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Geotecnica

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Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
CAPITOLO 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
1.1 Origine dei terreni
I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce. I processi di alterazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in frammenti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di erosione delle acque, all’azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all’azione delle piante,
degli animali, dell’uomo. I processi di alterazione di natura chimica o organica decompongono invece i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale, che
costituiscono poi la frazione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fenomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti
nell’acqua o prodotti dai batteri.
I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli) derivanti da questi processi di alterazione vengono poi trasportati (più o meno lontano) e successivamente depositati dal vento, dall’acqua e dai ghiacciai; durante la fase di trasporto possono subire ulteriori processi
di disgregazione meccanica o di alterazione chimica.
Nella Figura 1.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni.
Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi fisici,
le particelle di terreno avranno la stessa composizione delle rocce di origine; se si hanno
anche trasformazioni chimiche si formano altri materiali. L’esempio più importante in
ambito geotecnico sono i minerali argillosi, tra i quali i più noti sono caolinite, illite e
montmorillonite.
Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni,
sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali.
Figura 1.1 - Rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni
1-1
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
1.2 Struttura dei terreni
Anche il risultato finale dell’aggregazione delle particelle, che costituisce la struttura del
terreno, può essere molto vario ed influenzarne marcatamente il comportamento.
In particolare, i caratteri strutturali del terreno possono essere evidenziati a diverse scale,
ossia in termini di:
−
microstruttura
−
macrostruttura
−
megastruttura
Quando si parla di caratteri microstrutturali ci si riferisce alla forma e alle dimensioni dei
grani e ai legami esistenti tra le particelle; i caratteri macrostrutturali sono invece quelli
osservabili su una porzione di terreno di dimensioni limitate (ad esempio un campione di
laboratorio) e sono costituiti da fessure, intercalazioni, inclusioni di materiale organico,
ecc..; i caratteri megastrutturali sono infine quelli evidenziabili a grande scala, come ad
esempio giunti, discontinuità, faglie.
Per ora ci limiteremo ad analizzare l’influenza dei caratteri microstrutturali sul comportamento dei terreni. In particolare, se pensiamo al terreno come ad un aggregato di particelle solide e acqua interstiziale, possiamo facilmente immaginare che in questa miscela
esistano due tipi di interazione:
−
un’interazione di tipo meccanico, dovuta alle forze di massa o di volume
−
un’interazione di tipo chimico, dovuta alle forze di superficie
Sulla superficie esterna di ogni granulo esistono infatti delle cariche elettriche che lo portano ad interagire con gli altri granuli e con l’acqua interstiziale. Quindi, se la superficie
esterna è piccola in relazione alla massa, anche le azioni superficiali sono modeste e
quindi prevalgono le interazioni di tipo meccanico (in tal caso si parla di granuli “inerti”),
se la superficie è grande anche le azioni superficiali, e quindi le interazioni di tipo chimico, possono diventare importanti, addirittura più importanti di quelle di volume (in questo
caso si parla di granuli “attivi”).
Di conseguenza, l’elemento distintivo tra la prevalenza delle forze di volume o delle forze
di superficie è legato essenzialmente alla geometria dei granuli, ovvero alla superficie riferita all’unità di massa, che si definisce superficie specifica:
Ssp =
S
S
=
M ρ⋅V
(Eq. 1.1)
dove S è la superficie del granulo, M la massa, V il volume e ρ la densità.
Se, ad esempio, prendiamo un grammo di sabbia e sviluppiamo tutte le superfici esterne
dei grani in esso contenuti, otteniamo che il valore della superficie specifica è dell’ordine
di 10-3÷10-4 m2; se invece prendiamo un grammo di argilla “molto attiva” vediamo che la
somma delle aree laterali di tutti gli elementi solidi che questo contiene può essere
dell’ordine di 800 m2. È da notare che la superficie specifica di un certo materiale dipende
1-2
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
dalla forma e dalle dimensioni delle particelle, come è possibile dedurre dalla definizione
(Eq. 1.1) 1.
Valori tipici della dimensione media e della superficie specifica di sabbie e argille sono
riportati in Tabella 1.
La conseguenza di quanto detto sopra è che nei materiali come le sabbie l’interazione tra i
granuli è esclusivamente di tipo meccanico, mentre nelle argille le azioni sono quasi
esclusivamente di tipo chimico-fisico.
Tabella 1. Dimensione media e superficie specifica di sabbie e argille
SABBIE (forma sub-sferica)
Dimensione media
Superficie specifica
[mm]
[m /g]
2 mm
2⋅10
10-6
fino a 840
(0.03 ÷ 0.1)x 10-3
65 ÷ 200
(0.1 ÷ 4) x 10-3
10 ÷ 20
2
-4
MINERALI ARGILLOSI (forma lamellare):
MONTMORILLONITE
ILLITE
CAOLINITE
Dunque, una prima distinzione tra i vari tipi di terreno può essere fatta in base alle dimensioni e alla forma delle particelle che li costituiscono, perché questo è un elemento che ne
differenzia notevolmente il comportamento. Dimensioni e forma delle particelle dipendono dai minerali costituenti.
Si distinguono così, in primo luogo, i terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie) e forma
sub-sferica, o comunque compatta, dai terreni a grana fine (limi e argille) e forma appiattita o lamellare, nei quali i singoli grani non sono visibili a occhio nudo.
I terreni naturali consistono generalmente in una miscela di più tipi di terreno appartenenti
alle due categorie suddette, a cui può aggiungersi talvolta del materiale organico.
Analizzando un poco più in dettaglio le caratteristiche delle due grandi categorie di terreni
che abbiamo appena definito, si può affermare che i terreni a grana grossa sono generalmente costituiti da frammenti di roccia o, nel caso delle particelle più piccole, da singoli
minerali o da frammenti di minerali (ovviamente minerali sufficientemente resistenti e
stabili dal punto di vista chimico, come ad esempio quarzo, feldspati, mica, ecc..).
I materiali meno resistenti danno origine a terreni con grani più arrotondati, quelli più resistenti a granuli più irregolari.
Il comportamento dei terreni a grana grossa dipende soprattutto:
−
dalle dimensioni
1
In particolare, nell’ipotesi di forma sferica, alla quale si avvicinano ad esempio i grani di una sabbia:
S = πD2, V = πD3/6, quindi Ssp = 6/ρD. Nell’ipotesi di parallelepipedo appiattito, forma simile a quella del1⎛2 2 2⎞
le particelle di argilla, di dimensioni BxLxh: S = 2LB + 2Bh + 2Lh, V = BLh; quindi Ssp = ⎜ + + ⎟ e
ρ⎝h B L⎠
se l’altezza h è molto minore delle altre due dimensioni, S ≅ 2 . In conclusione, la Ssp aumenta al dimisp
ρh
nuire delle dimensioni e con l’appiattimento delle particelle
1-3
Capitolo 1
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−
dalla forma (angolare, sub-angolare, sub-arrotondata, arrotondata) (Figura 1.2)
−
dalla distribuzione granulometrica (Figura 1.3)
−
dallo stato di addensamento dei granuli (Figura 1.4).
ANGOLARE
ARROTONDATA
Nel caso dei terreni a grana fine, le informazioni relative alla distribuzione e
alle caratteristiche granulometriche sono meno significative. I terreni a grana
fine sono aggregati di particelle colloidali di forma lamella-re, che risultano
dalla combinazione di molecole (o unità elementari). Le unità elementari sono rappresentate da tetraedri (con atomo di silicio al centro e ossigeno ai
vertici) o ottaedri (con atomi di alluminio o magnesio al centro e ossidrili
ai vertici) (Figura 1.5) che si combinano tra loro per formare reticoli piani
(pacchetti elementari). Successive
combinazioni diverse di pacchetti elementari danno origine alle particelle di
argilla.
SUBANGOLARE
SUBARROTONDATA
Figura 1.2 – Forma delle particelle
A seconda della loro composizione i
pacchetti possono stabilire legami più o
SABBIA BENE ASSORTITA SABBIA POCO ASSORTITA
meno forti tra loro e in relazione a queFigura 1.3 – Tipo di assortimento di una sabbia
sto le particelle di argilla possono avere
uno spessore più o meno elevato e i terreni possono presentare un comportamento meccanico molto diverso tra loro. Ad esempio la caolinite ha uno
spessore tipico di circa 1µm, ha legami
piuttosto forti ed è quindi un’argilla
stabile, con comportamento meccanico
SABBIA DENSA
SABBIA SCIOLTA
buono; la montmorillonite, invece, che
Figura 1.4 – Stati di addensamento di una sabbia
ha uno spessore di pochi nm (1nm = 10
Armstrong = 10-3 µm), ha deboli legami tra i pacchetti elementari ed un comportamento meccanico scadente e sensibile al disturbo perché i legami tendono a spezzarsi (dal punto di vista ingegneristico avere a che
fare con questo tipo di materiali è un problema, perché sono molto deformabili e tendono
a rigonfiare in presenza di acqua).
Il comportamento dei minerali argillosi è fortemente condizionato dalla loro interazione
con il fluido interstiziale, che in genere è acqua. Le unità fondamentali, tetraedri e ottaedri
che costituiscono i minerali argillosi, pur essendo complessivamente neutri, hanno carica
positiva all’interno e negativa sulla superficie esterna.
1-4
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
b)
a)
e
e
= sil icio
b)
a)
= ossigeno
e
= ossidrili
= alluminio, magnesio
Figura 1.5 – Struttura delle particelle colloidali: unità elementari tetraedriche e ottaedriche (a) e
loro combinazione in pacchetti elementari (b).
Questa caratteristica le porta a stabilire legami molto forti con le molecole d’acqua che,
essendo dipolari (poiché, com’è noto, i due atomi di idrogeno, che hanno carica positiva,
non sono disposti simmetricamente rispetto all’atomo di ossigeno, carico negativamente),
sono attratte elettricamente verso la superficie delle particelle di argilla.
L’acqua che si trova immediatamente a contatto con le particelle diventa perciò parte integrante della loro struttura ed è definita “acqua adsorbita” (Figura 1.6). Allontanandosi
dalla superficie delle particelle i legami diventano via via più deboli, finché l’acqua asAc qua a dsorb ita
sume le caratteristiche di “acH H
O
qua libera” o “acqua interstiziale” (Figura 1.7). È da notare
che lo spessore di acqua adsorbita è approssimativamente lo stesso per tutti i minerali
Cristallo di m ontmorillonite (100x1 nm)
argillosi, ma a causa delle difC ristallo di caolinite (1000x100nm)
ferenti dimensioni delle particelle, il comportamento meccanico dell’insieme risulta
Figura 1.6 – Spessore dell’acqua adsorbita per differenti mimolto diverso.
+
+
-
nerali argillosi
Anche tenendo conto della
presenza dell’acqua adsorbita, le particelle di argilla risultano cariche negativamente in
superficie e tendono a manifestare forze di repulsione, alle quali si sommano forze di tipo
attrattivo (Van der Walls), legate alla struttura atomica del materiale. Questo fa sì che
l’ambiente circostante riesca a condizionare la forma e la geometria strutturale delle argille: in particolare, se le particelle sono circondate da un fluido con elevata concentrazione
di ioni positivi (p. es. in ambiente marino), le cariche negative superficiali esterne tenderanno a neutralizzarsi e quindi l’effetto di repulsione sarà minore e le particelle tenderan1-5
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
no ad aggregarsi in strutture più chiuse; al contrario, in un ambiente povero di ioni positivi (p. es. in acqua dolce) tenderanno a prevalere le forze di repulsione e si avranno strutture più aperte (o disperse).
A conclusione di quanto sopra detto, va anche evidenziato che, mentre nei terreni a grana
grossa i grani sono necessariamente a contatto tra loro e formano un vero e proprio “scheletro solido”, nei terreni a grana fine le particelle possono anche essere non in diretto contatto tra loro, pur conservando il materiale caratteristiche di continuità.
PARTICELLA
molecole d’acqua
ANDAMENTO DELLA FORZA DI ATTRAZIONE
TRA PARTICELLA
PARTICELLAEEMOLECOLE
MOLECOLE
TRA
D’D’ACQUA
ACQUA
0
5
10
15
20
25
30
35
Distanza dalla superficie della particella (in micron)
acqua
acqua
pellicolare
adsorbita
acqua di ritenzione
acqua
gravifica
Figura 1.7 – Schema dell’interazione tra particelle d’argilla e molecole d’acqua
1.3 Relazioni tra le fasi e proprietà indici
Un terreno è, come già detto, un sistema multifase, costituito da uno scheletro formato da
particelle solide e da una serie di vuoti, che possono essere a loro volta riempiti di liquido
(generalmente acqua) e/o gas (generalmente aria e vapor d’acqua) (Figura 1.8a). Facendo
riferimento ad un certo volume di terreno e immaginando per comodità di esposizione di
separare le tre fasi (Figura 1.8b), e indicati con:
Vs = volume del solido (inclusa l’H2O adsorbita)
VW = volume dell’acqua (libera)
VG = volume del gas
VV = volume dei vuoti (VW+VG)
1-6
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
V = volume totale (VS+VW+VG)
PW = peso dell’acqua
PS = peso del solido
P = peso totale (PW +PS)
si possono stabilire delle relazioni quantitative tra pesi e volumi.
a)
b)
Gas
P
VG V
V
PW
Acqua
VW
PS
Particelle
solide
VS
V
Figura 1.8 – Rappresentazione del terreno come materiale multifase (a) e relazione tra le fasi (b)
In particolare si definiscono:
n (%) =
1. porosità:
V
v ⋅ 100
V
(Eq. 1.2)
(n = 0% solido continuo, n = 100% non vi è materia solida)
2. indice dei vuoti:
e=
Vv
Vs
(Eq. 1.3)
3. volume specifico:
v=
V
Vs
(Eq. 1.4)
Tra le tre grandezze sopra definite, è più comodo utilizzare v ed e rispetto ad n perché, per
i primi due, al variare del volume dei vuoti, varia solo il numeratore del rapporto. Comunque n, e e v esprimono lo stesso concetto e sono biunivocamente legate tra loro:
e=
v = 1+ e;
4. grado di saturazione:
S r (%) =
(n / 100)
1 − (n / 100)
Vw
⋅ 100
Vv
(Eq. 1.5)
(Sr=0% terreno asciutto, Sr=100% terreno saturo)
w (%) =
5. contenuto d’acqua:
1-7
Pw
⋅ 100
Ps
(Eq. 1.6)
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
6. peso specifico dei costituenti solidi:
7. peso di volume:
γs =
Ps
Vs
(Eq. 1.7)
γ=
P
V
(Eq. 1.8)
γd =
Ps
V
8. peso di volume del terreno secco:
(Eq. 1.9)
P
(ovvero
per S r = 0)
V
γ sat =
9. peso di volume saturo:
P
V
(Eq. 1.10)
(per Sr = 100 %)
γ ' = γ sat − γ w
10. peso di volume immerso:
(Eq. 1.11)
dove γw è il peso specifico dell’acqua (9.81 kN/m3). Il peso di volume γ può assumere valori compresi tra γd, peso di volume secco (per Sr = 0%) e γsat, peso di volume saturo (per
Sr =100%).
Spesso si utilizza la grandezza adimensionale Gs = γs/γw (gravità specifica), che rappresenta il peso specifico dei costituenti solidi normalizzato rispetto al peso specifico
dell’acqua.
Si osservi che mentre le grandezze n (porosità) ed Sr (grado di saturazione) hanno, espresse in %, un campo di esistenza compreso tra 0 e 100, il contenuto d’acqua, w, può assumere valori anche superiori a 100 %.
11. densità relativa:
D r (%) =
e max − e
⋅100
e max − e min
(Eq. 1.12)
dove e è l’indice dei vuoti allo stato naturale, emax ed emin sono rispettivamente gli indici
dei vuoti corrispondenti al minimo e al massimo stato di addensamento convenzionali, determinati sperimentalmente mediante una procedura standard.
La densità relativa rappresenta un parametro importante per i terreni a grana grossa in
quanto permette di definirne lo stato di addensamento; può variare tra 0 e 100%, e la differenza che compare al denominatore è una caratteristica del terreno, mentre il numeratore dipende dallo stato in cui il terreno si trova. Con un mezzo ideale costituito da particelle sferiche di ugual diametro si ha un assetto che corrisponde al massimo indice dei vuoti
(reticolo cubico, Figura 1.9a) e un assetto che corrisponde al minimo (reticolo tetraedrico,
Figura 1.9b).
1-8
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
Nel caso di reticolo cubico si ha
n ≅ 46%, nel caso di reticolo tetraedrico
si ha n ≅ 26%.
a)
b)
Figura 1.9 – Reticolo cubico (a) e tetraedrico (b)
Ovviamente per un terreno reale, in cui
le particelle hanno forma irregolare e
dimensioni variabili, la porosità massima può essere maggiore del 46%, e la
porosità minima può essere inferiore al 26%.
I valori tipici di alcune delle proprietà sopra definite sono riportati nelle Tabelle 1.2 e 1.3.
Tabella 1.2. Valori tipici di alcuni parametri del terreno
n (%)
e
γd (kN/m3)
γ (kN/m3)
GHIAIA
25-40
0.3-0.7
14-21
18-23
SABBIA
25-50
0.3-1.0
13-18
16-21
LIMO
35-50
0.5-1.0
13-19
16-21
ARGILLA
30-70
0.4-2.3
7-18
14-21
TORBA
75-95
3.0-19.0
1-5
10-13
Tabella 1.3. Valori tipici del peso specifico dei costituenti solidi di alcuni materiali
γs (kN/m3)
SABBIA QUARZOSA
26
LIMI
26.3-26.7
ARGILLE
23.9-28.6
23
BENTONITE
1.3.1 Determinazione del contenuto d’acqua
La determinazione sperimentale di w è piuttosto semplice ed è basata su misure di peso.
Operativamente, si mette una certa quantità di terreno, di cui si vuole determinare il contenuto in acqua, w, in un recipiente di peso noto (pari a T) e si pesa il tutto (P1). Per ottenere l’evaporazione di tutta l’acqua libera, si pone poi il contenitore con il terreno in forno ad essiccare (a 105° per 1÷2 giorni a seconda della quantità e del tipo di materiale) e si
ripesa nuovamente (P2). A questo punto si può ricavare w. La differenza tra le due pesate
(P1-P2) rappresenta il peso dell’acqua, Pw, mentre il peso del solido è dato dalla differenza
tra P2 e T, ossia:
w=
Pw
P − P2
⋅100 = 1
⋅100
Ps
P2 − T
1-9
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
Valori tipici di w variano tra il 20% al 30% (massimo) per un terreno sabbioso, tra il 10%
e il 15% per argille molto dure, tra il 70% e l’80% per argille molli, anche se, teoricamente, come già osservato, può assumere valori superiori al 100%.
Tra le proprietà sopra definite, quelle che risultano indipendenti dalla storia tensionale e
dalle condizioni ambientali che caratterizzano il terreno allo stato naturale, vengono dette
proprietà indici.
Tra le proprietà indici possono essere annoverate anche la granulometria e i limiti di Atterberg, che verranno definite nei paragrafi seguenti.
1.4 Composizione granulometrica
Il comportamento dei terreni a grana grossa è, come già osservato, marcatamente influenzato dalle dimensioni dei grani e dalla distribuzione percentuale di tali dimensioni, ovvero
dalla granulometria. Per ottenere queste informazioni si ricorre alla cosiddetta analisi
granulometrica, che consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del
diametro dei granuli presenti nel terreno. L’analisi granulometrica viene eseguita mediante due tecniche:
1. setacciatura per la frazione grossolana (diametro dei grani maggiore di 0.074 mm)
2. sedimentazione per la frazione fine (diametro dei grani minore di 0.074 mm)
La setacciatura viene eseguita utilizzando una serie di setacci (a maglia quadrata) e/o crivelli (con fori circolari) con aperture di diverse dimensioni (la scelta delle dimensioni delle maglie va fatta in relazione al tipo di terreno da analizzare). I setacci vengono disposti
uno sull’altro, con apertura delle maglie decrescente verso il basso. Una buona curva granulometrica può essere ottenuta scegliendo opportunamente la successione dei setacci: ad
esempio ogni setaccio potrebbe avere apertura delle maglie pari a circa la metà di quello
sovrastante (esistono anche indicazioni di varie associazioni tecnico-scientifiche, ad es.
dell’Associazione Geotecnica Italiana).
Nella Tabella 1.4 sono riportate le sigle ASTM (American Society Standard Material) e
l’apertura delle maglie corrispondente (diametri equivalenti) per i setacci che vengono
normalmente impiegati nella setacciatura. Il setaccio più fine che viene generalmente usato nell’analisi granulometrica ha un’apertura delle maglie di 0.074 mm (setaccio n. 200
ASTM); al di sotto dell’ultimo setaccio viene generalmente posto un raccoglitore. Il materiale viene prima essiccato, pestato in un mortaio, pesato e disposto sul setaccio superiore.
Tutta la pila viene poi fatta vibrare (con agitazione manuale o meccanica), in modo da favorire il passaggio del materiale dalle maglie dei vari setacci. Per i terreni più fini si ricorre anche all’uso di acqua (in tal caso si parla di setacciatura per via umida).
Alla fine dell’agitazione, da ciascun setaccio sarà passato il materiale con diametro inferiore a quello dell’apertura delle relative maglie. La percentuale di passante al setaccio iesimo, Pdi , può essere determinata pesando la quantità di materiale depositata su ciascun
setaccio al di sopra di quello considerato, Pk (con k = 1,...i), mediante la formula che segue:
1-10
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
i
Tabella 1.4 – Sigla ASTM e diametri equivalenti
dei setacci impiegati per l’analisi granulometrica
N. ASTM
Apertura delle maglie, D
4.76
6
3.36
8
2.38
10
2.00
12
1.68
16
1.19
20
0.840
30
0.590
40
0.420
k =1
PT
⋅100
dove PT è il peso totale del campione di
materiale esaminato.
[mm]
4
Pdi =
PT − ∑ Pk
I risultati dell’analisi granulometrica
vengono riportati in un diagramma semilogaritmico (per permettere una buona
rappresentazione
anche
quando
l’intervallo di variazione dei diametri è
molto esteso), con il diametro (equivalente), D, dei setacci in ascissa e la percentuale di passante in ordinata (curva
granulometrica) (Figura 1.10).
Per i diametri minori di 0.074 mm, cioè
per il materiale raccolto sul fondo, si ricorre all’analisi per sedimentazione. Si
50
0.297
tratta di una procedura basata sulla misu60
0.250
ra della densità di una sospensione, otte70
0.210
nuta miscelando il materiale all’acqua
con l’aggiunta di sostanze disperdenti
100
0.149
per favorire la separazione delle particel140
0.105
le, la cui interpretazione viene fatta im200
0.074
piegando la legge di Stokes, che lega la
velocità di sedimentazione di una particella in sospensione al diametro della particella e
alla densità della miscela. Eseguendo misure di densità a diversi intervalli di tempo e conoscendo il peso specifico dei grani è possibile ricavare il diametro equivalente e la percentuale in peso delle particelle rimaste in sospensione e quindi aventi diametro equiva-
Figura 1.10 – Curve granulometriche tipiche per i terreni
1-11
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
lente inferiore a quelle sedimentate. Utilizzando questi dati è così possibile completare la
curva granulometrica.
In pratica quella che si ottiene è una curva cumulativa.
La forma della curva è indicativa della distribuzione granulometrica: più la curva è distesa, più la granulometria è assortita. L’andamento della curva viene descritto sinteticamente mediante due parametri (che, come vedremo più avanti, vengono impiegati per classificare i terreni). Indicando con Dx il diametro corrispondente all’x % di materiale passante
(Figura 1.10), si definiscono:
U=
coefficiente di uniformità:
D 60
D10
(Eq. 1.13)
(U ≥ 1, più è basso più il terreno è uniforme, Figura 1.10)
C=
coefficiente di curvatura:
2
D 30
D 60 ⋅ D10
(Eq. 1.14)
(C esterno all’intervallo 1÷3 indica mancanza di diametri di certe dimensioni ovvero bruschi
cambiamenti di pendenza della curva granulometrica, Figura 1.10)
1.5 Limiti di Atterberg (o limiti di consistenza)
Come già osservato, il comportamento dei terreni a grana fine è marcatamente influenzato
dall’interazione delle particelle di argilla con il fluido interstiziale (acqua), strettamente
legata alla loro composizione mineralogica. Così, per questo tipo di terreni, è importante
non solo conoscere la quantità di acqua contenuta allo stato naturale, ma anche confrontare questo valore con quelli corrispondenti ai limiti di separazione tra stati fisici particolari
(in modo analogo a quanto si fa confrontando l’indice dei vuoti naturale con emax ed emin
per i terreni a grana grossa).
CONTENUTO D’ACQUA
DIMINUZIONE DEL
Nei terreni argillosi si osserva infatti una variazione dello stato fisico, al variare del contenuto d’acqua. In particolare, se il contenuto d’acqua di una sospensione argillosa densa
è ridotto gradualmente, la miscela acqua-argilla passa dallo stato liquido, ad uno stato
plastico (dove il materiale acquisisce sufficiente rigidezza
miscela fluida
w
da deformarsi in maniera conterra-acqua
LIQUIDO
tinua), ad uno stato semisolido
LIMITE LIQUIDO, wL
PLASTICO
(in cui il materiale comincia a
LIMITE PLASTICO, wP
presentare fessurazioni) e infiSEMISOLIDO
ne ad uno stato solido (in cui il
LIMITE DI RITIRO, wS
terreno non subisce ulteriori
SOLIDO
terreno secco
diminuzioni di volume al diminuire
del
contenuto
d’acqua). Poiché il contenuto
d’acqua corrispondente al passaggio da uno stato all’altro
Figura 1.11 – Stati fisici del terreno e limiti di Atterberg
varia da un tipo di argilla da un
1-12
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
altro, la conoscenza di questi valori può essere utile nella classificazione ed identificazione dei terreni a grana fine. Tuttavia il passaggio da uno stato all’altro non è istantaneo, ma
avviene gradualmente all’inter-no di un range di valori del contenuto d’acqua. Sono stati
perciò stabiliti dei criteri convenzionali (Atterberg, 1911) per individuare le condizioni di
passaggio tra i vari stati di consistenza. I contenuti d’ac-qua corrispondenti alle condizioni
di passaggio, “convenzionali”, tra i vari stati, sono definiti limiti di Atterberg e variano, in
generale, da un tipo di argilla ad un altro.
Lo schema relativo ai 4 possibili stati fisici e i corrispondenti limiti di Atterberg sono riportati in Figura 1.11 Si individuano, in particolare, il limite liquido (o di liquidità), wL,
nel passaggio tra lo stato liquido e lo stato plastico, il limite plastico (o di plasticità), wp,
tra lo stato plastico e lo stato semisolido (o solido con ritiro), il limite di ritiro, tra lo stato
semisolido e lo stato solido (o solido senza ritiro), ws.
Ciascuno dei 3 limiti può essere determinato in laboratorio mediante un’opportuna procedura standardizzata.
1.5.1 Determinazione del limite liquido
Il limite liquido, wL, si determina in laboratorio con il cucchiaio di Casagrande (Figura
1.12a). Un prefissato volume di terreno, prelevato dal passante al setaccio n. 40
(0.42 mm), viene mescolato con acqua distillata fino ad ottenere una pastella omogenea.
a)
L’impasto viene successivamente disposto nel cucchiaio, spianandone la
superficie e praticando poi nella zona
centrale, con un’apposita spatola, un
solco di 2 mm di larghezza e 8 mm di
altezza. Con un dispositivo a manovella, il cucchiaio viene quindi lasciato cadere ripetutamente, a intervalli di tempo regolari, da un’altezza
prefissata su una base di materiale
standardizzato e vengono contati i
colpi necessari a far richiudere il solco per una lunghezza di 13 mm. Viene poi prelevato un po’ di materiale
dal cucchiaio e determinato su questo
il valore del contenuto d’acqua.
Utensile
All’inizio
Cucchiaio
Al termine
10 mm
Base
8 mm
2 mm
b)
49
48 w
L
47
46
25
La procedura viene ripetuta più volte
variando la quantità di acqua
nell’impasto, in modo da ottenere
Figura 1.12 – Cucchiaio di Casagrande (a) e proceuna serie di coppie (4 o 5) di valori,
dura sperimentale per la determinazione del limite linumero di colpi-contenuto d’acqua.
quido (b).
1
5
10
20 30 4050
Numero di colpi
I valori del contenuto d'acqua in funzione del numero di colpi vengono poi riportati in un diagramma semilogaritmico, Figura
1.12b, e interpolati linearmente: il contenuto d’acqua corrispondente a 25 colpi rappresenta convenzionalmente il limite liquido, wL.
1-13
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
1.5.2 Determinazione del limite plastico
Il limite plastico, wp, è il contenuto d’acqua in
corrispondenza del quale il terreno inizia a
perdere il suo comportamento plastico. Si determina in laboratorio impastando una certa
quantità di terreno passante al setaccio n. 40
(0.42 mm) con acqua distillata e formando
manualmente dei bastoncini di 3.2 mm
(1/8 in.) di diametro. Quando questi cilindretti,
≅ 3.2 mm
che vengono fatti rotolare continuamente su
una lastra di materiale poroso (in modo da perdere progressivamente acqua), iniziano a fes- Figura 1.13 – Determinazione sperimentale
surarsi (Figura 1.13), si determina il contenuto del limite plastico
d’acqua e questo rappresenta il limite plastico,
wP. Generalmente si fanno 3 determinazioni e
si assume come wP il valor medio.
1.5.3 Determinazione del limite di ritiro
volume
Il limite di ritiro, wS, che ha un interesse molto limitato per le applicazioni in ingegneria
civile e non viene di norma determinato, è il contenuto d’acqua al di sotto del quale una
ulteriore perdita di acqua da parte del terreno non comporta nessuna variazione di volume. Pertanto, a differenza degli altri due limiti,
non è un valore convenzionale, legato alla
procedura di determinazione, ma ha un preciso
significato fisico. Si determina in laboratorio
su un provino indisturbato che viene essiccato
per passi successivi, misurando ad ogni passaggio il volume e il contenuto d’acqua. I vawS
lori del volume vengono riportati in un grafico
contenuto d’acqua
in funzione del contenuto d’acqua (Figura
1.14) e wS è definito come il contenuto
d’acqua corrispondente al punto di intersezio- Figura 1.14 – Determinazione sperimentale
ne tra le tangenti alla parte iniziale e finale del- del limite di ritiro
la curva ottenuta interpolando i punti sperimentali.
1.6 Indici di consistenza
Si definisce indice di plasticità, IP, l’ampiezza dell’intervallo di contenuto d’acqua in cui
il terreno rimane allo stato plastico, ovvero:
IP (%) = wL -wP
(Eq. 1.15)
Tale indice dipende dalla percentuale e dal tipo di argilla e dalla natura dei cationi adsorbiti. Per ogni materiale, l’indice di plasticità cresce linearmente in funzione della percentuale di argilla presente, con pendenza diversa in relazione al tipo di minerali argillosi
presenti (Figura 1.15). La pendenza di questa retta è definita indice di attività:
1-14
Capitolo 1
Ia =
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
IP
CF
(Eq. 1.16)
IP
dove CF = % in peso con diametro
d < 0.002 mm. Sulla base dei valori assunti
da questo indice i terreni possono essere
classificati inattivi, normalmente attivi, attivi.
Attivi
Considerando oltre ai limiti di consistenza,
anche il contenuto naturale d’acqua, si possono definire l’ indice di liquidità:
IL =
Ia= 1.25
Normalmente Ia= 0.75
attivi
Inattivi
CF
w − wP
IP
(Eq. 1.17)
Figura 1.15 – Indice di attività delle argille
e l’indice di consistenza
IC =
wL − w
IP
= 1 − IL
(Eq. 1.18)
L’indice di consistenza, oltre ad indicare lo stato fisico in cui si trova il terreno, fornisce
informazioni qualitative sulle sue caratteristiche meccaniche: all’aumentare di IC aumenta
la resistenza al taglio del terreno e si riduce la sua compressibilità (da notare anche
l’analogia tra IC per terreni a grana fine e Dr per i terreni a grana grossa).
Una suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità e dell’indice di consistenza è riportata nelle Tabelle 1.5 e 1.6 rispettivamente, mentre nella Tabella 1.7 sono
riportati i valori tipici di wL, wP e IP dei principali minerali argillosi.
Tabella 1.5 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità
TERRENO
IP
NON PLASTICO
0-5
POCO PLASTICO
5 - 15
PLASTICO
15 - 40
MOLTO PLASTICO
> 40
1-15
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
Tabella 1.6 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di consistenza
CONSISTENZA
IC
FLUIDA
<0
FLUIDO-PLASTICA
0 – 0.25
MOLLE-PLASTICA
0.25 – 0.50
PLASTICA
0.50 – 0.75
SOLIDO-PLASTICA
0.75 - 1
SEMISOLIDA (W > WS) O SOLIDA (W < WS)
>1
Tabella 1.7 - Valori tipici di wL,, wP e IP dei principali minerali argillosi
MINERALE ARGILLOSO
wL (%)
wP (%)
IP (%)
MONTMORILLONITE
300-700
55-100
200-650
ILLITE
95-120
45-60
50-65
CAOLINITE
40-60
30-40
10-25
1.7 Sistemi di classificazione
I sistemi di classificazione sono una sorta di linguaggio di comunicazione convenzionale
per identificare attraverso un nome (o una sigla) il tipo di materiale, in modo da fornirne
indirettamente, almeno a livello qualitativo, delle indicazioni sul comportamento. In pratica, individuano alcuni parametri significativi e distintivi dei vari tipi di terreno in modo
da poterli raggruppare in classi e stabilire così dei criteri universali, convenzionali, di riconoscimento.
Data l’estrema variabilità dei terreni naturali e le diverse possibili finalità ingegneristiche,
non è pensabile di poter creare un unico sistema di classificazione. Per questo motivo, si
sono sviluppati nel tempo diversi sistemi di classificazione, che possono essere utilizzati
per scopi e finalità diversi.
Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali accomunano i diversi sistemi di classificazione nella
scelta delle proprietà di riferimento. In particolare tali proprietà:
- devono essere significative e facilmente misurabili mediante procedure standardizzate;
- non devono essere riferite ad uno stato particolare, ossia devono essere indipendenti
dalla storia del materiale, dalle condizioni di sollecitazione o da altre condizioni al
contorno.
Per quanto visto fino ad ora, i parametri che possiedono queste caratteristiche sono quelli
precedentemente definiti proprietà indici, e riguardano la composizione granulometrica e
la composizione mineralogica. I sistemi di classificazione più vecchi sono basati unicamente sulla granulometria e perciò sono significativi solo per i materiali a grana grossa
(ghiaie e sabbie). Tra questi, i più comunemente usati sono riportati in Tabella 1.8.
1-16
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
Tabella 1.8. Alcuni sistemi di classificazione basati sulla granulometria
SISTEMA
Ghiaia
Sabbia
Limo
Argilla
MIT
2
0.06
0.002
AASHO
2
0.075
0.002
AGI
2
0.02
0.002
mm
mm
mm
Essendo i terreni una miscela di grani di diverse dimensioni, una volta determinate le frazioni in peso relative a ciascuna classe, il materiale può essere identificato utilizzando i
termini delle varie classi come sostantivi o aggettivi, nel modo seguente:
I termine: nome della frazione granulometrica prevalente,
II termine: nomi delle eventuali frazioni maggiori del 25%, precedute dal prefisso con,
III termine: nomi delle eventuali frazioni comprese tra il 15% e il 25%, con il suffisso
oso,
IV termine: nomi delle eventuali frazioni minori del 15%, con il suffisso oso, precedute
dal prefisso debolmente.
Se ad esempio da un’analisi granulometrica risulta che un terreno è costituito dal 60% di
limo, dal 30% di sabbia e dal 10% di argilla, esso verrà denominato limo con sabbia debolmente argilloso.
Una classificazione che tiene conto solo della granulometria non è tuttavia sufficiente nel
caso di limi e argille, il cui comportamento è legato soprattutto alla composizione mineralogica.
Per questo tipo di terreni si può ricorrere ad esempio al sistema di classificazione proposto da Casagrande (1948). Tale sistema è basato sui limiti di Atterberg ed è riassunto in
un diagramma (noto come “Carta di plasticità di Casagrande”) (Figura 1.16) nel quale si
individuano sei zone, e quindi sei classi di terreno, in funzione del limite liquido (riportato in ascissa) e dell’indice di plasticità (riportato in ordinata). La suddivisione è rappresentata dalla retta A di equazione:
IP = 0.73 (wL-20)
(Eq. 1.19)
e da due linee verticali in corrispondenza di wL = 30 e wL = 50.
Le classi che si trovano sopra la retta A includono le argille inorganiche, quelle sotto la
retta A i limi e i terreni organici (a titolo informativo va detto che la presenza di materiale
organico in un terreno può essere rilevata attraverso la determinazione del limite liquido
prima e dopo l’essiccamento. L’essiccamento provoca infatti nei materiali organici dei
processi irreversibili con riduzione di wL; se tale riduzione è maggiore del 75%, il materiale viene ritenuto organico).
Esistono poi sistemi che, facendo riferimento sia alla caratteristiche granulometriche sia a
quelle mineralogiche, possono essere utilizzati per la classificazione di qualunque tipo di
terreno.
1-17
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
wL = 50 %
60
40
4
20
wL = 30 %
Indice di plasticità, PI (%)
In particolare, i due sistemi più comunemente utilizzati e che verranno brevemente descritti nel seguito sono il sistema USCS e il sistema HRB (AASHTO, CNR_UNI 10006).
5
1.7.1 Sistema USCS
0)
-2
6
w
3(
0 .7 A
=
P I N EA
LI
Il sistema USCS (Unified Soil Classification
System), sviluppato originariamente da Casagrande e successivamente modificato negli
USA, è il sistema più utilizzato per classificare i
terreni di fondazione.
L
3
2
0
1
60
80
20
40
Limite di liquidità, w L (%)
Secondo tale sistema, i terreni vengono suddivisi
in cinque gruppi principali, due a grana grossa
(con percentuale passante al setaccio 200 minore
del 50%): ghiaie (simbolo G) e sabbie (simbolo
1 Limi inorganici di bassa compressibilità
S), tre a grana fine (con percentuale passante al
2 Limi inorganici di media compressibilità
e limi organici
setaccio 200 maggiore del 50%): limi (simbolo
3 Limi inorganici di alta compressibilità
M), argille (simbolo C) e terreni organici (sime argille organiche
4 Argille inorganiche di bassa plasticità
bolo O). Ciascun gruppo è a sua volta suddiviso
5 Argille inorganiche di media plasticità
in sottogruppi, in relazione ad alcune proprietà
6 Argille inorganiche di alta plasticità
indici, secondo quanto indicato nello schema di
Figura 1.16 – Carta di plasticità di Casa- Figura 1.17.
100
grande
In particolare i terreni a grana grossa vengono
classificati sulla base dei risultati dell’analisi granulometrica in ghiaie (G) e sabbie (S) a
seconda che la percentuale passante al setaccio N. 4 (4.76 mm) sia rispettivamente minore
o maggiore del 50%. Quindi viene analizzata la componente fine del materiale (passante
al setaccio N.200):
Figura 1.17 – Sistema di classificazione USCS
1-18
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
1) se essa risulta minore del 5% allora si considera solo l’assorti-mento del materiale sulla base dei valori del coefficiente di uniformità, U, e di curvatura, C (se U > 4 e
1 <C <3, per le ghiaie o U > 6 e 1 <C <3, per le sabbie, allora il materiale si considera
ben gradato e come secondo simbolo si adotta W, altrimenti si considera poco gradato
e si adotta il simbolo P);
2) se essa risulta maggiore del 12% allora viene classificata, dopo averne misurato i limiti di Atterberg (sul passante al setaccio N. 40), con riferimento ad una carta di plasticità derivata da quella di Casagrande con alcune modifiche (Figura 1.18), come limo
(M) o argilla (C), che verrà utilizzato come secondo simbolo;
3) se essa è compresa tra il 5 e il 12% allora verrà classificata sia la granulometria della
frazione grossolana (ben assortita, W, o poco assortita, P) secondo il criterio mostrato
al punto 1) sia la componente fine (M o C) secondo il criterio indicato al punto 2), ottenendo così un doppio simbolo (ad es. SW-SM).
I terreni a grana fine vengono classificati
per mezzo della Carta di plasticità di Casagrande modificata di Figura 1.18.
1.7.2 Sistema HRB
Proposto dalla Highway Research Board
(1942) e successivamente revisionato dalla
American Association of State Highway and
Trasportation Office (e riportato con qualche modifica anche nelle norme CNR-UNI)
è un sistema di classificazione che viene utilizzato principalmente nel campo delle costruzioni stradali, o comunque per terreni
utilizzati come materiali da costruzione.
Figura 1.18 – Carta di plasticità (Casagrande
modificata)
In base alla granulometria e alle caratteristiche di plasticità, i terreni vengono suddivisi in
otto gruppi, indicati con le sigle da A-1 ad A-8, alcuni dei quali (A-1, A-2 e A-7) suddivisi a loro volta in sottogruppi secondo lo schema riportato in Figura 1.19. I materiali granulari sono inclusi nelle classi da A-1 ad A-3 (con percentuale passante al setaccio 200
minore o uguale al 35%), i limi e le argille nelle classi da A-4 ad A-7 (con percentuale
passante al setaccio 200 maggiore del 35%), mentre la classe A-8 comprende i terreni altamente organici.
Per i terreni granulari si considera nell’ordine:
−
la percentuale passante al setaccio N. 10
−
la percentuale passante al setaccio N. 40
−
la percentuale passante al setaccio N. 200
e quando disponibili si considerano anche i valori del limite liquido e dell’indice di plasticità determinati sul passante al setaccio N. 40.
Per i limi e le argille la classificazione viene fatta solo sulla base dei valori misurati del
limite liquido e dell’indice di plasticità.
1-19
Capitolo 1
ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI
Il sistema prevede che, per i terreni che contengono un’alta percentuale di materiale fine,
venga anche valutato un indice sintetico, detto indice di gruppo, definito come:
I = 0.2 a + 0.005 ac + 0.01 bd,
dove:
a = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 35% e minore del 75%, espressa
come numero intero compreso tra 0 e 40,
b = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 15% e minore del 55%, espressa
come numero intero compreso tra 0 e 40,
c = valore del limite liquido maggiore di 40 e minore di 60, espresso come numero intero
compreso tra 0 e 20,
d = valore dell’indice di plasticità maggiore di 10 e minore di 30, espresso come numero
intero compreso tra 0 e 20.
Valori minori dei limiti inferiori significano a, b, c, o d uguali a zero; valori maggiori dei
limiti superiori significano a o b uguali a 40, c o d uguali a 20.
Quando un terreno rientra in più categorie viene attribuito a quella corrispondente ai limiti
più restrittivi.
Materiali granulari
Limi-Argille
(passante al setaccio N.200 ≤ 35%) (passante al setaccio N.200 ≥ 35%)
A-1
A-2
A-6 A-7
A-4 A-5
A-3
A-7-5*
A-1-a A-1-b
A-2-4 A-2-5 A-2-6 A-2-7
A-7-6
Classificazione generale:
Classificazione di gruppo:
Analisi granulometrica:
% passante al setaccio:
- N.10 (2mm)
- N.40 (0.12 mm)
- N.200 (0.074 mm)
≤ 50
≤ 30
≤ 15
≥ 51
≤ 10
≤ 35
≤ 35
≤ 35
≤ 35
≥ 36
≥ 36
≥ 36
≥ 36
≤ 6
Non
plastico
≤ 40
≤ 10
≥ 41
≤ 10
≤ 40
≥ 11
≥ 41
≥ 11
≤ 40
≤ 10
≥ 41
≤ 10
≤ 40
≥ 11
≥ 41
≥ 11
0
0
≤ 8
≤ 12
≤ 16
≤ 20
≤ 50
≤ 25
Limiti di Atterberg
determinati sul passante al
setaccio N.40 (0.42 mm):
- wL (%)
- Ip (%)
Indice di gruppo (I):
Materiale costituente:
Ghiaia (pietrame)
con sabbia
Materiale come sottofondo:
*Note: Se IP ≤ wL – 30
≤ 4
0
Sabbia
Ghiaia e sabbia
limosa o argillosa
Da eccellente a buono
A-7-5; Se IP ≥ wL – 30
Da buono a scarso
A-7-6
Figura 1.19 – Sistema di classificazione HRB
1-20
Limi
Argille
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
CAPITOLO 2
COSTIPAMENTO
In alcune applicazioni ingegneristiche, può manifestarsi talvolta la necessità di migliorare
le caratteristiche del terreno, sia nelle sue condizioni naturali in sito, sia quando esso è
impiegato come materiale da costruzione (p. esempio per dighe, rilevati, terrapieni, ecc..).
Le tecniche di miglioramento del terreno possono essere di vario tipo, in particolare esistono:
-
tecniche di tipo meccanico;
-
tecniche di tipo chimico;
-
tecniche basate sull’induzione di fenomeni di natura termica o elettrica (che vengono
utilizzate soprattutto in maniera provvisoria).
Altri metodi consistono nell’eliminare o ridurre la presenza dell’acqua (drenaggi); altri
ancora nel sovraccaricare temporaneamente il terreno prima della realizzazione dell’opera
in modo da esaurire preliminarmente un’aliquota dei cedimenti (precarico).
Tra i metodi di tipo meccanico riveste particolare importanza il costipamento che consiste
nell’aumentare artificialmente la densità del terreno, impiegato come materiale per la costruzione di rilevati stradali e ferroviari, argini, dighe in terra, ecc.., attraverso
l’applicazione di energia meccanica.
L’obiettivo del costipamento è il miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno, che comporta, in generale, i seguenti vantaggi:
1. riduzione della compressibilità (e quindi dei cedimenti),
2. incremento della resistenza (e quindi della stabilità e della capacità portante),
3. riduzione degli effetti che possono essere prodotti dal gelo, da fenomeni di imbibizione o di ritiro (legati alla quantità di vuoti presenti).
Il primo ad occuparsi di questo fenomeno è stato l’ingegnere americano Proctor (1930), il
quale ha evidenziato che il valore della densità secca alla fine del costipamento, ρd = γd/g,
è funzione di tre variabili:
−
il tipo di terreno (granulometria, composizione mineralogica, ecc.),
−
il contenuto d’acqua, w,
−
l’energia di costipamento.
In sito possono essere usate diverse tecniche di costipamento, in relazione alla natura del
terreno da porre in opera ed eventualmente alla tipologia dei mezzi di cantiere disponibili.
In laboratorio queste possono essere riprodotte attraverso differenti tipi di prova nelle
quali il terreno viene disposto in un recipiente metallico di forma cilindrica, a strati successivi, che vengono via via compattati.
In particolare, esistono quattro differenti tecniche di costipamento e quindi di tipi di prova:
2-1
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
1. prove statiche, in cui il terreno è sottoposto ad una pressione costante per un certo periodo di tempo mediante un pistone con area uguale a quella del recipiente;
2. prove kneading (to knead = massaggiare), nelle quali il terreno è sottoposto a intervalli regolari ad una compressione mediante un pistone che trasmette una pressione
nota;
3. prove per vibrazione, in cui il recipiente in cui è contenuto il terreno viene fatto vibrare con appositi macchinari;
4. prove dinamiche o di urto, nelle quali il terreno è compattato con un pestello meccanico a caduta libera;
Le prime due tecniche vengono impiegate per terreni prevalentemente fini, le altre due
per terreni prevalentemente a grana grossa. Tra le quattro sopra menzionate, le più usate
sono quelle dell’ultimo tipo, di cui fanno parte le prove Proctor.
2.1 Prove Proctor
L’attrezzatura per le prove Proctor è costituita da un cilindro metallico di dimensioni
standard dotato di un collare rimovibile e da
un pestello di diametro pari alla metà di quello del cilindro e di peso prefissato (Foto e Figura 2.1). In relazione alle caratteristiche
dell’apparecchiatura e alle modalità di esecuzione, le prove Proctor si distinguono in
“standard” e “modificata” (Tabella 2.1).
L’energia di costipamento della prova modificata, che viene eseguita soprattutto per terreni di sottofondo e materiali per pavimentazioni stradali e aeroportuali, è superiore a
quella della prova standard.
La prova Proctor viene eseguita disponendo a
strati una certa quantità di terreno, preventivamente essiccato o bagnato, nel cilindro e
compattandolo con il pestello per un numero
prefissato di colpi (25), assestati in una posiFoto 2.1 - Eecuzione di una prova Proctor
zione prestabilita. L’operazione viene ripetuta per un certo numero di strati (3 per la standard e 5 per la modificata) fino a riempire il
cilindro poco al di sopra dell’attaccatura col collare (Figura 2.1). Successivamente viene
rimosso il collare, livellato il terreno in sommità, pesato il tutto e determinato il contenuto
d’acqua, prelevando una porzione di terreno dal cilindro.
Mediante il peso, P, e il volume, V, (noti) si ricava il peso di volume, γ, e, avendo determinato w, si può ricavare il peso di volume del secco, γd, ovvero la densità secca
(ρd = γd/g, essendo g l’accelerazione di gravità).
2-2
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
Pestello
Guida
Collare rimovibile
Cilindro metallico
2
Figura 2.1 – Attrezzatura utilizzata per le prove Proctor
Si ha infatti (esprimendo w non in %):
γ=
P PS + PW PS PW PS
=
=
+
⋅
= γ d + w ⋅ γ d = γ d (1 + w )
V
V
V V PS
(Eq. 2.1)
Quindi:
γd =
γ
1+ w
(Eq. 2.2)
Tabella 2.1 – Caratteristiche dell’apparecchiatura e modalità di esecuzione della prova Proctor
standard e modificata
Tipo di
prova
Standard
AASHO
Modificata
AASHO
Dimensioni del cilindro
Dimensioni
del pestello
Numero
Peso degli strati
Numero
colpi per
strato
Altezza Energia di
caduta costipamento
pestello
[kg cm/cm3]
[cm]
Ø
H
V
Ø
[cm]
[cm]
[cm3]
[mm]
[kg]
10.16
11.7
945
50.8
2.5
3
25
30.5
6.05
10.16
11.7
945
50.8
4.54
5
25
45.7
27.5
2-3
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
2.2 Teoria del costipamento
3
%
00
e1
ion
az
tur
Sa
%
90
γd [kN/m ]
Analizzando i risultati ottenuti in laboratorio mediante l’esecuzione di
prove Proctor è possibile descrivere il
comportamento del terreno sottoposto
a costipamento.
Supponiamo di eseguire la prova
Proctor (quindi di impiegare la stessa
Maximum
tecnica di compattazione e la stessa
quantità di energia) su alcuni campioni dello stesso terreno (5 o 6) aventi
diversi contenuti d’acqua. Se, per ciascun campione, riportiamo in un grafico (Figura 2.2) il valore del peso di
volume del secco (o, indifferentemente, della densità secca) ottenuto al
Optimum
w [%] termine della prova in funzione del
contenuto d’acqua corrispondente, e
Figura 2.2 – Curva di costipamento
uniamo i vari punti, otteniamo una
curva, detta “curva di costipamento”
che presenta un tipico andamento a campana. Il valore del contenuto d’acqua corrispondente al valore massimo del peso di volume del secco (detto “maximum”) è indicato come “contenuto d’acqua optimum” o “optimum Proctor”.
Va sottolineato che il valore massimo del peso di volume del secco è relativo ad un valore
di energia prefissato e ad una particolare tecnica di compattazione. Quindi, per un dato
terreno, l’optimum, il maximum e l’andamento della curva dipendono dall’energia spesa e
dal metodo di costipamento. I valori tipici del maximum variano intorno a 16÷20 kN/m3,
mentre il massimo range di variazione è compreso tra 13 e 23 kN/m3. I valori tipici
dell’optimum variano intorno al 10÷20%, mentre il massimo range di variazione per
l’optimum è compreso tra il 5% e il 40%.
Per valori bassi del contenuto d’acqua, la resistenza del terreno è alta così che, a parità di
energia di compattazione impiegata, risulterà più difficile ridurre i vuoti e quindi raggiungere elevati valori della densità secca; incrementando il contenuto d’acqua, la resistenza
del terreno tende a diminuire, facilitando la rimozione dei vuoti, ed aumenta così il valore
di densità secca raggiungibile fino al maximum ottenuto in corrispondenza del valore di
optimum del contenuto d’acqua; per valori superiori all’optimum, avendo raggiunto un
elevato grado di saturazione, le deformazioni avvengono pressoché a volume costante
(l’acqua non riesce a filtrare verso l’esterno) e non consentono ulteriori riduzioni
dell’indice dei vuoti, per cui si riduce anche il valore della densità secca ottenuto.
Se per uno stesso tipo di terreno si utilizza la stessa tecnica di costipamento (p. es. quella
della prova Proctor) variando l’energia (il numero di colpi), si ottiene una famiglia di curve con andamento simile. Al crescere dell’energia aumenta la densità secca massima e
diminuisce il contenuto d’acqua optimum. Con contenuti d’acqua superiori all’optimum
le diverse curve tendono a confondersi in un’unica linea (Figura 2.3).
2-4
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
Questo significa che per contenuti d’acqua inferiori all’optimum un aumento dell’energia
di costipamento risulta più efficace in quanto riesce ad incrementare la densità secca (cosa
che può non accadere per contenuti d’acqua superiori all’optimum).
%
00
e1
ion
az
tur
Sa %
90
La linea in cui si confondono i tratti γ [kN/m3]
terminali di tutte le curve risulta appros- d
simativamente parallela alla curva di saturazione, che può essere determinata
calcolando il valore del peso di volume
del secco corrispondente al contenuto
d’acqua in condizioni di saturazione.
Tale valore dipende solo dal peso di volume del solido γs.
Energia
crescente
Infatti:
Linea dei punti
di optimum
w [%]
Figura 2.3 – Andamento della curva di costipamento al variare dell’energia di costipamento
γd =
PS PS / VS
γS
γ
=
=
= S
V V / VS VS VV 1 + e
+
VS VS
(Eq. 2.3)
se il terreno è saturo (Sr = 1), con Sr non espresso in %):
e=
VV VW PS PW
1
=
⋅ ⋅
= w ⋅ γS ⋅
VS
VS PS PW
γW
(Eq. 2.4)
quindi:
γd =
γS
1+ w ⋅
γS
γW
(Eq. 2.5)
per Sr < 1 (con Sr espresso non in percentuale) invece:
e=
VV
V
P P
1
1
= W ⋅ S ⋅ W = ⋅ w ⋅ γS ⋅
γW
VS S r VS PS PW S r
(Eq. 2.6)
quindi:
γd =
γ S ⋅ Sr
Sr + w ⋅
γS
γW
(Eq. 2.7)
2-5
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
2.2
1
2
A parità di energia di costipamento, le
curve che si ottengono per differenti
tipi di terreno sono molto diverse tra
loro. In particolare si può osservare
che (Figura 2.4):
linea di
saturazione
3
3
d
densità secca, ρ [Mg/m ]
2.0
Anche la linea congiungente i vari
punti corrispondenti all’optimum per
un dato terreno risulta all’incirca parallela alla curva di saturazione; cioè
per un dato terreno il massimo effetto
di costipamento si ha per un certo
grado di saturazione.
1. Sabbia ben assortita
con ghiaia e limo
2. Miscela di ghiaia,
sabbia, limo e argilla
3. Argilla sabbiosa
4. Sabbia fine uniforme
5. Argilla molto plastica
1.8
4
-
la variazione del contenuto
d’acqua influenza la densità secca
più per certi tipi di terreno e meno
per altri;
-
terreni in cui prevale la frazione
fine raggiungono valori di densità
secca più bassi;
-
le sabbie ben assortite presentano
valori della densità secca più elevati di quelle più uniformi e gli
effetti del costipamento sono molto più marcati;
-
per i terreni argillosi il maximum
1.6
5
1.4
0
10
20
30
contenuto d’acqua, w [%]
Figura 2.4 – Curva ottenute per differenti tipi di terreno a parità di energia di costipamento
decresce all’aumentare della plasticità.
2.3 Costipamento in sito
Per il costipamento dei
terreni in sito possono
essere impiegate attrezzature diverse in relazione alle caratteristiche e al tipo di terreno e
all’energia richiesta per
il costipamento. Le tecniche impiegate possono trasmettere al terreno azioni meccaniche
di tipo statico, di compressione e di taglio, o
di tipo dinamico, di urto o vibrazione. In base
al prevalere di uno dei
due tipi di azioni le at-
Figura 2.5 – Rullo compressore usato per terreni a grana fine
2-6
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
trezzature per il costipamento si suddividono in due classi costituite rispettivamente dai
mezzi prevalentemente statici e prevalentemente dinamici.
In particolare, per il costipamento dei terreni a grana fine risultano efficaci solo le attrezzature della prima classe, mentre per il costipamento dei terreni granulari sono efficaci
soprattutto quelle del secondo tipo.
Nei mezzi prevalentemente statici sono compresi i rulli lisci, i rulli o carrelli gommati e i
rulli a punte (Figura 2.5). I rulli lisci statici compattano per compressione e la loro azione
è limitata alla parte più superficiale di terreno; hanno un peso generalmente compreso tra
le 2 e le 20 t e trasmettono pressioni dell’ordine di 30÷100 kg/cm su una striscia di un
centimetro di generatrice. I rulli gommati sono costituiti da un cassone trasportato da un
certo numero di ruote gommate; compattano sia con azione di compressione che di taglio
per mezzo dei pneumatici. Rispetto ai rulli lisci agiscono più in profondità. I rulli a punte
sono dotate di protrusioni di varia forma (es. rulli “a piè di pecora”) o di segmenti mobili
che esercitano nel terreno un’azione di punzonamento e di taglio. La loro azione è limitata
alla parte più superficiale di terreno.
Nella classe dei mezzi
prevalentemente dinamici sono compresi i rulli
lisci vibranti (Figura
2.6), le piastre vibranti e
le piastre battenti. I rulli
vibranti sono analoghi a
quelli lisci, ma sono dotati di pesi eccentrici che
generano forze verticali
di tipo sinusoidale che
mettono in vibrazione il
terreno; in genere sono
Figura 2.6 – Rullo compressore (vibratore) usato per terreni granu- poco efficaci in superfilari
cie, per cui nella fase finale vengono utilizzati senza vibrazione per costipare lo strato più superficiale di terreno.
Le piastre vibranti sono formate da una piastra di acciaio sulla quale è posto un motore e
una serie di masse eccentriche che generano un moto sinusoidale verticale in grado di sollevare, spostare e far ricadere la piastra.
Le piastre battenti consistono in una massa che viene ritmicamente sollevata e lasciata ricadere sul terreno; vengono usate soprattutto per costipare aree di dimensioni ridotte
quando non possono essere utilizzate altre tecniche di costipamento.
In sito il costipamento viene eseguito disponendo il terreno a strati successivi di qualche
decina di centimetri; la scelta dello spessore e della quantità di energia (numero di passaggi con i rulli o di battute con le piastre) dipende dalle caratteristiche del materiale da
compattare. Per i materiali a grana fine (A-4, A-5, A-6, A-7 della classificazione HRB) e
per i materiali a grana grossa con percentuale elevata di fine (A-2) tale scelta è molto legata al valore del contenuto d’acqua; per i materiali a grana grossa (A-1, A-3) la compattazione è generalmente poco condizionata dal contenuto d’acqua.
2-7
Capitolo 2
COSTIPAMENTO
In genere i risultati ottenuti dal costipamento in sito vengono controllati e confrontati con
quelli delle prove Proctor (standard o modificata) eseguite in laboratorio. La densità secca
(o il peso di volume del secco) ottenuta dal costipamento in sito deve essere generalmente
una percentuale prefissata (almeno l’85% ÷ 90%) di quella ottenuta in laboratorio. Per determinare la densità secca (o il peso di volume del secco) in sito, il procedimento è articolato nelle seguenti fasi:
1. viene scavata una porzione di
terreno e determinato il peso
P e il contenuto d’acqua w;
a)
sabbia di carat teristich e note
2. viene misurato il volume di
terreno scavato, V;
3. viene determinato il peso di
volume totale (γ = P/V). Il peso di volume del secco può
essere ricavato mediante la relazione (2.2) e confrontato
con il valore di γdmax ottenuto
con la prova Proctor.
piastra con fo ro
cono
b)
Il punto 2 è quello che presenta le
maggiori difficoltà. A questo scopo i metodi più usati (Figura 2.7)
sono:
-
-
valvola
Foglio di polietilene per terren i granul ari
il metodo della sabbia tarata
(figura 2.7a), in cui lo scavo
viene riempito con una sabbia
di caratteristiche note, il cui
volume viene determinato per
lettura sul recipiente che contiene la sabbia e per pesata;
Figura 2.7 – Metodi per la determinazione della densità
il metodo dell’olio o dell’ac- in sito
qua (figura 2.7b) in cui il foro viene accuratamente rivestito con una membrana di polietilene e successivamente riempito con acqua o olio.
In alternativa a questi metodi può essere utilizzato anche quello del nucleodensimetro, che
consente una misura della densità e del contenuto d’acqua con procedimento non distruttivo ed è basato sulla misura dell’assorbimento di radiazioni nucleari.
2-8
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
CAPITOLO 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Essendo il terreno un materiale multifase, il suo comportamento meccanico (compressibilità, resistenza), in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni esterne o, più in
generale, ad una variazione delle condizioni esistenti, dipende dall’interazione tra le diverse fasi. Lo studio di questa interazione, che rappresenta un problema estremamente
complesso, può essere affrontato, in linea teorica, seguendo due tipi di approccio:
−
il primo consiste nell’analizzare il comportamento della singola particella, in relazione alle particelle circostanti ed al fluido interstiziale, e nel determinare la risposta di
un elemento di terreno a partire dalla modellazione del comportamento di un insieme
di particelle;
−
il secondo è basato su una trattazione di tipo più integrale, che prescinde dalle vicende dei singoli grani e analizza il comportamento globale del mezzo.
Il primo modo di procedere è talmente complesso da risultare di fatto inutilizzabile per le
applicazioni ingegneristiche, cosicché nella pratica, con una pesante semplificazione dal
punto di vista concettuale, un terreno saturo (salvo diversa indicazione ci riferiremo nel
seguito a terreni totalmente saturi d’acqua) viene assimilato a due mezzi continui sovrapposti, ovvero che occupano lo stesso volume, l’uno solido, l’altro fluido. Tale semplificazione implica che le proprietà di un elemento di terreno, infinitesimo o finito, siano le
stesse, e che si possano estendere anche ai terreni i concetti di tensione e deformazione
propri dei mezzi continui con le relative notazioni.
Naturalmente è necessario stabilire una legge di interazione tra le fasi, ovvero tra i due
continui solido e fluido che occupano lo stesso volume di terreno. Tale legge è il principio delle tensioni efficaci, enunciato da Karl Terzaghi nel 1923.
3.1 Principio delle tensioni efficaci
Le esatte parole con cui Terzaghi enuncia il principio delle tensioni efficaci alla 1a Conferenza Internazionale di Meccanica delle Terre (Londra, 1936) sono le seguenti:
“The stress in any point of a section
through a mass of soil can be computed
from the total principal stresses σ1, σ2 and
σ3 which act at this point. If the voids of the
soil are filled with water under a stress u
the total principal stresses consist of two
parts. One part u acts in the water and in
the solid in every direction with equal intensity. It is called the neutral stress (or the
pore pressure).
“Le tensioni in ogni punto di una sezione
attraverso una massa di terreno possono essere calcolate dalle tensioni principali totali
σ1, σ2 e σ3 che agiscono in quel punto. Se i
pori del terreno sono pieni d’acqua ad una
pressione u, le tensioni principali totali possono scomporsi in due parti. Una parte, u,
agisce nell’acqua e nella fase solida in tutte
le direzioni con eguale intensità, ed è chiamata pressione neutra (o pressione di pori).
The balance σ1 = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, and Le differenze σ1’ = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, e
σ’3 = σ3 – u represents an excess over the σ’3 = σ3 – u rappresentano un incremento
3- 1
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
neutral stress u and it has its seat exclusively in the solid phase of the soil. This
fraction of the total principal stress will be
called the effective principal stress”.
“All measurable effects of a change of
stress, such compression, distortion and a
change of shearing resistance, are exclusively due to changes in the effective
stresses”.
rispetto alla pressione neutra ed hanno sede
esclusivamente nella fase solida del terreno.
Questa frazione della tensione totale principale sarà chiamata tensione principale efficace”.
“Ogni effetto misurabile di una variazione
dello stato di tensione, come la compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al taglio è attribuibile esclusivamente a
variazioni delle tensioni efficaci”.
Si osservi che:
−
Terzaghi non attribuisce alcun significato fisico alle tensioni principali efficaci, ma le
definisce semplicemente come differenza tra tensioni principali totali e pressione interstiziale;
−
le tensioni principali efficaci non sono dunque direttamente misurabili, ma possono
essere desunte solo attraverso la contemporanea conoscenza delle tensioni principali
totali e della pressione interstiziale;
−
il principio delle tensioni efficaci è una relazione di carattere empirico (come si desume dal fatto che Terzaghi precisa che “Ogni effetto misurabile.....), sebbene sia stato finora sempre confermato dall’evidenza sperimentale.
In definitiva per studiare il comportamento meccanico di un terreno saturo ci si riferisce a
due mezzi continui sovrapposti e mutuamente interagenti, e si definiscono in ogni punto il
tensore delle tensioni totali, il tensore delle pressioni interstiziali (isotropo) e, per differenza, il tensore delle tensioni efficaci.
Importanti implicazioni del principio delle tensioni efficaci sono:
ƒ
una variazione di tensione efficace comporta una variazione di resistenza,
ƒ
se non vi è variazione di tensione efficace non varia la resistenza,
ƒ
una variazione di volume è sempre accompagnata da una variazione di tensione efficace,
ƒ
una variazione di tensione efficace non comporta necessariamente una variazione di
volume,
ƒ
condizione necessaria e sufficiente affinché si verifichi una variazione di stato tensionale efficace è che la struttura del terreno si deformi, la deformazione può essere volumetrica, di taglio o entrambe.
Un’interpretazione fisica approssimata del concetto di tensione efficace può essere data
nel modo seguente: si consideri una superficie immaginaria (di area trasversale pari ad At)
che divida in due parti un elemento di terreno saturo senza sezionare le particelle di terreno (Figura 3.1).
3- 2
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
σ
Se indichiamo con:
−
Ac l’area dei contatti intergranulari,
−
u la pressione dell’acqua nei pori,
67
At
la forza totale verticale, Ft,v , agente sulla suF1
F7
perficie, è data dalla somma delle componenF2 F
ti verticali delle forze trasmesse dai grani in
F4 F5 F6
3
corrispondenza delle aree di contatto e dalla
risultante della pressione dell’acqua nei pori,
agente in corrispondenza delle zone di contatto acqua- superficie, ovvero:
Figura 3.1 – Schema adottato per l’interpretazione del principio delle tensioni efficaci
Ft,v = Σ Fi,v + u (At – Ac)
(Eq. 3.1)
Dividendo tutto per At e indicando con σ = (Ft,v /At), la tensione verticale totale media
sulla superficie considerata, per l’equilibrio in direzione verticale si ha:
σ = Σ Fi,v/At + u (1 – Ac/At).
(Eq. 3.2)
Posto Σ Fi,v/At = σ’, tensione efficace, e tenuto conto che l’area dei contatti intergranulari
è trascurabile rispetto all’area totale (Ac<< At), si ottiene infine:
σ = σ’ + u
(Eq. 3.3)
ovvero l’equazione del principio degli sforzi efficaci.
A commento di quanto sopra detto, è opportuno evidenziare che:
− la tensione efficace, σ’, rappresenta la somma delle forze intergranulari riferita all’area
totale della sezione considerata (quindi una tensione media sulla sezione) e non la
pressione esistente in corrispondenza delle aree di contatto, che risulta molto maggiore
di σ’ (essendo l’area di contatto molto piccola);
− nel caso dei minerali argillosi, il termine σ’ include anche le azioni elettromagnetiche
(di attrazione e repulsione) tra le particelle, che non risultano trascurabili rispetto alle
pressioni intergranulari; anzi, per argille ad alta plasticità, dove potrebbero anche non
esistere contatti intergranulari, σ’ rappresenta la risultante delle forze di attrazione e di
repulsione tra le particelle;
− l’ipotesi di trascurare il rapporto Ac/At non è sempre valida per tutti i mezzi granulari1.
1
A titolo di esempio, consideriamo due diversi mezzi granulari: una sabbia omogenea, per la quale si può
ragionevolmente assumere un valore molto piccolo di Ac/At ( = 0.01) e un insieme di pallini di piombo, per
i quali il valore del rapporto Ac/At è maggiore e vale approssimativamente 0.3 (in quanto a parità di dimensioni, forma e tensione totale agente su di essi, la deformabilità risulta più grande per i pallini di piombo con
un conseguente aumento dell’area di contatto tra le particelle). Assumiamo inoltre, per entrambi i mezzi
granulari: σ = 100kPa e u = 50kPa, e quindi per il principio delle tensioni efficaci σ’ = σ – u = 50kPa. Per la
sabbia si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.01) = 50.5 kPa ≈ σ’ e la pressione verticale media
di contatto interparticellare è molto elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT / AC) = 50.5/0.01 = 5050 kPa.
Per i pallini di piombo invece si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.3) = 65 kPa ≠ σ’ e la pressione verticale media di contatto interparticellare è molto meno elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT /
AC) = 65/0.3 = 216.7 kPa.
3- 3
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Per capire meglio il principio delle tensioni efficaci, consideriamo un recipiente contenente della sabbia immersa in acqua (Figura 3.2a), in modo che il livello dell’acqua sia coincidente con quello della sabbia (tutti i pori tra i grani sono pieni d’acqua, il terreno è saturo).
Se immaginiamo di aggiungere sopra la sabbia uno strato di pallini di piombo (Figura
3.2b), si avrà un incremento di pressioni totali, ∆σ, e un conseguente abbassamento, ∆h,
del livello superiore della sabbia. In questo caso, i pallini trasmettono le sollecitazioni direttamente allo scheletro solido, la pressione dell’acqua all’interno dei pori (pressione interstiziale) non cambia, l’incremento di tensione efficace è pari a quello di tensione totale
(∆σ’ = ∆σ); la variazione delle tensioni efficaci produce degli effetti sul comportamento
meccanico del terreno e induce dei cedimenti.
Se invece immaginiamo di innalzare il livello dell’acqua (Figura 3.2c), nel recipiente contenente sabbia e acqua, si avrà un incremento di pressione totale dovuto unicamente ad un
incremento del carico idrostatico, che produce in ciascun punto un analogo incremento
della pressione interstiziale. In questo caso ∆σ = ∆u e ∆σ’ = 0; non avendo variazioni
delle tensioni efficaci non si hanno né effetti sul comportamento meccanico del terreno né
cedimenti.
Pallini di piombo
∆h
(a)
(b)
(c)
Figura 3.2 – Effetti della variazione delle tensioni totali sulle tensioni efficaci: (a) condizione iniziale; (b-c) Eguale incremento di tensione totale, ∆σ, testimoniato dalla medesima variazione di
peso registrata dalla bilancia; (b) ∆σ = ∆σ’, ∆u = 0 produce l’effetto misurabile del cedimento
∆h; (c) ∆σ = ∆u, ∆σ’ = 0 non si ha alcun effetto misurabile
3.2 Tensioni geostatiche
In molti problemi di ingegneria geotecnica può essere necessario stimare l’effetto che una
perturbazione, come ad esempio l’applicazione di un carico in superficie, lo scavo di una
trincea o l’abbassamento del livello di falda, produce sul terreno in termini di resistenza e
di deformazione.
3- 4
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
A tal fine è necessario prima stimare le variazioni dello stato di sollecitazione indotto dalla perturbazione nel terreno, e poi applicare la legge costitutiva, ovvero le relazioni che
permettono di stimare, date le variazioni di tensione, le conseguenti deformazioni, immediate e/o ritardate, del terreno. Poiché quasi mai il terreno può essere assimilato ad un
mezzo elastico lineare, le deformazioni indotte dalla variazione di stato tensionale dipendono anche dallo stato tensionale iniziale del terreno, ovvero precedente alla perturbazione, e dalla storia tensionale e deformativa che il terreno ha subito fino a quel momento.
Perciò è molto importante stimare lo stato tensionale dovuto al peso proprio del terreno
(tensioni geostatiche), che di norma corrisponde allo stato tensionale iniziale.
La conoscenza dello stato tensionale iniziale in sito è dunque un punto di partenza fondamentale per la soluzione di qualunque problema di natura geotecnica.
In assenza di carichi esterni applicati, le tensioni iniziali in sito sono rappresentate dalle
tensioni geostatiche (o litostatiche), ovvero dalle tensioni presenti nel terreno allo stato
naturale, indotte dal peso proprio.
Tali tensioni sono legate a molti fattori ed in particolare a:
−
geometria del deposito,
−
condizioni della falda,
−
natura del terreno (caratteristiche granulometriche e mineralogiche, stato di addensamento o di consistenza, omogeneità, isotropia),
−
storia tensionale (con il termine storia tensionale si intende comunemente la sequenza di tensioni, in termini di entità e durata, che hanno interessato il deposito
dall’inizio della sua formazione alle condizioni attuali),
e la loro determinazione è, in generale, piuttosto complessa.
Se consideriamo all’interno di un deposito di terreno un generico punto P, con riferimento
ad un elemento cubico infinitesimo di terreno, i cui lati sono orientati secondo un sistema
di riferimento cartesiano ortonormale (0,x,y,z) con asse z verticale, lo stato tensionale può
essere definito una volta note le componenti normali, σ, e tangenziali, τ, delle tensioni
agenti sulle facce dell’elemento di terreno considerato (Figura 3.3)2. Tali tensioni sono
legate tra loro ed alle componenti dPx, dPy e dPz delle forze di volume, presenti
nell’elemento, attraverso le equazioni indefinite di equilibrio alla traslazione e alla rotazione:
∂τ yx
⎧ ∂σ x
∂τ
dx ⋅ dy ⋅ dz +
dx ⋅ dy ⋅ dz + zx dx ⋅ dy ⋅ dz + dPx = 0
⎪
∂y
∂z
⎪ ∂x
∂
σ
∂
τ
∂
τ zy
⎪ y
xy
dx ⋅ dy ⋅ dz +
dx ⋅ dy ⋅ dz +
dx ⋅ dy ⋅ dz + dPy = 0
⎨
∂x
∂z
⎪ ∂y
∂τ yz
∂τ xz
⎪ ∂σ z
dx
⋅
dy
⋅
dz
+
dx
⋅
dy
⋅
dz
+
dx ⋅ dy ⋅ dz + dPz = 0
⎪ ∂z
∂x
∂y
⎩
2
⎧τ xy = τ yx
⎪
⎨ τ zx = τ xz
⎪τ = τ
yz
⎩ zy
(Eq. 3.4)
Nella Meccanica dei Terreni sono assunte positive le tensioni normali di compressione e le tensioni tangenziali che producono rotazioni orarie rispetto a un punto esterno al piano di giacitura (ovvero che danno
origine ad una coppia antioraria).
3- 5
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
z
σz
y
x
τzx
τzy
O
τ yz
τxz
τxy
σy
τyx
σx
Figura 3.3 – Stato tensionale di un elemento infinitesimo di terreno
Nel caso di:
−
piano di campagna orizzontale ed infinitamente esteso,
−
uniformità orizzontale delle proprietà del terreno (quindi terreno omogeneo od eventualmente stratificato, con disposizione orizzontale degli strati),
−
falda orizzontale e in condizioni di equilibrio idrostatico,
si realizza per ragioni di simmetria uno stato tensionale assial-simmetrico rispetto
all’asse z, in cui in ogni punto il piano orizzontale e tutti i piani verticali sono principali e
le tensioni orizzontali sono tra loro uguali, in tutte le direzioni.
Lo stato tensionale totale in un generico punto P può essere dunque univocamente definito mediante una tensione totale verticale, σz = σv, e una tensione totale orizzontale, σh =
σx = σy (Figura 3.4).
x
σv
zw
σh
σh
σh
dP
σv +
z
∂σ v
dz
∂z
Figura 3.4 – Stato tensionale assial-simmetrico e tensioni geostatiche nel terreno
3- 6
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Le equazioni indefinite dell’equilibrio, (3.4), considerando che le forze di volume sono
rappresentate dalla sola forza peso dPz = - dP = - γ dx dy dz, risultano così semplificate:
⎧ ∂σ h ∂σ h
⎪ ∂x = ∂y = 0
⎪
⎨
⎪ ∂σ v
=γ
⎪
∂z
⎩
(Eq. 3.5)
3.2.1 Tensioni verticali
Integrando l’equazione ottenuta dall’equilibrio in direzione verticale, è possibile ricavare
il valore della pressione verticale totale alla profondità z:
z
σ v = ∫ γ (z)dz
(Eq. 3.6)
0
Vale la pena evidenziare che le tensioni litostatiche vengono spesso indicate con il simbolo “0” a pedice, per sottolineare che si tratta di condizioni iniziali (di partenza per il problema geotecnico di interesse).
Se il deposito è omogeneo (γ costante con la profondità) e σv = 0 per z = 0 (assenza di carichi verticali sul piano di campagna) e la superficie piezometrica coincide col piano di
campagna (zw = 0) si ha, dall’equazione (3.6):
σvo = γ ⋅ z
(Eq. 3.7)
dove γ rappresenta il peso di volume saturo fino alla profondità z considerata3.
Nel caso di deposito costituito da più strati orizzontali caratterizzati da valori di γ diversi
(costanti all’interno di ciascuno strato), il valore della pressione verticale totale alla profondità z è dato invece da:
σvo = Σi γi ⋅ ∆zi
(Eq. 3.8)
essendo ∆zi lo spessore dello strato i-esimo compreso entro la profondità z.
È da osservare che anche all’interno di uno stesso strato γ può variare con la profondità
(anche per effetto del solo peso proprio l’indice dei vuoti di un terreno diminuisce al crescere della profondità e conseguentemente aumenta il suo peso di volume); in tal caso si è
soliti suddividere il deposito in sottostrati per i quali viene assunto γ costante.
La pressione verticale efficace, σv’, non è invece determinabile direttamente. Una volta
determinato il valore della pressione verticale totale, σv, è necessario perciò valutare an-
3
Nel caso in cui la superficie piezometrica sia al di sopra del piano di campagna ad una distanza H, allora la
tensione verticale totale è data da: σvo = γ z + γw ⋅ H, mentre nel caso in cui sia al di sotto del piano di campagna ad una profondità zw, allora la tensione verticale totale è: σvo = γsat ⋅( z - zw) + γ ⋅ zw, dove γ rappresenta il peso di volume del terreno al di sopra della falda (in genere parzialmente saturo a causa di fenomeni di
risalita capillare) e γd < γ < γsat.
3- 7
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
che il valore della pressione dell’acqua nei pori, ossia il valore della pressione interstiziale, u, in modo da poter applicare l’equazione del principio delle pressioni efficaci (3.3).
In condizioni di falda in quiete, la pressione dell’acqua, u, può essere ricavata una volta
nota la posizione della superficie piezometrica, che è per definizione il luogo dei punti in
cui la pressione dell’acqua è uguale alla pressione atmosferica, ua (in pratica la pressione
dell’acqua u può essere rilevata utilizzando varie tecniche di misura che verranno descritte in uno dei capitoli seguenti).
Poiché convenzionalmente si assume ua = 0, si ha, all’interno di un deposito reale, u >0
sotto la superficie piezometrica e u < 0 sopra (specie per terreni coesivi per la presenza di
fenomeni di risalita capillare). Essendo la determinazione dei valori u < 0 molto incerta, si
è soliti assumere u = 0 al di sopra della superficie piezometrica, commettendo consapevolmente un errore che, nella maggior parte dei casi è a favore della sicurezza.
In ciascun punto al di sotto della superficie piezometrica, e in assenza di moto di filtrazione, la pressione dell’acqua, uguale in tutte le direzioni, è pari al valore idrostatico4, ovvero:
u = γw z
(Eq. 3.9)
essendo z la profondità del punto considerato rispetto alla superficie piezometrica. Pertanto, avendo assunto un sistema di riferimento con l’asse z verticale discendente e origine
sul piano campagna, se la superficie piezometrica si trova a profondità zw, il valore della
pressione interstiziale a profondità z è pari a:
u=0
per z < zw
u = γw⋅ (z-zw)
per z ≥ zw
(Eq. 3.10)
Ricordando l’espressione generale di σv(3.8), si ha quindi:
σ ’vo = σvo - u = σvo = Σi γi ⋅ ∆zi
σ ’vo = σvo - u =
Σi γi ⋅ ∆zi – γw⋅(z-zw)
per z < zw
(Eq. 3.11)
per z ≥ zw
3.2.2 Tensioni orizzontali
Al contrario di quanto accade per le pressioni verticali, la determinazione delle pressioni
orizzontali in un deposito risulta incerta, poiché le equazioni che si ricavano dall’equilibrio alle traslazioni in direzione orizzontale, (3.5), forniscono σh = costante e quindi non
danno nessuna informazione utile.
Non essendo pertanto possibile una loro determinazione analitica, è necessario ricorrere
ad evidenze sperimentali. L’osservazione condotta sperimentalmente su depositi di differente origine e composizione, ha evidenziato che il valore di σ’h dipende, oltre che da:
−
geometria del deposito,
−
condizioni della falda,
4
Infatti nella maggior parte dei casi i vuoti nei terreni sono fra loro comunicanti e quindi sotto falda sono
saturi d’acqua. In alcuni casi ciò non è vero: ad esempio in alcuni terreni di origine vulcanica, come i terreni
di Sarno.
3- 8
Capitolo 3
−
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
e natura del terreno
(analogamente a quanto accade per σ’v), anche dalla storia tensionale del deposito.
Per meglio comprendere l’influenza della storia tensionale del deposito sul valore della
tensione orizzontale, si faccia riferimento ad un caso di sedimentazione in ambiente lacustre su un’area molto estesa in direzione orizzontale.
La tensione verticale totale nel punto P (Figura 3.5a), in corrispondenza del piano di campagna, è inizialmente uguale alla pressione interstiziale, quindi la tensione efficace verticale risulta nulla. Durante la deposizione, dopo un certo periodo di tempo, il terreno nel
punto P si trova ad una certa profondità z dal piano di campagna, e una volta raggiunto
l’equilibrio sotto l’azione del peso del terreno sovrastante, si osserva che la pressione interstiziale è rimasta immutata, mentre per effetto del peso del terreno sovrastante, è aumentata la tensione verticale totale e con essa, per il principio delle tensioni efficaci, anche la tensione efficace verticale, σ’v(A).
Il terreno in tale punto ha subito una compressione assiale (εz) senza deformazioni laterali
(εx = εy = 0), per ragioni di simmetria, essendo il deposito infinitamente esteso in direzione orizzontale. Quindi risulta che la deformazione volumetrica, εv, è legata alla variazione
di altezza ∆H e dell’indice dei vuoti ∆e del terreno dalla seguente relazione:
∆H
H0
ε v = ε1 + ε 2 + ε 3 = ε z = −
5
(Eq. 3.12)
dove6:
εv = −
∆e
∆V ( Vv 0 + Vs ) − ( Vv 1 + Vs ) Vv 0 / Vs − Vv 1 / Vs e 0 − e 1
=−
=
=
=
Vv 0 / Vs + Vs / Vs
1 + e0
1 + e0
V0
Vv 0 + Vs
(Eq. 3.13)
da cui quindi risulta che:
∆H
∆e
=
H0 1 + e0
(Eq. 3.14)
a)
b)
e
A
B
∆e
C
(C)
(B)
(A)
P
∆σ’v
σ’v (log)
Figura 3.5 - Sedimentazione in ambiente lacustre (a) e linea di compressione vergine (b)
5
Il segno negativo evidenzia che nella Meccanica dei Terreni vengono considerate positive le diminuzioni
di volume e di lunghezza.
6
Si assume che il volume dei solidi Vs rimanga costante nell’ipotesi di incompressibilità dei grani.
3- 9
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Tale fenomeno di deformazione monodimensionale verrà ripreso ed approfondito nel Capitolo 7 e può essere descritto riportando su un grafico in scala semilogaritmica la tensione efficace verticale nel punto P considerato e l’indice dei vuoti corrispondente, raggiunto
al procedere della deposizione del materiale. I valori si dispongono su una retta detta linea di compressione vergine (linea ABC in Figura 3.5b).
In queste condizioni di deformazioni orizzontali impedite dovute alla particolare geometria e simmetria del deposito, l’incremento delle tensioni efficaci orizzontali è sempre
proporzionale al corrispondente incremento delle tensioni efficaci verticali, secondo un
coefficiente detto coefficiente di spinta a riposo (“a riposo” significa in assenza di deformazioni laterali) e, considerando che per σ’v = 0, σ’h = 0, vale la seguente relazione:
Ko =
σ ʹho
σ ʹvo
(Eq. 3.15)
In particolare durante la fase di deposizione del materiale, tale coefficiente rimane costante al variare della tensione efficace verticale raggiunta e dipende solo dalla natura del terreno. In una situazione di questo genere, in cui la tensione efficace verticale geostatica,
σ’v0, coincide con la tensione efficace verticale massima sopportata dal deposito in quel
punto durante la sua storia, si parla di terreno normalconsolidato (o normalmente consolidato, indicato con il simbolo NC).
Supponiamo ora che alla fase di sedimentazione segua una fase di erosione (Figura 3.6a),
e conseguentemente il deposito nel punto P, raggiunta la situazione rappresentata dal punto C in Figura 3.5b, subisca uno scarico tensionale con riduzione della tensione efficace
verticale, fino al valore σ’v(D), e conseguente incremento dell’indice dei vuoti. Riportando i valori di tensione efficace verticale raggiunti in funzione dell’indice dei vuoti (Figura
3.6b) si osserva che lo scarico non avviene sulla stessa linea di compressione vergine
(corrispondente alla fase di sedimentazione), ma su una retta di pendenza notevolmente
inferiore (linea di scarico), dove a parità di tensione efficace verticale raggiunta, il terreno presenta, rispetto alla fase di sedimentazione, una struttura più stabile, caratterizzata da
una maggiore resistenza al taglio e da una minore compressibilità (fenomeno di preconsolidazione).
In una situazione di questo genere in cui la tensione efficace verticale massima subita dal
deposito nel punto considerato, σ’v(C), detta pressione di preconsolidazione ed indicata
con σ’p, è maggiore della tensione efficace verticale geostatica, il terreno si definisce sovraconsolidato (indicato con il simbolo OC) e l’entità della sovraconsolidazione, legata
all’ampiezza dello scarico e quindi al valore della tensione efficace verticale raggiunta,
σ’v(D), è rappresentata dal grado di sovraconsolidazione, OCR (OverConsolidation
Ratio):
OCR =
σʹ p
(Eq. 3.16)
σʹ v 0
dove la pressione di preconsolidazione σ’p è usualmente determinata da prove di laboratorio su campioni indisturbati7.
7
Nel caso in cui la sovraconsolidazione sia di origine meccanica (dovuta cioè a fenomeni di erosione o di
innalzamento del livello di falda) il grado di sovraconsolidazione risulta massimo in prossimità della superficie del deposito e tende all’unità all’aumentare della profondità.
3-10
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
a)
b)
(E)
e
D
C
(C)
E
(D)
P
σ’v (log)
Figura 3.6 - Fase di erosione e sedimentazione (a) e linea di scarico e ricarico (b)
Al procedere dello scarico tensionale anche la tensione efficace orizzontale si riduce, ma
non in modo proporzionale alla riduzione della tensione efficace verticale, cosicché il coefficiente di spinta a riposo, che si indica col simbolo K0(OC), aumenta al diminuire della
tensione efficace verticale raggiunta (e quindi all’aumentare di OCR).
Infine se il deposito è soggetto a una nuova fase di deposizione, con conseguente incremento delle tensioni efficaci verticali a partire dal punto indicato con D in Figura 3.6, il
terreno si muove su una linea pressoché parallela a quella di scarico (linea di ricarico) fino al raggiungimento della pressione di preconsolidazione, σ’v(C), raggiunta la quale il
terreno ritorna a comportarsi come un terreno normalconsolidato e a ripercorrere la linea
di compressione inziale.
Coefficiente di spinta a riposo, K0
Il coefficiente Ko, può essere valutato a partire dai risultati di alcune prove in sito (che
vedremo nei capitoli seguenti). Frequentemente viene stimato per mezzo di relazioni empiriche a partire da parametri di più semplice determinazione (p. es. dalla densità relativa
per i terreni a grana grossa o dall’indice di plasticità per terreni a grana fine).
Ko per i terreni normalconsolidati
(solitamente indicato col simbolo
Ko(NC)) varia generalmente tra 0.4
e 0.8; in genere si hanno valori più
bassi per terreni granulari, più alti
per limi e argille.
Per terreni coesivi NC, le relazioni
empiriche esistenti in letteratura
legano generalmente Ko a Ip, con
Ko linearmente crescente con Ip.
Un esempio è riportato in Figura
3.7.
Indisturbato
Disturbato o ricostituito in laboratorio
Indice di plasticità, Ip
Per terreni incoerenti NC esistono
in letteratura correlazioni tra Ko e
Figura 3.7 – Correlazione tra il coefficiente di spinta a DR, nelle quali Ko decresce al creriposo per terreni normalconsolidati, K0(NC), ottenuto scere di DR. Un esempio è riportato
da prove di laboratorio, e l’indice di plasticità, Ip
in Figura 3.8.
3-11
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
In generale, per tutti i tipi di terreno, viene spesso utilizzata la seguente relazione di Jaky semplificata:
Ko ≅ 1- sin φ’
(Eq. 3.17)
dove φ’ è l’angolo di resistenza al
taglio (parametro che verrà definito nel capitolo relativo alla resistenza).
Per terreni sovraconsolidati, Ko
può raggiungere valori anche maggiori di 1, e può essere stimato a Figura 3.8 – Correlazione tra il coefficiente di spinta a
partire dal valore di Ko del mede- riposo per terreni normalconsolidati, K0(NC),e la densisimo terreno normalconsolidato, tà relativa, Dr
mediante una relazione del tipo:
Ko (OC) = Ko (NC)⋅ OCRα
(Eq. 3.18)
dove α è un coefficiente empirico legato alla natura del terreno.
Per terreni coesivi viene spesso assunto α ≅ 0.5. Esistono in letteratura correlazioni che
legano α a Ip, del tipo α = a⋅ Ip-b , in cui α risulta una funzione decrescente di Ip.
Per terreni incoerenti la determinazione
sperimentale di OCR, che richiede il prelievo di campioni indisturbati, non è generalmente possibile. Perciò, anche se esistono alcune relazioni empiriche di letteratura tra α e DR (un esempio è riportato in Figura 3.9), il coefficiente di spinta
a riposo in depositi OC di terreno incoerente, viene più opportunamente determinato mediante prove in sito.
Da quanto sopra detto, lo stato di tensione
Figura 3.9 – Variazione dell’esponente α con la in un punto di un deposito di terreno omogeneo durante un processo di sedimendensità relativa, Dr
tazione (carico), di successiva erosione
(scarico), e infine di nuova sedimentazione (ricarico), è qualitativamente rappresentato in
Figura 3.10 a, mentre la variazione del coefficiente di spinta a riposo durante lo stesso
processo è rappresentato in Figura 3.10 b. In conclusione, in un qualunque punto del deposito, noto il valore della pressione verticale efficace litostatica, σ’vo, e noto il coefficiente di spinta a riposo, Ko, il valore della pressione orizzontale efficace litostatica, σ’ho,
può essere ricavato mediante la relazione:
σ’ho = Ko⋅σ’vo
(Eq. 3.19)
per definizione stessa di Ko.
3-12
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
σ’h0 a)
Κ0
K0(OC)
∆e Ricarico (OC)
b) Ricarico (OC)
D
K0(NC)
C
K0(OC)
C
D
B
A
Scarico (OC)
Scarico (OC)
K0(NC)
Carico (NC)
A
B
C
Carico (NC)
σ’v0
σ’v0
Figura 3.10 –Stati di tensione (a) e variazione del coefficiente di spinta a riposo (b) in un deposito di terreno omogeneo, durante la fase di sedimentazione (carico), la fase di successiva erosione
(scarico) e nuova sedimentazione (ricarico).
Dal valore della pressione orizzontale efficace è possibile poi ricavare il valore della pressione orizzontale totale, sfruttando di nuovo la formulazione del principio delle pressioni
efficaci e sommando il valore di u (già calcolato, essendo, come sottolineato in precedenza, la pressione dell’acqua un tensore sferico, isotropo) a σ’ho, ovvero:
σ ho = σ’ho + u
(Eq. 3.20)
Riassumendo, sotto opportune ipotesi semplificative iniziali, noti:
-
il peso di volume sopra e sotto falda,
-
la posizione della superficie piezometrica,
-
il coefficiente di spinta a riposo,
è possibile definire completamente lo stato tensionale geostatico all’interno di un deposito, che normalmente coincide con lo stato tensionale iniziale, la cui conoscenza è, come
già osservato, un punto di partenza indispensabile per la soluzione di qualunque problema
geotecnico.
3.2.3 Influenza dell’oscillazione del livello di falda sulle tensioni efficaci
Si consideri un deposito, ipotizzato per semplicità omogeneo, caratterizzato da un peso di
volume umido γ , sopra falda, e da un peso di volume saturo, γsat, sotto falda.
a) Supponiamo inizialmente la falda ad una profondità zw1 dal piano di campagna, e determiniamo l’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali con la
profondità (Figura 3.11a). In particolare utilizzando la (3.7) si ottiene l’andamento delle
tensioni verticali totali (nell’ipotesi che il terreno non sia completamente saturo al di sopra della falda):
⎧σ v1 = γ ⋅ z
⎨
⎩σ v1 = γ sat ⋅ (z − z w1 ) + γ ⋅ z w1
per z < z w1
per z ≥ z w1
mentre dalla (3.10) si ottiene l’andamento delle pressioni interstiziali:
per z < z w1
⎧u 1 = 0
⎨
⎩u 1 = γ w ⋅ (z − z w1 ) per z ≥ z w1
Infine, per differenza, (3.3), si ottiene l’andamento delle tensioni efficaci:
3-13
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
per z < z w1
⎧σ' v1 = γ ⋅ z
⎪
⎨σ' v1 = γ sat (z − z w1 ) + γ ⋅ z w1 − γ w (z − z w1 )
⎪= ( γ − γ )(z − z ) + γ ⋅ z = γ ' (z − z ) + γ ⋅ z
per z ≥ z w1
sat
w
w1
w1
w1
w1
⎩
Supponendo che la falda si abbassi ad un livello zw2 > zw1, l’andamento delle tensioni totali, delle pressioni interstiziali e delle tensioni efficaci risulta così modificato (Figura
3.11 b):
per z < z w 2
⎧σ v 2 = γ ⋅ z
⎨
⎩σ v 2 = γ sat ⋅ (z − z w 2 ) + γ ⋅ z w 2 per z ≥ z w 2
per z < z w 2
⎧u 2 = 0
⎨
⎩u 2 = γ w ⋅ (z − z w 2 ) per z ≥ z w 2
⎧σ' v 2 = γ ⋅ z
⎨
⎩σ' v 2 = γ ' (z − z w 2 ) + γ ⋅ z w 2
per z < z w 2
per z ≥ z w 2
Supponendo che il peso di volume del terreno sopra falda sia lo stesso per le due condizioni esaminate, la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è
data da:
⎧∆σ v = σ v 2 − σ v1 = 0
⎪
⎨∆σ v = σ v 2 − σ v1 = ( γ sat − γ ) ⋅ (z w1 − z)
⎪∆σ = σ − σ = ( γ − γ ) ⋅ (z − z )
v2
v1
sat
w1
w2
⎩ v
⎧∆u = u 2 − u 1 = 0
⎪
⎨∆u = u 2 − u 1 = γ w ⋅ (z w1 − z)
⎪∆u = u − u = γ ⋅ (z − z )
2
1
w
w1
w2
⎩
per z < z w1
per z w1 < z < z w 2
per z ≥ z w 2
per z < z w1
per z w1 < z < z w 2
per z ≥ z w 2
⎧∆σ' v = σ' v 2 −σ' v1 = 0
⎪
⎨∆σ' v = σ' v 2 −σ' v1 = −( γ − γ ' ) ⋅ (z w1 − z)
⎪∆σ' = σ' −σ' = ( γ − γ ' ) ⋅ (z − z )
v2
v1
w2
w1
⎩ v
per z < z w1
per z w1 < z < z w 2
per z ≥ z w 2
σv
p.c
σ’v
u
zw1
(a)
zw2
(a )
(b)
z
(b)
z
( b)
( a)
z
(a)
(b)
Figura 3.11 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sotto del piano di campagna, sulle
tensioni efficaci
3-14
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Dalle relazioni precedenti si osserva che, essendo zw2 > zw1 e γsat > γ > γ’, le tensioni totali
e le pressioni interstiziali, tranne che nello strato al di sopra del livello di falda iniziale
dove rimangono invariate, diminuiscono. La variazione, di entità differente nei due casi, è
costante con la profondità al di sotto del livello finale della falda. Le tensioni efficaci, invece, al di sotto del livello di falda iniziale, aumentano provocando nel terreno un incremento della resistenza al taglio ed una compressione che ne determina un cedimento.
b) Supponiamo ora che la variazione del livello di falda avvenga al di sopra del piano di
campagna (Figura 3.12), cioè che la falda si abbassi da una quota h1 rispetto al piano di
campagna ad una quota h2 < h1, mantenendosi sempre al disopra del piano di campagna.
L’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali all’interno del deposito, prima (Figura 3.12a) e dopo l’abbassamento (Figura 3.12b), risulta il seguente:
σ v1 = γ sat ⋅ z + γ w ⋅ h 1
u 1 = γ w ⋅ (z + h 1 )
σ' v1 = γ ' z
σ v 2 = γ sat ⋅ z + γ w ⋅ h 2
u 2 = γ w ⋅ (z + h 2 )
σ' v 2 = γ ' z
Quindi la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è pari a :
∆σ v = σ v 2 − σ v1 = γ w ⋅ (h 2 − h 1 )
∆u = u 2 − u 1 = γ w ⋅ (h 2 − h 1 )
∆σ' v = σ' v 2 −σ' v1 = 0
(a)
(b)
h1
h2
σv
p.c
σ’v
u
(a)
(b)
(a)
(b)
z
z
(a)=(b)
z
Figura 3.12 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sopra del piano di campagna, sulle tensioni efficaci
3-15
Capitolo 3
STATI DI TENSIONE NEL TERRENO
Da cui si osserva che la diminuzione delle tensioni totali è sempre uguale alla variazione
delle pressioni interstiziali e, a parte il primo tratto compreso tra la quota iniziale e finale
della falda dove cresce linearmente con la profondità, è sempre costante. Conseguentemente la variazione delle tensioni efficaci è sempre nulla, ciò significa che l’abbassamento della falda in questo caso provoca una diminuzione delle tensioni totali che si
scarica interamente sul campo fluido e non modifica il regime delle tensioni efficaci e
quindi la resistenza al taglio del terreno.
3-16
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
CAPITOLO 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Nell’affrontare la maggior parte dei problemi di Ingegneria Geotecnica non si può prescindere dalla presenza dell’acqua nel terreno.
L’acqua che viene direttamente a contatto con la superficie del terreno, o raccolta da fiumi e laghi, tende ad infiltrarsi nel sottosuolo per effetto della gravità e, se si eccettua una
percentuale trascurabile che si accumula all’interno di cavità sotterranee, la maggior parte
di essa va a riempire, parzialmente o completamente, i vuoti presenti nel terreno e le fessure degli ammassi rocciosi.
In particolare, nel caso di depositi di terreno, si possono distinguere, al variare della profondità, zone a differente grado di saturazione e in cui l’acqua presente nei vuoti si trova
in condizioni diverse. Partendo dalla superficie del piano campagna e procedendo verso il
basso, si possono generalmente individuare (Figura 4.1).
−
un primo strato superficiale di suolo vegetale, detto di evapotraspirazione, dove
l’acqua di infiltrazione viene parzialmente ritenuta, ma in prevalenza assorbita dalle
radici della vegetazione;
−
un secondo strato, detto di ritenzione, in cui l’acqua presente è costituita principalmente da una parte significativa dell’acqua di infiltrazione che rimane aderente ai
grani ed è praticamente immobile ed è detta acqua di ritenzione, che comprende
l’acqua adsorbita e l’acqua pellicolare (Figura 1.7).
−
un terzo strato, denominato strato della frangia capillare, caratterizzato prevalentemente dalla presenza di acqua capillare, quella che, per effetto delle tensioni superficiali, rimane “sospesa” all’interno dei vuoti, vincendo la forza di gravità.
Al di sotto di queste tre zone, che insieme costituiscono la cosiddetta zona vadosa, si trova la zona di falda (o acquifero).
Il grado di saturazione delle diverse zone dipende principalmente dalle caratteristiche
granulometriche e fisiche del deposito, da fattori climatici e ambientali. Fatta eccezione
per alcune categorie molto particolari di materiali, i vuoti presenti nel terreno sono comunicanti tra loro e costituiscono un reticolo continuo, cosicché, generalmente, la zona di
falda è completamente satura; la zona vadosa è satura in prossimità della falda per spessori variabili da pochi centimetri per le ghiaie a decine di metri per le argille e generalmente
ha un grado di saturazione decrescente salendo verso il piano campagna. La pressione
dell’acqua nella zona vadosa è inferiore a quella atmosferica (per cui la pressione interstiziale risulta negativa avendo assunto convenzionalmente, come ricordato nel capitolo 3, la
pressione atmosferica uguale a zero).
Inoltre, in relazione alla loro permeabilità i diversi tipi di terreno possono consentire più o
meno agevolmente il flusso dell’acqua, perciò la presenza di strati a differente permeabilità può determinare nel sottosuolo la presenza di diversi tipi di falda. In particolare, si possono individuare (Figura 4.2) le tre condizioni di:
−
falda freatica
4-1
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
−
falda sospesa
−
falda artesiana
Acqua sospesa
Zona vadosa
Zona di evapotraspirazione
Zona di ritenzione
Acqua di falda
Zona di falda
Frangia capillare
Falda
Figura 4.1 – Zone a differente grado di saturazione in un deposito di terreno
Infiltrazione
Livello piezometrico
Falda sospesa
Falda freatica
Terreno con permeabilità
molto bassa
Acquifero confinato
(falda artesiana)
Roccia
Figura 4.2 – Differenti tipi di falda in un deposito di terreno
4-2
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
La falda freatica è delimitata inferiormente da uno strato che non permette il flusso
dell’acqua (o comunque in quantità e velocità trascurabili) ed è delimitata superiormente
da una superficie, detta superficie freatica, in corrispondenza della quale l’acqua si trova
a pressione atmosferica, come si trovasse in un serbatoio aperto.
Immaginando di inserire un tubo verticale aperto alle estremità (piezometro) all’interno di
una falda freatica, ovvero di perforare un pozzo, si osserva che il livello statico raggiunto
dall’acqua nel tubo (detto livello piezometrico) è uguale a quello della superficie freatica.
Analoghe considerazioni possono essere fatte riguardo alla falda sospesa, che rispetto alla
precedente, risulta delimitata inferiormente da uno strato di estensione molto più limitata.
Si ha una falda artesiana quando l’acqua di una falda freatica viene incanalata tra due strati impermeabili. In questo caso l’acqua racchiusa nello strato permeabile (che ne permette
agevolmente il flusso) si comporta come se si trovasse entro una tubazione in pressione,
ossia ha una pressione maggiore di quella atmosferica. Immaginando di inserire un piezometro fino a raggiungere la falda artesiana, si osserva un livello piezometrico maggiore
di quello della superficie che delimita superiormente la falda.
In generale, l’acqua presente nel terreno può trovarsi in condizioni di quiete o di moto, sia
allo stato naturale sia in seguito a perturbazioni del suo stato di equilibrio.
Nel caso in cui si trovi in condizioni di moto, il flusso può essere stazionario (o permanente) oppure non stazionario (o vario), a seconda che i parametri del moto risultino costanti o variabili nel tempo.
Nel moto stazionario la quantità di acqua che entra in un elemento di terreno è pari alla
quantità di acqua che esce dallo stesso elemento (filtrazione in regime permanente). Nel
moto vario la quantità di acqua entrante in un elemento di terreno è diversa da quella uscente (filtrazione in regime vario). Se il terreno è saturo, la differenza tra le due quantità
può produrre il fenomeno della consolidazione (con riduzione dell’indice dei vuoti, o del
rigonfiamento, con aumento dell’indice dei vuoti.
Il vettore che caratterizza il moto dell’acqua può essere scomposto in una o più direzioni
nello spazio, definendo condizioni di flusso mono-, bi-, o tri-dimensionali. Generalmente,
nella maggior parte dei casi pratici, si fa riferimento ai primi due tipi.
4.1 Carico totale e piezometrico: il gradiente idraulico
I moti di filtrazione di un fluido avvengono tra due punti a diversa energia (da quello a
energia maggiore a quello a energia minore). In ciascun punto, l’energia è data dalla
somma dell’energia cinetica (legata alla velocità del fluido) e dell’energia potenziale (legata alla posizione del punto nel campo gravitazionale e alla pressione del fluido).
Nello studio dei moti di filtrazione è conveniente esprimere l’energia, potenziale e cinetica, in termini di carico, o altezza, che corrisponde all’energia per unità di peso del liquido. In particolare, si definiscono:
−
altezza geometrica, z, la distanza verticale del punto considerato da un piano orizzontale di riferimento arbitrario (z = 0),
−
altezza di pressione, u/γw, l’altezza di risalita dell’acqua rispetto al punto considerato, per effetto della sua pressione, u
4-3
Capitolo 4
−
IDRAULICA DEI TERRENI
altezza di velocità, v2/2g, l’energia dovuta alla velocità, v, delle particelle del fluido
(essendo g l’accelerazione di gravità).
La somma dei tre termini:
H =z+
u v2
+
γ w 2g
(Eq. 4.1)
è denominata carico effettivo (o totale) o altezza totale, mentre il binomio:
h =z+
u
γw
(Eq. 4.2)
è detto carico piezometrico.
In virtù del teorema di Bernoulli, si ha che per un fluido perfetto, incomprimibile, in moto
permanente, soggetto solo all’azione di gravità, il carico totale è costante lungo una data
traiettoria. Se, con riferimento
allo schema di Figura 4.3
viene inserito un campione di
Piezometri
terreno, dotato di sufficiente
carico totale per fluido
permeabilità, all’interno del
ideale
∆h
u1
tubo di flusso nella zona conγw
trollata dai due piezometri, si
1
A
u2
osserva che in essi l’acqua riγw
sale a quote diverse; ciò si2
gnifica che tra i due punti di
osservazione si è avuta una
perdita di carico nel termine h
L
= z + u/γw. Potendo ritenere
z1
trascurabili le perdite di cariz2
co dovute al flusso delpiano di riferimento
l’acqua in assenza di terreno e
osservando che per il principio di conservazione della
Figura 4.3 – Perdita di carico in condizioni di flusso monodi- massa la velocità media nelle
mensionale in un campione di terreno
varie sezioni della condotta
deve essere costante, la differenza di altezza d’acqua nei due piezometri, ∆h, è perciò una misura della perdita di energia totale dovuta al flusso dell’acqua nel terreno, ossia dell’energia spesa dall’acqua per
vincere la resistenza al moto opposta dal terreno compreso tra i due punti considerati. Inoltre, poiché nei terreni la velocità di flusso, e quindi l’altezza di velocità, è generalmente trascurabile, il carico piezometrico può essere ritenuto rappresentativo dell’energia totale nel punto considerato.
Con riferimento ai simboli di Figura 4.3, si definisce gradiente idraulico il rapporto:
i=
∆h
L
(Eq. 4.3)
che rappresenta la perdita di carico per unità di lunghezza del percorso.
4-4
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
4.2 Legge di Darcy
Poiché il moto di filtrazione fra due generici punti è governato solo dalla differenza di carico, può essere utile identificare un legame tra le caratteristiche del moto (in particolare
la velocità), le proprietà del terreno e la perdita di carico.
Darcy, studiando il flusso monodimensionale dell’acqua attraverso strati orizzontali di
sabbia (in condizioni di moto laminare), osservò che la portata per unità di superficie è direttamente proporzionale alla perdita di carico e inversamente proporzionale alla lunghezza del percorso considerato. In sostanza, con riferimento alla Figura 4.3, tra la portata per
unità di superficie, Q/A, che può essere definita velocità apparente (nominale) di filtrazione, v, la perdita di carico, ∆h, e la lunghezza L, vale la relazione:
Q
∆h
= v = k⋅
= k ⋅i
A
L
(Eq. 4.4)
nota come Legge di Darcy, nella quale k è detto coefficiente di permeabilità.
In termini vettoriali, in condizioni di flusso bi-, e tri-dimensionali:
r
r
r
v = −k ⋅ ∇h = −k ⋅ div h
h = carico idraulico
(Eq. 4.5)
Considerando che la permeabilità è in generale una caratteristica anisotropa per i terreni
naturali, la (4.5) diventa:
∂h
= −k x ⋅ i x
∂x
∂h
v y = −k y ⋅
= −k y ⋅ i y
∂y
∂h
v z = −k z ⋅
= −k z ⋅ i z
∂z
v x = −k x ⋅
(Eq. 4.6)
Nelle relazioni precedenti, v è una velocità apparente, perché la velocità reale, vr,
dell’acqua nei pori è maggiore, in quanto, come evidenzia la Figura 4.4a, l’area della sezione attraversata effettivamente dall’acqua (area dei vuoti, Av) è minore dell’area della
sezione A. Quindi se Q è la portata misurata, essa può essere espressa come
v Av
Q = v ⋅ A = v r ⋅ A v da cui, osservando che
=
= n , segue:
vr
A
(Eq. 4.7)
v = n⋅vr.
È opportuno inoltre osservare che anche il percorso di filtrazione finora considerato, pari
alla lunghezza L del campione (Figura 4.3), è in realtà apparente, essendo quello reale sicuramente maggiore, come mostrato in Figura 4.4b.
4-5
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
a)
b)
Porzione di tubo
di flusso idealizzato
Figura 4.4 – Velocità (a) e percorso di filtrazione (b) reali ed apparenti
4.3 Coefficiente di permeabilità
Il coefficiente di permeabilità ha le dimensioni di una velocità. Esso è legato alla resistenza viscosa e frizionale alla filtrazione di un fluido in un mezzo poroso e dipende dalle
proprietà del fluido (densità e viscosità) e dalle caratteristiche del mezzo poroso (permeabilità intrinseca). Limitandoci a considerare come fluido intestiziale l’acqua, e poiché la
densità e la viscosità di un fluido sono legate principalmente alla temperatura, che nel terreno, salvo gli strati più superficiali o alcune situazioni particolari, varia abbastanza poco,
si assume il coefficiente di permeabilità dipendente solo dalle caratteristiche del terreno.
Il campo di variazione del coefficiente di permeabilità dei terreni è enormemente grande,
come mostra la Tabella 4.1.
Per i terreni a grana grossa, le cui particelle sono approssimativamente di forma subsferica, il coefficiente di permeabilità è influenzato prevalentemente dalla granulometria e
dall’indice dei vuoti, che determinano la dimensione dei canali di flusso (diminuisce
all’aumentare del contenuto di fine e al diminuire dell’indice dei vuoti).
Per i terreni a grana fine sono invece fondamentali la composizione mineralogica e la
struttura, perché questi parametri determinano il tipo di interazione elettrochimica che si
stabilisce tra particelle di terreno e molecole d’acqua (ad esempio la permeabilità della
caolinite è circa 100 volte maggiore di quella della montmorillonite).
4-6
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Anche il grado di saturazione influenza sensibilmente la permeabilità; in particolare, sebbene non si possa stabilire una relazione univoca tra le due grandezze, si può osservare
che la permeabilità cresce al crescere del grado di saturazione (Figura 4.5).
Tabella 4.1. Valori tipici del coefficiente di permeabilità dei terreni
TIPO DI TERRENO
k (m/s)
Ghiaia pulita
10 - 1
-2
-5
-2
-6
-4
-9
-5
-8
-6
Sabbia pulita, sabbia e ghiaia
10 - 10
Sabbia molto fine
10 - 10
Limo e sabbia argillosa
10 - 10
Limo
10 - 10
Argilla omogenea sotto falda
< 10
-9
-8
Argilla sovraconsolidata fessurata
10 - 10
Roccia non fessurata
10
-12
- 10
-4
-10
Coefficiente di permeabilità [mm/s]
A grande scala la permeabilità di un deposito dipende anche dalle caratteristiche
macrostrutturali del terreno (discontinuità, fessurazioni), come evidenziato in
Tabella 4.1 dal confronto tra i valori tipici di k di argille omogenee intatte e argille fessurate.
4.3.1 Permeabilità di depositi stratificati
Consideriamo un deposito di terreno costituito da n strati orizzontali saturi (Figura 4.6) e indichiamo con:
kh1, kh2, . . . . . .khn i coefficienti di permeabilità in direzione orizzontale dei vari strati
Grado di saturazione [%]
Figura 4.5 – Variazione del coefficiente di permeabilità col grado di saturazione per una sabbia
kv1, kv2, . . . . . .kvn i coefficienti di permeabilità in direzione verticale dei vari
strati
H1, H2, . . . . . Hn
gli spessori corrispondenti
H = ΣHi
lo spessore totale del deposito
kH
il coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale
kV
il coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale
4-7
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
kh2, H2
q1
q2
kn, Hn
qn
kh1, H1
q
H
a)
q
k v1 , H 1
k v2 , H 2
Nel caso in cui il deposito
sia interessato da un moto
di filtrazione orizzontale
(Figura 4.6a), cioè parallelo all’anda-mento degli
strati (filtrazione in parallelo), si ha che il gradiente
idraulico, i, è lo stesso per
tutti gli strati. Se si assume
valida la legge di Darcy
(4.4), la velocità di filtrazione per ogni strato, vi, è
proporzionale al rispettivo
coefficiente di permeabilità, ossia:
v1 = kh1 i,
H
v2 = kh2 i,
vn = khn i
mentre la portata di filtrazione per ogni strato è pari
al prodotto della velocità
di filtrazione per il corrispondente spessore:
k v, H n
q
b)
Figura 4.6: Filtrazione parallela (a) e perpendicolare
(b) ai piani di stratificazione
q1 = v1 H1,
q2 = v2 H2,
qn = vn Hn
La portata di filtrazione totale, Q, data dalla somma delle portate dei singoli strati, è data
anche dal prodotto della velocità media, v, per lo spessore totale del deposito:
Q = Σqi = v H
(Eq. 4.8)
dove, in accordo con la legge di Darcy, la velocità media di filtrazione, v, è il prodotto del
coefficiente di permeabilità medio, kH, per il gradiente idraulico, i, ovvero v = kH i.
Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.8) ed esplicitando i vari termini si ottiene infine l’espressione del coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale:
kH =
v ∑ qi
=
=
i
H ⋅i
∑v
i
⋅ Hi
H ⋅i
=
∑k
hi
⋅ Hi
(Eq. 4.9)
H
Se il moto di filtrazione avviene in direzione verticale (Figura 4.6b), ovvero ortogonale
all’andamento degli strati si parla di filtrazione in serie. In questo caso, per il principio di
conservazione della massa, se il fluido è incompressibile, la portata che attraversa ciascuno strato è la stessa, quindi, essendo uguale anche l’area attraversata, è la stessa la velocità di filtrazione, v = kv1 i1 = kv2 i2 = . . . . . = kvn in In accordo con la legge di Darcy (4.4),
la velocità di filtrazione v può essere espressa come il prodotto del coefficiente di perme4-8
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
abilità medio in direzione verticale, kV, per il gradiente idraulico medio, im, dato dalla
perdita di carico totale (h) diviso il percorso di filtrazione (H):
v = kV im = kV (h / H)
(Eq. 4.10)
Ma la perdita di carico piezometrico, h, è la somma delle perdite di carico in ciascuno
strato (pari al prodotto del gradiente idraulico per il relativo spessore) ovvero, esplicitando il gradiente idraulico di ciascuno strato:
h = ∑ h i = ∑ Hi ⋅ ii = ∑ Hi ⋅
H
v
= v⋅∑ i
k vi
k vi
(Eq. 4.11)
Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.10) si ottiene infine l’espressione del
coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale:
kV =
H
H
∑k i
vi
(Eq. 4.12)
In presenza di terreni stratificati, il valore medio del coefficiente di permeabilità è fortemente condizionato dalla direzione del moto di filtrazione. Per filtrazione verticale (o più
esattamente ortogonale alla giacitura degli strati) il valore medio è molto prossimo al valore minore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a grana fine, mentre per filtrazione orizzontale (o più esattamente parallela alla giacitura degli strati) il valore medio
è molto prossimo al valore maggiore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a
grana grossa.
4.4 Equazione generale del flusso in un mezzo poroso
Si consideri un elemento infinitesimo di terreno di
dimensioni dx dy dz (Figura 4.7), attraversato da
un flusso d’acqua. Assumiamo per ipotesi che il
fluido ed i grani di terreno siano incomprimibili, e
che pertanto i rispettivi pesi specifici siano costanti nel tempo (γw=cost, γs=cost).
z
dy
dx
dz
y
x
Figura 4.7: Flusso attraverso un
elemento di terreno
Indicando con vx la componente nella direzione
r
dell’asse x del vettore v , velocità apparente di filtrazione, la portata in peso d’acqua entrante
nell’elemento in direzione x, qex, e quella uscente,
qux, nella stessa direzione saranno rispettivamente:
q ex = γ w ⋅ v x ⋅ dy ⋅ dz
∂v
⎛
⎞
q ux = γ w ⋅ ⎜ v x + x ⋅ dx ⎟ ⋅ dy ⋅ dz
∂x
⎝
⎠
(Eq. 4.13)
Analoghe espressioni valgono per le direzioni y e z.
4-9
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Indicando con Pw il peso dell’acqua contenuta nell’elemento di terreno, per la condizione
di continuità la differenza tra la portata in peso d’acqua entrante e quella uscente
dall’elemento di terreno sarà pari alla variazione del peso di acqua nell’unità di tempo.
In formula:
(q
ex
+ q ey + q ez ) − (q ux + q uy + q uz ) =
∂Pw
∂t
(Eq. 4.14)
E combinando le l’Eq. 4.13 e 4.14:
∂v y ∂v z ⎞
⎛ ∂v
∂P
⎟⎟ ⋅ dx ⋅ dy ⋅ dz = w
− γ w ⋅ ⎜⎜ x +
+
∂t
∂y
∂z ⎠
⎝ ∂x
(Eq. 4.15)
Introducendo la legge di Darcy (Eq. 4.6) nell’Eq. 4.15 si ottiene:
⎛
⎞
∂ 2 h ∂k ∂h
⎜kx ⋅ 2 + x ⋅
+ ⎟
∂x ∂ x
∂x
⎜
⎟
2
⎜
⎟
∂
k
∂P
∂ h
y ∂h
γw ⋅⎜+ ky ⋅ 2 +
⋅
+ ⎟ ⋅ dx ⋅ dy ⋅ dz = w
∂y ∂y ⎟
∂t
∂y
⎜
⎜
⎟
2
⎜⎜ + k z ⋅ ∂ h2 + ∂k z ⋅ ∂h ⎟⎟
∂z ∂ z ⎠
∂z
⎝
(Eq. 4.16)
Se la permeabilità è costante lungo ciascuna delle tre direzioni, ovvero se è:
∂k x ∂k y ∂k z
=
=
=0
∂x
∂y
∂z
(Eq. 4.17)
l’Eq. 4.16 si semplifica nel modo seguente:
⎛
∂P
∂ 2h
∂2h
∂ 2h ⎞
⎜
γ w ⋅ ⎜ k x ⋅ 2 + k y ⋅ 2 + k z ⋅ 2 ⎟⎟ ⋅ dx ⋅ dy ⋅ dz = w
∂t
∂x
∂y
∂z ⎠
⎝
(Eq. 4.18)
Per definizione di: contenuto in acqua, w = Pw/Ps, indice dei vuoti, e = Vv/Vs, e grado di
saturazione, Sr = Vw/Vv, si può scrivere:
Pw = w ⋅ Ps = γ w ⋅ Vw = γ w ⋅ Vv ⋅ S r = γ w ⋅ Vs ⋅ e ⋅ S r
(Eq. 4.19)
La derivata dell’Eq. 4.19 rispetto al tempo è1:
∂Pw
∂e ⎞
⎛ ∂S
= γ w ⋅ Vs ⋅ ⎜ e ⋅ r + S r ⋅ ⎟
∂t
∂t ⎠
⎝ ∂t
1
Vs e γw sono indipendenti dal tempo.
(Eq. 4.20)
4 -10
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
poiché il volume totale dell’elemento di terreno è V = dx dy dz, per definizione di indice
dei vuoti, e = (V-Vs)/Vs, e quindi Vs = V/(1+e) = dx dy dz /(1+e), si può anche scrivere:
∂Pw
γ w ⎛ ∂S r
∂e ⎞
=
⋅⎜e ⋅
+ S r ⋅ ⎟ ⋅ dx ⋅ dy ⋅ dz
(1 + e) ⎝ ∂t
∂t
∂t ⎠
(Eq. 4.21)
Sostituendo l’Eq. 4.21 nell’Eq. 4.18, si ottiene l’equazione generale di flusso:
⎛
1 ⎛ ∂S r
∂2h
∂2h
∂e ⎞
∂2h ⎞
⎜⎜ k x ⋅ 2 + k y ⋅ 2 + k z ⋅ 2 ⎟⎟ =
⋅⎜e ⋅
+ Sr ⋅ ⎟
∂t ⎠
∂x
∂y
∂z ⎠ 1 + e ⎝ ∂t
⎝
(Eq. 4.22)
la quale si semplifica nei vari problemi di flusso secondo il seguente schema:
Filtrazione permanente
e = costante
Sr = costante
Consolidazione o rigonfiamento
e = variabile
Sr = costante=1
Drenaggio o imbibizione
e = costante
Sr = variabile
Deformabilità per non saturazione
e = variabile
Sr = variabile
Ulteriori semplificazioni si hanno nel caso di isotropia completa (kx = ky = kz = k), e nel
caso di flusso mono-direzionale o bi-direzionale.
4.4.1 Filtrazione permanente in un mezzo omogeneo, isotropo e incompressibile
Nel caso di filtrazione permanente (e = cost, Sr = cost.) in un mezzo omogeneo, idraulicamente isotropo (kx = ky = kz = k) e incompressibile (γw=cost, γs=cost), l’equazione generale del flusso si semplifica nell’equazione di Laplace:
⎛ ∂ 2h ∂ 2h ∂ 2h ⎞
⎜⎜ 2 + 2 + 2 ⎟⎟ = 0
∂y
∂z ⎠
⎝ ∂x
(Eq. 4.23)
Nel caso bidimensionale di moto piano l'equazione di Laplace diviene:
⎛ ∂ 2h ∂ 2h ⎞
⎜⎜ 2 + 2 ⎟⎟ = 0
∂z ⎠
⎝ ∂x
(Eq. 4.24)
La soluzione analitica dell’equazione di Laplace è sempre molto difficile. Attualmente si
ricorre a soluzioni numeriche con i metodi delle differenze finite o degli elementi finiti, o
alle più tradizionali e storiche soluzioni grafiche2.
2
In passato si ricorreva spesso a modelli idraulici e a modelli elettrici basati sull’analogia fra le leggi
dell’idraulica dei terreni e le leggi dell’elettrotecnica.
4 -11
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Infatti, l’equazione di Laplace bidimensionale può essere rappresentata graficamente da
due complessi di curve (le linee di flusso e le linee equipotenziali) che si tagliano ad angolo retto (rete di filtrazione):
Le linee di flusso sono i percorsi dei filetti liquidi nella sezione trasversale. Esistono infinite linee di flusso ma per disegnare la rete di filtrazione se ne sceglie un numero limitato.
Lo spazio tra due linee di flusso successive viene chiamato canale di flusso. In ogni canale di flusso scorre una portata costante d’acqua ∆q.
Le linee equipotenziali sono le linee di eguale energia potenziale, ovvero di eguale carico idraulico. Anche di linee equipotenziali ne esistono infinite, ma per disegnare la rete di
filtrazione se ne sceglie un numero limitato. Quando l’acqua filtra attraverso i pori del terreno dissipa energia per attrito, e la distanza fra due linee equipotenziali successive indica
in quanto spazio si è dissipata una quantità costante ∆h del carico idraulico.
Linee di flusso
Campo
∆h
∆b
le d
h
i fl
us s
o
Linee equipotenziali
h-∆
h
Ca
na
È conveniente costruire la rete di filtrazione (ovvero scegliere quali linee
di flusso e quali linee equipotenziali
rappresentare) in modo tale che:
∆q
∆a
Le particelle d'acqua scorrono lungo
le linee di flusso in direzione sempre
perpendicolare alle linee equipotenziali. Pertanto le linee di flusso e le
linee equipotenziali si intersecano ad
angolo retto. Lo spazio (l’area) delimitata da due linee di flusso successive e da due linee equipotenziali successive è detta campo. Il campo è la
maglia della rete di filtrazione (Figura
4.8).
Figura 4.8. Definizione della rete di filtrazione
−
i canali di flusso abbiano eguale portata ∆q,
−
la perdita di carico fra due linee equipotenziali successive ∆h sia costante,
−
i campi siano approssimativamente quadrati, ovvero che abbiano eguali dimensioni
medie (graficamente significa che è possibile disegnare un cerchio interno al campo
tangente a tutti e quattro i lati curvilinei).
Noto il carico idraulico totale dissipato, h, e scelto il numero N dei dislivelli di carico ih
draulico tra due linee equipotenziali successive ∆h = , dalla condizione che i campi
N
siano approssimativamente quadrati, ∆a ≅ ∆b , essendo ∆a la distanza media fra le linee
di flusso e ∆b la distanza media fra le linee equipotenziali del campo, si ottiene il numero
N1 di canali di flusso.
Il gradiente idraulico in un campo è:
i=
∆h
∆b
(Eq. 4.25)
4 -12
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
la velocità di filtrazione è:
v = k ⋅i = k ⋅
k⋅h
∆h
=
∆b N ⋅ ∆b
(Eq. 4.26)
la portata di filtrazione, per ogni canale di flusso, è:
∆q = v ⋅ ∆a =
k ⋅ h ⋅ ∆a k ⋅ h
≅
N ⋅ ∆b
N
(Eq. 4.27)
e la portata totale è:
Q = N1 ⋅ ∆q = k ⋅ h ⋅
N1
N
(Eq. 4.28)
Le condizioni al contorno, che permettono di tracciare alcune linee equipotenziali e di
flusso, sono date da:
−
le superfici impermeabili sono linee di flusso (ad esempio la superficie di uno strato
di argilla, o la superficie verticale di un diaframma impermeabile, etc..),
−
le superfici a contatto con l’acqua libera sono linee equipotenziali, poiché in tutti i loro punti vale la relazione: h = z + u/γw = cost.
4.4.2 Esempio di rete idrodinamica (caso di moto di filtrazione confinato)
A titolo di esempio si consideri il problema rappresentato in Figura 4.9a, dove un diaframma è stato infisso, per una lunghezza L = 6.0 m, in uno strato di terreno, di spessore
H = 8.6 m e coefficiente di permeabilità k = 5 10-4 m/s, delimitato inferiormente da uno
strato di terreno impermeabile. L’altezza di falda, rispetto al piano di campagna, è, a monte del diaframma, Hw1, di 4.5 m, mentre a valle, Hw2, è stata ridotta, mediante pompaggio,
a 0.5 m.
Il primo passo per la costruzione della rete idrodinamica consiste nel definire le condizioni al contorno:
ƒ
le superfici AB e CD che delimitano il piano di campagna, sono, in quanto a contatto
con l’acqua libera, equipotenziali;
ƒ
le superfici BE e CE che rappresentano rispettivamente il lato a monte ed il lato a valle del diaframma e la superficie FG, che delimita lo strato di terreno impermeabile,
sono linee di flusso, in quanto impermeabili.
Poiché le condizioni al contorno della regione interessata dal flusso sono note a priori, si
parla di moto confinato.
In genere si assume come quota di riferimento per il calcolo del carico piezometrico il livello di falda a valle, da cui risulta che il carico piezometrico è h1 = 0 in corrispondenza
della superficie equipotenziale CD (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di pressione è
4 -13
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
0.5 m), ed è h2 = 4 m per la superficie AB (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di
pressione è 4.5 m).
Le linee di flusso saranno tutte comprese tra la superficie FG e la superficie BEC e possono essere tracciate seguendo la procedura suggerita da Casagrande, che consiste nei seguenti passi:
1) si traccia una prima linea di
flusso di tentativo (HJ) da
un punto della superficie
equipotenziale a monte AB,
vicino al diaframma, ad un
punto della superficie equipotenziale a valle CD (Figura 4.9b); tale linea dovrà
essere perpendicolare ad
entrambe le superfici equipotenziali e passare attorno
al punto E;
2) si disegnano le linee equipotenziali di tentativo tra le
linee di flusso BEC e HJ, in
moda da formare dei campi
approssimativamente quadrati (Figura 4.8); qualora
non si riesca ad ottenere un
numero intero di quadrangoli tra BH e CJ la linea di
flusso HJ può essere leggermente spostata;
3) viene tracciata la seconda
linea di flusso di tentativo
KL a partire da un punto
della superficie equipotenziale AB più lontano dal
diaframma rispetto al punto
H, e prolungate le linee equipotenziali precedentemente disegnate, sempre in
modo da individuare dei
quadrangoli curvilinei;
4) si ripete la procedura descritta al punto 3) fino a
raggiungere la linea di flusso di confine FG;
5) al primo tentativo generalmente l’ultima linea di
Diaframma
H
H
= 4. 5 m
w1
A
B C
h 2 = 4.0 m
w2
Piano di
riferimento
= 0.5 m
h1 = 0. 0 m
D
L = 6.0 m
H = 8.6 m
E
F
G
(a)
A
H
K
B C
J
D
L
E
G
F
(b)
Tubo
piezometrico
H = 4.5 m
w1
up
γw
h p = 3.3 m
H
Piano di
riferimento
= 0.5 m
W2
12
nd = 0
a
1
11
10
P
2
9
0 1
2 3
7 6 5 4
8
4
5
3
10 m
(c)
Figura 4.9 – Costruzione di una rete idrodinamica: a) sezione; b) tentativo di prova; c) rete finale
4 -14
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
flusso tracciata interseca la superficie impermeabile FG e per eliminare tale incoerenza si itera la procedura descritta ai punti precedenti fino a che l’ultima linea di flusso
tracciata ricada sopra la superficie FG (riducendo la dimensione dei quadrangoli),
come mostrato in Figura 4.9c.
Le aree comprese tra l’ultima linea di flusso tracciata e la superficie impermeabile FG
non sono quadrate (canale di flusso non completo) ma il rapporto tra la lunghezza e la
larghezza deve essere all’incirca lo stesso per tutte le aree.
Per tracciare correttamente una rete idrodinamica con questa procedura è opportuno utilizzare un numero limitato di linee di flusso (generalmente 4 o 5 canali di flusso).
Nell’esempio riportato il numero di canali di flusso che è stato ottenuto è N1 = 4.3 e il
numero di campi delimitati dalle linee equipotenziali, N, è 12, con un rapporto N1/N =
0.36 e una perdita di carico tra due linee equipotenziali successive pari a:
∆h = (h2 – h1)/N = 0.33 m.
Numerate le linee equipotenziali da valle verso monte con l’indice nd (che varia tra 0 e
12), il carico piezometrico corrispondente a ciascuna linee è pari a nd ∆h.
La portata di filtrazione per ogni canale di flusso è (Eq. 4.27):
∆q = k ∆h = 1.65 10-4 (m3/s)/m
e la portata di filtrazione per unità di lunghezza del diaframma è pari a (Eq. 4.28):
q = N1 ∆q = 7.1 10-4 (m3/s)/m.
La rete idrodinamica permette di calcolare in ogni punto il carico piezometrico ed il gradiente idraulico. Ad esempio, con riferimento ad un generico punto P (Figura 4.9c), appartenente alla superficie equipotenziale indicata con nd = 10 e ad una distanza a = -zP =
4.3m, dal livello di falda a valle del diaframma, il corrispondente valore del carico piezometrico è
hp = nd ∆h = 10⋅0.33 = 3.3 m = zp + up/γw = -a + up/γw
da cui, posto γw = 10 kN/m3, si ricava il valore della pressione interstiziale:
up = γw (hp –(-a)) = γw (hp +a) = 10 (3.3+4.3) =76 kPa
Il gradiente idraulico nel campo è dato da (Eq.4.25):
iP = ∆h/∆b = 0.33/2= 0.165
dove ∆b ≅ 2 è la distanza media tra le linee equipotenziali 10 e 11, e 10 e 9, ricavata graficamente in Figura 4.9c. Ovviamente tale valore, e con esso la velocità di filtrazione, varia tra un massimo corrispondente al campo di dimensione minima ed un minimo corrispondente al campo di dimensione massima.
4.4.3 Filtrazione al confine tra terreni a differente permeabilità
Quando il flusso d’acqua attraversa la superficie di separazione tra terreni a differente
permeabilità, come avviene ad esempio nelle dighe in terra zonate, le linee di flusso deflettono, la larghezza dei tubi di flusso e la distanza fra le linee equipotenziali variano, e i
campi, inizialmente quadrati, divengono rettangolari. Infatti la portata di ogni tubo di
4 -15
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
∆h
⋅ ∆a , deve restare costante. Se passando da un terreno ad un
∆b
∆a
deve aumentare, ovvero
altro il coefficiente di permeabilità k diminuisce, il rapporto
∆b
deve crescere la larghezza del canale di flusso e diminuire la distanza fra due linee equipotenziali, e viceversa. La legge con cui si modificano le dimensioni dei campi è indicata
In Figura 4.10.
flusso, ∆q = k ⋅ i ⋅ ∆a = k ⋅
4.4.4 Moto non confinato
Se tutte le condizioni al contorno in cui avviene il moto di filtrazione non sono note a
priori, si parla di moto di filtrazione non confinato. In tal caso il problema è molto più
complesso in quanto è necessario procedere contemporaneamente alla determinazione
delle condizioni al contorno mancanti e alla risoluzione dell’equazione di Laplace. Situazioni di questo tipo si verificano ad esempio nello studio dei moti di filtrazione all’interno
di argini fluviali o dei corpi di dighe in terra; in questi casi la superficie che delimita superiormente l’acqua in moto di filtrazione è a pressione atmosferica (coincide con la superficie freatica), la sua localizzazione non è nota e può essere determinata con costruzioni
grafiche.
4.4.5 Terreni anisotropi
Quanto detto finora si riferisce a terreni con eguale coefficiente di permeabilità in tutte le
direzioni (isotropi dal punto di vista della permeabilità). Spesso i terreni naturali ed anche
i terreni messi in opera con costipamento sono anisotropi, ovvero hanno coefficiente di
permeabilità diverso in direzione orizzontale e in direzione verticale. Per utilizzare le regole di costruzione grafica del reticolo idrodinamico sopra esposte occorre disegnare la
sezione della struttura interessata dal moto di filtrazione in una scala orizzontale alterata,
kv
moltiplicando le distanze orizzontali per la quantità:
. Poiché in genere è kh > kv tale
kh
∆a
∆a
k1
∆b
α
k2<k1
∆c
k1
∆b
α
∆d
β
β
∆d
k2>k1
∆c
∆a/∆b = 1
∆c/∆d = tanα /tanβ = k2/k1
Figura 4.10: Filtrazione tra terreni a differente permeabilità
4 -16
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
trasformazione produce una riduzione delle dimensioni orizzontali. Ad esempio, per
kh=9kv, tutte le dimensioni orizzontali devono essere divise per 3. Una volta disegnata la
rete idrodinamica, per calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali occorre riportare il disegno in scala naturale, ottenendo dei campi non più quadrati.
4.5 Determinazione della permeabilità mediante correlazioni
Per i terreni a grana grossa vengono talvolta impiegate relazioni empiriche che legano k
ad alcuni parametri relativamente semplici da determinare. Esistono ad esempio grafici
che legano il coefficiente di permeabilità al D50, alla densità relativa, Dr, e al coefficiente
di uniformità, U, (Figura 4.11) oppure formule, valide per sabbie sciolte, uniformi (U ≤
5), che forniscono k in funzione di qualche diametro significativo presente nella distribuzione granulometrica. Tra queste, una delle più usate è la formula di Hazen3:
k = C⋅ (D10)2
(Eq. 4.29)
dove C è una costante compresa tra 100 e 150 se k è espresso in cm/s e D10 in cm.
Figura 4.11 – Correlazione tra il coefficiente di permeabilità, k, la densità relativa, Dr e il coefficiente di uniformità, U (Prugh, 1959)
3
Si può giustificare l’equazione (4.29) osservando che la permeabilità di un terreno è influenzata maggiormente dalla frazione fine, che tende a riempire i vuoti, e quindi dal D10.
4 -17
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
La misura sperimentale della permeabilità di un terreno può essere invece effettuata sia in
laboratorio che in sito; tuttavia, essendo la permeabilità un parametro fortemente influenzato anche dai caratteri macrostrutturali, per i terreni naturali le misure in sito risultano
generalmente più significative e quindi preferibili, a meno che non si riesca a riprodurre
fedelmente in laboratorio le condizioni esistenti in sito, mentre per i terreni utilizzati come materiale da costruzione sono significative anche le prove di laboratorio.
Inoltre, ogni metodo di misura ha un campo di applicazione ottimale all’interno di un certo range di variazione della permeabilità; di conseguenza il metodo di misura più opportuno deve essere scelto in relazione al tipo di terreno, come è evidenziato nella Tabella
4.2.
4.6 Determinazione della permeabilità in laboratorio
Per la misura del coefficiente di permeabilità in laboratorio vengono generalmente usati
tre metodi:
a) il permeametro a carico costante, per k > 10-5 m/s
b) il permeametro a carico variabile, per 10-8< k < 10-5 m/s
c) i risultati della prova edometrica (che verrà descritta dettagliatamente nel Capitolo 7),
per k < 10-8 m/s
4.6.1 Permeametro a carico costante
La prova con permeametro a carico costante è eseguita generalmente su campioni di terreno a grana grossa (ghiaie e sabbie pulite), compattati a diversi valori di densità relativa,
in modo da ottenere una relazione tra la permeabilità e l’indice dei vuoti del terreno esaminato. La permeabilità in sito viene poi stimata a partire dal valore dell’indice dei vuoti
ritenuto più rappresentativo del terreno naturale.
Lo schema del permeametro a carico costante è quello indicato in Figura 4.12. Per
l’esecuzione della prova viene immessa acqua nel recipiente che contiene il terreno, mantenendo costante (realizzando degli sfioratori) la differenza di carico, h, esistente tra le estremità del campione, ossia il livello dell’acqua nei due recipienti.
La quantità di acqua raccolta in un certo intervallo di tempo, ∆t, è pari a C = Q⋅∆t, essendo Q la portata immessa.
Poiché il moto è stazionario, con velocità pari a v, risulta C = v A⋅∆t. Supponendo inoltre
valida la legge di Darcy (4.4) e che la perdita di carico si realizzi interamente all’interno
del campione di terreno, si ha:
C = k ⋅ i ⋅ A ⋅ ∆t = k ⋅
h
⋅ A ⋅ ∆t
L
(Eq. 4.30)
dove A è l’area della sezione trasversale del campione. Dall’equazione (4.30) si ricava il
valore di:
k=
C⋅L
h ⋅ A ⋅ ∆t
(Eq. 4.31)
4 -18
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
\Tabella 4.2 – Condizioni di drenaggio, tipi di terreno e metodi per la determinazione della permeabilità
k
1
10-1
10-2
10-3
10-4
10-5
10-6
10-7
10-8
10-9
10-10
10-11
(m/s)
GRADO DI
alto
medio
basso
PERMEABILITÀ
buono
DRENAGGIO
TIPO DI
TERRENO
ghiaia pulita
molto
impermeabile
basso
povero
praticamente
impermeabile
sabbia pulita
sabbia fine,
terreni impermeabili
e miscele di
limi organici e
argille omogenee
sabbia e ghiaia
inorganici,
sotto la zona alterata
pulita
miscele
dagli agenti
di sabbia, limo
atmosferici
e argilla,
depositi di
argilla
stratificati
terreni impermeabili
modificati dagli
effetti della
vegetazione e del
tempo
Prova in foro di sondaggio
(misura locale; delicata esecuzione)
Prova di pompaggio
MISURA DIRETTA DI K
(delicata esecuzione; significativa)
Permeametro a carico costante
(facile esecuzione)
Permeametro a carico variabile
Facile
delicata
esecuzione
significativa
esecuzione:
non significativa
delicata esecuzione:
molto poco significativa
Piezometro
Pressiometro
STIMA INDIRETTA DI K
Piezocono
(misura locale; delicata esecuzione)
Determinazione
Determinazione
dalla curva granulometrica
dai risultati
(solo per sabbie e ghiaie pulite)
della prova edometrica
4 -19
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Generalmente si effettuano più determinazioni considerando differenze di carico h e intervalli di tempo ∆t differenti
per poi adottare un valore medio.
h
L
A
4.6.2 Permeametro a carico variabile
C
Figura 4.12 – Permeametro a carico costante
Se la permeabilità del terreno è presumibilmente inferiore a 10-5 m/s, la portata e quindi la quantità di acqua raccolta
(almeno in tempi ragionevolmente brevi) è piccola ed è difficile misurarla accuratamente con una prova a carico costante.
Si eseguono in questo caso prove con permeametro a carico variabile, in cui la quantità di
acqua che fluisce attraverso il campione è determinata attraverso la misura della riduzione
dell’altezza di carico, ∆h, in un tubo di piccolo diametro collegato al recipiente che contiene il campione (Figura 4.13).
Trascurando la compressibilità dell’acqua, si suppone che, per il principio di conservazione della massa, la quantità di acqua che scorre nel tubicino sia pari a quella che attraversa
il campione.
Se il livello dell’acqua si abbassa di una quantità dh nel tempo dt, la quantità di acqua che
scorre nel tubicino nel tempo dt è pari a -a⋅dh (il segno meno perché il livello dell’acqua
diminuisce), uguale a quella che attraversa il campione v⋅ A⋅dt. Supponendo vali∆h
da la legge di Darcy (4.4) e che la perdita
di carico si realizzi interamente all’inh
terno del campione di terreno, si ha:
h
0
1
k⋅i⋅A⋅dt = -a⋅ dh
ovvero
a
L
A
k⋅
h
⋅ A ⋅ dt = −a ⋅ dh .
L
Separando le variabili e integrando si ottiene:
ho
t
1
A 1
a ⋅ ∫ dh = k ⋅ ⋅ ∫ dt
L to
h1 h
a ⋅ ln
ho
A
= k ⋅ (t 1 − t o )
h1
L
da cui:
Figura 4.13 – Permeametro a carico variabile
4 -20
Capitolo 4
k=
IDRAULICA DEI TERRENI
h
h
a⋅L
a⋅L
ln o = 2.3
log10 o
A ⋅ (t 1 − t o ) h 1
A ⋅ (t 1 − t o )
h1
(Eq. 4.32)
Per quanto riguarda la determinazione di k a partire dai risultati della prova edometrica si
rimanda al Capitolo 7, in cui viene descritta la prova e definito il coefficiente di permeabilità in funzione di uno dei parametri che si determinano mediante tale prova.
4.7 Determinazione della permeabilità in sito
Per la misura del coefficiente di permeabilità in sito si può ricorrere a tre tipi di prove:
a) prove in pozzetto superficiale
b) prove in foro di sondaggio
c) prove di emungimento
4.7.1 Prove in pozzetto superficiale
Si tratta di prove speditive, di facile esecuzione, che, per contro, hanno un campo di utilizzo limitato, in quanto forniscono misure del coefficiente di permeabilità limitate agli
strati più superficiali e si eseguono in genere su terreni che costituiscono opere di terra
durante la loro costruzione, aventi permeabilità maggiori di 10-6 m/s, e posti sopra falda.
Il pozzetto è uno scavo di forma circolare o quadrata. La dimensione della sezione in
pianta è legata al diametro massimo presente nella granulometria; in particolare il diametro, d, (o il lato, b) del pozzetto deve risultare maggiore di 10÷15 volte il diametro massimo presente nella granulometria.
La distanza del fondo del pozzetto dalla falda, H, deve essere pari ad almeno 7 volte
l’altezza media (hm o h) dell’acqua nel pozzetto durante la prova, che a sua volta deve risultare maggiore di d/4, per pozzetto circolare (o b/4, per pozzetto a base quadrata).
Lo schema della prova è rappresentato in Figura 4.14.
Esistono due tipi di prova:
- a carico costante
- a carico variabile
Nel primo caso viene immessa nel pozzetto una portata d’acqua costante q, tale che a regime il livello d’acqua sia costante; nel secondo caso, dopo avere riempito il pozzetto,
viene registrato l’abbassamento del livello dell’acqua nel tempo.
In relazione alla forma del pozzetto e al tipo di prova, vengono impiegate formule semiempiriche, valide nell’ipotesi di terreno omogeneo e isotropo, con k > 10-6 m/s.
4 -21
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
hm > d/4
d > 10-15 diametro massimo dei granuli
H > 7 hm
Figura 4.14 – Schema della prova in pozzetto superficiale
In particolare, nel caso di pozzetto circolare valgono le seguenti relazioni:
k=
q
1
⋅
d ⋅ hm π
per prova a carico costante
(Eq. 4.33)
k=
d h1 − h 2 1
⋅
⋅
32 t 2 − t 1 h m
per prova a carico variabile
(Eq. 4.34)
mentre nel caso di pozzetto a base quadrata:
k=
k=
q
⋅
b2
1
h
27 ⋅ m + 3
b
h1 − h 2
⋅
t 2 − t1
1+ 2 ⋅
per prova a carico costante
hm
b
h
27 ⋅ m + 3
b
per prova a carico variabile
(Eq. 4.35)
(Eq. 4.36)
Nelle Equazioni da (4.33) a (4.36), h1 e h2 sono le altezze dell’acqua nel pozzetto rispettivamente agli istanti t1 e t2, e hm = (h1 + h2)/2 è l’altezza media.
4.7.2 Prove in foro di sondaggio
Le prove in foro di sondaggio possono essere eseguite a varie profondità durante la perforazione, oppure a fine foro, sul tratto terminale e forniscono generalmente un valore puntuale della permeabilità, limitatamente alla verticale esplorata e alle profondità considerate. Le pareti del foro devono essere rivestite con una tubazione fino alla profondità a cui si
vuole effettuare la misura di permeabilità (Figura 4.15a). Nei terreni che tendono a franare o a rifluire il tratto di prova viene riempito di materiale filtrante e isolato mediante un
tampone impermeabile (Figura 4.15b). Il filtro deve avere una granulometria opportuna,
in modo da non influenzare il flusso all’interno del materiale di cui si vuole determinare
la permeabilità.
4 -22
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
b)
a)
Q
Rivestimento esterno
Q
h
Tubazione interna
h
h2 h1
h2
h1
Tubo di rivestimento
Tampone impermeabile
Filtro
L
L
D
D
Figura 4.15 – Schema della prova di immissione in foro di sondaggio, a carico variabile o costante, senza filtro (a) e con filtro (b)
In particolare, deve risultare:
F60/F10 ≤ 2 (materiale uniforme) e 4D15 ≤ F15 ≤ 4D85
dove Fx sono i diametri del filtro e Dx quelli del terreno indagato.
Le prove in foro di sondaggio si suddividono in:
di immissione (sopra o sotto falda)
−
prove a carico costante
di emungimento (solo sotto falda)
di risalita (solo sotto falda)
−
prove a carico variabile
di abbassamento (sopra o sotto falda)
4 -23
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Prove a carico costante
Nelle prove a carico costante viene misurata, a regime, la portata, emunta o immessa, Q,
necessaria a mantenere costante il livello dell’acqua nel foro. Il coefficiente di permeabilità viene ricavato mediante la seguente relazione:
k=
Q
[m/s]
F⋅h
(Eq. 4.37)
dove Q [m3/s] è la portata, h [m] il livello dell’acqua nel foro (rispetto alla base del foro
se la prova è eseguita sopra falda, oppure rispetto al livello di falda se la prova è eseguita
sotto falda) ed F [m] un fattore di forma, dipendente dalla forma e dalla geometria della
sezione filtrante ed è riportato in Tabella 4.3 in relazione alle geometrie rappresentate in
Figura 4.16.
Tabella 4.3 – Espressioni del coefficiente di forma F per differenti geometrie della sezione filtrante (per lo schema geometrico vedi Figura 4.16)
Geometria della sezione
Coefficiente di forma F
1. Filtro sferico in terreno uniforme
2π ⋅ D
2. Filtro emisferico al tetto di uno strato confinato
π ⋅D
3. Fondo filtrante piano al tetto di uno strato confinato
4. Fondo filtrante piano in terreno uniforme
2D
2.75 D
5. Tubo parzialmente riempito al tetto di uno strato
confinato
2D
⎛
8 L kh ⎞
⎟
⎜⎜ 1 + ⋅ ⋅
π D k' v ⎟⎠
⎝
2.75 D
⎛
11 L k ⎞
⎜⎜ 1 + ⋅ ⋅ h ⎟⎟
π D k' v ⎠
⎝
6. Tubo parzialmente riempito in terreno uniforme
3π ⋅ L
2⎞
⎛
3L
⎛ 3L ⎞
ln⎜⎜
+ 1 + ⎜ ⎟ ⎟⎟
⎜ D
⎝ D⎠ ⎟
⎠
⎝
7. Filtro cilindrico al tetto di uno strato confinato
3π ⋅ L
2
⎛
L
L⎞
⎛
ln⎜⎜ 1.5 + 1 + ⎜ 1.5 ⎟
D
D⎠
⎜
⎝
⎝
8. Filtro cilindrico in terreno uniforme
9. Filtro cilindrico attraversante uno strato confinato
4 -24
2π ⋅ L
⎛r ⎞
ln⎜ 0 ⎟
⎝ r ⎠
⎞
⎟
⎟⎟
⎠
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
2
1
3
D
D
D
D/2
4
5
6
D
D
D
L
k’v
L
k
k
7
k’v
9
8
D
D
D
r
L
0
L
L
Figura 4.16 – Geometrie del fattore di forma per il calcolo del fattore di forma F
Prove a carico variabile
Le prove di risalita a carico variabile vengono effettuate prelevando acqua dal foro in
modo da abbassarne il livello di una quantità nota e misurando la velocità di risalita; nelle
prove di abbassamento viene immessa acqua nel foro in modo da alzarne il livello di una
4 -25
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
quantità nota e viene misurata la velocità di abbassamento. Il coefficiente di permeabilità
viene ricavato mediante la seguente relazione:
k=
h
A
⋅ ln 1 [m/s]
F ⋅ (t 2 − t 1 )
h2
(Eq. 4.38)
dove A [m2] è l’area di base del foro, h1 e h2 sono le altezze agli istanti t1 e t2 rispetto al
livello della falda o a fondo foro (se si tratta di prove di abbassamento condotte sopra il
livello di falda), F [m] è il fattore di forma precedentemente definito (Tabella 4.3).
Una stima più attendibile del valore del coefficiente di permeabilità può essere eseguita
determinando la media geometrica dei valori ricavati con prove di risalita (kr) e di abbassamento (ka), ovvero k = k r ⋅ k a . Infatti, durante le prove di abbassamento, la frazione
più fine del materiale tende ad essere spinta verso il fondo del foro e la spinta idrodinamica tende a comprimere il terreno, facendone diminuire la permeabilità; al contrario, durante le prove di risalita, la frazione più fine del materiale tende ad essere asportata
dall’acqua e la spinta idrodinamica tende a decomprimere il terreno, facendone aumentare
la permeabilità.
Se la permeabilità orizzontale del terreno è diversa da quella verticale (a causa
dell’orientamento dei grani nella fase di deposizione il coefficiente di permeabilità orizzontale, kH, risulta generalmente maggiore, anche di un ordine di grandezza, del coefficiente di permeabilità verticale, kV), il coefficiente k ottenuto da prove in foro di sondaggio tende a rappresentare il coefficiente di permeabilità verticale, kV, tanto più è ridotta la
lunghezza del tratto filtrante L (Figura 4.16-8) rispetto al diametro del foro, D, fino alla
situazione limite di sezione piana, L=0 (Figura 4.16-4). Mentre per valori di L/D sufficientemente grandi (L/D ≥ 1.2) si assume che il coefficiente di permeabilità misurato sia
quello orizzontale, kH. Per situazioni intermedie (0 ≤ L/D ≤ 1.2) si assume che venga misurato un coefficiente di permeabilità medio k medio = k H ⋅ k V .
4.7.3 Prove di pompaggio
Le prove di pompaggio vengono eseguite in terreni con permeabilità medio-alta, al di sotto del livello di falda. Consistono nell’abbassare il livello della falda all’interno di un
pozzo, opportunamente realizzato, e nel rilevare in corrispondenza di un certo numero di
verticali, strumentate con piezometri, l’abbassamento una volta raggiunto un regime di
flusso stazionario (Figura 4.17). Nella fase di emungimento la velocità di abbassamento
del livello diminuisce all’aumentare del volume di terreno interessato dal flusso, fino ad
un valore prossimo alla stabilizzazione (regime pseudo-stazionario) se la falda non è alimentata e si stabilizza se la falda è alimentata. Il raggio di influenza è tanto maggiore
quanto maggiore è la permeabilità.
Per una corretta interpretazione della prova è necessario conoscere con buona approssimazione la stratigrafia, l’estensione dell’acquifero e le condizioni iniziali della falda, che
quindi vanno preventivamente ricavati mediante apposite indagini in sito.
4 -26
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Il pozzo principale, che viene utilizzato per l’emungimento, ha un diametro D compreso
generalmente tra i 200 e i 400 mm; intorno ad esso, nella zona di depressione della falda
(a causa dell’andamento caratteristico della superficie piezometrica si parla anche di “cono di depressione”) vengono disposti una serie di piezometri il cui numero dipende dalla
eterogeneità del terreno.
a)
b)
Piezometri di controllo
Pozzo
Q
s
s
h
h
1
h
r
2
1
1
Livello piezometrico iniziale
2
r
2
Acquifero confinato
b
Linee di flusso
c)
Pompa sommersa
Superfici equipotenziali
Piezometri di controllo
Pozzo
Q
s
s
h
h
1
r
h
Linee di flusso
Livello piezometrico iniziale
2
1
2
1
r
Acquifero non confinato
2
Pompa sommersa
Superfici equipotenziali
Figura 4.17 – Disposizione in pianta del pozzo e dei piezometri (a) e schema della prova di pompaggio in acquifero confinato (b) e non confinato (c)
4 -27
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Per la realizzazione del pozzo viene disposto all’interno del foro un tubo finestrato, con
area delle aperture maggiore del 10% dell’area laterale. Nel tratto di terreno da investigare, l’intercapedine tra tubo e terreno è riempita con un filtro di ghiaietto e sabbia con una
opportuna granulometria; nel tratto sovrastante, per evitare l’infiltrazione di acque esterne, l’intercapedine è riempita con materiale impermeabilizzante (generalmente argilla o
bentonite).
Il tipo di piezometri viene scelto in relazione al tipo di terreno; devono essere in numero
non inferiore a tre, disposti secondo allineamenti passanti per il pozzo (almeno due allineamenti di cui uno parallelo alla direzione di moto della falda) come mostrato in Figura
4.17a.
La distanza tra i piezometri aumenta con legge esponenziale: il primo di ogni allineamento viene posto a qualche metro dal pozzo, l’ultimo al limite della zona di influenza
(50÷200 m a seconda della permeabilità del deposito).
Come già detto, la prova viene eseguita prelevando acqua dal pozzo mediante un sistema
di pompaggio e misurando il livello piezometrico nel pozzo e nei piezometri fino a che
non si raggiunge una stabilizzazione. Le letture vengono eseguite a intervalli di tempo via
via crescenti (2 min. nelle prime due ore, 5 min. nelle 4 ore successive, 10÷15 min. per il
resto della prova, che dura mediamente 24÷36 ore e anche di più per terreni a bassa permeabilità).
Le prove di emungimento vengono interpretate tenendo presente che:
-
nel caso di acquifero confinato (falda artesiana) le linee di flusso sono orizzontali e le
superfici equipotenziali sono cilindri concentrici rispetto al pozzo (Figura 4.17b);
-
nel caso di acquifero non confinato (falda freatica) le linee di flusso (e le superfici equipotenziali) sono curve. In questo caso deve essere posta particolare attenzione alla
profondità di installazione dei piezometri, poiché l’altezza di risalita dell’acqua (o
comunque la pressione misurata) corrisponde alla pressione interstiziale della superficie equipotenziale passante per il punto di misura. (Figura 4.17c).
Soluzioni semplificate forniscono l’espressione del coefficiente di permeabilità rispettivamente per il caso di acquifero confinato (Figura 4.17b) e non confinato (Figura 4.17c):
r
ln( 2 )
r1
Q
⋅
k=
2π ⋅ b ( h 2 − h 1 )
(Eq. 4.39)
r
ln( 2 )
r
Q
k= ⋅ 2 1 2
π (h 2 − h 1 )
(Eq. 4.40)
Il valore della permeabilità ricavato con questo tipo di prova è un valore medio relativo al
volume di terreno interessato dal cono di depressione.
4 -28
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
4.8 Pressioni di filtrazione e gradiente idraulico critico
Allo scopo di osservare come si modifica il regime delle pressioni (totali, efficaci e interstiziali) in un punto del terreno, passando da una condizione in cui il fluido presente nel
terreno è in quiete (regime idrostatico), ad una in cui avviene un moto di filtrazione (supponiamo in regime stazionario), consideriamo uno schema costituito da due recipienti
comunicanti, di cui uno contenente solo acqua (serbatoio) e l’altro contenente un campione di sabbia saturo completamente immerso, di altezza h2, con livello dell’acqua sovrastante la superficie superiore del campione di una lunghezza h1 (Figura 4.18).
a)
A
h1
h2
B
γ h
O 0
u
w 1
P
Q
γ (h + h )
w
1
2
1
γw
z
b)
u
A
h1
h2
γ h
h
w 1
O 0
B
u
γ zi
P
w
γw(h1+ h2 - h)
Q
1
z
In relazione alla posizione relativa
del livello dell’acqua nei due recipienti si possono distinguere tre
casi:
a) assenza di filtrazione. Se l’acqua si trova allo stesso livello
nei due recipienti (Figura
4.18a) non c’è differenza di carico (ossia di energia) tra due
punti, A e B, appartenenti alla
due superfici libere, per cui
l’acqua è in quiete. La pressione verticale totale nel generico
punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione,
O, sarà data da:
σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.41)
1
γw
γw
b) e la pressione dell’acqua (pressione interstiziale):
u = γw⋅(h1+z)
B
c)
h
A
h1
h2
O 0
w 1
u
γw z i
γ (h + h + h)
Q
w
1
1
c) per cui la pressione verticale
efficace vale:
σ’z = σz – u = γsat⋅z + (Eq.
γw⋅h1 - γw⋅(h1+z) = γ’⋅z 4.43)
γ h
P
(Eq. 4.42)
essendo γ’ = γsat -γw
2
1
d) filtrazione discendente. Se il
livello dell’acqua nel serbatoio
è mantenuto più basso di quello
nel recipiente che contiene il
campione, di una altezza h, si
Figura 4.18 – Esempio di assenza di filtrazione (a), filtrazione discendente (b) e ascendente (c) in un campione
ha una differenza di carico codi sabbia saturo
stante che provoca un moto di
filtrazione dal recipiente che
z
γw γw
4 -29
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
contiene il campione verso il serbatoio (da un punto a energia maggiore, A, a un punto
a energia minore, B). La pressione verticale totale nel punto P a profondità z
dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da (Figura
4.18b):
σz = γsat⋅z + γw⋅h1
(Eq. 4.44)
La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è
governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre
all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio
e vale uz=h2 = γw (h2+h1-h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia linearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw
(h1+z) –γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si
può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale:
u = γw (h1+z) –γw i z
e la pressione efficace:
σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) +γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z + γw i z
Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale
discendente ha prodotto una riduzione della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale aumento di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione.
Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come
descritto nel seguito.
Supponendo che la perdita di carico, h, tra i punti A e B appartenenti alle due superfici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno,
h
la perdita di carico nel tratto OP è pari a
⋅z = i⋅z .
h2
Quindi h 0 − h P = h 1 − (− z +
u = (z + h 1 ) ⋅ γ w −
u
u
h
) = (z + h 1 ) −
=
⋅ z , da cui:
γw
γw h2
h
⋅ z ⋅ γ w = (z + h 1 ) ⋅ γ w − i ⋅ z ⋅ γ w
h2
(Eq. 4.45)
La pressione efficace vale in questo caso:
σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw + i⋅z⋅γw = γ’⋅z + i⋅z⋅γw
(Eq. 4.46)
e) filtrazione ascendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più alto di
quello nel recipiente che contiene il campione, di una quantità h, si ha una differenza
di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal serbatoio verso il recipiente
che contiene il campione (Figura 4.18c).
La pressione totale nel punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione,
O, sarà data anche in questo caso da:
4 -30
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
σz = γsat⋅z + γw⋅h1
(Eq. 4.47)
La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è
governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre
all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio
e vale uz=h2 = γw (h2+h1+h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia linearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw
(h1+z) +γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si
può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale:
u = γw (h1+z) +γw i z
e la pressione efficace:
σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) - γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z - γw i z
Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale
ascendente ha prodotto una aumento della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale
riduzione di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione.
Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come
descritto nel seguito.
Supponendo che la perdita di carico h, tra i punti B e A appartenenti alle due superfici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno,
h
⋅z = i⋅z .
nel tratto PO, la perdita di carico è pari a
h2
Quindi h P − h 0 = (−z +
u = (z + h 1 ) ⋅ γ w +
u
γw
) − h1 =
u
h
− (z + h 1 ) =
⋅ z , da cui:
γw
h2
h
⋅ z ⋅ γ w = (z + h 1 ) ⋅ γ w + i ⋅ z ⋅ γ w
h2
(Eq. 4.48)
La pressione efficace vale in questo caso:
σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw - i⋅z⋅γw = γ’⋅z - i⋅z⋅γw
(Eq. 4.49)
Le osservazioni precedenti evidenziano che in presenza di filtrazione, in un punto a profondità z, la pressione dell’acqua varia di una quantità pari i⋅z⋅γw, che rappresenta la componente idrodinamica della pressione interstiziale (pressione di filtrazione). Di conseguenza la pressione efficace varia della stessa quantità; nel caso di filtrazione discendente
la pressione efficace aumenta, mentre nel caso di filtrazione ascendente la pressione efficace diminuisce rispetto al casi di assenza di filtrazione. In particolare, la pressione effettiva in presenza di filtrazione ascendente è data da σ’z = γ’⋅z - i⋅z⋅γw e si annulla quando il
gradiente idraulico è pari a
ic= γ’/γw
(Eq. 4.50)
detto gradiente idraulico critico.
4 -31
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
In questa condizione, se il terreno è privo legami coesivi, si annullano le forze intergranulari, si annulla la resistenza del terreno e le particelle solide possono essere trasportate
dall’acqua in movimento, dando origine ad un fenomeno progressivo di erosione che conduce al collasso della struttura del terreno. Tale fenomeno è noto come instabilità idrodinamica (o sifonamento) ed è quello che può manifestarsi ad esempio nel caso di uno scavo sorretto da un diaframma. (Figura 4.19). È da notare che essendo γ’≅ γw, il valore di ic
è prossimo all’unità.
Si definisce fattore di sicurezza globale nei confronti del sifonamento il rapporto tra il
gradiente idraulico critico e quello che si ha in esercizio (definito gradiente di efflusso,
iE), ossia:
FS = ic/iE
(Eq. 4.51)
Essendo il sifonamento un fenomeno improvviso, senza segni premonitori, ed essendo
difficile tener conto di fattori quali l’eterogeneità e l’anisotropia del terreno, si adottano
valori alti di FS (generalmente si impone
p.c.
FS > 4).
A
H
B
p.c.
D
Figura 4.19 – Scavo sorretto da un diaframma
iE = H/(H+2D)
Nel caso di un diaframma infisso ad una
profondità D in un mezzo omogeneo, il
gradiente di efflusso può essere valutato in
prima approssimazione dividendo la perdita
di carico per la lunghezza delle linea di
flusso più corta, rappresentata dal percorso
di una particella d’acqua in aderenza al diaframma, indicato con A-B in Figura 4.19,
ovvero, trascurando lo spessore del diaframma ed indicando con H la differenza di
carico esistente tra due punti A e B appartenenti alle due superfici libere, si può porre:
(Eq. 4.52)
Per determinare un valore del gradiente di efflusso più aderente alla realtà si può ricorrere
a diagrammi disponibili in letteratura per vari casi pratici ricorrenti (Figura 4.20).
A titolo di esempio, con lo schema di Figura 4.20, per h/D = 2 e d/D = 1 si ha ie ≅ 0.53.
La stima, approssimata per eccesso, ottenuta dall’Equazione (4.52) è:
ie =
2
h
h/D
=
=
= 0.66
d + 2D d / D + 2 1 + 2
Un fenomeno analogo al sifonamento, dovuto alle pressioni di filtrazione al piede di un
diaframma, è quello del sollevamento del fondo scavo.
Terzaghi ha osservato che il fenomeno di instabilità si estende a tutta la profondità D di
infissione per una larghezza pari a D/2 e che l’andamento delle sovrapressioni interstiziali
(ovvero delle pressioni interstiziali in eccesso rispetto alla pressione idrostatica di valle) è
quello riportato in Figura 4.21.
4 -32
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
a)
0.53
b/D
c)
Gradiente di efflusso iE
Gradiente di efflusso iE
α
b)
h/D
h/D
Figura 4.20 – Gradiente di efflusso, iE, nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore infinito (a),
nel caso di uno scavo nastriforme in un mezzo di spessore infinito (b), nel caso di una trincea
drenante in un mezzo di spessore limitato (c)
In prima approssimazione, cautelativamente, si assume che il valore della sovrapressione al piede del diaframma sia costante per una larghezza D/2 e pari ad γw ⋅Hc, dove Hc si ricava dall’Eq.(4.52):
ie = H/(H+2D) =Hc/D
e quindi:
p.c.
D/2
H
E
H
c
p.c
Hc = (H D)/(H+2D).
La forza totale di filtrazione che tenD
D
de a sollevare il cuneo è data da Sw =
Hc⋅γw⋅D/2; quando questa uguaglia il
peso efficace del cuneo (peso totale
A
del cuneo meno spinta di Archimede), dato da W’ = γ’ D D/2, si ragγ H
w
c
giungono le condizioni limite di instabilità.
Figura 4.21 – Distribuzione delle sovrapressioni al
Il fattore di sicurezza globale nei piede di un diaframma in un mezzo di spessore infinito
confronti del sollevamento del fondo
scavo è definito come rapporto tra il peso efficace del cuneo e la forza di filtrazione che
tende a sollevarlo, ossia:
4 -33
Capitolo 4
FS =
IDRAULICA DEI TERRENI
W'
γ '⋅D ⋅ D / 2
γ '⋅D
=
=
Sw γ w ⋅ H c ⋅ D / 2 γ w ⋅ H c
(Eq. 4.53)
(è da osservare che in pratica il rapporto Hc/D rappresenta il gradiente di efflusso nel tratto infisso, e che quindi l’Eq. 4.53 corrisponde all’Eq. 4.51).
Talvolta, nel caso di terreno omogeneo, viene assunto cautelativamente Hc= H/2, invece
che Hc= HD/(H+2D), come risulterebbe, sempre in maniera approssimata, dallo schema
di Figura 4.21.
Per incrementare il valore di FS si possono adottare le seguenti soluzioni:
-
aumentare la profondità di infissione in modo da ridurre il gradiente di efflusso;
-
disporre sul fondo dello scavo in adiacenza al diaframma un filtro costituito da materiale di grossa pezzatura in modo da incrementare le tensioni efficaci. In questo caso
FS =
γ '⋅D 2 / 2 + W
γ w ⋅ Hc ⋅ D / 2
(Eq. 4.54)
dove W è il peso del filtro;
-
inserire dei dreni in modo da ridurre le sovrapressioni.
Se lo scavo è realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità
molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e l’instaurarsi
del moto di filtrazione, occorre ragionare in termini di pressioni totali: se la forza risultante delle pressioni idrostatiche iniziali alla base del cuneo supera il peso totale del cuneo
può verificarsi il sollevamento. In questo caso il fattore di sicurezza globale è definito
mediante il rapporto tra la pressione verticale totale e la pressione interstiziale
all’intradosso dello strato di argilla a valle (Figura 4.22):
FS =
γ⋅D
γw ⋅ Hw
(Eq. 4.55)
p.c.
Sabbia
H
Argilla NC
D
γ
w
H
w
w
Sabbia
Figura 4.22 - Scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità
molto più elevata
4 -34
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
4.9 Considerazioni sui problemi di idraulica dei terreni
Per affrontare e risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si utilizzano modelli semplificati del sottosuolo, costituiti da strati di terreno omogenei, con superfici di confine ben
definite, cui vengono attribuite proprietà geotecniche medie o caratteristiche. La geometria e le proprietà fisiche, idrauliche e meccaniche dei diversi strati di terreno sono stimate
in base ai risultati di indagini geotecniche in sito e di laboratorio. Come vedremo nei capitoli successivi, le indagini geotecniche hanno limiti e incertezze, dovuti alla rappresentatività del campione statistico, alla variabilità intrinseca delle proprietà dei terreni, alla impossibilità di riprodurre in laboratorio le reali condizioni in sito, alle incertezze nelle procedure di trasformazione dei risultati sperimentali in proprietà geotecniche, etc.. Pertanto
il modello di sottosuolo utilizzato per il calcolo è solo uno schema semplificato della realtà fisica, sia per quanto riguarda la geometria sia per quanto riguarda le proprietà geotecniche attribuite ai singoli strati.
Le incertezze del modello hanno effetti molto diversi a seconda del problema geotecnico.
In alcuni di essi, anche scarti considerevoli dei valori reali di una proprietà geotecnica dal
valore medio stimato ed assunto per il calcolo, hanno modesti effetti sul risultato (ad esempio, la stima della capacità portante e dei cedimenti di una fondazione, o anche la stima della spinta del terreno su un’opera di sostegno). Ma nei problemi di idraulica del terreno, ove è necessario considerare la filtrazione dell’acqua e la distribuzione delle pressioni interstiziali nello spazio e nel tempo, anche dettagli geologici minimi, apparentemente insignificanti e di difficile individuazione con le usuali tecniche di indagine, possono avere un’influenza decisiva, per cui l’uso di un modello semplificato di sottosuolo,
che trascuri tali dettagli, può condurre a risultati decisamente errati.
Si consideri, ad esempio, una palancola a sostegno di uno scavo in un deposito di sabbia,
in cui sia presente un sottile strato di argilla. In assenza di falda, e quindi di filtrazione, la
presenza dello straterello argilloso e molto poco permeabile, ha un’influenza trascurabile
sulla pressione mutua terreno-struttura, e quindi sulla stabilità e sulle deformazioni del sistema geotecnico. Al contrario, in presenza di falda, se il livello argilloso è al di sopra
dell’estremità inferiore della palancola ed è continuo, esso intercetta quasi completamente
la filtrazione ed altera profondamente la distribuzione delle pressioni interstiziali. Se tuttavia il livello di argilla non è continuo, ma corrisponde ad una piccola lente, la rete di filtrazione ne risulta modificata solo localmente. Una verticale di indagine geotecnica (ad
esempio un sondaggio o una prova penetrometrica) eseguita per la progettazione della
struttura, può non avere rilevato la presenza del sottile livello argilloso, oppure può averla
rilevata ma senza poterne accertare l’estensione e la continuità.
In definitiva, l’intensità e la distribuzione delle pressioni interstiziali in presenza di filtrazione sono stimate mediante la rete idrodinamica, la cui determinazione è molto incerta e
raramente rispecchia le reali condizioni idrauliche del terreno. Per cui l’analisi teorica del
comportamento atteso del modello geotecnico, pur necessaria, deve essere convalidata da
misure sperimentali durante la costruzione e in corso d’opera, ed eventualmente variata se
le misure sperimentali non confermano le previsioni.
4 -35
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
4.10 Verifiche di sicurezza nei confronti degli stati limite di tipo idraulico secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. 14/01/08)
La progettazione geotecnica eseguita in conformità alle Norme Tecniche per le Costruzioni (D.M. 14 gennaio 2008) (NTC-08) si basa sul metodo degli stati limite e
sull’impiego dei coefficienti di sicurezza parziali. Nel metodo degli stati limite, che possono essere ultimi (SLU) o di esercizio (SLE), vi sono tre categorie di coefficienti parziali, da applicare rispettivamente alle azioni o agli effetti delle azioni (A), alle caratteristiche dei materiali (M) e alle resistenze (R). Essi possono assumere valori diversi ed essere
diversamente raggruppati e combinati tra loro in funzione del tipo e delle finalità delle verifiche nei diversi stati limite considerati.
Gli stati limite ultimi di tipo idraulico sono riconducibili ai seguenti due, denominati rispettivamente:
UPL (da Uplift) – che comportano la perdita di equilibrio della struttura o del terreno a
causa della sottospinta dell’acqua (fenomeni di galleggiamento di strutture interrate, come
parcheggi sotterranei, stazioni metropolitane, etc.. o di sollevamento del fondo scavo), e
HYD (da Hydrodinamic conditions) – in cui si verifica erosione e sifonamento del terreno
a causa di moti di filtrazione dal basso verso l’alto con gradiente idraulico tale da produrre l’annullamento delle tensioni efficaci.
Gli schemi di rottura delle Figure 4.19, 4.20 e 4.21 sono del tipo HYD, mentre lo schema
di Figura 4.22 è del tipo UPL.
Secondo le NTC-08:
“Per la stabilità al sollevamento deve risultare che il valore di progetto dell’azione instabilizzante Vinst,d, combinazione di azioni permanenti (Ginst,d) e variabili (Qinst,d), sia non
maggiore della combinazione dei valori di progetto delle azioni stabilizzanti (Gstb,d) e delle resistenze (Rd):
dove
Vinst,d ≤ Gstb,d + Rd
(6.2.4)
Vinst,d = Ginst,d + Qinst,d
(6.2.5)
Per le verifiche di stabilità al sollevamento, I relativi coefficienti parziali sono indicati
nella Tab. 6.2.III. Tali coefficienti devono essere combinati in modo opportuno con quelli
relativi ai parametri geotecnici (M2).”
Tabella 6.2.III – Coefficienti parziali sulle azioni per le verifiche nei confronti di stati limite di sollevamento
CARICHI
Permanenti
Permanenti non strutturali
Variabili
Coefficiente parziale
γF (o γE)
EFFETTO
Favorevole
γG1
Sfavorevole
Favorevole
γG2
Sfavorevole
Favorevole
γQi
Sfavorevole
4 -36
SOLLEVAMENTO
(UPL)
0.9
1.1
0.0
1.5
0.0
1.5
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
I valori dei coefficienti parziali relativi ai parametri geotecnici sono indicati nella seguente Tabella 6.2.II delle NTC08
Tabella 6.2.II – Coefficienti parziali per i parametri geotecnici del terreno
PARAMETRO
GRANDEZZA ALLA QUALE
APPLICARE IL COEFFICIENTE
PARZIALE
COEFFICIENTE
PARZIALE
( M1 )
( M2 )
tan φ’k
γφ’
1.0
1.25
Coesione efficace
c’k
γc’
1.0
1.25
Resistenza non drenata
cuk
γcu
1.0
1.4
γ
γγ
1.0
1.0
Tangente dell’angolo
di resistenza al taglio
Peso dell’unità di volume
Esempio di verifica al sollevamento di una struttura interrata:
Vasca in c.a. (Figura 4.23) immersa in terreno sabbioso saturo. Falda coincidente con il
piano campagna.
Be x Le
Bi x Li
Hw
T
Pw
Hi
He
Pv
U
Figura 4.23- Schema della vasca
dati geometrici:
He = 3,5 m
Hi = 2,8 m
Hw = 2,5 m
Be = 5 m
Bi = 4 m
pesi specifici di progetto:
peso specifico del c.a.:
peso specifico dell’acqua.:
Le = 10 m
Li = 9 m
γc.a. = 25 kN/m3
γw. = 10 kN/m3
proprietà geotecniche (valori caratteristici)
- peso di volume saturo della sabbia:
γsat,k = 18 kN/m3
4 -37
Capitolo 4
- angolo di resistenza al taglio:
IDRAULICA DEI TERRENI
φ’k = 32°
Verifica nei confronti dello stato limite di sollevamento secondo NTC 08
Area di base: Ab = Be Le = 10 x 5 = 50 m2
Area delle pareti: As = 2 He (Be + Le) = 2 x 3,5 x (5 + 10) = 105 m2
Valori di progetto delle proprietà geotecniche
(si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.II colonna M2)
- peso di volume saturo della sabbia:
γsat,d = γsat,k / 1.0 = 18 kN/m3
- angolo di resistenza al taglio:
φ’d = arctan(tanφ’k /1,25) = 26,56°
Peso della vasca:
Pv = γc.a. (Be Le He – Bi Li Hi) = 25 x (5 x 10 x 3,5 – 4 x 9 x 2,8) = 1855 kN
Peso dell’acqua contenuta nella vasca: Pw = γw Bi Li Hw = 10 x 4 x 9 x 2,5 = 900 kN
Sottospinta idraulica: U = γw He Ab = 10 x 3,5 x 50 = 1750 kN
Forza di attrito di progetto sulle pareti della vasca:
T = τm,d As
τm,d = Kd tanδd σ’vm
Kd = 1 – senφ’d = 1 – sen(26,56) = 0,553
δd = 0,75 φ’d = 0,75 x 26,56 = 19,92°
tanδd = tan(19,92) = 0,362
σ’vm = γ’ He / 2 = (18 – 10) x 3,5 / 2 = 14 kPa
τm,d = Kd tanδd σ’vm = 0,553 x 0,362 x 14 = 2,80 kPa
T = τm,d As = 2,80 x 105 = 294,5 kN
Valori di progetto delle azioni instabilizzanti
(si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III)
Ginst,d = U γG1 = 1750 x 1,1 = 1925 kN
Qinst,d (assente)
Vinst,d = Ginst,d = 1925 kN
Valori di progetto delle azioni stabilizzanti
(si applicano i coefficienti di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III)
Gstb,d = Pv γG1 = 1855 x 0,9 = 1669,5 kN
Qstb,d = Pw γQi = 900 x 0 = 0 kN
Valori di progetto delle azioni resistenti
Rd = T = 294,5 kN
Gstb,d + Rd = 1669,5 + 294,5 = 1964 kN > Vinst,d = 1925 kN
Verifica soddisfatta.
Riprendendo lo schema della Figura 4.22, che si riferisce al pericolo di sollevamento del
fondo di uno scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e
l’instaurarsi del moto di filtrazione, l’applicazione delle NTC 08 e quindi dei coefficienti
di sicurezza parziali di Tabella 6.2.III, comporta semplicemente di attribuire al coefficiente di sicurezza globale FS di Eq. 4.55 il valore minimo: FSmin = 1,1 / 0,9 = 1,22
Infatti:
4 -38
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
(Gstab,d + Rd) = 0,9 γ D
Vinst,d = Ginst,d = 1,1 γw Hw
e
Vinst,d ≤ Gstab,d + Rd
da cui, dovendo risultare:
1,1 γw Hw ≤ 0,9 γ D
ovvero
FS = γ D / γw Hw ≥ 1,1/0,9 = 1,22
ne segue:
Per quanto riguarda le verifiche al sifonamento, le NTC-08 recitano:
“Il controllo della stabilità al sifonamento si esegue verificando che il valore di progetto
della pressione interstiziale instabilizzante (uinst,d) risulti non superiore al valore di progetto della tensione totale stabilizzante (σstb,d), tenendo conto dei coefficienti parziali della Tab. 6.2.IV:
uinst,d ≤ σstb,d
(6.2.6)
Tabella 6.2.IV – Coefficienti parziali sulle azioni per le verifiche nei confronti di stati limite di sifonamento
CARICHI
Coefficiente parziale
γF (o γE)
EFFETTO
Favorevole
Permanenti
γG1
Sfavorevole
Favorevole
Permanenti non strutturali
γG2
Sfavorevole
Favorevole
Variabili
γQi
Sfavorevole
Si consideri ad esempio lo schema di Figura 4.24.
Acqua
∆h
dw
Acqua
H
Sabbia
d
u
Figura 4.24 – Schema per la verifica al sifonamento
4 -39
SIFONAMENTO
(HYD)
0.9
1.3
0.0
1.5
0.0
1.5
Capitolo 4
IDRAULICA DEI TERRENI
Al piede del diaframma il valore caratteristico della pressione interstiziale instabilizzante
vale:
uinst,k = γw (d + dw + ∆h)
mentre il valore caratteristico della tensione totale stabilizzante vale:
σstb,k = γsat d + γw dw = (γ’ + γw) d + γw dw
Applicando i coefficienti di sicurezza parziali γG1 (rispettivamente sfavorevole per uinst,k e
favorevole per σstb,k) di Tabella 6.2.IV la verifica in termini di tensioni totali richiede che:
1,3 γw (d + dw + ∆h) ≤ 0,9 [(γ’ + γw) d + γw dw]
ovvero:
1,3 γw ∆h ≤ 0,9 γ’ d – 0,4 γw (d + dw)
4 -40
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
CAPITOLO 5
MODELLI REOLOGICI
La reologia è la scienza che studia l’andamento delle deformazioni nella materia sotto
l’effetto dell’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Uno degli obiettivi principali di
questa disciplina è quello di caratterizzare il comportamento meccanico dei materiali mediante la definizione di modelli matematici che stabiliscano dei legami tra tensioni, deformazioni e tempo (detti legami costitutivi).
Anche nella meccanica dei terreni si ricorre generalmente all’impiego di modelli, ovvero
di schemi più o meno semplificati, per l’interpretazione di fenomeni fisici complessi e per
la previsione del comportamento dei vari mezzi in seguito all’applicazione di un sistema
di sollecitazioni. Un aspetto importante da sottolineare è che un modello reologico non è
legato solo al tipo di materiale, ma anche e soprattutto al fenomeno fisico che lo interessa;
per questo motivo la scelta del tipo di modello è strettamente dipendente oltre che dal tipo
di materiale, da quello dell’applicazione ingegneristica considerata.
Tra i modelli “classici”, quelli di maggiore interesse nell’ambito della meccanica dei terreni sono:
-
il modello elastico
-
il modello plastico
-
il modello viscoso
che possono essere assunti singolarmente o in combinazione tra loro.
Nella descrizione dei modelli reologici, riportata nei paragrafi seguenti, verranno adottati
schemi monodimensionali e simboli convenzionali, per renderne più immediata la comprensione a livello qualitativo. Passando dagli schemi monodimensionali al mezzo continuo, al concetto di forza si sostituisce quello di tensione e al concetto di spostamento
quello di deformazione.
5.1 Modello elastico
Il comportamento di un corpo è definito elastico se le deformazioni prodotte da un sistema di sollecitazioni scompaiono una volta rimosse tali sollecitazioni. La relazione sforzideformazioni è biunivoca e indipendente dal tempo: una stessa sollecitazione produce
sempre la stessa deformazione anche se applicata ripetutamente.
Il simbolo comunemente usato per rappresentare l’elasticità di un mezzo è una molla, e lo
schema monodimensionale semplificato è quello rappresentato in Figura 5.1 (schema di
Hooke).
Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo
spostamento s (Figura 5.1), la relazione tra F ed s è del tipo:
F = f(s)
(Eq. 5.1)
ed è rappresentata in Figura 5.2.
5 -1
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
Se f(s) è una funzione lineare (linea
(a) di Figura 5.2), ovvero:
K
F = K⋅s
con K = costante, si parla di comportamento elastico-lineare, con K
costante elastica del mezzo. Se dipende dal livello di sforzo (o di deformazione) raggiunto (curva (b) di
Figura 5.2), si parla di legame elastico non lineare. La funzione che
rappresenta un legame elastico non
lineare può essere approssimata con
una funzione lineare a tratti, su intervalli opportunamente piccoli dello spostamento.
O
−
−
A
s
Figura 5.1. - Schema di Hooke per un mezzo elastico
F
F = f(s)
(b)
F=Ks
Le principali applicazioni geotecniche per le quali viene spesso assunta
l’ipotesi di comportamento elastico
del terreno sono:
−
F
(Eq. 5.2)
(a)
K
1
il calcolo delle deformazioni nei
terreni sovraconsolidati;
s
l’analisi della diffusione delle
tensioni nel terreno;
Figura 5.2. – Comportamento elastico lineare (a) e non
il calcolo delle strutture di fondazione.
lineare (b)
5.2 Modello plastico
Il comportamento di un corpo è definito plastico se, raggiunta una determinata soglia di
sollecitazione, si manifestano deformazioni permanenti (ossia che si conservano anche
una volta rimosse le sollecitazioni) e indipendenti dalla durata delle sollecitazioni applicate. La relazione sforzi-deformazioni è quindi indipendente dal tempo e non biunivoca: ad
uno stesso valore della deformazione, s, possono corrispondere valori diversi della sollecitazione, F.
La plasticità di un mezzo può essere rappresentata mediante un pattino ad attrito, secondo
lo schema monodimensionale semplificato rappresentato in Figura 5.3 (schema di Coulomb). Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello collegato
al pattino, si osserva che non si hanno spostamenti fino a che la sollecitazione non raggiunge un valore limite F*. In corrispondenza di tale valore lo spostamento plastico può
avvenire a forza applicata costante (mezzo plastico perfetto) (linea (a) di Figura 5.4) op5 -2
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
pure progredire con aumento della forza applicata (linea (b) di Figura 5.4) o diminuzione della forza applicata (linea (c) di Figura
5.4).
F
In questi casi si parla, rispettivamente, di mezzo incrudente posiO
A
tivamente o negativamente. Ans
nullando la forza F non si ha alcun recupero dello spostamento Figura 5.3 – Schema di Coulomb per un mezzo plastico
accumulato come è possibile osservare in Figura 5.5; incrementando nuovamente la forza F il pattino rimarrà fermo nella posizione assunta sotto il carico precedente, fino a che l’intensità della forza applicata non raggiunge il nuovo valore
limite F*, che sarà uguale al precedente per mezzo plastico perfetto, maggiore per mezzo
incrudente positivamente, minore per mezzo incrudente negativamente.
F
F
H > 0 (b)
1
H
B
H = 0 (a)
F*
F*
1
H
A
H < 0 (c)
C
O
s
sp
s
Figura 5.4 – Andamento tensioni-deformazioni Figura 5.5 – Deformazione permanente per un
per un mezzo plastico perfetto (a), incrudente mezzo plastico.
positivamente (b) e negativamente (c).
La relazione tra lo spostamento plastico, dsp, e l’aliquota di forza che eccede F*, dF*, è del
tipo:
ds p =
1 *
dF
H
(Eq. 5.3)
dove H, detto coefficiente di incrudimento, sarà uguale a zero per mezzo plastico perfetto, positivo per mezzo incrudente positivamente, negativo per mezzo incrudente negativamente.
Nelle applicazioni geotecniche l’ipotesi di comportamento plastico è assunta nella trattazione dei problemi di stabilità, per i quali si fa riferimento alle condizioni di equilibrio limite (capacità portante delle fondazioni, stabilità dei pendii, delle opere di sostegno, ecc..)
5 -3
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
5.3 Modello viscoso
Il mezzo viscoso è caratterizzato da deformazioni permanenti che si sviluppano con una
velocità legata alla sollecitazione applicata. La velocità di deformazione si annulla
all’annullarsi della sollecitazione. Il simbolo con cui si rappresenta la viscosità di un mezzo è lo smorzatore viscoso (o ammortizzatore idraulico) costituito da un pistone forato
che scorre in un cilindro pieno di liquido. Lo schema monodimensionale semplificato del
modello è rappresentato in Figura 5.6 (schema di Newton).
Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo
.
ds
spostamento s, si osserva una relazione tra F e la velocità di spostamento s =
, ossia
dt
(linea (a) di Figura 5.7):
(Eq. 5.4)
.
F = f(s)
F
η
F = f(s)
(a)
F
F=ηs
(b)
O
η
1
A
s
s
Figura 5.6 – Schema di Newton per un mezzo
Figura 5.7 – Comportamento di un mezzo
viscoso
viscoso (a) e di un mezzo viscoso perfetto (b)
.
Se f(s) è una funzione lineare (linea (b) di Figura 5.7), ovvero:
(Eq. 5.5)
.
F = η⋅s
con η = costante, si parla di mezzo viscoso perfetto o newtoniano, con η viscosità del
mezzo.
5.4 Modelli reologici complessi
I modelli semplici descritti nei precedenti paragrafi possono essere combinati tra loro per
ottenere in alcuni casi modelli più adatti a schematizzare il comportamento del terreno.
La combinazione può essere fatta in serie o in parallelo.
5 -4
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
Nel primo caso lo spostamento risultante è la somma dei singoli spostamenti e la forza è
la stessa per tutti i componenti; nel secondo caso la forza è la somma delle forze nei singoli componenti mentre lo spostamento è lo stesso.
Tra le possibili combinazioni verranno esaminate nel seguito:
−
il modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)
−
il modello elasto-plastico incrudente
5.4.1 Modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)
Lo schema monodimensionale semplificato che rappresenta questo modello è riportato in
Figura 5.8.
Se Fe rappresenta la forza che agisce sulla molla, Fv quella agente sullo smorzatore, se ed
sv i rispettivi spostamenti, si ha:
F = Fe + Fv
(Eq. 5.6)
s = se = sv
(Eq. 5.7)
e
v
Sostituendo ad F e F le rispettiK
.
F
ve espressioni in funzione s ed s
si ottiene:
.
F = Ks + η s
η
(Eq. 5.8)
Integrando l’equazione precedenO
A
te nell’ipotesi che lo spostamento
iniziale sia nullo (s(0) = 0) e che
s
venga applicata istantaneamente
Figura 5.8 – Schema semplificato del modello di Kelvin- una forza F = Fo, si ha:
Terzaghi
tK
t
−
−
F
s( t ) = o ⋅ (1 − e η ) = s e ⋅ (1 − e Trit )
K
(Eq. 5.9)
dove Trit = η/K è detto tempo di ritardo.
Lo spostamento progredisce nel tempo in funzione delle caratteristiche elastiche e viscose
del mezzo tendendo asintoticamente allo spostamento se che compete alla componente elastica (curva OAC in Figura 5.9).
t
s e − Trit
se
La derivata dell’Eq. 5.9 è: s( t ) =
⋅e
e per t = 0 risulta: s( t = 0) =
Trit
Trit
5 -5
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
s
se
O
T
C
A
Tr i t
t1
t
B
F0
Quindi Trit rappresenta l’ascissa corrispondente al punto di intersezione
tra s = se e la tangente nell’origine
(indicato con T in Figura 5.9).
Se all’istante t1 la forza viene rimossa, il ritorno nella posizione originaria è ritardato dalla presenza dello
smorzatore (curva AB in Figura
5.9).
Il modello di Kelvin-Terzaghi è utilizzato nell’interpretazione della teoria della consolidazione edometrica.
F
Figura 5.9 – Andamento nel tempo degli spostamenti
nel modello di Kelvin-Terzaghi
5.4.2 Modello elasto-plastico incrudente
Lo schema monodimensionale di questo modello è rappresentato da una molla ed un pattino ad attrito in serie (Figura 5.10). In questo caso, se si immagina di applicare una forza
al carrello lo spostamento sarà inizialmente pari a quello elastico della molla.
Raggiunto il valore di soglia della forza, F* (rappresentato dal punto A in Figura 5.11), inizierà a muoversi anche il pattino e l’incremento di spostamento ds del carrello, conseguente ad un incremento di forza dF* (rappresentato in Figura 5.11 dal tratto AB), sarà dato da:
ds = dse + dsp = λ dF*
(Eq. 5.10)
essendo dse e dsp gli incrementi di spostamento che competono rispettivamente alla molla
e al pattino.
Essendo dse = k dF*, con k pari all’inverso della costante elastica del mezzo, K, si avrà:
dsp =ds – dse = (λ−k)dF*
(Eq. 5.11)
Il coefficiente di incrudimento del mezzo sarà dato da:
H = dF*/dsp = 1/(λ-k)
(Eq. 5.12)
Con un modello elasto-plastico incrudente si interpreta la compressibilità edometrica dei
terreni sovraconsolidati.
5 -6
Capitolo 5
MODELLI REOLOGICI
K
F
O
A
s
Figura 5.10 – Schema semplificato del modello elasto-plastico incrudente
ds
F
p
ds ds e
dF*
F*
B
1
A
k
O
λ
sp
C
1
se
s
s
Figura 5.11 – Comportamento di un mezzo elasto-plastico incrudente
5 -7
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
CAPITOLO 6
PRESSIONI DI CONTATTO E DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
IN UN SEMISPAZIO ELASTICO
6.1 Pressioni di contatto
Una fondazione superficiale trasmette al terreno il carico proveniente dalla struttura in elevazione. Le pressioni mutue all’intradosso della fondazione sono dette pressioni di
contatto. La distribuzione delle pressioni di contatto dipende dall’entità e distribuzione
del carico all’estradosso della fondazione, dalla rigidezza della struttura di fondazione e
dalla rigidezza del terreno di fondazione.
In Figura 6.1 sono qualitativamente rappresentati gli effetti della rigidezza della struttura
di fondazione e della rigidezza del terreno di appoggio sulla distribuzione della pressione
di contatto per fondazioni soggette ad un carico uniforme.
Se la fondazione è priva di rigidezza, ovvero non resistente a flessione, la distribuzione
delle pressioni di contatto è necessariamente eguale alla distribuzione del carico applicato, e la sua deformata si adatta ai cedimenti del terreno. Se il terreno di appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), il cedimento è massimo in mezzeria e minimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso l’alto. Se invece il terreno
di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), il cedimento è minimo in mezzeria e massimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso il
basso (Figura 6.1a). Lo schema di fondazione priva di rigidezza si applica, ad esempio,
alle fondazioni dei rilevati.
a) fondazioni
b) fondazioni
c) fondazioni
flessibili
rigide
semi-rigide
p
schema
p
p
p
W min
p
p
W
min
W
Wmax
p
su argilla
q min
q max
q m in
Wmax
q max
Wmin
su sabbia
p
p
p
W max
W
q max
Wmin
p
q min
Wmax
q max
Figura 6.1: Pressioni di contatto e cedimenti per fondazioni superficiali su terreno omogeneo
soggette a carico verticale uniforme
6 -1
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
Se la fondazione ha rigidezza infinita, ovvero è indeformabile e di infinita resistenza a
flessione, per effetto di un carico a risultante verticale centrata, subisce una traslazione
verticale rigida (cedimenti uniformi). La distribuzione delle pressioni di contatto è simmetrica per equilibrio e dipende dalla rigidezza del terreno di appoggio. Se il terreno di
appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), le pressioni di
contatto sono massime al bordo e minime in mezzeria. Viceversa se terreno di appoggio
ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), le pressioni di contatto
sono massime al centro e minime al bordo (Figura 6.1b). Lo schema di fondazione infinitamente rigida si applica, ad esempio, a plinti in calcestruzzo, alti e poco armati.
Se la fondazione ha rigidezza finita, il suo comportamento è intermedio fra i due sopradescritti, ovvero ha una deformata curvilinea ma meno pronunciata di quella della fondazione priva di rigidezza, con concavità verso l’alto o verso il basso a seconda del tipo di terreno di appoggio (Figura 6.1c). Lo schema di fondazione di rigidezza finita si applica, ad
esempio, alle platee di fondazione.
Se il carico proveniente dalla struttura in elevazione (e applicato all’estradosso della struttura di fondazione) non è uniforme ma ha comunque risultante verticale centrata, la distribuzione delle pressioni di contatto è:
-
per fondazioni flessibili, eguale alla distribuzione del carico applicato,
-
per fondazioni di rigidezza infinita, eguale alla distribuzione per carico uniforme di
pari risultante,
-
per fondazioni di rigidezza finita, intermedia ai due casi precedenti1.
6.2 Diffusione delle tensioni nel terreno
La realizzazione di un’opera di ingegneria geotecnica produce un’alterazione dello stato
di tensione naturale nel terreno, e quindi deformazioni e cedimenti.
Per stimare i cedimenti è necessario conoscere: a) lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo, b) l’incremento delle tensioni prodotto dalla realizzazione dell’opera, e c) la relazione
fra incrementi di tensione e incrementi di deformazione (legge costitutiva).
Lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo corrisponde alle tensioni geostatiche, di cui abbiamo discusso nel Capitolo 3 .
Per la stima, approssimata, dell’incremento delle tensioni verticali nel sottosuolo, da cui
principalmente dipendono i cedimenti in superficie, si fa spesso riferimento al modello di
semispazio omogeneo, isotropo, elastico lineare e senza peso che, pur avendo un comportamento per molti aspetti diverso da quello dei terreni reali, fornisce soluzioni sufficientemente accurate ai fini progettuali.
In particolare, le principali differenze tra il modello del continuo elastico e i terreni reali,
sono:
1. raramente i depositi di terreno reale sono costituiti da un unico strato di grande spessore, più spesso sono stratificati, e ogni strato ha differente rigidezza, e/o è presente
1
Ai soli fini del calcolo strutturale delle fondazioni, per la stima della distribuzione delle pressioni di contatto, si fa spesso riferimento al modello di Winkler, argomento che esula dal presente corso.
6 -2
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
un substrato roccioso (bedrock) di rigidezza molto superiore a quella degli strati sovrastanti2;
2. anche nel caso di terreno omogeneo, la rigidezza dei terreni reali non è costante ma
cresce con la profondità3;
3. i terreni reali non sono isotropi. Il rapporto tra i moduli di deformazione in direzione
verticale ed orizzontale, Ev/Eh, è di norma maggiore di uno per terreni normalmente
consolidati e debolmente sovraconsolidati, mentre è minore di uno per terreni fortemente sovraconsolidati;
4. l’ipotesi di elasticità lineare può essere accolta solo per argille sovraconsolidate e sabbie addensate limitatamente a valori molto bassi di tensione, ma non è accettabile per
tutti gli altri casi4.
La non corrispondenza fra le ipotesi del modello e la realtà fisica, porta a risultati generalmente inaccettabili in termini di deformazioni calcolate, ma accettabili limitatamente
alla stima delle tensioni verticali. Pertanto, con una procedura teoricamente non corretta
ma praticamente efficace e molto comune in ingegneria geotecnica, si utilizzano modelli
diversi (leggi costitutive diverse) per risolvere aspetti diversi dello stesso problema. Ad
esempio, per una stessa fondazione superficiale, si utilizza il modello rigidoperfettamente plastico per il calcolo della capacità portante, il modello continuo elastico
lineare per la stima delle tensioni verticali indotte in condizioni di esercizio, il modello
edometrico per il calcolo dei cedimenti e del decorso dei cedimenti nel tempo, il modello
di Winkler per il calcolo delle sollecitazioni nella struttura di fondazione, etc...
6.2.1
Tensioni indotte da un carico verticale concentrato in superficie (problema di
Boussinesq)
Il matematico francese Boussinesq, nel 1885, fornì la soluzione analitica del problema
capostipite di tutte le successive soluzioni elastiche: tensioni e deformazioni indotte da
una forza applicata ortogonalmente sulla superficie di un semispazio ideale, continuo,
omogeneo, isotropo, elastico lineare e privo di peso.
Con riferimento allo schema di Figura 6.2 le tensioni indotte in un generico punto di tale
semispazio, valgono (in coordinate cilindriche)5:
2
Esistono soluzioni elastiche che considerano il terreno stratificato e/o il bedrock. La presenza di un bedrock porta a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo.
3
Esistono soluzioni elastiche che considerano il modulo di Young linearmente crescente con la profondità.
Tali soluzioni portano a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo.
4
Per carichi concentrati l’ipotesi di elasticità lineare conduce a valori infiniti della tensione in corrispondenza del carico. Non esiste un materiale reale capace di resistere a tensioni infinite. (E d’altra parte anche i
carichi concentrati sono solo un’astrazione matematica).
5
Con riferimento ad un caso reale, quindi ad un terreno dotato di peso, le tensioni ottenute dalla soluzione
di Boussinesq (e per i casi di seguito considerati) vanno sommate alle tensioni geostatiche preesistenti.
6 -3
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
P
σz =
3 ⋅ P z3
⋅
2⋅ π R5
r
σr = −
ψ
R
z
σθ = −
P
2⋅π⋅R2
Eq. (6.1)
⎡ 3 ⋅ r 2 ⋅ z (1 − 2 ⋅ ν ) ⋅ R ⎤
⋅ ⎢−
+
(R + z ) ⎥⎦
R3
⎣
(1 − 2 ⋅ ν ) ⋅ P ⋅ ⎡ z
2⋅π⋅R
2
R ⎤
⎢ R − (R + z ) ⎥
⎣
⎦
3⋅ P z2 ⋅ r
⋅
τ rz =
2⋅ π R5
σθ
σr
Eq.(6.2)
Eq. (6.3)
Eq. (6.4)
dove R2 = r2+z2
σz
Figura 6.2: Carico concentrato,
problema di Boussinesq
Si osservi che l’Eq. 6.1, che permette di calcolare la
tensione verticale indotta, non contiene il coefficiente
di Poisson, ν.
La distribuzione delle tensioni verticali su un piano
orizzontale alla profondità z dal p.c. è una superficie di rivoluzione avente forma di una
campana, simile alla curva gaussiana, il cui volume è pari al carico applicato in superficie.
Al crescere di z la campana è sempre più estesa e schiacciata. A profondità z=0, la campana degenera in una tensione infinita su un’area infinitesima, ovvero nel carico applicato
P. A titolo di esempio in Figura 6.3 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m.
La distribuzione delle tensioni verticali al variare della profondità z per un assegnato valore della distanza orizzontale r dall’asse di applicazione della forza P, è indicata in Figura 6.4. Per r=0, ovvero in corrispondenza del carico applicato, la tensione a profondità
z=0 è infinita per poi decrescere monotonicamente al crescere di z. Per r>0, la pressione
verticale vale 0 alla profondità z=0, poi cresce con z fino ad un valore massimo per poi
decrescere tendendo al valore zero. A titolo di esempio in Figura 6.4 sono rappresentate le
distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m e 5m.
Poiché per l’ipotesi di elasticità lineare è valido il principio di sovrapposizione degli effetti, la soluzione di Boussinesq è stata integrata per ottenere le soluzioni elastiche relative a
differenti condizioni di carico applicato in superficie.
Le più frequentemente usate nella pratica professionale sono le seguenti.
6.2.2
Tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie
Con riferimento allo schema di Figura 6.5, le tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie sono fornite dalle equazioni (6.5), (6.6), (6.7) e (6.8)
(in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della linea
di carico):
6 -4
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
σz (kPa)
12
0
1
2
3
4
5
0
Z = 2m
Z = 5m
Z = 10m
5
z (m)
σz (kPa)
8
4
10
15
r = 0m
r = 2m
r = 5m
0
-10
-5
0
5
20
10
r (m)
Figura 6.3 - Distribuzioni di tensione verticale
indotte in un semispazio alla Boussinesq da un
carico P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e
10m
2 ⋅ P' z 3
σz =
⋅
π R4
P’
x
R
z
σx
x
Figura 6.4 - Distribuzioni di tensione verticale indotte in un semispazio alla Boussinesq da
un carico P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m
e 5m
σy
σz
σx =
2 ⋅ P' z ⋅ x 2
⋅ 4
π
R
(Eq. 6.6)
σy =
2 ⋅ P'
z
⋅ν⋅ 2
π
R
(Eq. 6.7)
τ xy =
2 ⋅ P' x ⋅ z 2
⋅ 4
π
R
(Eq. 6.8)
dove P’ è il carico per unità di lunghezza, e
R2 = x2+z2.
6
z
Figura 6.5 - Carico distribuito su una
linea retta
6
(Eq. 6.5)
Si osservi come le tensioni, per evidenti ragioni di simmetria, siano indipendenti da y.
6 -5
Capitolo 6
6.2.3
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
Tensioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita
Con riferimento allo schema di Figura 6.6, le tensioni indotte da una pressione verticale
uniforme su una striscia indefinita sono fornite dalle equazioni (6.9), (6.10), (6.11) e
(6.12) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della
striscia di carico).
B
σz =
q
⋅ [α + senα ⋅ cos(α + 2 ⋅ β)]
π
(Eq. 6.9)
σx =
q
⋅ [α − senα ⋅ cos(α + 2 ⋅ β)]
π
(Eq. 6.10)
σy =
2⋅q
⋅ν⋅α
π
(Eq. 6.11)
τ xy =
q
⋅ senα ⋅ sen (α + 2 ⋅ β)
π
(Eq. 6.12)
q
x
β
α
σx
z
dove q è il carico per unità di superficie, α e β
sono espressi in radianti, β è negativo per punti
sotto l’area caricata.
σy
σz
Figura 6.6: Pressione uniforme su striscia indefinita
6.2.4
Tensioni indotte da una pressione verticale triangolare una striscia indefinita
Con riferimento allo schema di Figura 6.7, le tensioni indotte da una pressione verticale
triangolare su una striscia indefinita sono fornite dalle equazioni (6.13), (6.14) e (6.15) (in
coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia
di carico):
σz =
q ⎛x
1
⎞
⋅ ⎜ ⋅ α − ⋅ sen 2β ⎟
π ⎝B
2
⎠
(Eq. 6.13)
⎤
⎛ R 12 ⎞ 1
q ⎡x
z
σ x = ⋅ ⎢ ⋅ α − ⋅ ln⎜⎜ 2 ⎟⎟ + ⋅ sen 2β⎥
B ⎝ R2 ⎠ 2
π ⎣⎢ B
⎦⎥
τ xz =
q ⎛
z ⎞
⋅ ⎜1 + cos 2β − 2 ⋅ ⋅ α ⎟
2⋅π ⎝
B ⎠
(Eq. 6.14)
(Eq. 6.15)
6 -6
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
dove q è il valore massimo del carico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata.
B
q
x
R2
β
R
1
α
σx
z
σy
σz
Figura 6.7 - Pressione triangolare su striscia indefinita
6.2.5
definita
Tensione verticale indotta da una pressione verticale trapezia su una striscia in-
2a'
q
x
2a
z
Figura 6.8 - Pressione trapezia su striscia indefinita
6 -7
Il caso della pressione
verticale trapezia, di
uso molto frequente
poiché corrisponde al
carico trasmesso da
rilevati stradali, può
essere risolto per
sovrapposizione
di
effetti utilizzando le
equazioni delle strisce
di carico rettangolare
e triangolare.
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
Se interessa conoscere la tensione verticale in asse al rilevato, con riferimento allo schema ed ai simboli di Figura 6.8, può essere utilizzata, più semplicemente, la seguente equazione:
σ z ( x =0 ) =
6.2.6
2⋅q ⎡
⎛a⎞
⎛ a ' ⎞⎤
a ⋅ arctan⎜ ⎟ − a '⋅ arctan⎜ ⎟⎥
⎢
(a − a ') ⋅ π ⎣
⎝z⎠
⎝ z ⎠⎦
Eq. (6.16)
Tensione verticale indotta da una pressione uniforme su una superficie circolare
Con riferimento allo schema di carico di Figura 6.9, le tensioni verticali indotte in asse
all’area caricata possono essere calcolate con la seguente equazione:
σ z (r =0 )
⎧
⎪
⎪
⎪
= q ⋅ ⎨1 −
⎪
⎪
⎪⎩
1
⎡ ⎛R⎞
⎢1 + ⎜ ⎟
⎢⎣ ⎝ z ⎠
2
⎤
⎥
⎥⎦
3
⎫
⎪
⎪
⎪
⎬
⎪
⎪
⎪⎭
(Eq. 6.17)
mentre per la stima il delle tensioni indotte in corrispondenza di altre verticali si può fare
riferimento alla Tabella 6.1 ed alle curve rappresentate in Figura 6.10.
2R
σz/q
q
0
r
0,25
0,5
0,75
1
0
1
z
2
z/R
Figura 6.9 - Pressione uniforme
su area circolare
3
r/R=0
r/R=0,5
Osservando la Figura 6.10 si può
notare che alla profondità z = 0
in corrispondenza delle verticali
interne all’area caricata (r < R)la
pressione di contatto è pari alla
pressione q agente sull’area circolare (fondazione flessibile), in
corrispondenza delle verticali e-
4
r/R=1
r/R=2
5
Figura 6.10 - Variazione della tensione verticale indotta
da una pressione su area circolare per differenti verticali
6 -8
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
sterne (r > R) la pressione di contatto è zero, e che in corrispondenza delle verticali sul
bordo (r = R) la pressione di contatto è pari alla metà della pressione q.
6.2.7
Tensioni indotte da una pressione uniforme su una superficie rettangolare
La soluzione relativa al caso di un’area rettangolare uniformemente caricata è molto importante, non solo perché molte fondazioni hanno forma rettangolare, ma anche perché,
sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti, permette di calcolare lo stato tensionale indotto da una pressione uniforme agente su un’area scomponibile in rettangoli.
Con riferimento allo schema di Figura 6.11, le tensioni indotte dal carico in un punto sulla
verticale per uno spigolo O dell’area caricata, posto:
Tabella 6.1: Variazione della tensione
verticale indotta da una pressione su
area circolare per differenti verticali
(dati relativi alla Figura 6.10)
r/R
0
0,5
1
B
q
2
σz / q
z/R
x
z
0
1,000
1,000
0,500
0,000
0,1
0,999
0,995
0,481
0,000
0,2
0,992
0,977
0,464
0,001
0,3
0,976
0,941
0,447
0,003
0,4
0,948
0,894
0,430
0,006
0,5
0,910
0,840
0,412
0,010
0,6
0,863
0,780
0,395
0,016
0,7
0,811
0,718
0,378
0,022
0,8
0,758
0,664
0,362
0,028
0,9
0,700
0,612
0,346
0,035
1
0,646
0,565
0,329
0,041
1,2
0,546
0,480
0,298
0,052
1,4
0,461
0,408
0,268
0,061
1,6
0,390
0,351
0,241
0,067
1,8
0,332
0,303
0,217
0,071
2
0,284
0,262
0,195
0,073
2,2
0,245
0,228
0,176
0,073
2,4
0,213
0,201
0,158
0,073
2,6
0,186
0,178
0,142
0,071
2,8
0,164
0,158
0,131
0,069
3
0,146
0,141
0,119
0,067
4
0,086
0,082
0,077
0,052
R 3 = (L2 + B 2 + z 2 )
5
0,057
0,054
0,052
0,041
valgono:
x
B
L
R3
R2
R1
y
σx
σy
σz
z
Figura 6.11- Pressione uniforme su un’area
rettangolare
R 1 = (L2 + z 2 )
0,5
R 2 = (B 2 + z 2 )
0,5
0,5
6 -9
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
σz =
⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎛ 1
1 ⎞⎤
q ⎡
⎟⎟ +
⋅ ⎜⎜ 2 + 2 ⎟⎟⎥
⋅ ⎢arctan⎜⎜
2 ⋅ π ⎣⎢
R3
⎝ z ⋅ R3 ⎠
⎝ R 1 R 2 ⎠⎦⎥
Eq. (6.18)
σx =
⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎤
q ⎡
⎟⎟ − 2
⋅ ⎢arctan⎜⎜
⎥
2⋅π ⎣
⋅
z
R
3
⎝
⎠ R1 ⋅ R 3 ⎦
Eq. (6.19)
σy =
⎛ L⋅B ⎞ L⋅B⋅z ⎤
q ⎡
⎟⎟ − 2
⋅ ⎢arctan⎜⎜
⎥
2⋅π ⎣
⎝ z ⋅ R3 ⎠ R2 ⋅ R3 ⎦
Eq. (6.20)
τ zx =
q ⎡B
B ⋅ z2 ⎤
⋅⎢
− 2
⎥
2 ⋅ π ⎣ R 2 R1 ⋅ R 3 ⎦
Eq. (6.21)
Volendo conoscere lo stato tensionale in un punto del semispazio alla profondità z, sulla
verticale di un punto M non coincidente con lo spigolo O del rettangolo, si procede per
sovrapposizione di effetti di aree di carico rettangolari, nel modo seguente (Figura 6.12):
a) M interno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma delle tensioni indotte in M dalle
4 aree (1), (2), (3) e (4), ciascuna con vertice in M:
σ zM ( ABCD) = σ zM ( AA 'MC') + σ zM ( A 'BB'M ) + σ zM ( B'DD 'M ) + σ zM ( D 'CC 'M )
Eq. (6.22)
b) M esterno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma algebrica delle tensioni indotte
da rettangoli opportunamente scelti, sempre con vertice in M:
σ zM ( ABCD) = σ zM ( AB'MC ') − σ zM ( BB'MD '') − σ zM ( CD 'MC ') + σ zM ( DD 'MD '')
Eq. (6.23)
Può essere talvolta utile valutare anche i cedimenti elastici. L’equazione per il calcolo del
cedimento in corrispondenza dello spigolo O dell’area flessibile di carico uniforme q, di
forma rettangolare BxL su un semispazio continuo, elastico lineare, omogeneo e isotropo,
avente modulo di Young E, e coefficiente di Poisson ν, è la seguente:
caso a)
caso b)
A’
A
1
2
C’
A
B
B'
C
D
D'
C'
D''
B’
M
3
C
B
4
D’
D
Figura 6.12 - Esempi di sovrapposizione di aree di carico rettangolari
6 -10
M
Capitolo 6
DIFFUSIONE DELLE TENSIONI
posto ξ = L/B
w=
(
)
(
)
⎛1 + 1 + ξ2
q ⋅ B 1− ν2 ⎡
⋅
⋅ ⎢ln ξ + 1 + ξ 2 + ξ ⋅ ln⎜
⎜
E
π
ξ
⎢
⎝
⎣
⎞⎤
⎟⎥
⎟⎥
⎠⎦
Eq. (6.24)
L’Eq. 6.24 permette di calcolare il cedimento elastico in qualunque punto della superficie,
per sovrapposizione degli effetti, con procedura analoga a quella sopra descritta per il calcolo delle tensioni verticali.
6 -11
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
CAPITOLO 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
La risultante delle deformazioni verticali che si manifestano in un terreno è comunemente
indicata con il termine cedimento e di tale grandezza, nella pratica ingegneristica, interessa di solito conoscere sia l’entità sia l’evoluzione nel tempo.
I principali meccanismi che contribuiscono allo sviluppo dei cedimenti sono:
− compressione e inflessione delle particelle di terreno per incremento delle tensioni di
contatto (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte reversibili, ovvero elastiche);
− scorrimento relativo dei grani indotto dalle forze di taglio intergranulari (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte irreversibili, ovvero plastiche);
− frantumazione dei grani in presenza di elevati livelli tensionali (le conseguenti deformazioni sono irreversibili);
− variazione della distanza tra le particelle dei minerali argillosi, dovuta a fenomeni di
interazione elettrochimica (le conseguenti deformazioni sono in parte reversibili e in
parte irreversibili in relazione alle caratteristiche del legame di interazione);
− compressione e deformazione dello strato di acqua adsorbita (le conseguenti deformazioni sono in gran parte reversibili, ovvero elastiche);
In definitiva, le deformazioni (e quindi i cedimenti) conseguono direttamente alla:
1. compressione delle particelle solide (incluso lo strato di acqua adsorbita);
2. compressione dell’aria e/o dell’acqua all’interno dei vuoti;
3. espulsione dell’aria e/o dell’acqua dai vuoti.
Per i valori di pressione che interessano nella maggior parte dei casi pratici, la deformabilità delle particelle solide è trascurabile. Inoltre, se il terreno è saturo, come spesso accade
per i terreni a grana fine, anche la compressibilità del fluido interstiziale (acqua e/o miscela aria-acqua) può essere trascurata, essendo trascurabile la quantità di aria presente e
l’acqua praticamente incompressibile. Pertanto, il cedimento nei terreni è dovuto prevalentemente al terzo termine ed in particolare all’espulsione dell’acqua dai vuoti1.
Via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si assestano in una configurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume.
Il processo di espulsione dell’acqua dai vuoti è un fenomeno dipendente dal tempo (ovvero dal coefficiente di permeabilità del terreno), l’entità della variazione di volume è legata
alla rigidezza dello scheletro solido.
1
I cedimenti possono essere anche dovuti a costipamento, ovvero all’espulsione di aria da un terreno non
saturo come conseguenza dell’applicazione di energia di costipamento (vedi capitolo 2), a deformazioni di
taglio a volume costante, che si verificano nei terreni saturi e poco permeabili in condizioni non drenate
all’atto stesso di applicazione dell’incremento delle tensioni, o a deformazioni volumetriche a pressione efficace costante, ovvero a creep (viscosità).
7 -1
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Si distinguono quindi i due concetti di compressibilità e consolidazione.
Compressibilità è la risposta in termini di variazione di volume di un terreno sottoposto
ad un incremento dello stato tensionale (efficace, in base al principio delle pressioni efficaci). È necessario studiare la compressibilità di un terreno per stimare le deformazioni
volumetriche ed i conseguenti cedimenti.
Consolidazione è la legge di variazione di volume del terreno nel tempo. È necessario
studiare la consolidazione per stimare il decorso delle deformazioni volumetriche e dei
conseguenti cedimenti, nel tempo.
Sebbene in linea di principio si possano applicare i concetti di compressibilità e di consolidazione sia a terreni granulari che a terreni a grana fine, in pratica interessano soprattutto
questi ultimi, e particolarmente le argille, perché di norma responsabili di cedimenti maggiori e di tempi di consolidazione molto più lunghi.
7.1 Compressibilità edometrica
La compressibilità di un terreno viene spesso valutata in condizioni di carico assiale uniformemente distribuito e di assenza di deformazioni laterali; tali condizioni sono dette “edometriche” (dal nome della prova utilizzata per riprodurle, che verrà descritta nel seguito).
Le condizioni edometriche si realizzano ad esempio nel caso della formazione di un deposito di terreno per sedimentazione lacustre (v. anche Capitolo 3 – Tensioni geostatiche), il
cui schema è riportato nella Figura 7.1a. Il terreno è immerso e quindi è saturo (tutti i
vuoti sono pieni d’acqua); inoltre, essendo il deposito infinitamente esteso in direzione
orizzontale, per simmetria non sono possibili deformazioni orizzontali.
In corrispondenza di un generico punto P (Figura 7.1a), la pressione efficace verticale (ed
anche quella orizzontale) cresce gradualmente via via che avviene la sedimentazione e
che il punto considerato, viene a trovarsi a profondità maggiori.
a)
b)
e
A
C
(D)
(E)
(B)
(C)
(A)
B
E
D
σ’c
P
σ’v (log)
Figura 7.1 - Sedimentazione in ambiente lacustre con più cicli di carico e scarico (a) e variazione
dell’indice dei vuoti con la pressione verticale efficace (b): A→B: compressione vergine, B→C:
decompressione, C→B: ricompressione, B→D: compressione vergine, D→E: decompressione.
7 -2
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Per effetto dell’incremento di tensioni efficaci, il terreno subisce deformazioni volumetriche, εV, le quali, non essendo possibili deformazioni orizzontali, sono eguali alle deformazioni verticali (assiali), εa, ovvero:
εv =
∆V ∆H
=
= εa
V0
H0
(Eq. 7.1)
essendo V0 e H0 il volume e l’altezza iniziale di un elemento di volume nell’intorno del
punto P considerato, ∆V e ∆H le relative variazioni di volume e di altezza.
In Ingegneria Geotecnica, per tradizione, si fa più spesso riferimento alle variazioni di indice dei vuoti piuttosto che alle variazioni di volume.
Dalla definizione di deformazione volumetrica e ricordando la definizione di indice dei
V
vuoti ( e = v ), si desume comunque la relazione:
Vs
∆V
∆e
∆H
=
=
V0 1 + e 0 H 0
(Eq. 7.2)
avendo indicato con e0 l’indice dei vuoti iniziale dell’elemento di terreno considerato.
Rappresentando in un diagramma l’indice dei vuoti del terreno in funzione della pressione
verticale efficace, riportata in scala logaritmica, nel caso in cui il deposito sia soggetto a
più cicli di carico e scarico, ad esempio sedimentazione (A-B), seguita da erosione (B-C),
di nuovo sedimentazione (C-D), fino a superare lo strato eroso, poi di nuovo erosione (DE), si ottiene l’andamento qualitativo rappresentato nel grafico di Figura 7.1b.
In particolare, trascurando il piccolo ciclo di isteresi formato dai tratti BC (scarico) e CB
(ricarico), si può osservare che:
- nelle fasi di primo carico (compressione vergine, tratti AB e BD) il comportamento deformativo del terreno è elasto-plastico, poiché nella successiva fase di scarico solo una
parte delle variazioni di indice dei vuoti (e quindi delle deformazioni) viene recuperata;
- i tratti di primo carico appartengono alla stessa retta;
- nelle fasi di scarico e ricarico (tratti BC, CB e DE) il comportamento deformativo è elastico ma non elastico-lineare (il grafico di Figura 7.1b è in scala semilogaritmica);
- sia in fase di carico vergine che in fase di scarico e ricarico, essendo la relazione e-σ’v
rappresentata da una retta in scala semilogaritmica, per ottenere un assegnato decremento dell’indice dei vuoti, ∆e, occorre applicare un incremento di tensione verticale
efficace ∆σ’v tanto maggiore quanto più alto è il valore di tensione iniziale, ovvero la
rigidezza del terreno cresce progressivamente con la tensione applicata.
La massima pressione verticale efficace sopportata dall’elemento di terreno considerato è
detta pressione di consolidazione (o di preconsolidazione), σ’p (ad esempio, nel caso di
Figura 7.1 la pressione di consolidazione è rappresentata dall’ascissa del punto D del grafico. Quando l’elemento di terreno si trova in un punto appartenente alla retta ABD, è
soggetto ad una pressione verticale efficace che non ha mai subito nel corso della sua sto7 -3
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
ria precedente, ovvero è soggetto alla pressione di consolidazione; nei tratti BC e DE invece è soggetto ad una pressione verticale efficace minore di quella di consolidazione.
Un terreno il cui punto rappresentativo si trova sulla curva edometrica di carico vergine
(ABD) si dice normalmente consolidato (o normalconsolidato) (NC), mentre un terreno
il cui punto rappresentativo si trova su una delle curve edometriche di scarico-ricarico
(BC, CB, DE) si dice sovraconsolidato (OC).
Il rapporto tra la pressione di consolidazione, σ’p, e la pressione verticale efficace agente,
σ’vo, è detto, come già anticipato nel Capitolo 3, grado di sovraconsolidazione:
OCR =
σ ʹp
σ ʹvo
.
In conclusione, si può affermare che in condizioni edometriche (e non solo, come vedremo più avanti) il comportamento del terreno segue, con buona approssimazione, un modello elastico non lineare – plastico ad incrudimento positivo (vedi Capitolo 5).
La pressione di consolidazione rappresenta la soglia elastica (o di snervamento) del materiale. Per valori di tensione inferiori alla pressione di consolidazione (terreno OC) il comportamento è elastico non lineare. Se un terreno NC viene compresso la pressione di consolidazione, ovvero la soglia elastica aumenta di valore (incrudimento positivo).
La compressibilità dei terreni viene studiata in laboratorio mediante la “prova edometrica”, i cui risultati sono comunemente utilizzati per calcolare le deformazioni (e i cedimenti) conseguenti all’applicazione di carichi verticali in terreni a grana fine, come verrà illustrato più in dettaglio nei paragrafi seguenti e nel Capitolo 16 (cedimenti di fondazioni
superficiali).
7.2 Determinazione sperimentale della compressibilità edometrica
Per studiare in laboratorio la compressibilità (e, come vedremo in seguito anche la consolidazione) nelle condizioni di carico verticale infinitamente esteso, strati orizzontali, filtrazione e deformazioni solo verticali (quali quelle presenti ad esempio durante il processo di formazione di un deposito per sedimentazione), viene impiegata una prova di compressione a espansione laterale impedita, detta prova edometrica.
La prova viene di norma eseguita su provini di terreno a grana fine (argille e limi) indisturbati (ovvero ricavati in modo da alterare il meno possibile la struttura naturale del terreno in sito. Vedi anche Capitolo 12).
I provini, di forma cilindrica e rapporto diametro/altezza (D/H0) compreso tra 2,5 e 4
(molto spesso D = 6cm, H0 = 2cm), durante la prova sono lateralmente confinati da un anello metallico, di rigidezza tale da potersi considerare indeformabile. L’assenza di deformazioni radiali (che nello schema di formazione di un deposito descritto precedentemente consegue alle condizioni di estensione infinita e stratificazione orizzontale) è garantita dal vincolo meccanico costituito dall’anello. La forma schiacciata del provino è
motivata dalle necessità di ridurre al minimo le tensioni tangenziali indesiderate di attrito
e di aderenza con la parete dell’anello (che a tal fine viene lubrificata), e di contenere i
tempi di consolidazione. Sulle basi inferiore e superiore del provino vengono disposti un
disco di carta da filtro e uno di pietra porosa, per favorire il drenaggio. L'insieme provino7 -4
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
anello rigido-pietre porose è posto in un contenitore (cella edometrica) pieno d'acqua, in
modo da garantire la totale saturazione del provino durante la prova (Figura 7.2).
Le modalità standard di esecuzione della prova prevedono l’applicazione del carico verticale N per successivi incrementi, ciascuno dei quali è mantenuto il tempo necessario per
consentire l’esaurirsi del cedimento di consolidazione primaria2 (in genere 24h).
Quindi, diversamente dallo schema di formazione del deposito per sedimentazione, caratterizzato da un incremento graduale e continuo della pressione verticale (totale ed efficace), nella prova edometrica standard la tensione verticale totale è applicata per gradini,
con discontinuità. Durante la permanenza di ciascun gradino di carico, viene misurata la
variazione di altezza del provino, ∆H, nel tempo (tale informazione consente di studiare
l’evoluzione nel tempo dei cedimenti, ovvero il processo di consolidazione, come verrà
illustrato nel Paragrafo 7.7). Noto il valore di ∆H è possibile calcolare le deformazioni as∆H
, e le variazioni di indice dei vuoti (Eq. 7.2),
siali (e volumetriche), ε a =
H0
∆H
∆e =
⋅ (1 + e 0 ) .
H0
I valori della deformazione assiale e/o dell’indice dei vuoti corrispondenti al termine del
processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico3 (o più spesso, per comodità ma commettendo un errore, corrispondenti al termine delle 24h di permanenza del
carico di ogni gradino), vengono diagrammati in funzione della corrispondente pressione
N
4⋅N
. Collegando fra loro i punti sperimentali si diverticale media efficace, σ 'v = =
A π ⋅ D2
segnano le curve di compressibilità edometrica.
N
Capitello
Anello edometrico
Cella edometrica
Pietre porose
H0
D
Figura 7.2– Cella edometrica
2
La consolidazione primaria è distinta dalla consolidazione secondaria dovuta a fenomeni viscosi (Par. 7.9).
Le altezze del provino corrispondenti all’inizio e alla fine del processo di consolidazione primaria, per ciascun gradino di carico, si determinano mediante opportune procedure descritte nei Paragrafi 7.7.1 e 7.7.2.
3
7 -5
Capitolo 7
0.7
0
1
indice dei vuoti, e
Nel grafico in scala
semilogaritmica della
Figura 7.3, è rappresentato l’andamento dell’indice dei vuoti (asse
delle ordinate a sinistra) e della deformazione assiale (asse delle
ordinate a destra) in
funzione della pressione verticale media efficace, ottenuto sperimentalmente da una
prova edometrica standard condotta su un
provino “indisturbato”
di argilla4 (le due curve
sono omologhe, in
quanto le variabili εa e
∆e sono proporzionali).
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
2
3
4
0.6
5
5
10
0.5
6
11
7
0.4
15
10
9
0.3
0.01
0.1
8
1
20
10
Tensione efficace verticale, σ'v (Mpa)
(log) [MPa]
Figura 7.3 – Esempio di risultati di prova edometrica
Nel grafico si individuano tre tratti per la fase di carico:
−
un tratto iniziale a debole pendenza (punti 1-2)
−
un tratto intermedio a pendenza crescente (punti 2-5)
−
un tratto finale a pendenza maggiore e quasi costante (punti 5-8).
La curva di scarico (punti 9-11) ha pendenza minore e quasi costante.
Il grafico può essere interpretato, alla luce di quanto detto al paragrafo precedente, tenendo conto della storia tensionale e deformativa subita dal provino di terreno. Il provino,
quando si trovava in sito, era soggetto alla pressione litostatica. Durante il campionamento, l’estrazione, il trasporto, l’estrusione dal campionatore, ha subito una serie di disturbi
(inevitabili) ed una decompressione fino a pressione atmosferica in condizioni di espansione libera5. A causa della decompressione il provino si è espanso e, a parità di contenuto
in acqua, è diminuito il grado di saturazione e si sono generate pressioni interstiziali negative (vedi Capitolo 9). Poi è stato fustellato con l’anello metallico della prova edometrica6
e inserito nella cella riempita d’acqua, dove assorbendo acqua in condizioni di espansione
laterale impedita ha in parte rigonfiato. Infine è iniziata la fase di carico. Il tratto iniziale
della curva di Figura 7.3 (punti 1-2) corrisponde perciò ad un ricompressione in condizio4
Si osservi che i punti sperimentali hanno passo costante in ascissa. Essendo la scala delle ascisse logaritmica, ciò significa che gli incrementi di carico sono applicati con progressione geometrica. Nella fase di
scarico il numero di punti sperimentali è minore (in genere la metà). Il primo gradino di carico è generalmente pari a 25 kPa, l’ultimo gradino deve essere tale da superare abbondantemente la pressione di preconsolidazione (6÷8 σ’c)
5
Poiché il disturbo da campionamento è inevitabile, specie per i terreni normalmente consolidati, nessuna
prova di laboratorio può riprodurre esattamente le condizioni in sito.
6
Per ridurre il disturbo prodotto dal fustellamento l’anello ha un bordo tagliente con parete interna verticale
(vedi Figura 7.2).
7 -6
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
ni edometriche che tuttavia segue ad uno scarico (non rappresentato nel grafico) non edometrico. Perciò il primo tratto non è rettilineo, e comunque non ha pendenza eguale a
quella del ramo di scarico.
Il secondo tratto della curva (punti 2-5) è marcatamente curvilineo e comprende il valore
della pressione di consolidazione in sito, la cui determinazione sperimentale viene di
norma eseguita con la costruzione grafica di Casagrande, descritta nel seguito.
Il terzo tratto della curva di carico (punti 5-8) corrisponde ad una compressione edometrica vergine o di primo carico.
Il grafico di Figura 7.3 viene utilizzato per stimare i parametri di compressibilità.
A tal fine, la curva sperimentale di compressione edometrica e-σ’v, in scala semilogaritmica (Figura 7.3), viene approssimata, per le applicazioni pratiche, con tratti rettilinei a
differente pendenza7 (Figura 7.4); il tratto di ginocchio a pendenza crescente è sostituito
con un punto angolare (punto A),
corrispondente alla pressione di cone
solidazione, σ’p. La pendenza del
Cr
tratto iniziale è detta indice di riA
compressione
, Cr, e non è molto si1
gnificativo per i motivi sopradetti.
La pendenza del tratto successivo al
ginocchio, ovvero alla pressione di
Cc
consolidazione, è detta indice di
compressione, Cc. La pendenza nel
1
tratto di scarico tensionale è detta
indice di rigonfiamento, Cs8.
Cs
σ'pc
σ’
1
σ'v (log)
Figura 7.4 - Schematizzazione della curva di compressione edometrica
Valori tipici di Cc sono compresi tra
0,1 e 0,8; Cs è dell’ordine di
1/5÷1/10 del valore di Cc. Per una
stima approssimata dell’indice di
compressione per argille N.C. si può
ricorrere alla seguente relazione:
Cc = 0,009 (wL – 10)
(Eq. 7.3)
Per determinare la pressione di preconsolidazione sono state proposte varie procedure, tra
cui la più comunemente utilizzata è quella di Casagrande, che prevede i seguenti passi
(Figura 7.5):
1. si determina il punto di massima curvatura (M) del grafico semilogaritmico e - σ'v
2. si tracciano per M la retta tangente alla curva (t), la retta orizzontale (o), e la retta bisettrice (b) dell'angolo formato da t ed o
∆e
.
∆ log10 σ 'v
7
Le pendenze nei diversi tratti sono date dal rapporto adimensionale
8
Sarebbe buona norma fare eseguire in laboratorio un intero ciclo di scarico-ricarico e determinare l’indice
di rigonfiamento come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi.
7 -7
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
3. l'intersezione di b con la retta corrispondente al tratto terminale della curva di primo carico individua la pressione di
preconsolidazione.
e
σ’p,min
σ’p,max
S
o
M
R
b
t
σ’p
Considerate le difficoltà spesso
esistenti nell'individuare il punto di massima curvatura, è utile
confrontare sempre il valore di
σ'p ottenuto, con i suoi possibili
limiti inferiore e superiore:
−
il primo è rappresentato
dall’ascissa del punto di
intersezione tra la retta di
ricompressione e quella di
compressione
vergine
(punto S);
−
il secondo dall’ascissa del
punto R a partire dal quale
la relazione e-logσ' diventa
una retta.
σ’v (log)
Figura 7.5 – Determinazione della pressione di preconsolidazione σ’c con il metodo di Casagrande
Confrontando il valore della σ’p, determinato sperimentalmente, con la tensione verticale
efficace σ’v0 (calcolata) esistente in sito alla quota di prelievo del campione, si determina
il grado di sovraconsolidazione OCR
Indice dei vuoti, e
La qualità del campione costituisce il requisito più importante per una affidabile determinazione delle pendenze e della σ’p. del deposito in esame (nel punto di prelievo del
campione).
Il disturbo tende infatti a distruggere in parte o in tutto la
e0
struttura del terreno e le informazioni in essa contenute
Curva di compressione (in particolare la memoria
“in sito”
dello stato tensionale), rendendo meno pronunciato il
passaggio dal tratto di ricomProvino ricostituito
pressione a quello di compressione, e alterando le penProvino disturbato
denze rispetto alla curva in
Provino indisturbato
sito.
Per
migliorare
0.4 e 0
B
l’interpretazione della prova
si può ricorrere alle costrulog σv’
zioni
di
Schmertmann
Figura 7.6 – Effetto del disturbo sulla curva di compressibilità (1955).In Figura 7.6 sono
mostrate le curve di compresedometrica
σσ’
’v0v0(=(=σσ’
’c )p)
7 -8
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
sione edometrica di tre provini della stessa argilla con differente grado di disturbo e la
curva di compressione in sito.
È stato osservato che, indipendentemente dal grado di disturbo le tre curve convergono in
un punto che corrisponde ad un indice dei vuoti pari al 40% del valore iniziale. È pertanto
ragionevole assumere che anche la curva che si riferisce alle condizioni in sito passi da
quel punto. Schmertmann (1955) ha proposto di definire la curva di compressione in sito
nel modo seguente:
per terreno NC (Figura 7.7):
1.
si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, (in base al contenuto
naturale in acqua, wn, ed al peso specifico dei costituenti solidi, γs,) e si prolunga la
curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al
40% del valore naturale (punto B);
2.
si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del
campione, σ’v0, che per terreno NC coincide con la pressione di consolidazione, σ’p;
3.
si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0);
4.
si traccia la retta AB che corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in sito.
per terreno OC (Figura 7.8):
1.
si esegue un programma di carico della prova edometrica comprendente un ciclo
completo di scarico-ricarico a partire da una pressione superiore alla pressione di
consolidazione (presunta)9, e si determina l’indice di rigonfiamento Cs come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi, CD;
Curva in sito
“corretta”
Curva
sperimentale
0.4 e 0
Indice dei vuoti, e
Indice dei vuoti, e
e0
A
e0
B
σ’v0 (= σ’c )
Curva in sito
“corretta”
A
E
∆e
D
C
Curva
sperimentale
(fase di ricarico)
log σ’ 0.4 e
0
B
σ’v0
σ’c
log σ’
Figura 7.7: Costruzione di Schmertmann per Figura 7.8: Costruzione di Schmertmann
terreno NC
per terreno OC
9
Se il terreno è fortemente sovraconsolidato e durante la prova edometrica non è superata la pressione di
consolidazione, si ottiene una curva priva di tratti rettilinei che spesso viene male interpretata ed attribuita a
disturbo o a errore di sperimentazione.
7 -9
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
2.
si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, e si prolunga la curva
sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del
valore naturale (punto B);
3.
si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del
campione, σ’v0;
4.
si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0);
5.
si stima la pressione di consolidazione, σ’p, con il metodo di Casagrande;
6.
si traccia dal punto A una retta di pendenza Cs fino al punto E avente ascissa σ’p (AE);
7.
si traccia la retta EB;
8.
la spezzata AEB corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in sito
I valori sperimentali della deformazione assiale, εa, e dell’indice dei vuoti, e, ottenuti al
termine del processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico, possono
essere rappresentati anche in grafici in scala naturale (e non semilogaritmica). Nella Figura 7.9 sono rappresentati i punti e le curve corrispondenti alla prova di Figura 7.3 (ovviamente anche in questo caso le due curve sono omologhe). La rappresentazione in scala
naturale rende ancor più evidente la non linearità e l’aumento di rigidezza al crescere della tensione applicata.
Dalla curva (σ’v – εa) di Figura 7.9 si definiscono i seguenti parametri di compressibilità
che, a differenza di Cc e di Cs, sono dipendenti dal campo di tensione cui si riferiscono:
il coefficiente di compressibilità di volume:
mv =
∆ε a
∆σ 'v
[F-1 L2]
(Eq. 7.4)
0.7
1
2
Indice dei vuoti, e [-]
−
0.6
3
4
5
0.5
6
11
7
0.4
10
9
0.3
0.00
0.50
8
1.00
1.50
2.00
2.50
3.00
3.50
Tensione efficace verticale, σ'v (MPa)
Figura 7.9: Risultati della prova di Figura 7.5 rappresentati in scala naturale
7 -10
Capitolo 7
−
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
e, il suo reciproco, il modulo edometrico:
M=
∆σ 'v
1
=
m v ∆ε a
[F L-2]
(Eq. 7.5)
Dalla curva (σ’v – e) di Figura 7.9 si definisce:
−
il coefficiente di compressibilità:
av =
∆e
∆σ 'v
[F-1 L2]
(Eq. 7.6)
e valgono le relazioni:
mv =
av
1
=
1 + eo M
M = 2,3 ⋅
(1 + e 0 )
Cc
(Eq. 7.7)
⋅ σ 'v
(Eq. 7.8)
Valori orientativi di M, in funzione di Ic, per terreni coesivi sono riportati in Tabella 7.1.
Tabella 7.1 - Valori orientativi di M per terreni coesivi (nel campo dei valori di σ’v più frequenti
per i problemi di ingegneria geotecnica)
Ic
0-0,5
0,5-0,75
0,75-1
>1
M (MPa)
0,2-4
4-12
12-30
30-60
7.3 Calcolo del cedimento totale di consolidazione primaria
Utilizzando i parametri appena definiti e determinabili mediante la prova edometrica è
possibile calcolare il cedimento di uno strato di terreno al quale è applicato un carico uniformemente distribuito ∆σv, nel caso in cui possa ritenersi soddisfatta l’ipotesi di deformazione monodimensionale.
In pratica il comportamento dello strato viene assimilato a quello di un provino sottoposto
ad una prova edometrica (Figura 7.10), assumendo che i parametri di compressibilità dello strato siano uguali a quelli determinati per il provino.
Ricordando che in condizioni edometriche:
∆H
∆e
=
H o 1 + eo
(Eq. 7.9)
Il cedimento ∆H sarà dato da :
∆H =
Ho
⋅ ∆e
1 + eo
(Eq. 7.10)
7 -11
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
e
σ’
v0
σ’ c
C
σ’ +∆σ
v
v0
∆σ
r
∆H
1
(σ’ , e )
v0 0
∆e
v
H
0
C
c
1
σ’ (log)
v
Figura 7.10 – Schema per il calcolo del cedimento di consolidazione primaria di uno strato di
terreno coesivo
dove Ho è l’altezza iniziale dello strato, eo è l’indice dei vuoti iniziale e ∆e la variazione
dell’indice dei vuoti, conseguente all’applicazione del carico, che può essere ricavata dai
risultati della prova edometrica.
Facendo riferimento al grafico e-logσ’v si può infatti osservare che nel caso più generale
di terreno sovraconsolidato (assumendo Cr = Cs):
∆e = C s ⋅ log
σ 'c
σ 'vo + ∆σ v
+
C
⋅
log
c
σ 'vo
σ 'c
(Eq. 7.11)
da cui consegue:
∆H =
σ'
σ ' + ∆σ
Ho
⋅ [C s ⋅ log ' c + C c ⋅ log vo ' v ]
1 + eo
σ vo
σc
(Eq. 7.12)
Se il carico applicato è tale da non far superare la σ'c, si ha invece:
∆e = C s ⋅ log
σ 'vo + ∆σ v
σ 'vo
(Eq. 7.13)
e quindi:
∆H =
σ ' + ∆σ v
Ho
⋅ [C s ⋅ log vo '
]
1 + eo
σ vo
(Eq. 7.14)
Se il terreno invece è normalconsolidato:
∆e = C c ⋅ log
σ 'vo + ∆σ v
σ 'vo
(Eq. 7.15)
7 -12
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
e quindi
∆H =
σ ' + ∆σ v
Ho
⋅ [C c ⋅ log vo '
]
1 + eo
σ vo
(Eq. 7.16)
In alternativa ai parametri Cc e Cs, si può fare riferimento al coefficiente di compressibilità di volume mv, o al modulo edometrico M, o al coefficiente di compressibilità av:
∆H = H o ⋅ ∆ σ v ⋅ m v = H o ⋅
∆σ v
Ho
=
⋅ ∆σ v ⋅ a v
M
1 + e0
(Eq. 7.17)
tenendo conto del fatto che tali parametri dipendono dal livello di tensione e quindi vanno
scelti opportunamente in funzione dell'intervallo tensionale significativo per il problema
in esame.
Nella pratica, soprattutto in presenza di strati di elevato spessore e non omogenei, è opportuno per una stima migliore del cedimento, suddividere lo strato in più sottostrati, eventualmente differenziando i parametri di compressibilità del terreno (laddove siano disponibili un certo numero di prove edometriche eseguite su provini estratti a differenti
profondità). Il cedimento complessivo dello strato risulta essere così espresso:
σ'
σ ' + ∆σ
H oi
⋅ [C si ⋅ log ' ci + C ci ⋅ log voi ' vi ]
σ voi
σ ci
i =1 1 + e oi
n
∆H = ∑
(Eq. 7.18)
oppure:
n
n
i =1
i =1
∆H = ∑ (H oi ⋅ ∆σ vi ⋅ m vi ) = ∑ (
H oi
⋅ ∆σ vi ⋅ a vi )
1 + e oi
(Eq. 7.19)
dove le pressioni ed i parametri di compressibilità sono riferiti alla mezzeria di ciascuno
degli n sottostrati, di spessore H0i.
Nell’ipotesi di carico, q, applicato in superficie, uniformemente distribuito ed infinitamente esteso, il conseguente incremento della tensione verticale totale, ∆σv, che compare
nelle Eq. 7.10 – 7.18, è costante sia in direzione orizzontale che al variare della profondità
ed è pari al carico applicato (∆σv = q). Nel caso in cui il carico sia distribuito su una superficie di dimensioni limitate (rispetto allo spessore dello strato) il valore di ∆σv si riduce al crescere della profondità e varia in direzione orizzontale; tale incremento può essere
determinato con riferimento alla teoria dell’elasticità (vedi Capitolo 6) in funzione della
geometria della superficie di carico. In prima approssimazione, nel caso di carico q uniformemente distribuito su un’area rettangolare, il valore di ∆σv può essere stimato al variare della profondità z, ipotizzando che il carico si diffonda con un rapporto 2:1 (Figura
7.11). Alla profondità z risulta, quindi:
∆σ v (z) =
q⋅L⋅B
(L + z ) ⋅ (B + z )
(Eq. 7.20)
7 -13
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Impronta di carico
B
L
L
2
z
z
1
∆σvi
z/2
z/2
L+z
Figura 7.11 – Schema semplificato per il calcolo della diffusione delle tensioni
Nelle Eq. 7.17 e 7.18 il valore dell’incremento di pressione verticale, ∆σvi, è riferito alla
mezzeria di ciascun sottostrato.
7.4 Consolidazione
Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’applicazione di un sistema di sollecitazioni induce nel terreno un sistema di distorsioni (cambiamenti di forma) e/o di deformazioni (variazioni di volume).
Essendo i terreni mezzi particellari costituiti da grani solidi e vuoti, con i grani solidi praticamente incompressibili, ogni variazione di volume di un elemento di terreno corrisponde ad una variazione del volume dei vuoti. Inoltre, se il terreno è saturo, ovvero se tutti i
vuoti sono riempiti d’acqua, essendo l’acqua praticamente incompressibile, una variazione di volume comporta un moto di filtrazione dell’acqua interstiziale: in allontanamento
dall’elemento di terreno se il volume si riduce, in entrata nell’elemento se il volume aumenta.
Il processo di espulsione dell’acqua dai pori avviene quando, per effetto del carico applicato, si genera, all’interno di un certo volume di terreno, un campo di sovrapressioni interstiziali, ∆u, variabile da punto a punto. La conseguente differenza di carico idraulico,
rispetto alle condizioni di equilibrio, provoca l’instaurarsi di un flusso dell’acqua in regime transitorio dai punti a energia maggiore verso i punti a energia minore, e in particolare
verso l’esterno della zona interessata dall’incremento delle pressioni interstiziali (Figura
7.12).
7 -14
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
u + ∆u
0
u
0
Come già osservato nell’introduzione di questo Capitolo, via
via che l’acqua viene espulsa
dai pori, le particelle di terreno
si deformano e si assestano in
una configurazione più stabile e
con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume.
La velocità di questo processo
dipende dalla permeabilità del
terreno. L’entità della variazioFigura 7.12 – Campo di sovrappressioni generato in un
ne di volume, dipende dalla riterreno a grana fine in seguito all’ applicazione di un carigidezza dello scheletro solido,
co
cioè dalla struttura del terreno.
Escludendo le sollecitazioni di
natura dinamica e riferendosi quindi solo al caso di carichi statici o quasi statici, nei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), a causa della loro elevata permeabilità (k > 10-6 m/s),
l’espulsione dell’acqua è praticamente istantanea e quindi anche la deformazione volumetrica. Nel caso dei terreni a grana fine (limi e argille), invece, a causa della loro scarsa
permeabilità (k <10-6 m/s) l’espulsione dell’acqua dai pori con dissipazione delle sovrapressioni interstiziali, e quindi la deformazione volumetrica, risulta differita nel tempo.
Questo fenomeno, caratterizzato da un legame tensioni-deformazioni-tempo, viene indicato con il termine consolidazione.
7.5 Consolidazione edometrica
Si consideri un deposito di terreno sabbioso, saturo e sotto falda, infinitamente esteso e
delimitato superiormente da una superficie piana. Ad una certa profondità sia presente
uno strato orizzontale di argilla di spessore costante H e infinitamente esteso.
Supponiamo che su tutta la superficie del deposito venga istantaneamente applicata una
pressione verticale uniforme p (Figura 7.13). In ogni punto del semispazio si produce istantaneamente un incremento di tensione verticale totale ∆σv = p. Per ragioni di simmetria non possono esservi deformazioni orizzontali.
H
∆σv = p
p
Figura 7.13 - Schema di carico edometrico
7 -15
Nella sabbia, molto permeabile, si manifestano (quasi) immediatamente deformazioni verticali (e volumetriche), con il relativo cedimento del piano campagna:
l’incremento di tensione totale determina
(quasi immediatamente) un eguale incremento della tensione efficace (sopportata
dallo scheletro solido), mentre l’acqua in
eccesso filtra rapidamente in direzione
verticale e la pressione interstiziale (praticamente) non varia. I grani si deformano e
si addensano con riduzione dei vuoti, e
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
quindi di volume. Si dice che la sabbia costituisce un sistema aperto.
Nell’argilla, poco permeabile, la filtrazione avviene molto più lentamente e tutto il fenomeno, sopra descritto per la sabbia, è molto rallentato.
La teoria della consolidazione edometrica10 (ovvero monodimensionale) di Terzaghi affronta il problema della determinazione dei modi e dei tempi in cui si svolge tale fenomeno.
Per introdurre la teoria della consolidazione monodimensionale è utile riferirsi allo schema meccanico rappresentato in Figura 7.14: un cilindro indeformabile pieno di acqua contenente un pistone a tenuta idraulica collegato ad una molla a comportamento elastico lineare. Si assume che l’acqua sia incomprimibile. Il pistone è attraversato da un condotto
che termina in una valvola che, se aperta, lascia filtrare una portata d’acqua limitata. Un
manometro misura la pressione dell’acqua all’interno del cilindro. La valvola è inizialmente aperta e la pressione idrostatica dell’acqua è assunta come zero di riferimento. Al
tempo t=t1 la valvola viene chiusa e contemporaneamente è applicata una forza verticale
Q sul pistone. Poiché l’acqua non può filtrare, il pistone non ha cedimenti, la molla non si
comprime e quindi non sostiene alcun carico. Il carico applicato Q è equilibrato da un incremento della pressione dell’acqua, che viene registrata dal manometro, pari a ∆uw(t1) =
Q/A, essendo A la sezione retta del cilindro. Al tempo t=t2 la valvola viene aperta e
l’acqua, per effetto della pressione, inizia a filtrare verso l’esterno nei limiti consentiti
dalle caratteristiche della valvola. Alla progressiva diminuzione di volume occupato
dall’acqua corrisponde un progressivo cedimento del pistone e quindi un progressivo accorciamento della molla ∆l(t). Tale accorciamento è proporzionale alla forza sostenuta
dalla molla. Al generico istante ti>t2 la forza Q è equilibrata in parte dalla reazione della
molla, QM, e in parte dalla sovrapressioni residua dell’acqua, QW:
Q = Q M ( t ) + Q W ( t ) = K ⋅ ∆l( t ) + ∆u w ( t ) ⋅ A
(Eq. 7.21)
in cui si è indicato con K la costante elastica della molla. Il manometro registra una progressiva diminuzione della pressione dell’acqua nel tempo.
Al tempo t = t7 il processo si esaurisce. La molla sostiene per intero il carico Q, la sovrapressione dell’acqua si è interamente dissipata.
Quanto appena descritto rappresenta in maniera semplificata ciò che accade in un terreno
coesivo durante il processo di consolidazione edometrica: inizialmente il sovraccarico applicato è sopportato quasi esclusivamente dall’acqua interstiziale. Gradualmente l’acqua
viene espulsa dai pori, con filtrazione verticale, e il carico viene trasferito allo scheletro
solido che si comprime, con conseguente aumento delle pressioni effettive. Alla fine del
processo di consolidazione tutte le sovrapressioni interstiziali si sono dissipate e il sovraccarico totale applicato è interamente sopportato dallo scheletro solido (cioè interamente equilibrato da un incremento delle pressioni verticali efficaci).
10
Si osservi che la prova edometrica riproduce quasi esattamente le condizioni di carico e di vincolo descritte e rappresentate in Figura 7.13.
7 -16
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Chiuso
Valvola
Aperto
Pressione
0
t
1
t
t
2
t
3
t
4
t
5
t
6
7
W i
Q (t )
Q
Sovraccarico
M i
Q (t )
t
0
t
0
t
1
t
2
t
t
3
4
t
5
t
6
t
Tempo
7
Figura 7.14 – Modello meccanico di elasticità ritardata
Un altro, più completo modello meccanico, utile a introdurre la teoria della consolidazione edometrica è quello proposto da Terzaghi e rappresentato in Figura 7.15. Esso consiste
in un recipiente cilindrico contenente una serie di pistoni forati, eguali fra loro, separati da
molle di eguale rigidezza, e riempito d’acqua. Ciascuna zona di interpiano in cui risulta
suddiviso il recipiente tramite i pistoni è collegata ad un tubo aperto per la misura del carico piezometrico. Applicando un incremento di pressione ∆σ (rispetto alla pressione esistente in condizioni di equilibrio) si osserva che questo è istantaneamente sopportato
dall’acqua. L’altezza di risalita dell’acqua in tutti i piezometri nell’istante di applicazione
del carico (t=0) è data da ∆σ/γw. La differenza di carico idraulico innesca una filtrazione
verticale ascendente verso la superficie a pressione atmosferica. Col passare del tempo la
pressione dell’acqua nelle varie zone si riduce gradualmente, ed entrano in compressione
le molle, a partire dalla parte più alta del recipiente. Al generico istante di tempo t in un
dato interpiano, la pressione dell’acqua e l’altezza d’interpiano saranno inferiori rispetto a
quelle dell’interpiano sottostante. Il processo continua finché, dopo un tempo relativamente lungo, la sovrapressione dell’acqua in tutte le zone si sarà interamente dissipata e la
distanza di interpiano sarà eguale (la pressione interstiziale assume il valore esistente prima dell’applicazione del sovraccarico in condizioni di equilibrio, i dischi si saranno
avvicinati della quantità corrispondente alla pressione sopportata dalle molle).
7 -17
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
B
C
E
A
∆σ’
γw
∆σ/γw
∆u’
γw
D
Figura 7.15 - Modello meccanico di Terzaghi
Con riferimento allo schema di
Figura 7.15 si osservi che
l’area del rettangolo ABCD è
proporzionale al carico totale
applicato Q=∆σ Ar (essendo Ar
l’area della sezione retta del recipiente) e che ad un generico
istante di tempo (ad esempio
t=t2) l’area ABCE è proporzionale alla quota parte di Q sostenuta dalle molle, mentre
l’area AED è proporzionale alla quota parte di Q sostenuta
dall’acqua.
L’isocrona AE riferita all’asse
AD rappresenta la distribuzione delle sovrapressioni interstiziali con la profondità, e riferita all’asse BC la distribuzione delle tensioni verticali sulle molle. Se le molle sono ad
elasticità lineare, e quindi vi è proporzionalità tra tensioni e deformazioni, l’area ABCD è
proporzionale al cedimento finale, l’area ABCE è proporzionale al cedimento avvenuto al
tempo t=t2, l’isocrona AE riferita all’asse BC rappresenta la distribuzione delle deformazioni verticali al tempo t=t2.
Negli schemi sopra descritti, le molle rappresentano lo scheletro solido, l’acqua nel cilindro rappresenta l’acqua che riempie i pori, i fori sui pistoni rappresentano la permeabilità
del terreno.
7.6 Teoria della consolidazione edometrica
La teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi si basa sulle seguenti ipotesi semplificative:
1. consolidazione monodimensionale, cioè filtrazione e cedimenti in una sola direzione
(verticale);
2. incompressibilità dell’acqua (ρw = cost.) e delle particelle solide (ρs = cost.);
3. validità della legge di Darcy;
4. terreno saturo, omogeneo, isotropo, con legame sforzi deformazioni elastico lineare, a
permeabilità costante nel tempo e nello spazio;
5. validità del principio delle tensioni efficaci.
La teoria è sviluppata a partire dall’equazione generale di flusso (Capitolo 4, Eq. 4.22):
⎛
∂e ⎞
∂2h
∂2h
∂2h ⎞
1 ⎛ ∂S r
⎜⎜ k x ⋅ 2 + k y ⋅ 2 + k z ⋅ 2 ⎟⎟ =
+ Sr ⋅ ⎟
⋅⎜e ⋅
∂t ⎠
∂x
∂y
∂z ⎠ 1 + e ⎝ ∂t
⎝
che nelle ipotesi suddette diviene:
7 -18
(Eq. 4.22)
Capitolo 7
k
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
∂ 2h
1 ∂e
=
2
1 + e o ∂t
∂z
Posto
(Eq. 7.22)
∂e
∂e ∂σ '
= ' ⋅ v e ricordando la definizione del coefficiente di compressibilità:
∂t ∂σ v ∂t
av = −
∂e
∂σ 'v
(Eq. 7.23)
si ha, essendo per ipotesi di elasticità lineare av = cost:
k (1 + e o ) ∂ 2 h
∂σ 'v
=
−
av
∂t
∂z 2
(Eq. 7.24)
Se poi il carico piezometrico h viene espresso come somma dell’altezza geometrica, z, e
dell’altezza di pressione, u/γw, e la pressione a sua volta viene espressa come somma del
termine dovuto alla pressione dei pori in regime stazionario, up (in condizioni di equilibrio prima dell’applicazione del sovraccarico) e di quello dovuto all’eccesso di pressione
dei pori conseguente all’applicazione del sovraccarico, ue, si può scrivere, con riferimento
allo schema di Figura 7.16:
h =z+
(u p + u e )
(Eq. 7.25
γw
e osservando che la distribuzione delle pressioni in regime stazionario, up è lineare con la
profondità z, per cui la derivata seconda di up rispetto alla profondità è zero, si ha:
∂2h
1 ∂ 2u e
=
⋅
∂z 2 γ w ∂z 2
(Eq. 7.26)
Essendo per il principio delle pressioni efficaci (Capitolo 3, Eq. 3.3):
σ’v = σv – u = σv –(up+ue) risulta:
∂σ 'v ∂σ v ∂u e
=
−
∂t
∂t
∂t
(Eq. 7.27)
∆p
0
zw
z
Argilla
2H
isocrona all’istante t = 0
zw
Profondità
Sabbia
up (z)
ue (z,t)
u(z,t)
isocrona ad un generico istante t
u0
Zw + 2H
u(z,t)=up (z) + ue (z,t)
Pressione dei pori
Sabbia
Figura 7.16. – Distribuzione delle pressioni neutre con la profondità durante il processo di consolidazione in condizioni edometriche
7 -19
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
e supponendo che il sovraccarico applicato, σv, sia costante nel tempo si ha:
∂σ 'v
∂u
=− e
∂t
∂t
(Eq. 7.28)
L’equazione di continuità si riduce quindi alla seguente espressione:
k (1 + e o ) ∂ 2 u e ∂u e
=
γ w ⋅ a v ∂z 2
∂t
(Eq. 7.29)
Il termine:
k (1 + e o )
k
=
= cv
γw ⋅av
γw ⋅ mv
[L2/T]
(Eq. 7.30)
è chiamato coefficiente di consolidazione verticale e può essere determinato elaborando i
risultati della prova edometrica secondo le procedure che verranno descritte nel Paragrafo
7.8. Utilizzando l’Eq. 7.30, dopo avere ricavato dalla prova edometrica anche il coefficiente di compressibilità di volume, mv (Paragrafo 7.2), è possibile ottenere una stima del
coefficiente di permeabilità k del terreno: k = cv·mv·γw
Ovviamente, potendo determinare tanti valori di cv e di mv, quanti sono i gradini di carico
applicati al provino, si possono ottenere altrettanti valori del coefficiente di permeabilità.
In genere si assume come valore più rappresentativo per il terreno in sito quello corrispondente al gradino di carico entro cui ricade la tensione litostatica valutata alla profondità di estrazione del provino.
Con la definizione di cv (Eq. 7.30), l’equazione differenziale della consolidazione monodimensionale di Terzaghi diventa:
cv
∂ 2 u e ∂u e
=
∂t
∂z 2
(Eq. 7.31)
dove u e = u e (z, t ) rappresenta, come già detto, il valore dell’eccesso di pressione interstiziale nel punto a quota z, e al tempo t dall’istante di applicazione del carico.
Vengono definite le due variabili adimensionali:
Z=
z
H
Tv =
(Eq. 7.32)
cv ⋅ t
(chiamato fattore di tempo)
H2
(Eq. 7.33)
con H altezza di drenaggio, pari cioè al massimo percorso che una particella d’acqua deve
compiere per uscire dallo strato (nel caso di strato doppiamente drenato è pari alla metà
dell’altezza dello strato, nel caso di strato drenato da un lato solo è pari allo spessore
dell’intero strato).
7 -20
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
L’equazione (7.35) può essere così riscritta:
∂ 2 u e ∂u e
=
∂Tv
∂Z 2
(Eq. 7.34)
La soluzione dell’equazione 7.34 dipende dalle condizioni iniziali e dalle condizioni al
contorno (due condizioni per z e una per t), in particolare dalle condizioni di drenaggio
(da un solo lato o da entrambi i lati) e dalla distribuzione iniziale della sovrapressione ue
con la profondità z (isocrona iniziale), che, nel caso di consolidazione determinata da un
carico infinitamente esteso applicato in superficie (condizione edometrica), è uniforme.
Sotto le ipotesi edometriche (Figura 7.16) di:
−
isocrona iniziale costante con la profondità (per t=0 ue= uo, ∀z)
−
superfici superiore e inferiore perfettamente drenanti (per z=0 e z=2H ue= 0, ∀t≠0) la
soluzione risulta esprimibile in serie di Taylor come:
u e ( Z, Tv ) =
dove: M =
m =∞
2
2u o
(sin MZ)e − M Tv
m =0 M
∑
(Eq. 7.35)
π
(2m + 1) .
2
Tale soluzione, che permette (per ogni z e t) di calcolare u e (z, t ) noto cv, si trova usualmente diagrammata in termini di grado di consolidazione Uz, definito come rapporto tra la
sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione iniziale uo, cioè:
Uz =
u o − u e ( z, t )
u ( z, t )
= 1− e
uo
uo
(Eq. 7.36)
in funzione del fattore di tempo Tv (noto una volta noto cv).
Un diagramma tipico Uz = f(Z,Tv) è riportato in Figura 7.17.Da tale soluzione si può osservare che:
− subito dopo l’applicazione del carico si ha un gradiente idraulico elevato alle estremità
che si riduce progressivamente verso l’interno dello strato (e nel tempo);
− in mezzeria il gradiente dell’eccesso di pressione è sempre nullo, cioè non vi è alcun
flusso attraverso il piano orizzontale a metà dello strato.
In base a quest’ultima osservazione si ha che il piano di mezzeria può essere considerato
impermeabile e pertanto la soluzione può essere estesa anche al caso in cui si abbia uno
strato drenato solo ad una estremità, come nel modello meccanico di Figura 7.15, ponendo attenzione alla definizione di altezza di drenaggio che in questo caso è pari all’altezza
dello strato.
La soluzione dell’equazione della consolidazione monodimensionale fornisce il decorso
nel tempo delle sovrapressioni interstiziali, ma può essere utilizzata anche per la previsione del decorso dei cedimenti nel tempo dell’intero strato. Infatti nella maggior parte dei
casi pratici non interessa conoscere il valore del grado di consolidazione Uz in un dato
punto dello strato di terreno, ma piuttosto il valore del grado di consolidazione medio
dell’intero strato raggiunto dopo un certo periodo di tempo dall’applicazione del carico.
7 -21
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
A(Tv )
At = Area totale del grafico
Z= z/H
Grado di consolidazione medio
Um (Tv ) = A(Tv )/At
Grado di consolidazione, Uz
Figura 7.17 – Grado di consolidazione Uz in funzione del fattore di tempo, Tv, e di z/H (Taylor,
1948)
Il grado di consolidazione medio dell’intero strato in termini di sovrapressione interstiziali, corrispondente ad un certo fattore di tempo, Tv, ossia ad un certo istante, t, è dato da:
U=
1 2 H u 0 − u e (z , t)
⋅ dz
2H ∫0
u0
(Eq. 7.37)
Osservando che durante il processo di consolidazione le pressioni efficaci variano della
stessa quantità delle pressioni interstiziali, con segno opposto, e che, per l’ipotesi di elasticità lineare, la deformazione verticale è direttamente proporzionale alla pressioni verticale efficace:
u 0 − u e (z, t ) ∆σ' (z, t ) M ⋅ ε(z, t ) ε(z, t )
=
=
=
u0
∆σ v
M ⋅ εf
εf
(Eq. 7.38)
si ha che il grado di consolidazione medio in termini di sovrapressione interstiziale, U,
(rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione totale iniziale)
coincide con il grado di consolidazione medio in termini di cedimento, Um, definito come
rapporto tra il cedimento al tempo t, s(t), che per definizione è l’integrale delle deformazioni verticali al tempo t, e il cedimento finale totale, sf:
Um = U =
1
2H ⋅ ε f
2H
∫ ε(z, t) ⋅ dz ==
0
s( t )
sf
(Eq. 7.39)
ed è questa l’informazione che generalmente interessa nei casi pratici (interessa conoscere
l’aliquota del cedimento totale che si è realizzata dopo un certo tempo dall’applicazione
del carico).
Si può osservare che nei grafici Uz-Tv, il valore di Um corrispondente ad un certo tempo
adimensionalizzato Tv, rappresenta il rapporto tra l’area, A(t), compresa tra la linea Uz=0
e la relativa curva di Tv e l’area totale del grafico, At, (quella compresa tra le linee Uz=0 e
7 -22
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Uz=1). Ad esempio in Figura 7.17 il rapporto tra l’area tratteggiata e l’area totale del grafico rappresenta il grado di consolidazione medio corrispondente ad un fattore di tempo
Tv = 0.05.
Le soluzioni del grado di consolidazione medio Um in funzione del fattore di tempo Tv si
trovano diagrammate o tabulate per diversi andamenti dell’isocrona iniziale (costante,
triangolare, etc.). In tabella 7.2 e in Figura 7.18 sono riportate le soluzioni relative al caso
di isocrona iniziale costante con la profondità (con ascissa in scala lineare e logaritmica).
Esistono anche espressioni analitiche che forniscono una stima approssimata della soluzione per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, ad esempio:
Um = 6
Tv
3
Tv + 0.5
3
; Tv = 3
0.5 ⋅ U m
1− Um
6
(Brinch-Hansen)
6
Tv
π
2
; Tv = ⋅ U m
per U m ≤ 60%
π
4
Tv = 1.781 − 0.933 log(100 − U m (%)) per U m > 60%
Um = 2 ⋅
⎛ 4 ⋅ Tv ⎞
⎜
⎟
⎝ π ⎠
(Eq. 7.40)
(Terzaghi)
(Eq. 7.41)
0.5
π
2
⋅ Um
4
Um =
; Tv =
5.6 0.357
2.8 0.179
⎡ ⎛ 4 ⋅ Tv ⎞ ⎤
1− Um
⎟ ⎥
⎢1 + ⎜
⎢⎣ ⎝ π ⎠ ⎥⎦
[
]
(Eq. 7.42)
(Sivaram & Swamee)
Tabella 7.2. – Valori tabulati della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità
10
20
30
40
50
70
90
95
Tv
0.0077
0.0314
0.0707
0.126
0.196
0.403
0.848
1.129
0
Grado di consolidazione medio, Um [%]
Grado di consolidazione medio, Um [%]
Um
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0
0.2
0.4
0.6
Fattore di tempo, Tv
0.8
1
1.2
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0.001
0.01
0.1
1
Fattore di tempo, Tv
Figura 7.18 - Diagrammi della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, con ascissa in scala lineare (a) e logaritmica (b)
Se fossero verificate le ipotesi della teoria della consolidazione, le curve sperimentali in
prova edometrica cedimento – tempo, per qualunque terreno e per qualunque carico applicato, dovrebbero essere eguali, a meno di fattori di scala, alle curve teoriche adimen7 -23
1
Capitolo 7
sionali Um = f(Tv). Infatti U m =
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
c ⋅t
s( t )
è proporzionale al cedimento s(t) e Tv = v 2 è prosf
H
porzionale al tempo t. I fattori di scala sono caratteristici dei diversi terreni e devono essere determinati sperimentalmente. In particolare occorre determinare il cedimento di
consolidazione edometrica finale, sf, la lunghezza del percorso di drenaggio H, e il coefficiente di consolidazione, cv.
In realtà le ipotesi alla base della teoria non sono ben verificate per i terreni reali, come
discuteremo in seguito, ma l’accordo fra le curve adimensionali teoriche e quelle sperimentali è accettabile per gradi di consolidazione non superiori al 60%.
A questo punto è opportuno conoscere come si può determinare il coefficiente di consolidazione, cv, (parte essenziale del fattore di scala) l’unico parametro che nella soluzione
dell’equazione della consolidazione tiene conto delle proprietà del terreno. Per la sua determinazione si utilizzano i risultati della prova edometrica.
7.7 Determinazione sperimentale del coefficiente di consolidazione verticale
Come abbiamo visto al paragrafo 7.2 la prova edometrica standard è eseguita applicando
incrementi successivi di carico, mantenuti costanti fino all’esaurimento del fenomeno di
consolidazione (e oltre). Durante tale periodo si rilevano i cedimenti del provino nel tempo11.
I valori osservati dell’altezza del provino sono generalmente diagrammati secondo due
modalità:
- in funzione del logaritmo del tempo,
- in funzione della radice quadrata del tempo.
Gli andamenti tipici dei grafici che si ottengono nei due casi sono rappresentati nelle Figure 7.19a e 7.19b.
Dai diagrammi così ottenuti è possibile determinare, relativamente a ciascuno dei gradini
di carico applicati, il coefficiente di consolidazione, cv, mediante una delle due procedure
di seguito descritte.
7.7.1
Metodo di Casagrande
Si applica al grafico tempo (log)-altezza del provino (Figura 7.19a), nel quale si assume
di poter distinguere un primo tratto, AB, corrispondente al processo di consolidazione edometrica primaria, e un secondo tratto lineare, BD, corrispondente alle deformazioni viscose (la consolidazione secondaria di cui parleremo in seguito).
11
Normalmente vengono prese misure di abbassamento a intervalli di tempo via via crescenti (10’’, 20’’,
30’’, 1’, 2’, 5’, 10’ etc..)
7 -24
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
2H
2 Hi
2H
2 Hi
2 H90
2 Hf
2 Hf
t=0
a)
b)
Figura 7.19 – Andamento dell’altezza del provino (2H) durante la consolidazione edometrica in
funzione del logaritmo del tempo (a) e della radice quadrata del tempo (b)
Ovviamente tale suddivisione è del tutto arbitraria, in quanto un’aliquota del cedimento
viscoso si sovrappone al cedimento di consolidazione primaria nel tratto iniziale della
curva, mentre nel tratto finale, oltre al cedimento di consolidazione secondaria sarà presente anche una componente (seppure trascurabile) del cedimento di consolidazione primaria.
Come già detto, per poter interpretare il fenomeno reale mediante il modello teorico di
Terzaghi, occorre sovrapporre e far coincidere la curva teorica adimensionale Um=f(Tv)
con la curva sperimentale, allo scopo di determinare i fattori di scala.
Il primo passo del metodo consiste nell’individuare, mediante una procedura convenzionale, le altezze del provino corrispondenti all’istante iniziale e alla fine del processo di
consolidazione primaria.
L’origine (zero corretto) delle deformazioni può essere ricavata osservando che la relazione tra grado di consolidazione medio, Um, e fattore di tempo, Tv, (e quindi la relazione
tra cedimenti e tempo), per valori di Um < 60% (Eq. 7.41), è con buona approssimazione
una parabola ad asse orizzontale. Il tempo risulta cioè proporzionale al quadrato del cedimento, ossia, considerati due istanti, t1 e t2, e i relativi cedimenti, S(t1) e S(t2) (tali che
Um <60%), vale la relazione:
S( t 1 )
=
S( t 2 )
t1
(Eq. 7.43)
t2
Di conseguenza, scelto un tempo t1 sufficientemente piccolo e assunto t2 = 4t1, risulta dalla (7.41) che S(t2) = 2 S(t1); quindi, con riferimento alla Figura 7.19a, se il segmento PR
misura il cedimento all’istante t1 (dove P, che rappresenta l’origine delle deformazioni, è
incognito), il segmento PT, che misura il cedimento all’istante t2 , dovrà essere il doppio
di PR. Di conseguenza ribaltando il segmento RT rispetto al punto R si trova il punto P e
7 -25
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
quindi, sull’asse delle ordinate, l’altezza 2Hi, corrispondente all’inizio della consolidazione primaria (Um = 0%)12.
L’altezza del provino al termine del processo di consolidazione primaria (Um= 100%),
2Hf, è invece ottenuto, sempre con riferimento alla Figura 7.19a, dall’intersezione della
retta CD, relativa al tratto finale della curva, con la retta EB tangente alla curva nel punto
di flesso F.
Mediante la relazione:
2H50 = (2Hi + 2Hf)/2
(Eq. 7.44)
si determina quindi l’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione, ovvero l’altezza media di drenaggio H50.
Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il
fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del
50% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.197).
Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33),
è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguente relazione:
cv =
7.7.2
2
H 50
⋅ 0.197
t 50
(Eq. 7.45)
Metodo di Taylor
Il metodo di Taylor viene applicato facendo riferimento al diagramma √t-altezza del provino (Figura 7.19b), in cui si nota che i punti sperimentali nel tratto iniziale della curva si
allineano approssimativamente lungo una retta (essendo, come già osservato, il tempo
proporzionale al quadrato del cedimento per valori di Um < 60%). L’autore della procedura ha inoltre evidenziato che l'ascissa, t90, corrispondente al 90% del cedimento di consolidazione primaria, 2Η90, è pari a 1.15 volte il valore dell’ascissa corrispondente alla stessa ordinata sulla retta interpolante i dati sperimentali. Quindi, una volta diagrammati gli
spostamenti in funzione di √t e tracciata la retta interpolante i punti iniziali (corrispondenti a Um < 60%), si disegna la retta con ascisse incrementate del 15% rispetto a quella interpolante; dall'intersezione di quest’ultima con la curva sperimentale, punto C, si ricava
√t90, ossia la radice del tempo corrispondente al 90% della consolidazione primaria e,
proiettato sull’asse delle ordinate, l’altezza 2H90 corrispondente.
In questo caso, l’altezza di inizio consolidazione 2Hi è determinata prolungando la retta
interpolante fino ad incontrare l’asse delle ordinate, punto O, e l’altezza corrispondente
alla fine del processo di consolidazione è data da:
12
La procedura è necessaria perché l’asse delle ascisse è in scala logaritmica e quindi non contiene il tempo
t=0. Inoltre per i primi gradini di carico si possono avere abbassamenti per assestamento della piastra di carico e, se il provino non è completamente saturo, una deformazione istantanea per compressione ed espulsione delle bolle d’aria eventualmente presenti all’interno del provino.
7 -26
Capitolo 7
2H f = 2Hi +
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
9
⋅ (2H f − 2H i )
10
(Eq.7.46)
L’altezza media di drenaggio, H50, è determinata anche in questo caso a partire
dall’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione (Eq. 7.44).
Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il
fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del
90% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.848).
Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33),
è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguente relazione:
2
H 50
⋅ 0.848
cv =
t 90
(Eq. 7.47)
7.8 Validità e limiti della teoria della consolidazione edometrica
La teoria della consolidazione edometrica si basa sullo schema di carico e di vincolo
(condizioni al contorno) rappresentato in Figura 7.13 (strati orizzontali, carico applicato
uniforme e infinitamente esteso) che comporta l’assenza di deformazioni orizzontali e il
flusso solo verticale dell’acqua. Le condizioni al contorno della prova edometrica riproducono fedelmente tale schema, che ha il vantaggio della semplicità essendo monodimensionale.
Talvolta lo schema corrisponde bene alle condizioni stratigrafiche e geotecniche del deposito ed alla causa perturbatrice (ad esempio un abbassamento uniforme del livello piezometrico, oppure un riporto strutturale di spessore costante o, più in generale, un manufatto che trasmette al terreno un carico uniformemente distribuito di estensione molto
maggiore dello spessore dello strato compressibile), ma altre volte no.
Se ad esempio l’area di carico è di dimensioni piccole rispetto allo spessore dello strato
compressibile, l’incremento di tensione verticale non può essere assunto costante con la
profondità (vedi Capitolo 6), le deformazioni di taglio non sono zero e quindi si hanno
cedimenti istantanei anche a deformazione volumetrica nulla, la filtrazione avviene anche
in direzione orizzontale, etc.
Ma anche quando lo schema stratigrafico e geotecnico corrisponde bene alle condizioni al
contorno ed il fenomeno è unidirezionale, la soluzione di Terzaghi è solo approssimata
poiché non sono verificate alcune ipotesi base. In particolare:
−
il legame tensioni deformazioni è marcatamente non lineare, come messo in evidenza
dai grafici delle Figure 7.3, 7.9, etc. ;
−
la permeabilità del terreno varia nel tempo, durante il processo di consolidazione,
perché diminuisce l’indice dei vuoti;
−
è trascurata la componente viscosa delle deformazioni.
7 -27
Capitolo 7
COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA
Per potere comunque utilizzare la soluzione di Terzaghi, si ipotizza che il terreno abbia un
comportamento lineare e permeabilità costante nell’ambito di ogni gradino di carico, e
che le deformazioni viscose abbiano inizio solo quando la consolidazione edometrica è in
gran parte esaurita.
Per ogni gradino di carico, sfruttando solo la parte iniziale della curva sperimentale allo
scopo di escludere le deformazioni viscose, si possono determinare i corrispondenti valori
di cv, av, e k, e utilizzare nelle applicazioni i valori di tali proprietà determinati per la
pressione iniziale e l’incremento di pressione più prossimi a quelli reali. Se le ipotesi di
Terzaghi fossero verificate, si otterrebbero gli stessi valori di cv, av, e k per tutti i gradini
di carico, poiché tali grandezze sarebbero indipendenti dalla pressione.
7.9 Consolidazione secondaria
La curva teorica della consolidazione edometrica di Terzaghi prevede, nella parte terminale, un asintoto orizzontale. Le curve sperimentali s(t) mostrano invece un asintoto inclinato. Tale differenza, più o meno marcata a seconda del tipo di terreno, è dovuta alle deformazioni viscose dello scheletro solido. Deformazioni che avvengono anche a pressione
efficace costante, e quindi anche (ma non solo) a consolidazione primaria esaurita. La
pendenza dell’asintoto inclinato nel piano semilogaritmico e-logt, è detto indice di compressione secondaria:
Cα =
∆e
∆ log t
(Eq. 7.48)
Valori di riferimento dell’indice di compressione secondaria, per alcuni tipi di terreno,
sono riportati in Tabella 7.3:
Tabella 7.3 - Valori indicativi del rapporto Cα/Cc
Terreno
Cα/Cc
Argille tenere organiche
0,05 ± 0,01
Argille tenere inorganiche
0,04 ± 0,01
Sabbie
da 0,015 a 0,03
Come osservato nel Paragrafo 7.2 le curve di compressibilità edometrica nei piani elogσ’v, e-σ’v, e εa-σ’v si ottengono in genere collegando i punti sperimentali ricavati dalle
misure effettuate al termine del periodo di applicazione di ciascun incremento di carico
(di solito 24h). Sarebbe quindi più corretto depurare gli abbassamenti misurati dalla componente viscosa, in sostanza utilizzando come altezza finale del provino l’altezza 2Hf corrispondente al 100% di consolidazione edometrica. L’errore che si commette non è comunque particolarmente rilevante.
7 -28
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
CAPITOLO 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
8.1 Introduzione
Nel capitolo 7 è stata illustrata la teoria della consolidazione monodimensionale di Terzaghi, che permette di stimare il tempo necessario alla dissipazione delle sovrapressioni interstiziali, e quindi al verificarsi dei cedimenti di consolidazione, nell’ipotesi di strati orizzontali di terreno saturo e omogeneo, e di incremento della pressione verticale totale
istantaneo, uniforme e infinitamente esteso. Tali condizioni di carico si verificano in pratica quando lo spessore dello strato che consolida è piccolo rispetto all’estensione
dell’area di carico, come ad esempio in seguito alla messa in opera di un riporto strutturale di altezza costante e grandi dimensioni planimetriche, oppure in seguito ad un abbassamento generalizzato e uniforme del livello di falda. Consolidazione monodimensionale
vuol dire filtrazione e deformazioni solo in direzione verticale, e quindi assenza di cedimenti in condizioni non drenate, ovvero all’istante di applicazione del carico.
In questo capitolo ci proponiamo di considerare condizioni di carico più generali e realistiche e le tecniche utilizzate, nella pratica professionale, per accelerare il processo di
consolidazione.
Se il carico applicato è distribuito su una striscia di larghezza B e di lunghezza indefinita,
lo stato di deformazione è piano, la filtrazione avviene in due dimensioni, il bacino dei
cedimenti è cilindrico, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti
anche a volume costante, in condizioni non drenate. Se il carico applicato è distribuito su
un’area di dimensioni ridotte e confrontabili, ad esempio un’area circolare, quadrata o rettangolare, lo stato di deformazione, la filtrazione e il bacino dei cedimenti sono tridimensionali, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti anche a volume
costante, in condizioni non drenate.
La durata del processo di consolidazione dipende quindi anche dalla forma e dalle dimensioni dell’area di carico. A titolo di esempio, in Figura 8.1 sono messe a confronto le curve che indicano il tempo necessario perché si realizzi l’80% della consolidazione per tre
differenti condizioni di carico e quindi di drenaggio (area di carico infinita ⇒ filtrazione
monodimensionale, striscia di carico ⇒ filtrazione bidimensionale, area di carico circolare ⇒ filtrazione tridimensionale) e per differenti dimensioni dell’area di carico, al variare
dello spessore dello strato che consolida (per cv = 1 m2/anno).
La stima dei tempi di consolidazione mediante la teoria monodimensionale di Terzaghi è
non solo quasi sempre in eccesso, poiché sono trascurati gli effetti della forma e delle dimensioni dell’area di carico, ma è anche molto incerta, molto più incerta, ad esempio, di
quanto non sia la stima dell’entità del cedimento di consolidazione edometrica. Se infatti
lo strato di argilla che consolida è intercalato da sottili livelli continui di sabbia, la cui
presenza può sfuggire all’indagine geotecnica, il cedimento è sostanzialmente invariato,
ma i tempi di consolidazione possono essere fortemente ridotti. Viceversa se una sottile e
piccola lente di sabbia è intercettata nell’indagine geotecnica e falsamente interpretata
8 -1
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
come un livello continuo e drenante, la stima del tempo di consolidazione può risultare
errata per difetto.
Quando è possibile e giustificato dall’importanza dell’opera da realizzare, è utile monitorare i cedimenti reali nel tempo, durante e subito dopo la costruzione, allo scopo di identificare e tarare con le misure sperimentali eseguite in vera grandezza un modello geotecnico interpretativo del fenomeno in atto, da utilizzare per la previsione del comportamento
futuro.
Carico infinitamente esteso
Striscia di carico
B
Spessore dello strato di terreno (m)
1-D
2-D
Area di carico
circolare
D
3-D
Drenaggio e deformazione in questa direzione
Tempo di consolidazione (anni)
Figura 8.1. Effetto sui tempi di consolidazione della forma e delle dimensioni dell’area di carico
(Um = 80%; cv = 1 m2/anno)
8.2 Consolidazione durante la costruzione
La teoria della consolidazione di Terzaghi assume che il carico totale ∆σ sia applicato istantaneamente (al tempo t = 0) e mantenuto costante nel tempo fino all’esaurirsi della
consolidazione. In realtà il carico viene applicato gradualmente, in modo anche discontinuo e talvolta non monotòno, durante le varie fasi di costruzione. Una soluzione sufficientemente accurata può ottenersi assumendo che l’intero carico sia istantaneamente applicato al tempo corrispondente alla metà del periodo di costruzione, ma se quest’ultimo è
molto lungo (dell’ordine di anni) può essere utile prevedere il decorso dei cedimenti nel
tempo durante e dopo il periodo di costruzione.
Per tenere conto dell’applicazione non istantanea del carico e della consolidazione durante la costruzione si può utilizzare un semplice metodo grafico empirico.
8 -2
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
Si suppone che il carico totale sia applicato in modo linearmente variabile nel tempo. In
generale potrà esservi una prima fase di lavoro che prevede uno scavo di sbancamento, e
quindi una riduzione delle tensioni, seguita dalla costruzione e quindi da un incremento
delle tensioni fino al valore massimo, al termine del periodo di costruzione, che poi si
mantiene costante (Figura 8.2).
Durante la fase di scavo possono avvenire dei rigonfiamenti, che potrebbero anche essere
stimati ma che di norma hanno poco interesse poiché lo scavo sarà portato fino alla profondità di progetto. In genere si assume che il processo di consolidazione abbia inizio al
tempo t1, che corrisponde al ripristino dello stato tensionale iniziale, quando cioè il carico
totale applicato compensa il peso del terreno scavato.
Sbancamento
Esercizio
Carico
Costruzione
∆σ
t1
tempo
t2
O
1/2 t 2
1/2 t
t
t2
tempo
Cedimento
E
C
D
B
Il procedimento grafico
per tracciare la curva corretta tempo – cedimenti è
il seguente (Figura 8.2):
1. si disegna la curva “istantanea” tempo – cedimenti a partire dal
tempo t = t1, assunto
come origine dei tempi, come se il carico totale ∆σ fosse stato applicato per intero e in
modo istantaneo;
curva
corretta
2. si assume che al tempo
t2, ovvero al termine
del periodo di costruzione, il cedimento per
curva
consolidazione (punto
istantanea
B) sia pari al valore
che sulla curva istantaFigura 8.2. Costruzione grafica della curva corretta di consolinea corrisponde al
dazione
tempo t=t2/2 (punto A),
e si trasla della quantità t2/2 la porzione della curva istantanea relativa a valori di t
maggiori di t2/2. In sostanza si fa l’ipotesi che per tempi superiori a t2, ovvero dopo la
fine della costruzione, il decorso dei cedimenti nel tempo corrisponda a quello che si
sarebbe avuto per un’applicazione istantanea e totale del carico al tempo t2/2;
A
3. per determinare la prima parte della curva corretta si procede come segue:
a) si sceglie un generico istante di tempo t < t2;
b) si determina il cedimento sulla curva istantanea per il tempo t/2 (punto C);
c) si disegna una retta orizzontale da C fino al punto D, corrispondente al tempo t2;
d) si uniscono con una retta i punti O (origine degli assi) e D;
8 -3
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
e) si assume che il punto E appartenente alla retta OD, con ascissa t, sia un punto della
curva corretta tempo – cedimenti;
f) si ripete la costruzione per diversi valori di t, e si collegano i punti E ottenuti con
una curva.
8.3 Accelerazione del processo di consolidazione mediante precarico
Quando il tempo stimato di consolidazione è giudicato troppo lungo, è possibile ridurlo
applicando un sovraccarico aggiuntivo temporaneo (precarico). Poiché il sovraccarico è
spesso realizzato con un riporto di terreno, la tecnica del precarico è molto utilizzata per
le opere in terra e nei lavori stradali1. Il principio di funzionamento del precarico è mostrato in Figura 8.3.
p
ps
pf
t s t1
t
ss
A
sf
sfs
s
Figura 8.3: Accelerazione del processo di consolidazione
mediante precarico
⎛ σ 'v 0 + p f
CC
sf = H0 ⋅
⋅ log⎜⎜
'
1 + e0
⎝ σ v0
Supponiamo di poterci riferire a condizioni edometriche
(strato orizzontale normalmente consolidato di spessore
H0, carico uniforme applicato
istantaneamente, filtrazione
monodimensionale con altezza di drenaggio H, coefficiente di consolidazione verticale
cv).
La curva tempo – cedimenti
indicata con la lettera A è ottenuta calcolando il cedimento edometrico finale sf dovuto
al solo carico finale di progetto pf con l’equazione:
⎞
⎟⎟
⎠
(Eq. 8.1)
e applicando la teoria della consolidazione di Terzaghi, ovvero le equazioni:
s( t ) = U m (Tv ) ⋅ s f e Tv = c v ⋅
t
H2
(Eq. 8.2)
La curva A rappresenta il decorso dei cedimenti nel tempo in assenza di precarico.
Supponiamo che alla consegna dell’opera, o comunque dopo un assegnato tempo t1, si
debba essere già manifestato il cedimento sf (o una gran parte di esso). Per accelerare il
1
Di norma il contratto d’appalto fissa i termini di consegna dell’opera da realizzare. Supponiamo ad esempio che si debba consegnare un rilevato stradale, finito, entro una certa data. La pavimentazione deve essere
realizzata a cedimenti assoluti e differenziali esauriti, pena la formazione di avvallamenti e la continua rottura del manto stradale durante l’esercizio.
8 -4
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
processo di consolidazione si può decidere di applicare un sovraccarico temporaneo di intensità ps per un periodo di tempo ts. Molto spesso ts (ovviamente minore di t1) è condizionato dai tempi necessari per le lavorazioni, e quindi è un dato di progetto, mentre
l’incognita è l’intensità del precarico ps. Introducendo nell’equazione:
Tv =
cv ⋅ t
H2
(Eq. 8.3)
il tempo ts, si determina il valore del fattore di tempo Tv e quindi il corrispondente valore
del grado di consolidazione medio Um al tempo ts, che è pari sia al rapporto ss/sf che al
rapporto sf/sfs. Noto il valore di Um è pertanto possibile calcolare il cedimento finale di
consolidazione edometrica sfs che si avrebbe sotto il carico applicato di intensità (pf + ps):
sfs = sf/Um
(Eq. 8.4)
Applicando in modo inverso l’equazione per in calcolo del cedimento edometrico si determina l’intensità del carico (pf + ps) (e quindi l’intensità di ps) che, mantenuto in essere
per un tempo ts, produce il cedimento sf:
(p f + p s ) = σ
'
v0
⎡ Hsfs ⋅ (1+Ce0 ) ⎤
⋅ ⎢10 0 c − 1⎥
⎢⎣
⎥⎦
(Eq. 8.5)
Dopo tale tempo, eliminando il precarico, non si registreranno ulteriori cedimenti, in
quanto il cedimento avvenuto sf corrisponde al cedimento edometrico finale del carico finale permanente pf.
La tecnica del precarico può essere utilizzata anche per sovraconsolidare il terreno di fondazione, se il tempo di permanenza è tale da produrre cedimenti maggiori di sf, e quindi
per migliorarne la resistenza e la rigidezza.
8.4 Accelerazione del processo di consolidazione mediante dreni verticali
Un’altra tecnica per accelerare il processo di consolidazione consiste nell’inserire nel terreno dreni verticali disposti ai vertici di una maglia regolare, quadrata o triangolare, di lato inferiore alla massima lunghezza di drenaggio H.
Come abbiamo visto nel Capitolo 7, il tempo necessario perché avvenga la consolidazione
edometrica è proporzionale al quadrato della massima lunghezza di drenaggio:
t=
Tv
⋅ H2
cv
(Eq. 8.6)
Inserendo dreni verticali nel terreno si permette all’acqua di filtrare anche in direzione orizzontale fino al dreno più vicino, ovvero si riduce la lunghezza del percorso di drenaggio, si sfrutta la maggiore permeabilità del terreno in direzione orizzontale, si fa avvenire
un processo di consolidazione tridimensionale, ottenendo in tal modo una molto più rapida dissipazione delle sovrapressioni neutre e quindi una forte accelerazione dei tempi di
consolidazione (Figura 8.4).
8 -5
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
In passato i dreni
rilevato
verticali erano realizzati con pali di
sabbia, infissi o trivellati, di diametro
dw= 0,2÷0,5 m e inargilla molle
terasse 1,5÷6,0 m,
dreni verticali
talvolta rivestiti con
una calza di juta o
di geosintetico. Oggi più frequentemente si utilizzano
sabbia
dreni prefabbricati
di tipo diverso (di
Figura 8.4: Schema di impiego dei dreni verticali
cartone, con anima
in plastica e guaina
di cartone, di geotessile, di corda), messi in opera a percussione o per infissione lenta di un mandrino.
strato drenante
I dreni prefabbricati hanno sezione lamellare (larghezza a = 60÷100 mm, spessore
b = 2÷5 mm), e se ne calcola il diametro equivalente con l’equazione:
de
re
dw =
dw
2 ⋅ (a + b )
π
(Eq. 8.7)
Per il dimensionamento del sistema di dreni verticali occorre considerare la consolidazione radiale. Con riferimento
allo schema di Figura 8.5, si considera un cilindro di terreno con superficie esterna impermeabile e un dreno centrale.
Le ipotesi sono le stesse della teoria della consolidazione
edometrica di Terzaghi, a parte la direzione del flusso:
1. terreno omogeneo,
r
2. parametri di compressibilità e di permeabilità costanti
durante il processo di consolidazione,
3. deformazioni solo verticali e filtrazione solo radiale,
4. deformazioni piccole rispetto all’altezza del cilindro che
drena.
L’equazione della consolidazione radiale (che corrisponde
all’Eq. 7.31 della consolidazione edometrica) è la seguente:
Figura 8.5: Schema di
consolidazione radiale
⎛ 1 ∂u
∂ 2 u e ⎞ ∂u e
⎟=
c h ⋅ ⎜⎜ ⋅ e +
2 ⎟
r
r
∂
r
∂
⎠ ∂t
⎝
8 -6
(Eq. 8.8)
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
in cui
ch =
kh
mv ⋅ γw
(Eq. 8.9)
è il coefficiente di consolidazione per flusso in direzione orizzontale (in genere ch > cv a
causa dell’anisotropia della permeabilità e della struttura stratificata in direzione orizzontale dei terreni naturali, ma spesso sia per la maggiore difficoltà di determinazione sperimentale di ch, sia perché il disturbo dovuto alla messa in opera dei dreni prefabbricati riduce la permeabilità orizzontale e quindi ch, si assume ch = cv).
Analogamente a quanto già visto per la consolidazione edometrica, anche per la consolidazione radiale si definisce il fattore di tempo adimensionale:
Tr =
ch ⋅ t
d e2
(Eq. 8.10)
e il grado di consolidazione radiale medio, Ur, che rappresenta il rapporto tra il cedimento di consolidazione radiale al tempo t e il cedimento di consolidazione totale, e che può
essere calcolato con la seguente equazione approssimata (Figura 8.6):
U r (%) =
⎡
s( t )
⎛ 8 ⋅ Tr
⋅ 100 = ⎢1 − exp⎜ −
sf
F
⎝
⎣
⎞⎤
⎟⎥ ⋅ 100
⎠⎦
(Eq. 8.11)
F = ln(n ) − 0,75
in cui n =
de
è il rapporto tra il diametro del cilindro, de, e il diametro del dreno, dw.
dw
Il diametro equivalente del cilindro di terreno che drena, de, è assunto pari al diametro del
cerchio di area eguale all’area di influenza del dreno, per cui:
per disposizione a quinconce, con maglia triangolare equilatera di lato s (Figura 8.7a):
de =
6
π⋅ 3
⋅ s ≅ 1,05 ⋅ s
(Eq. 8.12)
per disposizione a maglia quadrata di lato s (Figura 8.7b):
de =
4
⋅ s ≅ 1,13 ⋅ s
π
(Eq. 8.13)
Il grado di consolidazione medio complessivo, U, in un processo combinato di consolidazione verticale e radiale, si determina con la seguente equazione (Carrillo, 1942):
U (%) = 100 −
1
⋅ (100 − U v ) ⋅ (100 − U r )
100
(Eq. 8.14)
in cui si sono indicati con Uv(%) e con Ur(%) rispettivamente i gradi di consolidazione
medi dei processi di filtrazione verticale e radiale.
L’eq. 8.14 si applica per un dato valore del tempo t, cui corrispondono due differenti valori di Tv e di Tr, e quindi due differenti valori di Uv e di Ur.
8 -7
Capitolo 8
ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE
Molto spesso le due tecniche per accelerare il processo di consolidazione sopradescritte
(precarico e dreni verticali) vengono utilizzate simultaneamente.
fattore di tem po, T r
grado di consolidazione medio, U r (%)
0.01
0.1
1
0
20
40
60
n=5
n=10
80
n=40
n=100
a)
b)
100
Figura 8.6: Grado di consolidazione medio,
Ur, in funzione del fattore di tempo, Tr, per
consolidazione radiale
8 -8
Figura 8.7: Disposizione di dreni a quinconce
con maglia triangolare equilatera (a) e a maglia quadrata (b)
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
CAPITOLO 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
9.1 Introduzione
Per le verifiche di resistenza delle opere geotecniche è necessario valutare quali sono gli
stati di tensione massimi sopportabili dal terreno in condizioni di incipiente rottura.
La resistenza al taglio di un terreno in una direzione è la massima tensione tangenziale, τf,
che può essere applicata alla struttura del terreno, in quella direzione, prima che si verifichi la “rottura”, ovvero quella condizione in cui le deformazioni sono inaccettabilmente
elevate.
La rottura può essere improvvisa e definitiva, con perdita totale di resistenza (come avviene generalmente per gli ammassi rocciosi), oppure può avere luogo dopo grandi deformazioni plastiche, senza completa perdita di resistenza, come si verifica spesso nei terreni.
Nella Meccanica dei Terreni si parla di resistenza al taglio, perché in tali materiali, a causa della loro natura particellare, le deformazioni (e la rottura) avvengono principalmente
per scorrimento relativo fra i grani.
In linea teorica, se per l’analisi delle condizioni di equilibrio e di rottura dei terreni si utilizzasse un modello discreto, costituito da un insieme di particelle a contatto, si dovrebbero valutare le azioni mutue intergranulari (normali e tangenziali alle superfici di contatto)
e confrontarle con i valori limite di equilibrio. Tale approccio, allo stato attuale e per i terreni reali, non è praticabile.
Per la soluzione dei problemi di meccanica del terreno è tuttavia possibile, in virtù del
principio delle tensioni efficaci, riferirsi al terreno saturo (mezzo particellare con gli spazi
fra le particelle riempiti da acqua) come alla sovrapposizione nello stesso spazio di due
mezzi continui: un continuo solido corrispondente alle particelle di terreno, ed un continuo fluido, corrispondente all’acqua che occupa i vuoti interparticellari. In tal modo è
possibile applicare anche ai terreni i ben più familiari concetti della meccanica dei mezzi
continui solidi e della meccanica dei mezzi continui fluidi.
Le tensioni che interessano il continuo solido sono le tensioni efficaci, definite dalla differenza tra le tensioni totali e le pressioni interstiziali:
σ' = σ − u
(Eq. 9.1)
A queste, in base al principio delle tensioni efficaci, è legata la resistenza al taglio dei terreni.
9.2 Richiami sulla rappresentazione di un sistema piano di tensioni
Se per un punto O all’interno di un corpo si considerano tutti i possibili elementi superficiali infinitesimi diversamente orientati, ossia appartenenti alla stella di piani che ha centro in O, le tensioni su di essi (cioè la tensione risultante e le componenti normale σ e tangenziale τ all'elemento superficiale considerato) variano generalmente da elemento a elemento. In particolare è possibile dimostrare che esistono tre piani, fra loro ortogonali, su
cui agiscono esclusivamente tensioni normali. Questi tre piani sono detti principali, e le
tensioni che agiscono su di essi sono dette tensioni principali. Generalmente, la tensione
9-1
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
principale maggiore (che agisce sul piano principale maggiore π1) è indicata con σ1, la
tensione principale intermedia (che agisce sul piano principale intermedio π2) è indicata
con σ2, la tensione principale minore (che agisce sul piano principale minore π3) è indicata con σ3 (Figura 9.1).
In particolari condizioni di simmeσ
1
tria due, o anche tutte e tre, le tensioni principali possono assumere
π2
lo stesso valore. Il caso in cui le tre
σ2
tensioni principali hanno eguale vaπ3
lore è detto di tensione isotropa: in
condizioni di tensione isotropa tutti
i piani della stella sono principali e
σ3
O
σ
la tensione (isotropa) è eguale in
3
π
1
tutte le direzioni. Quando due delle
tre tensioni principali sono uguali
σ
lo stato tensionale si definisce as2
sial-simmetrico e tutti i piani della
stella appartenenti al fascio che ha
per asse la direzione della tensione
principale diversa dalle altre due,
sono piani principali (e le relative
σ1
tensioni sono uguali). Poiché spesso gli stati tensionali critici per i
terreni interessano piani normali al Figura 9.1 – Tensioni e piani principali per il punto O
piano principale intermedio, ovvero
piani appartenenti al fascio avente
per asse la direzione della tensione principale intermedia σ2 (Figura 9.1), è possibile ignorare il valore e gli effetti della tensione principale intermedia σ2 e riferirsi ad un sistema
piano di tensioni.
Osserviamo adesso come variano le tensioni sui piani del fascio avente per asse la direzione della tensione principale intermedia, al variare dell’inclinazione del piano. In Figura
9.2a sono disegnate le tracce dei due piani principali maggiore π1 e minore π3, e di un generico piano π del fascio avente inclinazione θ rispetto alla direzione del piano principale
maggiore.
Si consideri l’equilibrio di un elemento prismatico di spessore unitario (problema piano) e
forma triangolare, con i lati di dimensioni infinitesime (per rimanere nell’intorno del punto considerato), paralleli ai due piani principali e al piano π. (Figura 9.2b).
Le condizioni di equilibrio alla traslazione in direzione orizzontale e verticale:
σ 3 ⋅ dl ⋅ sin θ − σ θ ⋅ dl ⋅ sin θ − τ θ ⋅ dl ⋅ cos θ = 0
σ 1 ⋅ dl ⋅ cos θ − σ θ ⋅ dl ⋅ cos θ + τ θ ⋅ dl ⋅ sin θ = 0
impongono che le tensioni tangenziale τθ e normale σθ sul piano π valgano:
σ −σ3
⋅ sin 2θ
τθ = 1
2
σ θ = σ 3 + (σ 1 − σ 3 ) ⋅ cos θ
2
9-2
(Eq. 9.2)
Capitolo 9
a)
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
σ1
b)
σ3
Piano π
σ3
O
τθ
θ
σθ
θ
Piano principale maggiore, π 1
Piano principale minore π
σ1
dl
3
Figura 9.2 - Tensioni indotte dalle due tensioni principali, σ1 e σ3, su un piano inclinato di θ rispetto a π1.
a)
In un sistema di assi cartesiani
Y
ortogonali di centro O e assi X e
Y (Figura 9.3), sul quale vengono
riportate lungo l’asse X le tensioD
ni normali, σ, e lungo l’asse Y le
tensioni tangenziali, τ (piano di
τθ
2θ
Mohr), le equazioni (9.2) rappreθ
X
B
O
A
C
E
sentano un cerchio di raggio R =
(σ1 – σ3)/2 e centro C[(σ1 +
σ3
σ3)/2; 0], detto cerchio di Mohr,
σθ
che è il luogo delle condizioni di
σ1
tensione di tutti i piani del fascio.
Per disegnare il cerchio, con rifeb)
rimento alla Figura 9.3a, occorre
Y
prima posizionare i punti A e B
Tensione sul piano
sull’asse X, in modo tale che i
orizzontale
segmenti OA ed OB siano proP
D Tensione sul piano inclinato di α porzionali, nella scala prescelta,
rispetto all’orizzontale
α
polo
rispettivamente alle tensioni
E
X
principali minore, σ3, e maggioB
O
A
C
re, σ1, e poi tracciare il cerchio di
σ3
diametro AB. Tale cerchio è il
luogo degli stati di tensione di
σ1
tutti i piani del fascio. Sul cerchio
di Mohr è utile definire il concetto di polo o origine dei piani,
Figura 9.3 Cerchio di Mohr (a) e polo (b)
come il punto tale che qualunque
retta uscente da esso interseca il
cerchio in un punto le cui coordinate rappresentano lo stato tensionale agente sul piano
che ha per traccia la retta considerata.
9-3
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Ad esempio se il piano principale maggiore (su cui agisce la σ1) è perpendicolare all’asse
Y, il polo è rappresentato dal punto A(σ3,0), cioè un piano del fascio inclinato di un angolo θ rispetto al piano principale maggiore interseca il cerchio in un punto D, le cui coordinate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato. Viceversa, se
il piano principale minore (su cui agisce la σ3) è perpendicolare all’asse Y, il polo è rappresentato dal punto B(σ1,0). Se per individuare l’orientazione dei piani del fascio assumiamo come riferimento i piani verticale ed orizzontale, non necessariamente coincidenti
con i piani principali, il polo, P, è individuato dall’intersezione col cerchio di Mohr della
retta orizzontale condotta dal punto, D, che ha per coordinate la tensione normale e tangenziale sul piano orizzontale; un generico piano del fascio inclinato di un angolo α rispetto all’orizzontale (Figura 9.3b), interseca il cerchio di Mohr in un punto, E, le cui coordinate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato.
Con riferimento alla Figura 9.3a, si può dimostrare che le equazioni (9.2) rappresentano
quello che è stato definito come cerchio di Mohr:
σ −σ3
tensione tangenziale:
τ θ = DE = DC ⋅ sin 2θ = 1
⋅ sin 2θ
2
σ θ = OE = OA + AE = σ 3 + AD ⋅ cos θ = σ 3 + AB ⋅ cos 2 θ =
tensione normale:
= σ 3 + (σ 1 − σ 3 ) ⋅ cos 2 θ
9.3 Criterio di rottura di Mohr-Coulomb
In base al principio delle tensioni efficaci “Ogni effetto misurabile di una variazione dello
stato di tensione, come la compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al taglio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”.
Dunque la resistenza del terreno, che a causa della natura particellare del mezzo, è una resistenza al taglio, deve essere espressa da una relazione (criterio di rottura) del tipo:
τ f = f (σ ')
(Eq. 9.3)
Il più semplice ed utilizzato criterio di rottura per i terreni, è il criterio di Mohr-Coulomb:
τ f = c'+(σ − u ) ⋅ tan φ ' = c'+σ ' n ,f ⋅ tan φ '
(Eq. 9.4)
per σ’ > 0
in base al quale la tensione tangenziale limite di rottura in un generico punto P di una superficie di scorrimento potenziale interna al terreno è dato dalla somma di due termini: il
primo, detto coesione c’, è indipendente dalla tensione efficace normale alla superficie
agente in quel punto, ed il secondo è ad essa proporzionale attraverso un coefficiente
d’attrito tanφ’. L’angolo φ’ è detto angolo di resistenza al taglio.
Nel piano di Mohr l’equazione (9.4) rappresenta una retta (Figura 9.4), detta retta inviluppo di rottura, che separa gli stati tensionali possibili da quelli privi di significato fisico
in quanto incompatibili con la resistenza del materiale. Nel piano τ−σ’, lo stato di tensione (che per semplicità di esposizione considereremo piano) nel punto P, corrispondente
alla rottura, sarà rappresentato da un cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura
(Figura 9.4). Un cerchio di Mohr tutto al di sotto della retta inviluppo di rottura indica invece che la condizione di rottura non è raggiunta su nessuno dei piani passanti per il punto considerato, mentre non sono fisicamente possibili le situazioni in cui il cerchio di
Mohr interseca l’inviluppo di rottura. Si osservi che in base alle proprietà dei cerchi di
Mohr risulta nota la rotazione del piano di rottura per P (ovvero del piano su cui agiscono
9-4
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
τ
θ f = π/4+ϕ’/2
traccia del piano
di rottura
ϕ’
D
τ
f
c’
inviluppo di rottura
2θf
F
O σ’ A
3,f
σ’n,f
C
σ’
B
σ’1,f
Figura 9.4 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb
la tensione efficace
normale σ’n,f e la tensione tangenziale τf)
rispetto ai piani principali per P (ovvero
rispetto a quei piani su
cui agiscono solo tensioni normali e le tensioni tangenziali sono
zero).
In particolare l’angolo
fra il piano di rottura
ed il piano su cui agisce la tensione principale maggiore σ’1,f è
pari a (π/4 + φ’/2)1.
Infatti, con riferimento alla Figura 9.4, si considerino i valori degli angoli del triangolo
FDC:
DFC = φ’,
FDC = π/2,
FCD = π – 2θf
Poiché la somma degli angoli di un triangolo è π, ne risulta: θf = φ’/2 + π/4
8.3.1 Osservazioni sull’inviluppo di rottura
In relazione a quanto esposto nei paτ
ragrafi precedenti è opportuno evidenziare che:
ϕ’
- il criterio di rottura di MohrCoulomb non dipende dalla tensione principale intermedia; si
osservi infatti la Figura 9.5 che
c’
σ’
rappresenta lo stato tensionale in
C
B
σ’3,f
un punto in condizioni di rottuσ’2,f
ra. Essa dipende dai valori di
σ’1,f
σ’1,f e di σ’3,f, che definiscono
dimensioni e posizione del cerchio di Mohr tangente alla retta
di inviluppo di rottura, ed è inFigura 9.5 – Il criterio di rottura di Mohr-Coulomb
dipendente dal valore di σ’2,f.
non dipende dalla tensione principale intermedia, σ’2
1
Si osservi inoltre che la tensione τf non è il valore massimo della tensione tangenziale nel punto P, la quale
1
è invece pari al raggio del cerchio di Mohr: τ max = ⋅ σ 1' − σ 3' , è associata ad una tensione normale che è
2
1
pari al valore medio delle tensioni principali maggiore e minore: σ m' = ⋅ σ 1' + σ 3' ed agisce su un piano
2
ruotato di π/4 rispetto al piano su cui agisce la tensione principale maggiore σ’1,f e quindi di φ’/2 rispetto al
piano di rottura.
(
)
(
9-5
)
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ non sono caratteristiche fisiche del terreno,
ma sono funzione di molti fattori, fra cui: storia tensionale, indice dei vuoti, livello di
tensione e di deformazione, tipo di struttura, composizione granulometrica, temperatura etc..
- l’inviluppo a rottura può presentare c’ = 0;
- l’inviluppo di rottura reale non è necessariamente una retta; spesso tale approssimazione è accettabile solo in un campo limitato di tensioni. Pertanto nella sperimentazione di laboratorio occorre indagare sul campo di tensioni prossimo allo stato tensionale in sito.
Occorre poi considerare una importantissima conseguenza della seguente asserzione del
principio delle tensioni efficaci: “la variazione di resistenza al taglio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”. Quando in un terreno interviene una alterazione delle tensioni totali, a causa di carichi, positivi o negativi, applicati in superficie o
in profondità, risultano conseguentemente alterate le pressioni interstiziali e le tensioni efficaci, ed ha inizio un processo di filtrazione in regime transitorio (consolidazione).
Nei terreni a grana grossa, molto permeabili, tale processo è pressoché istantaneo (sistema
aperto), cosicché alle variazioni di tensione totale corrispondono immediatamente analoghe variazioni di tensione efficace mentre le tensioni interstiziali rimangono inalterate
(condizioni drenate). Dunque, noto lo stato tensionale iniziale, è sufficiente conoscere entità e distribuzione degli incrementi di tensione (totale = efficace) indotti dal carico applicato per poter valutare la resistenza al taglio disponibile in ogni punto dell’ammasso (naturalmente se sono noti i parametri di resistenza al taglio).
Invece nei terreni a grana fine, poco permeabili, non sono generalmente note né l’entità
né l’evoluzione nel tempo delle variazioni di pressione interstiziale e di tensione efficace
conseguenti ad una variazione di tensione totale prodotta dai carichi applicati2. Possiamo
solo dire che, se il terreno è saturo, all’istante di applicazione del carico le deformazioni
volumetriche sono nulle (sistema chiuso, condizioni non drenate o a breve termine), mentre possono esserci deformazioni di taglio. Solo dopo che si sarà esaurito il processo di
consolidazione e le sovrapressioni interstiziali si saranno dissipate, le tensioni efficaci e
quindi la resistenza al taglio si saranno stabilizzate sul valore finale (condizioni drenate o
a lungo termine).
Conseguentemente, mentre per i terreni a grana grossa la resistenza al taglio, e quindi le
condizioni di stabilità, non variano nel tempo dall’applicazione del carico, ciò avviene per
i terreni a grana fine. In particolare se durante il processo di consolidazione le tensioni efficaci crescono, anche la resistenza al taglio progressivamente cresce e le condizioni di
stabilità più critiche sono a breve termine. Se invece durante il processo di consolidazione
le tensioni efficaci decrescono anche la resistenza al taglio progressivamente decresce e le
condizioni di stabilità più critiche sono a lungo termine. Per tale motivo, ad esempio, se
un rilevato è stabile subito dopo la costruzione lo sarà anche in futuro, ma se la parete di
uno scavo è stabile subito dopo la sua esecuzione non è affatto detto che lo sarà anche dopo un certo tempo.
-
2
In alcuni casi semplici tali variazioni sono note. Abbiamo visto ad esempio che in condizioni di carico edometrico (compressione con espansione laterale impedita) all’istante di applicazione dell’incremento di
tensione verticale totale corrisponde, nei terreni saturi, un eguale incremento di pressione neutra, mentre la
tensione efficace rimane invariata e non si manifesta alcuna deformazione (né volumetrica né di taglio).
9-6
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
9.4 Coefficienti di Skempton
Si consideri un elemento di terreno poco permeabile, saturo e sotto falda all’interno di un
deposito omogeneo con superficie del piano campagna orizzontale. Per simmetria cilindrica le tensioni geostatiche verticale e orizzontali sono tensioni principali e le tensioni
principali orizzontali sono tra loro uguali (stato tensionale assial-simmetrico). Si supponga che la tensione verticale corrisponda alla tensione principale maggiore σ1 e quelle orizzontali alla tensione principale minore σ3. Per definizione in un tubo piezometrico posto alla profondità dell’elemento l’acqua risalirebbe fino alla profondità del livello di falda (Figura 9.6a).
Supponiamo che un carico, applicato in modo istantaneo in superficie, produca istantaneamente, nell’elemento di terreno considerato, un incremento assial simmetrico dello stato
tensionale totale, ovvero un incremento ∆σ1 della tensione principale maggiore (verticale), un incremento ∆σ3 della tensione principale minore (orizzontale) e, di conseguenza,
un incremento ∆u della pressione interstiziale, testimoniato da un innalzamento del livello
dell’acqua nel piezometro della quantità ∆u/γw (Figura 9.6b).
Possiamo pensare di scomporre l’incremento dello stato tensionale totale in due parti (Figura 9.6c):
- una prima parte di incremento delle tensioni isotropo, ovvero agente in modo eguale
in tutte le direzioni, di intensità ∆σ3;
- e una seconda parte di incremento deviatorico, ovvero agente solo in direzione verticale, di intensità (∆σ1 – ∆σ3).
Indichiamo con ∆ub l’incremento di pressione interstiziale causato dall’incremento di tensione totale isotropa ∆σ3, e con ∆ua l’incremento di pressione interstiziale causato
dall’incremento di tensione totale deviatorica (∆σ1 - ∆σ3). Naturalmente dovrà essere:
(Eq. 9.5)
∆u = ∆ub +∆ua
Indichiamo con B il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ub e l’incremento
di tensione totale isotropa ∆σ3 che ne è stata causa:
∆u b
B=
(Eq. 9.6)
∆σ 3
Analogamente indichiamo con Ā il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ua
e l’incremento di tensione totale isotropa (∆σ1 - ∆σ3) che ne è stata causa:
∆u a
A=
(Eq. 9.7)
( ∆σ 1 − ∆σ 3 )
a)
b)
c)
∆u/γw
σ1
σ3
u/γw
∆σ1
∆ub /γw
=
∆σ3
∆σ3
∆σ3
∆ua /γw
+
∆σ1 −∆σ3
0
Figura 9.6 - a) Stato iniziale; b) incremento istantaneo dello stato di tensione; c) scomposizione
9-7
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Ne risulta che l’incremento di pressione interstiziale ∆u può essere calcolato, noti i parametri B ed Ā, con la relazione:
∆u = B ⋅ ∆σ 3 + A ⋅ (∆σ 1 − ∆σ 3 )
(Eq. 9.8)
ovvero, avendo posto A = Ā/B, con la relazione:
∆u = B ⋅ [∆σ 3 + A ⋅ (∆σ 1 − ∆σ 3 )]
(Eq. 9.9)
I parametri B, A (e Ā) sono detti parametri delle pressioni interstiziali o coefficienti di
Skempton e possono essere determinati in laboratorio con prove triassiali consolidate non
drenate (Paragrafo 9.7.2).
9.41 Il coefficiente B
Coefficiente B di Skempton
Se l’elemento di terreno è saturo (Sr=1), assumendo trascurabile la compressibilità
dell’acqua, l’applicazione di un incremento di tensione totale isotropa ∆σ in condizioni
non drenate non produce alcuna deformazione (né volumetrica né di distorsione) e quindi,
in base al principio delle tensioni efficaci, non produce neppure variazioni di tensione efficace (∆σ’ = 0).
Pertanto, per un terreno saturo, risulta:
∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆u,
ovvero B = ∆u/∆σ = 1
Se invece l’elemento di terreno fosse del tutto privo di acqua interstiziale (Sr = 0),
l’applicazione di un incremento di ten1.0
sione totale isotropa ∆σ produrrebbe
una deformazione volumetrica (isotropa
0.8
se lo scheletro solido è isotropo) e un
eguale incremento di tensione efficace
(∆σ’ = ∆σ).
0.6
Pertanto, per un terreno secco, risulta:
∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆σ', Æ ∆u =0
0.4
ovvero B = ∆u/∆σ = 0.
Nei casi intermedi, ovvero per terreni
0.2
parzialmente saturi, risulta:
∆σ = ∆σ’ + ∆u, ∆σ' > 0, ∆u > 0,
0
ovvero 0 < B = ∆u/∆σ < 1.
0.2
0.4
0.6
0.8
1.0
0
Il parametro B dipende dal grado di
Grado di saturazione, Sr
saturazione dei terreno, con una legge
non lineare e variabile da terreno a ter- Figura 9.7 – Tipica variazione del coefficiente B di
reno, qualitativamente rappresentata in Skempton con il grado di saturazione Sr
Figura 9.7.
9.4.2 Il coefficiente A
Se l’elemento di terreno è saturo, come abbiamo visto risulta B = 1, per cui i parametri A
e Ā=A·B coincidono. Per un dato terreno, il loro valore non è unico, come per il parametro B, ma dipende dallo stato tensionale iniziale e dall’incremento di tensione deviatorica.
9-8
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Il valore assunto dal parametro A in condizioni di rottura è indicato con Af, che pertanto
rappresenta il rapporto tra l’incremento di pressione interstiziale in condizioni non drenate
a rottura, ∆uf, e il corrispondente valore dell’incremento di tensione deviatorica totale
(∆σ1 – ∆σ3)f.
Il valore di Af dipende da numerosi fattori, il principale dei quali è la storia tensionale,
ovvero il grado di sovraconsolidazione OCR. Per le argille normalmente consolidate
(OCR = 1) Af ha valori usualmente compresi tra 0,5 e 1, mentre per le argille fortemente
sovraconsolidate (OCR > 4) Af assume valori negativi.
Coefficiente Af di Skempton
1.0
In Figura 9.8 è mostrata una tipica variazione di Af con OCR per un’argilla.
È importante notare il significato fisico
di A, e riflettere sulle sue conseguenze
0.5
nel comportamento meccanico delle
opere geotecniche: un valore positivo
di A significa che la pressione interstiziale nel terreno cresce con la tensione
0
deviatorica totale, mentre al contrario
se A è negativo la pressione interstiziale decresce. Occorre tuttavia sottolineare il fatto che i valori di Af, generalmen-0.5
te riportati in letteratura e nei rapporti
3 4
1
6 8 10
2
20
geotecnici di laboratorio, non possono
Grado di sovraconsolidazione, OCR
essere utilizzati per valutare gli incrementi di pressione interstiziale in con- Figura 9.8 – Tipica variazione del coefficiente Af di
dizioni di esercizio, poiché si riferisco- Skempton con il grado di sovraconsolidazione OCR
no a condizioni di tensione differenti.
9.5 Apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della
resistenza al taglio
La resistenza al taglio dei terreni può essere determinata (o stimata) con prove di laboratorio e con prove in sito. Le due categorie di prove sono fra loro complementari, nel senso
che presentano vantaggi e limiti di tipo opposto, come già è stato detto a proposito della
determinazione sperimentale del coefficiente di permeabilità, e come sarà meglio chiarito
in seguito quando si tratteranno le prove in sito.
L’analisi dei risultati delle prove di laboratorio si presta bene allo studio delle leggi costitutive, poiché le condizioni geometriche, di vincolo e di drenaggio dei provini sono ben
definite, il percorso di carico e/o di deformazione è imposto e controllato, il terreno su cui
si esegue la prova è identificato e classificato. I principali limiti delle prove di laboratorio
sono invece da ricercarsi nella incerta rappresentatività del comportamento in sito, sia per
il ridottissimo volume di terreno sottoposto a prova sia perché durante le operazioni di
campionamento, trasporto, estrusione e preparazione dei provini si produce inevitabilmente un disturbo tale che essi non sono mai nelle stesse condizioni in cui si trovavano in
sito.
9-9
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Esistono molte apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. In questa sede esamineremo soltanto le più semplici e diffuse:
la prova di taglio diretto e le prove triassiali standard.
9.6 La prova di taglio diretto
La prova di taglio diretto è la più antica, la più intuitiva e la più semplice fra le prove di
laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. Essa può essere eseguita su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine.
Una rappresentazione schematica
della cella dell’apparecchiatura è
mostrata in Figura 9.9. La prova si
esegue su almeno tre provini, che
in genere hanno sezione quadrata
di lato 60÷100 mm e altezza 20÷40
mm. La dimensione massima dei
grani di terreno deve essere almeno 6 volte inferiore all’altezza del
provino, per cui sono escluse le
ghiaie e i ciottoli, salvo che non si
disponga di apparecchiature speciali, molto grandi.
Figura 9.9 – Cella per la prova di taglio diretto
Il provino è inserito in un telaio metallico a sezione quadrata diviso in due parti da un
piano orizzontale in corrispondenza della semialtezza, ed è verticalmente compreso tra
due piastre metalliche nervate e forate, oltre ciascuna delle quali vi è una carta filtro ed
una piastra di pietra porosa molto permeabile.
Attraverso una piastra di carico è possibile distribuire uniformemente sulla testa del provino una forza verticale di compressione. Il tutto è posto in una scatola piena d’acqua che
può essere fatta scorrere a velocità prefissata su un’apposita rotaia. La metà superiore del
telaio metallico è impedita di traslare da un contrasto collegato ad un anello dinamometrico (per la misura delle forze orizzontali T applicate), cosicché il movimento della scatola
produce la rottura per taglio del provino nel piano orizzontale medio.
La prova si esegue in due fasi. Nella prima fase viene applicata in modo istantaneo e mantenuta costante nel tempo una forza verticale N che dà inizio ad un processo di consolidazione edometrica.
Durante la prima fase si misurano gli abbassamenti nel tempo del provino, controllando in
tal modo il processo di consolidazione e quindi il raggiungimento della pressione verticaN
le efficace media σ n' = , essendo A la sezione orizzontale del provino. La durata della
A
prima fase dipende dalla permeabilità del terreno e dall’altezza del provino.
Nella seconda fase si fa avvenire lo scorrimento orizzontale relativo, δ, a velocità costante
fra le due parti del telaio producendo il taglio del provino nel piano orizzontale medio.
Durante la fase di taglio si controlla lo spostamento orizzontale relativo e si misurano la
forza orizzontale T(δ), che si sviluppa per reazione allo scorrimento, e le variazioni di al9-10
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
tezza del provino. La velocità di scorrimento deve essere sufficientemente bassa da non
indurre sovrapressioni interstiziali. A tal fine la velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. A titolo puramente
indicativo, le velocità di scorrimento sono dell’ordine di 2 10-2 mm/s per terreni sabbiosi e
di 10-4 mm/s per i terreni a grana fine.
La prova va continuata fino alla chiara individuazione della forza resistente di picco Tf
(Figura 9.10.a) o fino ad uno spostamento pari al 20% del lato del provino, quando non si
possa individuare chiaramente un valore di picco della resistenza.
a)
τ
b)
τ
ϕ’
τ 3f
σ’
τ 2f
τ
3n
σ’2n
1f
σ’
1n
c’
Spostamento, δ
σ’
1n
σ’2n
σ’3n
σ
Figura 9.10 - Determinazione della resistenza a rottura, τf (a) e dei parametri di resistenza al taglio (b) da prova di taglio diretto.
La tensione efficace normale a rottura σ’n,f = σ’n e la tensione tangenziale media a rottura
Tf 3
, sono le coordinate di un punto del piano di Mohr apparsul piano orizzontale, τ f =
A
tenente alla linea inviluppo degli stati di tensione a rottura.
Ripetendo la prova con differenti valori di N (almeno tre) si ottengono i punti sperimentali che permettono di tracciare la retta di equazione:
τ f = c'+σ '⋅ tan φ '
(Eq. 9.10)
e quindi di determinare i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ (Figura 9.10b).
I valori di N, e quindi di pressione verticale, devono essere scelti tenendo conto della tensione verticale efficace geostatica.
I principali limiti della prova di taglio diretto sono:
l’area A del provino varia (diminuisce) durante la fase di taglio,
la pressione interstiziale non può essere controllata,
non sono determinabili i parametri di deformabilità,
la superficie di taglio è predeterminata e, se il provino non è omogeneo, può non
essere la superficie di resistenza minima.
3
In realtà l’area su cui distribuisce la forza resistente di picco Tf a rottura sarà inferiore a quella iniziale A
per effetto dello scorrimento relativo delle due parti del provino.
9-11
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Se la prova è condotta a velocità troppo elevate per consentire il drenaggio si ottiene una
sovrastima di c’ e una sottostima di φ’. L’esecuzione di prove di taglio diretto “rapide non
drenate” è fortemente sconsigliata, poiché la rapidità della prova non è comunque sufficiente a garantire l’assenza di drenaggio ed i risultati non sono interpretabili né in termini
di tensioni efficaci né in termini di tensioni totali.
9.7 L’apparecchio e le prove triassiali standard
Le prove triassiali standard sono eseguite, con modalità diverse, su campioni ricostituiti di
materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine per determinarne le caratteristiche di resistenza al taglio e di rigidezza. Nel seguito si considereranno solamente le prove di compressione su terreni saturi. Differenti modalità di prova
(ad esempio per estensione) o prove su terreni non saturi sono possibili ma richiedono apparecchiature più complesse e, allo stato attuale, non sono di routine.
In Figura 9.11 è rappresentato lo schema di un apparecchio per prove triassiali standard. I provini di terreno
hanno forma cilindrica con
rapporto
altezza/diametro
generalmente compreso tra 2
e 2.5. Il diametro è di norma
35 o 50mm. Poiché il diametro deve essere almeno 10
volte maggiore della dimensione massima dei grani,
prove triassiali su terreni
contenenti ghiaie o ciottoli
non sono possibili salvo disporre di apparecchiature
speciali di grandi dimensio- Figura 9.11 – Cella per prove triassiali di tipo standard
ni.
Lo stato tensionale a cui è
soggetto un provino durante una prova triassiale è di tipo assial-simmetrico e rimane tale
durante tutte le fasi della prova, quindi le tensioni principali agiscono sempre lungo le direzioni assiale e radiali del provino.
Il provino, la cui preparazione richiede procedure diverse a seconda della natura del terreno, è appoggiato su un basamento metallico all’interno di una cella di perspex. Tra il basamento e il provino è posto un disco di materiale poroso molto permeabile, protetto da
un disco di carta filtro che evita l’intasamento dei pori. Anche superiormente al provino è
posto un disco di carta filtro ed una pietra porosa, sopra la quale è appoggiata una piastra
circolare di carico. La superficie laterale del provino è rivestita con una membrana di lattice di gomma, molto flessibile ed impermeabile, stretta con guarnizioni di gomma (Oring) al basamento inferiore ed alla piastra di carico superiore. Talvolta tra la superficie
laterale del provino e la membrana di lattice di gomma sono poste strisce verticali di carta
filtro. La cella di perspex è riempita d’acqua che può essere messa in pressione esercitando così uno stato di compressione isotropa sul provino.
9-12
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Il provino risulta idraulicamente isolato dall’acqua interna alla cella di perspex, ma in collegamento idraulico con l’esterno, poiché sia il basamento che la piastra di carico sono attraversati da condotti collegati con sottili e flessibili tubi di drenaggio. La carta filtro disposta sulla superficie laterale del provino ha la funzione di facilitare il flusso dell’acqua
dal provino all’esterno. I tubi di drenaggio possono essere anche utilizzati per mettere in
pressione l’acqua contenuta nel provino (contropressione interstiziale o back pressure), o
possono essere chiusi e collegati a strumenti di misura della pressione dell’acqua.
Il tetto della cella è attraversato da un’asta verticale scorrevole (pistone di carico, Figura
9.11) che può trasmettere un carico assiale al provino attraverso la piastra di carico.
In definitiva con l’apparecchio triassiale standard è possibile:
esercitare una pressione totale isotropa sul provino mediante l’acqua contenuta nella
cella;
o
fare avvenire e controllare la consolidazione isotropa del provino misurandone le
variazioni di volume, corrispondenti alla quantità di acqua espulsa o assorbita attraverso i tubi di drenaggio;
o
deformare assialmente il provino a velocità costante fino ed oltre la rottura misurando la forza assiale di reazione corrispondente;
o
misurare il volume di acqua espulso o assorbito dal provino durante la compressione assiale a drenaggi aperti;
o
controllare le deformazioni assiali del provino, determinate dalla velocità di avanzamento prescelta della pressa, durante la compressione assiale;
o
misurare la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio (che si suppone eguale
alla pressione interstiziale uniforme nei pori del provino) quando la compressione,
isotropa o assiale, avviene a drenaggi chiusi,
o
mettere in pressione l’acqua nei condotti di drenaggio, e quindi creare una eguale
pressione interstiziale nel provino.
o
Nell’interpretare i risultati delle prove si ipotizza un comportamento deformativo isotropo
del terreno.
Le prove triassiali standard sono condotte secondo tre modalità:
o
prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID),
o
prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU),
o
prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU).
Per ciascuno dei tre tipi di prova il provino è inizialmente saturato mediante la contemporanea applicazione di una tensione isotropa di cella e di una poco minore contropressione
dell’acqua interstiziale4. In tal modo le bolle d’aria eventualmente presenti nel provino
tendono a sciogliersi nell’acqua interstiziale.
La verifica dell’avvenuta saturazione viene fatta mediante la misura del coefficiente B di
Skempton: a drenaggi chiusi si incrementa la pressione di cella di una quantità ∆σ e si
misura il conseguente aumento di pressione interstiziale, ∆u. Se il rapporto ∆u/∆σ, ovvero
4
Teoricamente la pressione di cella e la back pressure dovrebbero essere eguali, in modo da non produrre
variazioni di tensione efficace. In pratica si applica una pressione di cella lievemente maggiore della contropressione interstiziale per evitare che si accumuli acqua fra la membrana e la superficie laterale del provino.
9-13
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
il coefficiente B, risulta pari ad 1, il provino è saturo (in pratica si ritiene sufficiente B >
0.95), se invece risulta B < 0.95 il provino non è saturo. Pertanto, per favorire la saturazione, si incrementano della stessa quantità i valori di pressione di cella e di contropressione interstiziale (in modo da mantenere costante la pressione efficace di consolidazione), e si ripete la verifica dell’avvenuta saturazione eseguendo una nuova misura di B.
9.7.1 Prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID)
Dopo avere eseguito la saturazione, la prova si svolge in due fasi.
Nella prima fase il provino saturo è sottoposto a compressione isotropa mediante un incremento della pressione di cella, a drenaggi aperti fino alla completa consolidazione. La
pressione di consolidazione, σ’c, è pari alla differenza fra pressione di cella (totale), σc, e
contropressione interstiziale, u0. Il processo di consolidazione è controllato attraverso la
misura nel tempo del volume di acqua espulso e raccolto in una buretta graduata, che viene diagrammato in funzione del tempo (Figura 9.12).
Nella seconda fase, ancora a drenaggi aperti, si fa avanzare il pistone a velocità costante e
sufficientemente bassa da non produrre sovrapressioni interstiziali all’interno del provino.
La velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolidazione
della prima fase. Durante la seconda
fase è controllata la variazione nel
tempo dell’altezza del provino, e
sono misurate:
- la forza assiale esercitata dal pistone
- la variazione di volume del provino.
Tali misure permettono di calcolare,
fino ed oltre la rottura del provino:
- la deformazione assiale media,
εa ,
- la deformazione volumetrica
media, εv, (e quindi anche la deformazione radiale media, εr = Figura 9.12 – Variazione di volume di un provino che
consolida in cella triassiale, in funzione del tempo
(εv – εa) / 2,
- la tensione assiale media, σa, (e
quindi anche di tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione
radiale che rimane costante durante la prova).
I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura
9.13).
Poiché durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc e la pressione interstiziale u0 rimangono costanti (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc) e poiché
non si sviluppano sovrappressioni interstiziali, essendo la prova drenata, allora rimane costante anche la pressione radiale efficace, σ’r, che corrisponde alla tensione efficace principale minore (σ’r = σ’3), mentre cresce la tensione efficace assiale media, σ’a, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1).
9-14
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
a)
σ’a − σ’r
(σa’ − σr’ ) 3f
σ’3c
(σa’ − σr’ ) 2f
σ’2c
(σa’ − σr’ ) 1f
σ’1c
εa
b)
εv
Figura 9.13 - Risultati di prove TxCID: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - εv
È dunque possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura (Figura 9.14).
τ
ϕ’
O
σ’σ’
r = σ’c = σ’3f
f
σ’1f
σ’
Figura 9.14 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCID
La prova deve essere eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione.
9-15
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
I cerchi di Mohr a rottura dei tre provini sono tangenti alla retta di equazione:
τ f = c'+(σ − u ) ⋅ tan φ ' = c'+σ '⋅ tan φ '
(Eq. 9.11)
che rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).
τ
ϕ’
c’
O
σ’
σ’
f
Figura 9.15 – Determinazione dei parametri di resistenza al taglio da prove triassiali TxCID e
TxCIU
L’esecuzione della prova TxCID richiede un tempo tanto maggiore quanto minore è la
permeabilità del terreno, ed è pertanto generalmente riservata a terreni sabbiosi o comunque abbastanza permeabili.
9.7.2 Prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU)
Anche questa prova, una volta eseguita la saturazione, si svolge in due fasi, la prima delle
quali è identica a quella della prova TxCID.
Al termine della prima fase, e quindi a consolidazione avvenuta (ad una pressione di consolidazione, σ’c, pari alla differenza fra la pressione di cella, σc, e la contropressione interstiziale, u0), vengono chiusi i drenaggi isolando idraulicamente il provino che, essendo
saturo, non subirà ulteriori variazioni di volume.
Nella seconda fase, a drenaggi chiusi e collegati a trasduttori che misurano la pressione
dell’acqua nei condotti di drenaggio e quindi nei pori del provino, si fa avanzare il pistone
a velocità costante, anche relativamente elevata.
Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e
sono misurate:
- la forza assiale esercitata dal pistone,
- la variazione di pressione interstiziale all’interno del provino.
Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo fino ed oltre la rottura del provino:
- la deformazione assiale media, εa,
- la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =
σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale),
- il coefficiente A di Skempton.
I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura
9.16).
9-16
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
a)
σ’a − σ’r
(σa’ − σr’ ) 3f
σ’3c
(σa’ − σr’ ) 2f
σ’2c
(σa’ − σr’ ) 1f
σ’1c
εa
b)
∆u
Figura 9.16 - Risultati di prove TxCIU: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - ∆u
In questo tipo di prova, durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc rimane costante (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc), mentre la pressione interstiziale u, inizialmente pari a u0, varia. Di conseguenza variano sia la tensione efficace
assiale media, σ’a = σa – u, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore
(σ’a = σ’1), sia la pressione radiale efficace, σ’r = σc – u, che corrisponde alla tensione
efficace principale minore (σ’r = σ’3), ed è possibile seguire l’evoluzione nel tempo del
cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura,
sia in termini di tensioni totali che in termini di tensioni efficaci.
Infatti, se si rappresentano i cerchi a rottura sul piano di Mohr in termini di tensioni totali
e si traslano di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura, uf, si ottengono i cerchi corrispondenti in termini di tensioni efficaci (Figura 9.17).
La prova viene eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione.
La retta inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura dei tre provini, in termini di tensioni efficaci, che consente di ricavare i parametri c’ e φ’, ha equazione (9.11) e rappresenta, per il
campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).
9-17
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
τ
Se la prova è interpretata in termini di tensioni totali, il valore a
rottura dello sforzo di
Cerchio di Mohr in tensioni efficaci
⎛σ1 −σ 3 ⎞
Cerchio di Mohr in tensioni totali
taglio, ⎜
⎟ ,
⎝ 2 ⎠ f cu
rappresenta la resiσ’,σ
stenza al taglio non
σ’
σ’
σ’
σ
σ
3f
3f
1f
1f
drenata cu (Figura
9.17).
uf
Poiché i tre provini
vengono consolidati
sotto tre diversi valori Figura 9.17 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCIU
di pressione, σ’c, risultano diversi tra loro anche i valori di cu.
Se il terreno è normalmente consolidato si ha c’ = 0 in termini di tensioni efficaci, mentre
c
in termini di tensioni totali il rapporto u' è costante.
f
σc
Per un dato terreno e a parità di pressioni di consolidazione, i risultati delle prove TxCIU,
interpretati in termini di tensioni efficaci, sono sostanzialmente analoghi ai risultati delle
prove TxCID. Pertanto esse sono generalmente riservate a terreni argillosi o comunque
poco permeabili, per i quali l’esecuzione di prove TxCID richiederebbe tempi molto lunghi.
9.7.3 Prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU)
È consigliabile che anche questa prova sia eseguita previa saturazione dei provini, sebbene spesso ciò non avvenga. Anch’essa si svolge in due fasi.
Nella prima fase, dopo avere chiuso i drenaggi, il provino è sottoposto a compressione isotropa portando in pressione il fluido di cella al valore assegnato di pressione totale σc.
Se il provino è saturo, e quindi il coefficiente B di Skempton è pari ad 1, il volume del
provino non varia e l’incremento della pressione di cella (totale) comporta un uguale aumento della pressione interstiziale, mentre le tensioni efficaci non subiscono variazioni e
quindi non varia la pressione efficace, σ’c.
Nella seconda fase, a drenaggi ancora chiusi, si fa avanzare la pressa su cui si trova la cella triassiale a velocità costante, anche piuttosto elevata.
Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, ed
è misurata la forza assiale esercitata sul provino, mentre di norma non è misurato
l’incremento di pressione interstiziale.
Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo, fino ed oltre la rottura del provino:
- la deformazione assiale media, εa,
- la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =
σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale).
9-18
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
τ
La prova viene eseguita su
almeno tre provini a diffeCerchi di Mohr in tensioni efficaci
renti pressioni totali di
Cerchi di Mohr in tensioni totali
cella. Poiché la pressione
efficace di consolidazione
dei tre provini è la stessa, cu
i cerchi di Mohr a rottura
σ’,σ
dei tre provini nel piano
σ’
σ 1f
σ’1f σ
σ’3f
3f
delle tensioni totali avranno lo stesso diametro e
uf
quindi saranno inviluppati
da una retta orizzontale di Figura 9.18 – Risultati di prove TxUU su provini saturati e a difequazione (Figura 9.18):
ferenti pressioni totali di cella (σc)i
f
τ = cu
(Eq. 9.12)
Se si misurasse la pressione interstiziale a rottura per i tre provini e si traslassero i cerchi
di Mohr di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura per ciascuno di
essi, si otterrebbero cerchi coincidenti in termini di tensioni efficaci.
Le prove TxUU sono di norma eseguite su provini ricavati da campioni “indisturbati” di
terreno a grana fine, e la resistenza al taglio in condizione non drenate, cu, che si ricava
dalle prove è dipendente, a parità di terreno, dalla pressione efficace di consolidazione in
sito.
Occorre tuttavia tenere presente che durante le operazioni di prelievo, trasporto, estrazione dalla fustella, formazione dei provini, il terreno subisce comunque un disturbo ineliminabile.
In particolare, anche se il campione fosse prelevato con la massima cura, non è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deformativo del campione in sito.
Si consideri infatti lo stato di tensione di un elemento di argilla satura in sito, le tensioni
geostatiche, nelle solite ipotesi assialsimmetriche, sono:
σ v 0 = σ v' 0 + u 0
(Eq. 9.13)
σ h 0 = σ h' 0 + u 0 = K 0 ⋅ σ v' 0 + u 0
Dopo l'estrazione, a pressione atmosferica, le tensioni totali si annullano. Ciò equivale ad
applicare incrementi di tensione totale eguali e contrari alle tensioni totali preesistenti,
ovvero:
∆σ v = −(σ v' 0 + u 0 )
(Eq. 9.14)
∆σ h = −(σ h' 0 + u 0 ) = −( K 0 ⋅ σ v' 0 + u 0 )
La pressione interstiziale diviene negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica), e
assume il valore:
u = u 0 + ∆u < 0
(Eq. 9.15)
9-19
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
La variazione di pressione interstiziale ∆u può essere stimata con la relazione di Skempton (1954):
∆u = B ⋅ [∆σ h + A ⋅ (∆σ v − ∆σ h )]
(Eq. 9.16)
Se l'argilla è satura B = 1, dunque risulta:
∆u = ∆σ h + A ⋅ (∆σ v − ∆σ h ) = − K 0 ⋅ σ v' 0 + u0 + A ⋅ − σ v' 0 + u0 + K 0 ⋅ σ v' 0 + u0 =
(
)
[(
= −σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ ( 1 − A ) + A] − u0
Dunque la pressione interstiziale u dopo l’estrazione vale:
u = u 0 + ∆u = −σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ (1 − A) + A] < 0
) (
)]
(Eq. 9.17)
(Eq. 9.18)
Il valore del parametro A (che varia con la deformazione) è quello che corrisponde al termine del processo di estrazione ed è differente dal valore a rottura Af.
Dopo l'estrazione lo stato tensionale del campione è molto variato:
- le pressioni totali sono nulle,
- le pressioni efficaci sono isotrope e pari a:
σ v' = σ h' = −u = σ v' 0 ⋅ [K 0 ⋅ (1 − A) + A]
(Eq. 9.19)
Poiché la tensione geostatica efficace media vale:
σ m' = σ v' 0 ⋅
(1 + 2 ⋅ K 0 )
(Eq. 9.20)
3
eguagliando le equazioni (9.19) e (9.20) si verifica che la pressione isotropa efficace in
prova TxUU corrisponde alla tensione geostatica efficace media in sito, e quindi che la
resistenza al taglio non drenata di prova corrisponde con buona approssimazione alla resistenza al taglio non drenata in sito, per A = 1/3.
Nel campione di argilla estruso la tensione interstiziale negativa (suzione) produce un
gradiente idraulico dall'esterno verso il centro, e una filtrazione che altera il contenuto in
acqua locale. La parte interna del campione può avere contenuto in acqua anche del 4%
superiore alla parte più superficiale.
In un terreno saturo contenuto in acqua e indice dei vuoti sono proporzionali, dunque non
è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale
e deformativo del campione in sito.
Se i provini di terreno sono sottoposti a prova TxUU senza averli preventivamente saturati, l’applicazione della pressione di cella, anche se a drenaggi chiusi, determina un incremento delle pressioni efficaci (essendo B<1), una riduzione di volume, poiché l’aria contenuta nei vuoti è molto compressibile, e un aumento del grado di saturazione.
L’inviluppo a rottura, in termini di tensioni totali, risulterà curvilineo per basse pressioni
di confinamento e orizzontale per le pressioni più elevate, per le quali il terreno risulterà
saturo (Figura 9.19).
9-20
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
τ
σ
Figura 9.19 - Risultato di prove TxUU su provini non saturati
9.7.4 Prova di compressione semplice o prove di compressione con espansione laterale
libera (ELL).
La prova di compressione con espansione laterale libera può essere eseguita solo su terreni a grana fine. I provini hanno la forma e le dimensioni dei provini per le prove triassiali.
La prova consiste nel produrre la rottura del provino per compressione assiale mediante
un pistone fatto avanzare a velocità costante e piuttosto elevata.
Il provino non è avvolto da membrana e non è compresso in direzione radiale.
Durante l’esecuzione della prova si controlla nel tempo la variazione di altezza del provino e si misura la forza assiale esercitata dal pistone.
Il cerchio di Mohr a rottura
nel piano delle tensioni toτ
tali è tangente all’origine
degli assi, in quanto la tensione totale principale minore è nulla (ovvero è la
pressione atmosferica) (Figura 9.20).
Sebbene non vi sia alcuna
c u= q /2
u
barriera fisica (membrana)
σ che impedisca il drenaggio,
σ’
l’elevata velocità di deforO
q
mazione e la ridotta permeu
abilità del terreno fanno sì
che le condizioni di prova
Figura 9.20 – Cerchio di Mohr a rottura per prova di compressiano praticamente non
sione con espansione laterale libera
drenate, per cui il risultato
che si ottiene è lo stesso che si avrebbe con una prova TxUU su un provino non saturato e
a pressione di cella pari a zero.
La pressione assiale totale media a rottura è indicata con qu, e nell’ipotesi di terreno saturo, e quindi di inviluppo a rottura in termini di tensioni totali rettilineo e orizzontale, risulta:
q u = 2 ⋅ cu
(Eq. 9.21)
f
9-21
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
I principali vantaggi della prova consistono nella sua rapidità e semplicità di esecuzione, e
quindi nel suo basso costo.
9.8 Resistenza al taglio di terreni a grana grossa
I terreni a grana grossa saturi non cementati non hanno coesione per cui sono spesso indicati col termine “terreni incoerenti”. Le sabbie parzialmente sature possono presentare
una debole coesione apparente (che consente di costruire i castelli di sabbia). Le sabbie e
le ghiaie cementate hanno coesione.
Con le usuali tecniche di campionamento non è quasi mai possibile prelevare nei terreni a
grana grossa non cementati, campioni idonei alla preparazione di provini “indisturbati”
per prove meccaniche di laboratorio. Pertanto i risultati delle prove di laboratorio, anche
se condotte su provini di sabbia ricostituiti alla stessa densità del terreno in sito, non sono
rappresentativi del comportamento meccanico del terreno naturale in sito. Di norma si ritiene più affidabile stimare la resistenza al taglio di sabbie e ghiaie in sito sulla base dei
risultati di prove in sito.
Le prove di laboratorio sono tuttavia utili sia per determinare la resistenza al taglio di terreni sabbiosi da impiegare come materiale da costruzione, sia per lo studio delle leggi costitutive.
Durante una prova di resistenza meccanica di laboratorio (ad esempio di taglio diretto o
triassiale drenata), il comportamento di due provini della stessa sabbia ma con differente
indice dei vuoti (ovvero con differente densità relativa) può essere sensibilmente diverso.
a)
In Figura 9.21 sono qualitativamente mostrati i diversi comportamenti σ’1 − σ’3
di un provino di sabbia sciolta e di
Sabbia densa
un provino della stessa sabbia ma
più addensato, sottoposti ad una
prova triassiale drenata alla stessa
pressione di confinamento.
Sabbia sciolta
Il provino di sabbia sciolta presenta
al crescere della deformazione assiale εa:
- un graduale aumento della resiε
a
b)
stenza mobilizzata (σ’1-σ’3) fino
e
a stabilizzarsi su un valore massimo che rimane pressoché coSabbia sciolta
stante anche per grandi deformazioni,
- una progressiva e graduale dimie crit
nuzione del volume (e quindi
dell’indice dei vuoti) con tendenSabbia densa
za a stabilizzarsi su un valore
εa
minimo, cui corrisponde un indice dei vuoti critico, ecrit, che ri- Figura 9.21 – Comportamento meccanico di due promane pressoché costante anche vini della stessa sabbia diversamente addensati in proper grandi deformazioni.
va TxCID per eguale pressione efficace di confinamento
9-22
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Il provino di sabbia densa, invece, presenta al crescere della deformazione assiale εa:
- una curva di resistenza con un massimo accentuato, corrispondente alla condizione di
rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni, pressoché eguale al valore di resistenza mostrato dal provino di sabbia sciolta,
- una iniziale, piccola diminuzione di volume (e quindi di indice dei vuoti), seguita da
un’inversione di tendenza per cui l’indice dei vuoti supera il valore iniziale e tende allo
stesso valore di indice dei vuoti critico, ecrit.
In sostanza, il provino di sabbia densa, rispetto a quello di sabbia sciolta:
- è più rigido,
- ha una maggiore resistenza di picco,
- ha eguale resistenza residua,
- aumenta di volume per grandi deformazioni, mentre il provino di sabbia sciolta diminuisce di volume,
- ha lo stesso indice dei vuoti critico, ovvero la stessa densità relativa per grandi deformazioni.
Un modello semplice e intuitivo che può giustificare il diverso comportamento deformativo volumetrico è il seguente.
N
Consideriamo un insieme di sfere eguali e a
contatto. La disposizione che corrisponde al
massimo indice dei vuoti è quella in cui i
-∆V/V
centri delle sfere sono i nodi di un reticolo T
cubico. La disposizione che corrisponde al
T
minimo indice dei vuoti è quella in cui i
centri delle sfere sono i nodi di un reticolo
tetraedrico. Nel primo caso lo scorrimento
fra due parti dell’insieme implica una dimiN
nuzione di volume, nel secondo caso un
aumento, come si può osservare dalla Figu- Figura 9.22 - Modello per spiegare il comportamento deformativo volumetrico dei mezzi
ra 9.22.
Il valore dell’indice dei vuoti critico, che di- granulari
scrimina fra comportamento deformativo
volumetrico dilatante e contrattivo, non è però una caratteristica del materiale ma dipende dalla pressione efficace di confinamento, per cui un provino di sabbia di una data densità relativa può avere comportamento dilatante a bassa pressione efficace di confinamento e contrattivo ad alta pressione efficace di confinamento.
Per una sabbia che presenta un massimo nelle curve tensioni – deformazioni si possono
definire due diverse rette di inviluppo della resistenza, ovvero due angoli di resistenza al
taglio: l’angolo di resistenza al taglio di picco (a rottura), ϕ’P, e l’angolo di resistenza al
taglio residuo (per grandi deformazioni), ϕ’R5 (Figura 9.23). A seconda del problema
geotecnico in studio, l’ingegnere dovrà scegliere di utilizzare l’uno o l’altro valore.
5
L’angolo di resistenza residuo può essere determinato in laboratorio con prove di taglio diretto con più cicli di carico e scarico, poiché la semplice corsa della scatola di taglio non è sufficiente a produrre grandi
spostamenti.
9-23
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Figura 9.23 – Resistenza al taglio di picco e residua di una sabbia densa
I principali fattori che influenzano, in misura quantitativamente diversa, l’angolo di resistenza al taglio di picco dei terreni sabbiosi sono:
- la densità,
- la forma e la rugosità dei grani,
- la dimensione media dei grani,
- la distribuzione granulometrica.
Orientativamente il peso relativo dei fattori sopraelencati sul valore dell’angolo di resistenza di picco di un terreno incoerente è indicato in Tabella 9.1.
Tabella 9.1: Peso relativo dei fattori che influenzano il valore dell’angolo di resistenza al taglio
di picco ϕ’ di un terreno a grana grossa
ϕ’ = 36° + ∆φ’1 + ∆φ’2 + ∆φ’3 + ∆φ’4
sciolta
Densità
∆φ’1
media
densa
spigolo vivi
Forma e rugosità dei grani
∆φ’2
media
arrotondati
molto arrotondati
sabbia
Dimensione dei grani
∆φ’3
ghiaia fine
ghiaia grossa
uniforme
Distribuzione granulometrica
∆φ’4
media
distesa
- 6°
0°
+ 6°
+ 1°
0°
- 3°
- 5°
0°
+ 1°
+ 2°
- 3°
0°
+ 3°
9.9 Resistenza al taglio di terreni a grana fine
I terreni a grana fine (limi e argille) saturi e normalmente consolidati, alle profondità di
interesse per le opere di ingegneria geotecnica, presentano di norma indice di consistenza,
9-24
Capitolo 9
RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI
Ic < 0.5 e coesione efficace c’ = 0. La curva tensioni-deformazioni presenta un andamento monotono con un graduale aumento della resistenza mobilizzata fino a stabilizzarsi su
un valore massimo che rimane pressoché costante anche per grandi deformazioni, analogo
a quello mostrato in Figura 9.13, dove il valore massimo della resistenza raggiunto cresce
al crescere della pressione efficace di confinamento.
L’angolo di resistenza al
taglio ϕ’ è inferiore a
quello dei terreni a grana
grossa e dipende dai minerali argillosi costituenti
e quindi dal contenuto in
argilla, CF, e dall’indice
di plasticità, IP (Figura
9.24).
I terreni a grana fine sovraconsolidati presentano
Figura 9.24 – Dipendenza dell’angolo di resistenza al taglio delle di norma indice di consistenza, Ic > 0,5, coesione
argille dall’indice di plasticità
efficace c’ > 0.
La curva tensioni-deformazioni presenta un massimo accentuato, corrispondente alla condizione di rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni. A parità di pressione efficace di confinamento la resistenza al taglio di picco dei terreni a grana fine cresce con il
grado di sovraconsolidazione; a parità del grado di sovraconsolidazione e per lo stesso tipo di terreno, la resistenza al taglio di picco cresce al crescere della pressione efficace di
confinamento, mentre il picco nella curva sforzi-deformazioni risulta sempre meno accentuato fino ad ottenere un andamento monotono, tipico di terreni normalconsolidati.
L’angolo di resistenza al taglio residuo è indipendente dalla storia dello stato tensionale, e
quindi dal grado di sovraconsolidazione, OCR.
9-25
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
CAPITOLO 10
TERRENI INSATURI
10.1 Richiami
Nel Capitolo 1 abbiamo visto che:
- I terreni sono mezzi particellari costituiti da una fase solida (le particelle minerali), da
una fase liquida (generalmente acqua, ma talvolta anche altri liquidi) e da una fase gassosa (generalmente aria e vapor d’acqua ma talvolta anche altri gas).
- Le molecole d’acqua possono essere libere di muoversi nei vuoti interparticellari (acqua interstiziale) oppure essere aderenti alla superficie delle particelle solide di terreno
a causa di legami elettrochimici (acqua adsorbita).
- In un deposito di terreno naturale, sede di falda freatica, si riconoscono zone a differente grado di saturazione. In particolare, procedendo dal piano campagna verso il basso, si distingue la zona vadosa, sopra falda, che a sua volta si suddivide in zona di evapotraspirazione, zona di ritenzione e frangia capillare, e la zona sotto falda. Se i vuoti
nel terreno sono fra loro comunicanti (come avviene quasi sempre), il terreno nella zona sotto falda è saturo d’acqua, mentre quello nella zona vadosa può essere saturo, parzialmente saturo o secco.
- La pressione dell’acqua sotto la falda freatica è superiore alla pressione atmosferica,
mentre sopra il livello di falda è inferiore alla pressione atmosferica.
10.2 Capillarità
Se l’acqua nel terreno fosse soggetta
alla sola forza di gravità, il terreno soprastante il livello di falda sarebbe
completamente asciutto, salvo per
l’acqua adsorbita e per l’acqua di percolazione delle precipitazioni atmosferiche, mentre in realtà esso è saturo fino ad una certa altezza al di sopra del
livello di falda e parzialmente saturo
nel tratto superiore.
Per comprendere le cause di tale fenomeno è utile introdurre il concetto di
capillarità.
Se si immerge l’estremità di un tubo di
vetro di piccolo diametro nell’acqua, si
può osservare che l’acqua risale nel
tubo fino ad un’altezza che dipende Figura 10.1: Risalita capillare in un tubo di vetro
dal diametro del tubo, e che la superfi10 - 1
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
cie di separazione fra l’acqua e l’aria nel tubo è concava (Figura 10.1).
La superficie di separazione aria-acqua, a causa di forze di attrazione molecolare, si comporta come una membrana elastica in uno stato uniforme di tensione, soggetta a differenti
pressioni dalla parte del liquido e dalla parte del gas.
La colonna d’acqua di altezza hc, detta altezza di risalita capillare, è come sostenuta dalla
membrana (menisco) tesa sulla parete del tubo capillare.
Indicando con T [FL-1] il valore della tensione superficiale della membrana, con α
l’angolo di contatto del menisco con la parete verticale del tubo, e con r il raggio del tubo
capillare, per l’equilibrio in direzione verticale, si ha:
hc =
2⋅T
⋅ cos α
r⋅γw
(Eq. 10.1)
La pressione dell’acqua nei punti 1 e 2
(Figura 10.1) è pari alla pressione atmosferica, convenzionalmente assunta
pari a zero, mentre nel tubo capillare la
pressione dell’acqua è negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica),
varia linearmente con l’altezza e nel
punto 3 assume il valore minimo uw = hc γw. La forma concava del menisco,
ovvero della superficie di separazione
acqua-aria, è dovuta al fatto che la
pressione atmosferica dell’aria, ua, è
superiore alla pressione dell’acqua, uw,
e quindi “gonfia” la membrana
La componente verticale T cosα della
tensione superficiale determina uno
stato di compressione assiale nel tubo
di vetro, la componente radiale
T⋅senα determina uno stato di compressione circonferenziale (Figura
10.2).
Con riferimento alla Figura 10.3 il caso
(a) mostra la risalita capillare all’interno di un tubo di vetro pulito.
L’altezza hc relativa al caso (a) può
non essere raggiunta a causa della limiFigura 10.2: Compressione indotta dalla tensione tata altezza del tubo capillare, come
superficiale
mostrato nel caso (b). Se il tubo di vetro non ha diametro costante ma presenta delle sbulbature, l’altezza di risalita capillare è diversa a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento. Nel
caso (c) si vede come la presenza di un bulbo di raggio maggiore di quello del tubo capil10 - 2
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
lare (r1 > r) limiti l’altezza di risalita hc; al contrario nel caso (d) il processo di svuotamento è controllato dal raggio r del tubo e non da quello r1 del bulbo.
Essiccamento
Imbibizione
Figura 10.3 - Effetti dell’altezza e del raggio sulla risalita capillare
Nei terreni avviene un fenomeno analogo. I vuoti costituiscono un sistema continuo di
canali tortuosi e a sezione variabile lungo i quali l’acqua risale dal livello di falda fino ad
altezze diverse, cosicché il terreno risulta saturo fino ad una certa altezza e parzialmente
saturo nel tratto superiore. La tortuosità, la rugosità e la dimensione delle pareti dei canali
nel terreno dipendono dalla natura, dalla forma, dalle dimensioni, dalla distribuzione granulometrica e dallo stato di addensamento delle particelle solide di terreno. Questi stessi
fattori, e in modo diverso a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento,
determinano l’altezza di risalita capillare nel terreno. Il caso (e) di Figura 10.3 mostra le
condizioni di un terreno imbibito per risalita capillare.
Un’espressione empirica approssimata dell’altezza di risalita capillare hc (in cm) nei terreni è la seguente:
hc =
CS
e ⋅ D10
(Eq. 10.2)
in cui e è l’indice dei vuoti, D10 è il diametro efficace (in cm) e CS è una costante empirica
dipendente dalla forma dei grani e dalle impurità delle superfici, il cui valore è compreso
tra 0,1 e 0,5 cm2. Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare sono riportati in Tabella
10.1.
In un terreno parzialmente saturo sono possibili tre differenti condizioni di saturazione:
a) condizione di saturazione a isole d’aria, caratteristica di gradi di saturazione elevati
(Sr > 85%), in cui la fase gassosa non è continua ma è presente in forma di bolle d’aria;
b) condizione di saturazione a pendolo, caratteristica di gradi di saturazione molto bassi,
in cui la fase liquida non è continua ma è presente solo nei menischi in corrispondenza
dei contatti interparticellari; in tale condizione l’acqua nelle zone di contatto fra i grani
forma menischi in modo analogo a quanto avviene in un tubo capillare, producendo
uno stato di compressione fra i grani (Figura 10.2).
10 - 3
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
c) condizione di saturazione mista, caratteristica di gradi di saturazione intermedi, in cui
coesistono, in zone diverse del terreno, le due condizioni di saturazione precedenti.
Tabella 10.1: Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare
Terreno
Ghiaia
D10
(mm)
hc
(m)
0,82
0,05
0,11
0,80
0,03
1,60
0,02
2,40
Limo
0,006
3,60
Argilla
0,001
>10,0
Sabbia
10.3 Suzione
I mezzi fluidi, acqua e aria, essendo privi di resistenza al taglio, sono caratterizzati da uno
stato di tensione sferico.
Come già detto, in un terreno parzialmente saturo, a causa della tensione superficiale, la
pressione dell’acqua nei pori (uw) risulta sempre inferiore alla pressione dell’aria nei pori
(ua). La differenza tra la pressione dell’aria, che in condizioni naturali è pari alla pressione
atmosferica, e la pressione dell’acqua nei pori è detta suzione di matrice:
s = (ua – uw)
(Eq. 10.3)
dove:
uw < ua < 0, da cui s > 0
e posto ua = 0, risulta s = uw
Un terreno non saturo posto a contatto con acqua libera e pura a pressione atmosferica
tende a richiamare acqua per effetto della suzione totale, ψ.
La suzione totale, ψ, ha due componenti: la prima componente è la suzione di matrice, s,
di cui si è già detto, associata al fenomeno della capillarità, la seconda componente è la
suzione osmotica, π, dovuta alla presenza di sali disciolti nell’acqua interstiziale e quindi
alla differenza di potenziale elettro-chimico tra l’acqua interstiziale e l’acqua libera:
ψ =s+π
(Eq. 10.4)
In definitiva (Figura 10.4):
-
la suzione totale, ψ, è la pressione negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica) cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso
10 - 4
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
una membrana semipermeabile (permeabile cioè alle sole molecole d’acqua ma non ai
sali) con l’acqua interstiziale;
-
la suzione di matrice, s, è la pressione negativa cui deve essere soggetta una soluzione
acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale, in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana permeabile con l’acqua interstiziale;
-
la suzione osmotica, π, è la pressione negativa cui deve essere soggetta l’acqua pura
in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile con una soluzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale.
Flusso per
suzione totale, Ψ
Flusso per
suzione di matrice, S
Membrana
semipermeabile
Acqua
pura
Terreno insaturo,
acqua con sali
Flusso per
suzione osmotica, Π
Membrana
semipermeabile
=
Acqua
con sali
Membrana
semipermeabile
+
Acqua
pura
Terreno insaturo,
acqua con sali
Acqua con sali
Figura 10.4 –Componenti della suzione totale
La suzione osmotica è presente sia nei terreni saturi che nei terreni parzialmente saturi, e
varia con il contenuto salino dell’acqua, ad esempio come conseguenza di una contaminazione chimica, producendo effetti in termini di deformazioni volumetriche e di variazioni
di resistenza al taglio
Suzione totale
Suzione di matrice
Suzione osmotica
Suzione di matrice + osmotica
Suzione (kPa)
Tuttavia la maggior parte dei problemi di ingegneria geotecnica che
coinvolgono terreni non saturi sono
riferibili a variazioni della suzione
di matrice, come ad esempio gli effetti della pioggia sulla stabilità dei
pendii o sui cedimenti delle fondazioni superficiali.
In Figura 10.5 sono messe a confronto le variazioni di suzione totale, ψ, suzione di matrice, s, e suzioContenuto d’acqua, w (%)
ne osmotica, π, con il contenuto in
acqua, w, di un’argilla: si osserva
che π rimane pressoché costante al
Figura 10.5 - Misure della suzione totale, osmotica e di
variare di w, e quindi per un asse- matrice su un argilla compatta
10 - 5
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
gnata variazione di contenuto in acqua ∆w si ha ∆ψ ≈ ∆s.
10.4 Misura della suzione
Per la misura della suzione di matrice in sito si utilizzano i tensiometri. Il tensiometro è
composto da un tubo avente ad una estremità una punta in materiale ceramico poroso, ed
all’altra un serbatoio sigillato contenente acqua. La punta del tensiometro è infissa nel terreno (Figura 10.6). L’acqua contenuta nel tubo, per effetto della suzione, filtra attraverso
la ceramica porosa e determina una depressione nel serbatoio dell’acqua, rilevabile con un
manometro. La pressione di equilibrio del sistema corrisponde alla suzione nel terreno.
Figura 10.6 – Modalità di installazione di un tensiometro: per profondità fino a 1.5 m (A) e maggiori di 1.5 m (B)
Il metodo è semplice, ma il campo di misura della suzione è limitato a circa 80-90 kPa
dalla possibilità di cavitazione dell’acqua nel tensiometro.
Esistono diverse tecniche di misura della pressione negativa dell’acqua (manometri acqua-mercurio, trasduttori elettrici di pressione, etc..), poiché in generale gli strumenti di
maggiore sensibilità hanno tempi di risposta più lunghi.
10.5 Curve di ritenzione
La curva di ritenzione idrica (SWRC = Soil Water Retention Curve) definisce la relazione fra la suzione di matrice e una misura della quantità di acqua presente nel terreno, che
può essere opportunamente scelta fra:
-
il contenuto d’acqua in peso: w (% ) =
-
il contenuto d’acqua in volume: θ =
Pw
⋅ 100
Ps
Vw
= Sr ⋅ n
V
10 - 6
Capitolo 10
-
TERRENI INSATURI
il grado di saturazione: S r (%) =
Vw
⋅ 100
Vv
La curva di ritenzione idrica è generalmente rappresentata in un piano semilogaritmico,
avente in ascissa il valore della suzione e in ordinata il valore della variabile di misura
della quantità d’acqua nel terreno.
La forma tipica di una SWRT è rappresentata in Figura 10.7. Al crescere della suzione si
individuano tre differenti parti della curva.
Nella prima parte (boundary effect zone), per i valori più bassi di suzione, il terreno è saturo e un aumento di suzione non produce diminuzioni significative del grado di saturazione. La prima parte ha termine per quel valore della suzione che corrisponde alla formazione delle prime bolle d’aria nei pori più grandi del terreno. Tale valore, detto “di entrata dell’aria” (air-entry value), è indicato con il simbolo (ua – uw)b, o anche ψb.
Grado di saturazione, Sr (%)
Nella seconda parte, detta di transizione (transition zone), al crescere della suzione la
quantità d’acqua nel terreno si riduce sensibilmente e la fase liquida diviene discontinua.
Nella terza parte infine, detta residua di non saturazione (residual zone of unsaturation), a
grandi incrementi di suzione corrispondono piccole riduzioni della quantità d’acqua nel
terreno. Il valore della suzione corrispondente al passaggio dalla seconda alla terza parte
della curva, ovvero alla quantità d’acqua residua, è indicato con il simbolo ψr.
Aria
Valore di entrata
dell’aria
Particelle
Aria
Acqua
ψb
ψr
Suzione (kPa)
Figura 10.7 – Curva di ritenzione idrica e differenti fasi di desaturazione
È stato osservato che, indipendentemente dall’ampiezza delle tre zone, tutti i terreni tendono ad un grado di saturazione zero per valore di suzione pari a circa 106 kPa (Figura
10.8).
10 - 7
TERRENI INSATURI
Grado di saturazione, Sr (%)
Capitolo 10
Suzione (kPa)
Figura 10.8 – Curve di ritenzione idrica per 4 differenti tipi di terreno
La forma della curva di ritenzione dipende dalla dimensione dei pori e quindi dalla composizione granulometrica e dallo stato di addensamento del terreno.
I terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie), che hanno pori interconnessi e di grandi dimensioni, sono caratterizzati da bassi valori di ψb e ψr, e da una curva ripida nella zona di
transizione. I terreni a grana fine (argille), le cui particelle hanno elevata superficie specifica e quindi forti legami elettro-chimici con le molecole d’acqua, sono caratterizzati da
alti valore della suzione di entrata dell’aria, ψb, e da una minore pendenza della curva di
ritenzione nella zona di transizione. Inoltre, per i terreni argillosi, spesso non è definibile
la quantità d’acqua residua, e quindi il valore di ψr.
Per la formulazione matematica delle curve di ritenzione idrica è spesso utilizzato il contenuto in acqua volumetrico normalizzato:
Θ=
θ − θr
θs − θ r
(Eq. 10.5)
in cui
θs è il contenuto in acqua volumetrico corrispondente al terreno saturo, e
θr è il contenuto in acqua volumetrico residuo.
Se si assume θr = 0, risulta Θ = Sr.
Fra le numerose equazioni proposte per la modellazione delle curve di ritenzione idrica, le
due seguenti richiedono la definizione di un solo parametro:
a) Equazione di Brooks e Corey (1964):
10 - 8
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
⎛ψ⎞
Θ = ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ ψb ⎠
−α
per
Θ =1
per
ψ
≥1
ψb
(Eq. 10.6)
ψ
<1
ψb
il parametro α è un indice di distribuzione della dimensione dei pori con valori generalmente compresi tra 0,2 e 2.
b) Equazione di Van Genuchten semplificata (1978):
1
⎡
⎤
1
−
m
⎛
⎞
ψ
⎢
⎟⎟ ⎥
Θ = 1 + ⎜⎜
⎢
⎥
ψ
⎢⎣ ⎝ b ⎠ ⎥⎦
−m
(Eq. 10.7)
in cui il parametro m ha valori generalmente compresi tra 0,6 e 0,75.
Durante un processo di riduzione del contenuto in acqua dalle condizioni sature, e quindi
di aumento della suzione, il terreno segue una curva di ritenzione, detta curva principale
di essiccamento (main drying), diversa rispetto alla curva di ritenzione che il terreno segue nel processo inverso di aumento del contenuto in acqua, e quindi di riduzione della
suzione. Quest’ultima curva, detta curva principale di imbibizione (main wetting), non
raggiunge la completa saturazione del terreno, perché una certa quantità di aria (residual
air content) rimane comunque intrappolata nei vuoti del terreno (Figura 10.9).
Grado di saturazione, Sr (%)
Le due curve principali delimitano i possibili stati del terreno. I percorsi da una all’altra
delle curve principali (scanning curves) sono pressoché reversibili.
Contenuto d’aria
residuo
Curva principale
di essiccamento
Curva principale
di imbibizione
Valore di entrata
dell’aria
Suzione (kPa)
Figura 10.9 – Curve principali di essiccamento e di imbibizione per un argilla in termini di grado
di saturazione
10 - 9
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
10.6 Flusso dell’acqua nei terreni non saturi
Come abbiamo già visto nel Capitolo 3, il flusso dell’acqua nei terreni (saturi e non saturi) è determinato dalla differenza di altezza idraulica, o altezza totale h:
h = z+
u w v2
+
γ w 2⋅g
(Eq. 10.8)
in cui z è l’altezza geometrica, uw/γw è l’altezza di pressione, e v2/2g è l’altezza di velocità
(di norma trascurabile). Con riferimento alla Figura 10.10 l’altezza totale del punto A è
maggiore dell’altezza totale del punto B, e quindi l’acqua si muoverà da A verso B in ragione del gradiente idraulico fra i due punti.
p.c.
A
Tensiometro
zB
zA
uw/γw ( > 0)
B
Piezometro
uw/γw ( < 0)
hA
hB
z =0
Figura 10.10 - Gradiente di carico in un terreno non saturo
Nei terreni non saturi, come nei terreni saturi, vale la legge di Darcy, ma il coefficiente di
permeabilità è fortemente dipendente dalla suzione:
v = k (ψ ) ⋅ i
k (ψ ) = k s ⋅ k r (ψ )
(Eq. 10.9)
in cui:
ks è il coefficiente di permeabilità (all’acqua) del terreno saturo, e
kr(ψ) è la conducibilità idraulica relativa, adimensionale, con valori compresi tra 0 e 1.
Alcune delle equazioni proposte per descrivere analiticamente la variazione della conducibilità idraulica relativa con la suzione o con il contenuto volumetrico in acqua sono le
seguenti:
a) modello esponenziale (Gardner, 1958)
k r (ψ ) = exp(a ⋅ ψ )
(Eq. 10.10)
in cui a è un coefficiente con valori compresi tra 0,002cm-1 (terreni a grana fine) e
0,05cm-1 (terreni a grana grossa);
10 - 10
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
b) modello di Gardner (1958)
k r (ψ ) =
1
1 + a ⋅ (− ψ )
(Eq. 10.11)
n
c) modello di Davidson et al. (1969)
k r (ψ ) = exp[β ⋅ (θ − θ s )]
(Eq. 10.12)
d) modello di Mualem (1976) e Van Genuchten (1978)
k r (Θ) = Θ 0,5
1 m⎤
⎡ ⎛
⎞
m
⎜
⋅ ⎢1 − ⎜1 − Θ ⎟⎟ ⎥
⎢ ⎝
⎠ ⎥⎦
⎣
2
(Eq. 10.13)
Nelle Figure 10.11a e 10.11b sono rappresentate le curve sperimentali di variazione del
contenuto volumetrico in acqua e del coefficiente di permeabilità con la suzione per tre
differenti terreni.
b)
a)
Figura 10.11 - Curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua (a) e del coefficiente di permeabilità (b) con la suzione per tre differenti terreni.
10.7 Resistenza al taglio di terreni non saturi
Vi sono due differenti approcci per stimare la resistenza al taglio di un terreno non saturo.
Il primo utilizza la definizione di tensione efficace per terreni non saturi, σ’, originariamente proposta da Bishop (1959):
σ' = (σ − u a ) + χ ⋅ (u a − u w )
(Eq. 10.14)
10 - 11
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
in cui:
ua
pressione dell’aria nei pori,
uw
pressione dell’acqua nei pori,
(ua – uw) suzione di matrice,
χ
parametro che assume il valore 1 per terreno saturo e il valore 0 per terreno secco.
Secondo tale approccio, la resistenza al taglio di terreni non saturi può essere determinata,
come per i terreni saturi, sulla base di due parametri di resistenza al taglio efficace, c’ e
φ’, e di una unica variabile di tensione, σ’, nel modo seguente:
τ f = c'+[(σ − u a ) + χ ⋅ (u a − u w )] ⋅ tan φ'
(Eq. 10.15)
Il parametro χ può essere stimato con l’equazione (Khalili e Khabbaz, 1998):
χ =1
⎡ (u − u w ) ⎤
χ=⎢ a
⎥
⎣ (u a − u w )b ⎦
per
(u a − u w ) ≤ (u a − u w )b
per
(u a − u w ) > (u a − u w )b
−0 , 55
(Eq. 10.16)
in cui (ua – uw)b corrisponde al valore della suzione di matrice per il quale si iniziano a
formare bolle d’aria nel terreno (air entry value).
Un diverso approccio è quello di Fredlund e Rahardjo (1993), secondo il quale la resistenza al taglio dei terreni non saturi è funzione di tre parametri di resistenza e di due variabili di tensione, nel modo seguente:
τ f = c ' + (σ − u a ) ⋅ tan φ ' + (u a − u w ) ⋅ tan φ b
(Eq. 10.17)
in cui φb è l’angolo di resistenza al taglio per variazione di suzione di matrice, (ua – uw),
inferiore all’angolo di resistenza al taglio, φ’, associato alla variazione di tensione normale netta (σ – ua).
La resistenza al taglio non varia linearmente con la suzione, ovvero l’angolo φb non è costante ma decresce al crescere della suzione. La determinazione sperimentale dell’(Eq.
10.17) richiede l’esecuzione di prove di laboratorio sofisticate, costose, inusuali e molto
lunghe, specie per terreni a grana fine il cui coefficiente di permeabilità è molto basso.
Inoltre la variabilità di tanφb con la suzione richiede che le prove siano eseguite nel campo di tensione atteso in sito. Pertanto, per evitare la determinazione sperimentale diretta,
sono state proposte relazioni empiriche per la stima indiretta di tanφb.
Öberg e Sällfors proposero di stimare il valore di tanφb per limi e sabbie insature nel modo seguente:
tan φ b = S r tan φ'
(Eq. 10.18)
10 - 12
Capitolo 10
TERRENI INSATURI
Vanapalli et al. proposero di stimare il valore di tanφbcon la seguente relazione:
tan φ b = tan φ'⋅Θ
(Eq. 10.19)
L’equazione (10.17) rappresenta un piano tangente ai cerchi di Mohr a rottura (Figura
10.12).
φb
φb
)
τ
Su
zio
ne
di
ma
t ri
a
ce
, (u
-u
w
φ’
b
(ua -uw )f tgφ
c’
φ’
c’
σ-ua
Figura 10.12 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb generalizzato per i terreni non saturi
L’intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ, è una curva rappresentata in Figura 10.13 (la curva è una retta se si assume tanφb = cost) di equazione:
c = c ' + (u a − u w ) ⋅ tan φ b
(Eq. 10.20)
τ
c = c’+ (ua -uw )f tgφ
φ
b
b
c3
c2
c1
b
(ua -uw )f 2 tgφ
c’
Suzione di matrice, (ua -uw )
(ua -u w )f 1
(ua -uw )f 2
(ua -uw )f 3
Figura 10.13 –Intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ
10 - 13
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
CAPITOLO 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
11.1 Percorsi tensionali (stress paths)
11.1.1 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani s’-t e s-t
Lo stato tensionale in un punto di un mezzo continuo solido in condizioni assialsimmetriche, come è stato mostrato nel Capitolo 9, è rappresentato nel piano di Mohr (σ, τ) da un
cerchio avente il centro sull’asse delle ascisse (Figura 11.1a). Se si considera un sistema
piano di assi cartesiani in cui l’asse delle ascisse è il parametro di tensione:
s=
(σ1 + σ 3 )
(Eq. 11.1)
2
e l’asse delle ordinate è il parametro di tensione:
t=
(σ1 − σ 3 )
(Eq. 11.2)
2
al cerchio nel piano di Mohr corrisponde biunivocamente un punto A nel nuovo sistema
di riferimento (Figura 11.1b). Sovrapponendo i due sistemi di riferimento il punto A coincide con il vertice del cerchio di Mohr. Il vantaggio di tale rappresentazione consiste nel
fatto che è possibile, mediante una linea continua nel piano s-t, rappresentare una successione continua di stati tensionali, ovvero un percorso tensionale. Il vertice del cerchio di
Mohr sta al percorso tensionale come un fotogramma sta ad un filmato.
Nel caso dei terreni i percorsi tensionali possono essere definiti con riferimento sia alle
tensioni totali (TSP = Total Stess Path) sia alle tensioni efficaci (ESP = Effective Stress
Path).
Applicando il principio delle tensioni efficaci si ha:
s = s’ + u
e
t = t’
(Eq. 11.3)
Utilizzando i percorsi tensionali è possibile descrivere la successione continua nel tempo
degli stati tensionali totali ed efficaci di un provino di terreno durante l’esecuzione delle
prove geotecniche assialsimmetriche standard di laboratorio che sono state descritte nei
capitoli precedenti.
a) I percorsi tensionali totale (TSP) ed efficace (ESP) di compressione e consolidazione
isotropa (prima fase delle prove triassiali TxCID e TxCIU) sono rappresentati da
segmenti rettilinei sull’asse delle ascisse (t = 0). Per semplicità di esposizione si suppone che gli stati tensionali iniziali totale ed efficace, rispettivamente rappresentati dai
punti A e A’, siano isotropi e che la pressione interstiziale iniziale sia zero, cosicché i
punti A ed A’ risultano coincidenti. Nel piano delle tensioni totali il segmento AB è
percorso in modo istantaneo all’atto di applicazione dell’incremento di pressione isotropa di cella (Figura 11.2). Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è per11 – 1
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
corso nel tempo Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la
distanza BB’ indica il valore della contropressione interstiziale BP (Back Pressure).
a)
b)
τ
t
Percorso tensionale
A
A
(σ -σ )/2
1
3
O σ
σ
3
σ
1
(σ +σ )/2
1
O
s
(σ +σ )/2
3
1
3
Figura 11.1: Corrispondenza fra i cerchi di Mohr e i punti nel piano s-t
b) I percorsi tensionali totale (TSP) ed t
efficace (ESP) di compressione e
consolidazione isotropa (prima fase
delle prove triassiali TxCID e
TxCIU) sono rappresentati da segmenti rettilinei sull’asse delle ascisse (t = 0). Per semplicità di esposizione si suppone che gli stati
tensionali iniziali totale ed efficace,
rispettivamente rappresentati dai
s,s’
A A’
B’ B
punti A e A’, siano isotropi e che la
pressione interstiziale iniziale sia
B.P.
zero, cosicché i punti A ed A’ risul- Figura 11.2 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t
tano coincidenti. Nel piano delle per compressione isotropa
tensioni totali il segmento AB è
percorso in modo istantaneo
all’atto di applicazione dell’incremento di pressione isotropa di cella (Figura 11.2).
Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo Tc necessario
affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la distanza BB’ indica il valore
della contropressione interstiziale BP (Back Pressure).
c) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno normalmente consolidato sottoposto a prova di compressione e consolidazione edometrica a
incrementi di carico sono mostrati in Figura 11.3. I punti A e A’, coincidenti, indicano
gli stati tensionali, rispettivamente totale ed efficace, prima dell’applicazione
dell’incremento di carico, ∆p. I punti B e B’, coincidenti, indicano gli stati tensionali,
rispettivamente totale ed efficace, al termine del processo di consolidazione. Sia i
punti A e A’ che i punti B e B’ appartengono alla retta K0, passante per l’origine degli
assi ed avente equazione:
11 – 2
Capitolo 11
t=
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
(1 − K 0 )
⋅ s'
(1 + K 0 )
t
(Eq. 11.4)
αk 0 = arctg[(1-K0 )/(1+K0 )]
P
TS
Nel piano delle
B B’ (T = Tc )
tensioni efficaci il
P
ES
segmento A’B’ è
∆t = (1-k 0) ∆p
2
percorso nel tempo
u(t)
V
V’
45°
A A’
T = Tc necessario
TSP
(T = 0) C
(T
=
0)
affinché avvenga
s,s’
la consolidazione.
)0 ∆p
Nel piano delle
∆s 0-∆s’ = (1-k
∆s’ = (1+k 0) ∆p
2
2
tensioni totali il
∆s 0 = ∆p
segmento AC è
percorso istantaneamente all’at-to
Figura 11.3 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione
dell’applicazione
dell’incremento di edometrica
carico (T = 0),
mentre il segmento CB è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la
consolidazione. Ad un generico istante di tempo durante il processo di consolidazione
i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace e totale sono rappresentati da due
punti, V e V’, con la stessa ordinata, rispettivamente sul segmento A’B’ e CB, e la loro distanza rappresenta il valore della pressione interstiziale.
d) I percorsi tensionali efficace (ESP) e t
totale (TSP) di un provino di terreno
C’
C
nella fase di compressione di una
prova triassiale consolidata isotropicamente e drenata (TxCID) sono
P
mostrati in Figura 11.4. Durante la
ES
P
TS
prova in condizioni drenate non insorgono sovrapressioni interstiziali e
45°
i percorsi ESP e TSP risultano coins,s’
B’ B
cidenti (o traslati di una quantità pari
alla contropressione interstiziale apB.P.
plicata), rettilinei ed inclinati di 45°
Figura 11.4 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’rispetto all’asse orizzontale s’.
t per compressione drenata
e) I percorsi tensionali efficace (ESP) e
totale (TSP) di un provino di terreno nella fase di compressione di una prova triassiale
consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) sono mostrati in Figura 11.5. Durante la prova in condizioni non drenate insorgono sovrapressioni interstiziali positive
o negative in dipendenza del rapporto di sovraconsolidazione e del livello di deformazione. Il percorso TSP è rettilineo e inclinato di 45° rispetto all’asse orizzontale s. Il
percorso ESP è invece curvilineo. Nelle Figure 11.5a e b sono qualitativamente mostrati i percorsi tensionali TSP ed ESP per provini di argilla con differente rapporto di
sovraconsolidazione. La distanza dei punti B e B’ corrispondenti agli stati di tensione
11 – 3
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
isotropa iniziale rispettivamente totale ed efficace rappresenta la contropressione interstiziale BP. Per un provino normalmente consolidato (Figura 11.5a) la pressione interstiziale cresce durante la compressione ed il percorso ESP si allontana curvando
progressivamente verso sinistra dal segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al
percorso TSP (sovrappressione interstiziale sempre positiva e crescente).
Per un provino fortemente sovraconsolidato (Figura 11.5b) la pressione interstiziale
durante la compressione inizialmente cresce e poi decresce, fino a valori inferiori a
quello iniziale, il percorso ESP curvilineo si svolge inizialmente a sinistra e poi a destra del segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP.
a)
b)
t
t
C’
C’ C
C
∆u
ESP
B.P.
∆u
B.P.
ES
P
P
TS
P
TS 45°
45°
B’
s,s’
B
B’
B
s,s’
Figura 11.5 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione non drenata: a) terreno normalmente consolidato; b) terreno fortemente sovraconsolidato.
11.1.2 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani p’-q e p-q
I percorsi tensionali che utilizzano i parametri di tensione s, s’ e t sopra introdotti hanno il
vantaggio di essere immediatamente comprensibili, poiché è facile collegare ad un generico punto del percorso tensionale il corrispondente cerchio di Mohr e, anche mentalmente, visualizzarlo. Tuttavia i parametri s, s’ e t non hanno un preciso significato fisico. Esistono altri modi, meno intuitivi ma più corretti, per rappresentare i percorsi tensionali assialsimmetrici. In particolare nel seguito saranno utilizzati i parametri invarianti di tensione:
tensione media totale:
σ1 + 2 ⋅ σ 3
3
(Eq. 11.5)
σ1' + 2 ⋅ σ 3'
= p−u
3
(Eq. 11.6)
q = q ' = σ1 − σ 3 = σ1' − σ 3' 1
(Eq. 11.7)
p=
tensione media efficace: p' =
tensione deviatorica:
I parametri s, s’ e t ed i parametri p, p’ e q sono legati dalle seguenti relazioni biunivoche:
1
Per stati tensionali tridimensionali i parametri di tensione p, e q hanno la forma:
1
⋅ (σ1 + σ 2 + σ3 )
3
1
2
2
2
q=
⋅ (σ1 − σ 2 ) + (σ 2 − σ3 ) + (σ3 − σ1 )
2
p=
[
]
0,5
11 – 4
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
p =s−
t
3
(Eq. 11.8)
p' = s'−
t
3
(Eq. 11.9)
q = 2⋅t
(Eq. 11.10)
s=p+
q
6
(Eq. 11.11)
s' = p'+
q
6
(Eq. 11.12)
t=
q
2
(Eq. 11.13)
per cui tutto quanto è stato detto con riferimento ai piani s-t ed s’-t può essere trasferito e
tradotto nei corrispondenti piani p-q e p’-q.
In generale (Figura 11.6) a incrementi delle tensioni principali maggiore e minore rispettivamente pari a ∆σ1 e a ∆σ2=∆σ3:
nel piano s-t corrisponde un segmento
di percorso tensionale di lunghezza:
∆L s − t =
∆σ + ∆σ
2
2
1
2
3
τ, t
∆L s-t
(Eq. 11.14)
O
e pendenza:
tan α s − t =
α s-t
∆σ 3
∆t
σ, s
∆σ 1
∆s
∆σ1 − ∆σ 3
∆σ1 + ∆σ 3
(Eq. 11.15)
Figura 11.6 – Percorsi tensionali nei piani s-t e σ-τ
mentre nel piano p-q corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza:
1
∆L p −q = ⋅ 10 ⋅ ∆σ12 + 13 ⋅ ∆σ 32 − 14 ⋅ ∆σ1 ⋅ ∆σ 3
3
(Eq. 11.16)
e pendenza:
tan α p −q =
3 ⋅ (∆σ1 − ∆σ 3 )
∆σ1 + 2 ⋅ ∆σ 3
(Eq. 11.17)
e quindi in particolare:
per compressione isotropa (∆σ1 = ∆σ3 = ∆σ):
nel piano s - t :
∆L s −t = ∆σ
tanαs-t = 0
(Eq. 11.18)
nel piano p - q :
∆L p − q = ∆σ
tanαp-q = 0
(Eq. 11.19)
per compressione monoassiale (∆σ1 = ∆σ, ∆σ3 = 0):
11 – 5
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
nel piano s - t :
∆L s − t =
nel piano p - q :
∆L p − q =
∆σ
2
10
⋅ ∆σ
3
tanαs-t = 1
(Eq. 11.20)
tanαp-q = 3
(Eq. 11.21)
11.2 Stato critico
11.2.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti sono stati affrontati separatamente, con modelli semplici e schemi
elementari diversi, i problemi relativi alla deformabilità ed alla resistenza dei terreni.
In questo capitolo, dopo avere esposto la teoria dello Stato Critico come quadro interpretativo generale del comportamento dei terreni saturi, si introdurrà un modello matematico
un poco più complesso ma più generale (il modello Cam Clay Modificato) per la previsione quantitativa di tale comportamento.
I parametri di tale modello possono essere ricavati dai risultati delle prove geotecniche
standard di laboratorio, già esposti e commentati nei capitoli precedenti. Tali risultati verranno pertanto richiamati ed inquadrati in un’ottica unitaria.
Le prove geotecniche standard di laboratorio per la determinazione del comportamento
meccanico dei terreni sono le prove triassiali e le prove di compressione edometrica, entrambe assialsimmetriche. Salvo indicazione contraria, nel seguito assumeremo che la
tensione assiale σa corrisponda alla tensione principale maggiore σ1, e che la tensione radiale σr corrisponda alle tensioni principali intermedia e minore, eguali fra loro, σ2 = σ3.
Nel seguito, per descrivere lo stato di tensione ed i percorsi tensionali si utilizzeranno i
parametri p, p’ e q.
Per descrivere lo stato di deformazione, di un provino cilindrico di altezza iniziale H0,
diametro iniziale D0 e volume iniziale V0, si utilizzeranno i parametri:
deformazione assiale: ε a = ε1 =
∆H
H0
(Eq. 11.22)
deformazione radiale: ε r = ε 3 =
∆D
D0
(Eq. 11.23)
∆V
V0
(Eq. 11.24)
2
2
⋅ (ε a −ε r ) = ⋅ (ε1 − ε 3 )
3
3
(Eq. 11.25)
deformazione volumetrica: ε v = ε a + 2 ⋅ ε r = ε1 + 2 ⋅ ε 3 =
deformazione deviatorica o distorsione: ε s =
La deformazione deviatorica è definita nel modo sopra scritto affinché valga la relazione:
σ1' ⋅ dε1 + σ '2 ⋅ dε 2 + σ 3' ⋅ dε 3 = p'⋅dε v + q ⋅ dε s
11 – 6
(Eq. 11.26)
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Come parametro indicativo dello stato di addensamento del terreno verrà utilizzato il volume specifico, v, che è per definizione il rapporto tra il volume totale di un elemento di
terreno, V, e il volume occupato dalle particelle solide, VS.
Risulta pertanto per definizione:
v=
V
= (1 + e)
VS
(Eq. 11.27)
e
dε v = −
de
dv
=−
1 + e0
v0
(Eq. 11.28)
Analizziamo i risultati delle prove geotecniche standard su provini di argilla ricostituiti in
laboratorio, già esposti e commentati nel Capitolo 9, rappresentando i percorsi di carico in
uno spazio tridimensionale definito dalla terna di assi cartesiani ortogonali p’-q-v.
11.2.2 Compressione isotropa drenata (prima fase delle prove triassiali standard), linea
di consolidazione normale (NCL) e linee di scarico-ricarico (URL)
Il percorso efficace di carico si svolge interamente sul piano p’-v (ovvero sul piano q = 0). La curva sperimentale, che potremmo ottenere per punti
incrementando (o riducendo) gradualmente la
pressione di cella e attendendo per ogni gradino
di carico l’esaurirsi del processo di consolidazione isotropa, è qualitativamente indicata in Figura
11.7. La stessa curva, rappresentata in un piano
semilogaritmico (Figura 11.8a), può essere schematizzata con segmenti rettilinei (Figura 11.8b).
q
A
C
B
D
p’
v
A
La principale ipotesi semplificativa adottata nel
C
B
passaggio dalla curva sperimentale a quella
schematica consiste nell’avere sostituito al piccoD
lo ciclo di isteresi sperimentale del percorso di
scarico-ricarico il suo asse, ovvero nell’avere assunto un comportamento deformativo volumetrip’
co elastico (variazioni di volume interamente reversibili).
Figura 11.7 - Percorso di carico di
compressione (e decompressione) iso-
La retta ABD è detta linea di consolidazione
tropa drenata nei piani p’-q e p’-v
normale (NCL), ed ha equazione:
v = Ν − λ ⋅ ln(p' )
q=0
(Eq. 11.29)
Il parametro Ν è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto sulla NCL che ha per
ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0) e dipende dal sistema di unità di misura adottato. Il parametro λ è la pendenza della NCL ed è adimensionale.
11 – 7
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
La retta BCB è una delle infinite, possibili linee di scarico e ricarico (URL), ed ha equazione:
v = v κ − κ ⋅ ln(p' )
(Eq. 11.30)
q=0
Il parametro vκ è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto su quella specifica
linea di scarico-ricarico che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0), dipende dal sistema
di unità di misura adottato ed è biunivocamente riferito all’ascissa del punto B (Figura
11.8b), definita pressione di consolidazione, p’c, dalle seguenti relazioni, ottenute imponendo l’appartenenza del punto B sia alla NCL che alla linea di scarico-ricarico:
( )
v κ = Ν − (λ − κ ) ⋅ ln p 'c
(Eq. 11.31)
⎡Ν − vκ ⎤
p 'c = exp ⎢
⎥
⎣ λ−κ ⎦
a)
b)
v
v
N
A
A
C
-λ
C -κ 1
1
vκ
B
B
D
D
ln p’
1
p’c
p’ (ln)
Figura 11.8 - Curva sperimentale (a) e curva schematizzata (b) del percorso di carico di compressione (e decompressione) isotropa drenata nel piano semilogaritmico ln p’-v
Il parametro κ è la pendenza della linea di scarico-ricarico isotropo ed è adimensionale.
Un provino, al cui stato tensionale, p’0, corrisponda un punto su una linea di scaricoricarico, è isotropicamente sovraconsolidato (OC). Il rapporto di sovraconsolidazione isotropa è:
R0 =
p 'c
p '0
(Eq. 11.33)
R0 non è eguale al rapporto di sovraconsolidazione edometrica, OCR, ma è ad esso legato
dalla relazione:
R0 =
1 + 2 ⋅ K OC
0
⋅ OCR
1 + 2 ⋅ K 0NC
(Eq. 11.34)
Il risultato sperimentale di un percorso di carico isotropo in condizioni drenate con più cicli di scarico-ricarico a pressione di consolidazione crescente può essere schematicamente
rappresentato come in Figura 11.9: i segmenti corrispondenti a ciascun ciclo di scarico11 – 8
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
ricarico, rettilinei nel piano semilogaritmico, hanno la stessa pendenza –κ e, naturalmente,
diversi valori di vκ e di p’c.
In definitiva, rammentando gli schemi dei modelli reologici elementari presentati nel Capitolo 5, si può affermare che i risultati sperimentali sopra descritti possono essere ben riprodotti da un modello elastico non lineare – plastico a incrudimento positivo.
Infatti:
a. il comportamento deformativo è (quasi) elastico, ovvero il percorso è reversibile, lungo le linee di scarico-ricarico;
v
b. lungo tali linee il comportamento è non lineare, in quanto il percorso è rettilineo nel
piano semilogaritmico (e
quindi curvilineo nel piano
naturale);
c. il comportamento è elastoplastico lungo la linea di consolidazione normale (NCL);
N
A
vκ
C1
1
vκ
2
vκ
3
C2
C3
-λ
1
-κ
B1
1
-κ
1
B2
-κ
B3
1
d. la pressione media efficace di
consolidazione isotropa, p’c, è
la soglia di tensione oltre la
quale si manifestano deformazioni plastiche (irreversibip’(ln)
1
p’c 1 p’c 2
p’c 3
li), ovvero è la tensione di
snervamento;
Figura 11.9 - Schematizzazione di un percorso di carico
isotropo drenato con più cicli di scarico-ricarico a
e. l’incrudimento è positivo poipressione di consolidazione crescente
ché la deformazione plastica
avviene a pressione di consolidazione crescente.
11.2.3 Pressione efficace media equivalente, p’e
La pressione efficace media equivalente di un elemento di terreno A caratterizzato dai parametri p’A, qA e vA è la pressione p’eA del punto sulla linea di consolidazione normale
(NCL) avente volume specifico vA (Figura 11.10). La pressione efficace media equivalente vale dunque:
⎛ N − vA ⎞
p 'eA = exp⎜
⎟
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.35)
La pressione efficace equivalente non varia nei percorsi tensionali non drenati, che avvengono a volume costante, mentre varia nei percorsi tensionali drenati, durante i quali si
hanno deformazioni volumetriche.
11 – 9
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
b)
a)
v
q
N
qA
-λ
L
C
N
vA
1
A
A
p’A
p’A
p’(ln)
p’
eA
p’eA
p’
vA
v
L
C
N
Figura 11.10 - Definizione di pressione efficace equivalente nel piano lnp’-v e nello spazio p’-v-q
11.2.4 Compressione con espansione laterale impedita (compressione edometrica), linea
di consolidazione edometrica (linea K0) e linee di scarico-ricarico edometriche
Dalle condizioni al contorno della prova edometrica (compressione assialsimmetrica con
espansione laterale impedita) si desume:
ε 2 = ε 3 = 0; ε v = ε1
σ '2 = σ 3' = K 0 ⋅ σ1'
(Eq. 11.36)
σ1'
p' = ⋅ (1 + 2 ⋅ K 0 ); q = σ1' ⋅ (1 − K 0 )
3
Se il terreno normalmente consolidato, K0 è costante e il percorso tensionale nel piano p’q è rettilineo, passa per l’origine degli assi, ed ha equazione, (linea K0) (Figura 11.11 a):
q = p'⋅
3 ⋅ (1 − K 0 )
(1 + 2 ⋅ K 0 )
(Eq. 11.37)
In Figura 11.11 b è mostrato l’andamento della linea K0 al variare di K0 da cui si può osservare che non potendo essere K0 < 0 (altrimenti si avrebbe una tensione σ’3 < 0 e quindi
di trazione), dalla Eq. 11.37 la retta che delimita gli stati tensionali possibili per il terreno
sul piano p’-q ha equazione: q = 3 p’.
Nel piano p’-v il percorso tensionale è del tutto simile a quello della compressione isotropa e, analogamente ad esso, può essere schematizzato nel piano semilogaritmico con tratti
rettilinei definiti dalle seguenti equazioni (Figura 11.12):
per la linea di compressione edometrica vergine:
v = N 0 − λ ⋅ ln p'
(Eq. 11.38)
per le linee di scarico-ricarico edometriche:
v = v K 0 − κ ⋅ ln p'
(Eq. 11.39)
11 – 10
Capitolo 11
aK
0
b)
q
q
K0 = 0
Li
ne
a)
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
0 < K0 < 1
3
3 ⋅ (1 − K 0 )
(1 + 2 ⋅ K0 )
1
1
(Compressione isotropa)
K0 = 1
p’
p’
K0 > 1
Figura 11.11 - Traccia della linea K0 nel piano p’-q per un terreno normalmente consolidato
v
Si osserva che la proiezione della linea
K0 sul piano ln p’-v è parallela alla linea
di consolidazione isotropa normale
(NCL), e che le proiezioni sul piano
lnp’-v delle linee di scarico-ricarico in
condizioni edometriche sono parallele
alle linee di scarico-ricarico in condizioni di carico isotropo.
N
N0
A
vK0
-λ
C -κ 1
1
B
CL
aN K 0
ne e a
n
Li
Li
D
Il parametro vK0 è biunivocamente riferito alla pressione di consolidazione edop’(ln) metrica p’c,edo (ascissa del punto B di Fi1
p’
c,edo
gura 11.12), dalle seguenti relazioni ottenute imponendo l’appartenenza del
Figura 11.12 - Traccia della linea K0 nel piano punto B sia alla linea K0 che alla linea di
lnp’-v per un terreno N.C. e di una linea di scari- scarico-ricarico in condizioni edometrico-ricarico in condizioni edometriche
che:
Nel Capitolo 7 abbiamo visto come i risultati della prova edometrica siano abitualmente
rappresentati nel piano log σ’v-e, e che in tale piano la pendenza della linea di compres-
(
v K 0 = Ν 0 − (λ − κ ) ⋅ ln p 'c ,edo
)
(Eq. 11.40)
⎡ Ν 0 − v K0 ⎤
p 'c,edo = exp⎢
(Eq. 11.41)
⎥
⎣ λ−κ ⎦
sione edometrica vergine sia l’indice di compressione Cc e la pendenza delle linee di scarico sia l’indice di rigonfiamento Cs. Valgono dunque le relazioni:
11 – 11
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
C c = λ ⋅ ln 10 = 2,303 ⋅ λ
(Eq. 11.42a)
e (solo approssimativamente poiché durante lo scarico varia OCR e dunque varia K0):
C s = κ ⋅ ln 10 = 2,303 ⋅ κ
(Eq. 11.42b)
A differenza della linea di consolidazione normale (NCL) che si sviluppa sul piano q = 0,
la linea K0 si sviluppa nello spazio a tre dimensioni p’-q-v (Figura 11.13).
q
Linea K0
p’
1
3 ⋅ (1 − K 0 )
(1 + 2 ⋅ K 0 )
Linea NCL
v
Figura 11.13 - Rappresentazione delle linee NCL e K0 nello spazio p’-q-v
11.2.5 Compressione triassiale drenata di argilla N.C. (prova TxCID) e linea di stato
critico (CSL)
Il percorso tensionale efficace di un provino di argilla N.C. in una prova di compressione
triassiale drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione isotropa lungo la
linea NCL, fino alla pressione di consolidazione isotropa p’c, la seconda di compressione
assiale in condizioni drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al
crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale controllata) la tensione deviatorica q cresce progressivamente fino ad un valore massimo qf poi si
mantiene circa costante. La curva sperimentale εa – q è ben rappresentata da una relazione
iperbolica del tipo:
q=
εa
a + b ⋅ εa
(Eq. 11.43)
Il volume decresce progressivamente fino ad un valore minimo, poi si mantiene circa costante (Figura 11.14). Il percorso tensionale corrispondente alla fase di compressione assiale, AB, ha come proiezione sul piano p’-q un segmento rettilineo con pendenza 3:1, dal
punto A di coordinate (p’c - 0) al punto B, corrispondente alla condizione di rottura, di
11 – 12
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
coordinate (p’f - qf), e nel piano p’-v ha origine nel punto A sulla linea NCL e termina nel
punto B sottostante la linea NCL.
Infatti durante la fase di compressione risulta che σ’3 = σ’r = σ’c = cost e quindi ∆q =
∆(σ’1 – σ’3) = ∆σ’1 e ∆p’ = ∆(σ’1 + 2σ’3)/3 = ∆σ’1/3 e quindi:
∆σ 1 '
∆q
=
=3
∆p' ∆σ1 ' / 3
(Eq. 11.44)
a) q
b) q
B
B
qf
3
A 1
p’f
p’c
εa
A
c)
p’
v
B
εv
A
B
p’
Figura 11.14 - Percorsi tensionali di compressione drenata su un provino di argilla N.C.
Se tre provini della stessa argilla isotropicamente consolidati a pressioni diverse sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.15. Si osserva in particolare che:
o
le tre curve εa – q hanno la stessa forma e, normalizzate rispetto alla pressione di
consolidazione p’c, sono (quasi) coincidenti;
o
la deformazione volumetrica durante la compressione assiale varia in modo pressoché eguale per i tre provini, aumentando lievemente al crescere della pressione di
consolidazione;
o
i punti B rappresentativi dello stato finale dei tre provini giacciono su una linea, detta di Stato Critico (CSL), la cui equazione è:
q f = M ⋅ p 'f
(Eq. 11.45)
v f = Γ − λ ⋅ ln p 'f
11 – 13
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
a) q
B3
qf 3
CS
b) q
B3
B2
qf 2
1
B2
B1
B1
qf 1
L
M
A A2 A3
p’c 1 p’c 2 p’c 3
εa
A = A2 = A3
1
p’
1
c)
v
B1 = B = B3
NC
2
CS L
L
εv
A
1
A2
vf 1
vf 2
vf 3
A3
B1
B2
p’f 1
B3
p’f 2 p’f 3
p’
Figura 11.15 - Risultati di prove TxCID su provini della stessa argilla N.C. consolidati a pressioni diverse
La relazione q f = M ⋅ p 'f equivale al criterio di rottura di Mohr-Coulomb per terreni N.C.
che, nel Capitolo 8, avevamo scritto nella forma:
τ f = σ 'n ⋅ tan φ '
(Eq. 11.46)
L’angolo di resistenza al taglio da considerare è quello che corrisponde alla condizione di
stato critico, φ’cs, ovvero alla condizione in cui, al crescere della deformazione assiale rimangono costanti tensione deviatorica, qf, e deformazione volumetrica, εv.
Il parametro M è funzione dell’angolo di resistenza al taglio allo stato critico, φ’cs, e delle
modalità di prova. Infatti se il provino è portato a rottura per compressione assiale a tensione efficace di confinamento costante, ovvero con le modalità standard descritte nel Capitolo 8, la tensione principale maggiore è la tensione assiale, mentre le tensioni principali
intermedia e minore coincidono entrambe con la tensione radiale:
σ1' = σ 'a
(Eq. 11.47)
σ 3' = σ '2 = σ 'r
quindi:
(
q f = σ1' − σ 3'
) = (σ
f
⎛ σ + 2⋅σ
p 'f = ⎜⎜
3
⎝
'
1
'
3
'
a
− σ 'r
)
f
⎞ ⎛ σ + 2 ⋅ σ 'r
⎟⎟ = ⎜⎜
3
⎠f ⎝
'
a
⎞
⎟⎟
⎠f
(Eq. 11.48)
11 – 14
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
e ricordando che è:
⎛ σ1' ⎞ 1 + senφ 'cs
⎜⎜ ' ⎟⎟ =
'
⎝ σ 3 ⎠ f 1 − senφ cs
(Eq. 11.49)
si ha:
(
'
'
q f 3 ⋅ σa − σr
=
p 'f
σ 'a + 2 ⋅ σ 'r
M = Mc =
(
⎡⎛ 1 + senφ cs ⎞ ⎤
⎟⎟ − 1⎥
3
⋅
⎢⎜⎜
3 ⋅ σ 'a / σ 'r − 1 f
⎢⎝ 1 − senφ cs ⎠ ⎦⎥
⎣
=
=
=
σ 'a / σ 'r + 2 f
⎡⎛ 1 + senφ cs ⎞ ⎤
⎟⎟ + 2⎥
⎢⎜⎜
⎣⎢⎝ 1 − senφ cs ⎠ ⎦⎥
)
)
f
(
f
(
)
)
(Eq. 11.50)
3 ⋅ (1 + senφ 'cs − 1 + senφ 'cs ) 6 ⋅ senφ 'cs
=
=
(1 + senφ 'cs + 2 − 2senφ 'cs )f 3 − senφ 'cs
senφ 'cs =
3 ⋅ Mc
6 + Mc
(Eq. 11.51)
Se invece il provino è portato a rottura per estensione assiale, ovvero aumentando la tensione efficace di confinamento a tensione efficace assiale costante, la tensione principale
minore è la tensione assiale e le tensioni principali intermedia e maggiore, coincidenti,
sono la tensione radiale:
σ1' = σ '2 = σ 'r
(Eq. 11.52)
σ 3' = σ 'a
quindi:
(
q f = σ1' − σ 3'
) = (σ
f
⎛ 2⋅σ + σ
p 'f = ⎜⎜
3
⎝
'
1
M = Me =
senφ 'cs =
'
3
'
r
− σ 'a
)
f
⎞ ⎛ 2 ⋅ σ 'r + σ 'a
⎟⎟ = ⎜⎜
3
⎠f ⎝
(
'
'
q f 3 ⋅ σr − σa
=
p 'f
σ 'a + 2 ⋅ σ 'r
(
)
)
f
f
=
⎞
⎟⎟
⎠f
(Eq. 11.53)
6 ⋅ senφ 'cs
3 + senφ 'cs
3⋅ Me
6 − Me
(Eq. 11.54)
(Eq. 11.55)
11 – 15
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Una conseguenza importante è che,
mentre l’angolo di resistenza al taglio
allo stato critico φ’cs è lo stesso per compressione e per estensione, la pendenza
M della linea di stato critico nel piano
p’-q non è la stessa. In particolare, poiché Me < Mc, per lo stesso terreno e a
parità di pressione efficace media, la
tensione deviatorica a rottura in estensione è minore che in compressione (Figura 11.16).
I punti B corrispondenti alla condizione
di stato critico giacciono su una linea la
cui proiezione sul piano p’-v è una curva
che, rappresentata nel piano semilogaritmico, diviene una retta parallela alla
linea NCL.
CS
q
1
L (a)
Mc
p’
1
Me
CS
L
(b)
Figura 11.16 – Linea di stato critico nel piano p’-
In Figura 11.17 sono rappresentate le li- q in caso di rottura per compressione assiale e di
rottura per estensione assiale
nee NCL e CSL.
q
CSL
p’
1
M
NCL
v
Figura 11.17 – Rappresentazione delle linee NCL e CSL (indicata convenzionalmente con una doppia linea) nello spazio p’-q-v
Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione drenata si svolge su un piano, detto piano drenato, rappresentato in Figura 11.18.
11 – 16
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
q
CSL
B’ Piano drenato
B
p’
1
3
A’
A
NCL
v
Figura 11.18 - Piano drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCID nello spazio p’-q-v
11.2.6 Compressione triassiale non drenata di argilla N.C. (prova TxCIU) e superficie di
Roscoe
La prova di compressione triassiale consolidata non drenata standard consiste di due fasi:
la prima di compressione e di consolidazione isotropa, la seconda di compressione assiale
in condizioni non drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al
crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale controllata) il volume del provino (saturo) non varia, la tensione deviatorica q e la pressione interstiziale crescono progressivamente fino alla condizione di stato critico.
In Figura 11.19 sono rappresentati i risultati di una prova TxCIU su un provino di argilla
satura N.C. portato a rottura in presenza di una contro pressione interstiziale iniziale (BP
= u0).
In Figura 11.20 sono mostrati i risultati che si possono ottenere da una serie di tre prove
TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse.
11 – 17
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
uf
a) q
∆uf
b) q
B
u0
B
B’
TSP
ESP
qf
εa
A
3
1
A
pc pf
A’
p’f p’
c
c)
p,p’
u0
v
B
∆u
NCL
A’
B’
p’
Figura 11.19 - Percorsi tensionali di compressione non drenata su un provino di argilla satura
N.C.
CS
b) q
qf 2
B2
qf 1
B1
∆uf 3
B’3
∆uf 2
B’2
B’1
∆uf 1
B1
∆uf 2
∆uf 3
B2
B3
c)
B1
A2
A’3
A3
p,p’
v
v0 1
∆u
B2
∆uf 1
A’1 A1 A’2
εa
A1 = A2 = A3
B3
3
B3
1
ESP 3
qf 3
L
M
TSP
a) q
v0 2
v0 3
A’1
B’1
A’2
B’2
A’3
NC L
B’3
C SL
p’f 1
p’f 2
p’f 3
p’
Figura 11.20 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a
pressioni diverse
11 – 18
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Dall’esame delle Figure 11.19 e 11.20 si desume che:
o
la tensione deviatorica q cresce progressivamente con la deformazione assiale εa fino ad un valore massimo qf e poi si mantiene circa costante,
o
la deformazione avviene a volume costante (εv = 0) e con progressivo incremento
della pressione interstiziale (∆u) fino ad un valore massimo, ∆uf, crescente con la
pressione di consolidazione,
o
i percorsi tensionali totali (TSP) sono rettilinei ed hanno pendenza 3:1,
o
i percorsi tensionali efficaci (ESP) sono curvilinei ed hanno la stessa forma,
o
la distanza tra ESP e TSP rappresenta la pressione interstiziale u,
o
i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace iniziale (A’) sono sulla linea di
consolidazione normale (NCL),
o
i punti rappresentativi della condizione di rottura (B’) sono sulla linea di stato critico (CSL).
Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione non drenata si
svolge su un piano parallelo al piano p’-q, detto piano non drenato, rappresentato in Figura 11.21.
q
B’
Piano non drenato
CSL
ESP
p’
B
A’
A
NCL
v
Figura 11.21 - Piano non drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCIU
In una prova triassiale non drenata su un provino saturo non si hanno variazioni di volume. Pertanto il volume specifico iniziale v0 è anche il volume specifico a rottura:
v 0 = v f = Γ − λ ⋅ ln p 'f
(Eq. 11.56)
ovvero:
11 – 19
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
⎛ Γ − v0 ⎞
p 'f = exp⎜
⎟
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.57)
e
⎛ Γ − v0 ⎞
q f = Μ ⋅ p 'f = Μ ⋅ exp⎜
⎟
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.58)
La resistenza al taglio in condizioni non drenate dei terreni a grana fine, cu, che, come abbiamo visto nel Capitolo 9, viene utilizzata per le verifiche di stabilità in termini di tensioni totali è pari alla metà della tensione deviatorica a rottura, dunque:
cu =
qf Μ
⎛ Γ − v0 ⎞
= ⋅ exp⎜
⎟
2
2
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.59)
Per un dato terreno i parametri Μ, Γ e λ sono costanti, quindi cu dipende soltanto dal volume specifico v0. Per un terreno saturo è:
v = 1+ e = 1+ Gs ⋅ w
(Eq. 11.60)
dunque la resistenza al taglio in condizioni non drenate, cu, di una stessa argilla satura dipende unicamente dal suo contenuto in acqua w.
Tutti i percorsi tensionali efficaci, di prove drenate e non drenate, che dalla linea di consolidazione normale (NCL) pervengono alla linea di stato critico (CSL) giacciono su una
superficie nello spazio p’-q-v, detta Superficie di Roscoe, che limita il dominio degli stati
tensionali possibili (Figura 11.22).
Tale affermazione può essere visualizzata normalizzando i percorsi tensionali drenati e
non drenati dalla NCL alla CSL di provini saturi normalconsolidati rispetto alla pressione
efficace equivalente, che rimane costante nei percorsi non drenati, ed è invece variabile in
quelli drenati. In tal modo nel piano p’/p’e-q/p’e tutti i percorsi coincidono in un’unica
curva che rappresenta la Superficie di Roscoe normalizzata (Figura 11.23).
11 – 20
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
q
Superficie di Roscoe
CSL
p’
NCL
v
Figura 11.22 - Superficie di Roscoe
q/p’e
CSL
Superficie di Roscoe normalizzata
NCL
p/p’e
Figura 11.23 - Superficie di Roscoe normalizzata
11 – 21
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
11.2.7 Compressione triassiale drenata di argilla O.C. (prova TxCID) e condizione di
rottura
Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, ad una pressione efficace
p’c, e poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate, fino ad una pressione efficace p’0 in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, ed è infine sottoposto a compressione drenata, esso mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.24.
Si può osservare che la condizione di rottura non coincide con la condizione di stato critico. Infatti la curva εa-q presenta un massimo (qf) a rottura (punto B), poi decresce fino a
stabilizzarsi su un valore minore (qcs) che corrisponde allo stato critico (punto C).
Il volume del provino prima diminuisce, poi aumenta, supera il valore iniziale e infine
tende a stabilizzarsi.
⎛ dε
⎞
La curva εa-εv presenta tangente orizzontale ⎜⎜ v = 0 ⎟⎟ nei punti C e D che corrispondo⎝ dε a
⎠
⎛ dε ⎞
no al valore q = qcs, e un flesso ⎜⎜ v ⎟⎟ nel punto B che corrisponde a q = qf.
⎝ dε a ⎠ max
La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-q ha pendenza 3:1.
Nel tratto AB fino alla rottura il percorso è ascendente, nel tratto BC è discendente.
b)
a) q
q
B
qf
qc s
D
qf
qc s
C
ESP
B
C=D
3
A 1
p’0
εa
A
c)
d)
p’
p’f
v
C
B
A
εa
D
vC
vB
v
vDA
C
A
p’0
εv
D
B
p’f
p’c
p’
Figura 11.24 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in
prova TxCID
11 – 22
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Nel piano p’-v il punto A rappresentativo dello stato iniziale si trova su una curva di scarico-ricarico. La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-v ha tangente orizzontale nei punti C e D.
Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura
11.25. Si osserva in particolare che:
o
se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la
CSL (punto A1), esso è fortemente sovraconsolidato (provino n. 1),
o
un provino fortemente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) molto maggiore del deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento dilatante
(aumento di volume),
o
se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la
NCL ma sopra la CSL, esso è debolmente sovraconsolidato (provino n. 2),
o
un provino debolmente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) poco maggiore o eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di volume),
o
se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sulla
NCL, esso è normalmente consolidato (provino n. 3),
o
un provino normalmente consolidato ha un deviatore a rottura (qf) eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di
volume),
o
i punti rappresentativi delle condizioni di rottura (B) di provini con eguale pressione
di preconsolidazione (punti A sulla stessa linea di scarico-ricarico) giacciono su una
retta (linea inviluppo a rottura) distinta dalla CSL relativamente ai provini sovraconsolidati (punti B1 e B2), e sulla CSL per il provino normal-consolidato (punto B3),
o
i punti rappresentativi delle condizioni ultime (C) giacciono sulla CSL,
La linea inviluppo a rottura, per i terreni sovraconsolidati, ha equazione:
qf = q + m ⋅ pf '
(Eq. 11.61)
Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti di rottura per le argille sovraconsolidate, corrisponde nello spazio p’-q-v ad una superficie piana detta Superficie di Hvorslev.
Nel Capitolo 9 abbiamo visto che l’inviluppo a rottura in termini di tensioni efficaci per
un’argilla sovraconsolidata ha equazione:
τ f = c'+σ 'n ⋅ tan φ'
(Eq. 11.62)
che può essere scritta anche nella forma (Figura 11.26):
(
1
⋅ σ1' − σ 3'
2
)
f
(
⎡ σ ' + σ 3'
=⎢ 1
2
⎣
)
f
⎤
+ c'⋅ cot gφ'⎥ ⋅ senφ'
⎦
11 – 23
(Eq. 11.63)
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Dalla Eq. 11.61, essendo
a) q
qf = (σ’1 – σ’3)f
L
CS
M
1
B3
e
Linea di inviluppo
a rottura
p’f = (σ’1 + 2σ’3)f / 3,
si ottiene sostituendo:
(σ − σ ) = q + m ⋅ (σ
'
1
'
1
'
3 f
+ 2σ 3'
3
)
f
1
da cui, svolgendo i calcoli, si ottiene:
σ1' f = σ 3' f
q
3 + 2m
3q
+
3−m 3−m
C1
A1
b)
− σ 3'
) = (σ
f
'
1
D1
A2
)
+ σ 3' f ⋅ senφ'+2c'⋅ cos φ'⋅
B
A1 D 1
1 A
2
URL
e quindi:
σ1' f = σ 3' f
p’
A3
C1
Dalla Eq.11.63 invece si ricava:
'
1
m
v
(Eq. 11.63a)
(σ
B2
B1
B2
1 + sin φ'
cos φ'
+ 2c '
1 − sin φ'
1 − sin φ'
(Eq. 11.63b)
Eguagliando la (11.63a) e la
(11.63b) si ottiene:
A3
NC
L
CS
L
B3
p’0 1
p’0 2
p’
p’c
Figura 11.25 - Risultati di prove TxCID su provini della stessa argilla con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura
τ
3 + 2m 1 + sin φ'
=
3 − m 1 − sin φ'
inviluppo di rottura
(Eq. 11.63c)
R
e
c’
O’
3q
2c' cos φ'
=
3 − m 1 − sin φ'
φ’
O
c’ ctg φ’
(Eq. 11.63d)
σ’3
C
σ’1
σ’
(σ1’ +σ3’ )/2
Figura 11.26 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb
Dalla (11.63c) si può ricavare m:
m=
6 sin φ'
3 − sin φ'
(Eq. 11.63e)
ed andando a sostituire nella (11.63d) si ricava q:
11 – 24
Capitolo 11
q=
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
6c' cos φ'
3 − sin φ'
(Eq. 11.63f)
da cui si ottengono le corrispondenze:
6 ⋅ c'⋅ cos φ'
3 − senφ'
6 ⋅ senφ'
m=
3 − senφ'
q=
(Eq. 11.64)
Imponendo la condizione che i terreni non possano sostenere tensioni di trazione (σ 3' ≥ 0 )
si ha che per σ’3 = 0, q = σ’1 – σ’3 = σ’1 e p = (σ’1 + 2σ’3)/3 = σ’1/3, cioè q = 3 p’. Si deduce che la linea inviluppo a rottura, come mostrato anche in Figura 11.11 b, è limitata a
sinistra dalla retta di equazione:
q = 3 ⋅ p'
(Eq. 11.65)
11.2.8 Compressione triassiale non drenata di argilla O.C. (prova TxCIU) e superficie di
Hvorslev.
Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, e infine
sottoposto a compressione non drenata, mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.27.
Si osserva che la curva εa-q è monotona (non presenta un picco), l’incremento di pressione interstiziale ∆u è inizialmente positivo, poi diviene negativo (comportamento duale
della curva εa-εv della prova TxCID).
Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa sono portati a rottura in condizioni non drenate si ottengono i risultati mostrati in
Figura 11.28.
In Figura 11.29 sono messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di due provini della
stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate e
non drenate. Si può osservare che la tensione deviatorica a rottura per il provino non drenato è nettamente maggiore.
In Figura 11.30 sono invece messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di tre provini
della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate. Si può osservare che i
percorsi si svolgono sullo stesso piano v = cost e pervengono allo stesso punto della linea
di stato critico.
11 – 25
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
a) q
b) q
qc s
qc s
u0
∆uf
uf
B’ B
-
TSP
∆u
u
0
ESP
εa
A
c)
+
A’
p’0
d)
u
3
1
A
p0
p,p’
v
-
NC
L
εa
+
ESP
v0
B UR
L
A
p’0
∆u
p’f
p’c
p’
Figura 11.27 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in
prova TxCIU
a)
q
Linea di inviluppo
a rottura
B
B2 3
1
L
CS
M
B1
m
1
q
A1
A2
A3
p,p’
b)
v
CL L
N CS
URL
A1
B1
B2
A2
B3
OCR1 = p’c /p’0 1 = 6
A3
OCR2 = p’c /p’0 2 = 1.5
OCR3 = 1
p’0 1
p’0 2
p’c
p’
Figura 11.28 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla con differenti rapporti di
sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura
11 – 26
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
b)
a) q
q
L
CS
M
qc s u
qf u
q
qcf s
1
F
E
E
B
B
C
m
D
C D
εa
A
F
1
A
p’0
c)
p,p’
v
C
v0
D B
E
A C
p’0
F
URL NCL
CSL
p’c
p’
Figura 11.29 - Confronto fra i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate (TxCID) e non drenate
(TxCIU)
a) q
1
B
L
CS
M
C
A1
b)
A2
A3
p’
v
CL
N CSL
A2
A1 C B
A3
p’
Figura 11.30 - Percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in
condizioni non drenate
In Figura 11.31a sono rappresentate nello spazio p’-q-v le tre superfici (di Roscoe, di
Hvorslev e il piano limite di rottura per trazione) che assieme formano la Superficie di
Stato, la quale delimita il volume degli stati di tensione possibili.
11 – 27
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Anche per la superficie di Hvorslev e per il piano limite di trazione, come per la superficie di Roscoe, si può dare una rappresentazione normalizzata nel piano p’/p’e-q/p’e (Figura 11.31b). In particolare la superficie di Hvorslev normalizzata è una retta di equazione:
⎛ p' ⎞
q
= g + h ⋅ ⎜⎜ ' ⎟⎟
'
pe
⎝ pe ⎠
(Eq. 11.66)
ovvero:
q = g ⋅ p 'e + h ⋅ p'
(Eq. 11.67)
Essendo, per definizione:
⎛ N−v⎞
p 'e = exp⎜
⎟
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.68)
ed imponendo la condizione di appartenenza della CSL alla superficie di Hvorslev:
q = M ⋅ p'
(Eq. 11.69)
CSL
v = Γ − λ ⋅ ln p'
si ottiene il valore della costante g:
⎛ p' ⎞
g = (M − h ) ⋅ ⎜⎜ ' ⎟⎟
⎝ pe ⎠
e quindi l’espressione analitica della superficie di Hvorslev:
⎛Γ−v⎞
q = (M − h ) ⋅ exp⎜
⎟ + h ⋅ p'
⎝ λ ⎠
(Eq. 11.71)
(Eq. 11.72)
Dall’Eq. (11.72) si desume che la resistenza al taglio di un’argilla sovra-consolidata satura è somma di due termini i quali, oltre ad essere funzione delle costanti materiali (Μ, h,
Γ, λ) sono:
o il termine, h ⋅ p' , proporzionale alla pressione efficace media e corrispondente alla resistenza per attrito;
⎛Γ−v⎞
o il termine, (M − h ) ⋅ exp⎜
⎟ , dipendente dal volume specifico (ovvero dall’indice
⎝ λ ⎠
dei vuoti, ovvero dal contenuto in acqua) e corrispondente alla resistenza per coesione.
11 – 28
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
q
CSL
Superficie di Roscoe
p’
Superficie di Hvorslev
Piano limite di trazione
NCL
v
b)
q/p’e
CSL
Superficie di Hvorslev
Superficie di Roscoe
h
1
NCL
Piano limite di trazione
g
p/p’e
Figura 11.31 - Rappresentazione assonometria (a) e normalizzata (b) della Superficie di Stato
11.3 MODELLO CAM CLAY MODIFICATO (CCM)
11.3.1 Parete elastica (o Dominio elastico)
Si definisce parete elastica (o dominio elastico) nello spazio p’-q-v una superficie cilindrica avente come direttrice una linea di scarico-ricarico e come generatrice una retta parallela all'asse q, limitata dalla superficie di stato (Figura 11.32).
Un punto appartenente ad una parete elastica può muoversi liberamente su di essa provocando solo deformazioni elastiche.
11 – 29
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Un punto appartenente ad una parete elastica può spostarsi su un'altra parete elastica solo
raggiungendo prima la superficie limite e muovendosi anche su di essa. Nel percorso sulla
superficie limite si producono deformazioni plastiche (Figura 11.33).
q
q
CSL
CSL
Superficie di Roscoe
Superficie di Hvorslev
p’
p’
C
B
Parete
elastica
B’
A
C’
URL
NCL
NCL
v
v
Figura 11.32 - Parete elastica
Figura 11.33 - Percorso da una parete elastica ad un’altra parete elastica
Alla luce di quanto detto, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una
prova di compressione triassiale non drenata (TxCIU) si svolge interamente sul piano non
drenato (v = cost), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresentativo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una
parete elastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il
piano non drenato e la parete elastica (Figura 11.34).
Tale segmento nel piano p’-q è verticale, e quindi, non variando p’, non variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico lineare.
Analogamente, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di
compressione triassiale drenata (TxCID) si svolge interamente sul piano drenato
∆q
= 3 ), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresenta(
∆p'
tivo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete elastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano drenato e la parete elastica (Figura 11.35). Tale segmento nel piano p’-q ha pendenza 3:1, e
quindi, variando p’ variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico non
lineare.
11 – 30
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
q
q
CSL
Piano non drenato
CSL
Piano drenato
C
p’
1
3
p’
B
B
C
A
Parete elastica
A
Parete elastica
NCL
NCL
URL
v
v
Figura 11.34 - Percorso tensionale efficace in
prova TxCIU di un provino di argilla isotropicamente sovraconsolidato (AB = percorso elastico;
BC = percorso elasto-plastico)
11.3.2 Curva di plasticizzazione
URL
Figura 11.35 - Percorso tensionale efficace
in prova TxCID di un provino di argilla isotropicamente sovraconsolidato (AB = percorso elastico; BC = percorso elasto-plastico)
q
A - Stato di tensione elastico
Nello spazio delle tensioni esiste una
B - Inizio della plasticizzazione
curva, detta di curva di plasticizzazione
C - Stato elasto-plastico
(yield curve), che separa gli stati di tenM
sione che producono risposte elastiche
dagli stati di tensione che producono
Curva di plasticizzazione
espansa
risposte plastiche. Evidenze sperimentaC
li indicano che per i terreni la forma
Curva di plasticizzazione
iniziale
B
della curva di plasticizzazione nello
A
spazio delle tensioni p’-q è approssimativamente ellittica.
p’
p’ /2
p’
Nel modello CCM tale curva è rappresentata da un’ellisse F di equazione:
Figura 11.36 - Curva di plasticizzazione iniziale e sua
c
c
c
espansione in un percorso di carico per compressione
q2
(Eq. 11.72)
F = (p') − p'⋅p + 2 = 0
M
L’asse maggiore dell’ellisse corrisponde alla pressione di preconsolidazione p’c, l’asse
p'
minore vale M ⋅ c (Figura 11.36).
2
2
'
c
Considereremo nel seguito la curva di plasticizzazione per compressione, e quindi M =
Mc, ma analoghi concetti valgono anche per estensione, nel qual caso l’asse minore
dell’ellisse è più piccolo (essendo Me < Mc).
11 – 31
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Se lo stato di tensione di un elemento di terreno è rappresentato da un punto interno alla
curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto A di Figura 11.36) la risposta del terreno è
elastica.
Se lo stato di tensione è rappresentato da un punto sulla curva di plasticizzazione iniziale
(ad es. punto B) ogni incremento di tensione che comporti un movimento verso l’esterno
della curva è accompagnato da deformazioni elasto-plastiche e da un’espansione della superficie di plasticizzazione cosicché il punto rappresentativo dello stato di tensione permane sulla curva di plasticizzazione (punto C). Se il percorso dal punto C si muove verso
l’interno vi saranno deformazioni elastiche, poiché la curva di plasticizzazione si è espansa e la regione elastica è divenuta più grande.
Alla luce dei concetti espressi sul percorso tensionale efficace di un provino di argilla isotropicamente sovraconsolidato (che è inizialmente elastico e che quindi nel tratto iniziale
si svolge sulla parete elastica associata alla pressione di preconsolidazione), nonché sulla
forma ellittica della curva di plasticizzazione, tali percorsi nelle prove di compressione
triassiale standard, secondo il modello Cam Clay Modificato (MCC), sono quelli schematicamente rappresentati nelle Figure 11.37, 11.38, 11.39 e 11.40.
Se il punto di intersezione tra il percorso tensionale efficace e la curva di plasticizzazione
iniziale ha ascissa maggiore di p’c/2 (ovvero è nella metà destra dell’ellisse) si ha, durante
la fase di compressione assiale, un’espansione dell’ellisse, se invece il punto di intersezione ha ascissa minore di p’c/2 (ovvero è nella metà sinistra dell’ellisse) si ha una contrazione dell’ellisse.
b)
CSL
a) q
qf
q
F
F
qf
ESP
3
C 1
C
B
B
A
D
p’
E
c)
ε1
A
d)
v
v
NCL
CSL
A
A
B
B
D
C
C
E
F
vf
p’0
p’c p’f
F
p’
ε1
Figura 11.37 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla
debolmente sovraconsolidato
11 – 32
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
b)
CSL
a) q
q
qf
TSP
F
qf
F
C
B
A
c)
u0
B
3
1
D
p’,p
E
C
ε1
A
d)
∆u
v
NCL
CSL
vA = vf
F
C
B
C A B D
F
E
p’
p’f p’ p’c
0
ε1
A
Figura 11.38 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla
debolmente sovraconsolidato
b)
CSL
a) q
q
ESP
qf
C
qc s
B F
3
1
A
C
F
B
p’
D
c)
ε1
A
d)
εv
v
NCL
CSL
F
A B
C
D
B
p’0
p’c /2
p’c
p’
C
ε1
A
F
Figura 11.39 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla
fortemente sovraconsolidato
11 – 33
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
Con riferimento alla Figura 11.40, ovvero al comportamento previsto dal modello per una
compressione non drenata di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato, si
osserva che il percorso tensionale efficace fino al raggiungimento della curva di plasticizzazione, ovvero fino al valore di picco qf della tensione deviatorica è verticale (elasticolineare). Dunque sostituendo nell’equazione di F a p’ il valore di pressione media efficace
iniziale p’0 si ha:
(p )
' 2
0
q f2
− p ⋅p + 2 = 0
M
'
0
'
c
(Eq. 11.73)
e risolvendo per qf:
q f = M ⋅ p '0 ⋅ R 0 − 1 = 2 ⋅ c u
a) q
per R 0 > 2
b)
CSL
q
C
ESP
q
qcf s
C
A
c)
B
F
3
1
(Eq. 11.74)
∆uf
B
F
∆u c s
C
B
F
TSP
p’,p
D
u0
ε1
A
d)
∆u
v
NCL
CSL
A C B
F
D
∆uc s
p’0
p’c /2
p’c
p’
A
∆uf
C
ε1
B
F
Figura 11.40 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla
fortemente sovraconsolidato
11.3.3 Il calcolo delle deformazioni
Le deformazioni volumetriche
L’incremento di deformazione volumetrica totale dεv può in generale essere scomposto in
due parti: la prima elastica (reversibile) dεve e la seconda plastica (irreversibile) dεvp:
11 – 34
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
dε v = dε ev + dε pv
(Eq. 11.75)
Consideriamo un provino di terreno isotropicamente consolidato in cella triassiale ad una
pressione efficace media p’c e quindi decompresso isotropicamente fino alla pressione
media efficace p’0, come rappresentato dal percorso tensionale ODA in Figura 11.41. Esso risulterà sovraconsolidato con rapporto di sovraconsolidazione isotropa:
p 'c
R0 = '
p0
(Eq. 11.76)
La curva di plasticizzazione iniziale è l’ellisse che ha per asse maggiore il segmento OD. Il
provino venga poi sottoposto a
compressione assiale drenata
(TxCID).
Il suo ESP inizia nel punto A ed
è rettilineo con pendenza 3:1.
Fino a quando il percorso tensionale non raggiunge il punto
B, e quindi è interno alla curva
di plasticizzazione iniziale, il
comportamento è elastico. Dal
punto B il terreno inizia ad avere deformazioni elasto-plastiche.
a)
q,ε s
dε
p
p
CSL
F
B
dε s
C
p
dε v
ESP
3
A
O
v
1
D
E
p’,ε v
p’c
p’0
NCL
b)
CSL
A
B
D
Consideriamo l’incremento di
C
tensione corrispondente al tratto
E
F
BC dell’ESP. Esso produce
p’
un’espansione della superficie
di plasticizzazione come mo- Figura 11.41 - Determinazione delle deformazioni plastiche
strato nella Figura 11.41a.
La variazione (negativa) di volume specifico totale del provino per tale incremento di tensione vale, con riferimento alla Figura 11.41b, vale:
∆v = ( v C − v B ) = ( v C − v E ) + ( v E − v D ) + ( v D − v B )
(Eq. 11.77)
in cui
⎛ p' ⎞
v C − v E = κ ⋅ ln⎜⎜ 'E ⎟⎟
⎝ pC ⎠
(Eq. 11.78)
⎛ p'
v E − v D = λ ⋅ ln⎜⎜ D'
⎝ pE
⎞
⎟⎟
⎠
(Eq. 11.79)
⎛ p'
v D − v B = κ ⋅ ln⎜⎜ 'B
⎝ pD
⎞
⎟⎟
⎠
(Eq. 11.80)
11 – 35
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
La pressione p’E è la pressione efficace media di consolidazione della superficie di plasticizzazione espansa. Per passare dall’incremento di volume specifico all’incremento di deformazione volumetrica si utilizza la relazione: ∆εv = - ∆v/v0.
L’incremento di deformazione volumetrica elastica può essere calcolato con la relazione:
dε ev =
∆p'
K'
(Eq. 11.81)
Poiché le costanti elastiche (modulo di deformazione cubica K’, modulo di Young, E’, e
modulo di taglio, G) non sono costanti ma proporzionali alla pressione media efficace p’,
il valore di K’ da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ nell’intervallo
∆p’, ed è dato dall’equazione:
K' =
p 'm ⋅ v 0
κ
(Eq. 11.82)
La parte plastica dell’incremento di deformazione volumetrica si può infine ottenere per
differenza:
dε pv = dε v − dε ev
(Eq. 11.83)
In condizioni non drenate, essendo zero la deformazione volumetrica totale, risulterà:
dε ev = −dε pv
(Eq. 11.84)
Le deformazioni deviatoriche
Per determinare le deformazioni deviatoriche si fa l’ipotesi che, per un generico incremento di tensione (dp’, dq), l’incremento di deformazione plastica dε p sia un vettore con
direzione normale alla curva del potenziale plastico, e che quest’ultima coincida con la
curva di plasticizzazione F (ipotesi di normalità – legge di flusso associata) (Figura
11.41).
Per determinare la direzione normale alla curva di plasticizzazione si differenzia
l’equazione della curva di plasticizzazione F (Eq. 11.72) rispetto alle variabili p’ e q:
dF = 2 ⋅ p'⋅dp'− p 'c ⋅ dp'+2 ⋅ q ⋅
dq
=0
M2
(Eq. 11.85)
da cui, si ricava la direzione tangente alla curva:
(
)
p ' − 2 ⋅ p' ⋅ M 2
dq
= c
dp'
2⋅q
(Eq. 11.86)
e quindi la direzione normale alla curva:
−
dp'
2⋅q
=
dq
2 ⋅ p'− p 'c ⋅ M 2
(
)
(Eq. 11.87)
L’incremento di deformazione plastica totale dε p ha due componenti: l’incremento di deformazione volumetrica plastica dε pv – di cui abbiamo detto come calcolare il valore, e
11 – 36
Capitolo 11
STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO
l’incremento di deformazione deviatorica plastica dε sp . Il rapporto fra la componente deviatorica e la componente volumetrica è la direzione del vettore incremento di deformazione plastica totale, ovvero la direzione normale alla curva di plasticizzazione, dunque:
2⋅q
dp' dε Sp
−
= p = 2
dq dε v M ⋅ (2p'−p 'c )
da cui
dε sp =
2⋅q
⋅ dε pv
'
M ⋅ 2p'− p c
2
(
)
(Eq. 11.88)
La componente elastica dell’incremento di deformazione deviatorica può essere calcolata
con la teoria dell’elasticità:
dε se =
dq
3⋅G
(Eq. 11.89)
Per quanto già detto il valore di G da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio
di p’ ed è dato dall’equazione:
G=
3 ⋅ p 'm ⋅ v 0 ⋅ (1 − 2 ⋅ ν)
2 ⋅ κ ⋅ (1 + ν)
(Eq. 11.90)
11 – 37
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
CAPITOLO 13
SPINTA DELLE TERRE
La determinazione della spinta esercitata dal terreno contro un’opera di sostegno è un
problema classico di ingegneria geotecnica che, ancora oggi, nonostante l’enorme ampliamento delle conoscenze, viene affrontato utilizzando due teorie “storiche”, opportunamente modificate e integrate alla luce del principio delle tensioni efficaci: la teoria di
Rankine (1857) e la teoria di Coulomb (1776). Entrambi i metodi assumono superfici di
scorrimento piane, ma per effetto dell’attrito fra la parete e il terreno, le reali superfici di
scorrimento sono in parte curvilinee, ed risultati che si ottengono applicando i metodi
classici, specie per le condizioni di spinta passiva (resistente) sono spesso non cautelativi.
È pertanto opportuno riferirsi, almeno per il calcolo della spinta passiva, al metodo di Caquot e Kérisel (1948) che è il più noto e applicato metodo fra quelli che assumono superfici di scorrimento curvilinee.
13.1 Teoria di Rankine (1857)
Si consideri un generico punto
A alla profondità Z in un deposito di terreno incoerente (c’ =
0), omogeneo e asciutto (o comunque sopra falda), avente peso di volume γ costante con la
profondità, e delimitato superiormente da una superficie
piana e orizzontale (Figura
13.1).
σ’v0 = γ Z
σ’h0 = K 0 σ’v0
Z
A
Per ragioni di simmetria lo stato
tensionale (geostatico) è assial- Figura 13.1 – Tensioni geostatiche in un deposito di terreno
simmetrico. La pressione inter- omogeneo, incoerente, delimitato da una superificie piana e
stiziale è zero (terreno asciutto), orizzontale
per cui le tensioni totali ed efficaci coincidono.
Nel punto A:
- la tensione verticale σ'v0 è staticamente determinata dalla condizione di equilibrio alla
traslazione in direzione verticale, e vale: σ'v0 = γZ;
- la tensione orizzontale σ'h0 è eguale in tutte le direzioni, non è staticamente determinata, e vale: σ'h0 = K0 σ'v0.
Il coefficiente di spinta a riposo, K0, può essere misurato sperimentalmente o più spesso
stimato con formule empiriche1.
1
Per la stima del coefficiente di spinta a riposo, K0, sono state proposte diverse equazioni empiriche, come
già visto nel Capitolo 3, le più note e utilizzate delle quali sono:
13 – 1
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Poiché di norma K0 è minore di 1, la tensione verticale σ'v0 corrisponde alla tensione
principale maggiore σ'1, mentre la tensione orizzontale σ'h0 corrisponde alla tensione
principale minore σ'3. Per simmetria assiale la tensione principale intermedia σ'2 è eguale
alla tensione principale minore σ'3.
Sia la tensione verticale σ’v0 che la tensione orizzontale σ’h0 valgono zero in superficie
(Z=0) e variano linearmente con la profondità Z, rispettivamente con gradiente γ e con
gradiente K0 γ.
Assumiamo che il terreno abbia resistenza al taglio definita dal criterio di rottura di MohrCoulomb:
τ = σ'⋅ tan φ'
(Eq. 13.1)
τ
φ’
Cerchio O
In Figura 13.2 è rappresentato nel
piano di Mohr il cerchio corrispondente allo stato tensionale geostatico
nel punto A e la retta inviluppo a
rottura.
Supponiamo ora di inserire, a sinistra e a destra del punto A, due pareσ’ ti verticali ideali, cioè tali da non
σ’v0
σ’h0
modificare lo stato tensionale nel
terreno (Figura 13.3). Alla generica
profondità z, sui due lati di ciascuna
Figura 13.2 – Stato tensionale geostatico nel punto A
parete, si esercita la tensione orizzontale efficace σ'h0 = K0 γ z.
La spinta orizzontale S0 (risultante delle tensioni orizzontali efficaci) presente sui due lati
di ciascuna parete, dal piano di campagna fino ad una generica profondità H, vale:
H
S0 = ∫ σ 'h 0 ⋅ dz =
0
1
⋅ γ ⋅ H2 ⋅ K0
2
(Eq. 13.2)
La profondità Z0 della retta di applicazione di S0, vale:
H
Z0 =
∫σ
'
h0
⋅ z ⋅ dz
0
S0
per terreni NC:
=
(Eq. 13.3)
2
⋅H
3
K 0 ( NC) ≅ (1 − senφ')
K 0 (OC) ≅ K 0 ( NC) ⋅ OCR 0,5
Per avere un’idea anche quantitativa dei valori di K0 si consideri che per φ’=30°, applicando le equazioni
sopra scritte si stima:
per OCR = 1 (terreno normalmente consolidato)
K0 ≈ 0,50
per OCR = 2 (terreno debolmente sovraconsolidato)
K0 ≈ 0,71
per OCR = 4 (terreno mediamente sovraconsolidato)
K0 ≈ 1,00
per OCR = 10 (terreno fortemente sovraconsolidato)
K0 ≈ 1,58
ovvero, in un terreno NC la tensione geostatica orizzontale σ’h0 è circa la metà di quella verticale, per OCR
= 4 lo stato tensionale geostatico è isotropo, mentre per OCR > 4 la tensione geostatica orizzontale σ’h0 diviene tensione principale maggiore.
e per terreni OC:
13 – 2
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
che corrisponde alla profondità del baricentro dell’area triangolare del diagramma di pressione orizzontale di altezza H e base K0 γ H.
Supponiamo ora di allontanare gradualmente le due pareti (Figura 13.4). Nel punto A
permangono condizioni di simmetria, per cui le tensioni verticale ed orizzontali sono ancora principali. La tensione verticale σ’v0 = γZ non varia, mentre la tensione orizzontale
efficace si riduce progressivamente.
σ’h0
σ’h0
Z 0 = 2/3 H
σ’v0
A
σ’ha
H
A
S0
K 0γ H
K 0γ H
Figura 13.3 – Spinta a riposo
Figura 13.4 – Condizione di spinta attiva
Il cerchio di Mohr, rappresentativo dello stato tensionale in A, si modifica di conseguenza: la tensione principale maggiore σ’1 = σ’v0 rimane costante, mentre la tensione principale minore σ’3 si riduce progressivamente dal valore iniziale σ’h0 al valore minimo compatibile con l’equilibrio, σ’ha, detta tensione limite attiva, che corrisponde alla tensione
principale minore del cerchio di Mohr tangente alla retta di inviluppo a rottura (Figura
13.5).
Il raggio del cerchio di Mohr dello
π/4+ϕ’/2
stato di tensione limite attiva è
R = ½ (σ’v0-σ’ha), ed il centro è ad τ
una distanza dall’origine
φ’
OC = ½ (σ’v0+σ’ha).
Considerando il triangolo rettangolo
OFC (Figura 13.5), si ha:
τf
)
(
R
R = FC = OC ⋅ senφ'
(
)
1
1
⋅ σ 'v 0 − σ 'ha = ⋅ σ 'v 0 + σ 'ha ⋅ senφ'
2
2
σ 'ha ⋅ (1 + senφ' ) = σ 'v 0 ⋅ (1 − senφ' )
σ 'ha =
Cerchio A
Cerchio O
F
O
σ’ha
σ’
h0
C
σ’v0
σ’
Figura 13.5 – Stato tensionale attivo (limite inferiore)
1 − senφ' '
⎛ π φ' ⎞
⋅ σ v 0 = tan 2 ⎜ − ⎟ ⋅ σ 'v 0
1 + senφ'
⎝4 2⎠
13 – 3
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Il rapporto:
KA =
1 − senφ'
⎛ π φ' ⎞
= tan 2 ⎜ − ⎟
1 + senφ'
⎝4 2⎠
(Eq. 13.4)
è detto coefficiente di spinta attiva.
Dunque si può scrivere:
σ 'ha = K A ⋅ σ 'vo
(Eq. 13.5)
La tensione tangenziale critica, il cui valore τf è l’ordinata del punto F di tangenza del
cerchio di Mohr con la retta di inviluppo a rottura, agisce su un piano che forma un ango⎛ π φ' ⎞
lo di ⎜ + ⎟ con la direzione orizzontale (Figura 13.5). In condizioni di rottura per rag⎝4 2⎠
giungimento dello stato di equilibrio limite inferiore (spinta attiva), il terreno inizia a
scorrere lungo questi piani (Figura 13.6).
σ’v0
π/4+φ’/2
π/4+φ’/2
A
τf
A
Z
σ’ha
σ’f
Figura 13.6 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta attiva
La spinta orizzontale SA presente sui
lati interni di ciascuna parete ideale,
dal piano di campagna fino ad una generica profondità H (Figura 13.7), vale:
H
S A = ∫ σ 'hA ⋅ dz =
0
1
⋅ γ ⋅ H2 ⋅ KA
2
σ’ha
A
(Eq.
13.6)
Poiché anche in questo caso il diagramma di pressione orizzontale è
triangolare, la profondità ZA della retta
di applicazione di SA vale:
ZA =
2
⋅ H = Z0
3
(Eq. 13.7)
Z A= 2/3 H
H
SA
KAγ H
Figura 13.7 – Diagramma delle tensioni efficaci orizzontali in condizione di spinta attiva
13 – 4
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Se si suppone ora di avvicinare le due pareti verticali ideali, alla destra ed alla sinistra del
punto A, la tensione verticale efficace non subisce variazioni mentre quella orizzontale
progressivamente cresce fino al valore massimo compatibile con il criterio di rottura di
Mohr-Coulomb (Figura 13.8).
In tali condizioni la tensione verticale
efficace, corrisponde alla tensione
principale minore, σ’v0 = σ’3, e quella
orizzontale, detta tensione limite passiva, σ’hp, alla tensione principale maggiore, σ’hp = σ’1 (Figura 13.9).
σ’hp
Procedendo in modo analogo a quanto
già fatto per la condizione di spinta attiva, si ottiene:
σ’v0
A
1 + senφ' '
⎛ π φ' ⎞
⋅ σ v 0 = tan 2 ⎜ + ⎟ ⋅ σ 'v 0
1 − senφ'
⎝4 2⎠
σ 'hp =
(Eq. 13.8)
Il rapporto:
KP =
1 + senφ'
⎛ π φ' ⎞ 1
= tan 2 ⎜ + ⎟ =
1 − senφ'
⎝ 4 2 ⎠ KA
Figura 13.8 – Condizione di spinta passiva
(Eq. 13.9)
è detto coefficiente di spinta passiva.
Le tensioni tangenziali critiche agi- τ
scono su piani che formano un ango⎛ π φ' ⎞
lo di ⎜ − ⎟ con la direzione oriz⎝4 2⎠
π/4-φ’/2
τf
φ’
F
Cerchio P
R
Cerchio O
zontale (Figura 13.9). In condizioni
di rottura per raggiungimento dello
stato di equilibrio limite superiore
O
C
σ’h0
σ’v0 C
σ’hp σ’
(spinta passiva), il terreno inizia a
scorrere lungo questi piani (Figura Figura 13.9 – Stato tensionale passivo (limite superiore)
13.10).
La spinta orizzontale SP presente sui lati interni di ciascuna parete ideale dal piano di
campagna fino ad una generica profondità H (Figura 13.11), vale:
H
S P = ∫ σ 'hP ⋅ dZ =
0
1
⋅ γ ⋅ H2 ⋅ KP
2
(Eq. 13.10)
Poiché anche in questo caso il diagramma di pressione orizzontale è triangolare la profondità ZP della retta di applicazione di SP, vale:
ZP =
2
⋅ H = Z0
3
(Eq. 13.11)
13 – 5
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
I coefficienti di spinta attiva, KA, e passiva, KP, rappresentano i valori limite, rispettivamente inferiore e superiore, del rapporto tra le tensioni efficaci orizzontale e verticale:
KA ≤
σ 'h
σ 'v 0
≤ KP
(Eq. 13.12)
In particolare il valore del coefficiente di spinta a riposo, K0, è compreso tra il valore di
KA e quello di KP.2
σ’v0
π/4 - φ’/2
π/4 - φ’/2
A
τf
σ’hp
Z
σ’ f
A
Figura 13.10 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta passiva
σ’hp
Z P= 2/3 H
A
H
SP
KP γ H
Figura 13.11 – Diagramma delle tensioni efficaci orizzontali in condizione di spinta passiva
2
Utilizzando per la stima di K0 le equazioni empiriche viste in precedenza si può constatare che i valori di
K0 sono molto più prossimi al limite inferiore KA che al limite superiore KP.
A titolo di esempio per φ’ = 30° si stima: KA = 0,333; K0 = 0,5; KP = 3
13 – 6
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
13.1.1 Osservazioni sperimentali sull’effetto del movimento della parete sul diagramma
di pressione orizzontale
La distribuzione delle pressioni orizzontali dipende dal movimento della parete.
In Figura 13.12 sono qualitativamente
mostrati i diagrammi di pressione orizzontale contro una parete rigida in funzione del movimento della parete. Inoltre, è stato sperimentalmente osservato
(Tabella 13.1 e Figura 13.13) che le deformazioni di espansione necessarie per
far decadere la pressione orizzontale dal
valore σ’h0, che corrisponde allo stato
indeformato, al valore limite inferiore
σ’ha, sono piccole, e comunque molto
inferiori alle deformazioni di compressione necessarie per far elevare la pressione orizzontale dal valore σ’h0, al valore limite superiore σ’hp. Pertanto è
buona norma riferirsi all’angolo di resistenza al taglio di picco per il calcolo
della spinta attiva, ed all’angolo di resistenza al taglio a volume costante (ovvero per grandi deformazioni) per il calcolo della spinta passiva.
13.1.2 Effetto dell’inclinazione
superficie del deposito
Passiva
Kp
Attiva
Rotazione rispetto alla testa K a K 0
Passiva
Kp
Pressione orizzontale
Pressione orizzontale
Rotazione rispetto al piede
Passiva
Attiva
KaK0
Pressione orizzontale
Attiva
della
Se il deposito di terreno incoerente (c’ =
KaK0
Traslazione uniforme
0), omogeneo e asciutto, avente peso di K p
volume γ costante con la profondità, è
delimitato superiormente da una superficie piana, inclinata di un angolo β < φ’ Figura 13.12 – Diagrammi di pressione orizzontarispetto all’orizzontale, le tensioni prin- le contro una parete rigida. Dipendenza dai mocipali non corrispondono più alle tensio- vimenti della parete
ni verticale ed orizzontali.
Si consideri un concio di terreno di larghezza b e altezza Z, delimitato inferiormente da una superficie parallela al piano campagna e lateralmente da due superfici ideali verticali (Figura 13.14). Per ragioni di simmetria, le risultanti delle tensioni che agiscono sulle due superfici laterali sono due forze S,
eguali ed opposte, aventi la stessa retta d’azione inclinata dell’angolo β sull’orizzontale.
Consideriamo l’equilibrio del concio:
- le forze S si elidono l’una con l’altra e non intervengono nelle equazioni di equilibrio;
- il concio ha peso W = γ Z b; la forza W è verticale;
13 – 7
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
- la base del concio ha lunghezza l = b/cosβ;
- la risultante delle tensioni normali alla base del concio vale: N = W cosβ ;
- la risultante delle tensioni tangenziali alla base del concio vale: T = W sen β;
- la tensione normale alla base del concio vale: σ’n =N/l = γ Z cos2 β;
- la tensione tangenziale alla base del concio vale: τ =T/l = γ Z sen β cos β.
Tabella 13.1: Entità delle rotazioni della parete per raggiungere la rottura (con riferimento ai
simboli di Figura 13.13)
Terreno
Rotazione Y / H
Compressione
(Stato attivo)
(Stato passivo)
Incoerente denso
0,001
0,020
Incoerente sciolto
0,004
0,060
Coesivo consistente
0,010
0,020
Coesivo molle
0,020
0,040
Nel piano di Mohr il punto Q di coordinate σ’n – τ rappresenta la tensione agente sul piano di base del concio, alla
profondità Z inclinato dell’angolo β rispetto all’orizzontale. Il punto Q appartiene ad una retta di equazione τ = σ’
tan β (Figura 13.15).
Il segmento OQ = γZ cos β = σ’v0 rappresenta la tensione verticale sul piano
alla base del concio.
Rapporto tra pressione orizzontale e verticale, K
Decompressione
Sabbia densa
Sabbia sciolta
Kp
Stato attivo
Ka
Stato passivo
K0
Sabbia sciolta
Sabbia compatta
Sabbia densa
Tutti i cerchi di Mohr passanti per il
Rotazione del muro, Y/H
punto Q e sottostanti alla retta di inviluppo a rottura di equazione τ = σ’ tanφ’ Figura 13.13 – Effetti del movimento della parete
rappresentano stati di tensione alla pro- sulla pressione orizzontale esercitata da sabbia
fondità Z compatibili con l’equilibrio.
Lo stato di tensione limite inferiore (attivo) e lo stato di tensione limite superiore (passivo) alla profondità Z sono rappresentati dai cerchi A e P di Figura 13.16.
I segmenti OA e OP (essendo A e P il polo dei relativi cerchi) sono rispettivamente il valore minimo, in condizioni di spinta attiva, ed il valore massimo, in condizioni di spinta
passiva, della tensione, inclinata dell’angolo β sull’orizzontale, agente sulla superficie
verticale alla profondità Z (il piano verticale non è principale, su di esso insistono una
tensione normale ed una tensione tangenziale).
13 – 8
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
b
β
S
S
τ
φ’
Z
W
Q
β
τ = γ Z senβcosβ
T
O
N
σ’
2
σ’n = γ Z cos β
l
Figura 13.14 – Condizione di equilibrio in Figura 13.15 – Stato di tensione sul piano alla base
un semispazio omogeneo, incoerente e a- del concio
sciutto delimitato da una superficie piana e
inclinata
τ
φ’
Cerchio P
Cerchio A
A
O
β
P
E
Q
B
σ’
C
Figura 13.16 – Stati di tensione limite in un deposito di terreno incoerente in pendio
Le spinte attiva, SA, e passiva, SP, sono le forze limite di equilibrio agenti su una parete
verticale e inclinate dell’angolo β rispetto all’orizzontale, corrispondenti alle rispettive aree dei diagrammi di pressione.
Si consideri il cerchio A:
σ 'a = OA = OB − AB
OQ = γ ⋅ Z ⋅ cos β = OB + BQ = OB + AB
⎛ OB − AB ⎞
σ 'a = ⎜
⎟ ⋅ γ ⋅ Z ⋅ cos β
⎝ OB + AB ⎠
OB = OC ⋅ cos β
AC = EC = R = OC ⋅ senφ'
BC = OC ⋅ senβ
AB = AC 2 − BC 2 =
(OC ⋅ senφ')2 − (OC ⋅ senβ)2
13 – 9
= OC ⋅ senφ' 2 −senβ 2
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
⎛ OC ⋅ cos β − OC ⋅ senφ' 2 −senβ 2
σ 'a = ⎜
⎜ OC ⋅ cos β + OC ⋅ senφ' 2 −senβ 2
⎝
⎛ cos β − cos β 2 − cos φ' 2
=⎜
⎜ cos β + cos β 2 − cos φ' 2
⎝
2
2
⎛
⎞
⎟ ⋅ γ ⋅ Z ⋅ cos β = ⎜ cos β − 1 − cos φ' −1 + cos β
⎜ cos β + 1 − cos φ' 2 −1 + cos β 2
⎟
⎝
⎠
⎞
⎟ ⋅ γ ⋅ Z ⋅ cos β =
⎟
⎠
⎞
⎟ ⋅ γ ⋅ Z ⋅ cos β
⎟
⎠
Da cui:
σ 'a = K A ⋅ σ' v 0
(Eq. 13.13)
essendo:
KA
⎛ cos β −
= ⎜⎜
⎜ cos β +
⎝
cos β 2 − cos φ' 2 ⎞⎟
⎟
cos β 2 − cos φ' 2 ⎟⎠
(Eq. 13.14)
La spinta attiva, dal piano di campagna fino alla profondità Z, è data da:
S A = γ ⋅ cos β ⋅
Z2
⋅ KA
2
(Eq. 13.15)
Analogamente, considerando il cerchio P, si ottiene:
σ 'p = K P ⋅ σ' v 0
(Eq. 13.16)
essendo:
⎛ cos β + cos β 2 − cos φ' 2
KP = ⎜
⎜ cos β − cos β 2 − cos φ' 2
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
(Eq. 13.17)
La spinta passiva dal piano di campagna fino alla profondità Z risulta:
S P = γ ⋅ cos β ⋅
Z2
⋅ KP
2
(Eq. 13.18)
Per la condizione di spinta a riposo, staticamente indeterminata, si assume in genere:
K 0,i = K 0 ⋅ (1 + senβ) = (1 − senφ' ) ⋅ (1 + senβ)
13 – 10
(Eq. 13.19)
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
13.1.3 Effetto della coesione
τ
φ’
F
R
c’
O
c’
tan ϕ’
σ’3
C
σ’1
σ1’ + σ’3
2
Se il deposito di terreno asciutto,
omogeneo e delimitato da una
superficie orizzontale è dotato
anche di coesione oltre che di attrito, ovvero ha resistenza al taglio definita dal criterio di rottura
di Mohr-Coulomb:
σ’
τ = c'+ σ'⋅ tan φ'
(Eq. 13.20)
Figura 13.17 – Stato tensionale di equilibrio limite per un
terreno dotato di coesione e di attrito
Le relazioni che legano le tensioni principali per uno stato tensionale di equilibrio limite sono le
seguenti (Figura 13.17):
⎛ π φ' ⎞
⎛ π φ' ⎞
σ1' = σ 3' ⋅ tan 2 ⎜ + ⎟ + 2 ⋅ c'⋅ tan ⎜ + ⎟
⎝4 2⎠
⎝4 2⎠
(Eq. 13.21)
⎛ π φ' ⎞
⎛ π φ' ⎞
σ 3' = σ1' ⋅ tan 2 ⎜ − ⎟ − 2 ⋅ c'⋅ tan ⎜ − ⎟
⎝4 2⎠
⎝4 2⎠
(Eq. 13.22)
Pertanto, in condizioni di spinta attiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla
tensione principale minore e la tensione verticale a quella maggiore, si ha:
⎛ π φ' ⎞
⎛ π φ' ⎞
σ 'h ,a = γ ⋅ Z ⋅ tan 2 ⎜ − ⎟ − 2 ⋅ c'⋅ tan ⎜ − ⎟ = γ ⋅ Z ⋅ K A − 2 ⋅ c'⋅ K A
⎝4 2⎠
⎝4 2⎠
(Eq. 13.23)
Poiché il terreno non ha resistenza a trazione, l’equazione soprascritta è valida per Z > Zc,
essendo Zc la profondità critica per la quale risulta σ’ha = 0:
Zc =
2 ⋅ c'
(Eq. 13.24)
γ ⋅ KA
mentre per Z < Zc si assume σ’h = 0.
Per il calcolo della spinta attiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al diagramma di Figura 13.183.
In condizioni di spinta passiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla tensione
principale maggiore e la tensione verticale a quella minore, si ha:
⎛ π φ' ⎞
⎛ π φ' ⎞
σ 'h ,p = γ ⋅ Z ⋅ tan 2 ⎜ + ⎟ + 2 ⋅ c'⋅ tan ⎜ + ⎟ = γ ⋅ Z ⋅ K P + 2 ⋅ c'⋅ K P
⎝4 2⎠
⎝4 2⎠
(Eq. 13.25)
Per il calcolo della spinta passiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al
diagramma di Figura 13.19:
3
Nella fascia di spessore Zc il terreno sarà interessato da fessure verticali di trazione che possono riempirsi
di acqua, ad esempio per la pioggia. Si tiene conto di tale possibilità considerando, per il calcolo della spinta, anche un triangolo di pressione idrostatica di altezza Zc e base γw Zc.
13 – 11
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
S P ( Z) = S P ,1 + S P , 2 = 2 ⋅ c'⋅ K P ⋅ Z +
Z(S P ) =
S P ,1 ⋅
1
⋅ γ ⋅ Z2 ⋅ K P
2
(Eq. 13.26)
Z
2
+ SP,2 ⋅ ⋅ Z
2
3 ⋅
S P ( Z)
(Eq. 13.27)
2 c’ K a
2 c’ K p
ZC =
2/3 (Z - Z C )
2c’
SW
γ Ka
Z/2
2/3 Z
γ w Ζc
Z
Z
S’P,1
S’P,2
S’A
σ’ (Z)
σ’ (Z)
ha
hp
Figura 13.18 – Diagramma di spinta attiva in Figura 13.19 – Diagramma di spinta passiva in
un terreno dotato di coesione e attrito
un terreno dotato di coesione e attrito
Nel caso in cui, in presenza di un
τ
terreno coesivo, si faccia riferimento a condizioni non drenate
(come quelle che possono verifiϕ=0
carsi immediatamente dopo l’esecuzione di uno scavo o la costru- cu
zione di un’opera di sostegno), per
σ
σ’ σ
σ v0
σ h,p
h,a
determinare la spinta attiva e passiva bisogna applicare il criterio di
rottura di Mohr-Coulomb (Eq.
13.20) in termini di tensioni totali
Figura 13.20 – Stati pensionali limite attivo e passivo
(ϕ = 0, c = cu) e le tensioni limite per un terreno coesivo in condizioni non drenate
attiva e passiva diventano rispettivamente (Figura 13.20):
f
σ ha = σ v 0 − 2c u
(Eq. 13.28)
σ hp = σ v 0 + 2c u
(Eq. 13.29)
13 – 12
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
13.1.4 Terreni stratificati
Se il deposito di terreno è costituito da strati orizzontali omogenei, la spinta totale esercitata sulla parete verticale è la somma dei contribuiti di ciascuno strato. Il generico strato iesimo, di spessore Hi, fra le profondità Zi-1 e Zi, costituto da un terreno avente peso di volume γi e resistenza al taglio: τ = c i' + σ'⋅ tan φ i' , eserciterà contro la parete verticale ideale
una spinta Si pari all’area del diagramma delle pressioni orizzontali nel tratto di sua competenza, applicata alla quota del baricentro di tale area (Figura 13.21).
σ’
σ’
ha
H1
1
H2
2
σ’ (Z
i-1
Hi
ha
i-1
hp
σ’ (Z
)
hp
i-1
)
S’A,i
i
S’P,,i
σ’ (Z )
i+1
ha
σ’ (Z )
i
Z
hp
i
Z
Figura 13.21 – Spinta attiva e passiva in un terreno a strati orizzontali omogenei
La tensione verticale agente al tetto dello strato i-esimo, alla profondità Zi-1, vale:
i −1
σ 'v 0 ( Z i −1 ) = ∑ γ j ⋅ H j
(Eq. 13.30)
j=1
La tensione verticale agente alla base dello strato i-esimo, alla profondità Zi, vale:
σ 'v 0 ( Z i ) = σ 'v 0 ( Z i −1 ) + γ i ⋅ H i
(Eq. 13.31)
Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta attiva è un trapezio avente:
altezza
Hi,
base minore
σ 'ha ( Z i −1 ) = σ 'v 0 ( Z i −1 ) ⋅ K A ,i − 2 ⋅ c i' ⋅ K A ,i ≥ 0 ,
e base maggiore
σ 'ha ( Z i ) = σ 'v 0 ( Z i ) ⋅ K A ,i − 2 ⋅ c i' ⋅ K A ,i ≥ 0
Poiché il terreno non ha resistenza a trazione:
-
se i valori di σ’ha(Zi-1) e di σ’ha(Zi), calcolati con le formule precedenti, risultano entrambi minori di zero lo strato non esercita alcuna spinta,
13 – 13
Capitolo 13
-
SPINTA DELLE TERRE
se il valore di σ’ha(Zi-1), calcolato con la formula precedente, risulta minore di zero per
il calcolo della spinta si considera il diagramma di pressione positiva triangolare4 (ovvero si assume σ’ha(Zi-1) = 0).
Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta passiva è un trapezio avente:
altezza
Hi,
base minore
σ 'hp ( Z i −1 ) = σ 'v 0 ( Z i −1 ) ⋅ K P ,i + 2 ⋅ c i' ⋅ K P ,i ,
e base maggiore
σ 'hp ( Z i ) = σ 'v 0 ( Z i ) ⋅ K P ,i + 2 ⋅ c i' ⋅ K P ,i
13.2 Teoria di Coulomb (1776)
Molto prima di Rankine, il problema della determinazione della spinta esercitata dal terreno su un’opera di sostegno era stato affrontato dall’ingegnere militare francese Coulomb con un metodo basato sull’equilibrio delle forze in gioco.
Si consideri una parete di altezza H che sostenga un terrapieno di sabbia omogenea e asciutta.
Per semplicità di esposizione assumiamo, per il momento, le seguenti ipotesi:
1.
assenza di attrito tra parete e terreno,
2.
parete del muro verticale,
3.
superficie del terrapieno orizzontale,
4.
terreno omogeneo, incoerente e asciutto, con peso di volume γ e resistenza al taglio:
τ = σ’ tanφ’
5.
superficie di scorrimento piana.
Per determinare il valore della spinta attiva, PA, limite inferiore dell’equilibrio, supponiamo di traslare gradualmente la parete verso l’esterno fino a produrre la rottura del terreno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distacco di un cuneo di terreno ABC che scorre verso l’esterno e verso il basso su una superficie di rottura piana e inclinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.22). Il cuneo ABC trasla nella posizione A’B’C’.
In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poligono delle forze di Figura 13.23, sono:
- il peso proprio W =
1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ cot η , che agisce in direzione verticale,
2
- la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che è
inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente tangente diretta verso l’alto, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cuneo,
4
In entrambi i casi, nelle zone non compresse in direzione orizzontale si dovrà tenere conto della spinta esercitata dall’acqua di percolazione.
13 – 14
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
- e la spinta attiva PA, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attrito tra parete e terreno.
H
tan η
C
B
B’
PA
C’
H
W
PA
A
η
R
R
η−φ’
W
φ’
A’
Figura 13.22 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb
Figura 13.23 – Poligono delle forze
relativo al cuneo di spinta attiva di
Coulomb
Per l’equilibrio è:
PA = W ⋅ tan(η − φ' ) =
1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ cot η ⋅ tan (η − φ') = f (η)
2
(Eq. 13.32)
Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite attivo,
ηcrit, e quindi PA, occorre fare la ricerca di massimo5 della funzione f(η), che può essere
∂P
condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: A = 0 .
∂η
Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:
η crit =
π φ'
+
4 2
(Eq. 13.33)
Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PA si ottiene infine:
PA =
1
⎛ π φ' ⎞ 1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ tan 2 ⎜ − ⎟ = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ K A
2
⎝4 2⎠ 2
(Eq. 13.34)
L’espressione trovata coincide con quella di Rankine.
Analogamente, per determinare il valore della spinta passiva, PP, limite superiore
dell’equilibrio, supponiamo di traslare gradualmente la parete verso l’interno fino a produrre la rottura del terreno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distac5
Si tratta di una ricerca di massimo (e non di minimo) della funzione f(η), poiché si ricerca il valore di η
corrispondente al cuneo critico, ovvero al cuneo che richiede il valore più alto di PA per l’equilibrio limite
inferiore. Se si immagina, partendo ad esempio dalla condizione a riposo, di ridurre progressivamente la
forza P, quando si perviene al valore PA si manifesta la rottura con la formazione del cuneo inclinato
dell’angolo ηcrit sull’orizzontale.
13 – 15
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
co di un cuneo di terreno ABC che scorre verso l’interno e verso l’alto su una superficie
di rottura piana e inclinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.24). Il
cuneo ABC trasla nella posizione A’B’C’.
In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poligono delle forze di Figura 13.25, sono:
H
tan η
B’
C’
B
η+φ’
C
R
W
H
W
PP
η
φ’
R
PP
A’
A
Figura 13.24– Cuneo di spinta passiva Coulomb
-
il peso proprio W =
Figura 13.25– Poligono delle forze
relativo al cuneo di spinta passiva di
Coulomb
1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ cot η , che agisce in direzione verticale,
2
la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che
è inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente
tangente diretta verso il basso, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cuneo,
- e la spinta attiva PP, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attrito tra parete e terreno.
Per l’equilibrio è:
PP = W ⋅ tan(η + φ' ) =
1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ cot η ⋅ tan (η + φ') = f (η)
2
(Eq. 13.35)
Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite passivo,
ηcrit, e quindi Pp, occorre fare la ricerca di minimo della funzione f(η), che può essere
∂P
condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: P = 0 .
∂η
Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:
η crit =
π φ'
−
4 2
(Eq. 13.36)
Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PP si ottiene infine:
13 – 16
Capitolo 13
PP =
SPINTA DELLE TERRE
1
⎛ π φ' ⎞ 1
⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ tan 2 ⎜ + ⎟ = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ K P
2
⎝4 2⎠ 2
(Eq. 13.37)
L’espressione trovata coincide con quella di Rankine.
Le ipotesi semplificative inizialmente introdotte, eccetto l’ipotesi
di superficie di scorrimento piana,
possono essere rimosse, a costo di
una soluzione analitica più complessa o a costo di rinunciare alla
soluzione analitica per una soluzione grafica o numerica.
β
λ
W
H
δ
φ’
PA
R
Si considerino, ad esempio gli
η
schemi delle Figure 13.26 e 13.27,
che rappresentano i cunei di spinta
attiva e passiva nelle seguenti ipo- Figura 13.26 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati,presenza di attrito tra terreno e
tesi:
muro, terreno incoerente)
-
parete di altezza H inclinata di
un angolo λ sulla verticale,
-
terrapieno omogeneo e incoerente delimitato da una superficie inclinata di un angolo
β sull’orizzontale,
-
presenza di attrito tra parete e terreno, con coefficiente d’attrito tanδ,
-
superficie di scorrimento piana.
β
H
PP
W
λ
δ
φ’
R
η
Figura 13.27 – Cuneo di spinta passiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati, presenza di attrito tra terreno e muro, terreno incoerente)
Sviluppando il calcolo analitico, con riferimento ai simboli delle figure, si ottiene
-
per la condizione di spinta attiva:
13 – 17
Capitolo 13
PA =
SPINTA DELLE TERRE
1
⋅ γ ⋅ H2 ⋅ KA
2
KA =
(Eq. 13.38)
cos 2 (φ'−λ )
⎡
sen (δ + φ') ⋅ sen (φ'−β) ⎤
cos λ ⋅ cos(λ + δ ) ⋅ ⎢1 +
⎥
cos(λ + δ ) ⋅ cos(λ − β) ⎦
⎣
2
2
(Eq. 13.39)
- e per la condizione di spinta passiva:
PP =
1
⋅ γ ⋅ H2 ⋅ KP
2
KP =
(Eq. 13.40)
cos 2 (φ'+λ )
⎡
sen (δ + φ') ⋅ sen (φ'+β) ⎤
cos λ ⋅ cos(λ − δ ) ⋅ ⎢1 −
⎥
cos(λ − δ ) ⋅ cos(λ − β) ⎦
⎣
2
2
(Eq. 13.41)
In Figura 13.28 è schematicamente rappresentato il caso per la condizione di spinta attiva
nell’ipotesi, ancor più generale, di :
-
parete non verticale,
-
terreno dotato di coesione e di attrito (τ = c’ + σ’ tanφ’),
-
superficie del terrapieno inclinata,
-
resistenza per adesione ed attrito all’interfaccia parete-terreno (τ = ca + σ’ tanδ),
-
fessure di trazione nella fascia superiore di terreno (per la condizione di spinta attiva)6.
La soluzione può essere ricercata per via grafica, con la costruzione di Culmann rappresentata in Figura 13.29, o numerica.
Per lo spessore della zona di trazione si assume:
⎡ ⎛ c ⎞⎤
2 ⋅ c'⋅ ⎢1 + ⎜ a ⎟⎥
⎣ ⎝ c' ⎠ ⎦
Zc =
γ ⋅ KA
(Eq. 13.42)
La teoria di Coulomb è più versatile della teoria di Rankine, poiché permette di risolvere
condizioni geometriche e di carico generali ed è alla base del più diffuso metodo pseudostatico di calcolo della spinta in condizioni sismiche.
6
Come già detto, nelle fessure di trazione può infiltrarsi acqua di percolazione, per cui è opportuno considerare anche la conseguente spinta idrostatica aggiuntiva.
13 – 18
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
PA
β
D
Zc
A
R
E
W
C’
Ca F
W
Ca
φ’
PA
η
R
C’ = c’ BC
CA= ca BC
B
C’
δ
Figura 13.28 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati,presenza di attrito tra terreno e muro, terreno coesivo)e poligono delle forze
Zc
C’
Linea di Culmann
φ’
C’
Ca
C
Poligono delle forze
(su una sezione)
Diagramma delle forze
Figura 13.29 – Costruzione di Culmann
13.3 Teoria di Caquot e Kérisel
Sia la teoria di Rankine che quella di Coulomb ipotizzano superfici di scorrimento piane.
Tale ipotesi non è verificata a causa dell’interazione fra la parete dell’opera di sostegno
ed il terreno. In Figura 13.30 sono mostrati gli effetti dell’attrito parete-terreno sulla forma della superficie di scorrimento, per i casi di:
a) spinta passiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’interno e verso l’alto rispetto al movimento del muro (δ < 0).
b) spinta attiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’esterno e verso il basso rispetto al movimento del muro (δ > 0);
I casi a) e b) possono essere confrontati con le soluzioni di Coulomb per la spinta attiva e
passiva.
13 – 19
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
a)
C
A A’
π/4 - φ’/2
b)
A’ A
C
π/2+φ’
H
π/4 + φ’/2
π/2 - φ’
δ
H/3
B
PP
D
H
PA
δ
D
H/3
B
Figura 13.30 – Effetto dell’attrito parete-terreno sulla forma della superficie di scorrimento, nel
caso di spinta passiva (a) e attiva (b)
+β
La soluzione fu ottenuta per via numerica da Caquot e Kérisel (1948) accoppiando le teorie di Rankine e di Boussinesq, ed è riportata in grafici e tabelle
in termini di coefficienti di spinta al
variare degli angoli di resistenza al ta+λ
+δ
glio φ’, di attrito parete-terreno δ, di
inclinazione della parete rispetto alla
verticale λ, e di inclinazione del piano
che delimita il terrapieno rispetto
all’orizzontale β, con la convenzione Figura 13.31 – Convenzione sui segni delle variabisui segni indicata in Figura 13.31.
li angolari nelle Tabelle di Caquot and Kérisel
13.3.1 Dipendenza di KA e KP dall’angolo δ
Il valore di δ non può superare il valore di φ’, poiché in tal caso si formerebbe una pellicola di terreno solidale alla parete e lo scorrimento avverrebbe internamente al terreno
con coefficiente di attrito tanφ’. I coefficienti di spinta KA e KP crescono con continuità da
δ = +φ’ a δ = -φ’. Il segno di δ dipende, come abbiamo detto, dal movimento verticale relativo fra la parete e il terreno. In generale:
-
in condizioni di spinta attiva, il terreno si abbassa rispetto alla parete e δ risulta compreso tra +φ’ e 0,
-
in condizioni di spinta passiva, il terreno sale rispetto alla parete e δ risulta compreso
tra 0 e -φ’.
In genere, ma in modo più o meno arbitrario, si assume δ = φ’/4 per pareti in muratura o
in cemento armato intonacate, e δ compreso tra 2/3φ’ e φ’/2 per pareti in muratura o in
cemento armato non lisciate.
A titolo di esempio in Tabella 13.2 sono riportati i valori di KA e di KP al variare di δ per
φ’=30°, β = 0° e λ = 0°. Si può osservare che in condizioni di spinta attiva il coefficiente
KA varia poco, ovvero è poco influenzato dalla rugosità della parete. In condizioni di
spinta passiva invece la dipendenza del coefficiente KP da δ è molto sensibile.
13 – 20
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Tabella 13.2 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di δ per
φ’=30°, β = 0° e λ = 0°
|δ|
30°
20°
10°
0°
KA
0,31
0,30
0,30
0,33
KP
6,56
5,25
4,02
3,00
13.3.2 Dipendenza di KA e KP dall’angolo β
Il valore dei coefficienti di spinta sia attiva che passiva cresce con β, poiché aumenta il
volume di terreno coinvolto nella rottura. A titolo di esempio in Tabella 13.3 sono riportati i valori di KA e di KP al variare di β per φ’ = 30°, λ = 0°, δ = φ’ in condizioni di spinta
attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva. Si osservi che il caso β = +φ’ = 30° in condizioni di spinta attiva (δ = φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio limite inferiore di Rankine, poiché la spinta PA risulta parallela alla superficie libera e, analogamente, in condizioni di spinta passiva (δ = -φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio
limite superiore di Rankine.
Tabella 13.3 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di β per
φ’=30°, λ = 0°, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.
β
-30°
-18°
0°
+18°
+30°
KA
0,232
0,257
0,308
0,409
0,866
KP
0,84
2,85
6,56
11,8
16,1
13.3.3 Dipendenza di KA e KP dall’angolo λ
In condizioni di spinta attiva, il coefficiente KA si riduce fino ad annullarsi quando
⎛ π φ' ⎞
⎟ , corrispondente all’inclinazione
⎝4 2⎠
⎞
⎛π
dei piani di scorrimento di Rankine, al valore λ = −⎜ − φ' ⎟ , che corrisponde all’angolo di
⎠
⎝2
l’angolo λ decresce gradualmente dal valore λ = ⎜ −
naturale declivio.
In condizioni di spinta passiva, il coefficiente KP cresce molto rapidamente quando
⎛π
⎝4
l’angolo λ diminuisce dal valore λ = ⎜ +
φ' ⎞
⎟ , corrispondente all’inclinazione dei piani di
2⎠
π
2
scorrimento di Rankine, al valore λ = − , che corrisponde ad una fondazione superficiale. A titolo di esempio, in Tabella 13.4 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA
e KP al variare di λ per β = 0°, φ’ = 30°, δ = + φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = - φ’ in
condizioni di spinta passiva.
In Tabella 13.5 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (seconda riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto δ/φ’ per terrapieno orizzontale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°). Come già detto, nella maggior parte dei
casi pratici, si assume che il rapporto δ/φ’ sia positivo in condizioni di spinta attiva e ne13 – 21
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
gativo in condizioni di spinta passiva. Si osserva che al crescere dell’angolo di resistenza
al taglio φ’ il coefficiente di spinta attiva KA decresce lentamente, mentre il coefficiente di
spinta passiva cresce molto rapidamente.
Tabella 13.4 - Soluzione di Caquot e Kérisel: coefficienti di spinta KA e KP al variare di λ per
φ’=30°, β = 0°, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.
λ
60°
45°
30°
15°
0°
-15°
-30°
-45°
-60°
-90°
KA
-
-
0,5
0,412
0,308
0,203
0,109
0,039
0
-
KP
0,8
1,65
2,80
4,4
6,56
9,5
13,6
19,2
27
52
13.3.4 Dipendenza di KA e KP dall’angolo φ’ e dal rapporto δ/φ’
Tabella 13.5 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (seconda
riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto |δ/φ’| per terrapieno orizzontale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°)
φ’
5°
10°
15°
20°
25°
30°
35°
40°
45°
50°
δ
=1
φ'
0,81
0,65
0,53
0,44
0,37
0,31
0,26
0,22
0,19
0,16
1,26
1,66
2,20
3,04
4,26
6,56
10,7
18,2
35,0
75,0
δ 2
=
φ' 3
0,81
0,66
0,54
0,44
0,36
0,30
0,25
0,20
0,16
0,13
1,24
1,59
2,06
2,72
3,61
5,25
8,00
12,8
21,0
41,0
δ 1
=
φ' 3
0,82
0,67
0,56
0,45
0,37
0,30
0,25
0,20
0,16
0,13
1,22
1,52
1,89
2,38
3,03
4,02
5,55
8,10
12,0
19,0
δ
=0
φ'
0,84
0,70
0,59
0,49
0,41
0,33
0,27
0,22
0,17
0,13
1,19
1,42
1,70
2,04
2,46
3,00
3,70
4,60
5,80
7,50
13.3.5 Confronto con la soluzione di Coulomb
Il metodo di Coulomb ipotizza e impone la forma della superficie di scorrimento piana.
Pertanto i valori di PA e di PP, rispettivamente ottenuti dalle condizioni di massimo e di
minimo, limitatamente alla forma imposta della superficie di scorrimento, non sono il
massimo ed il minimo assoluti, ovvero per qualunque ipotetica forma della superficie di
scorrimento. Pertanto i valori dei coefficienti di spinta attiva che si stimano con il metodo
di Coulomb sono sempre inferiori ai valori stimati con il metodo di Caquot e Kérisel, che
ipotizza una superficie di scorrimento curvilinea, e analogamente i valori dei coefficienti
di spinta passiva che si stimano con il metodo di Coulomb sono sempre superiori ai valori
stimati con il metodo di Caquot e Kérisel. Le differenze minori si osservano proprio
quando risulta minore la differenza fra le superfici ipotizzate. Nel caso di spinta attiva,
nella maggior parte dei casi pratici, ovvero per β, λ e δ positivi, le differenze sono modeste. Nel caso di spinta passiva invece le differenze possono essere molto sensibili, e poiché in genere la spinta passiva è una forza resistente, non è cautelativo calcolarla con il
metodo di Coulomb.
13 – 22
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Inoltre, come già fatto osservare, poiché le deformazioni necessarie per mobilitare la spinta passiva sono molto grandi, il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio non è,
come nel caso di spinta attiva, il valore di picco, ma piuttosto il valore critico, a volume
costante.
13.4 Spinta dovuta alla pressione interstiziale
Le teorie sulla spinta delle terre che abbiamo esaminato si riferiscono a terreni asciutti o
comunque non sotto falda e quindi con acqua nei pori non in pressione (si ricorda che
convenzionalmente e per semplicità si assume in genere che l’acqua nei pori possa avere
pressione solo positiva, ovvero maggiore della pressione atmosferica. Si assume che
l’acqua presente nei terreni sopra falda sia a pressione zero).
Se un terreno è anche solo parzialmente sotto falda, la spinta totale esercitata contro una
parete sarà somma di due forze: la prima forza è la spinta esercitata dal terreno, valutata
con le formule sopra citate, utilizzando le tensioni verticali efficaci7, la seconda forza è la
spinta esercitata dall’acqua interstiziale. Quest’ultima si calcola integrando il diagramma
delle pressioni interstiziali.
La presenza di acqua in pressione
contro una parete di sostegno del
terreno determina un forte incremento della spinta totale, pertanto,
ove possibile, è sempre opportuno
realizzare opere di drenaggio a tergo
dell’opera allo scopo di abbattere il
livello di falda.
Z
w
1 (Zw + 2Z)
3
Z
Sw
Nel caso particolare, ma frequente,
di falda freatica alla profondità Zw
(Figura 13.32) si ottiene:
u ( Z) = 0
per
Z < Zw
γw (Z-Zw)
u ( Z) = γ w ⋅ ( Z − Z w )
per
Z ≥ Zw
Figura 13.32 – Spinta idrostatica
S w ( Z) =
1
2
⋅ γ w ⋅ (Z − Z w )
2
(Eq. 13.43)
1
1
Z(S w ) = Z − ⋅ ( Z − Z w ) = ⋅ (2 Z + Z w )
3
3
(Eq. 13.44)
Se vi è differenza tra il livello dell’acqua a monte e a valle dell’opera di sostegno, e vi è
filtrazione sotto e intorno alla parete, la pressione interstiziale dovrebbe essere determinata in base al reticolo idrodinamico, come descritto nel Capitolo 4. Tuttavia, nel caso di
terreno omogeneo, un approccio ragionevole e semplificato consiste nell’assumere che il
carico idraulico vari linearmente come mostrato in Figura 13.33. La differenza di carico
piezometrico tra monte e valle è:
7
Le tensioni verticali efficaci, per il principio delle tensioni efficaci, si ottengono sottraendo le tensioni interstiziali alle tensioni verticali totali.
13 – 23
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
∆h = (h + k – j),
il percorso di filtrazione è
L = (h + d – j) + (d – k) = (h + 2d –j – k),
il gradiente idraulico è:
i = ∆h/L = (h + k – j) / (h + 2d – j – k)
(Eq. 13.45)
j
h
k
d
Percorso di
filtrazione
ub
ub
Pressione dell’acqua totale
Pressione dell’acqua netta
Figura 13.33 – Schema semplificato della pressione dell’acqua su una parete in presenza di filtrazione
Nel tratto di monte del percorso la filtrazione è discendente e comporta una riduzione della pressione interstiziale rispetto alla condizione idrostatica. Nel tratto di valle la filtrazione è ascendente e comporta un aumento della pressione interstiziale rispetto alla condizione idrostatica. Al piede della parete (supponendo che il suo spessore sia trascurabile
rispetto alla lunghezza del percorso di filtrazione) la pressione interstiziale vale:
u b = γ w ⋅ ( h + d − j) ⋅ (1 − i) = γ w ⋅ (d − k ) ⋅ (1 + i)
(Eq. 13.46)
13.5 Incremento della spinta attiva dovuta a carichi applicati sul terrapieno
13.5.1 Pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie del deposito.
Una pressione q verticale, uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie di un deposito
delimitato da un piano orizzontale produce in ogni punto del semispazio un incremento
costante della tensione verticale ∆σ’v0 = q ed un incremento costante della tensione orizzontale ∆σ’h = K q (Figura 13.34), avendo indicato con K il coefficiente di spinta che, a
13 – 24
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
seconda dello stato di deformazione orizzontale, assume valori compresi tra KA e KP. Ne
consegue che:
- le tensioni verticale ed orizzontali continuano ad essere le tensioni principali,
- il diagramma delle tensioni orizzontali è trapezio,
- la spinta orizzontale S presente su una parete ideale dal piano di campagna fino ad una
generica profondità H, è l’area del diagramma di pressione orizzontale e può essere
calcolata come somma dell’area rettangolare di base Kq e altezza H, e dell’area triangolare di base K γ H e altezza H:
S = S(q) + S( γ ) = K ⋅ q ⋅ H +
1
⋅ K ⋅ γ ⋅ H2
2
(Eq. 11.47)
- la profondità della retta di applicazione della componente S(q) è H/2, la profondità della retta di applicazione di S(γ) è 2H/3, dunque la profondità della retta di azione di S è:
Z(S) =
S(q) ⋅
2
H
+ S( γ ) ⋅ ⋅ H
3
2
S
(Eq. 11.48)
q
q
σv0‘
q
σ h‘
γ Z
Kq Κγ Z
Z
Z
Figura 13.34 – Effetto di una pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa
13.5.2 Carichi concentrati sulla superficie del deposito
Se, in condizioni di spinta attiva, sulla superficie del deposito delimitato da un piano orizzontale agiscono carichi che possono essere schematizzati come puntuali o come distribuiti su una linea parallela al muro, di intensità piccola (minore del 30%) rispetto alla
spinta attiva, l’incremento di pressione orizzontale può essere valutato con le formule indicate in Figura 13.35, ottenute da Terzaghi (1954) modificando empiricamente le equazioni di Boussinesq. Se i carichi sono molto elevati o hanno una diversa distribuzione, occorre utilizzare il metodo del cuneo di Coulomb.
13 – 25
Valori di n = z/H
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Carico
puntiforme
Carico lineare
2
Valori di σh (H/Q L)
Valori di σh (H /Q )
P
Carico lineare Q L
Carico puntiforme Q
Per
P
Per
Per
Risultante
Per
Diagramma delle pressioni relativo al caso
di carico lineare Q
L
(equazione di Boussinesq modificata sperimentalmente)
Sezione a - a
Diagramma delle pressioni relativo al caso
di carico puntiforme Q
P
(equazione di Boussinesq
modificata sperimentalmente)
Figura 13.35 – Pressioni orizzontali su una parete in condizioni di spinta attiva dovute a carichi concentrati sulla superficie orizzontale del terrapieno
13.6 Effetto del costipamento meccanico del terrapieno
Molto spesso, ad esempio per la costruzione di strade, il terrapieno retrostante un’opera di
sostegno è costituito da un terreno incoerente asciutto, messo in opera in strati successivi,
costipati con rullo compressore per aumentarne la densità e quindi la rigidezza e la resistenza. Tale tecnica produce uno stato di coazione nel terreno ed un conseguente aumento
delle pressioni orizzontali nella condizione di spinta attiva.
13 – 26
Capitolo 13
SPINTA DELLE TERRE
Se l’azione esercitata dal rullo compressore può essere schematizzata con un carico di intensità p distribuito lungo una linea parallela alla parete, e se il terreno viene messo in opera in strati di piccolo spessore, per tenere conto dell’effetto di costipamento, si può assumere come diagramma di pressione orizzontale sul muro quello indicato in Figura
13.36.
La profondità critica è:
Zc = K A ⋅
2⋅p
π⋅γ
(Eq. 13.49)
Il valore del carico p, dipende dai mezzi impiegati per il costipamento, e in particolare dal
peso statico e dalle dimensioni del rullo, e dalla eventuale azione vibratoria che si assume
equivalente ad un incremento di peso.
σ’h
Zc
σ’hp= KP σ’v
hc
σ’ha= KAσ’v
Z
Figura 13.36 – Effetto del costipamento sul diagramma di spinta attiva
13 – 27
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
CAPITOLO 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
La fondazione è quella parte della struttura che trasmette il carico dell’opera al terreno
sottostante. La superficie di contatto tra la base della fondazione e il terreno è detta piano
di posa. In base al rapporto tra la profondità del piano di posa (D), rispetto al piano di
campagna, e la dimensione minima in pianta (B), si definiscono, in accordo con quanto
proposto da Terzaghi:
o superficiali le fondazioni in cui il rapporto D/B è minore di 4;
o profonde le fondazioni per le quali il rapporto D/B è maggiore di 10;
o semi-profonde le fondazioni con D/B compreso tra 4 e 10.
Per quanto riguarda il meccanismo di trasferimento del carico al terreno, le fondazioni
superficiali trasmettono il carico solo attraverso il piano di appoggio, le fondazioni profonde e semi-profonde trasferiscono il carico al terreno sia in corrispondenza del piano di
appoggio che lungo la superficie laterale.
In questo capitolo la trattazione sarà limitata al caso delle fondazioni superficiali.
Per garantire la funzionalità della struttura in elevazione, il sistema di fondazioni deve
soddisfare alcuni requisiti; in particolare, il carico trasmesso in fondazione:
1. non deve portare a rottura il terreno sottostante;
2. non deve indurre nel terreno cedimenti eccessivi tali da compromettere la stabilità e la
funzionalità dell’opera sovrastante;
3. non deve produrre fenomeni di instabilità generale (p. es. nel caso di strutture realizzate su pendio);
4. non deve indurre stati di sollecitazione nella struttura di fondazione incompatibili con
la resistenza dei materiali.
15.1 Capacità portante e meccanismi di rottura
Il primo punto è quello che riguarda la verifica di stabilità dell’insieme terrenofondazione, ovvero la determinazione della capacità portante (o carico limite, qlim), che
rappresenta la pressione massima che una fondazione può trasmettere al terreno prima che
questo raggiunga la rottura.
Per introdurre il concetto di capacità portante immaginiamo di applicare ad un blocco di
calcestruzzo appoggiato su un terreno omogeneo un carico verticale centrato e di misurare
il valore del cedimento all’aumentare del carico. Se riportiamo in un grafico la curva cari-
15 – 1
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
co-cedimenti, osserviamo che il suo andamento1 è diverso in relazione allo stato di addensamento (o alla consistenza, se si tratta di terreno coesivo) del terreno (Figura 15.1).
In particolare, si ha che:
−
a parità di carico, il cedimento del blocco è tanto maggiore quanto minore è la densità
relativa (o quanto minore è la consistenza);
−
per valori elevati della densità relativa (o della consistenza), in corrispondenza del carico di rottura, il blocco collassa, mentre per valori bassi della densità relativa (o della
consistenza) il cedimento tende ad aumentare progressivamente ed indefinitamente.
In questo caso la condizione di rottura è individuata da un valore limite convenzionale del cedimento.
Alle diverse curve carico-cedimenti corrispondono diversi meccanismi di rottura che possono ricondursi a tre schemi principali (Figura 15.1):
1. rottura generale
2. rottura locale
3. punzonamento
per ciascuno dei quali si sviluppano, nel terreno sottostante la
fondazione, superfici di rottura
con diverso andamento. Variando
la profondità del piano di posa si
osserva che l’andamento della
curva carico-cedimenti si modifica e in particolare all’aumentare
della profondità del piano di posa
si può passare da una condizione
di rottura generale ad una di rottura locale e ad una per punzonamento.
Per quanto riguarda i tre meccanismi di rottura sopra menzionati, è
possibile osservare che nel caso
di terreno denso (o compatto) i
piani di rottura si estendono fino a
raggiungere la superficie del piaFigura 15.1: Meccanismi di rottura
no campagna (rottura generale),
nel caso di materiale sciolto (o poco consistente) le superfici di rottura interessano solo la
zona in prossimità del cuneo sottostante la fondazione e non si estendono lateralmente
1
A rigore, l’andamento del grafico riportato nella Figura 15.1a) si riferisce a condizioni di deformazione
controllata e non di carico controllato.
15 – 2
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
(rottura locale); nel caso di materiale molto
sciolto (o molle) le superfici di rottura coincidono praticamente con le facce laterali del cuneo (punzonamento).
Figura 15.2: Meccanismi di rottura di fondazioni superficiali su sabbia
Attualmente non si dispone di criteri quantitativi per individuare a priori il tipo di meccanismo di rottura, anche se esistono indicazioni a
livello qualitativo per identificare il tipo di rottura più probabile (un esempio per terreni incoerenti è riportato in Figura 15.2). Ad oggi,
non sono reperibili in letteratura soluzioni analitiche per lo studio del meccanismo di rottura
locale, mentre esistono numerose soluzioni analitiche per la stima del carico limite per lo
schema di rottura generale.
15.2 Calcolo della capacità portante
I due principali studi teorici per il calcolo della capacità portante, dai quali deriva la maggior parte delle soluzioni proposte successivamente, sono stati condotti da Prandtl (1920)
e Terzaghi (1943), per fondazione nastriforme (problema piano) utilizzando il metodo
dell’equilibrio limite. Entrambi schematizzano il terreno come un mezzo continuo, omogeneo e isotropo, a comportamento rigido plastico e per il quale vale il criterio di rottura
di Mohr-Coulomb.
15.2.1 Schema di Prandtl
Prandtl ipotizza l’assenza di attrito tra fondazione e terreno sottostante e quindi che la rottura avvenga con la formazione di un cuneo in condizioni di spinta attiva di Rankine (in
cui le tensioni verticale ed orizzontale sono principali, la tensione verticale è la tensione
principale maggiore, la tensione orizzontale è la tensione principale minore) le cui facce
risultano inclinate di un angolo di 45°+ϕ/2 rispetto all’orizzontale, essendo ϕ l’angolo di
resistenza al taglio del terreno (Figura 15.3). Il cuneo è spinto verso il basso e, in condizioni di equilibrio limite, produce la rottura del terreno circostante secondo una superficie
di scorrimento a forma di spirale logaritmica, con anomalia φ (zona di taglio radiale). Tale
ipotesi consegue al fatto che in condizioni di rottura le tensioni sulla superficie di scorrimento sono inclinate per attrito di un angolo φ rispetto alla normale, e quindi hanno direzione che converge nel polo A della spirale logaritmica. A sua volta la zona di taglio radiale spinge il terreno latistante e produce la rottura per spinta passiva. Il cuneo ADF è in
condizioni di spinta passiva di Rankine (le tensioni verticale ed orizzontale sono principali, la tensione verticale è la tensione principale minore, la tensione orizzontale è la tensione principale maggiore), è delimitato da superfici piane inclinate di un angolo di 45°- φ/2
rispetto all’orizzontale, e scorre verso l’esterno e verso l’alto.
15 – 3
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
B
L=∞
piano campagna
G
q = γ⋅D
Piano di fondazione
C
D
F
E
A
45°+ϕ/2
45°- ϕ/2
D
B
Cuneo rigido
di terreno
Zona passiva di Rankine
Superficie di scorrimento a
forma di spirale logaritmica
Figura 15.3: Schema di Prandtl per il calcolo della capacità portante
Come caso particolare, per φ = 0 il cuneo sottostante la fondazione ha le pareti inclinate a
45°, la zona di taglio radiale è limitata da una superficie circolare (spirale logaritmica ad
anomalia 0) e la zona passiva ha piani di scorrimento inclinati a 45°.
15.2.2 Schema di Terzaghi
Il meccanismo di rottura di Terzaghi ipotizza (secondo uno schema più aderente alle condizioni reali) la presenza di attrito tra fondazione e terreno. In questo caso il cuneo sottostante la fondazione è in condizioni di equilibrio elastico, ha superfici inclinate di un angolo φ rispetto all’orizzontale, e penetra nel terreno come se fosse parte della fondazione
stessa. (Figura 15.4).
L=∞
B
piano campagna
q=γ⋅D
Piano di
fondazione
C
A
E
F
ϕ
B
Cuneo rigido
di terreno
B
G
D
C
A
45°- ϕ/2
D
Zona passiva
di Rankine
c⋅AB
B
Pp = Ppγ + Ppc + Ppq
Superficie di scorrimento a
forma di spirale logaritmica
Figura 15.4: Schema di Terzaghi per il calcolo della capacità portante
15 – 4
ϕ
Pp
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
È da osservare che la presenza di un cuneo intatto, sotto la fondazione, è in accordo con
l’evidenza che le superfici di rottura non possono interessare l’elemento rigido di fondazione.
Secondo entrambe le teorie, il terreno sovrastante il piano di fondazione contribuisce alla
capacità portante solo in virtù del proprio peso, ma è privo di resistenza al taglio; pertanto
nel tratto FG della superficie di scorrimento non vi sono tensioni di taglio.
Con riferimento agli schemi delle Figure 15.3 e 15.4, relativi al caso di una fondazione
nastriforme, è possibile evidenziare che il carico limite dipende, oltre che dalla larghezza
della fondazione, B, e dall’angolo di resistenza al taglio, φ , del terreno:
−
dalla coesione, c;
−
dal peso proprio del terreno, γ, interno alla superficie di scorrimento;
−
dal sovraccarico presente ai lati della fondazione, che, in assenza di carichi esterni sul
piano campagna, è dato da q = γ⋅D (Figure 15.3 e 15.4).
Non esistono metodi esatti per il calcolo della capacità portante di una fondazione superficiale su un terreno reale, ma solo formule approssimate trinomie ottenute, per sovrapposizione di effetti, dalla somma di tre componenti da calcolare separatamente, che rappresentano rispettivamente i contributi di: (1) coesione e attrito interno di un terreno privo di
peso e di sovraccarichi; (2) attrito interno di un terreno privo di peso ma sottoposto
all’azione di un sovraccarico q; (3) attrito interno di un terreno dotato di peso e privo di
sovraccarico. Ogni componente viene calcolata supponendo che la superficie di scorrimento corrisponda alle condizioni previste per quel particolare caso. Poiché le superfici
differiscono fra loro e dalla superficie del terreno reale, il risultato è approssimato.
L’errore comunque è piccolo e a favore della sicurezza.
La soluzione, per fondazione nastriforme con carico verticale centrato, è espressa nella
forma:
q lim =
1
⋅ γ ⋅ B ⋅ N γ + c ⋅ Nc + q ⋅ Nq
2
(Eq. 15.1)
dove Nγ, Nc, Nq sono quantità adimensionali, detti fattori di capacità portante, funzioni
dell’angolo di resistenza al taglio φ e della forma della superficie di rottura considerata.
Per i fattori Nc ed Nq, relativi rispettivamente alla coesione e al sovraccarico, esistono equazioni teoriche, mentre per il fattore Nγ, che tiene conto dell'influenza del peso del terreno, la cui determinazione richiede un procedimento numerico per successive approssimazioni, esistono solo formule empiriche approssimanti.
Confrontando le equazioni proposte da vari Autori per il calcolo dei fattori di capacità
portante si osserva un accordo quasi unanime per i fattori Nc ed Nq, mentre per il fattore
Nγ sono state proposte soluzioni diverse2. Le equazioni più utilizzate per la stima dei fattori di capacità portante sono le seguenti:
2
A titolo di esempio:
N γ = ( N q − 1) ⋅ tg(1,4 ⋅ φ )
(Meyerhof, 1963)
15 – 5
Capitolo 15
(Eq. 15.2)
N c = (N q − 1) ⋅ ctgφ
(Eq. 15.3)
N γ = 2 ⋅ (N q − 1) ⋅ tg φ
(Eq. 15.4)
1000
Nq
Fattori di capacità portante
π φ
N q = e π⋅tgϕ tg 2 ( + )
4 2
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Il valore dei fattori di capacità portante cresce molto rapidamente con
l’angolo di resistenza al taglio (Figura
15.5). È pertanto molto più importante, per una stima corretta della capacità portante, la scelta dell’angolo di resistenza al taglio che non l’utilizzo di
una o l’altra delle equazioni proposte
dai vari Autori.
Nc
Νγ
100
10
1
0
10
20
30
40
50
ϕ(°)
Come caso particolare, per ϕ = 0, ovvero per le verifiche in condizioni non Figura 15.5: Fattori di capacità portante per
drenate di fondazioni superficiali su fondazioni superficiali
terreno coesivo saturo in termini di
tensioni totali, i fattori di capacità portante assumono i valori:
Nq = 1,
Nc = 5,14
Nγ = 0.
15.2.3 Equazione generale di capacità portante di fondazioni superficiali
Nelle applicazioni pratiche, per la stima della capacità portante di fondazioni superficiali,
si utilizza la seguente equazione generale, proposta da Vesic (1975):
q lim = c ⋅ N c ⋅ s c ⋅ d c ⋅ i c ⋅ b c ⋅ g c + q ⋅ N q ⋅ s q ⋅ d q ⋅ i q ⋅ b q ⋅ g q +
+
(Eq. 15.5)
1
⋅ γ ⋅ B'⋅N γ ⋅ s γ ⋅ d γ ⋅ i γ ⋅ b γ ⋅ g γ
2
In cui, si è indicato con:
sc, sq, sγ, i fattori di forma;
dc, dq, dγ, i fattori di profondità;
ic, iq, iγ, i fattori di inclinazione del carico;
bc, bq, bγ, i fattori di inclinazione della base;
N γ = 1,5 ⋅ ( N q − 1) ⋅ tgφ
(Hansen, 1970)
N γ = 2 ⋅ ( N q + 1) ⋅ tgφ
(Vesic, 1973)
15 – 6
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
gc, gq, gγ, i fattori di inclinazione del piano campagna;
B’ la larghezza equivalente per carico eccentrico.
Fattori di forma e di profondità
L’equazione originale di Terzaghi è ottenuta con riferimento ad un striscia indefinita di
carico, in modo da poter considerare il problema piano. Le fondazioni reali hanno invece,
spesso, dimensioni in pianta confrontabili, e quindi la capacità portante è influenzata dagli
effetti di bordo. Si può tener conto, in modo semi empirico, della tridimensionalità del
problema di capacità portante attraverso i fattori di forma, il cui valore può essere calcolato con le formule indicate in Tabella 15.1.
Tabella 15.1: Fattori di forma (Vesic, 1975)
Forma della fondazione
Rettangolare
Circolare o quadrata
sc
1+
B' N q
⋅
L' N c
1+
Nq
Nc
sq
1+
B'
⋅ tan φ
L'
1 + tan φ
sγ
1 − 0,4 ⋅
B'
L'
0,6
I fattori sc ed sq, rispettivamente associati alla coesione e al sovraccarico latistante, sono
maggiori di 1 poiché anche il terreno alle estremità longitudinali della fondazione contribuisce alla capacità portante, mentre il fattore sγ, associato al peso proprio del terreno di
fondazione, è minore di 1 a causa del minore confinamento del terreno alle estremità.
Se si vuole mettere in conto anche la resistenza al taglio del terreno sopra il piano di fondazione, ovvero considerare la superficie di scorrimento estesa fino al piano campagna
(segmento FG delle Figure 15.3 e 15.4), si possono utilizzare i fattori di profondità indicati in Tabella 15.2. Tuttavia, poiché il terreno sovrastante il piano di fondazione è molto
spesso un terreno di riporto o comunque con caratteristiche meccaniche scadenti e inferiori a quelle del terreno di fondazione, l’uso dei fattori di profondità deve essere fatto con
cautela.
Inclinazione ed eccentricità del carico
Molto spesso le fondazioni superficiali devono sostenere carichi eccentrici e/o inclinati.
Per tenere conto della riduzione di capacità portante dovuta all’eccentricità del carico si
assume che l’area resistente a rottura sia quella porzione dell’area totale per la quale il carico risulta centrato. In particolare, per una fondazione a base rettangolare di dimensioni
B x L, se la risultante dei carichi trasmessi ha eccentricità eB nella direzione del lato minore B ed eccentricità eL nella direzione del lato maggiore L, ai fini del calcolo della capacità portante si terrà conto di una fondazione rettangolare equivalente di dimensioni
B’xL’ rispetto alla quale il carico è centrato, essendo:
B’= B–2eB
(Eq. 15.6)
15 – 7
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
L’= L–2eL
(Eq. 15.7)
Anche l’inclinazione del carico riduce la resistenza a rottura di una fondazione superficiale. A seconda del rapporto fra le componenti, orizzontale H e verticale V, del carico la
rottura può avvenire per slittamento o per capacità portante.
Le equazioni empiriche per fattori di inclinazione del carico ritenute più affidabili sono
indicate in Tabella 15.3.
Si osservi che data una fondazione con carico inclinato si può definire un dominio di rottura nel piano H-V, e pervenire al collasso per differenti moltiplicatori del carico, e in particolare:
1) per aumento di V ad H costante,
2) per aumento di H a V costante,
3) per aumento proporzionale di H e di V (a H/V costante).
Occorre quindi di volta in volta considerare le condizioni di carico possibili più sfavorevoli.
Inclinazione della base e del piano campagna
ω
Q
ε
B
Figura 15.6: Piano di posa e/o piano di campagna
inclinato
Se la struttura trasmette carichi
permanenti sensibilmente inclinati
può essere talvolta conveniente realizzare il piano di posa della fondazione con un’inclinazione ε rispetto
all’orizzontale (Figura 15.6). In tal
caso la capacità portante nella direzione ortogonale al piano di posa
può essere valutata utilizzando i
fattori di inclinazione del piano di
posa indicati in Tabella 15.4.
Se il piano campagna è inclinato di
un angolo ω rispetto all’orizzontale (Figura 15.6), la capacità portante può essere valutata utilizzando i
fattori di inclinazione del piano di
campagna indicati in Tabella 15.5.
Tabella 15.2: Fattori di profondità (Vesic, 1975)
15 – 8
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Valore di
dc
φ
φ=0
argilla
satura in
condizioni non
drenate
D
≤1
B'
1 + 0,4 ⋅
φ>0
sabbia e
argilla in
condizioni drenate
dq −
dγ
1
1
D
B'
⎛D⎞
1 + 0,4 ⋅ arctan ⎜ ⎟
⎝ B' ⎠
D
>1
B'
dq
1− dq
N c ⋅ tan φ
D
≤1
B'
1 + 2 ⋅ tan φ ⋅ (1 − senφ) ⋅
2
D
B'
D
⎛D⎞
2
> 1 1 + 2 ⋅ tan φ ⋅ (1 − senφ) ⋅ arctan ⎜ ⎟
B'
⎝ B' ⎠
1
Tabella 15.3: Fattori di inclinazione del carico (Vesic, 1975)
ic
Terreno
φ=0
argilla satura in
condizioni non
drenate
1−
c > 0, φ > 0
argilla in condizioni drenate
iq −
c=0
+ m B ⋅ sen ϑ
2
1 − iq
N c ⋅ tan φ
iγ
1
1
⎤
⎡
H
⎢1 − V + B ⋅ L ⋅ c'⋅ cot gφ' ⎥
⎦
⎣
-
B
L
mB =
B
1+
L
L
B
mL =
L
1+
B
2+
2+
m +1
⎤
⎡
H
⎢1 − V + B ⋅ L ⋅ c'⋅ cot gφ' ⎥
⎦
⎣
m
⎛ H⎞
⎜1 − ⎟
⎝ V⎠
sabbia
m = m L ⋅ cos 2 ϑ
m⋅H
B ⋅ L ⋅ cu ⋅ Nc
iq
⎛ H⎞
⎜1 − ⎟
⎝ V⎠
bq −
1 − bq
N c ⋅ tan φ
bq
bγ
(1 − ε ⋅ tan φ )2
(1 − ε ⋅ tan φ )2
Tabella 15.5: Fattori di inclinazione del piano campagna (ω < π/4, ω < φ) (Hansen, 1970)
15 – 9
m +1
θ è l’angolo fra la direzione del
carico proiettata sul piano di fondazione e la direzione di L
Tabella 15.4: Fattori di inclinazione del piano di posa (ε < π/4) (Hansen, 1970)
bc
m +1
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
gc
gq −
1 − gq
N c ⋅ tan φ
gq
gγ
(1 − tan ω)2 ⋅ cos ω
gq
cos ω
15.3 Scelta dei parametri di resistenza del terreno
Il calcolo della capacità portante deve essere effettuato nelle condizioni più critiche per la
stabilità del sistema di fondazione, valutando con particolare attenzione le possibili condizioni di drenaggio. Tali condizioni dipendono com’è noto dal tipo di terreno e dalla velocità di applicazione del carico.
Nel caso dei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), caratterizzati da valori elevati della
permeabilità (k ≥ 10-5 m/s), l’applicazione di carichi statici3 non genera sovrapressioni interstiziali; pertanto, l’analisi è sempre condotta con riferimento alle condizioni drenate, in
termini di tensioni efficaci.
Nel caso di terreni a grana fine (limi e argille), a causa della loro bassa permeabilità, salvo
il caso di applicazione molto lenta del carico, si generano sovrapressioni interstiziali che
si dissipano lentamente nel tempo col procedere della consolidazione.
Pertanto per i terreni a grana fine è necessario distinguere un comportamento a breve termine, in condizioni non drenate, ed uno a lungo termine, in condizioni drenate. L’analisi
(a lungo termine) in condizioni drenate può essere effettuata in termini di tensioni efficaci. Tale tipo di approccio può essere impiegato anche nelle analisi (a breve termine) in
condizioni non drenate, ma per la sua applicazione è richiesta la conoscenza delle sovrapressioni interstiziali, ∆u, che si sviluppano durante la fase di carico. Poiché, di fatto, la
definizione delle ∆u in sito è un problema estremamente complesso, l’analisi in condizioni non drenate è generalmente effettuata, nelle applicazioni pratiche, in termini di tensioni
totali, con riferimento alla resistenza al taglio non drenata corrispondente alla pressione di
consolidazione precedente l’applicazione del carico.
Le condizioni non drenate sono generalmente le più sfavorevoli per la stabilità delle fondazioni su terreni coesivi, poiché al termine del processo di consolidazione l’incremento
delle tensioni efficaci avrà prodotto un incremento della resistenza al taglio.
15.3.1 Analisi in termini di tensioni efficaci (condizioni drenate)
Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni efficaci, la resistenza del terreno è
definita mediante i parametri c’ e φ’ (il criterio di rottura è espresso nella forma τ = c’ +
σ’ tg φ’) e i vari termini e fattori della relazione generale (Eq. 15.5), devono essere calcolati con riferimento a questi parametri.
3
L’applicazione di carichi dinamici e ciclici può causare un accumulo significativo delle pressioni interstiziali anche in terreni sabbiosi
15 – 10
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
In presenza di falda si deve tener conto dell’azione dell’acqua, sia nella determinazione
del carico effettivamente trasmesso dalla fondazione al terreno sia nel calcolo della qlim.
In particolare, nel calcolo del carico trasmesso dalla fondazione al terreno deve essere
considerata la sottospinta dell’acqua agente sulla porzione di fondazione immersa, mentre
il carico limite deve essere valutato in termini di pressioni efficaci. In particolare, riferendosi per semplicità alla relazione di Terzaghi, si ha:
q lim =
1 '
⋅ γ 2 ⋅ B ⋅ N γ + c' ⋅ N c + q ' ⋅ N q
2
(Eq. 15.8)
dove q’ rappresenta il valore della pressione efficace agente alla profondità del piano di
posa della fondazione e γ '2 il peso di volume immerso del terreno presente sotto la fondazione. Nel calcolo dei fattori di capacità portante viene utilizzato il valore di φ’ del terreno
presente sotto la fondazione.
Ipotizzando la presenza di falda in quiete, i casi possibili sono 4:
a) Il pelo libero della falda si trova a profondità maggiore di D+B.
In questo caso la presenza della falda può essere trascurata.
b) Il pelo libero della falda coincide con il piano di posa della fondazione (Figura 15.7a).
In questo caso q ' = γ 1 ⋅ D , essendo γ1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra
del piano di posa della fondazione.
c) Il pelo libero della falda si trova a quota a al di sopra del piano di posa della fondazione (Figura 15.7b).
In questo caso q ' = γ 1 ⋅ (D − a ) + γ 1' ⋅ a , essendo rispettivamente γ1 il peso umido (o saturo) e γ1' il peso immerso del terreno al di sopra del piano di posa della fondazione.
d) Il pelo libero della falda si trova a quota d<B sotto il piano di posa della fondazione
(Figura 15.7c).
In questo caso q ' = γ 1 ⋅ D , essendo γ1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra
del piano di posa della fondazione, mentre il termine γ '2 ⋅ B diventa γ 2 ⋅ d + γ '2 ⋅ (B − d )
D
B
D
D
a
B
B
d
B-d
a)
b)
c)
Figura 15.7: Influenza della posizione della falda sul calcolo della capacità portante
15 – 11
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
15.3.2 Analisi in termini di tensioni totali (condizioni non drenate)
Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni totali, la resistenza del terreno è
definita convenzionalmente mediante il parametro cu (il criterio di rottura è espresso nella
forma τ = cu), che, contrariamente a c’ e ϕ’, non rappresenta una caratteristica del materiale, ma un parametro di comportamento. In questo caso, i fattori di capacità portante
valgono: Nγ = 0, Nc = 5.14, Nq = 1 e il carico limite è dato quindi da:
q lim = 5,14 ⋅ c u ⋅ s c0 ⋅ d c0 ⋅ i c0 ⋅ b c0 ⋅ g c0 + q ⋅ g q0
(Eq. 15.9)
essendo q = γ1D la pressione totale agente sul piano di posa della fondazione, e avendo
indicato con il pedice 0 i fattori correttivi per φ = 0.
È opportuno evidenziare che per l’analisi in termini di tensioni totali, l’eventuale sottospinta idrostatica dovuta alla presenza della falda non deve essere considerata.
15.3.3 Effetto della compressibilità del terreno di fondazione
Le soluzioni teoriche per la determinazione della capacità portante di fondazioni superficiali con il metodo all’equilibrio limite si riferiscono al meccanismo di rottura generale
(Figura 15.1), e assumono che il terreno non si deformi ma che i blocchi che identificano
il cinematismo di rottura (Figure 15.3 e 15.4) abbiano moto rigido. Quando tale ipotesi è
lontana dall’essere verificata, ovvero per terreni molto compressibili, argille molli e sabbie sciolte, il meccanismo di rottura è locale o per punzonamento. Un metodo approssimato semplice, suggerito da Terzaghi, per tenere conto dell’effetto della compressibilità
del terreno di fondazione sulla capacità portante consiste nel ridurre di 1/3 i parametri di
resistenza al taglio, ovvero nell’assumere come dati di progetto i valori:
c*= 0,67 c e tanφ*= 0,67 tanφ
Per il calcolo della capacità portante di fondazioni superficiali su sabbie mediamente addensate o sciolte (DR < 0,67) Vesic (1975) propose di utilizzare un valore di calcolo ridotto dell’angolo di resistenza al taglio, secondo l’equazione:
(
2
)
tanφ* = 0,67 + D R − 0,75 ⋅ D R ⋅ tan φ
(Eq. 15.10)
15.4 Capacità portante di fondazioni su terreni stratificati
La determinazione della capacità portante di fondazioni su terreni stratificati è un problema di non facile soluzione, per il quale non esistono quindi trattazioni teoriche di semplice impiego.
Se l’importanza dell’opera non è tale da giustificare l’uso di metodi numerici avanzati
(per esempio metodi agli elementi finiti), si ricorre generalmente all’applicazione di
schemi e formule approssimate.
15 – 12
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
In presenza di terreni stratificati, se lo spessore misurato dal piano di fondazione dello
strato di terreno su cui appoggia la fondazione è maggiore di B, il terreno può considerarsi omogeneo.
Nell’ipotesi che tale circostanza non sia verificata, i casi che possono presentarsi sono i
seguenti:
1. Fondazione su terreni dotati di sola coesione
1.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore
1.2 strato superiore più resistente di quello inferiore
2. Fondazione su terreni dotati di attrito e coesione
2.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore
2.2 strato superiore più resistente di quello inferiore
Generalmente nei casi 1.1 e 2.1 si ricorre, se possibile all’asportazione dello strato più superficiale ed eventualmente ad una sua sostituzione con materiale compattato. Qualora ciò
non sia possibile, si può comunque calcolare cautelativamente la capacità portante assumendo come parametri di resistenza quelli relativi allo strato più superficiale.
Nel caso 1.1, se lo strato superficiale è di spessore limitato si può mettere in conto anche
il contributo alla resistenza dovuto allo strato sottostante, utilizzando nell’espressione di
qlim per fondazioni nastriformi (qlim = cNc + γD) la seguente formula per Nc:
N c,s =
1.5 d1
+ 5.14 c r ≤ 5.14
B
(Eq. 15.11)
dove d1 rappresenta lo spessore dello strato più superficiale al di sotto del piano di fondazione, B la larghezza della fondazione e cr = c2/c1, essendo c1 e c2, rispettivamente, il valore della coesione dello strato più superficiale e di quello sottostante. Per 0.7 ≤ cr ≤ 1 il valore di Nc,s deve essere ridotto del 10%.
Nel caso 1.2 la capacità portante di una fondazione nastriforme di larghezza B può essere
calcolata utilizzando lo schema di una fondazione ideale di larghezza B+d1 appoggiata
sullo strato inferiore (ipotizzando cioè che il carico si diffonda nello strato superiore di
spessore d1 con un rapporto 2:1).
Nel caso 2 si possono calcolare per la stratificazione un angolo di resistenza al taglio ed
una coesione equivalenti nel seguente modo:
− si determina la profondità
H= 0.5 tg(45° + ϕ1/2)⋅B
con ϕ1 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato superiore;
− se H > d1 si determina il valore di ϕ equivalente da utilizzare nel calcolo di qlim come:
ϕ=
d 1 ⋅ ϕ1 + (H − d 1 ) ⋅ ϕ 2
H
15 – 13
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
con ϕ2 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato inferiore;
− in modo analogo si ricava c equivalente.
15.5 Dal carico limite al carico ammissibile
Il carico ammissibile qamm è calcolato dividendo il carico limite qlim per un coefficiente
maggiore di 1, chiamato fattore di sicurezza FS, che viene introdotto per tener conto della
variabilità del terreno, dell’affidabilità dei dati e delle incertezze insite nel modello adottato e nella stima dei carichi.
Generalmente il coefficiente di sicurezza viene applicato solo alla pressione limite netta,
ossia al carico che va ad aggiungersi a quello già presente alla quota del piano di fondazione. In pratica:
q amm =
q lim − q
+q
FS
(Eq. 15.10)
Il valore così ottenuto deve risultare maggiore del carico di esercizio qes.
In alternativa, se è noto il carico di esercizio qes trasmesso dalla fondazione al terreno, il
coefficiente di sicurezza può essere calcolato mediante la relazione:
FS =
q lim − q
q es − q
(Eq. 15.11)
e questo valore deve risultare maggiore del limite imposto dalla normativa.
Nel caso di fondazioni con carico eccentrico, per il calcolo strutturale dell’elemento di
fondazione, si fa in genere l’ipotesi semplificativa che, in condizioni di esercizio e quindi
per carico molto minore della capacità portante, la pressione di contatto struttura di fondazione-terreno sia lineare, e che il terreno non abbia resistenza a trazione.
Ne consegue che il diagramma delle tensioni di contatto viene calcolato con le formule
della presso flessione per sezioni non reagenti a trazione.
Ad esempio, se per semplicità di esposizione si considera una fondazione continua di larghezza B soggetta ad un carico verticale N per unità di lunghezza con eccentricità e (Figura 15.8):
- se la risultante ricade all’interno del nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e < B/6, il
σ
N ⎛ 6⋅e⎞
diagramma è trapezio e le tensioni alle estremità valgono: max = ⋅ ⎜1 ±
⎟
σ min B ⎝
B ⎠
- se invece la risultante è esterna al nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e > B/6, la se⎛B
⎞
zione è parzializzata e il diagramma è triangolare, con base B* = 3 ⋅ ⎜ − e ⎟ e tensione
⎝2
⎠
4
N
massima, all’estremità compressa σ max = ⋅
.
3 (B − 2 ⋅ e )
15 – 14
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
N
N
e
e
B
B
σmin
σmax
σmax
B*
e < B/6
e > B/6
Figura 15.8: Schema delle pressioni di contatto in condizioni di esercizio per fondazioni con
carico eccentrico.
Il coefficiente di sicurezza per la verifica di capacità portante, trascurando il carico già
presente alla quota del piano di fondazione, sarà il rapporto fra la forza verticale massima
con eccentricità e, al limite dell’ equilibrio: Qlim = qlim (B – 2e) e la forza verticale di eserQ
cizio, con pari eccentricità N: FS = lim
N
È buona norma tuttavia progettare le fondazioni superficiali in modo che la sezione sia interamente compressa, almeno per i carichi di lunga durata.
La scelta del coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura di fondazioni superficiali (che
potremmo anche definire coefficiente di ignoranza), come sempre per le opere geotecniche, è operazione delicata e complessa, poiché sono molte e di diversa origine le incertezze con cui viene determinato il valore di riferimento. Vi sono incertezze nella definizione
del modello geotecnico (stratigrafia, spessore e geometria degli strati, variabilità delle caratteristiche geotecniche, affidabilità delle indagini geotecniche eseguite, etc..), incertezze
legate al metodo di calcolo (leggi costitutive, ipotesi sul meccanismo di collasso, utilizzo
di relazioni empiriche, etc..), incertezze legate ai carichi applicati, alla loro probabilità di
evenienza e alla persistenza nel tempo, etc).
La normativa italiana ancora vigente (D.M. 11/03/1988) richiede come limite inferiore del
coefficiente di sicurezza globale rispetto alla rottura di fondazioni superficiali, un valore
pari a 3 per le fondazioni di manufatti in generale, e pari a 2 per le fondazioni delle opere
di sostegno.
Le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC-08), come già detto, utilizzano il metodo degli stati limite ed i coefficienti di sicurezza parziali da applicare rispettivamente
15 – 15
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
alle azioni o agli effetti delle azioni (A), alle caratteristiche dei materiali (M) e alle resistenze (R).
Le NTC-08, al § 6.4.2 Fondazioni superficiali, recitano:
“La profondità del piano di posa della fondazione deve essere scelta e giustificata in relazione alle caratteristiche e alle prestazioni della struttura in elevazione, alle caratteristiche del sottosuolo e alle condizioni ambientali.
Il piano di fondazione deve essere situato sotto la coltre di terreno vegetale nonché sotto
lo strato interessato dal gelo e da significative variazioni stagionali del contenuto
d’acqua.
In situazioni nelle quali sono possibili fenomeni di erosione o di scalzamento da parte di
acque di scorrimento superficiale, le fondazioni devono essere poste a profondità tale da
non risentire di questi fenomeni o devono essere adeguatamente difese.
6.4.2.1 Verifiche agli stati limite ultimi (SLU)
Nelle verifiche di sicurezza devono essere presi in considerazione tutti i meccanismi di
stato limite ultimo, sia a breve sia a lungo termine.
Gli stati limite ultimi delle fondazioni superficiali si riferiscono allo sviluppo di meccanismi di collasso determinati dalla mobilitazione della resistenza del terreno e al raggiungimento della resistenza degli elementi strutturali che compongono la fondazione stessa.
Nel caso di fondazioni posizionate su o in prossimità di pendii naturali o artificiali deve
essere effettuata la verifica anche con riferimento alle condizioni di stabilità globale del
pendio includendo nelle verifiche le azioni trasmesse dalle fondazioni.
Le verifiche devono essere effettuate almeno nei confronti dei seguenti stati limite:
-
-
SLU di tipo geotecnico (GEO)
-
collasso per carico limite dell’insieme fondazione-terreno
-
collasso per scorrimento sul piano di posa stabilità globale
SLU di tipo strutturale (STR)
-
raggiungimento della resistenza negli elementi strutturali,
accertando che la condizione (6.2.1)4 sia soddisfatta per ogni stato limite considerato.
La verifica di stabilità globale deve essere effettuata secondo l’Approccio 1:
-
Combinazione 2: (A2+M2+R2)
tenendo conto dei coefficienti parziali riportati nelle Tabelle 6.2.I e 6.2.II per le azioni e i
parametri geotecnici e nella Tabella 6.8.I per le resistenze globali.
La rimanenti verifiche devono essere effettuate, tenendo conto dei valori dei coefficienti
parziali riportati nelle Tab. 6.2.I, 6.2.II e 6.4.I, seguendo almeno uno dei due approcci:
Approccio 1:
4
Ed ≤ Rd
15 – 16
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
-
Combinazione 1: (A1+M1+R1)
-
Combinazione 2: (A2+M2+R2)
Approccio 2:
(A1+M1+R3).
Nelle verifiche effettuate con l’approccio 2 che siano finalizzate al dimensionamento
strutturale, il coefficiente γR non deve essere portato in conto.
Tabella 6.2.I – Coefficienti parziali perle azioni o per l’effetto delle azioni
Coefficiente
CARICHI
Parziale
EFFETTO
( A1 )
( A2 )
STR
GEO
0,9
1,0
1,0
1,1
1,3
1,0
0,0
0,0
0,0
1,5
1,5
1,3
0,0
0,0
0,0
1,5
1,5
1,3
EQU
γF (o γE)
Favorevole
Permanenti
Sfavorevole
Permanenti non strutturali
Variabili
γG1
Favorevole
γG2
Sfavorevole
Favorevole
γQi
Sfavorevole
Tabella 6.2.II – Coefficienti parziali per i parametri geotecnici del terreno
PARAMETRO
GRANDEZZA ALLA QUALE
APPLICARE IL COEFFICIENTE
PARZIALE
COEFFICIENTE
PARZIALE
( M1 )
( M2 )
tan φ’k
γφ’
1,0
1,25
Coesione efficace
c’k
γc’
1,0
1,25
Resistenza non drenata
cuk
γcu
1,0
1,4
γ
γγ
1,0
1,0
Tangente dell’angolo
di resistenza al taglio
Peso dell’unità di volume
Tabella 6.8.I – Coefficienti parziali per le verifiche di sicurezza di opere di materiali
sciolti e di fronti di scavo
COEFFICIENTE
( R2 )
γR
1,15
15 – 17
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Tabella 6.4.I – Coefficienti parziali γR per le verifiche agli stati limite ultimi di fondazioni superficiali
COEFFICIENTE
COEFFICIENTE
COEFFICIENTE
VERIFICA
PARZIALE ( R1 )
PARZIALE ( R2 )
PARZIALE ( R3 )
Capacità portante
γR = 1,0
γR = 1,8
γR = 2,3
Scorrimento
γR = 1,0
γR = 1,1
γR = 1,1
6.4.2.2 Verifiche agli stati limite di esercizio (SLE)
Si devono calcolare i valori degli spostamenti e delle distorsioni per verificarne la compatibilità con i requisiti prestazionali della struttura in elevazione (§§ 2.2.2 e 2.6.2), nel
rispetto della condizione (6.2.7)5. Analogamente, forma, dimensioni e rigidezza della
struttura di fondazione devono essere stabilite nel rispetto dei summenzionati requisiti
prestazionali, tenendo presente che le verifiche agli stati limite di esercizio possono risultare più restrittive di quelle agli stati limite ultimi.”
15.5.1 Esempi di verifiche geotecniche di fondazioni superficiali secondo la normativa
italiana ancora vigente (D.M. 11/03/1988) e secondo le nuove Norme Tecniche
per le Costruzioni (NTC-08)
Esempio 1
Eseguire le verifiche allo Stato Limite Ultimo (SLU) di una fondazione superficiale quadrata in
c.a. su argilla molle. (Per semplicità si trascura la presenza del pilastro che trasmette il carico alla
fondazione).
Dati
(il pedice k indica il valore caratteristico, il pedice d indica il valore di progetto):
Carico permanente verticale centrato trasmesso alla fondazione: Gk = 270 kN
Carico variabile verticale centrato trasmesso alla fondazione: Qk = 70 kN
Spessore della fondazione: s = 0,5 m
Lato della fondazione: B = 2,75 m
Profondità del piano di posa della fondazione: D = 1 m
Gk, Qk
Profondità della falda freatica da p.c.: Dw = 0 m
Peso specifico del c.a.: γca,k = 25 kN/m3
Peso specifico dell’acqua: γw,k = 10 kN/m3
Peso di volume del terreno: γk = 18 kN/m3
Angolo di resistenza al taglio del terreno: φʹk = 20°
s
Coesione del terreno: cʹk = 4 kPa
Resistenza al taglio non drenata del terreno: cu,k = 30 kPa
BxB
5
D
Ed ≤ Cd dove Ed è il valore di progetto dell’effetto delle azioni e Cd è il prescritto valore limite dell’effetto
delle azioni. Quest’ultimo deve essere stabilito in funzione del comportamento della struttura in elevazione.
15 – 18
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Verifiche di capacità portante secondo la precedente Normativa (D.M. 11/03/1988)
Si assumono i valori caratteristici come valori di calcolo
a) in condizioni a breve termine, non drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni totali
Fattore di sicurezza: FS = (qlim ‐ q) / (qes ‐ q) ≥ 3
Capacità portante totale netta: (qlim ‐ q) = Nc0 cu sc0
Fattore di capacità portante a breve termine: Nc0 = (2 + π) = 5,142
Fattore di forma a breve termine: sc0 = 1,2
Pressione totale latistante: q = γ D = 18 kPa
(qlim ‐ q) = Nc0 cu sc0 = 185,1 kPa
Peso totale della fondazione e del terreno sovrastante: Gfond,k = B2 [(D ‐ s) γk + s γca,k ] = 162,6 kN
Pressione totale trasmessa dalla fondazione: qes = (Gk + Qk + Gfond,k) / B2 = 66,5 kPa
FS = (qlim ‐ q) / (qes ‐ q) = 3,82 > 3 verifica soddisfatta
b) in condizioni a lungo termine, drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni efficaci
Fattore di sicurezza: FS = (qlim ‐ qʹ) / (qes ‐ qʹ) ≥ 3
Capacità portante efficace: qlim = cʹ Nc sc + qʹ Nq sq + 0,5 γʹ B Nγ sγ
Angolo di resistenza al taglio: φʹ = φʹk = 20° = 0,349 rad
Peso di volume immerso del terreno: γʹ = γ ‐ γw = 8 kN/m3
Fattori di capacità portante:
Fattori di forma:
Pressione efficace latistante:
Nc = 14,835
sc = 1,431
qʹ = γʹ D =8 kPa
Nq = 6,399
sq = 1,364
Nγ = 3,930
sγ = 0,6
qlim = cʹ Nc sc + qʹ Nq sq + 0,5 γʹ B Nγ sγ = 180,7 kPa
Peso immerso della fondazione e del terreno sovrastante: Gʹfond,k = Gfond,k ‐ γw B2 D = 87,0 kN
Pressione efficace trasmessa dalla fondazione: qes = (Gk + Qk + Gʹfond,k) / B2 = 56,5 kPa
FS = (qlim ‐ qʹ) / (qes ‐ qʹ) = 3,56 > 3 verifica soddisfatta
Verifiche secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni ‐ 2008
Verifiche allo stato limite ultimo (SLU) dellʹinsieme fondazione‐terreno (GEO) (Verifiche di
capacità portante)
Sono eseguite le verifiche allo SLU di tipo geotecnico (GEO) nei confronti del collasso per carico
limite dellʹinsieme fondazione‐terreno, tenendo conto dei valori dei coefficienti parziali riportati
nelle Tabelle 6.2.I, 6.2.II e 6.4.I.
La Normativa richiede che venga seguito almeno uno dei due approcci:
Approccio 1:
‐ Combinazione 1: (A1+M1+R1)
‐ Combinazione 2: (A2+M2+R2)
Approccio 2:
(A1+M1+R3)
Deve essere rispettata la condizione: Ed ≤ Rd ovvero Rd / Ed ≥ 1
La verifica geotecnica (GEO) allo stato limite ultimo (SLU) con lʹApproccio 1 ‐ Combinazione 1
differisce dalla verifica con lʹApproccio 2 solo nei coefficienti parziali γR da applicare alla resi‐
stenza R. Poiché i valori di γR dellʹApproccio 2 (R3) sono maggiori di quelli dellʹApproccio 1 ‐
15 – 19
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Combinazione 1 (R1) (vedi Tabella 6.4.I), questʹultima verifica è sempre meno cautelativa della
precedente e può essere omessa.
a) in condizioni a breve termine, non drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni totali
Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2)
Sono invariate le azioni permanenti, incrementate le azioni variabili (A), ridotti i parametri geo‐
tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gfond,k) + γQ Qk
γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
Ed = 523,6 kN
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2
Capacità portante totale di progetto: qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd
Resistenza al taglio non drenata di progetto: cu,d = cu,k /γcu
γcu = 1,4 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
cu,d = 21,4 kPa
Pressione totale latistante la fondazione di progetto: qd = (γk / γγ ) D
γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
qd = 18 kPa
qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd = 150,2 kPa
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1136,0 kN
Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR
γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2)
Rd = R / γR = 631,1 kN
Ed ≤ Rd
523,6 < 631,1
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 1,205
Approccio 2 (A1+M1+R3)
Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gfond,k) + γQ Qk
γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
Ed = 667,4 kN
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2
Capacità portante totale di progetto: qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd
Resistenza al taglio non drenata di progetto: cu,d = cu,k /γcu
γcu = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
cu,d = 30,0 kPa
Pressione totale latistante la fondazione di progetto: qd = (γk / γγ ) D
γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
qd = 18 kPa
qlim,d = Nc0 cu,d sc0 + qd = 203,1 kPa
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1535,9 kN
Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR
γR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3)
15 – 20
Capitolo 15
Rd = R / γR = 667,8 kN
Ed ≤ Rd
667,4 < 667,8
Rd / Ed = 1,001
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
verifica soddisfatta
b) in condizioni a lungo termine, drenate, il calcolo è eseguito in termini di tensioni efficaci
Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2)
Sono invariate le azioni permanenti, incrementate le azioni variabili (A), ridotti i parametri geo‐
tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gʹfond,k) + γQ Qk
γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
Ed = 448,0 kN
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2
Capacità portante efficace di progetto: qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ
Coesione efficace di progetto: cʹd = cʹk/γcʹ
γcʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
cʹd = 3,2 kPa
Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio caratteristico: tanφʹk = 0,364
Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio di progetto: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ
γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
tanφʹd = 0,291
Angolo di resistenza al taglio di progetto: φʹd = 0,283 rad = 16,2°
Peso di volume immerso del terreno di progetto: γʹd = γʹk / γγ
γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
γʹd = 8 kN/m3
Fattori di capacità portante:
Fattori di forma:
Nc = 11,792
sc = 1,376
Nq = 4,433
sq = 1,291
Nγ = 1,999
sγ = 0,6
Pressione efficace latistante di progetto: qʹd = γʹd D = 8 kPa
qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ = 110,9 kPa
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 838,8 kN
Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR
γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2)
Rd = R / γR = 466,0 kN
Ed ≤ Rd
448,0 < 466,0
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 1,040 > 1
Approccio 2 (A1+M1+R3)
Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γG (Gk + Gʹfond,k) + γQ Qk
γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
Ed = 569,1 kN
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2
15 – 21
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Capacità portante efficace di progetto: qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ
Coesione efficace di progetto: cʹd = cʹk/γcʹ
γcʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
cʹd = 4,0 kPa
Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio caratteristico: tanφʹk =0,364
Tangente dellʹangolo di resistenza al taglio di progetto: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ
γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
tanφʹd = 0,364
Angolo di resistenza al taglio di progetto: φʹd = 0,349 rad = 20°
Peso di volume immerso del terreno di progetto: γʹd = γʹk / γγ
γγ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
γʹd = 8 kN/m3
Fattori di capacità portante:
Fattori di forma:
Nc = 14,835
sc = 1,431
Nq = 6,399
sq = 1,364
Nγ = 3,930
sγ = 0,6
Pressione efficace latistante di progetto: qʹd = γʹd D = 8 kPa
qlim,d = cʹd Nc sc + qʹd Nq sq + 0,5 γʹd B Nγ sγ = 180,7 kPa
Resistenza del sistema geotecnico: R = qlim,d x B2 = 1366,6 kN
Resistenza di progetto del sistema geotecnico: Rd = R / γR
γR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3)
Rd = R / γR = 594,2 kN
Ed ≤ Rd
569,1 < 594,2
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 1,044 > 1
Verifiche allo Stato Limite di Esercizio (SLE)
La Normativa italiana (NTC) impone di calcolare gli spostamenti e le distorsioni per verificarne la
compatibilità con i requisiti prestazionali della struttura in elevazione nel rispetto della condizio‐
ne Ed ≤ Cd, in cui Cd è il prescritto valore limite dellʹeffetto delle azioni, da stabilire in funzione del
comportamento della struttura in elevazione.
Secondo lʹeurocodice EC7 il calcolo dei cedimenti deve essere eseguito assumendo coefficienti
parziali per le azioni pari a 1 e i valori caratteristici dei parametri di deformazione sia in condi‐
zioni non drenate che in condizioni drenate.
Esempio 2
Eseguire le verifiche allo Stato Limite Ultimo (SLU) della fondazione superficiale a base quadrata
di una struttura alta, leggera e soggetta a significative azioni orizzontali accidentali schematizzata
in Figura.
Dati (il pedice k indica il valore caratteristico, il pedice d indica il valore di progetto):
Carico permanente verticale centrato trasmesso alla fondazione: Gvk = 600 kN
Carico accidentale orizzontale trasmesso alla fondazione:Qhk = 300 kN
Quota di applicazione del carico orizzontale: h = 10 m
Spessore della fondazione: s = 2 m
Lato della fondazione: B = 5,5 m
Profondità del piano di posa della fondazione: D = 2 m
15 – 22
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Falda freatica assente
Peso specifico del c.a.: γca,k = 24,5 kN/m3
Terreno di fondazione costituito da sabbia e ghiaia di media densità
Peso di volume del terreno: γk = 20 N/m3
Angolo di resistenza al taglio: φʹk = 35°
Coesione del terreno: cʹk = 0 kPa
Angolo dʹattrito fondazione terreno: δk = 0,75 φʹk = 26,25°
Verifiche di stabilità secondo la precedente Nor‐
mativa (D.M. 11/03/1988) Si assumono i valori carat‐
teristici come valori di calcolo
Qhk
Verifica alla traslazione sul piano di posa
Il rapporto fra lʹazione resistente nella direzione del‐
lo slittamento e lʹazione orizzontale massima tra‐
smessa in fondazione deve risultare non inferiore a
1,3.
Per il calcolo dellʹazione resistente di attrito alla base
della fondazione si trascura la spinta passiva sul
fronte verticale del blocco di fondazione e si assume
come angolo di attrito fondazione‐terreno lʹangolo
di resistenza al taglio allo stato critico.
h
Gvk
D
Peso del blocco di fondazione: Gfond,k = B2 s γca,k =
1482,3 kN
Coefficiente dʹattrito: tanδk = 0,493
Azione resistente: RH = (Gfond,k + Gvk) tanδk = 1026,9
BxB
kN
Azione orizzontale massima: Qhk = 300 kN
Fattore di sicurezza alla traslazione: FSTR = 3,42 > 1,3
la verifica alla traslazione è soddisfatta
Verifica al ribaltamento
Il rapporto fra il momento delle azioni stabilizzanti e quello delle forze ribaltanti rispetto al lembo
anteriore della base non deve risultare minore di 1,5.
Azioni al piano di appoggio:
Azione verticale: V = Gfond,k + Gvk = 2082,3 kN
Azione orizzontale: H = Qhk = 300 kN
Momento: M = H (h + D) = 3600 kN m
Eccentricità: e = M/V = 1,73 m
Momento delle forze stabilizzanti: Mstab = V B/2 = 5726,2 kN m
Momento delle forze ribaltanti: Mrib = M = 3600 kN m
Fattore di sicurezza al ribaltamento: FSRIB = 1,59 > 1,5
la verifica al ribaltamento è soddisfatta
Verifica di capacità portante
Larghezza equivalente: Bʹ = B ‐ 2e = 2,04 m
Area equivalente: Aʹ = B x Bʹ = 11,23 m2
15 – 23
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00 kPa
Capacità portante: qlim = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ
per φʹ = φʹk = 35° = 0,611 rad
Fattori di capacità portante:
Nc = 46,124
Nq = 33,296
Nγ = 45,228
Fattori di forma:
sc = 1,268
sq = 1,260
sγ = 0,851
Fattori di profondità:
dc = 1,257
dq = 1,249
dγ = 1,000
Fattori di inclinazione:
ic = 0
iq = 0,821 θ = 0°
iγ = 0,702
m = mL = 1,271
Fattori di inclinazione del piano di posa = 1
Fattori di inclinazione del piano campagna =1
Capacità portante: qlim = 2272,9 kPa
Fattore di sicurezza: FS = qlim Aʹ / V = 12,26 > 3
la verifica di capacità portante è soddisfatta
Verifiche secondo le Norme Tecniche per le Costruzioni ‐ 2008
Verifiche allo Stato Limite Ultimo (SLU)
Verifica allo stato limite di equilibrio come corpo rigido (EQU) (Verifica al ribaltamento)
Ai fini della verifica al ribaltamento le azioni verticali sono favorevoli e le azioni orizzontali sfa‐
vorevoli
Vd = γG1 Gv,k + Gfond,k
γG1 = 0,9 (da Tabella 2.6.I colonna EQU)
Vd = 2022,3 kN
Hd = γQ Qh,k
γQ = 1,5 (da Tabella 2.6.I colonna EQU)
Hd = 450 kN
Resistenza di progetto: Rd = Vd B/2 = 5561,2 kN m
Azione di progetto: Ed = Hd (h + D) = 5400 kN m
Ed ≤ Rd
5400,0 < 5561,2
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 1,030
Verifiche allo stato limite di scorrimento sul piano di posa (GEO) (Verifica alla traslazione)
Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2)
Sono invariate le azioni permanenti, incrementate le azioni variabili (A), ridotti i parametri geo‐
tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γQ Qhk
γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
Ed = 780,0 kN
Coefficiente dʹattrito di progetto: tanδd = tanδk / γφʹ
γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
si applica a tanδ il coeff. parziale per tanφʹ:
tanδd = 0,395
Valore di progetto della resistenza (Rd):
(Gfond,k + Gv,k/γG1)/γR
γG1 = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
γR = 1,1 (da Tabella 6.4.I colonna R2)
15 – 24
Capitolo 15
Rd = 1893,0 kN
Ed ≤ Rd
780,0 < 1893,0
Rd / Ed = 2,427 > 1
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
verifica soddisfatta
Approccio 2 (A1+M1+R3)
Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto dell’azione: Ed = γQ Qhk
γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
Ed = 450,0 kN
Coefficiente dʹattrito di progetto: tanδd = tanδk / γφʹ
γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
si applica a tanδ il coeff. parziale per tanφʹ:
tanδd = 0,493
Valore di progetto della resistenza (Rd):
(Gfond,k + Gv,k/γG1)/γR
γG1 = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
γR = 1,1 (da Tabella 6.4.I colonna R3)
Rd = 1893,0 kN
Ed ≤ Rd
450,0 < 1893,0
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 4,207 > 1
Verifiche allo stato limite ultimo (SLU) dellʹinsieme fondazione‐terreno (GEO) (Verifiche di
capacità portante)
Approccio 1 – Combinazione 2 (A2+M2+R2)
Sono invariate le azioni permanenti, incrementate le azioni variabili (A), ridotti i parametri geo‐
tecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto del carico verticale: Vd = γG (Gvk + Gʹfond,k)
γG = 1 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
Vd = 2082,3 kN
Valore di progetto del carico orizzontale variabile: Hd = γQ Qhk
γQ = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A2)
Hd = 390,0 kN
Valore di progetto del momento alla base: Md = Hd (h + D) = 4680,0 kN m
Eccentricità di progetto: ed = Md / Vd = 2,2 m
Larghezza equivalente di progetto: Bʹd = B ‐ 2ed = 1,00 m
Area equivalente di progetto: Aʹd = B x Bʹd = 5,53 m2
Valore di progetto dellʹangolo di resistenza al taglio: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ
γφʹ = 1,25 (da Tabella 6.2.II colonna M2)
tanφʹd = 0,560
φʹd = 0,511rad = 29,26°
Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00kPa
Capacità portante di progetto: qlim,d = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ
per φʹ = φʹd = 29,26° = 0,511rad
Fattori di capacità portante:
Nc = 28,422
Nq = 16,921
Nγ = 17,837
Fattori di forma:
sc = 1,109
sq = 1,102
sγ = 0,927
Fattori di profondità:
dc = 1,344
dq = 1,324
dγ = 1,000
Fattori di inclinazione:
ic = 0
iq = 0,682
θ = 0° iγ = 0,554
15 – 25
Capitolo 15
CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI
m = mL = 1,846
Fattori di inclinazione del piano di posa = 1
Fattori di inclinazione del piano campagna = 1
Capacità portante: qlim,d = 673,5 kPa
R = Aʹd qlim,d = 3722,5 kN
Valore di progetto della resistenza: Rd = R/γR
γR = 1,8 (da Tabella 6.4.I colonna R2)
Rd =
2068,0
kN
Vd = Ed ≤ Rd
2082,3 > 2068,0
verifica non soddisfatta
Rd / Ed = 0,993 < 1
Approccio 2 (A1+M1+R3)
Sono incrementate le azioni (A), invariati i parametri geotecnici (M) e ridotta la resistenza ( R )
Valore di progetto del carico verticale: Vd = γG (Gvk + Gʹfond,k)
γG = 1,3 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
Vd = 2706,9 kN
Valore di progetto del carico orizzontale variabile: Hd = γQ Qhk
γQ = 1,5 (da Tabella 6.2.I colonna A1)
Hd = 450,0 kN
Valore di progetto del momento alla base: Md = Hd (h + D) = 5400,0kN m
Eccentricità di progetto: ed = Md / Vd = 1,99 m
Larghezza equivalente di progetto: Bʹd = B ‐ 2ed = 1,51 m
Area equivalente di progetto: Aʹd = B x Bʹd = 8,31 m2
Valore di progetto dellʹangolo di resistenza al taglio: tanφʹd = tanφʹk / γφʹ
γφʹ = 1 (da Tabella 6.2.II colonna M1)
tanφʹd = 0,700
φʹd = 0,611 rad = 35,00°
Pressione latistante la fondazione: q = γD = 40,00 kPa
Capacità portante di progetto: qlim,d = cʹ Nc sc dc ic bc gc + q Nq sq dq iq bq gq + 0,5 γ Bʹ Nγ sγ dγ iγ bγ gγ
per φʹ = φʹd = 35,00° = 0,611rad
Fattori di capacità portante:
Nc = 46,124
Nq = 33,296
Nγ = 45,228
Fattori di forma:
sc = 1,198
sq = 1,192
sγ = 0,890
Fattori di profondità:
dc = 1,243
dq = 1,235
dγ = 1,000
Fattori di inclinazione:
ic = 0
iq = 0,723
θ = 0°
iγ =0,603
m = mL = 1,785
Fattori di inclinazione del piano di posa = 1
Fattori di inclinazione del piano campagna = 1
Capacità portante: qlim,d = 1418,1 kPa
R = Aʹd qlim,d = 11778,7 kN
Valore di progetto della resistenza: Rd = R/γR
γR = 2,3 (da Tabella 6.4.I colonna R3)
Rd = 5121,2 kN
Vd = Ed ≤ Rd
2706,9 < 5121,2
verifica soddisfatta
Rd / Ed = 1,892 > 1
15 – 26
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
CAPITOLO 18
STABILITÀ DEI PENDII
18.1 Frane
18.1.1 Fattori e cause dei movimenti franosi
Per frana si intende un rapido spostamento di una massa di roccia o di terra il cui centro di
gravità si muove verso il basso e verso l’esterno.
I principali fattori che influenzano la franosità sono:
• fattori geologici, ovvero caratteri strutturali (faglie e fratturazioni), giacitura, scistosità,
•
•
•
•
associazione e alternanza fra i litotipi, degradazione, alterazione, eventi sismici e vulcanici;
fattori morfologici ovvero pendenza dei versanti;
fattori idrogeologici, ovvero circolazione idrica superficiale e sotterranea, entità e distribuzione delle pressioni interstiziali;
fattori climatici e vegetazionali, ovvero alternanza di lunghe stagioni secche e periodi
di intensa e/o prolungata piovosità, disboscamenti e incendi;
fattori antropici, ovvero scavi e riporti, disboscamenti e abbandono delle terre.
Le cause dei movimenti franosi possono essere distinte in cause strutturali o predisponenti, prevalentemente connesse ai fattori geologici, morfologici e idrogeologici, e in
cause occasionali o determinanti (o scatenanti), prevalentemente connesse ai fattori climatici, vegetazionali, antropici ed al manifestarsi di eventi sismici o vulcanici.
Il movimento franoso si manifesta quando lungo una superficie (o meglio in corrispondenza di una “fascia” di terreno in prossimità di una superficie) all’interno del pendio, le
tensioni tangenziali mobilitate per l’equilibrio (domanda di resistenza) eguagliano la capacità di resistenza al taglio del terreno. Ciò può avvenire per un aumento della domanda
di resistenza, per una riduzione della capacità di resistenza o per il manifestarsi di entrambi i fenomeni. Un aumento della domanda di resistenza può essere determinato da un
incremento di carico (dovuto ad esempio alla costruzione di un manufatto o ad un evento
sismico), o da un aumento dell’acclività del pendio (dovuta ad esempio a erosione o sbancamento al piede). La riduzione della resistenza al taglio può essere dovuta ad un incremento delle pressioni interstiziali (per effetto ad esempio di un innalzamento della falda o
della riduzione delle tensioni di capillarità prodotti dalla pioggia) o per effetto di fenomeni fisici, chimici o biologici.
Per l’innesco e l’evoluzione di un fenomeno franoso è molto importante la dipendenza
della resistenza al taglio dall’entità della deformazione, ovvero la curva tensionideformazioni del terreno, ed i valori di resistenza al taglio di picco e residua. Infatti la
domanda e la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale sono variabili, e quando in una parte di essa viene superata la resistenza di picco e la capacità resistente decade ad un valore residuo, si verifica una ridistribuzione degli sforzi con parziale trasferimento della domanda ad un’altra parte, meno sollecitata, della superficie di
scorrimento (fenomeno di rottura progressiva). Pertanto, in condizioni di equilibrio limite
18 – 1
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
del pendio, il valore medio pesato della resistenza al taglio mobilitata lungo la superficie
di scorrimento è intermedio tra la resistenza di picco e la resistenza residua.
18.1.2 Nomenclatura di un movimento franoso
Negli schemi di Figura 18.1 sono indicate le parti fondamentali di un movimento franoso.
In particolare in Figura 18.1a sono indicati, la nicchia di distacco, che è la zona superiore
della frana, con una caratteristica forma "a cucchiaio", l’alveo di frana, che è la porzione
intermedia, e il cumulo di frana, che è la parte terminale della frana, di forma convessa e
rilevata rispetto alla superficie topografica preesistente.
I numeri di Figura 18.1b indicano rispettivamente: 1. il coronamento, 2. la scarpata principale, 3. la testata o terrazzo di frana, 4. le fessure trasversali, 5. la scarpata secondaria,
6. il terrazzo di frana secondario, 7. la zona delle fessure longitudinali, 8. la zona delle
fessure trasversali, 9. la zona dei rigonfiamenti trasversali e, a valle, delle fessure radiali,
10. l’unghia del cumulo di frana e, infine, 11. il fianco destro.
a)
b)
Zon
ad
1
co
tac
dis
i dis
tacc
o
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Zo 11
Al
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frana
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ro t
Figura 18.1 - Nomenclatura delle parti di un movimento franoso
18.1.3 Classificazione dei movimenti franosi
I movimenti franosi possono essere caratterizzati da diverse forme della superficie di
scorrimento e da diversi meccanismi di rottura.
L’individuazione dell’andamento della superficie di rottura (effettiva o potenziale) e del
cinematismo di collasso è importante per la scelta del metodo di analisi più appropriato e
degli eventuali interventi di stabilizzazione e di mitigazione degli effetti. Per questo motivo sono stati proposti diversi sistemi di classificazione delle frane tra i quali il più noto e
utilizzato è il sistema di Varnes (1978), che distingue sei classi fondamentali:
18 – 2
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
crolli (falls): caratterizzati dallo spostamento dei materiali in caduta libera e dal successivo movimento, per salti e/o rimbalzi, dei frammenti di roccia (Figura 18.2). Generalmente
si verificano in versanti interessati da preesistenti discontinuità strutturali (faglie e piani
di stratificazione) e sono, di norma, improvvisi con velocità di caduta dei materiali elevata. La frana
di crollo avviene in pareti subverticali di roccia, dalle quali si staccano blocchi di materiale che precipitano al piede della scarpata.
Cause determinanti sono le escursioni termiche (gelo e disgelo),
l’erosione alla base, le azioni sismiche e le azioni antropiche.
Figura 18.2 – Frana di crollo
ribaltamenti (topples): movimenti
simili ai crolli, determinati dalle
stesse cause e caratterizzati dal ribaltamento frontale del materiale
che ruota intorno ad un punto al di
sotto del baricentro della massa. I
materiali interessati sono generalmente rocce lapidee che hanno subito intensi processi di alterazione
e/o che presentano delle superfici
di discontinuità (faglie o superfici
di strato). Le frane per ribaltamento
(Figura 18.3) si verificano di norma
nelle zone dove le superfici di strato risultano essere sub-verticali (a)
o lungo le sponde dei corsi d’acqua
per scalzamento al piede (b).
Figura 18.3 - Frane di ribaltamento.
scorrimenti (slides): in base alla forma della superficie di scorrimento si distinguono in
scorrimenti rotazionali e scorrimenti traslativi (Figura 18.4). Lo scorrimento rotazionale
a)
b)
Figura 18.4 - Frane di scorrimento rotazionale (a) e traslazionale (b)
18 – 3
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
avviene in terreni o rocce dotati di coesione e si sviluppa lungo una superficie generalmente concava, che si produce al momento della rottura del materiale. La parte inferiore
del cumulo di frana tende ad allargarsi e dà luogo spesso a frane di colamento. Lo scorrimento traslazionale invece consiste nel movimento di masse rocciose o di terreni, lungo
una superficie di discontinuità poco scabrosa e preesistente disposta a franapoggio. Le
principali cause degli scorrimenti sono le acque di infiltrazione, le azioni antropiche e i
terremoti.
espansioni laterali (lateral spreads): sono movimenti complessi, a componente
orizzontale prevalente, che hanno luogo
quando una massa rocciosa lapidea e fratturata giace su un terreno dal comportamento molto plastico (Figura 18.5).
colamenti (flows): sono movimenti franosi, anche molto estesi, che si verificano
nei terreni sciolti (Figura 18.6). La superficie di scorrimento non è ben definibile,
Figura 18.5 - Espansioni laterali
la velocità è variabile da punto a punto
della massa in frana, talvolta è molto elevata con conseguenze catastrofiche. Il materiale in frana ha il comportamento di un fluido
viscoso e segue l’andamento di preesistenti solchi di erosione che ne costituiscono
l’alveo.
Figura 18.6 - Colamenti
Figura 18.7 – Fenomeni franosi complessi
18 – 4
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
fenomeni complessi (complex): sono combinazioni di due o più tipi di frane precedentemente descritte, ad esempio: crollo di roccia e colata di detrito, scorrimento rotazionale e
ribaltamento, scorrimento traslativo di blocchi e crollo di roccia, etc.. (Figura 18.7).
18.2 Analisi di stabilità dei pendii
I metodi di analisi della stabilità dei pendii più diffusi ed utilizzati nella pratica professionale sono metodi all’equilibrio limite, che ipotizzano per il terreno un comportamento rigido – perfettamente plastico. Si immagina cioè che il terreno non si deformi fino al raggiungimento della condizione di rottura, e che, in condizioni di rottura, la resistenza al taglio si mantenga costante e indipendente dalle deformazioni accumulate. Da tale ipotesi,
fortemente semplificativa, consegue che: a) la rottura si manifesta lungo una superficie
netta di separazione tra la massa in frana e il terreno stabile, b) la massa in frana è un
blocco indeformato in moto di roto-traslazione rigida, c) la resistenza mobilitata lungo la
superficie di scorrimento in condizioni di equilibrio limite è costante nel tempo, indipendente dalle deformazioni e quindi dai movimenti della frana, e ovunque pari alla resistenza al taglio, d) non è possibile determinare né le deformazioni precedenti la rottura, né
l’entità dei movimenti del blocco in frana, né la velocità del fenomeno.
Inoltre la maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il problema piano (cioè ipotizzano che la superficie di scorrimento sia di forma cilindrica con
direttrici ortogonali al piano considerato), analizzando di norma una o più sezioni longitudinali del versante e trascurando gli effetti tridimensionali.
Ulteriori ipotesi semplificative, diverse da un metodo all’altro, sono necessarie per rendere il problema staticamente determinato (come si vedrà nel Paragrafo 18.6), cosicché a parità di geometria e di caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, il risultato dell’analisi,
in termini di superficie di scorrimento critica (superficie per la quale il rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata assume il valore minimo) e di coefficiente di sicurezza (rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata), non è unico ma dipende dal metodo adottato.
Nonostante tutto però, l’affidabilità dei risultati dipende quasi esclusivamente dalla corretta schematizzazione del fenomeno e dalla scelta dei parametri di progetto che, proprio
a causa della scarsa aderenza alla realtà fisica del modello costitutivo adottato per il terreno, devono essere fissati con grande attenzione e consapevolezza.
Occorre poi distinguere i pendii naturali dai pendii artificiali, non solo e non tanto perché
i volumi in gioco e le condizioni di carico sono spesso molto diversi, o perché alcuni metodi di analisi sono più adatti allo studio della stabilità degli uni o degli altri, ma perché è
generalmente molto diversa la conoscenza qualitativa e quantitativa della geometria superficiale e profonda, e delle proprietà fisico-meccaniche dei terreni.
Nei pendii artificiali (ad esempio i fianchi dei rilevati stradali, degli argini o delle dighe
in terra) quasi sempre la geometria è semplice e nota, i terreni sono materiali da costruzione omogenei ed hanno caratteristiche fisico-meccaniche note, poiché corrispondenti
alle specifiche di capitolato, lo schema bidimensionale (problema piano) è aderente alla
realtà fisica, poiché si tratta di opere con una dimensione di gran lunga prevalente rispetto
alle altre due e con variazioni graduali della sezione trasversale, le condizioni di carico
18 – 5
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
possono variare rapidamente nel tempo, ad esempio per gli argini al variare del livello del
fiume, o per le dighe al variare del livello di invaso.
I pendii naturali invece sono di norma caratterizzati da una morfologia superficiale e profonda complessa, da una grande variabilità spaziale delle caratteristiche fisicomeccaniche dei terreni, e di norma da una meno rapida variazione delle condizioni di carico (salvo le azioni sismiche). Le indagini geologiche, idrogeologiche e geotecniche, la
cui estensione ed approfondimento devono essere commisurati, in termini anche economici, all’importanza, alle finalità, all’estensione ed alla gravità del problema in studio ed
alla fase di progettazione, possono solo fornire un quadro approssimato e parziale della
realtà fisica.
Nel caso degli scavi le condizioni sono talora, in un certo senso, intermedie, poiché la geometria superficiale è ben definita, ma il terreno di cui è costituito il pendio è naturale, e
quindi può essere caratterizzato anche da forte variabilità spaziale, le condizioni di carico,
legate ai tempi e ai modi di realizzazione dello scavo e di permanenza dello scavo aperto,
possono variare sensibilmente nel tempo.
18.3 Pendii indefiniti
Lo schema di pendio indefinito è applicabile al caso di frane di scorrimento allungate, in
cui l’influenza delle porzioni di sommità e di piede è trascurabile. La stabilità delle coltri
di terreno alluvionale o detritico, di piccolo spessore rispetto alla lunghezza della frana,
poste su un terreno di fondazione più rigido è di norma trattata con riferimento allo schema di pendio indefinito.
18.3.1 Pendio indefinito di terreno incoerente asciutto
Consideriamo inizialmente il caso di un pendio indefinito di terreno omogeneo, incoerente e asciutto, con resistenza al taglio data
dall’equazione: τf = σ’ tanφ’. In Figura
N=Wcosβ
18.8 sono rappresentate le condizioni di
β
equilibrio di un generico concio di terreβ
no delimitato da due superfici verticali e
da un piano di base appartenente alla potenziale superficie di scorrimento, parallelo alla superficie del pendio. Per simmetria le tensioni sulle facce laterali del
W
concio sono eguali e opposte, quindi le
T=Wsinβ
T
W
azioni risultanti hanno la stessa retta
d’azione parallela al pendio, stessa direN
zione, stesso modulo, e verso opposto.
Pertanto si elidono a vicenda e non inter- Figura 18.8 - Schema di pendio indefinito incoevengono nelle equazioni di equilibrio.
rente asciutto
Il fattore (o coefficiente) di sicurezza FS
è in generale il rapporto tra la capacità di resistenza, C, e la domanda di resistenza, D:
FS =
C
D
(Eq. 18.1)
18 – 6
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Nel caso in esame, considerando l’equilibrio alla traslazione lungo la superficie di base
del concio, inclinata di un angolo β rispetto all’orizzontale si ha che:
-
C è la forza di taglio massima disponibile alla base del concio:
C = Tf = N ⋅ tan φ' = W ⋅ cos β ⋅ tan φ'
-
D è la forza di taglio necessaria per l’equilibrio: D = T = W ⋅ sin β
dunque:
FS =
C W ⋅ cos β ⋅ tan φ' tan φ'
=
=
D
W ⋅ sin β
tan β
(Eq. 18.2)
In condizioni di equilibrio limite FS = 1
e dunque:
β max = φ'
Si può osservare che:
- la condizione di equilibrio limite si verifica per β = φ’,
- la superficie di scorrimento è parallela al pendio,
- la condizione di equilibrio è indipendente dalla profondità della superficie di
scorrimento,
- l’unico parametro geotecnico necessario per valutare il coefficiente di sicurezza FS è
l’angolo di resistenza al taglio φ’.
È inoltre da sottolineare che:
- nelle verifiche di sicurezza è opportuno assumere φ’ = φ’cv, avendo indicato con φ’cv
l’angolo di resistenza al taglio a volume costante, ovvero allo stato critico,
- nei pendii naturali può aversi β > φ’ per effetto di capillarità, leggera cementazione,
radici, altezza limitata del pendio.
18.3.2 Pendio indefinito di terreno incoerente totalmente immerso in acqua in quiete
Si consideri l’equilibrio del concio di
terreno omogeneo, incoerente e
totalmente immerso in acqua in quiete
indicato in Figura 18.9.
Livello d’acqua
β
In questo caso oltre alle forze presenti
nel caso di terreno incoerente asciutto
a
(Paragrafo 13.3.1), agisce sul concio
una spinta dell’acqua, risultante delle
pressioni idrostatiche agenti sulle
d
pareti, che risulta verticale e diretta
verso l’alto, pari al peso specifico
dell’acqua per il volume del concio.
Per l’equilibrio è pertanto sufficiente
fare riferimento al peso immerso (o
Figura 18.9 - Schema di pendio indefinito immerso in
efficace) del concio, che vale:
W ' = γ '⋅a ⋅ d
acqua in quiete
18 – 7
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
essendo γ ' = γ sat − γ w il peso di volume immerso del terreno e avendo assunto uno
spessore unitario del concio nella direzione ortogonale al piano del disegno.
Poiché per un pendio indefinito il peso del concio è ininfluente sul valore del fattore di
sicurezza, anche nel caso di pendio totalmente immerso in acqua in quiete il fattore di
sicurezza vale:
FS =
tan ϕ'
tan β
(Eq. 18.3)
come per il caso di pendio asciutto.
18.3.3 Pendio indefinito di terreno omogeneo con filtrazione parallela al pendio
Lo schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio (Figura 18.10) è spesso
utilizzato per verificare la stabilità di una coltre di terreno, relativamente permeabile e di
spessore quasi costante, su un substrato roccioso o comunque di terreno non alterato, poco
permeabile e stabile, allorché in seguito a prolungate piogge diviene sede di un moto di
filtrazione parallelo al pendio. L’altezza della falda viene messa in relazione alla durata e
all’intensità della pioggia, ed al coefficiente di assorbimento del terreno.
La resistenza al taglio del terreno vale: τ f = c'+ σ'⋅ tan φ' ,
ed il fattore di sicurezza è: FS =
τf
τ
Facendo riferimento alla Figura 18.10 e indicando con γ il peso di volume medio del terreno sopra falda e con γsat il peso di volume del terreno saturo (sotto falda), la componente
del peso normale alla base del concio è:
N = W ⋅ cos β = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ cos β
la lunghezza della base del concio è: l =
1
,
cos β
dunque la tensione normale alla base del concio vale:
σ = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ cos 2 β
La componente del peso parallela alla base del concio è:
T = W ⋅ sin β = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ]⋅ z ⋅ sin β
dunque la tensione di taglio alla base del concio vale:
τ = [(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ] ⋅ z ⋅ sin β ⋅ cos β .
In questo caso è inoltre possibile osservare che la risultante delle pressioni interstiziali agenti sulle due facce verticali del concio è uguale ed opposta e che lungo la base inferiore
la distribuzione delle pressioni interstiziali è uniforme e la pressione interstiziale vale:
u = γ w ⋅ h w = m ⋅ z ⋅ γ w ⋅ cos 2 β
18 – 8
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
β
mz
Figura 18.10 - Schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio
Quindi l’espressione generale per il fattore di sicurezza risulta:
FS =
c'+ (σ − u ) ⋅ tan φ' c'+[(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ '] ⋅ z ⋅ cos 2 β ⋅ tan φ'
=
[(1 − m ) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ]⋅ z ⋅ sin β ⋅ cos β
τ
(Eq. 18.4)
Se si assume, come ipotesi semplificativa e cautelativa, oltreché molto spesso realistica, c' = 0 , risulta:
FS =
[(1 − m) ⋅ γ + m ⋅ γ ']
[(1 − m) ⋅ γ + m ⋅ γ sat ]
⋅
tan φ'
tan β
(Eq. 18.5)
se poi, per semplicità e senza grave errore, si assume γ = γsat (anche perché molto spesso il
terreno sopra falda è saturo per risalita capillare e per infiltrazione dell’acqua piovana),
risulta:
FS =
(γ sat − m ⋅ γ w )
γ sat
⋅
tan φ'
tan β
(Eq. 18.6)
Nel caso particolare di m = 1 (falda coincidente con il piano campagna) si ottiene:
FS =
γ ' tan φ'
⋅
γ sat tan β
(Eq. 18.7)
γ'
è circa pari a 0,5, ne consegue che la presenza di un moto di filγ sat
trazione parallelo al pendio con livello di falda coincidente con il piano campagna riduce
il coefficiente di sicurezza ad un valore che è circa la metà del coefficiente di sicurezza
del pendio asciutto o immerso in acqua in quiete.
Poiché il rapporto
18 – 9
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
18.4 Pendii di altezza limitata
Per le verifiche di stabilità di pendii di altezza limitata con metodi all’equilibrio limite, si
considera l’equilibrio di una massa di terreno delimitata da una superficie di slittamento
di forma nota (molto spesso circolare o a forma di spirale logaritmica). La resistenza al
taglio disponibile, C, e quella mobilitata, D, sono calcolate impiegando solo le equazioni
di equilibrio statico ed il criterio di rottura di Mohr-Coulomb. Il coefficiente di sicurezza
è definito come il rapporto C/D ed è assunto costante lungo tutta la superficie di scorrimento potenziale.
I metodi di calcolo della stabilità possono essere utilizzati in modo diretto o inverso, ovvero:
- per stimare il coefficiente di sicurezza di un pendio stabile, si fissa la geometria superficiale e profonda, si attribuiscono valori di progetto ai parametri geotecnici, si ipotizza
l’entità e la distribuzione delle pressioni interstiziali, e si determinano per tentativi il
coefficiente di sicurezza e la superficie di scorrimento critica (ricordando che per
quest’ultima si intende la superficie cui è associato il minimo valore del rapporto fra
resistenza disponibile e resistenza mobilitata);
- se invece la frana è in atto o è avvenuta, la superficie di scorrimento è nota o sperimentalmente determinabile, e le equazioni di equilibrio consentono di determinare, posto
FS = 1, la resistenza al taglio media in condizioni di rottura lungo la superficie di scorrimento.
18.5 Pendii artificiali
Come già è stato detto, i pendii artificiali, ovvero realizzati dall’uomo con la costruzione
di un’opera in terra o con scavi, sono caratterizzati in genere da una morfologia elementare e, nel caso di opere in terra, da terreni omogenei. Inoltre l’ipotesi di bidimensionalità
del problema è molto spesso ben verificata, poiché la lunghezza del rilevato o dello scavo
è di norma molto maggiore dell’altezza, e quest’ultima è costante o varia gradualmente.
Pertanto i metodi all’equilibrio limite per la verifica della stabilità di pendii artificiali considerano un blocco unico di terreno omogeneo, geometricamente definito dalla superficie
topografica e dalla superficie di scorrimento potenziale. Una volta fissata la forma della
superficie di scorrimento, tali metodi si prestano a soluzioni adimensionali.
Nell’ambito dei pendii artificiali, occorre tuttavia distinguere tra pendii di rilevato e pendii di scavo.
Nel primo caso si ha di norma una differenza tra il terreno naturale di fondazione e il terreno artificiale di costruzione del rilevato. La messa in opera del rilevato, determina nel
terreno di fondazione un incremento delle tensioni totali e induce un processo di consolidazione, più o meno rapido a seconda della permeabilità del terreno. Pertanto occorre associare alla verifica di stabilità del pendio anche la verifica di capacità portante a breve e
a lungo termine del terreno di fondazione.
Nel corpo dei rilevati stradali le pressioni interstiziali sono, di norma, nulle (o negative) e
la verifica di stabilità del pendio può essere svolta in termini di tensioni efficaci.
Nel corpo dei rilevati arginali e delle dighe in terra le pressioni interstiziali variano con le
condizioni di carico idraulico nello spazio e nel tempo. In condizioni di moto di filtrazio18 – 10
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
ne assente o stazionario è possibile misurare o calcolare la distribuzione delle pressioni
interstiziali e svolgere l’analisi di stabilità in termini di tensioni efficaci. In condizioni di
moto di filtrazione transitorio, ad esempio dopo uno svaso rapido, se il terreno è poco
permeabile, la distribuzione delle pressioni interstiziali è difficilmente determinabile e
l’analisi di stabilità viene svolta in termini di tensioni totali, con riferimento alla resistenza al taglio non drenata relativa alla pressione di consolidazione iniziale. Tale condizione
è la più critica, poiché viene a mancare la pressione dell’acqua che sostiene il pendio (e
quindi aumenta la domanda di resistenza), mentre si assume invariata la capacità di resistenza. Nel tempo, col dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, la resistenza al taglio, e
quindi il coefficiente di sicurezza tenderanno a crescere.
Nel caso di pendii di scavo, l’analisi di stabilità presenta in genere maggiori incertezze a
causa della variabilità del terreno naturale che costituisce il pendio. Per scavi sotto falda si
determina un moto di filtrazione ascendente e sono pertanto necessarie le verifiche al sifonamento e di stabilità del fondo scavo.
Se si esegue uno scavo in un terreno sotto falda, ad esempio per realizzare le fondazioni
di un fabbricato, e si mantiene asciutto il fondo dello scavo per permettere le lavorazioni,
si produce un’alterazione dello stato tensionale del terreno circostante. In particolare le
tensioni totali si riducono via via che procede lo scavo, mentre le pressioni interstiziali e
le pressioni efficaci variano con tempi che dipendono dalla permeabilità del terreno. Pertanto il fattore di sicurezza del pendio, ovvero il rapporto tra capacità e domanda di resistenza, FS = C/D, varia nel tempo, ed il periodo durante il quale possono prodursi franamenti dopo la realizzazione di uno scavo sotto falda, ovvero il momento critico di minimo
valore di F, dipende dalla natura del terreno.
Nei terreni granulari molto permeabili (sabbie e ghiaie) la falda assume la posizione di
equilibrio via via che procede lo scavo (fasi 1, 2, 3 di Figura 18.11), ovvero non solo le
pressioni totali, ma anche le pressioni interstiziali ed efficaci variano in tempo reale, e il
moto di filtrazione è, istante per istante, in regime stazionario. Pertanto le condizioni di
stabilità sono indipendenti dal tempo (condizioni drenate) e le verifiche di stabilità possono e devono essere eseguite in termini di tensioni efficaci, previa valutazione del reticolo
idrodinamico.
Piano di campagna
Livello di falda
iniziale
SCAVO
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Figura 18.11 - Fasi di uno scavo
18 – 11
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Invece, nei terreni a grana fine poco permeabili (limi e argille), durante lo scavo a causa
della variata distribuzione delle tensioni nascono sovrapressioni interstiziali che non possono dissiparsi rapidamente. Le condizioni di stabilità sono dipendenti dal tempo, e poiché difficilmente si conosce l’evoluzione delle pressioni interstiziali in regime di filtrazione transitorio, le verifiche di stabilità devono essere eseguite sia per condizioni non
drenate a breve termine (in tensioni totali), sia per condizioni drenate a lungo termine (in
tensioni efficaci). In linea generale, la condizione più critica per la stabilità è a lungo termine. Infatti a causa dello scarico tensionale prodotto dallo scavo si ha una diminuzione
istantanea della domanda di resistenza, mentre le tensioni efficaci, e quindi la capacità di
resistenza, si riducono lentamente con il dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali negative. Pertanto il coefficiente di sicurezza diminuisce gradualmente, ed un fronte di scavo,
inizialmente stabile, può collassare dopo un certo tempo. Le verifiche di stabilità a breve
termine sono di norma eseguite per scavi solo temporaneamente non sostenuti.
18.5.1 Analisi di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento
piana (metodo di Culmann)
Il metodo di Culmann per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo di altezza limitata
considera le condizioni di equilibrio di un cuneo di terreno delimitato da una superficie di
scorrimento piana (in analogia al metodo di Coulomb per la determinazione della spinta
delle terre). Evidenze sperimentali e analisi teoriche dimostrano che, salvo casi particolari, l’ipotesi di superficie di scorrimento piana non è realistica né cautelativa, tuttavia consente una trattazione semplice del problema, utile a comprendere lo spirito dei metodi
all’equilibrio limite globale.
Si consideri il pendio indicato in Figura 18.12, avente altezza H, angolo di pendio β rispetto all’orizzontale, e costituito da un terreno omogeneo con peso di volume γ e resistenza al taglio espressa dall’equazione di Mohr-Coulomb: τf = c + σ tanφ.
Assumiamo come potenziale superficie di scorrimento il piano AC, inclinato di un angolo
θ sull’orizzontale, che individua il cuneo ABC.
B
C
Il peso del cuneo ABC, vale:
1
1
⋅ γ ⋅ H ⋅ BC = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅ (cot θ − cot β) =
2
2
1
sen (β − θ)
= ⋅ γ ⋅ H2 ⋅
2
senβ ⋅ senθ
(Eq. 18.8)
W=
H
A
β
θ
Figura 18.12 - Cuneo di Culmann
Le componenti normale, N, e tangenziale, T,
di W rispetto al piano AC, valgono:
1
sen (β − θ)
⋅ γ ⋅ H2 ⋅
⋅ cos θ
2
senβ ⋅ senθ
1
sen (β − θ)
T = W ⋅ senθ = ⋅ γ ⋅ H 2 ⋅
2
senβ
N = W ⋅ cos θ =
(Eq. 18.9)
La tensione normale media, σ, e la tensione tangenziale media, τ, sul piano AC valgono:
18 – 12
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
N
N
1
sen (β − θ)
=
= ⋅γ⋅H⋅
⋅ cos θ
senβ
AC ⎛ H ⎞ 2
⎜
⎟
⎝ senθ ⎠
T
T
1
sen (β − θ)
τ=
=
= ⋅γ⋅H⋅
⋅ senθ
senβ
AC ⎛ H ⎞ 2
⎜
⎟
⎝ senθ ⎠
(Eq. 18.10)
σ=
Il coefficiente di sicurezza del pendio, FS, è il rapporto tra la resistenza al taglio e la tensione tangenziale mobilitata per l’equilibrio lungo la superficie di scorrimento potenziale
AC:
1
sen (β − θ)
⋅γ⋅H⋅
⋅ cos θ ⋅ tan φ
τ f c + σ ⋅ tan φ
2
senβ
FS =
=
=
=
1
sen (β − θ)
τ
τ
⋅γ⋅H⋅
⋅ senθ
2
senβ
2c
1
tan φ
=
⋅
+
2
γH (cot gθ − cot gβ ) ⋅ sen θ tan θ
c+
Per c = 0 l’Eq. 18.11 diviene: FS =
per θ = θcrit = φ.
(Eq. 18.11)
tan φ
, ovvero la condizione di equilibrio limite si ha
tan θ
In presenza di un terreno dotato di coesione (c > 0), per determinare l’angolo θcrit che individua la superficie di scorrimento potenziale critica, ovvero quella superficie cui è associato il minimo valore di FS, si impone eguale a zero la derivata dell’Eq. 18.11 rispetto a
∂FS
= 0 , e si risolve per θ.
θ:
∂θ
Ne risulta un’equazione di secondo grado in tanθcrit:
posto:
t = tanθcrit
2
at + bt + c = 0
(Eq. 18.12)
in cui
con A = −
a = A + cot gβ 2
2c
γH ⋅ tan φ
b = 2 (A-1) cotgβ
c=1–A
Sostituendo il valore ottenuto di θcrit nell’Eq. 18.11 si ottiene il valore del fattore di sicurezza FS.
L’altezza critica, Hcr, ovvero la massima altezza del pendio compatibile con l’equilibrio,
si ottiene imponendo FS = 1, e risulta:
18 – 13
Capitolo 18
H cr =
STABILITÀ DEI PENDII
4 ⋅ c ⎡ senβ ⋅ cos φ ⎤
⋅
γ ⎢⎣1 − cos(β − φ) ⎥⎦
(Eq. 18.13)
Se l’analisi è svolta in termini di tensioni totali ed il terreno è saturo, la resistenza al taglio
vale τ f = c u , per cui l’altezza critica di uno scavo in argilla a breve termine, in condizioni
non drenate, risulta:
H cr =
4 ⋅ cu
senβ
⋅
(1 − cos β)
γ
(Eq. 18.14)
e il piano di scorrimento è inclinato di:
θcr = β/2
(Eq. 18.15)
e, nel caso particolare di scavo in parete verticale (β = 90°), si ottiene:
H cr =
4 ⋅ cu
γ
θcr = 45°
(Eq. 18.16)
Il metodo di Culmann (come il metodo di Coulomb per la spinta delle terre) si presta a
soluzioni grafiche basate sulla costruzione del poligono delle forze, e può essere utilizzato
anche per geometrie del pendio più complesse e irregolari, e in presenza di carichi
concentrati o distribuiti sulla superficie.
18.5.2 Carte di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento
circolare
Per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo con metodi all’equilibrio limite globale si
ricorre in genere alla più realistica ipotesi di superficie di scorrimento circolare. Con
riferimento agli schemi di Figura 18.13, se la superficie di scorrimento critica interseca il
pendio al piede o lungo la scarpata, la rottura è detta di pendio (slope failure), e si
possono avere i casi di cerchio di piede (toe circle) e di cerchio di pendio (slope circle).
Se invece il punto di intersezione è ad una certa distanza dal piede del pendio, la rottura è
detta di base (base failure) ed il corrispondente cerchio è detto medio (midpoint circle).
Taylor (1937) ha affrontato analiticamente il problema della stabilità di un pendio
omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, fornendo soluzioni adimensionali
e carte di stabilità di impiego semplice e immediato. Il terreno ha peso di volume γ, e
resistenza al taglio τ = c + σ tanφ. Il caso di pendio costituito da materiale puramente
coesivo (γ = γsat, φu = 0, τ = cu) è applicabile per la verifica a breve termine di pendii di
argilla omogenea satura non fessurata in condizioni non drenate. Il caso di pendio
costituito da materiale dotato di coesione e attrito è applicabile alle verifiche a breve
termine di terreno argilloso non saturo (γ < γsat, φu > 0, τ = cu + σ tanφu), e a lungo termine
di terreni coesivi sovraconsolidati in assenza di pressione interstiziale (φ' > 0, u = 0, τ = c’
+ σ tanφ’).
Altri Autori hanno considerato casi più complessi che mettono in conto gli effetti sulla
stabilità di un sovraccarico uniformemente distribuito sulla sommità del pendio, della
resistenza al taglio variabile con la profondità, dell’inclinazione della superficie a monte,
della filtrazione e della sommergenza, delle fessure di trazione, di superfici di scorrimento
a forma di spirale logaritmica, etc., ma tali soluzioni richiedono numerose tabelle e/o
18 – 14
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
grafici, ed è allora preferibile utilizzare i metodi delle strisce che, con la diffusione dei
programmi di calcolo automatico, non hanno più lo svantaggio del lungo tempo di
calcolo.
Stabilità a breve termine di pendii in argilla omogenea satura
Per la verifica di stabilità a breve termine, in condizioni non drenate, di un pendio
omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, costituito da argilla satura avente
peso di volume γ e resistenza al taglio costante con la profondità, τf = cu, si utilizza la
soluzione di Taylor (1937).
Lo schema geometrico di riferimento è indicato in Figura 18.14, ove a solo titolo di
esempio, è rappresentata una rottura di base ed il corrispondente cerchio medio.
Il tipo di rottura e la posizione del cerchio critico dipendono, come è possibile desumere
dalla Figura 18.15, dall’inclinazione β del pendio e dal fattore di profondità nd, che è il
rapporto adimensionale fra la profondità H1 di un eventuale strato rigido di base e
l’altezza H del pendio.
A) ROTTURA DI PENDIO
CERCHIO DI PIEDE
CERCHIO DI PENDIO
B) ROTTURA DI BASE
Figura 18.13 - Schemi di rottura di un pendio omogeneo di altezza limitata con
superficie di scorrimento circolare
18 – 15
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Figura 18.14 - Schema geometrico di riferimento Figura 18.15 - Carta di stabilità di Taylor per
per la soluzione di Taylor
pendii di terreno dotato di sola coesione
In condizioni di equilibrio limite l’altezza critica del pendio vale:
Hc = Ns ⋅
cu
γ
(Eq. 18.17)
Il fattore di stabilità, Ns, adimensionale, dipende dalla geometria del problema ed è
determinabile con il grafico di Figura 18.15, ove è indicato anche il tipo di rottura che si
determina.
In condizioni di equilibrio stabile, il coefficiente di sicurezza FS, vale:
FS =
Hc
c
= Ns ⋅ u
H
γ⋅H
(Eq. 18.18)
Dall’osservazione del grafico di Taylor, si desume che:
ƒ per un pendio a parete verticale (β = 90°) il fattore di stabilità vale 3,85, ovvero
c
l’altezza critica è H c = 3,85 ⋅ u , inferiore al valore che si è ottenuto con l’ipotesi di
γ
c ⎞
⎛
superficie di scorrimento piana ⎜⎜ H c = 4 ⋅ u ⎟⎟ ;
γ ⎠
⎝
ƒ per angolo di pendio β > 53° il cerchio critico è sempre di piede;
ƒ per angolo di pendio β < 53° il cerchio critico può essere di piede, medio o di pendio a
seconda della profondità dello strato rigido di base;
ƒ in assenza di uno strato compatto di base, ovvero per nd = ∞, vi è un’altezza critica
c ⎞
⎛
⎜⎜ H c = 5,52 ⋅ u ⎟⎟ che comunque non può essere superata, indipendentemente dal
γ ⎠
⎝
valore di β.
18 – 16
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Stabilità di un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito
La soluzione di Taylor per un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito è
basata sul metodo del cerchio d’attrito, schematicamente illustrato in Figura 18.16. Il
raggio della superficie di scorrimento potenziale è indicato con R. Il cerchio d’attrito è
concentrico alla superficie circolare di scorrimento ed ha raggio R senφ. Ogni linea
tangente al cerchio d’attrito che interseca la superficie di scorrimento, forma con la
normale ad essa un angolo φ. Pertanto in ogni punto della superficie di scorrimento, la
direzione della tensione mutua (somma dello sforzo normale e della tensione tangenziale
dovuta all’attrito), in condizioni di equilibrio limite, forma un angolo φ con la normale
alla superficie ed è tangente al cerchio d’attrito. Per un assegnato valore di φ l’altezza
critica del pendio è data dall’equazione:
Hc = Ns ⋅
c
γ
(Eq. 18.19)
Il valore del fattore di stabilità Ns è funzione degli angoli β e φ (Figura 18.20).
β
p
S
c
Fattore di stabilità, N = γ H /c
Cerchio di attrito
Superficie di
scorrimento circolare
W = peso del terreno
c = coesione risultante
P = forza risultante
φ = angolo di resistenza al taglio
β = inclinazione del pendio
Inclinazione del pendio, β (°)
Figura 18.16 - Schema del metodo del cerchio Figura 18.17 - Carta di stabilità di Taylor per
d’attrito
pendii di terreno dotato di coesione e attrito
18.6 Pendii naturali – Metodi delle strisce
Per le verifiche di stabilità dei pendii naturali, spesso caratterizzati da una complessa e
irregolare morfologia superficiale e profonda, e da una forte variabilità delle condizioni
stratigrafiche e geotecniche, si ricorre, nell’ambito dei metodi all’equilibrio limite, ai
cosiddetti metodi delle strisce.
Dopo avere scelto e disegnato una o più sezioni longitudinali del pendio in base alla massima pendenza e/o ad altre condizioni critiche come la presenza di strutture o infrastrutture, di discontinuità morfologiche o geologiche, o anche dei segni che indicano un movimento avvenuto, come fratture e rigonfiamenti, si ipotizza una superficie cilindrica di
scorrimento potenziale, S, e si suddivide idealmente la porzione di terreno delimitato da S
18 – 17
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
e dalla superficie topografica in n conci mediante n-1 tagli verticali (Figura 18.18), non
necessariamente di eguale larghezza, ma tali che l’arco di cerchio alla base di ciascuno di
essi ricada interamente in un unico tipo di terreno.
1
Livello dell’acqua
3
2
1
Terreno
tipo 1
Immaginiamo di estrarre il
concio i-esimo e di rappresentare le forze che agiscono su di
esso in condizioni di equilibrio
(Figura 18.19).
Il concio ha larghezza ∆xi, e
i
peso Wi. La corda dell’arco di
cerchio alla base è inclinata di
n-1
un angolo αi sull’orizzontale.
E’i e Xi, sono le componenti
n
normale e tangenziale della
forza mutua tra i conci, bi è la
Superficie S
quota di applicazione di E’i rispetto alla superficie di scorFigura 18.18 - Schema di suddivisione di un pendio in strisce
rimento. Ui è la risultante delle
pressioni interstiziali sulla superficie di separazione fra i conci i ed (i+1). N’i e Ti sono le
componenti normale e tangenziale della reazione di appoggio del concio sulla superficie
di scorrimento, ai è la distanza del puni-1
to di applicazione di N’i dallo spigolo
i
anteriore, e Ub,i è la risultante delle
∆xi
pressioni interstiziali alla base del concio.
Terreno
tipo 2
E’i-1
Xi
Ui-1
E’i
Ui
Wi
Xi-1
bi
Ti
ai
αi
Figura 18.19 - Geometria del concio i-esimo e forze agenti su di esso
(
1. stato di deformazione piano (ovvero
superficie cilindrica e trascurabilità
degli effetti tridimensionali),
2. arco della superficie di scorrimento
alla base del concio approssimabile
con la relativa corda,
3. comportamento del terreno rigidoperfettamente plastico e criterio di
rottura di Mohr-Coulomb,
N’i
Ub,i
Ti =
Le ipotesi generalmente ammesse da
quasi tutti i metodi delle strisce sono:
Tfi
1
=
⋅ c'i ⋅∆l i + N i' ⋅ tan ϕ i'
FS FS
)
18 – 18
4. coefficiente di sicurezza FS eguale
per la componente di coesione e per
quella di attrito, e unico per tutti i
conci, ovvero:
(Eq. 18.20)
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
essendo ∆l i =
∆x i
.
cos α i
Analizzando le forze agenti sul concio (Figura 18.22) si osserva che:
− il peso Wi del concio e le risultanti Ui e Ubi delle pressioni interstiziali sono determinabili, essendo nota la geometria del concio (αi, ∆xi e quindi ∆li) e le caratteristiche geometrice e geotecniche del pendio
− la forza di taglio Ti è determinabile, nota la forza normale N’i, dalla Equazione (18.20).
e quindi, il bilancio del numero di incognite e di equazioni di equilibrio del sistema è
quello indicato in Tabella 18.1.
Poiché il numero delle incognite, (5n – 2), è superiore al numero delle equazioni di equilibrio, pari a 3n, il sistema è indeterminato.
Per ridurre il numero delle incognite e rendere il sistema determinato, è necessario introdurre alcune ipotesi semplificative.
I diversi metodi delle strisce differiscono sulle ipotesi semplificative assunte. I due più
semplici e più diffusi metodi delle strisce sono il metodo di Fellenius ed il metodo di Bishop semplificato.
Tabella 18.1 - Numero delle incognite e delle equazioni di equilibrio nel metodo delle strisce
Incognite
n. tot.
Equazioni di equilibrio
1
FS
n
ΣV = 0
n
N i'
n
ΣH = 0
n-1
E i'
n
ΣM = 0
n-1
X i'
n
ai
n-1
bi
5n-2
3n
Un’ipotesi comune a molti metodi, fra cui i metodi di Fellenius e di Bishop descritti nei
paragrafi successivi, ma non a tutti, è l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, sufficientemente ben verificata quando non vi siano condizioni stratigrafiche e geotecniche
particolari.
Se si accetta tale ipotesi, il coefficiente di sicurezza risulta pari al rapporto fra momento
stabilizzante e momento ribaltante rispetto al centro della circonferenza.
∑
FS =
∑
n
i =1
n
Tfi
T
i =1 i
=
MS
MR
(Eq. 18.21)
in cui:
18 – 19
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
[
n
n
i =1
1
n
n
i =1
1
M S = r ⋅ ∑ Tfi = r ⋅ ∑ c'⋅∆l i + N i' ⋅ tan ϕ i'
]
(Eq. 18.22)
M R = r ⋅ ∑ Ti = r ⋅ ∑ Wi ⋅ senα i
(Eq. 18.23)
e pertanto:
∑ [c'⋅∆l
n
M
FS = S =
MR
i
+ N i' ⋅ tan ϕ i'
]
1
(Eq. 18.24)
n
∑ W ⋅ senα
i
i
1
F4
Direzione normale alla superficie di
scorrimento
Le forze interne Xi e Ei
non intervengono perché
costituiscono un sistema
equilibrato.
αi
Consideriamo il poligono
delle forze che agiscono
sul concio i-esimo (Figura
18.23):
F1 = Wi − (X i − X i −1 )
F2 = (E i − E i −1 ) + ( U i − U i −1 )
F3
F3 = Ti
F1
F4 = N i' + U bi
F2
Figura 18.20 - Poligono delle forze agenti sul concio i-esimo
18.6.1 Metodo di Fellenius
Il più antico e più semplice metodo delle strisce è il metodo di Fellenius, detto anche metodo svedese o ordinario, che è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione normale alla superficie
di scorrimento delle forze agenti sulle facce laterali è nulla.
Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.20, l’equazione di equilibrio nella direzione normale alla superficie di scorrimento è:
18 – 20
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
F1 ⋅ cos α i + F2 ⋅ senα i = F4
[Wi − (X i − X i−1 )] ⋅ cos α i + [(E i − E i−1 ) + (U i − U i−1 )] ⋅ senα i = N i' + U bi
per l’ipotesi del metodo di Fellenius è:
− (X i − X i −1 ) ⋅ cos α i + [(E i − E i −1 ) + ( U i − U i −1 )] ⋅ senα i = 0
ne risulta:
Wi ⋅ cos α i = N i' + U bi
(Eq. 18.25)
da cui:
N i' = Wi ⋅ cos α i − U bi = Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i
(Eq. 18.26)
avendo ipotizzato una distribuzione uniforme, ubi, delle pressioni interstiziali alla base del
concio.
L’espressione del momento stabilizzante diventa:
n
[
]
[
n
M S = r ⋅ ∑ c'⋅∆l i + N i' ⋅ tan ϕ i' = r ⋅ ∑ c'⋅∆l i + ( Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i ) ⋅ tan ϕ i'
1
]
(Eq. 18.27)
1
e quindi il coefficiente di sicurezza è:
∑ [c'⋅∆l
n
M
FS = S =
MR
i
+ ( Wi ⋅ cos α i − u bi ⋅ ∆l i ) ⋅ tan ϕ i'
1
(Eq. 18.28)
n
∑ W ⋅ senα
i
]
i
1
Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale
considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale
critica e deve essere determinato per tentativi, come vedremo nel seguito. Il metodo di
Fellenius è in genere conservativo, poiché porta ad una sottostima del coefficiente di sicurezza rispetto ai valori stimati con altri metodi più accurati.
18.6.2 Metodo di Bishop semplificato
Il metodo di Bishop semplificato è attualmente il più diffuso ed utilizzato fra i metodi delle strisce.
Esso è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione verticale delle forze agenti sulle facce laterali è
nulla.
Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.20, l’equazione di equilibrio nella direzione verticale è:
F1 − F3 ⋅ senα i = F4 ⋅ cos α i
Wi − (X i − X i −1 ) − Ti ⋅ senα i = ( N i' + U bi ) ⋅ cos α i
per l’ipotesi del metodo di Bishop semplificato è:
18 – 21
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
(X i − X i −1 ) = 0
ne risulta:
Wi − Ti ⋅ senαi = ( N i' + U bi ) ⋅ cos α i
ed essendo:
(
1
⋅ ci' ⋅ ∆li + Ni' ⋅ tan ϕi'
FS
∆x i
∆li =
cos αi
Ti =
)
U bi = u i ⋅ ∆li
ne segue:
Wi −
⎛
⎞
∆x i ⎞
1 ⎛ ' ∆x i
⎟ ⋅ cos α i
⋅ ⎜⎜ c i ⋅
+ N i' ⋅ tan ϕ i' ⎟⎟ ⋅ senα i = ⎜⎜ N i' + u i ⋅
FS ⎝
cos α i
cos α i ⎟⎠
⎝
⎠
e sviluppando:
N i' =
1 '
⋅ c i ⋅ ∆x i ⋅ tan α i
FS
⎛ tan ϕ i' ⋅ tan α i ⎞
⎟⎟
cos α i ⋅ ⎜⎜1 +
FS
⎠
⎝
Wi − u i ⋅ ∆x i −
n
MS = ∑
(Eq. 18.29)
⎡
⎢
'
'
c i ⋅ ∆x i + ( Wi − u i ⋅ ∆x i ) ⋅ tan ϕ i ⋅ ⎢
⎢
⎢ cos α i
⎣⎢
[
1
]
1
FS =
MS
=
MR
⎛
tan α i ⋅ tan (Eq. 18.30)
⎜
⋅ ⎜1 +
FS
⎝
⎡
⎢
1
'
'
c i ⋅ ∆x i + ( Wi − u i ⋅ ∆x i ) ⋅ tan ϕ i ⋅ ⎢
⎢
⎛ tan α i ⋅ tan ϕ i'
⎢ cos α i ⋅ ⎜⎜1 +
FS
⎢⎣
⎝
∑[
n
1
]
⎤
⎥
⎥
⎞⎥
⎟⎟ ⎥
⎠ ⎥⎦
n
∑ W ⋅ senα
i
i
1
(Eq. 18.31)
La soluzione è ricercata per via iterativa fissando un primo valore di tentativo per FS.
Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale
considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale
critica e deve essere determinato per tentativi.
18 – 22
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
18.6.3 Ricerca della superficie circolare di scorrimento potenziale critica
Quando si studiano le condizioni di stabilità di un pendio naturale che non ha avuto movimenti significativi, e che quindi non presenta tracce di intersezione tra la superficie di
scorrimento e la superficie topografica, la superficie di scorrimento critica, ovvero la superficie cui è associato il minimo valore del coefficiente di sicurezza, deve essere determinata per tentativi.
Se, tenuto conto delle condizioni stratigrafiche e geotecniche del pendio, si ritiene plausibile l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, la circonferenza critica è determinata
quando se ne conoscano la posizione del centro ed il raggio.
Se il calcolo è svolto a mano, il numero di superfici che possono essere analizzate è necessariamente ridotto, ed inoltre si preferirà utilizzare il metodo di Fellenius rispetto al
metodo di Bishop semplificato, poiché il calcolo del coefficiente di sicurezza con
quest’ultimo metodo richiede un procedimento iterativo per ogni superficie considerata.
Tuttavia molto spesso le condizioni morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del pendio
sono tali che, con un minimo di buon senso e di esperienza, anche con un numero ridotto
di tentativi si riesce ad individuare la superficie di scorrimento critica.
Attualmente la diffusione dei programmi di calcolo automatico ha eliminato il problema
della lunghezza e della laboriosità del calcolo numerico, sebbene siano sempre necessari
esperienza e buon senso per definire i confini del campo di ricerca.
La procedura di ricerca
della superficie circolare critica e del relativo
coefficiente di sicurezza è illustrata in Figura
18.21.
(a)
Centro della superficie
di scorrimento
Cerchio critico (b)
Eseguendo l’analisi di
stabilità per un certo
(c)
numero di cerchi aventi
lo stesso centro e diverso raggio, e diagram(d)
mando i coefficienti di
sicurezza ottenuti in
Terreno di riempimento
funzione del raggio si
sabbioso
ottengono dei punti che
Argilla soffice
appartengono ad una
Figura 18.21 - Procedura per la determinazione della superficie
linea che presenta un circolare di scorrimento critica e del coefficiente di sicurezza
minimo. Tale valore è il
coefficiente di sicurezza minimo associato al centro comune dei cerchi considerati.
Ripetendo la procedura per diversi centri di cerchi disposti ai nodi di un reticolo a maglia
rettangolare o quadrata, si otterrà un piano quotato, di cui si potranno tracciare le linee di
livello che descrivono una porzione di superficie tridimensionale. Se tale superficie presenta un minimo, il punto corrispondente al minimo avrà come coordinate planimetriche
le coordinate del centro della superficie circolare critica e come quota il coefficiente di sicurezza del pendio.
18 – 23
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Se la superficie presenta più minimi relativi significa che esistono più superfici critiche di
scorrimento potenziale.
18.6.4 Effetti tridimensionali
La maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il problema
piano, ovvero assumono una geometria cilindrica trascurando gli effetti tridimensionali.
Tale ipotesi è generalmente ben verificata per i pendii artificiali ma non per i pendii naturali. Se si esegue la verifica di stabilità per la sezione più critica, corrispondente in genere
alla sezione longitudinale in asse alla frana, il coefficiente di sicurezza ottenuto è una sottostima del valore reale.
Un metodo approssimato per tenere conto degli effetti tridimensionali, è il seguente:
Si considerano n sezioni longitudinali parallele equidistanti, e per ciascuna di esse si calcola il coefficiente di sicurezza minimo FSi, che risulta associato ad un’area Ai di terreno
in frana potenziale. Il coefficiente di sicurezza globale del pendio è stimato con
l’equazione:
FS =
∑ FS ⋅ A
∑ FS
i
i
(Eq. 18.32)
i
18.7 Scelta del coefficiente di sicurezza
La scelta del valore del coefficiente di sicurezza da utilizzare nelle verifiche di stabilità
dei pendii richiede un giudizio critico da parte dell’ingegnere geotecnico, poiché sono
molti i fattori di cui tenere conto. Occorre infatti considerare:
- l’affidabilità del modello geotecnico, ovvero dello schema stratigrafico di riferimento e
della caratterizzazione meccanica dei terreni,
- i limiti del metodo di calcolo, ovvero delle ipotesi semplificative ad esso associate,
- le conseguenze di un’eventuale rottura,
- la vulnerabilità delle strutture e delle infrastrutture, la cui funzionalità potrebbe essere
compromessa anche da movimenti che hanno luogo con coefficienti di sicurezza superiori ad 1 (stato limite di servizio),
- il tempo, ovvero se la stabilità del pendio deve essere assicurata per un breve oppure
per un lungo periodo di tempo.
La Normativa Italiana ancora in vigore (D.M. LL.PP. 11/03/88) prescrive che: “Nel caso
di terreni omogenei e nei quali le pressioni interstiziali siano note con sufficiente attendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1,3. Nelle altre situazioni il
valore del coefficiente di sicurezza da adottare deve essere scelto caso per caso, tenuto
conto principalmente della complessità strutturale del sottosuolo, delle conoscenze del
regime delle pressioni interstiziali e delle conseguenze di un eventuale fenomeno di rottura.”
Le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC-08) sono ancor meno specifiche in
merito alle verifiche di sicurezza dei pendii naturali. Infatti al § 6.3.4. – Verifiche di sicurezza, esse recitano:
18 – 24
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
“Le verifiche di sicurezza devono essere effettuate con metodi che tengano conto della
forma e posizione della superficie di scorrimento, dell’assetto strutturale, dei parametri
geotecnici e del regime delle pressioni interstiziali.
Nel caso di pendii in frana le verifiche di sicurezza devono essere eseguite lungo le superfici di scorrimento che meglio approssimano quella/e riconosciuta/e con le indagini.
Negli altri casi, la verifica di sicurezza deve essere eseguita lungo superfici di scorrimento cinematicamente possibili, in numero sufficiente per ricercare la superficie critica alla
quale corrisponde il grado di sicurezza più basso.
Quando sussistano condizioni tali da non consentire una agevole valutazione delle pressioni interstiziali, le verifiche di sicurezza devono essere eseguite assumendo le condizioni più sfavorevoli che ragionevolmente si possono prevedere.
Il livello di sicurezza è espresso, in generale, come rapporto tra resistenza al taglio disponibile, presa con il suo valore caratteristico, e sforzo di taglio mobilitato lungo la superficie di scorrimento effettiva o potenziale.
Il grado di sicurezza ritenuto accettabile dal progettista deve essere giustificato sulla base del livello di conoscenze raggiunto, dell’affidabilità dei dati disponibili e del modello
di calcolo adottato in relazione alla complessità geologica e geotecnica, nonché sulla base delle conseguenze di un’eventuale frana.”
A titolo indicativo, se la conoscenza delle condizioni stratigrafiche e geotecniche è buona,
e le conseguenze di una eventuale rottura non sono particolarmente drammatiche, per le
verifiche di stabilità di scavi o di pendii naturali “a priori”, ovvero se non si è manifestata
la frana, si può adottare un coefficiente di sicurezza compreso tra 1,3 e 1,4 in relazione al
metodo di calcolo impiegato, mentre per le verifiche di stabilità “a posteriori”, ovvero dopo che si è manifestata la frana, e quindi si conosce la superficie di scorrimento e si utilizza la resistenza al taglio residua del terreno, potranno essere adottati coefficienti di sicurezza minimi compresi tra 1,2 e 1,3.
Valori maggiori dei coefficienti di sicurezza devono essere utilizzati per opere quali le dighe in terra, che comunque dovranno essere costantemente monitorate durante le varie fasi di esercizio.
18.8 Criteri di intervento per la stabilizzazione delle frane
Per stabilizzare una frana in atto, o comunque per aumentare il coefficiente di sicurezza di
un pendio, FS, che, come è stato detto, è il rapporto tra la capacità di resistenza lungo la
superficie di scorrimento potenziale critica, C, e la domanda di resistenza, ovvero la resistenza necessaria per l’equilibrio, D, occorrono interventi volti a produrre un aumento di
C, o una diminuzione di D, oppure entrambe le cose.
Sebbene qualunque intervento richieda un’analisi del fenomeno in atto, o temuto, sia dal
punto di vista tipologico, sia dal punto di vista morfologico e plano-altimetrico, sia per
ciò che riguarda i litotipi coinvolti e le loro caratteristiche geotecniche, sia per quanto riguarda le condizioni idrogeologiche, è innanzitutto necessario distinguere tra interventi
d’urgenza e interventi definitivi.
Se è richiesto un intervento di urgenza, perché la frana è in atto e costituisce minaccia incombente a persone o a beni, fatta salva la necessità di richiedere l’evacuazione della zo18 – 25
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
na a rischio, occorre raccogliere il maggior numero di informazioni esistenti o disponibili
in breve tempo, e predisporre quelle misure rapide ed economiche che, pur non essendo
risolutive, portano ad una riduzione del rischio, o comunque non lo accrescono. Ad esempio, non rimuovere l’accumulo al piede che, col proprio peso, produce un momento stabilizzante, eliminare le zone di ristagno dell’acqua piovana facilitandone invece il ruscellamento, ripristinare l’efficienza di canalette e fossi di guardia, sigillare le fratture per limitare le infiltrazioni di acqua piovana, etc..
Per progettare un intervento di sistemazione definitivo è necessario svolgere tutte le indagini, geologiche, geofisiche, geotecniche, topografiche, e mettere in opera tutti gli strumenti (piezometri, inclinometri, estensimetri, basi topografiche), necessari per chiarire
l’estensione e la cinematica del fenomeno.
Poiché in genere il costo delle indagini rappresenta una parte piccola rispetto al costo
complessivo dell’intervento di stabilizzazione di una frana, e poiché in assenza di dati affidabili il progettista tende ad assumere ipotesi molto cautelative che comportano un sovradimensionamento delle opere da realizzare, non è conveniente risparmiare sulle indagini (naturalmente purché siano ben programmate ed eseguite). È inoltre sempre opportuno prevedere indagini e controlli durante e dopo la realizzazione delle opere, compresa la
messa in opera di strumentazione adeguata, per verificare le ipotesi di progetto, l’efficacia
dell’intervento eseguito e controllare il decorso dei movimenti nel tempo, prolungando il
monitoraggio per almeno un intero ciclo stagionale dopo il termine dei lavori.
Dopo avere raccolto tutte le informazioni necessarie, si definisce il modello geotecnico,
ovvero lo schema fisico meccanico interpretativo del fenomeno, e si procede alla verifica
di stabilità del pendio, nelle condizioni precedenti l’intervento di stabilizzazione, con i
metodi della geotecnica (fra cui, ma non solo, quelli all’equilibrio limite visti ai paragrafi
precedenti). Se la frana è avvenuta si può eseguire un’analisi a ritroso (back analysis), ovvero si impone che per la superficie di scorrimento reale (se individuata) e nelle condizioni idrogeologiche esistenti al momento della frana, risulti FS = 1, si ricava il valore medio
della resistenza al taglio a rottura, e lo si confronta con il valore desunto dalle prove di laboratorio.
La prima fase della progettazione è finalizzata ad individuare i fattori che maggiormente
influenzano la stabilità del pendio, ed alla selezione, scelta e verifica dell’efficacia dei
possibili interventi di stabilizzazione. In Tabella 18.2 sono elencati i criteri di scelta e i
principi fisici dei provvedimenti possibili. Essi possono essere suddivisi in due grandi categorie generali: i provvedimenti volti a ridurre la domanda di resistenza, D, e quelli volti
ad aumentare la capacità di resistenza, C.
Limitandoci ad una sommaria disamina dei provvedimenti per la stabilizzazione di movimenti franosi in terreni sciolti, nella prima categoria sono compresi:
- la riprofilatura del pendio, ovvero la modifica della superficie topografica con riduzione della pendenza, alleggerimento della sommità e/o appesantimento del piede del
pendio. Interventi di questo tipo hanno efficacia per movimenti franosi di tipo rotazionale non molto profondi;
- l’inserimento di opere di sostegno passive, quali muri, terra armata, paratie, pali, reticoli di micropali e pozzi, al piede della frana, con lo scopo di trasferire la spinta
dell’ammasso a strati più profondi e stabili. Possono essere impiegati solo per frane di
spessore modesto.
18 – 26
Capitolo 18
STABILITÀ DEI PENDII
Nella seconda categoria rientrano:
- le opere per la disciplina delle acque superficiali, come fossi e cunette di guardia, fascinate, inerbimenti e rimboschimenti, che hanno lo scopo di ridurre le infiltrazioni di
acqua dalla superficie e quindi le pressioni interstiziali, e di aumentare la resistenza al
taglio del terreno più superficiale, anche per mezzo delle “armature” costituite
dall’apparato radicale delle piante. Tali interventi hanno efficacia solo per stabilizzare
la coltre più superficiale di terreno;
- le opere di drenaggio superficiali e profonde (trincee drenanti, pozzi drenanti, dreni
suborizzontali, cunicoli e gallerie drenanti, elettroosmosi) hanno lo scopo di ridurre le
pressioni interstiziali e quindi accrescere le pressioni efficaci e la resistenza al taglio
del terreno. Sono i provvedimenti più diffusi ed efficaci per la stabilizzazione della
maggior parte dei movimenti franosi profondi. In zone urbanizzate occorre verificare
l’entità e gli effetti dei cedimenti di consolidazione indotti dall’abbassamento del livello di falda;
- piastre e travi che, per mezzo di tiranti di ancoraggio pretesi, comprimono il terreno
aumentando le tensioni normali, e quindi la resistenza al taglio, lungo la superficie di
scorrimento;
- altri interventi finalizzati al miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno,
quali iniezioni di miscele chimiche o cementizie, trattamenti termici come congelamento o cottura, etc.., i quali sono utilizzabili solo in casi particolari.
18 – 27
Capitolo 18
CRITERIO
STABILITÀ DEI PENDII
PRINCIPIO FISICO
PROVVEDIMENTO
Scavo di alleggerimento sulla
Riduzione degli sforzi tangenziali lungo la superficie di scivo- sommità del pendio
lamento
Abbattimento della scarpata
Riduzione delle forze che
tendono a provocare la rottura
Trasferimento degli sforzi tangenziali ad elementi strutturali
fondati o ancorati ad una formazione sottostante non interessata
dal dissesto
Non sempre fattibile per il costo elevato, per l’esistenza di
manufatti, per pendii molto
lunghi
Muri di sostegno
Molto costosi e non sempre
adeguati
Sistemi di pali
Non sempre efficaci
Ancoraggi pesanti
Devono essere progettati con
criteri cautelativi specialmente
quando previsti con funzione di
sostegno permanente
Paratie e palancolate con o senza
ancoraggio
Si applicano prevalentemente a
pendii in roccia
Chiodi
Aumento degli sforzi normali
totali lungo la superficie di scivolamento
NOTE
Applicazioni di elementi strutturali con tiranti pretesi
Applicazioni di rinfianchi o placcaggi al piede del pendio
Allontanamento delle acque superficiali
Drenaggio:
a)
Aumento delle forze resistenti
Riduzioni delle pressioni interstiziali in punti interni o lungo il
contorno
dreni orizzontali
b)
pozzi
c)
dreni verticali
d)
gallerie drenanti
e)
trincee drenanti
Spesso applicabili
Elettroosmosi
Addensamento
Miglioramento della resistenza
al taglio del materiale
Iniezioni
Generalmente di costo elevato
ed applicabili solo in terreni o
rocce particolari
Congelamento
Cottura
Tabella 18.2 - Principi e metodi di stabilizzazione dei pendii e delle scarpate (da Jappelli, Manuale di Ingegneria Civile)
18 – 28
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