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12. L'ARTE DEI TOTALITARISMI

L’ARTE DEI TOTALITARISMI
Espressione dei regimi totalitari, forme d’arte che arrivano dalle dittature degli anni 20. La politica del
nazismo da questo punto di vista è estremamente chiara.
Veduta della mostra Arte degenerata, Monaco, 1937
Nel 1937 si tiene a Monaco la mostra dell’arte degenerata, Entartete
Kunst. È una mostra che per la prima volta mette insieme tutta l’arte
dell’avanguardia tedesca ma non per celebrarla e mostrarla a tutti.
L’allestimento era caotico, non sono trattati con amore e rispetto
questi quadri ma sono affastellati con delle scritte che li deridono.
C’è un rifiuto netto di Hitler nei confronti dell’arte degenerata. L’arte degenerata, secondo i nazisti, è:
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quella che insulta i sentimenti tedeschi
che distrugge o confonde la forma umana
che rivela incapacità manuale e artistica
Copertina del catalogo della mostra Arte degenerata, 1937
Scultura espressionista che per i nazisti richiamava tutti questi
aspetti.
MOSTRA ENTARTETE KUNST DEL 1937
La mostra ha avuto un enorme successo, addirittura ci sono stati 3 milioni di visitatori ma non si sa se le
persone andassero per condannare le opere esposte o perché quella era l’ultima occasione per vedere in
Germania delle opere che subito dopo sarebbero state messe al bando. In Germania avevano fatto dei
quadri banditi ma non erano così scemi da bruciarli tutti; infatti, alcuni che sapevano avrebbero avuto un
mercato all’estero sono stati venduti agli americani per arricchire il terzo Reich
in mostra 650 opere delle 16.000 opere moderniste confiscate da 32 musei nel solo 1937, la maggior parte
delle quali furono bruciate, andarono disperse o vennero vendute all’estero per rimpinguare le casse del
Reich.
LA GERMANI HITLERIANA CONTRO IL MODERNISMO
Ma la mostra dell’arte degenerata non è il solo atto dei nazisti contro l’arte modernista. Nel 1933 Hitler
fece chiudere il Bauhaus. Nel 1935 arriva il divieto di dipingere per gli artisti modernisti (non dipingere, si
esporre) → non potevano dipingere neanche a casa loro, facevano delle ispezioni periodiche a campione ed
entravano nello studio e toccavano i pennelli per sentire se fossero bagnati, cioè per vedere se l’artista
aveva dipinto di recente. Nel 1936 viene impedita qualsiasi forma di critica d’arte che non sia nazista.
Quindi vi è un controllo totale dello stato.
CARATTERI ARTE TOTALITARIA
Secondo lo storico dell’arte Igor Golomstock in tutte le dittature negli anni tra le due guerre:
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l’arte era trattata come uno strumento ideologico → trasmette le ideologie
lo stato monopolizzava le istituzioni culturali → controllo delle mostre…
sì, sceglieva come arte ufficiale l’arte più conservatrice → tutti gli altri stili vengono messi al bando
tutti gli altri stili erano messi al bando
Quello che dice Igor vale per la Germania nazista e per la Russia sovietica ma non vale per l’Italia fascista
perché Mussolini era troppo furbo per fare questo e quindi di puntare sul consenso, decide di lasciar gli
artisti liberi stilisticamente anche se non ideologicamente. Di fatto saranno pochissimi gli artisti che
lasciano l’Italia perché antifascisti, anzi praticamente quasi nessuno. La lasceranno più tardi perché ad un
certo punto Mussolini si allea con Hitler e mette anche in Italia le leggi razziali; quindi, a quel punto alcuni
ebrei sono fuggiti; di artisti antifascisti ce ne sono stati veramente pochi.
Nella Germania di Hitler quello che viene soprattutto rifiutato sono le deformazioni del corpo, perché qui
entra in gioco la teoria razziale del nazismo. Quindi ce l’hanno soprattutto con l’espressionismo anche se
nell’espressionismo c’erano degli aspetti che da un punto di vista ideologico erano abbastanza vicini al
nazismo, per esempio il fatto di essere un movimento abbastanza nazionalista. Ce l’hanno più con
l’espressionismo che con l’arte astratta
Pagine del catalogo di Arte degenerata (1937) con foto di opere
d’avanguardia accanto a immagini di disabili
Opere degli artisti dell’avanguardia sono messe vicino a fotografie di
persone con handicap fisici, come a dire che sono frutto di limitazioni
mentali o fisiche.
Alla radice del rifiuto totalitario dell’arte modernista c’è il fatto che l’arte modernista da molta importanza
all’individuo; quindi, è contrario al collettivismo che invece viene propugnato dalle dittature, la soggettività
è messa in primo piano, si dà molto valore all’originalità, alla visione personale. Chiaramente le dittature
prediligono il gregge, che pensa uniformante seguendo le indicazioni del capo che non ha nessuna iniziativa
individuale. Quindi tutti questi fattori sono in contrasto con la manipolazione delle masse da parte del
leader politico.
Xanti Schawinsky, 1934, anno XII dell’era fascista, manifesto, 1934
È stato fatto da un artista del Bauhaus prima di venire in Italia. Xanti
Schawinsky nel ’33 fugge dalla Germania e va in Italia dove si c’era
una dittatura ma gli artisti erano ancora liberi. 34 → anno in cui
Mussolini tenne il referendum con una risposta che si sapeva già. Qui
Mussolini ha il corpo costituito da, attraverso un fotomontaggio, una
folla oceanica (folle che si riunivano sotto palazzo Venezia quando
Mussolini doveva fare i suoi discorsi) → il corpo del leader diventa il
corpo politico, il corpo dello stato, il singolo non conta più niente,
conta solo la massa che è soggetta alla volontà del capo.
Manifesto di propaganda fascista, anni 30.
Non si sa l’autore. Il messaggio è molto efficace. Il profilo, il
mascellone di Mussolini qua è ricavato ancora una volta dalla foto di
una folla; infatti, lo slogan dice “un cuore solo, una volontà sola, una
decisione sola” → quella di Mussolini, cioè tutti questi anonimi
membri della folla sono partecipi della volontà del duce.
Esercizi nello stadio olimpico, da Leni Riefensthal, Olympia, 1936
Fotogramma di un film di una regista tedesca Leni Riefensthal. Ha
girato nel 1936 un film intitolato Olympia che parla delle olimpiadi di
Berlino e queste folle di ginnaste distese allineate che fanno gli stessi
movimenti fanno pensare al ritmico passo dell’oca degli eserciti
hitleriani, tutti che marciano all’unisono e hanno qualcosa di
inquietante.
Da Leni Riefenstahl, Das Triumph des Willens (Il trionfo della volontà),
1935
Fotogramma de “Il trionfo della volontà” (film) che rappresenta il
raduno nazista di Norimberga tenutosi l’anno prima delle olimpiadi,
nel 1935. La coreografia di queste grandi parate, progettata con
esattezza matematica, modella le folle come se fossero materiale per
una creazione artistica. Le forme d’arte più suggestive del nazismo
sono state le manifestazioni pubbliche, le grandi coreografie urbane,
le parate con queste miriadi di uomini che si muovevano come
automi, marionette.
Nei regimi totalitari il corpo individuale si identifica con il corpo politico che a sua volta si identifica con il
corpo del leader. Questi manifesti lo chiariscono abbastanza bene. Questo corpo del leader ce lo si
immagina come una corazza impenetrabile, ultravirile e ipermuscolosa → è così che lo rappresenta Arno
Breker:
Arno Breker, Prontezza, Berlino, 1939
Scultore favorito di Hitler. Questa scultura sembra la caricatura del David di
Michelangelo, ancora più muscoloso. Il David di Michelangelo stava
prendendo la mira per lanciare la fionda contro Golia e qui questo guerriero
teutonico estrae la spada, nudo incongruamente, dal fodero per affrontare il
nemico che guarda con un mascellone teso fino allo spasimo.
Questi nudi esasperati diventano la norma nell’arte del regime.
Josef Thorak, Il pugilatore, 1936
Spalle ultra-larghe, bacino stretto, coscioni muscolosi.
Hitler e Mussolini davanti a una scultura di Thorak, 1938
Questo è Mussolini in visita in Germania che sembra che si guardi
attorno con aria circospetta mentre con Hitler visita la mostra di
Thorak.
Anche in Italia vi sono questo tipo di sculture:
Enrico Del Debbio (architetto) e vari scultori, lo Stadio dei Marmi al
Foro Mussolini, Roma, 1928-1932.
Collezione allo stadio dei marmi che al tempo era il foro Mussolini a
Roma. C’è un bellissimo stadio tutto contornato da queste statue che
in realtà erano state commissionate e pagate ciascuna da una
provincia diversa italiana → ogni provincia ha mandato a Roma la
propria statua e tutte corrispondono ad un ideale fisico. Cambiano le
pose e gli attributi però le forme del corpo rimangono identiche,
questi toraci in cui i pettorali sembrano stiano per esplodere, i bicipiti
ultra-gonfi. Sembrano in serie ma in realtà sono fatte tutte da scultori
diversi che però avevano le stesse tendenze estetiche.
Una delle
sculture
dello
Stadio dei
Marmi.
Roma, Stadio dei
marmi: particolari.
1928-32.
Oggi è difficilissimo vedere quadri nazisti perché quelli che non sono stati distrutti sono stati ritirati dalla
circolazione.
Arthur Kampf, Venere e Adone, 1939
Figura maschile verticale, virile, muscolosa, iperfallica. La figura
femminile invece è orizzontale, passiva. Adone vuole andare in guerra
ma Venere lo trattiene → l’impulso all’aggressività maschile mentre la
passività è tipicamente femminile.
Ivo Saliger, Il riposo di Diana, 1940
Tre bellezze non classiche perché questi sono corpi più
contemporanei.
Per quanto riguarda l’architettura il classico costituisce ovviamente un modello di riferimento.
Albert Speer, Progetto per una grande Hall sull’asse Nord-Sud di
Berlino, 1941
Berlino doveva diventare la più grande capitale del mondo ma non fu
così. L’architetto Albert Speer divenne grazie a Hitler ministro
dell’istruzione. È un edificio che mescola una cupola tipo
Michelangelo però ingigantita con una parte anteriore architravata, il
tutto di proporzioni così smisurate che quasi non ci si crede. Ai lati ci
sono due statue di Thorak di proporzioni titaniche, come tutta la
struttura del resto,
Benno von Arendt, allestimento dell’Unter den Linden, Berlino, per la
visita di Mussolini, 1937
Hitler voleva impressionare il collega e quindi aveva messo insieme
una specie di coreografia che alternava aquile imperiali e svastiche
Dushkin, Panchenko, Khilkevich, progetto per il Pantheon degli eroi
della grande guerra patriottica, Mosca, 1942-43
Una costruzione fuori misura, enorme che attinge agli elementi del
classicismo. Il classicismo è stato sempre un linguaggio artistico
prediletto dai dittatori perché dava una sensazione di stabilità e
potenza probabilmente.
In Italia invece dal punto di vista architettonico si raggiungono delle soluzioni, un compromesso. C’è una
linea consistente di architettura modernista che Mussolini lascia operare. Gli architetti riescono a inventarsi
delle soluzioni interessanti, come ad esempio:
Ernesto Lapadula, Guerrini, Romano, Palazzo della Civiltà Italiana
all’EUR, Roma. 1938-39
È stato soprannominato il Colosseo quadrato → palazzo
parallelepipedo scandito da archi all’interno dei quali vi dovevano
andare delle statue, statue che poi non furono costruite. Questo è il
bozzetto. Assomiglia a una quinta architettonica dei quadri di De
Chirico, quindi molto suggestivo da quel punto di vista.
I totalitarismi resuscitano i generi tradizionali → il ritratto:
Heinrich Knirr, Ritratto di Hitler, 1937
Questo pittore rappresenta Hitler come un grande ritrattista del 700,
che è rappresentato dagli aristocratici inglesi.
Erler, Ritratto del Fuhrer, 1938; Lanzinger, Il cavaliere dell’arte
tedesca, 1938.
Quello di sinistra lo rappresenta su uno sfondo di una statua, mentre
quello di destra centra la parodia involontaria perché rappresenta
Hitler vestito con un’armatura come un cavaliere tettonico,
medievale.
Isaak Brodsky, Ritratto di Stalin, 1937
Rappresenta Stalin, personaggio bonario, nel suo studio che posa per
il bene del popolo. La sua scrivania è piena di carte.
Però ci sono anche grandi quadri che rappresentano cerimonie pubbliche:
Svarog, Stalin e i membri del Politburo a una cerimonia aviatoria
nell’aerodromo di Tushino, 1937.
In primo piano c’è il paracadutista che è appena atterrato, quindi è
più grade, però non è lui il protagonista; infatti, ci dà le spalle e il
nostro sguardi si focalizza immediatamente sul gruppo dei sovietici
dove primeggia al centro Stalin. La composizione è molto simile a
quella dei quadri dell’epoca napoleonica dipinti da un pittore di corte
di Napoleone all’inizio dell’800, a riprova del fatto che questi quadri
che vogliono mettere in scena il potere poi ricorrono spesso le stesse
strategie.
Gerardo Dottori, Ritratto di Mussolini, 1933
Stile diverso perché Mussolini lasciò libertà anche alle avanguardie non
volendo alienarsi le simpatie di nessuno. Gerardo Dottori era un pittore
del secondo futurismo. Intorno alla figura sfaccettata del duce si
muovono dei missili, degli aerei → aeropittura, la nuova tendenza
lanciata da Marinetti nel dopoguerra.
Thayat, Dux, 1930
Artista fiorentino. Si immagina il duce come una maschera ferrea.
Renato Bertelli, Profilo continuo del Duce, 1933
Realizzato col tornio. Non aveva parti uguali, ti dava sempre
l’inconfondibile sagoma di Mussolini.
Altre sculture invece guardano di più al passato:
Il “Bruto Capitolino” (IV-III secolo a.C; Musei capitolini, Roma) e Albino
Manca, Il condottiero, 1925.
Albino Manca ha tenuto in conto il Bruto Capitolino per realizzare la
sua opera
Armando Baldinelli. Le due Rome, 1936
In questa incisione mette il profilo di Mussolini sullo sfondo dell’arapacis.
Le due Rome → la Roma di Mussolini e la Roma di Augusto.
Anche il paesaggio viene reinterpretato in chiave ideologica:
Karl Alexander Flugel, Mietitura, 1938
Questo è un pittore tedesco che strizza l’occhio ai pittori del
rinascimento. Ci dà una visione idillica, introvabile della campagna
tedesca come un luogo fuori dal tempo, con i contadini che vivono in
armonia con la natura, come a Hitler sarebbe piaciuto
immaginarsela.
Esiste però anche qualcosa di più moderno come:
Leni Riefenstahl, Der
triumph des willens, 1935
Film girato a Norimberga.
Riprese dall’alto → Russia
Sovietica e Germania
nazista.
Rodchenko, Pioniera, 1930
Rodchenko, Allestimento
“Lunga vita alla
costituzione”, 1936
Enrico Prampolini, Angeli della terra, 1936
Scipione, Apocalissi, 1930
Il corpo e la sua carica espressiva sono al centro del lavoro
di Scipione dagli esordi, quando dipinge la Leda, fino alle ultime opere
dedicate all'Apocalisse e ad altri temi tratti dall'Antico Testamento.
La Cortigiana romana, il Profeta in vista di Gerusalemme, il quadro
noto come Le tentazioni di Eva, sono tutti dipinti più o meno
direttamente collegati alla lettura dell'Apocalisse di San Giovanni. In
questo caso è Scipione stesso a indicarci il passo preciso, intitolando Il
sesto suggello un disegno pubblicato su "L'Italia Letteraria" del 6
novembre 1930.
Manlio Rho, Composizione 42, 1936
Achille Funi, Publio Orazio uccide la sorella, 1932
Il dipinto raffigura un momento di dramma supremo: quando solo il
più giovane dei fratelli Horatier torna vivo dalla battaglia, trova sua
sorella in lutto per uno dei suoi avversari assassinati e la uccide con
rabbia. Dopo che il tribunale lo ha condannato per questo, è stato
infine assolto. Con la sua rappresentazione neoclassica della storia
dell'antico scrittore romano Livio sulla lotta di potere tra le terzine
oratiche di Roma ei Curatici di Alba Longa sotto il re Tullo Ostilio, Funi
si avvale di una lunga tradizione iconografica. Numerose citazioni
pittoriche dell'antichità e della prima età moderna, ad esempio la
statua della "Venere di Cirene" (Museo Nazionale di Roma), sono alla
base del suo ideale pittorico.
ORGANIZZAZIONE DELLE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE SOTTO IL FASCISMO
Dal 1929 lo Stato abolisce tutte le associazioni artistiche e si arroga il diritto di allestire mostre.
Il Sindacato Fascista Belle Arti organizza mostre sindacali annuali in tutte le regioni selezionando gli artisti
per le Quadriennali di Roma (nazionali) e le Biennali di Venezia (Internazionali).
Fino alla seconda metà degli anni 30 le Quadriennali di Roma (ma anche le Triennali di Milano, dedicate
all’architettura e alle arti decorative) presentano il meglio della produzione artistica italiana
Mussolini in visita alla Quadriennale del 1931
Gli ARCHITETTI MODERNISTI/RAZIONALISTI sebbene minoritari ottengono in Italia commissioni importanti
come la Casa del fascio di Como (Terragni) e la stazione di S. Maria Novella di Firenze (Michelucci).
GIUSEPPE TERRAGNI – CASA DEL FASCIO DI COMO (1934-36)
Struttura rigorosamente quadrata e senza simmetria nelle facciate,
ovvero senza un centro simbolico che alludesse al potere, dalla quale non
aggetta alcun balcone, alcun elemento che conferisca all’edificio una
qualità propagandistica. Probabilmente, in Italia, fu la sola sede del P.N.F.
(partito nazionale fascista) a osare tanto distacco. La pianta e le
proporzioni ricordano la purezza della Villa Savoye di Le Corbusier, ma è
difficile non collegarle anche agli esperimenti dei costruttivisti russi e al
quadrato nero su fondo bianco di Malevic → anche in quel caso vediamo
compenetrarsi credo mistico e logica attraverso la forma del quadrato. L’altezza delle costruzione è circa
metà della base; le 4 facciate sono state trattate al medesimo modo, senza cioè che nessuna di esse
assumesse un carattere preminente. Tutte sono segnate da un’alternanza tra pieni e vuoti rettangolari e, a
un calcolo attento, si svelano essere state costruite sulla composizione di triangoli rettangoli simili, benchè
di dimensioni diverse. Nella facciata che si volge verso il retro della cattedrale cittadina, dov’è situato
l’ingresso, si susseguono 4 file di 5 quadrangoli che disegnano una griglia sottile, resa ancora più fragile dal
rapporto con la parte piena di destra, in cui riluce il marmo bianco scelto per i rivestimenti. La superficie
vuota sulla destra, che rende l’edificio fortemente asimmetrico, era stata pensata per poter essere
occupata da opere d’arte contemporanea. L’interno è coperto da un lucernario che illumina il salone
centrale, attorno al cui grande vuoto, simile all’atrio che connotava le ville romane e i palazzi della nobiltà
veneziana, si dispongono i piani superiori. Il tetto è costituito da un susseguirsi suggestivo di terrazzamenti
percorribili, come nella maggior parte degli edifici di Terragni.
Giovanni Michelucci e Gruppo Toscano degli architetti, Stazione di
Santa Maria Novella, Firenze, 1935.
Collocata vicino all’omonima chiesa in cui intervenne Leon Battisti
Alberti.
Ma nel complesso la linea vincente in Italia è il classicismo modernizzato di Marcello Piacentini, l’architetto
italiano più potente degli anni ’30.
Marcello Piacentini, Ingresso della Città Universitaria di Roma 193235
È stata realizzata durante gli anni trenta, nel pieno del ventennio
fascista, da una serie di architetti razionalisti sotto la supervisione del
più tradizionale architetto Marcello Piacentini, il quale era
responsabile della pianta e del Palazzo del rettorato e aveva il diritto
di effettuare modifiche agli altri progetti.[1] L'opera, fortemente
voluta da Mussolini affinché anche la capitale d'Italia avesse il suo
centro universitario e considerata fin lì «la più vasta opera edilizia
promossa dal Regime Fascista», s'inquadrava nell'opera
di restauro che coinvolse la città fino a tutto il secondo dopoguerra.
La città venne inaugurata il 31 marzo 1935 alla presenza del
re Vittorio Emanuele III.
Dall'ingresso principale, la prospettiva è sviluppata in modo tale da
far emergere la figura della statua della Minerva, uno dei simboli
della Sapienza e opera di Arturo Martini, realizzata in bronzo e posta
in cima a un piedistallo che si trova all'interno di una vasca d'acqua.
La statua è posta di fronte al Palazzo del rettorato, opera di Marcello
Piacentini.
Le concessioni del regime fascista al modernismo suscitano opposizione nelle sue frange più conservatrici.
La rivista Regime fascista attacca ad esempio la pittura di Sironi e il suo tentativo di lanciare una moderna
pittura murale alla Triennale di Milano del 1933.
Sironi, Famiglia, 1933-34
Sironi, Galleria dei Fasci alla Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932
Sironi, Sala Q o dell’Avvento alla
Mostra della Rivoluzione Fascista
del 1932
Terragni, Sala 0 alla Mostra della Rivoluzione Fascista, 1932
nell' architettura della sala O, ideata da Giuseppe Terragni, uno dei
più importanti architetti razionalisti italiani, la fotografia risultava
l'elemento strutturante. Per questa sala Terragni ideò un allestimento
assolutamente inedito, basato su fotomosaici o fotomurali, enormi
fotomontaggi a tutta parete che interpretavano gli episodi salienti
dell'anno 1922, dal gennaio fino agli inizi del mese di ottobre. Tramite
il montaggio e poi la stampa di più negativi, si creava un'immagine
che comprendeva primi piani insieme a campi medie lunghi,
eliminando ogni spaziatura così da riprodurre la percezione del
tumultuoso e incalzante evolversi degli avvenimenti documentati. I
fotomosaici erano fondamentali in questa sezione, che dava forma
all'incalzante susseguirsi delle azioni squadriste che culminarono con
la mobilitazione fascista contro lo «sciopero egalitario», l'incendio
dell’«Avanti!» e l’occupazione di Palazzo Marino a Milano e Palazzo S.
Giorgio a Genova, insieme al susseguirsi delle azioni sovversive nelle
varie città italiane che anticiparono la marcia su Roma. La sala O era
dunque centrale nel percorso della mostra, perché rappresentava una
svolta nel movimento fascista e il culmine delle manifestazioni di
massa per l’assalto al governo e la presa del potere.
Libera, Facciata della mostra della Rivoluzione Fascista, 1932 (part.)
MOSTRA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA (ROMA, 1932)
È il più importante evento espositivo del regime, svolto sotto la regia di Sironi in collaborazione con vari
architetti e artisti.
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idea della pittura murale
Per Sironi è un possibile sbocco sociale dell’arte fascista lanciata in grande stile nel 1933 alla Triennale di
Milano, con una serie di decorazioni affidate ai massimi artisti italiani, trova un’accoglienza pessima tanto
dai conservatori che dagli avanguardisti. Malgrado l’impresa collettiva del Tribunale di Milano (dal 1938) la
pittura murale ne verrà affossata. Sironi non riesce a imporre la sua visione di un’arte popolare e moderna,
con finalità sociali da lui identificate col fascismo.
Sironi, brochure per la Triennale di Milano del 1933.
La V Triennale inaugura nel maggio del 1933 nella nuova sede
milanese del Palazzo dell’Arte, progettato da Giovanni Muzio.
Protagonista è l’architettura con una mostra dedicata all’architettura
moderna europea e al razionalismo italiano, riconosciuto dal regime
come l’avanguardia tecnica e culturale del paese. La Mostra di Arti
Decorative vede l’intervento, con pitture murali, mosaici e opere
plastiche, dei maggiori artisti italiani, tra cui Massimo Campigli, Carlo
Carrà, Felice Casorati, Giorgio De Chirico e Achille Funi, coordinati da
Mario Sironi. La prima Triennale di Milano segna l’inizio di una
fortunata relazione con il Parco Sempione, in cui vengono realizzate
quaranta costruzioni temporanee di carattere sperimentale
progettate da famosi architetti italiani, tra cui Figini e Pollini, Giuseppe
Terragni, Piero Portaluppi, Pietro Lingeri, il gruppo B.B.P.R. e Piero
Bottoni.
Sironi, L’Italia tra le arti e le scienze. Aula magna dell’Università di
Roma, 1935 (ridipinto negli anni Cinquanta).
In appena due mesi il pittore realizza un’opera di 140 metri quadri. La
pittura murale è una rappresentazione racchiusa in uno schema che
ricorda un’immagine sacra, anche nella forma dello spazio simile a
un’abside. L’Italia è circondata dalle Arti e dalle Scienze: sono
rappresentate l’Astronomia, la Mineralogia, la Botanica, la Geografia,
l’Architettura, le Lettere, la Pittura, la Storia, quest’ultima
simboleggiata da una donna in primo piano di spalle con un libro
aperto. Sullo sfondo a destra l’arco di trionfo e un’aquila
rappresentare i trionfi romani. Sulla sinistra, la Vittoria alata armata di
spada.
Sironi, Il lavoro fascista/ L’italia Corporativa/ Le opere e i giorni,
bozzetto per il mosaico dello scalone della VI Triennale del 1936
(Non finito in tempo, verrà esposto interamente solo all’Expo di Parigi
del 1937). arte bizantina + pittura romana + arte romanica. Parti
subordinate al tutto come l’individuo allo Stato. Italia al centro; lavoro
ma anche tradizione, famiglia, legge ed esercito. In alto allegoria
fascista delle origini (dioscuri, aquile, colonne). in basso l’Italia
moderna. L’uomo che solleva la vanga verso l’Italia = Mussolini.
Per alcuni critici del dopoguerra, la struttura a collage e l’isolamento
delle figure
•
•
presa di coscienza delle contraddizioni del regime, Per altri
(Emily Braun)
rimando all’arte etrusca e romanica e a De Chirico
Tentativo di delineare un’identità nazionale, che comprende fonti
come l’arte etrusca, ravennate, romanica (in contrasto col richiamo
ufficiale del regime al classicismo augusteo).
A parte Sironi, l’arte italiana è divisa in due:
•
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quelli che fanno come se il fascismo non esistesse
i più beceri propagandisti di regime
Contrapposizione riflessa dal 1939 da quella tra il Premio Bergamo (sostenuto da Bottai) e il Premio
Cremona (di Farinacci). Dal 1938, vi è un avvicinamento a Hitler e un irrigidimento anche sul piano
culturale:
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Attacchi all’avanguardia “giudaica e bolscevica”
Silenzio degli artisti sulle leggi razziali
Catalogo dell’Expo di Parigi 1937
Organizzata in un momento storico di grandi tensioni politiche tra i
paesi europei, doveva servire nelle intenzioni degli organizzatori a
favorire un clima di distensione tra gli stessi, ma il futuro mostrò che
tale nobile scopo non venne raggiunto.
L'area espositiva si trovava attorno alla Torre Eiffel,
dal Trocadero ai campi di Marte, con qualche ampliamento verso
il Pont de l'Alma e l'Île aux Cygnes.
Per l'occasione furono costruite diverse opere di rilievo, alcune
tuttora esistenti come il Trocadéro, il Musée de l'Homme e il Palais de
Tokyo, altre in seguito demolite. Fu inoltre ammodernata la Torre
Eiffel e raddoppiata la larghezza del ponte parigino di Iéna.
I motivi decorativi del padiglione tedesco, russo e italiano all’Expo di
Parigi del 1937
•
Padiglione sovietico – Era un edificio alto oltre 30 metri,
sormontato da L'operaio e la kolchoziana, una colossale
statua in acciaio alta 25 metri, rappresentante un operaio ed
una contadina che reggono la falce e il martello, simboli
del regime sovietico. L'autrice Vera Muchina con la sua opera
intese portare nel cuore di Parigi una composizione
monumentale sulla fiducia nel socialismo. Il simbolismo delle
due figure che avanzano da Est verso Ovest, determinato dalla
disposizione del padiglione, non passò inosservato agli occhi
degli spettatori. La statua, recentemente restaurata, è tuttora
conservata a Mosca.
•
Padiglione tedesco – Posto direttamente di fronte al
padiglione sovietico, era ospitato in un altissimo
parallelepipedo di marmo bianco, sormontato da una grande
aquila e una svastica, simboli del nazismo.[1]
•
Padiglione spagnolo – Costruito durante la guerra civile
spagnola, ospitava tra l'altro la famosa opera
di Picasso Guernica.
Gli architetti Albert Speer e Boris Iofan, progettisti rispettivamente del
padiglione tedesco e di quello sovietico, ricevettero una medaglia
d'oro per le loro opere.
EXPO DI PARIGI - 1937
Apparentemente sembrava fatta sotto il segno della pace ma in realtà era dominata (anche sul piano visivo)
dal contrasto tra i vari totalitarismi. La contrapposizione centrale era quella tra il padiglione sovietico e il
padiglione tedesco.
Expo di Parigi del 1937: il
padiglione tedesco e quello
sovietico visti dal padiglione
italiano
Padiglione nazista di Albert Speer all’Expo del 1937.
Vera Mukhina, L’operaio e la colcosiana, padiglione sovietico
all’Expo del 1937
Questa scultura è un esempio dello stile del realismo socialista, così
come dello stile art déco. L'operaio tiene in alto un martello e la
kolchoziana, ovvero la contadina del kolchoz, una falce, ricreando il
simbolo della falce e martello. La Muchina fu ispirata dallo studio di
opere classiche, quali Armodio e Aristogitone, la Nike di
Samotracia e La Marsigliese - gruppo scultoreo eseguito da François
Rude per l'Arco di Trionfo - per portare nel cuore di Parigi una
composizione monumentale sulla fiducia nel socialismo. Il
simbolismo delle due figure che avanzano da Est verso Ovest,
determinato dalla disposizione del padiglione, non passò
inosservato agli occhi degli spettatori.
La Nike di Samotracia, sec. II a. C. Louvre, Parigi.
La statua è realizzata in
marmo pario e calcare ed
ha un’altezza di 245 cm. Il
basamento invece è
scolpito in marmo di
Larthos e proviene da
Rodi. La superficie chiara
del panneggio viene
mossa dal complesso
chiaroscuro che si forma
tra le pieghe create dal
vento che investe in corpo
della Nike. La Nike si
impone nello spazio con
grande resa
monumentale. La sua
funzione di grande
simbolo architettonico è
evidente anche dalle
dimensioni e dalla
posizione del corpo.
La statua della Nike raffigura un personaggio femminile privo di testa e
di braccia. Il corpo è avvolto da un chitone i cui panneggi sono mossi dal
vento. Le ali coperte da morbide piume invece sono spiegate dietro la
schiena. La Nike, infine, si protende in avanti avanzando con la gamba
destra. Nike secondo la mitologia greca era una giovane dea alata figlia
del titano Pallante e della ninfa Stige. I Greci veneravano Nike come
personificazione della vittoria nello sport e nella guerra. Infatti, la
traduzione del nome in italiano è Vittoria. La statua di Samotracia è
raffigurata come la polena di una nave da guerra. Pare che la dea sia
giunta in volo sulla prua dell’imbarcazione poiché il vento anima il
chitone e gonfia le piume delle ali. La sua posizione di avanzamento ad
ali spiegate e il chitone mosso dal vento si riferiscono infatti ad un
contesto marino. La particolare e unica sagoma assunta dalla Nike mutila
invece di rappresentare un difetto ne ha favorito la grande notorietà.
Infatti, la statua è diventata una vera e propria iconica classica e
artistica. Inoltre, la sua fama si è diffusa anche in altri ambienti quali
quello sportivo e mediatico. Secondo gli storici il nome dello scultore che
realizzò la Nike di Samotracia è Pitocrito. Inoltre, l’opera appartiene al
periodo definito rhodio e di epoca ellenistica. Chiaramente di gusto
ellenistico sono la posizione arricolata ed elegante ed il panneggio sottile
che rappresenta un virtuosismo scultore in grado di mettere in evidenza
l’anatomia sottostante. Infatti, l’autore della statua è riuscito a scolpire il
marmo a somiglianza di un tessuto bagnato. La Nike secondo gli studiosi
esprime al meglio così dinamismo della figura e virtuosismo tecnico. Per
questo mette insieme l’efficace resa del panneggio di Fidia con gli effetti
di trasparenza e leggerezza di Prassitele e infine il senso del volume
tridimensionale di Lisippo. Nel periodo ellenistico gli artisti persero
l’interesse verso la rappresentazione del corpo umano come esempio di
misura e ordinata armonia. Gli scultori si interessano invece ad
approfondire emozioni e sentimenti dei personaggi scolpiti. Le loro
opere assumono quindi una componente drammatica o malinconica.
Vladimir Tatlin, bozzetto del Monumento alla Terza Internazionale,
1919
ALBERT SPEER - PADIGLIONE TEDESCO / BORIS JOFAN - PADIGLIONE SOVIETICO
Due ottime strutture propagandistiche ma con ideologia diversa.
Padiglione dell’URSS → allegoria del proletariato come nuova forza storica
•
dinamismo dell’URSS, memore del Monumento alla III Internazionale di Tatlin (1920) sebbene con
un esplicito simbolismo (falce e martello =fattoria e fabbrica= Piano Quinquennale di Stalin =
industrializzazione e collettivizzazione dell’agricoltura),
Padiglione nazista → staticità contro dinamismo. Tempio solenne e opprimente innalzato al potere
imperiale, non figure allegoriche del lavoro ma l’emblema del partito.
Era d’ acciaio rivestito in pietra:
•
La torre > tempio classico, la sala interna > chiesa medievale,
IDEE ARCHITETTONICHE DI SPEER ED HITLER
Architettura come rovina. Desiderio di creare monumentali rovine che ispirassero ai posteri. Reverenza e
timore di fronte alla grandezza del Reich.
“Già morta come stile, l’arte nazista sogna di trasformare anche la propria morte in spettacolo estetico”
Veduta dell’interno del padiglione italiano all’expo del 1937, col
mosaico di Sironi L’Italia Corporativa
L’impegno artistico di Sironi ha avuto anche un risvolto istituzionale,
facendo parte delle diverse organizzazioni che hanno operato
all’interno dello stato fascista; fra queste il Sindacato lombardo
fascista per le belle arti, fondato nel 1927. In questo clima, in cui gli
interessi artistici si saldano a quelli politici, divenendone l’espressione,
si sviluppa la concezione di Sironi di un’arte destinata alla collettività e
realizzata in grandi spazi pubblici. Per questa ragione la produzione di
Sironi di questo periodo appare strettamente collegata all’opera dei
più importanti architetti del tempo. Questo mosaico, realizzato nella
fabbrica vetraia Salviati di Venezia, è stato esposto all’Esposizione
universale di Parigi del 1937, per poi essere collocato nel Palazzo
dell’Informazione, costruito da Giovanni Muzio nel 1942, insieme ad
alcune sculture eseguite dallo stesso Sironi.
Arturo Martini, La vittoria dell’aria
(1934) a d., e a sin. stessa esposta nel
padiglione italiano all’Expo di Parigi del
1937.
Josep Sert e Luis La casa, padiglione della Spagna repubblicana
all’Expo di Parigi del 1937
Questo Padiglione per l'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937
era un edificio unico che ha rappresentato il governo della Repubblica
spagnola nel campione in condizioni molto difficili politica ed
economica. Questo edificio era situato in Avenue du Trocadero, vicino
ai padiglioni della Germania e dell'Unione Sovietica. Costruito a
tempo di record, dovette adattarsi ad un terreno irregolare, in cui la
superficie totale coperta è 1.400 m. Il sito ha avuto un albero nel tuo
cuore che era impossibile abbattere. L'urgenza e materiali limitati
sono risolti con l'uso di elementi prefabbricati montaggio rapido,
facilitando e costruzione. L'aspetto generale sarebbe determinato
dall'applicazione di principi razionali, modulazione e rigorosa
funzionale.
L'edificio più 10 alto metri è stato concepito come pareti del
contenitore quasi vuoto. Attraversando l'ingresso, era il principale
portico o mezzo occupato del piano terra e sulla destra la prima
attenzione cosa è stato il grande murale dipinto di Picasso, l'allora
famoso 'Guernica'. Il primo piano è interamente dedicato alle
informazioni sul paese, i pannelli di fondo di fotomontaggi nell'ambito
delle attività economiche, ricchezza nazionale, Statistiche, agricoltura,
educazione, previsione, scuole, sanità pubblica, missioni educative,
ecc. Il secondo piano è stato progettato per sezioni di belle arti e arti
popolari. Diviso longitudinalmente mediante pannelli mobili, l'entrata
è stata fatta dallo spazio per le arti visive per continuare il tour delle
arti popolari e di là, una scala che porta di nuovo al primo piano.
Fotomontaggio con due donne nel padiglione della Spagna
Repubblicana, Parigi 1937
Il padiglione spagnolo era eloquente testimonianza dell’uso dell’avanguardia come strumento per la lotta
democratica, grazie alla partecipazione di diversi artisti, tra cui Mirò e Picasso
Joan Mirò, manifesto Aidez l’Espagne, 1937
Doveva essere un francobollo da un franco, che però non fu mai
emesso, e i colori prevalenti, giallo e rosso, sono quelli delle bandiere
spagnola e catalana. Sul poster, realizzato poi con il disegno e la
scritta (“In questa battaglia attuale vedo dalla parte fascista solo le
forze obsolete, e, dall’altra, le persone le cui immense risorse creative
daranno alla Spagna un potere che stupirà il mondo
intero”) Portabella chiude il film, quasi scagliando fuori dallo schermo
un violento primo piano del pugno chiuso del contadino.
Picasso, Sueno y mentira de Franco, 1937
Questi “fumetti” satirici esprimono l’indignazione dell’artista nei
confronti dell’insensatezza e dell’orrore della guerra.
Originariamente progettati per essere stampati come cartoline e
distribuiti in massa, vengono invece pubblicati sulla rivista parigina
“Cahiers d’Art” con una poesia di Picasso sul dolore per Guernica,
l’indifesa città basca bombardata dai nazisti nel 1937. Stampate da
sinistra a destra, le incisioni si leggono da destra a sinistra e nel
complesso costituiscono una narrazione di 18 scene. Il generale
fascista Francisco Franco è rappresentato, in alto a sinistra, come una
figura folle, mitica e mostruosa che distrugge la scultura classica
spagnola e, più sotto, mentre combatte con un toro che simboleggia
la Spagna.
PICASSO – GUERNICA (1937)
Guernica nel padiglione
spagnolo all’Expo 1937. In
primo piano Alexander
Calder accanto alla sua
“Fontana di mercurio”.
Picasso e Calder nel
padiglione spagnolo
all’Expo 1937.
Picasso, Guernica, 1937
L'opera è strettamente connessa alla guerra civile spagnola e in particolare al bombardamento franchista
della città basca di Guernica, che venne rasa al suolo in poche ore il 26 aprile 1937.
In quel periodo la Spagna era agitata da una guerra civile tra repubblicani e monarchici, capeggiati dal
generale Francisco Franco. Il governo repubblicano vide in Picasso un rappresentante d'eccezione: gli affidò
la direzione del Prado e gli chiese una grande tela per l'Esposizione Universale di Parigi del luglio 1937,
commissione che fu all'origine di Guernica. La guerra fini solo nel 1939, con la vittoria di Franco e un
milione di morti.
L'impegno civile di Picasso aveva avuto momenti alterni e non si era mai espresso in modo tanto esplicito
quanto in quest'opera, concepita come la descrizione di un dramma locale, ma anche come un manifesto
universale contro la forza cieca delle guerre che coinvolgono la popolazione inerme. Picasso stesso volle
che il quadro divenisse proprietà della Spagna solo allorché questa avesse recuperato ordinamenti
democratici → solo negli anni Ottanta il quadro è ritornato a Madrid dal Museum of Modern Art di New
York.
In quest'opera, nata come murale e quindi di dimensioni tali da coinvolgere lo spettatore quasi
aggredendolo, facendolo sentire vittima tra le vittime, il pittore non inventa nuove maniere ma piuttosto
crea una summa dei suoi risultati.
Mette dunque al servizio del racconto tutti i dispositivi stilistici che era andato scoprendo negli anni →
l'attitudine a mostrare le cose nel loro aspetto sia frontale che laterale, la riduzione del colore al
monocromo, il convivere di una prospettiva costruita dall'incastro delle figure e di un'altra, più classica,
indicata dallo strombo della finestra, la giustapposizione di rappresentazioni piatte e di figure con un
volume (il cavallo, in cui il chiaroscuro è rafforzato da un tratteggio verticale), la capacità di creare immagini
che si spingono verso lo spettatore anziché allontanarsene.
Lo spazio descritto è un interno sventrato dai bombardamenti. Leggendo l'opera da sinistra a destra vi si
vedono → una madre con bimbo morto in braccio, un toro, un uomo caduto, un cavallo urlante sotto una
lampada, una donna che porta una lampada a olio, una donna che si trascina in avanti, un uomo in fiamme.
Le figure recano molti rimandi ai classici e alla stessa opera di Picasso. La madre con bambino è a tutti gli
effetti una pietà → il braccio cadente del bambino ricorda per esempio quello del Cristo morto nella prima
Pietà di Michelangelo, il bimbo presago della passione in molte Natività, il braccio di Marat nel ritratto di
David. Il toro, segno di forza nella Spagna delle corride, è stato dipinto in modo quasi ossessivo da Picasso
nelle sue tauromachie (lotte con il toro); in particolare il toro di Guernica ricorda quello dell'acquaforte
Minotauromachia (1935), dove la bestia compare come segno di forza bruta; anche il cavallo di Guernica
sembra un proseguimento degli studi per la stessa incisione, dove appare come segno di una forza
addomesticata dall'intelligenza. Picasso ebbe a dichiarare "il toro qui rappresenta la brutalità, il cavallo
rappresenta il popolo", ma poi smentì più di una volta questa contrapposizione allegorica.
In Guernica le bestie, in realtà, sono concepite come generose compagne dell'uomo e ne condividono lo
stesso destino: l'universo della vita civile, offeso, si contrappone alla violenza indiscriminata di quello
militare.
Le guerre del Novecento entrano nelle case così come nelle stalle, non risparmiando bambini, donne,
animali. La luce della modesta lampada casalinga emana raggi che richiamano le fiamme della guerra; sulla
parte destra del quadro vediamo lingue di fuoco che trovano un rimando letterale anche nella lingua del
cavallo. L'ultima figura a destra, l'uomo in fiamme, ricorda nella posizione la Maddalena di molte
crocifissioni, dove la disperazione non si domina, ma anzi si manifesta in modo spettacolare.
La composizione, concepita dopo quasi cento studi e numerose varianti, è suddivisa in parti come i polittici
medievali e molti quadri di storia, che restano il suo modello principale → nella parte alta compaiono,
ritmicamente, il toro, il cavallo, la donna con lampada, l'uomo in fiamme. Ciascuno di questi elementi è
rafforzato da una linea verticale che ne dipende → il collo del toro, il bastone del cavallo, la lampada della
donna, il braccio sinistro dell'uomo urlante.
Si sovrappone a tale divisione in comparti anche un raggruppamento delle figure che crea un triangolo
isoscele fortemente centrale, evidenziato attraverso il colore chiaro.
Il suo vertice è nel polso della donna, mentre si chiude da entrambi i lati, sulle due parti basse della tela,
con il braccio del caduto a sinistra e il ginocchio della donna a destra.
Le parti chiare che stanno fuori da questo triangolo assumono, così, l'effetto di frammenti esplosi dal
centro, aumentando la drammaticità della scena e quasi creando un rumore visivo. Il caduto, del resto, ha
in mano un frammento di spada e il cavallo, nel suo moto circolare, mostra di avere perso l'orientamento
come in un labirinto → se le Demoiselles d'Avignon erano statiche, in posa, volutamente in scena, qui ci
troviamo di fronte a un attimo di panico collettivo catturato e fermato a forza.
Quasi tutte le figure, inoltre, sono descritte come spinte verso sinistra da una sorta di vento → la forza
d'urto delle bombe che sospinge verso la fuga.
Il quadro, dunque, si trasforma in una allegoria del dolore in ogni sua forma fisica e morale. Il continuo
richiamo al classicismo, alla mitologia, alla poesia epica fertilizza la scena di cronaca e rende mitica anche
l'attualità più scottante.
Con Guernica Picasso converte cubismo e surrealismo in linguaggio politico → contro i sostenitori del
realismo sociale dimostra che l’arte modernista poteva avere una funzione pubblica.
Raffaello, L’incendio di Borgo, Palazzo Vaticano, 1514
L'Incendio di Borgo è un affresco realizzato da Raffaello e da suoi
allievi nel 1514. L'affresco si trova nella omonima Stanza dell'Incendio
di Borgo, una delle quattro Stanze Vaticane dei Palazzi Apostolici
parte del circuito dei Musei Vaticani a Roma. La storia narrata
nell'affresco ha come riferimento l'incendio divampato nel 847 nel
quartiere di Borgo a Roma quando secondo Papa Leone IV fece
miracolosamente spegnere il fuoco invocando l'intervento divino.
Raffaello mette in scena una rappresentazione calata in un ambiente
classico, popolato da figure eroiche che alludono all'incendio della
città Troia narrato da Virgilio nell'Eneide.
Nicolas Poussin, Il massacro degli innocenti, 1628-29
Basato sull'omonimo episodio presentato nel Vangelo di Matteo, il
dipinto rappresenta la scena ispirandosi profondamente ad un'opera
di Guido Reni sullo stesso tema e custodita nella Pinacoteca Nazionale
di Bologna. Il pittore francese decide di centrare l'attenzione
sull'uccisione di un neonato da parte di un soldato, il quale si getta sul
corpo del bambino brandendo la spada e ignorando la disperazione
della madre che cerca di ostacolarlo. Alle spalle di questa scena sono
raffigurate quattro figure femminili, tre delle quali portano tra le
braccia i propri figli presumibilmente uccisi; una di queste viene
mostrata mentre scruta verso l'atto dell'omicidio dell'infante,
prospetticamente posta nello spazio tra le gambe del soldato.
Jacques-Louis David, Il ratto delle sabine, 1799.
Il tema raffigurato è un seguito del leggendario Ratto delle Sabine, e
precisamente l'epilogo di tre anni successivo al violento rapimento: i
Sabini, tentando di riprendere le loro donne rapite dai romani guidati
da Romolo, si scontrarono con essi. I contendenti decisero di battersi
a duello, ma l'intervento delle donne sabine con i loro bambini fece
cessare ogni ostilità. Il centro del dipinto è infatti occupato da Ersilia,
che spalanca le braccia, le Sabine e i bambini nati dall'unione con i
Romani, che cercano di impedire lo scontro tra Tazio, Romolo e gli
eserciti delle due città. La posa di Ersilia è chiaramente ispirata da un
dipinto di Nicolas Poussin, L'Adorazione del Vitello d'oro. Per questo
dipinto a soggetto storico David rompe con lo stile severo e lineare
che usava per Il giuramento degli Orazi a favore di uno stile più
realistico e morbido, fatto di corpi resi con linee curve ed eleganti, su
ispirazione della pittura vascolare greca. Un esempio è la scelta di
dipingere nudi alcuni soldati e i bambini: la nudità in pittura era
vietata durante la Rivoluzione. Interessante questa rappresentazione:
in basso a sinistra si nota un ragazzo nudo, che è probabilmente una
figura che indica Roma: la giovane età del personaggio sembra
richiamare alla giovane età di Roma stessa, nel periodo del Ratto delle
Sabine, mentre il fatto che il giovanetto è nudo è un riferimento alla
Roma sprovvista di risorse, costretta a compiere il rapimento delle
Sabine per necessità.
Francisco Goya, il 3 maggio 1808, 1814
Il 3 maggio 1808 rappresenta il momento immediatamente
successivo alla rivolta e si focalizza su due gruppi di uomini: il plotone
d'esecuzione, sulla destra, i condannati sulla sinistra. I carnefici e le
vittime si fronteggiano bruscamente in uno spazio ristrettissimo. Una
grande lanterna ai piedi dei soldati getta luce sulla scena,
sottolineandone la drammaticità: viene illuminato soprattutto il
gruppo di vittime, fra cui figura anche un monaco tonsurato in
preghiera (a enfatizzare il fallimento della Chiesa). Il protagonista
della scena, tuttavia, è la vittima centrale, bianca, che leva le braccia
al cielo in attesa del colpo mortale. Sembra agonizzare ancor prima di
essere raggiunta dalla pallottola; il suo volto, dai tipici tratti ispanici, è
privo di bellezza ma rivela un sentimento sospeso tra coraggio,
rabbia, terrore e incredulità. Il suo vestiario bianco e giallo, oltre a
richiamare i colori della lanterna, suggerisce inoltre che si tratta di un
semplice bracciante.
Ecco invece i tumultuosi comportamenti degli altri condannati, che
simboleggiano i sentimenti del popolo:
1. Un uomo inveisce con il pugno e rappresenta la rabbia del
popolo;
2. Un altro uomo s'inchina verso terra, con gesto di sconforto, e
rappresenta coloro che si sono arresi;
3. Un altro ancora si copre il volto con le mani, in riferimento
alla vergogna;
4. Un quarto guarda con orgoglioso disprezzo i carnefici in
uniforme, l'odio.
Sulla destra è presente invece il plotone d'esecuzione, di spalle allo
spettatore: nascosti nell'ombra, i persecutori reggono tutti
una baionetta e vestono colbacchi neri e pesanti pastrani. Nel
raffigurare i soldati di spalla, nascondendone pertanto i volti, Goya dà
vita a una vera e propria «macchina di distruzione», rigida, violenta e
disumana, che sembra quasi esser composta da anonimi automi
programmati per uccidere. Senza interferire con l'intensità
dell'evento, inoltre, sullo sfondo si profilano un colle arido ed il
paesaggio urbano di Madrid: fra questi è presente una folla inferocita
con torce, forse costituita da spettatori, forse composta da altri
carnefici o condannati. La prospettiva lineare non è presente, essendo
la scena ambientata all'aperto. La profondità è resa dalla differente
luminosità dei vari piani e dalla disposizione dei soldati.
È possibile che il 3 maggio 1808 facesse parte di una serie composta
da altri tre quadri, tutti incentrati sulla rivolta del due di maggio.
Mentre il secondo dipinto, Il 2 maggio 1808, è tuttora conservato al
Museo del Prado, gli altri due sono scomparsi in circostanze
misteriose, che potrebbero indicare il malcontento scaturito dal
raffigurare l'insurrezione.