborato con Trumbo ai tempi della RKO, non
regge al carcere e, preoccupato per il proprio futuro professionale, scrive
una lettera di abiura. Passato un breve periodo di “esilio” (gira due film in
Inghilterra), al suo ritorno negli Stati Uniti il regista si ripresenta di fronte al
Committee e cita ventisei nomi di colleghi simpatizzanti di sinistra. Inizia
così, poco dopo, una seconda carriera molto prolifica con le Majors e con
gli attori più in voga: dirige tra gli altri Bogart in The Caine Mutiny (1954)
e The Left Hand of God (1955), Gable in Soldier of Fortune (1955), Liz
Taylor in Raintree Country (1957), Brando in The Young Lions (1958).
Perde molti degli amici e i colleghi di un tempo, ma in compenso rientra
trionfalmente nel sistema.
Spirito combattivo, anche nel periodo di limbo tra le udienze di fine 1947
e il carcere Trumbo riesce a piazzare alcuni lavori, grazie ad amici che
mettono il nome al posto suo. Se Trumbo riesce a sopravvivere per anni
scrivendo, - sebbene con guadagni molto inferiori a prima - gli altri otto
irriducibili degli originali Ten hanno più difficoltà o addirittura si vedono
stroncare del tutto la carriera; tra questi Samuel Ornitz che, dal 1945 alla
morte - avvenuta a causa di un cancro nel 1957 - non avrà più al suo attivo
alcun credit cinematografico. Altri blacklisted, ostracizzati in seguito,
trovano rifugio e lavoro in Europa, in particolare in Inghilterra (Donald
Ogden Stewart, Carl Foreman),4 dove riescono a sbarcare il lunario
operando sotto pseudonimo, o in Francia, dove ad esempio il regista Jules
Dassin - autore di classici del noir come The Naked City dirige Rififi (1955), enorme successo per la cinematografia transalpina.
Trumbo porta a termine in questo periodo il suo unico lavoro completo per
il teatro, The Biggest Thief in Town (1949), rappresentato anche a Londra.
Commedia in tre atti, è una satira sociale intrisa di umorismo nero, che si
sviluppa attorno a un’impresa di pompe funebri. Attaccata dalla critica
newyorkese dopo un buon successo nelle rappresentazioni in provincia,
viene messa in scena dall’esperto Herman Shumlin e rimane in cartellone
dal 30 marzo al 9 aprile 1949; ne sono interpreti Thomas Mitchell e Walter
Abel. L’impresario Leo Sabinson chiede all’autore una commedia per
l’anno successivo, ma il verdetto della Corte suprema decreterà il carcere e
Trumbo non potrà dare seguito alla richiesta; The Biggest Thief in
Town resterà l’unico lavoro originale di Trumbo per il palcoscenico (solo
abbozzato rimane, agli inizi degli anni Sessanta, Morgana). Inoltre, dopo la
condanna, la MGM revoca il contratto in essere e Trumbo si ritrova privo di
sicurezza nell’impiego - peraltro ben retribuito grazie a un contratto di
pochi anni prima - e quindi di entrate economiche.
Alla conclusione del periodo di detenzione, - è rilasciato il 9 aprile 1951 come altri dei Dieci, Trumbo si trova a dover fare i conti con un margine di
possibilità di lavoro nel cinema sempre più ristretto, visto che un buon
numero di fidati sodali è finito a sua volta sulla lista nera. In una lettera
all’amico scrittore Nelson Algren (1909-81), datata 15 giugno 1951 compare nella raccolta epistolare Additional Dialogue - , l’autore spiega le
modalità di lavoro in queste condizioni e propone al collega un “metodo”:
Io scriverei una storia che secondo me sarebbe possibile vendere e te la
spedirei. Tu la spediresti al tuo agente di Hollywood come cosa tua. Se
fosse venduta mi trasferiresti la mia parte di liquido sotto il nome da nubile
di mia moglie. Per quanto riguarda le tasse, dovresti denunciare d’aver
percepito l’intera somma e detrarre da essa la parte rimessa a mia moglie,
in veste di pagamento per prestazioni letterarie oppure per aver acquistato
direttamente da lei una proprietà letteraria. Nella nostra cartella delle
tasse mia moglie registrerebbe i soldi come provenienti da te, e avremmo
adempiuto a tutte le istanze legali. […] Ho pensato che, se sei soddisfatto
della percentuale, la tua parte di bottino potrebbe arrecare gli stessi
vantaggi anche a te. Non c’è bisogno di aggiungere che, in un piano del
genere, la segretezza è di primaria importanza per il successo. Se ti inviassi
un [soggetto] originale, potresti star certo che nessun altro lo ha letto.
Sono sicuro che tu saprai essere ugualmente discreto nel tuo campo. Se hai
scrupoli morali quanto a questa procedura in relazione al cinema, fammi il
piacere di scordarteli. Hollywood è un immenso bordello, e qualsiasi
progetto che permetta a uomini normalmente onesti di cavar fuori dei soldi
per i loro fini personali, è più che degno di lode.5
Nel novembre 1951, Trumbo si trasferisce con la famiglia a Città del
Messico, da dove cerca di riorganizzarsi. A causa delle precarie condizioni
economiche è costretto a vendere il Lazy-T, il suo ranch in California. Nella
corrispondenza con i prestanome, oltre al necessario vincolo di segretezza
sull’effettivo autore dei lavori - tanto con l’esterno quanto tra il prestanome
e l’agente che propone i soggetti ai produttori - un altro punto fondamentale
è il linguaggio in codice. Per fare un esempio, Trumbo, dal Messico, chiede
a un suo collaboratore di avvertirlo dell’avvenuta vendita di un soggetto
inviando un telegramma riportante la seguente dicitura:
Evelyn guarirà, dottore raccomanda 18 giorni di vacanza.6
Dove per “Evelyn guarirà” s’intende che il soggetto è stato venduto, “il
dottore” è il compratore dello stesso, e la raccomandazione di “18 giorni di
riposo” è la cifra (18 mila dollari) pattuita. Questo metodo serve nel caso in
cui la polizia tenga sotto controllo le comunicazioni. Trumbo si fa
indirizzare la corrispondenza presso nomi fittizi, come ad esempio “Dottor
John Abbott”.7 Oppure, per rassicurare che il manoscritto è giunto a
destinazione e subito consegnato all’agente, il prestanome risponde:
Dr.John Abbott. Prescrizione ricevuta. Assolutamente magnifica. Fatta
pervenire immediatamente. Cordiali saluti.8
La “prescrizione” è il lavoro di Trumbo stesso.
Trumbo riesce comunque a scrivere adattamenti cinematografici per tutto
il decennio, ma sempre sotto falso nome. Fa figurare altri come autori
(Millard Kaufman, Ben Perry, Guy Endore, Sally Stubblefield) e si avvale
di pseudonimi. Tra i nickname adottati ci sono il già citato John Abbott,
Sam Jackson e forse quello che rimane il più noto, Robert Rich. Pubblica
anche propri racconti dandone la paternità alla moglie, Cleo Fincher, anche
questa volta con pseudonimo (C.F. Demaine) come ulteriore cautela per non
attirare attenzioni. Nonostante l’Academy proibisca agli artisti sulla
blacklist di concorrere a premi, Trumbo vince due Oscar che vengono
accreditati a Ian McLellan Hunter (1915-91), per Roman Holiday (Vacanze
romane, 1954, di William Wyler; in realtà Hunter collaborerà
all’adattamento del soggetto originario dell’amico) e appunto al fantomatico
“Robert Rich” per The Brave One (La più grande corrida, 1956, di Irving
Rapper). La vittoria dell’Academy Award sotto falso nome (o col proprio
nome assente dai credit) arride anche Michael Wilson e Carl Foreman per il
famoso The Bridge on the River Kwai di David Lean nel 1958, e frequenti
sono le candidature di sceneggiature scritte in realtà da autori blacklisted.
Proprio le voci insistenti che Wilson e Foreman siano in realtà gli autori
della superproduzione Kwai danno origine all’ondata di indignazione che
dall’Europa parte verso la lista nera. Nel caso specifico lo sdegno è forte
soprattutto in Francia, dal momento che l’Oscar viene assegnato al solo
Pierre Boulle, autore del romanzo ma fino ad allora digiuno di
sceneggiature, il che provoca evidenti dubbi sull’effettiva paternità
dello script. Due anni prima, nella primavera del 1957, viene premiata la
sceneggiatura di The Brave One. Il presunto autore, Robert Rich, non si
presenta a ritirare l’Oscar. Così Bruce Cook, nella sua biografia su Trumbo,
descrive il momento della premiazione:
Notte degli Oscar, 1957. Deborah Kerr prende il biglietto dalla busta
aperta e annuncia con voce alta e chiara che il vincitore “per il miglior
soggetto originale è... Robert Rich!” Momento sacrale. Applauso! Jesse
Lasky jr, sceneggiatore preferito di Cecil B. De Mille e a quel tempo
vicepresidente della Screen Writers Guild, salta in piedi e si precipita lungo
il corridoio per raggiungere il palco. Riceve il premio per conto di Rich, al
quale si riferisce come “un mio caro amico”. Ne giustifica l’assenza
dicendo che in questo momento è a fianco di sua moglie, che sta partorendo
il loro primo figlio. Altri applausi. Lasky lascia velocemente il palco con in
mano la statuetta. Lasky, tempo dopo, ricordando l’episodio nel suo
libro What ever Happened to Hollywood? ammetterà che in realtà non
aveva idea di chi fosse Robert Rich. Ma il nome gli suonava familiare, e lui
pensava che un dirigente della SWG avesse il dovere di conoscere i suoi
membri, e così... lo trasformò in un suo caro amico. Quanto al fatto che
Rich fosse al capezzale della moglie, come Lasky ha asserito, be’, in quel
momento gli sembrava la cosa più ovvia da dire. Il giorno dopo, comunque,
quando si ha modo di controllare i registri della SWG, si scopre che non
contengono nessun Robert Rich. Non è un membro del sindacato né mai lo
è stato. Nessuno in realtà ha idea di chi sia o di come possa essere
contattato.9
Fuori dagli Stati Uniti si ha la forte impressione che continuare a negare
tante illustri figure professionali sia inutile, oltreché controproducente a
livello di immagine. Si finisce col penalizzare artisti i cui lavori meritano
addirittura dei premi, andando in qualche occasione a rafforzare sistemi
produttivi stranieri, ad esempio quello inglese o addirittura, come lo stesso
Trumbo ricorda, quello messicano. Ma l’Academy e l’industria
cinematografica nel suo complesso, per il momento, non vi ravvisano
alcuna contraddizione.
Tornato a Los Angeles dopo qualche anno in Messico, Trumbo scrive per
un periodo copioni a quattro mani per film di poco conto proprio insieme a
Michael Wilson, amico oltreché collega anch’egli in lista nera. Abitando
ambedue a Los Angeles, ma a diversi chilometri di distanza, i due
comunicano sotto falso nome (in questo caso Trumbo si firma “Theodore
Flexman”) scambiandosi il work in progress del momento attraverso
corrieri. Raramente si preoccuperanno dell’effettivo risultato sullo schermo:
si tratta di opere a cui sono costretti per ottenere il necessario per vivere, e
questo metodo permette loro di finire un intero copione in una decina di
giorni. Non mancano momenti di alta tensione, legati al fatto che lo scrittore
è ufficialmente considerato un paria da parte del mondo del cinema e della
politica: le lettere minatorie (con riferimenti frequenti e non certo gentili al
suo essere uomo di sinistra) sono all’ordine del giorno, e nel 1956 Trumbo è
anche vittima di un’aggressione, durante la quale riporta due costole
fratturate e diverse escoriazioni. Per non attirare troppa attenzione su di sé,
con la pericolosa conseguenza di portare alla luce la sua attività
“clandestina” di sceneggiatore, decide di non denunciare l’accaduto.
Per tutti gli anni Cinquanta la carriera di Trumbo prosegue su questa
falsariga, senza apparente possibilità di tornare allo scoperto. I suoi tentativi
di sensibilizzare contro la lista nera scrittori famosi, come testimoniano le
lettere del 1957 inviate, tra gli altri, a Hemingway, Faulkner, Saroyan (suo
ex collega di sceneggiature negli anni Trenta), Steinbeck e Thornton Wilder,
si dimostrano vani. La cortina di dissenso che il maccartismo ha generato
nell’opinione pubblica e nel sistema cinematografico nei confronti degli
intellettuali progressisti è ancora ben salda, nonostante qualche crepa come
quella già citata dei premi assegnati a sceneggiatori “fantasma”.
Clandestinità, ma con picchi di lavoro talvolta a dir poco eccessivi. In una
lettera del dicembre 1957 all’amico sceneggiatore Hugo Butler, - noto per
aver scritto A Christmas Carol, 1938, e Lassie Come Home, 1943 - col
quale Trumbo collabora in segreto per He Ran All the Way (1951, Ho amato
un fuorilegge, l’ultimo film interpretato da John Garfield) prima che Butler
stesso finisca nella blacklist, l’autore stila una lista dei lavori in corso in
quel periodo. Si tratta di ben otto sceneggiature, tra cui una collaborazione
con lo stesso Butler, un adattamento di romanzo per United Artists, un film
con un’attrice molto nota, un altro che forse verrà prodotto e diretto da John
Huston, uno prodotto dai fratelli King (coi quali Trumbo ha lavorato già per
il noir Gun Crazy, altrimenti intitolato Deadly Is the Female,La
sanguinaria, 1950 e per The Brave One), un soggetto originale per un attore
noto, il rifacimento dei dialoghi di una pellicola tratta da un romanzo, oltre
al lavoro più importante che sarà destinato a uno degli Studi principali e il
cui credit sarà dato a un collega.10
L’attivismo a cui è costretto per racimolare il necessario per mantenere la
famiglia non distoglie Trumbo dal prodigarsi in incontri pubblici a favore di
cause in cui crede, con l’intento, graduale, di risvegliare un’attenzione
benevola verso gli artisti “dimenticati” ai margini, come lui e tanti altri. Nel
maggio 1958 scrive a Alvah Bessie, amico del gruppo dei Ten, in cui spiega
come intende muoversi per provare a scalfire la nube di indifferenza che li
circonda:
C’è un altro motivo che dobbiamo iniziare a capire. Gli artisti di un
mezzo di comunicazione di massa come il cinema hanno una vita pubblica
e, come abbiamo visto, la loro sopravvivenza è legata all’approvazione del
pubblico. Più di qualunque altro gruppo negli Stati Uniti, gli artisti di
Hollywood dipendono dalle loro relazioni pubbliche. Non approvo questa
situazione, dico semplicemente come stanno le cose. Ristabilire delle buone
relazioni pubbliche per gli artisti di Hollywood inclusi nella lista nera è la
condizione sine qua non per distruggere la lista, che ti piaccia o no. […]
Fin troppo a lungo abbiamo avuto l’”onore”di riempire i borsellini altrui
piuttosto che i nostri. [...] Dopo undici anni passati a cercare una vittoria
su tutta la linea ora il problema è conseguirne una parziale, e quanto
concedere per raggiungerla. Una vittoria limitata contro la lista nera sarà
una sconfitta limitata per chi l’ha istituita.11
Qualcosa, comunque, inizia a cambiare. Nel dicembre 1957 Kirk Douglas
prende in considerazione la possibilità di produrre un film tratto dall’opera
di unblacklisted (Howard Fast, che tempo prima aveva abiurato il proprio
passato per ottenere uno sconto di pena). Si tratta di un romanzo storico
incentrato sulla figura dello schiavo trace Spartaco, che Fast scrive durante
la prigionia nel 1951. Douglas, dopo il rifiuto di vari altri Studi, riesce a
coinvolgere la Universal. Lo stesso Fast viene incaricato della
sceneggiatura, ma la prima stesura si rivela fallimentare. Mancano poche
settimane alla scadenza richiesta dalla Universal per prendere in
considerazione seriamente il progetto, e serve urgentemente uno script.
Douglas ha sentito parlare di un tale “Sam Jackson”, che sta scrivendo per
la sua piccola casa di produzione, la Byrna Productions, la sceneggiatura del
futuro Lonely Are the Brave (western crepuscolare del 1962 che verrà
interpretato dallo stesso Douglas). Viene a conoscenza che dietro quel nome
di fantasia si cela Dalton Trumbo. Decide quindi di contattarlo e proporgli
la revisione, che in realtà si rivela una riscrittura. Lo Studio può così leggere
e accettare il copione, che per il momento è firmato dal coproduttore,
Edward Lewis, per evitare i problemi legati allo scomodo nome del vero
autore. Nel maggio 1958 Douglas viene invitato da Nixon a Washington per
probabili ragioni di convenienza, essendo l’attore un nome di spicco
dell’industria. Il vicepresidente è infatti in procinto di candidarsi alle
elezioni del 1960. Douglas vorrebbe cogliere l’occasione per ottenere una
dichiarazione di apertura sulla lista nera da parte dell’uomo politico (Nixon,
che sarà eletto dieci anni dopo, negli anni Quaranta aveva fatto parte della
commissione che ascolta i Dieci e, come dice Trumbo in una lettera, aveva
dato l’impressione di non approvare i metodi del presidente di commissione
Thomas). L’incontro, fissato e rimandato, pare non sia infine avvenuto.
Douglas decide di proseguire comunque, determinato a superare non solo
gli ostacoli che un grande progetto comporta, ma anche la paura di
rappresaglie una volta che la pellicola è in procinto di uscire nelle sale. Il
film coinvolge attori di primo piano: Laurence Olivier, Tony Curtis, Peter
Ustinov, Charles Laughton oltre allo stesso Douglas. Dopo l’iniziale
affidamento della regia a Anthony Mann, il film è portato a termine da un
giovane Stanley Kubrick, che ha già lavorato con Douglas in Paths of
Glory (Orizzonti di gloria) pochi anni prima. Ma l’importanza del film,
come lo stesso Douglas ricorda, risiede nell’aver palesato il nome di
Trumbo nei credit, rompendo così di fatto l’ostracismo nei suoi confronti.
Complice una dichiarazione dell’ex presidente Harry Truman a favore
dell’abolizione della blacklist, e col rischio contingente che Trumbo lasci il
progetto a causa degli eccessivi cambiamenti richiesti da alcuni attori
(Ustinov e Laughton in particolare) e da Kubrick, Douglas lo rassicura
“prendendo il toro per le corna” e annunciando che, succeda quel che
succeda, il suo nome sarà apertamente citato nei titoli ufficiali del film.
“Sam Jackson” esce così di scena per sempre. I mesi precedenti alla prima
proiezione di Spartacus sono comunque densi di problematiche, che minano
in diverse occasioni l’agognata conclusione. Una forte campagna stampa
taccia il film di filo-comunismo, arrivando a intravedere nella vicenda dello
schiavo ribelle una metafora, tracciata dallo scrittore, del popolo che si deve
unire per combattere lo Stato americano. All’interno della Universal girano
voci preoccupate, mentre Douglas si trova in Messico a girare un altro
western sceneggiato da Trumbo, The Last Sunset (L’occhio caldo del cielo).
L’ufficio di censura propone inoltre tagli che snaturano in parte la pellicola
in merito al messaggio “politico” (per quanto possibile le parti eliminate, tra
cui una scena di stampo omosessuale tra Laurence Olivier e Tony Curtis,
vengono riproposte in un’edizione director’s cut - o per meglio
dire producer’s cut - degli anni Novanta), ma è un compromesso che riesce
a evitare ulteriori dispute, visto che già il nome di Trumbo - ora accettato
dalla Universal - è stata a lungo una questione molto controversa dal punto
di vista dell’opportunità. Agitatori conservatori ben organizzati - Douglas
cita l’American Legion - disturbano inoltre saltuariamente le proiezioni del
film, che comunque riesce finalmente a iniziare la propria vita pubblica,
ottenendo l’anno successivo quattro premi Oscar su sei candidature.12
Pochi mesi dopo Trumbo firma un altro kolossal, Exodus (1960; regia di
Otto Preminger, tratto da una parte del lungo romanzo di Leon Uris). Il
produttore-regista
di
origine
austriaca
sta
lavorando
allo script di Exodus con Albert Maltz, uno dei Dieci, quando viene a sapere
che Kirk Douglas vuole presentare Trumbo come effettivo sceneggiatore
di Spartacus. Dopo una sfuriata iniziale (Preminger non ritiene una buona
idea l’esplicitazione degli autori, che ancora sono ufficialmente in
disgrazia), a sorpresa licenzia Maltz e sceglie proprio Trumbo come
sceneggiatore del suo film. Preminger sarà il primo ad annunciare
pubblicamente nel gennaio 1960, sul «New York Times», che Trumbo sta
collaborando con lui, sfidando quindi apertamente la censura del sistema.
Sarà comunque Douglas, grazie al fatto che l’esordio diSpartacus sullo
schermo avviene due mesi prima di quella del film di Preminger, a ottenere
per Trumbo il primo titolo di testa dopo quindici anni. È però molto
probabile che la mossa di Preminger abbia dissipato gli ultimi dubbi di
Douglas e della Universal, tesi sostenuta da studiosi come Larry Ceplair e
dalla famiglia Trumbo. Douglas anche molti decenni dopo sosterrà di aver
sferrato lui stesso il colpo di grazia alla lista nera, suscitando qualche
polemica.
Questo dittico di primo piano, a livello produttivo e spettacolare, riporta
finalmente alla luce il talento dello sceneggiatore, che d’ora in avanti non si
nasconderà più. Ad ogni modo, le resistenze per il ritorno in auge degli
scrittori emarginati inseriti nella blacklist sono ancora forti. È soprattutto
Maltz a incontrare, suo malgrado, ostacoli. Nel 1960, in concomitanza con
il clamore suscitato per il credit di Trumbo per Spartacus e Exodus, un
nome di primo piano come Frank Sinatra deve rinunciare al progetto di
portare sullo schermo The Execution of Private Slovik, basato sulla vicenda
del primo soldato giustiziato per diserzione dalla fine della guerra civile,
che prevede la sceneggiatura di Albert Maltz. 13 Sinatra è al centro di
un’accesa polemica che lo vede accusato da certa propaganda conservatrice
di essere un simpatizzante comunista, dal momento che l’attore-cantante
sostiene John Kennedy alle elezioni presidenziali che si terranno nel
novembre di quell’anno. L’intervento della famiglia Kennedy spinge Sinatra
a desistere, visto che la stampa di destra - i giornali di Hearst, ad esempio hanno preso di mira l’artista per colpire Kennedy, che ne sta risentendo in
qualche primaria. I problemi incontrati da Sinatra rischiano di ripercuotersi
su Douglas e Spartacus, ma quest’ultimo progetto è già nella fase finale e
questioni innanzitutto economiche - la Universal lo vede naturalmente come
un prodotto da vendere, dopo avervi investito - fanno pendere l’ago della
bilancia verso l’uscita nelle sale. L’errore di Sinatra è stato probabilmente di
aver annunciato la collaborazione di un blacklisted al suo progetto in una
fase ancora troppo precoce, mentre la bravura di Kirk Douglas sta nell’aver
sviato l’attenzione sul reale autore dello script fin quasi alla conclusione del
girato, dovendo solo rispondere, in fase iniziale, dell’iniziativa di trarre un
film dall’opera di Howard Fast, comunista dichiarato; un autore che
comunque aveva fatto pubblica ammenda per evitare ulteriori
discriminazioni e che per questo, così come avviene con Dmytryk, non è
visto del tutto di buon occhio dallo stesso Trumbo.
Il resto della carriera dello scrittore è contraddistinto da altri adattamenti
per film di peso, anche se non sempre del tutto riusciti, come The
Fixer (L’uomo di Kiev, 1968, dal romanzo di Bernard Malamud) e The
Horsemen (Cavalieri selvaggi, 1971, dall’opera di Joseph Kessel, film
d’avventura con Omar Sharif e Jack Palance). Adatta e dirige inoltre Johnny
Got His Gun (1971), versione cinematografica del suo romanzo più noto,
che nonostante un premio al festival di Cannes e ottime recensioni, si rivela
disastroso dal punto di vista commerciale (per una esaustiva analisi cfr.
Larry Ceplair, Christopher Trumbo, Dalton Trumbo - Un radicale nella
blacklist di Hollywood, DMG Edizioni 2017, capp. 23-25). Riscrive in
seguito una precedente stesura della pellicola politico-cospirativa incentrata
sull’assassinio di John Kennedy, Executive Action (1973; Azione esecutiva),
molti anni prima di JFK di Oliver Stone. Il suo ultimo film
è Papillon (1973, tratto dall’autobiografia del forzato Henri Charrière, con
Steve McQueen e Dustin Hoffman), nel quale compare in un cameo
all’inizio della pellicola. Solo negli ultimi mesi di vita (morirà nel settembre
1976) riceverà l’Oscar per The Brave One, mentre l’altro per Roman
Holiday gli verrà riconosciuto postumo dopo una lunga disputa (cfr. Ceplair,
Trumbo,Dalton Trumbo, cit., pp. 529-537).
Trumbo, prima delle grane giudiziarie e del successivo lavoro poco
gratificante, oscuro e sottopagato di ghost writer, per lungo tempo si muove
a suo agio nel sistema produttivo degli anni Trenta e Quaranta, arrivando a
essere uno degli sceneggiatori più pagati e riconosciuti.
Inizia alla Warner Bros., dopo i primi racconti pubblicati su rivista e con
all’attivo il suo primo romanzo, Eclipse. Del 1936 i primi lavori per il
grande schermo: i B-movies Road Gang (regia di Louis King) e Love
Begins at Twenty (diretto da Frank McDonald), in entrambi i casi
sceneggiature scritte a partire da soggetti altrui. Dopo alcune altre fatiche
per pellicole ormai dimenticate anche per la Columbia e la MGM, nel 1938
Trumbo inaugura l’importante sodalizio con la major RKO, dove incontra
altri due dei futuri Hollywood Ten, il regista Dmytryk e il produttore Adrian
Scott. Esordisce con Fugitives for a Night (regia di Leslie Goodwins).
Segue Five Came Back (1939, La tragedia del “Silver Queen”; di John
Farrow), film di cui scrive la terza stesura dopo quelle di Nathanael West e
Jerry Cady; il soggetto verrà rifatto nel 1956 dallo stesso regista Farrow ma
Trumbo, ormai in lista nera, non vedrà citato il suo originario apporto. Agli
albori del nuovo decennio arrivano le pellicole con la star della casa di
produzione, Ginger Rogers: il già citato Kitty Foyle e Tender
Comrade (1943, Eravamo tanto felici; regia di Dmytryk). Proprio il lavoro
per Tender Comrade si troverà al centro di polemiche durante le udienze
della commissione del Congresso, alcuni anni dopo, quando la madre della
Rogers lamenta la scrittura a suo dire “filo-comunista” di Trumbo. La stessa
attrice ribadirà l’opinione materna nell’autobiografia del 1991 My Story. Le
accuse mosse a Dmytryk, oltre che a questo film, si riferiranno soprattutto
a Crossfire, che tratta il tema dell’antisemitismo.
Trumbo vive il suo periodo più redditizio dal punto di vista economico a
metà degli anni Quaranta col contratto stipulato con la MGM. In particolare
scrive due pellicole di successo interpretate da Spencer Tracy: A Guy
Named Joe (1943, Joe il pilota; regia di Victor Fleming, da questo soggetto
Steven Spielberg girerà un remake nel 1989, Always) e la
propagandistica Thirty Seconds Over Tokyo (1944, Missione segreta; regia
di Mervyn LeRoy). Seguirà il bucolico Our Vines Have Tender
Grapes (1945; Il sole spunta domani, regia di Roy Rowland). Trumbo è
sotto contratto con la MGM, impegnato a scrivere un film con Clark
Gable, Angel Flight (poi non realizzato), quando viene messo al bando dopo
la famigerata Dichiarazione del Waldorf, in cui le case di produzioni si
accordano per non assumere personale in odore di simpatie comuniste,
facendo così il gioco della commissione congressuale. Quanto pretestuose
fossero le accuse di anti-americanismo (etichetta senza significato sotto la
quale si cela l’ostracismo verso chi porta avanti idee progressiste) lo si
dimostra anche dal fatto che Trumbo collabora senza particolari problemi
con professionisti notoriamente conservatori, come appunto lo sono i registi
Fleming e LeRoy.
Trumbo romanziere
L’attività di sceneggiatore di successo mette in parte in ombra il fatto che
Trumbo è per buona parte dell’inizio carriera un vero e proprio narratore.
Dopo un certo numero di racconti apparsi su riviste tra il 1935 e il 1940
scrive quattro romanzi che resteranno per molti anni le sue uniche opere
fuori dal contesto cinematografico. Tra questi, Johnny Got His Gun (1939,
presentato in italiano da Bompiani prima con un altro titolo e poi col
definitivo E Johnny prese il fucile) è l’opera letteraria che ottiene maggior
riscontro, sia di vendite che di dibattito sul tema della guerra e dei suoi
orrori. Oltre a ricevere il riconoscimento ufficiale dell’American Bookseller
Award,14 il romanzo viene ristampato dopo la fine della seconda guerra
mondiale e diviene opera-simbolo della non violenza soprattutto in
concomitanza con i conflitti controversi a cui gli Stati Uniti prendono parte
nei decenni successivi. È un’opera dalla storia politica complessa, che ha
avuto letture contrastanti e che per questa ragione lo stesso scrittore, in
accordo con l’editore, ha preferito non pubblicare durante il secondo
conflitto. Nonostante la nomea di opera pacifista, lo stesso Trumbo ne
traccia un giudizio controcorrente, - giudizio che si ripercuote su sé
medesimo - in una lettera (mai spedita) all’FBI del dicembre 1943,
rispondendo a una serie di reazioni suscitate dal libro che hanno messo in
allarme il Bureau:
Ho scritto un libro intitolato E Johnny prese il fucile, pubblicato tre
giorni dopo lo scoppio della guerra in Europa. Nessuno che abbia letto
attentamente i capitoli conclusivi l’ha definito pacifista; e io non sono mai
stato un pacifista. Sono stato, più volte, definito comunista ma è
un’etichetta cui ben pochi americani di coscienza, a cominciare dal
Presidente [Roosevelt, ndr], sono riusciti a sottrarsi.15
Trumbo vuole intendere che personalmente non era contrario alla guerra,
se necessaria - come in quel momento storico - a sconfiggere il nazismo, e
vuole chiarirlo al Bureau che lo sta invece tenendo d’occhio per
l’affiliazione al sindacato e più in generale per le sue idee progressiste.
Oltre a riferire che compra obbligazioni di guerra, in un’altra parte della
lettera l’autore accenna alla scarsa possibilità che paesi come la Francia
collaborazionista e la Gran Bretagna (almeno sino ai tempi dell’altalenante
politica del primo ministro Chamberlain verso la Germania hitleriana) siano
alleati affidabili contro il nazismo. Intende dire così che l’unica possibilità
reale, propria di una politica concreta (e così è stato, in effetti) è l’alleanza
strategica con Stalin, oltre all’appoggio britannico dopo l’avvento di
Churchill a Downing Street. E in particolare occorre adattarsi ai mutati
eventi politico-militari, come sottolinea ancora Trumbo, che ritiene la data
del 22 giugno 1941 (la sopraggiunta “Operazione Barbarossa”, l’attacco di
Hitler all’Unione Sovietica) lo spartiacque per appoggiare in modo convinto
l’intervento bellico statunitense.
Ambientato durante la prima guerra mondiale, scritto ai primordi del
secondo conflitto mondiale quando ancora è fresco il ricordo della guerra
civile spagnola,Johnny viene ampiamente recuperato - in special modo dai
giovani e dal movimento contro la guerra - durante i combattimenti in
Corea a inizio anni Cinquanta e soprattutto durante il conflitto (la “sporca
guerra”) in Vietnam, tra i Sessanta e i Settanta. Lo stesso scrittore dirigerà
un proprio adattamento cinematografico che sarà la sua unica prova da
regista, dopo che in un primo tempo, attorno al 1964, se ne è interessato il
grande autore spagnolo Luis Buñuel, al tempo residente in Messico. Il
romanzo è il lungo monologo interiore di Joe Bonham, un soldato
orribilmente ferito durante la prima guerra mondiale. La narrazione è
strutturata come un flusso di coscienza, dalla forma non convenzionale visto
che la punteggiatura è quasi assente, in costante equilibro tra realismo ricordi d’infanzia e adolescenza dello stesso autore - e onirismo. A poco a
poco si capisce che a parlare è l’unica parte ormai rimasta del corpo del
soldato: la mente. Il titolo deriva da un verso (“Johnny get your gun”) di
una canzone patriottica, Over There, scritta nel 1917 da George M. Cohan.
Washington Jitters (1936), la seconda opera, è una satira politica sul New
Deal. Narra la vicenda di Henry Hogg, di mestiere disegnatore di insegne,
che viene mandato a scrivere il nome del nuovo coordinatore dell’ASP
(Piano di Sviluppo Agricolo) sulla porta dell’ufficio amministrativo. Hogg è
un uomo normale, il genere di persona piena di buon senso che chiunque
direbbe capace di ripulire ciò che non va nella politica di Washington, se
solo gliene fosse data la possibilità. Questo momento arriva, forse in modo
un po’ eccessivo, in un giorno qualunque di lavoro. Non c’è ancora nessun
coordinatore per il Piano Agricolo, ma il reporter Harvey Upp, arrivato
nell’ufficio, intervista Hogg credendolo il nuovo dirigente. Upp rimane
molto colpito dall’eloquio semplice e chiaro dell’uomo. Di lì a poco il suo
nome è su ogni giornale del paese, dipinto come uomo del New Deal che
dice cose banali ma tutto sommato sensate. Una cosa tira l’altra, le assurdità
si susseguono, finché Hogg viene effettivamente nominato coordinatore per
il Piano di Sviluppo Agricolo ed è salutato in tutto il paese come l’uomo
destinato a portare gli Stati Uniti fuori dalla palude. Alla fine, Henry
lamenta la perdita della sua innocenza dicendo: «Non sono più un pittore di
cartelli, anzi non sono neppure più un uomo, non sono altro che un
politico». Il romanzo viene terminato nel novembre 1935, ma passano molti
mesi prima della pubblicazione, avvenuta nel settembre dell’anno
successivo. Il ritardo è dovuto al fatto che il manoscritto, appena consegnato
all’editore, finisce nelle mani di una compagnia teatrale che ne organizza
una riduzione per le scene, progetto poi rimasto sulla carta.16
The Remarkable Andrew (1940), ultimo romanzo concluso, è scritto in
concomitanza con la stesura di un soggetto di Trumbo effettivamente
prodotto dalla Paramount, per la regia di Stuart Heisler e l’interpretazione di
un giovane William Holden (l’attore, non contento del regista, ad un certo
punto della lavorazione richiede che sia Trumbo stesso a prenderne le redini
- sarebbe stato quindi il suo debutto alla regia -, ma lo sceneggiatore declina
l’offerta affermando che nella produzione di un film ci sono gerarchie da
rispettare). Dopo Johnny Get His Gun, scritto appena un anno prima, è
difficile per Trumbo trovare un soggetto che ne sia all’altezza, e infatti
l’opera non è del tutto riuscita, in bilico tra satira politica e parti fantastiche.
Lo scrittore torna a Shale City, dove aveva ambientato Eclipse e parte
di Johnny. Protagonista è Andrew Long, contabile amministrativo che
scopre degli ammanchi di denaro probabilmente avvenuti per mano del
sindaco e di due suoi sodali. Quando questi ultimi vengono a sapere che
Andrew sospetta di loro, trovano il modo di rivoltare l’accusa verso il
giovane. Viene svolta un’indagine puntigliosa sulla vita di Andrew - le sue
letture, opinioni, ogni suo pensiero - da parte di un comitato di cittadini (lo
scrittore ha ancora nella memoria la Lega della Lealtà nata durante la prima
guerra mondiale nella cittadina dove è cresciuto, Grand Junction in
Colorado). Andrew Long viene giudicato colpevole, a meno che non riesca
a provare la propria innocenza. La vicenda assume un tocco surreale con la
presenza del fantasma dell’ex presidente Andrew Jackson che cerca di
infondere coraggio al giovane, trovando inoltre il modo di lanciarsi in
dichiarazioni retoriche contro la guerra (siamo nel 1940, Trumbo al
momento è del parere di non intervenire nel conflitto mondiale; opinione
che cambierà, come detto, dopo l’aggressione tedesca all’Unione Sovietica).
Molte pagine sono inoltre spese in una sorta di retorico seminario svolto da
uno dei personaggi sui “veri valori americani”. La vicenda principale torna
negli ultimi capitoli, in cui Andrew si difende con successo davanti ai
concittadini. Il libro rileva chiaramente la propria natura di soggetto
cinematografico più che di romanzo concepito come tale, con strizzatine
d’occhio alla retorica e al surreale di alcuni film di Frank Capra, ma non è
un mix dei più riusciti, confermando la difficoltà di Trumbo nel scindere
ormai la sua attività cinematografica da quella di narratore tout court.
Nel corso della seconda guerra mondiale mette in cantiere una serie di
romanzi sulla storia americana, di cui scriverà qualche frammento anche in
carcere. Il progetto sarà accantonato durante il periodo di clandestinità.
Passeranno molti anni prima che Trumbo torni a cimentarsi in un’opera di
narrativa, che rimarrà incompiuta: Night of the Aurochs. In quest’ultimo
testo - pubblicato postumo nel 1979 - l’autore mette in scena, con
l’espediente della prima persona, una sorta di autobiografia di un nazista di
fantasia, Ludwig Richard Johann Grieben. L’edizione pubblicata, curata da
Robert Kirsch, propone i dieci capitoli conclusi, un riassunto di altre parti
per mano di Trumbo e frammenti abbozzati sparsi. Si prospettava un’opera
piuttosto corposa, ma che purtroppo è rimasta compiuta solo per un quarto.
In compenso nel periodo di silenzio nella narrativa scrive alcuni
brevi pamphlet di stampo politico-sociale. Il primo è Harry Bridge (1941),
storia di un sindacalista (1901-90) preso di mira dallo Smith Act,
emendamento all’Alien Registration Act (legge varata nel 1940 in chiave
anti-nazista e anti-fascista, ma che colpirà in special modo persone di
sinistra). La sostanza della legge colpisce i cittadini stranieri, che vedono
limitate certe attività associative considerate potenzialmente sovversive. Si
colpiscono in particolare attività sindacali (nel caso specifico, Bridge, di
nazionalità australiana, era il leader della union degli scaricatori di porto di
San Francisco). Dopo le esperienze dei processi e del carcere, ne scrive il
resoconto come pretesto per una più generale disquisizione sulla libertà
d’espressione in The Time of the Toad (1949; il titolo deriva da un concetto
espresso da Émile Zola in un articolo initolato Le Crapaud: il rospo
- Toad in inglese -, appunto). Segue un’altra forte critica allo Smith Act nel
racconto dell’esperienza giudiziaria di alcuni simpatizzanti comunisti
californiani in The Devil in the Book (1956). Ritorna sulla vicenda propria e
dei suoi colleghi dell’epoca dei Ten in Honor Bright and All That Jazz,
lungo articolo apparso su «The Nation» nel 1965 e poi ripubblicato nel
1972 assieme ai due precedenti scritti di denuncia. Nel 1970 è invece la
volta di un’ampia selezione di lettere degli anni 1942-1962 curata da Helen
Manfull, Additional Dialogue, che si può definire quasi un’autobiografia del
periodo più significativo e tormentato della sua vita: la seconda guerra
mondiale, i processi, il lavoro in clandestinità, fino all’emersione agli inizi
degli anni Sessanta.
Gli anni di formazione fino a Eclipse
Trumbo nasce a Montrose, Colorado, il 5 dicembre 1905. La famiglia è
presumibilmente originaria della Svizzera e poi dell’Alsazia-Lorena. Il
cognome passa da Trummelbach, a Trumbach, a Trumbeau fino al
trasferimento in Inghilterra, dove assume la sua forma finale. 17 Da qui, nel
1736, l’antenato giunge negli Stati Uniti, installandosi in Virginia. Dopo
altri spostamenti sempre più verso ovest, la famiglia passa per il Kentucky
fino a stabilirsi in Colorado. Quando Dalton ha due anni, la famiglia si
trasferisce a Grand Junction, una cittadina del Colorado che più avanti
servirà all’autore come modello per la Shale City di Eclipse. Il padre Orus
(1874-1925) si cimenta in varie professioni, da quella di venditore di scarpe
nel negozio locale Benge’s a quella di agricoltore e apicoltore, ma senza
grande successo. La famiglia si sposta a Los Angeles in cerca di miglior
sorte ma, ben presto, il padre rimane di nuovo disoccupato e oltretutto si
ammala gravemente. Sua madre Maud Tillery è impiegata nell’ufficio
amministrativo di un autosalone e non riesce da sola a mantenere le due
figlie ancora piccole e il figlio ormai maggiorenne agli studi. Dalton lascia
l’università e inizia a lavorare nel panificio industriale Davis Perfection
Bakery, posto che manterrà per nove anni raggiungendo anche una
posizione di responsabilità, soffrendo per la frustrazione delle sue ambizioni
letterarie ma acquisendo, dal contatto diretto con la miseria causata dalla
crisi, un’acuta consapevolezza sociale. Nel dicembre 1925 Orus Trumbo
muore dopo una straziante malattia (lo scrittore renderà in qualche modo
omaggio al padre in un passaggio di E Johnny prese il fucile). I turni di
notte consentono comunque a Dalton di frequentare alcuni corsi universitari
anche se mai in modo sistematico. Rimasta vedova precocemente, Maud
sarà un punto di riferimento per il figlio al quale darà un’educazione
religiosa come cristiano scientista. Dalton si distaccherà comunque presto
dalla religione, anzi in qualche modo incolpando la madre di aver seguito
troppo pedantemente i precetti del proprio culto e non aver almeno tentato
di salvare la vita al padre. La religione scientista più ortodossa, infatti,
rifiuta le cure mediche; Orus muore senza aver ricevuto la visita di un
medico se non in prossimità del decesso. In extremis, per evitare la futura
autopsia, la madre accetta che un dottore visiti il marito e all’uomo è così
diagnosticata l’anemia perniciosa. Orus è ormai però un malato terminale.
Come afferma lo stesso Trumbo nella biografia di Cook, la magra
consolazione è che il padre sarebbe morto comunque, perché la cura
sarebbe stata scoperta solo qualche anno più tardi. Con la madre il rapporto
diventa conflittuale e in sostanza tornerà normale solo molti decenni più
tardi. Il posto di lavoro al panificio industriale non lo allontana comunque
dal suo obiettivo: diventare uno scrittore. Nel 1932 inizia a pubblicare
racconti su «Vanity Fair» e sull’«Hollywood Spectator», del quale diviene
poi caporedattore abbandonando l’impiego ormai divenuto alienante. Il
giornale, comunque, non gli pagherà mai un salario sufficiente. Trumbo
lascia lo «Spectator» nel 1934 e, un anno più tardi, viene assunto prima
come lettore e in seguito come sceneggiatore presso la Warner Bros grazie a
Frank Daugherty, sua vecchia conoscenza al giornale. Pubblica in questo
periodo il suo primo romanzo completo, dopo alcuni altri tentativi lasciati
incompiuti (se ne contano diversi, ma vari frammenti sono rientrati nelle
opere successive).
Eclipse esce grazie a una casa editrice inglese, il cui proprietario Lovat
Dickson è un australiano cresciuto in Canada. Consegnato il manoscritto nel
1934, in prossimità della pubblicazione lo stesso Trumbo scrive alla sua
agente letteraria Elsie McKeogh per richiedere l’aggiunta della dedica al
nonno materno, Millard F. Tillery (1857-1935) e alla nonna, Huldah.
Nonostante la richiesta non ottenga risultati, probabilmente perché il
romanzo è già in procinto di andare in stampa, la lettera, datata dicembre
1934, è degna di nota perché sottolinea in parte l’aspetto autobiografico del
racconto, mettendo in luce il ruolo vigoroso del nonno nella formazione
della parte del Colorado in cui la vicenda si muove. Il vecchio Tillery aveva
infatti partecipato alle bonifiche delle terre e ricoperto il ruolo di sceriffo
per dodici anni in un luogo non ancora del tutto civilizzato. La dedica sarà
reintrodotta nell’edizione del 2005, pubblicata in occasione del centenario
della nascita dello scrittore e a settant’anni dalla prima pubblicazione.
La cittadina del Colorado in cui la vicenda si svolge è in realtà, come
detto, Grand Junction. I personaggi sono riflessi di persone realmente
esistite, la cui vicenda è riportata grossomodo fedelmente o con alterazioni
giustificate dalla creazione letteraria. Proprio a causa dell’eccesso di
identificazione con persone reali, la cittadina reagisce con stizza al ritratto
impietoso che ne fa l’ex concittadino. Si tenga conto in particolare che
l’uomo che funge da modello per il protagonista è ancora in vita e, a causa
della crisi economica, non versa in buone condizioni.
Eclipse è il tipo di romanzo che ogni scrittore vorrebbe come proprio
esordio. Nel caso specifico dell’autore, rimane sicuramente superiore - forse
perché più personale - alla coppia di romanzi che seguiranno. La vicenda
narrata è divisa in tre parti. Al centro c’è John Abbott che, quando lo
incontriamo nel 1926, è l’uomo d’affari di maggior successo di Shale City.
Il suo grande magazzino, l’Emporio, «il più grande tra Denver e Salt Lake
City», produce floridi affari. La sua banca prospera. È l’uomo più rispettato
e ammirato della città. Diversi personaggi locali lo cercano per chiedere
consiglio su questioni di lavoro e investimenti: c’è il concorrente Harry
Twinge, la beghina locale Violet Budd, la tenutaria del bordello Maria Telsa,
il rappresentante Bill Hitchcock, il giovane impiegato Phil Haley. Abbott
stesso non è comunque esente da problemi: vuole disperatamente liberarsi
della moglie per poter sposare Donna Long, una donna intelligente e attiva
che è la sua vice all’Emporio. I due portano avanti da anni una relazione che
la moglie di Abbott ha appena scoperto. In un capitolo centrale di questa
parte Abbott è a colloquio con il professor Hermann Vogel, una sorta di
“voce della coscienza” che, con riferimenti storici e sociali non sempre
semplici da decifrare fuori dal contesto statunitense, lo mette in guardia
dalla troppa adulazione che in città si riversa su di lui (come si vedrà, Vogel
sarà profeta, seppur condannato a un trattamento da Cassandra). La prima
parte si chiude con un colpo di scena.
La seconda sezione del romanzo (che si svolge negli anni 1928-29) vede
Abbott tornare da un viaggio sulla costa orientale. È pieno di ambizioni e
idee, pianifica di migliorare la città, provando a renderla ancora più
moderna ed efficiente. Sente di avere una sorta di “missione”, che la sua
condizione economica abbiente lo mette in grado di poter adempiere per il
bene della sua comunità. Tra questi piani c’è anche la costruzione della
nuova piscina pubblica, che Abbott finanzia dopo il tragico annegamento di
un ragazzo nel fiume. La piscina viene inaugurata alla vigilia del rovescio
azionario del 1929.
Nella terza sezione (1930-33) John Abbott affronta la Grande
Depressione, quando i suoi affari iniziano a declinare paurosamente. Allo
stesso tempo si assiste alla caduta, fisica e psicologica, del protagonista e
con lui del mondo che aveva immaginato e provato a rendere concreto per
la propria generazione e quelle successive.
Nel capitolo 8 del secondo Libro è citato di sfuggita Babbitt, romanzo del
1922 di Sinclair Lewis ambientato nella cittadina fittizia di
Zenith. Eclipse può essere definito un “Babbitt al contrario”. Mentre George
Babbitt perde la propria identità quando viene inghiottito dal successo, John
Abbott trova se stesso solo dopo il fallimento. Nel gruppo di uomini d’affari
della Zenith di Babbitt, Abbott è come personalità più vicino a Samuel
Dodsworth, protagonista di un altro romanzo di Lewis, Dodsworth (1929).
È uomo di bell’aspetto, onesto e intelligente, di buoni propositi. In effetti
Abbott è il tipico modello di capitalista illuminato: un filantropo, un uomo
che accetta le responsabilità del suo benessere. Ed è questo che Trumbo
riesce a realizzare in Eclipse: attacca con successo l’etica degli affari come
punto di forza, presentando Abbott allo stesso tempo come campione e
vittima del capitalismo della piccola città. Come afferma Bruce Cook,
«John Abbott non è una caricatura. È un uomo a tutto tondo con la sua
profondità, degno di ammirazione, e tuttavia distrutto dal sistema che
accetta e dalla città nella quale crede».18
Uno degli scopi della scrittura di Trumbo è presentare un quadro della vita
di Grand Junction, il flusso e riflusso degli eventi, le frustrazioni e le
passioni soffocate. Ma non solo. Basti considerare le conversazioni tra
Abbott e Hermann Vogel. Quest’ultimo è una sorta di via di mezzo tra un
erudito amatoriale e un filosofo, persona incline a vedere le cose con uno
sguardo freddamente intellettuale. È anche una sorta di alter ego di Trumbo
stesso, o comunque il personaggio che più si avvicina al pensiero dello
scrittore su Abbott e sugli abitanti della cittadina. Vogel inoltre presenta
delle curiose somiglianze col Trumbo più maturo, spesso caustico nelle
proprie opinioni (all’epoca della stesura Trumbo non ha ancora trent’anni, e
sceglie come proprio contraltare nel romanzo il giovane reporter Freddy
Kilner).
Rivolgendosi a John Abbott, per esempio, Vogel dice: «Temo che morirai
di piedistallite, vecchio mio, proprio com’è capitato al tuo archetipo».* E il
suo archetipo, gli dice Vogel, è Napoleone, che si è espresso chiaramente
affermando: “I vostri legittimi re possono essere sconfitti venti volte e
tornare comunque ai loro troni. Ma io non sono che un soldato parvenu… e
il mio trono poggia sui miei trionfi in battaglia”. Come afferma Cook: «(...)
così veniamo invitati a vedere John Abbott come un uomo d’affari parvenu,
uno che dentro la società e il sistema deve di continuo guadagnarsi il suo
posto sul piedistallo con nuovi trionfi nel campo degli affari, e gesti di
filantropia sempre più clamorosi. Dovesse vacillare, dovesse fallire nel
produrre successi, verrebbe gettato nella polvere e non gli sarebbe
nemmeno concessa la grazia dei Cento giorni che il destino ha offerto a
Napoleone. (…) [Calandosi nella normalità di una cittadina del Colorado in
pieno sviluppo la] grande legge del “cosa-hai-fatto-per-me-di-recente”
prevale, e quando Abbott non riesce più a soddisfare l’insaziabile Moloch di
Shale City, pochi gli mostrano un briciolo di compassione». 19 Nemmeno il
suo amico Vogel, l’intellettuale immigrato, prova pietà per lui:
«Io amo l’America», mormorò Hermann Vogel. «E non voglio tornarmene
a casa. Non adesso, per lo meno. Non mi perderei questi momenti di gloria
per tutto l’oro del mondo. È come… come immergersi in un bagno
purificante. È come spulciare un cane, e veder cadere morti un milione di
minuscoli insetti che lo hanno reso infelice Dio solo sa per quanto tempo.
Ecco cosa succede all’America, amico mio. Le pulci vengono scacciate dal
corpo della politica. Se ogni tanto una formica come te, o un ragno come
me, ci rimangono secchi… be’, è un deplorevole incidente, ma un sacrificio
che possiamo fare volentieri. Io, dal canto mio, sono quasi in estasi
all’idea».
Con allusioni e consigli come questi, e in una scena apertamente radicale
nella quale un giovane “rosso” arringa la folla in un angolo di strada e canta
l’Internazionale mentre gli sbirri lo portano via, Eclipse dimostra di essere
un romanzo molto più spinto a sinistra di quanto ci si possa aspettare da
Dalton Trumbo in questa fase della sua vita. Vediamo quindi che nel 1934,
all’età di ventinove anni, l’autore è già fortemente avviato sulla strada del
progressismo.
Il protagonista di Eclipse è modellato direttamente dalla realtà. William J.
Moyer (1859-1943) è un uomo d’affari di Grand Junction, un commerciante
di cui il John Abbott di Trumbo è un fedelissimo ritratto. Il grande
magazzino di Moyer, “The Fair”, chiude durante la Depressione, e la sua
banca non riesce a ripartire dopo la chiusura del 1933. Anche la sua indole è
molto coerente con quella di Abbott: mente aperta, generosità, grande
impegno filantropico. Risponde a verità la donazione di una piscina alla
città di Grand Junction, chiamata Moyer Natatorium, ed è proprio Elizabeth
Trumbo, la sorella dello scrittore - all’epoca una bimba di sei anni - a farvi
il primo tuffo nel giorno dell’inaugurazione. Tenendo conto di altri
particolari, - il matrimonio traballante, le voci di una relazione duratura con
una sua impiegata - la somiglianza è netta. Il popolo di Grand Junction che
lo conosce ben sa che, punto per punto, John Abbott
semplicemente è Moyer. E in molti si risentono di questo fatto, in primo
luogo a causa di un particolare importante in cui Moyer differisce da
Abbott: il commerciante è ancora vivo quando il romanzo viene pubblicato.
Venendo a conoscenza del libro Moyer potrebbe quindi rimanerne ferito, il
che urta, anche a distanza di anni, la sensibilità dei suoi concittadini. Lo
stesso primo biografo di Trumbo, Bruce Cook, ben quarant’anni dopo gli
eventi si scontrerà con un “muro di gomma” da parte di abitanti di Grand
Junction che hanno conosciuto le persone descritte (con nomi diversi) nel
romanzo. Il figlio del venditore di scarpe Benge - che sarebbe il figlio del
Twinge del romanzo - è molto esplicito a questo riguardo nella breve
conversazione con Cook. Nel visitare la biblioteca pubblica, però, il
biografo si accorge che l’interesse per quelle vicende è ancora forte, se le
copie presenti del romanzo sono sempre prenotate...
In molti a Grand Junction considerano il John Abbott di Trumbo alla
stregua di uno sgarbo nei confronti di W.J. Moyer. Tra questi c’è il vecchio
capo dell’autore al Grand Junction Sentinel, Walter Walker, che nel
romanzo corrisponde a Stanley Brown. Trumbo gli spedisce una copia
autografata di Eclipse poco dopo la pubblicazione. Nella lettera acclusa, a
proposito del romanzo osserva:
In quanto a Eclipse, spero che non ti arrabbierai se vi troverai
personaggi che potresti riconoscere. Sono convinto che tutti i romanzi si
fondino su realtà che l’autore distorce per scopi narrativi, per assecondare
le sue intenzioni. Non pretendo che i ritratti tracciati in Eclipse siano reali,
anche se tu, ne sono sicuro, ravviserai almeno alcune caratteristiche dei
loro contraltari nella vita reale. Non chiedo scusa, sebbene confessi di aver
avuto qualche scrupolo. Ma il lavoro è compiuto, mi ha preso un bel po’ di
tempo, e da quando ho saputo che una o due copie sono già arrivate a
Grand Junction non ha senso tentare di nasconderlo. Ti allego una copia
della recensione che è apparsa nello spocchioso supplemento letterario del
«Times» di Londra, una recensione che, come puoi facilmente indovinare,
mi ha reso estremamente felice. 20
Come dice Cook, la lettera, che termina «con stima, Dalton», potrebbe più
francamente firmarsi «con ansia, Dalton», visto che il trentenne Trumbo è
chiaramente a disagio all’idea della reazione di alcuni abitanti della
cittadina in cui è cresciuto, e del proprio mentore Walter Walker in
particolare. Il suo ex direttore, l’uomo che in sostanza l’ha avviato alla
scrittura e allo stesso tempo lo incoraggia a considerare di dedicarsi alla
carriera politica (lo farà, di fatto, anche se non per la via che prospettava
Walker), risponde a Trumbo un mese dopo. Scrive più con dolore che con
rabbia:
Mio caro Dalton,
[…] non occorre dire che Eclipse ha causato un gran numero di
commenti in città. Mentre nella tua lettera dici che non pretendi che i
ritratti inseriti in Eclipse siano reali, tuttavia la gente che vive in una città
adoperata come scenario per un romanzo o un racconto è incline ad
accettare come reale ogni personaggio che pensa di riconoscere.
Naturalmente, non provo sentimenti di rabbia nei tuoi confronti per via del
libro. Dopotutto, è una tua precisa scelta quella di utilizzare la cittadina in
cui hai vissuto per dimostrare il tuo talento, se ritieni che sia la cosa giusta.
Inoltre, vedendola da un punto di vista egoistico, posso dire che non avrei
motivo di lamentarmi visto che sono trattato molto correttamente nel libro.
In tutta franchezza, però, con tutto il rispetto e l’affetto che ho per te e
l’ammirazione per il tuo talento, mi dispiace che tu abbia sentito l’esigenza
di rendere pubblica la vicenda proprio adesso. L’unica personalità
coinvolta nel libro che mi spinge a dire questo è W.J. Moyer. Non gli si
fossero accumulate contro sventure così pesanti e frequenti, e se non fosse
ancora vivo, questo mio dispiacere sarebbe considerevolmente minore. Non
posso esserne certo, ma credo che il libro sia ispirato da una qualche
convinzione, vera o immaginaria, che tu o la tua famiglia abbiate subito un
grande danno da parte di questa comunità e forse dall’uomo che tu chiami
John Abbott, e in tal caso certamente non tenterò di condannare la tua
opera.
con stima,
W.W.
Il pensiero diffuso nella cittadina del Colorado è che Trumbo abbia scritto
il romanzo sull’onda del risentimento, ed è probabile che ciò sia vero,
almeno nelle sue linee generali. Walter Walker non erra, in altre parole, nel
presumere che Eclipse sia ispirato dalla sensazione che Dalton Trumbo e la
sua famiglia avessero subito «un grande danno da parte di questa
comunità». In effetti soprattutto il padre di Trumbo, Orus, era stato trattato
malamente, avendo a carico moglie e tre figli ancora molto giovani. Cook si
chiede: «Ma, nello specifico, ciò è stato provocato dall’uomo chiamato John
Abbott? Questa interpretazione - molto popolare a Grand Junction - non sta
in piedi. Lascia presumere che il ritratto che Trumbo fa di Moyer come John
Abbott manchi di empatia, cosa che non è vera. Trumbo lo presenta anzi
come l’uomo di maggior decoro in città, una persona fortunatamente libera
dall’ipocrisia che domina. Eclipse è un genuino sforzo di comprendere un
uomo e il suo rapporto con la città nella quale vive». 21 Qual è allora la
ragione secondo la quale gli abitanti di Grand Junction si mostrano irati col
libro e con l’autore? Lo stesso Trumbo, conversando con Cook, afferma:
«In realtà ciò che odiavano del libro è il fatto che si trattasse di un attacco
nei loro riguardi, nei riguardi di una città falsa. Tutti potevano prendere
tanto da un uomo, leccargli così apertamente il culo, e poi girargli le spalle
come se niente fosse. Ed è questo che non mi è andato giù».22
L’interesse verso Moyer si può leggere anche come spunto autobiografico.
Trumbo lo collegava idealmente al padre Orus, maltrattato in varie
occasioni dalla cittadina, col licenziamento dal negozio di calzature Benge
come apice, dopo anni di fedele servizio; evento che ha costretto la famiglia
a emigrare verso la California. L’autore vede questo passaggio della vita del
genitore come l’inizio della sua fine, avvenuta in effetti dopo pochi anni a
Los Angeles. «Forse posso aver reagito a questo fatto in modo meno
corretto di quanto avrei potuto. Ma quando ho riflettuto sul destino che è
toccato al signor Moyer dopo la Depressione - ne ero al corrente seguendo
la vicenda sul giornale di Grand Junction - ho potuto concludere che è in
pratica la stessa circostanza: si tratta di un uomo distrutto», afferma ancora
Trumbo.23
Solo nel 2005, a settant’anni dall’uscita e nel centenario della nascita dello
scrittore, un’associazione di biblioteche del Colorado decide di ripubblicare
il romanzo sancendo così una sorta di riappacificazione col suo antico
esponente cittadino. Shale City continuerà a essere luogo simbolico
importante nella creazione di Trumbo, dal momento che tornerà anche in
altri romanzi, primo fra tutti Johnny Got His Gun.
La trasfigurazione letteraria sopravvive nel tempo grazie alla creazione
narrativa, mentre i modelli reali, col passare degli anni, sbiadiscono insieme
al ricordo degli ultimi che hanno vissuto quell’epoca. Il riferimento quindi a
persone e luoghi di Grand Junction del periodo appena precedente alla
stesura (il plot segue l’arco temporale 1926-1933) oggi appare come un
mero esercizio, ma viene svolto con scrupolo nella prefazione all’edizione
originale Mesa County Public Library Foundation, alla base di questa
edizione italiana. Si illustrano così i corrispettivi reali di molti personaggi e
luoghi che appaiono nel romanzo. Il protagonista, John Abbott, come
ricordato, è basato su William J. Moyer, proprietario di un emporio di
successo chiamato “The Fair Store” (qui ribattezzato semplicemente “The
Emporium”), aperto dopo il suo arrivo a Grand Junction nel 1890, diventato
presto di discreta grandezza. Lui e la moglie Ida non hanno figli, ma
crescono come tale il nipote William Weiser (nel romanzo è Gerald Abbott).
Tra le benemerite azioni filantropiche verso la cittadina, Moyer fa costruire
una piscina pubblica nel 1922, in memoria di un giovane, figlio di un suo
impiegato, annegato nel Colorado River. Il vero Moyer muore non più
molto abbiente dopo la crisi dovuta alla Depressione: il negozio è chiuso da
tempo, così come la banca da lui fondata (situazioni riprodotte nel romanzo,
anche se l’Emporio va incontro a una fine si può dire definitiva anche come
luogo fisico).
Il negoziante di scarpe, Bertram M. Benge, fondatore di Benge’s, ditta
tuttora in attività a Grand Junction, è il modello per Harry Twinge; il padre
dello scrittore lavora in questo negozio per molti anni, prima di venirne
licenziato. Violet Budd, la beghina sempre in prima fila per qualche
battaglia moralistica, si chiamava Emma Budilier. Il reverendo Forsythe è lo
Slocum del romanzo, mentre Maria Telsa “la zoppa” (Stumpy Telsa) si
chiamava “Broken Jaw Nell” Paige, il cui soprannome derivava da
un’ampia ferita alla mascella provocata da uno sparo (nel romanzo i colpi
feriscono le gambe, da cui il nomignolo). L’Hermann Vogel del romanzo è
basato sul professore di storia Hydle, ma è anche la “voce” di Trumbo
stesso, mentre l’autore si raffigura nell’apprendista reporter Freddy Kilner.
Il giovane Phil Haley, che Abbott assume all’Emporio dopo un furto
perpetuato “per necessità” nella banca cittadina, in realtà è Bernard
Woolverton. Il tuttofare italiano “Me-catch-me-kill” (qui reso
“Chiappammazza”) era un tizio conosciuto come “Old Santa Claus Smith”.
La signorina Eva Septimus, insegnante, è ricalcata su Julia Taylor (docente
di latino) e sulla comproprietaria di appartamento di Belle Lay (la vera
Donna Long), una certa signorina Wilson. L’energico Henry Wilhelm,
animatore della YMCA, si chiamava Webber. Fred Best è Harold
Wolverton. Walter Goode è D.B. Wright, anch’egli agente immobiliare
come il suo corrispettivo. Art French è Sterling D. Lacy. Richard Maesfield,
ricordato in un flashback da Abbott come “vittima” del progresso di Shale
City, si chiamava J. Talbott. La Mildred Wessingham del romanzo è Edith
Wickersham (vera la vicenda del ricatto a Moyer/Abbott). Hermann Schonk
è A.E. Carleton. Merle McClintock, che lavora al «Sentinel», è il modello di
Claudia McQuaid. Il dottor Lawrence, medico personale di Abbott, è il
dottor Day. La caffetteria della signora Alloway è in realtà quella della
signora Glessner. George Boone, infine, è Bill McGuire, vero assistente
direttore del “Fair Store”.
L’autore immette varie considerazioni autobiografiche, sparse tra diversi
personaggi. Esplicitamente, data l’età, si immedesima in Freddy Kilner,
giovane reporter (Trumbo ha svolto la stessa attività negli anni di Grand
Junction); Gerald Abbott viene definita persona dall’ottima oratoria
(l’autore era “campione” giovanile di questa disciplina); il racconto degli
assegni di Phil Haley è un evento narrato dallo stesso Trumbo a Cook e
riportato nella biografia dell’autore. Per finire il professor Vogel ha molti
aspetti curiosamente anticipatori del Trumbo maturo.
NOTE
(1) Termine coniato dal nome del senatore conservatore
repubblicano Joseph McCarthy, che riveste un ruolo importante tra
gli anni 1950 e 1954 ma non nella prima fase (dal 1947) in cui è
coinvolto Dalton Trumbo.
(2) Tratto da Sciltian Gastaldi, Fuori i rossi da Hollywood! - Il
maccartismo e il cinema americano, Torino, Lindau, 2004, pp. 99100.
(3) Fuori i rossi..., op.cit., pp. 98-99.
(4) Stewart è un drammaturgo oltreché sceneggiatore, e al cinema
vince l’Oscar per The Philadelphia Story (1940; Scandalo a
Philadelphia, regia di George Cukor, con Katharine Hepburn e Cary
Grant). È entrato nella blacklist nel 1950. Foreman scrive il classico
e premiato western High Noon(1952; Mezzogiorno di fuoco, regia di
Fred Zinnemann, con Gary Cooper). Proprio durante le riprese del
celeberrimo film è chiamato dal Committee. Prima di vedersi
incriminato e farsi portare via il passaporto, riuscirà ad approdare a
Londra.
(5) Dalton Trumbo, Lettere dalla guerra fredda - Il dramma del
maccartismo narrato da un grande sceneggiatore cinematografico,
Milano, Bompiani, 1972, pp. 54-55 (traduzione di Franca Pirozzi di
un’edizione parziale di Additional dialogue, 1970). Qui, come in altri
passi tratti dalla medesima edizione, la traduzione originaria è
aggiornata tenendo conto del testo inglese.
(6) Lettere dalla guerra fredda, op.cit., p.72.
(7) Oltre al nome del protagonista del suo primo romanzo Eclipse,
“John Abbott” è anche quello di un personaggio di A Man to
Remember, film RKO scritto da Trumbo nel 1938, per la regia di
Garson Kanin.
(8) Lettere dalla guerra fredda, op.cit., p.74.
(9) Bruce Cook, Dalton Trumbo, New York, Charles Scribner’s Sons,
1977, pp. 259-260 (ed.it. L’ultima parola - La vera storia di Dalton
Trumbo, Milano, Rizzoli, 2016, pp. 329-330; traduzione di Mauricio
Dupuis e Cecilia Martini).
(10) Lettere dalla guerra fredda, op.cit., pp. 179-180. Di questi
progetti degli anni 1957-58 vanno in porto Terror in a Texas Town (Il
terrore del Texas, United Artists), la “ripulitura” del film di John
Huston Heaven Knows, Mr.Allison (L’anima e la carne) e il film con
Anna Magnani Wild Is the Wind (Selvaggio è il vento). Per i fratelli
King lavora al non realizzato Mr. Adam.
(11) Ibid., pp. 185-186.
(12) La vicenda è narrata dallo stesso Douglas in I am Spartacus! Making a Film, Breaking the Blacklist, Open Road Media, 2012
(ed.it. Io sono Spartaco!, Il Saggiatore, 2013). Solo Douglas e
pochissime altre persone sanno che Trumbo è il reale autore del
copione, e così sarà anche durante la fase di montaggio. Douglas
narra, a testimonianza di questo, che lo scrittore viene portato alla
Universal in incognito (nascosto sotto un lenzuolo nel sedile
posteriore di un’auto) a visionare un primo montaggio grezzo del
film.
(13) Il film in questione sarà girato nel 1974, ma con diversi integranti
al progetto.
(14) Premio che dal 1950 si chiamerà National Book Award.
(15) Trumbo, Lettere dalla guerra fredda, op.cit., pp. 8-9.
(16) Bruce Cook, Dalton Trumbo, op.cit., pp. 96-97 (ed. it., pp. 125127).
(17) Ibid., p. 25 (ed.it., pp. 37-38).
(18) Ibid., p. 80 (ed.it., p. 106).
(19) Ibid., p. 81 (ed.it., pp. 106-107).
(20) Il passo della lettera, in Cook, Dalton Trumbo, op.cit., pp. 82-83
(ed.it., p. 108). La recensione non firmata del supplemento letterario
del «Times» questo riporta riguardo il romanzo: «(...)
In Eclipse Dalton Trumbo ha fatto di più che scrivere un romanzo
ben costruito e interessante sulla vita moderna. Grazie alle
implicazioni della vicenda giunge a criticare l’etica, sociale e
commerciale, di una media città americana. Nei suoi ultimi giorni
John Abbott richiama la nostra compassione; ma non ne riceve - con
una singola eccezione - dalle molte persone che hanno tratto
beneficio da lui. Una volta che il suo prestigio inizia a scemare,
uomini e donne che così altruisticamente ha aiutato gli si rivoltano
contro. È nella trattazione dell’abbandono che poggia la sostanza
dell’attacco di Trumbo. È pur vero che uno dei personaggi secondari,
Hermann Vogel, dà voce a quelle che sono probabilmente le opinioni
dell’autore stesso, ma le sue analisi sono meno efficaci rispetto al
fatale sviluppo della vicenda. Trumbo è con ogni evidenza
ammiratore dei romanzi di Sinclair Lewis e potrebbe forse meritare,
un giorno, di esserne degno successore».
(21) Cook, Dalton Trumbo, op.cit., p. 84 (ed.it., p. 110).
(22) ibid., p. 84 (ed.it., pp. 110-111).
(23) ibid., p. 84 (ed.it., p. 111).