L’ARTE DEI TOTALITARISMI Espressione dei regimi totalitari, forme d’arte che arrivano dalle dittature degli anni 20. La politica del nazismo da questo punto di vista è estremamente chiara. Veduta della mostra Arte degenerata, Monaco, 1937 Nel 1937 si tiene a Monaco la mostra dell’arte degenerata, Entartete Kunst. È una mostra che per la prima volta mette insieme tutta l’arte dell’avanguardia tedesca ma non per celebrarla e mostrarla a tutti. L’allestimento era caotico, non sono trattati con amore e rispetto questi quadri ma sono affastellati con delle scritte che li deridono. C’è un rifiuto netto di Hitler nei confronti dell’arte degenerata. L’arte degenerata, secondo i nazisti, è: • • • quella che insulta i sentimenti tedeschi che distrugge o confonde la forma umana che rivela incapacità manuale e artistica Copertina del catalogo della mostra Arte degenerata, 1937 Scultura espressionista che per i nazisti richiamava tutti questi aspetti. MOSTRA ENTARTETE KUNST DEL 1937 La mostra ha avuto un enorme successo, addirittura ci sono stati 3 milioni di visitatori ma non si sa se le persone andassero per condannare le opere esposte o perché quella era l’ultima occasione per vedere in Germania delle opere che subito dopo sarebbero state messe al bando. In Germania avevano fatto dei quadri banditi ma non erano così scemi da bruciarli tutti; infatti, alcuni che sapevano avrebbero avuto un mercato all’estero sono stati venduti agli americani per arricchire il terzo Reich in mostra 650 opere delle 16.000 opere moderniste confiscate da 32 musei nel solo 1937, la maggior parte delle quali furono bruciate, andarono disperse o vennero vendute all’estero per rimpinguare le casse del Reich. LA GERMANI HITLERIANA CONTRO IL MODERNISMO Ma la mostra dell’arte degenerata non è il solo atto dei nazisti contro l’arte modernista. Nel 1933 Hitler fece chiudere il Bauhaus. Nel 1935 arriva il divieto di dipingere per gli artisti modernisti (non dipingere, si esporre) → non potevano dipingere neanche a casa loro, facevano delle ispezioni periodiche a campione ed entravano nello studio e toccavano i pennelli per sentire se fossero bagnati, cioè per vedere se l’artista aveva dipinto di recente. Nel 1936 viene impedita qualsiasi forma di critica d’arte che non sia nazista. Quindi vi è un controllo totale dello stato. CARATTERI ARTE TOTALITARIA Secondo lo storico dell’arte Igor Golomstock in tutte le dittature negli anni tra le due guerre: • • • • l’arte era trattata come uno strumento ideologico → trasmette le ideologie lo stato monopolizzava le istituzioni culturali → controllo delle mostre… sì, sceglieva come arte ufficiale l’arte più conservatrice → tutti gli altri stili vengono messi al bando tutti gli altri stili erano messi al bando Quello che dice Igor vale per la Germania nazista e per la Russia sovietica ma non vale per l’Italia fascista perché Mussolini era troppo furbo per fare questo e quindi di puntare sul consenso, decide di lasciar gli artisti liberi stilisticamente anche se non ideologicamente. Di fatto saranno pochissimi gli artisti che lasciano l’Italia perché antifascisti, anzi praticamente quasi nessuno. La lasceranno più tardi perché ad un certo punto Mussolini si allea con Hitler e mette anche in Italia le leggi razziali; quindi, a quel punto alcuni ebrei sono fuggiti; di artisti antifascisti ce ne sono stati veramente pochi. Nella Germania di Hitler quello che viene soprattutto rifiutato sono le deformazioni del corpo, perché qui entra in gioco la teoria razziale del nazismo. Quindi ce l’hanno soprattutto con l’espressionismo anche se nell’espressionismo c’erano degli aspetti che da un punto di vista ideologico erano abbastanza vicini al nazismo, per esempio il fatto di essere un movimento abbastanza nazionalista. Ce l’hanno più con l’espressionismo che con l’arte astratta Pagine del catalogo di Arte degenerata (1937) con foto di opere d’avanguardia accanto a immagini di disabili Opere degli artisti dell’avanguardia sono messe vicino a fotografie di persone con handicap fisici, come a dire che sono frutto di limitazioni mentali o fisiche. Alla radice del rifiuto totalitario dell’arte modernista c’è il fatto che l’arte modernista da molta importanza all’individuo; quindi, è contrario al collettivismo che invece viene propugnato dalle dittature, la soggettività è messa in primo piano, si dà molto valore all’originalità, alla visione personale. Chiaramente le dittature prediligono il gregge, che pensa uniformante seguendo le indicazioni del capo che non ha nessuna iniziativa individuale. Quindi tutti questi fattori sono in contrasto con la manipolazione delle masse da parte del leader politico. Xanti Schawinsky, 1934, anno XII dell’era fascista, manifesto, 1934 È stato fatto da un artista del Bauhaus prima di venire in Italia. Xanti Schawinsky nel ’33 fugge dalla Germania e va in Italia dove si c’era una dittatura ma gli artisti erano ancora liberi. 34 → anno in cui Mussolini tenne il referendum con una risposta che si sapeva già. Qui Mussolini ha il corpo costituito da, attraverso un fotomontaggio, una folla oceanica (folle che si riunivano sotto palazzo Venezia quando Mussolini doveva fare i suoi discorsi) → il corpo del leader diventa il corpo politico, il corpo dello stato, il singolo non conta più niente, conta solo la massa che è soggetta alla volontà del capo. Manifesto di propaganda fascista, anni 30. Non si sa l’autore. Il messaggio è molto efficace. Il profilo, il mascellone di Mussolini qua è ricavato ancora una volta dalla foto di una folla; infatti, lo slogan dice “un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola” → quella di Mussolini, cioè tutti questi anonimi membri della folla sono partecipi della volontà del duce. Esercizi nello stadio olimpico, da Leni Riefensthal, Olympia, 1936 Fotogramma di un film di una regista tedesca Leni Riefensthal. Ha girato nel 1936 un film intitolato Olympia che parla delle olimpiadi di Berlino e queste folle di ginnaste distese allineate che fanno gli stessi movimenti fanno pensare al ritmico passo dell’oca degli eserciti hitleriani, tutti che marciano all’unisono e hanno qualcosa di inquietante. Da Leni Riefenstahl, Das Triumph des Willens (Il trionfo della volontà), 1935 Fotogramma de “Il trionfo della volontà” (film) che rappresenta il raduno nazista di Norimberga tenutosi l’anno prima delle olimpiadi, nel 1935. La coreografia di queste grandi parate, progettata con esattezza matematica, modella le folle come se fossero materiale per una creazione artistica. Le forme d’arte più suggestive del nazismo sono state le manifestazioni pubbliche, le grandi coreografie urbane, le parate con queste miriadi di uomini che si muovevano come automi, marionette. Nei regimi totalitari il corpo individuale si identifica con il corpo politico che a sua volta si identifica con il corpo del leader. Questi manifesti lo chiariscono abbastanza bene. Questo corpo del leader ce lo si immagina come una corazza impenetrabile, ultravirile e ipermuscolosa → è così che lo rappresenta Arno Breker: Arno Breker, Prontezza, Berlino, 1939 Scultore favorito di Hitler. Questa scultura sembra la caricatura del David di Michelangelo, ancora più muscoloso. Il David di Michelangelo stava prendendo la mira per lanciare la fionda contro Golia e qui questo guerriero teutonico estrae la spada, nudo incongruamente, dal fodero per affrontare il nemico che guarda con un mascellone teso fino allo spasimo. Questi nudi esasperati diventano la norma nell’arte del regime. Josef Thorak, Il pugilatore, 1936 Spalle ultra-larghe, bacino stretto, coscioni muscolosi. Hitler e Mussolini davanti a una scultura di Thorak, 1938 Questo è Mussolini in visita in Germania che sembra che si guardi attorno con aria circospetta mentre con Hitler visita la mostra di Thorak. Anche in Italia vi sono questo tipo di sculture: Enrico Del Debbio (architetto) e vari scultori, lo Stadio dei Marmi al Foro Mussolini, Roma, 1928-1932. Collezione allo stadio dei marmi che al tempo era il foro Mussolini a Roma. C’è un bellissimo stadio tutto contornato da queste statue che in realtà erano state commissionate e pagate ciascuna da una provincia diversa italiana → ogni provincia ha mandato a Roma la propria statua e tutte corrispondono ad un ideale fisico. Cambiano le pose e gli attributi però le forme del corpo rimangono identiche, questi toraci in cui i pettorali sembrano stiano per esplodere, i bicipiti ultra-gonfi. Sembrano in serie ma in realtà sono fatte tutte da scultori diversi che però avevano le stesse tendenze estetiche. Una delle sculture dello Stadio dei Marmi. Roma, Stadio dei marmi: particolari. 1928-32. Oggi è difficilissimo vedere quadri nazisti perché quelli che non sono stati distrutti sono stati ritirati dalla circolazione. Arthur Kampf, Venere e Adone, 1939 Figura maschile verticale, virile, muscolosa, iperfallica. La figura femminile invece è orizzontale, passiva. Adone vuole andare in guerra ma Venere lo trattiene → l’impulso all’aggressività maschile mentre la passività è tipicamente femminile. Ivo Saliger, Il riposo di Diana, 1940 Tre bellezze non classiche perché questi sono corpi più contemporanei. Per quanto riguarda l’architettura il classico costituisce ovviamente un modello di riferimento. Albert Speer, Progetto per una grande Hall sull’asse Nord-Sud di Berlino, 1941 Berlino doveva diventare la più grande capitale del mondo ma non fu così. L’architetto Albert Speer divenne grazie a Hitler ministro dell’istruzione. È un edificio che mescola una cupola tipo Michelangelo però ingigantita con una parte anteriore architravata, il tutto di proporzioni così smisurate che quasi non ci si crede. Ai lati ci sono due statue di Thorak di proporzioni titaniche, come tutta la struttura del resto, Benno von Arendt, allestimento dell’Unter den Linden, Berlino, per la visita di Mussolini, 1937 Hitler voleva impressionare il collega e quindi aveva messo insieme una specie di coreografia che alternava aquile imperiali e svastiche Dushkin, Panchenko, Khilkevich, progetto per il Pantheon degli eroi della grande guerra patriottica, Mosca, 1942-43 Una costruzione fuori misura, enorme che attinge agli elementi del classicismo. Il classicismo è stato sempre un linguaggio artistico prediletto dai dittatori perché dava una sensazione di stabilità e potenza probabilmente. In Italia invece dal punto di vista architettonico si raggiungono delle soluzioni, un compromesso. C’è una linea consistente di architettura modernista che Mussolini lascia operare. Gli architetti riescono a inventarsi delle soluzioni interessanti, come ad esempio: Ernesto Lapadula, Guerrini, Romano, Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR, Roma. 1938-39 È stato soprannominato il Colosseo quadrato → palazzo parallelepipedo scandito da archi all’interno dei quali vi dovevano andare delle statue, statue che poi non furono costruite. Questo è il bozzetto. Assomiglia a una quinta architettonica dei quadri di De Chirico, quindi molto suggestivo da quel punto di vista. I totalitarismi resuscitano i generi tradizionali → il ritratto: Heinrich Knirr, Ritratto di Hitler, 1937 Questo pittore rappresenta Hitler come un grande ritrattista del 700, che è rappresentato dagli aristocratici inglesi. Erler, Ritratto del Fuhrer, 1938; Lanzinger, Il cavaliere dell’arte tedesca, 1938. Quello di sinistra lo rappresenta su uno sfondo di una statua, mentre quello di destra centra la parodia involontaria perché rappresenta Hitler vestito con un’armatura come un cavaliere tettonico, medievale. Isaak Brodsky, Ritratto di Stalin, 1937 Rappresenta Stalin, personaggio bonario, nel suo studio che posa per il bene del popolo. La sua scrivania è piena di carte. Però ci sono anche grandi quadri che rappresentano cerimonie pubbliche: Svarog, Stalin e i membri del Politburo a una cerimonia aviatoria nell’aerodromo di Tushino, 1937. In primo piano c’è il paracadutista che è appena atterrato, quindi è più grade, però non è lui il protagonista; infatti, ci dà le spalle e il nostro sguardi si focalizza immediatamente sul gruppo dei sovietici dove primeggia al centro Stalin. La composizione è molto simile a quella dei quadri dell’epoca napoleonica dipinti da un pittore di corte di Napoleone all’inizio dell’800, a riprova del fatto che questi quadri che vogliono mettere in scena il potere poi ricorrono spesso le stesse strategie. Gerardo Dottori, Ritratto di Mussolini, 1933 Stile diverso perché Mussolini lasciò libertà anche alle avanguardie non volendo alienarsi le simpatie di nessuno. Gerardo Dottori era un pittore del secondo futurismo. Intorno alla figura sfaccettata del duce si muovono dei missili, degli aerei → aeropittura, la nuova tendenza lanciata da Marinetti nel dopoguerra. Thayat, Dux, 1930 Artista fiorentino. Si immagina il duce come una maschera ferrea. Renato Bertelli, Profilo continuo del Duce, 1933 Realizzato col tornio. Non aveva parti uguali, ti dava sempre l’inconfondibile sagoma di Mussolini. Altre sculture invece guardano di più al passato: Il “Bruto Capitolino” (IV-III secolo a.C; Musei capitolini, Roma) e Albino Manca, Il condottiero, 1925. Albino Manca ha tenuto in conto il Bruto Capitolino per realizzare la sua opera Armando Baldinelli. Le due Rome, 1936 In questa incisione mette il profilo di Mussolini sullo sfondo dell’arapacis. Le due Rome → la Roma di Mussolini e la Roma di Augusto. Anche il paesaggio viene reinterpretato in chiave ideologica: Karl Alexander Flugel, Mietitura, 1938 Questo è un pittore tedesco che strizza l’occhio ai pittori del rinascimento. Ci dà una visione idillica, introvabile della campagna tedesca come un luogo fuori dal tempo, con i contadini che vivono in armonia con la natura, come a Hitler sarebbe piaciuto immaginarsela. Esiste però anche qualcosa di più moderno come: Leni Riefenstahl, Der triumph des willens, 1935 Film girato a Norimberga. Riprese dall’alto → Russia Sovietica e Germania nazista. Rodchenko, Pioniera, 1930 Rodchenko, Allestimento “Lunga vita alla costituzione”, 1936 Enrico Prampolini, Angeli della terra, 1936 Scipione, Apocalissi, 1930 Il corpo e la sua carica espressiva sono al centro del lavoro di Scipione dagli esordi, quando dipinge la Leda, fino alle ultime opere dedicate all'Apocalisse e ad altri temi tratti dall'Antico Testamento. La Cortigiana romana, il Profeta in vista di Gerusalemme, il quadro noto come Le tentazioni di Eva, sono tutti dipinti più o meno direttamente collegati alla lettura dell'Apocalisse di San Giovanni. In questo caso è Scipione stesso a indicarci il passo preciso, intitolando Il sesto suggello un disegno pubblicato su "L'Italia Letteraria" del 6 novembre 1930. Manlio Rho, Composizione 42, 1936 Achille Funi, Publio Orazio uccide la sorella, 1932 Il dipinto raffigura un momento di dramma supremo: quando solo il più giovane dei fratelli Horatier torna vivo dalla battaglia, trova sua sorella in lutto per uno dei suoi avversari assassinati e la uccide con rabbia. Dopo che il tribunale lo ha condannato per questo, è stato infine assolto. Con la sua rappresentazione neoclassica della storia dell'antico scrittore romano Livio sulla lotta di potere tra le terzine oratiche di Roma ei Curatici di Alba Longa sotto il re Tullo Ostilio, Funi si avvale di una lunga tradizione iconografica. Numerose citazioni pittoriche dell'antichità e della prima età moderna, ad esempio la statua della "Venere di Cirene" (Museo Nazionale di Roma), sono alla base del suo ideale pittorico. ORGANIZZAZIONE DELLE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE SOTTO IL FASCISMO Dal 1929 lo Stato abolisce tutte le associazioni artistiche e si arroga il diritto di allestire mostre. Il Sindacato Fascista Belle Arti organizza mostre sindacali annuali in tutte le regioni selezionando gli artisti per le Quadriennali di Roma (nazionali) e le Biennali di Venezia (Internazionali). Fino alla seconda metà degli anni 30 le Quadriennali di Roma (ma anche le Triennali di Milano, dedicate all’architettura e alle arti decorative) presentano il meglio della produzione artistica italiana Mussolini in visita alla Quadriennale del 1931 Gli ARCHITETTI MODERNISTI/RAZIONALISTI sebbene minoritari ottengono in Italia commissioni importanti come la Casa del fascio di Como (Terragni) e la stazione di S. Maria Novella di Firenze (Michelucci). GIUSEPPE TERRAGNI – CASA DEL FASCIO DI COMO (1934-36) Struttura rigorosamente quadrata e senza simmetria nelle facciate, ovvero senza un centro simbolico che alludesse al potere, dalla quale non aggetta alcun balcone, alcun elemento che conferisca all’edificio una qualità propagandistica. Probabilmente, in Italia, fu la sola sede del P.N.F. (partito nazionale fascista) a osare tanto distacco. La pianta e le proporzioni ricordano la purezza della Villa Savoye di Le Corbusier, ma è difficile non collegarle anche agli esperimenti dei costruttivisti russi e al quadrato nero su fondo bianco di Malevic → anche in quel caso vediamo compenetrarsi credo mistico e logica attraverso la forma del quadrato. L’altezza delle costruzione è circa metà della base; le 4 facciate sono state trattate al medesimo modo, senza cioè che nessuna di esse assumesse un carattere preminente. Tutte sono segnate da un’alternanza tra pieni e vuoti rettangolari e, a un calcolo attento, si svelano essere state costruite sulla composizione di triangoli rettangoli simili, benchè di dimensioni diverse. Nella facciata che si volge verso il retro della cattedrale cittadina, dov’è situato l’ingresso, si susseguono 4 file di 5 quadrangoli che disegnano una griglia sottile, resa ancora più fragile dal rapporto con la parte piena di destra, in cui riluce il marmo bianco scelto per i rivestimenti. La superficie vuota sulla destra, che rende l’edificio fortemente asimmetrico, era stata pensata per poter essere occupata da opere d’arte contemporanea. L’interno è coperto da un lucernario che illumina il salone centrale, attorno al cui grande vuoto, simile all’atrio che connotava le ville romane e i palazzi della nobiltà veneziana, si dispongono i piani superiori. Il tetto è costituito da un susseguirsi suggestivo di terrazzamenti percorribili, come nella maggior parte degli edifici di Terragni. Giovanni Michelucci e Gruppo Toscano degli architetti, Stazione di Santa Maria Novella, Firenze, 1935. Collocata vicino all’omonima chiesa in cui intervenne Leon Battisti Alberti. Ma nel complesso la linea vincente in Italia è il classicismo modernizzato di Marcello Piacentini, l’architetto italiano più potente degli anni ’30. Marcello Piacentini, Ingresso della Città Universitaria di Roma 193235 È stata realizzata durante gli anni trenta, nel pieno del ventennio fascista, da una serie di architetti razionalisti sotto la supervisione del più tradizionale architetto Marcello Piacentini, il quale era responsabile della pianta e del Palazzo del rettorato e aveva il diritto di effettuare modifiche agli altri progetti.[1] L'opera, fortemente voluta da Mussolini affinché anche la capitale d'Italia avesse il suo centro universitario e considerata fin lì «la più vasta opera edilizia promossa dal Regime Fascista», s'inquadrava nell'opera di restauro che coinvolse la città fino a tutto il secondo dopoguerra. La città venne inaugurata il 31 marzo 1935 alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Dall'ingresso principale, la prospettiva è sviluppata in modo tale da far emergere la figura della statua della Minerva, uno dei simboli della Sapienza e opera di Arturo Martini, realizzata in bronzo e posta in cima a un piedistallo che si trova all'interno di una vasca d'acqua. La statua è posta di fronte al Palazzo del rettorato, opera di Marcello Piacentini. Le concessioni del regime fascista al modernismo suscitano opposizione nelle sue frange più conservatrici. La rivista Regime fascista attacca ad esempio la pittura di Sironi e il suo tentativo di lanciare una moderna pittura murale alla Triennale di Milano del 1933. Sironi, Famiglia, 1933-34 Sironi, Galleria dei Fasci alla Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932 Sironi, Sala Q o dell’Avvento alla Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932 Terragni, Sala 0 alla Mostra della Rivoluzione Fascista, 1932 nell' architettura della sala O, ideata da Giuseppe Terragni, uno dei più importanti architetti razionalisti italiani, la fotografia risultava l'elemento strutturante. Per questa sala Terragni ideò un allestimento assolutamente inedito, basato su fotomosaici o fotomurali, enormi fotomontaggi a tutta parete che interpretavano gli episodi salienti dell'anno 1922, dal gennaio fino agli inizi del mese di ottobre. Tramite il montaggio e poi la stampa di più negativi, si creava un'immagine che comprendeva primi piani insieme a campi medie lunghi, eliminando ogni spaziatura così da riprodurre la percezione del tumultuoso e incalzante evolversi degli avvenimenti documentati. I fotomosaici erano fondamentali in questa sezione, che dava forma all'incalzante susseguirsi delle azioni squadriste che culminarono con la mobilitazione fascista contro lo «sciopero egalitario», l'incendio dell’«Avanti!» e l’occupazione di Palazzo Marino a Milano e Palazzo S. Giorgio a Genova, insieme al susseguirsi delle azioni sovversive nelle varie città italiane che anticiparono la marcia su Roma. La sala O era dunque centrale nel percorso della mostra, perché rappresentava una svolta nel movimento fascista e il culmine delle manifestazioni di massa per l’assalto al governo e la presa del potere. Libera, Facciata della mostra della Rivoluzione Fascista, 1932 (part.) MOSTRA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA (ROMA, 1932) È il più importante evento espositivo del regime, svolto sotto la regia di Sironi in collaborazione con vari architetti e artisti. • idea della pittura murale Per Sironi è un possibile sbocco sociale dell’arte fascista lanciata in grande stile nel 1933 alla Triennale di Milano, con una serie di decorazioni affidate ai massimi artisti italiani, trova un’accoglienza pessima tanto dai conservatori che dagli avanguardisti. Malgrado l’impresa collettiva del Tribunale di Milano (dal 1938) la pittura murale ne verrà affossata. Sironi non riesce a imporre la sua visione di un’arte popolare e moderna, con finalità sociali da lui identificate col fascismo. Sironi, brochure per la Triennale di Milano del 1933. La V Triennale inaugura nel maggio del 1933 nella nuova sede milanese del Palazzo dell’Arte, progettato da Giovanni Muzio. Protagonista è l’architettura con una mostra dedicata all’architettura moderna europea e al razionalismo italiano, riconosciuto dal regime come l’avanguardia tecnica e culturale del paese. La Mostra di Arti Decorative vede l’intervento, con pitture murali, mosaici e opere plastiche, dei maggiori artisti italiani, tra cui Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Giorgio De Chirico e Achille Funi, coordinati da Mario Sironi. La prima Triennale di Milano segna l’inizio di una fortunata relazione con il Parco Sempione, in cui vengono realizzate quaranta costruzioni temporanee di carattere sperimentale progettate da famosi architetti italiani, tra cui Figini e Pollini, Giuseppe Terragni, Piero Portaluppi, Pietro Lingeri, il gruppo B.B.P.R. e Piero Bottoni. Sironi, L’Italia tra le arti e le scienze. Aula magna dell’Università di Roma, 1935 (ridipinto negli anni Cinquanta). In appena due mesi il pittore realizza un’opera di 140 metri quadri. La pittura murale è una rappresentazione racchiusa in uno schema che ricorda un’immagine sacra, anche nella forma dello spazio simile a un’abside. L’Italia è circondata dalle Arti e dalle Scienze: sono rappresentate l’Astronomia, la Mineralogia, la Botanica, la Geografia, l’Architettura, le Lettere, la Pittura, la Storia, quest’ultima simboleggiata da una donna in primo piano di spalle con un libro aperto. Sullo sfondo a destra l’arco di trionfo e un’aquila rappresentare i trionfi romani. Sulla sinistra, la Vittoria alata armata di spada. Sironi, Il lavoro fascista/ L’italia Corporativa/ Le opere e i giorni, bozzetto per il mosaico dello scalone della VI Triennale del 1936 (Non finito in tempo, verrà esposto interamente solo all’Expo di Parigi del 1937). arte bizantina + pittura romana + arte romanica. Parti subordinate al tutto come l’individuo allo Stato. Italia al centro; lavoro ma anche tradizione, famiglia, legge ed esercito. In alto allegoria fascista delle origini (dioscuri, aquile, colonne). in basso l’Italia moderna. L’uomo che solleva la vanga verso l’Italia = Mussolini. Per alcuni critici del dopoguerra, la struttura a collage e l’isolamento delle figure • • presa di coscienza delle contraddizioni del regime, Per altri (Emily Braun) rimando all’arte etrusca e romanica e a De Chirico Tentativo di delineare un’identità nazionale, che comprende fonti come l’arte etrusca, ravennate, romanica (in contrasto col richiamo ufficiale del regime al classicismo augusteo). A parte Sironi, l’arte italiana è divisa in due: • • quelli che fanno come se il fascismo non esistesse i più beceri propagandisti di regime Contrapposizione riflessa dal 1939 da quella tra il Premio Bergamo (sostenuto da Bottai) e il Premio Cremona (di Farinacci). Dal 1938, vi è un avvicinamento a Hitler e un irrigidimento anche sul piano culturale: • • Attacchi all’avanguardia “giudaica e bolscevica” Silenzio degli artisti sulle leggi razziali Catalogo dell’Expo di Parigi 1937 Organizzata in un momento storico di grandi tensioni politiche tra i paesi europei, doveva servire nelle intenzioni degli organizzatori a favorire un clima di distensione tra gli stessi, ma il futuro mostrò che tale nobile scopo non venne raggiunto. L'area espositiva si trovava attorno alla Torre Eiffel, dal Trocadero ai campi di Marte, con qualche ampliamento verso il Pont de l'Alma e l'Île aux Cygnes. Per l'occasione furono costruite diverse opere di rilievo, alcune tuttora esistenti come il Trocadéro, il Musée de l'Homme e il Palais de Tokyo, altre in seguito demolite. Fu inoltre ammodernata la Torre Eiffel e raddoppiata la larghezza del ponte parigino di Iéna. I motivi decorativi del padiglione tedesco, russo e italiano all’Expo di Parigi del 1937 • Padiglione sovietico – Era un edificio alto oltre 30 metri, sormontato da L'operaio e la kolchoziana, una colossale statua in acciaio alta 25 metri, rappresentante un operaio ed una contadina che reggono la falce e il martello, simboli del regime sovietico. L'autrice Vera Muchina con la sua opera intese portare nel cuore di Parigi una composizione monumentale sulla fiducia nel socialismo. Il simbolismo delle due figure che avanzano da Est verso Ovest, determinato dalla disposizione del padiglione, non passò inosservato agli occhi degli spettatori. La statua, recentemente restaurata, è tuttora conservata a Mosca. • Padiglione tedesco – Posto direttamente di fronte al padiglione sovietico, era ospitato in un altissimo parallelepipedo di marmo bianco, sormontato da una grande aquila e una svastica, simboli del nazismo.[1] • Padiglione spagnolo – Costruito durante la guerra civile spagnola, ospitava tra l'altro la famosa opera di Picasso Guernica. Gli architetti Albert Speer e Boris Iofan, progettisti rispettivamente del padiglione tedesco e di quello sovietico, ricevettero una medaglia d'oro per le loro opere. EXPO DI PARIGI - 1937 Apparentemente sembrava fatta sotto il segno della pace ma in realtà era dominata (anche sul piano visivo) dal contrasto tra i vari totalitarismi. La contrapposizione centrale era quella tra il padiglione sovietico e il padiglione tedesco. Expo di Parigi del 1937: il padiglione tedesco e quello sovietico visti dal padiglione italiano Padiglione nazista di Albert Speer all’Expo del 1937. Vera Mukhina, L’operaio e la colcosiana, padiglione sovietico all’Expo del 1937 Questa scultura è un esempio dello stile del realismo socialista, così come dello stile art déco. L'operaio tiene in alto un martello e la kolchoziana, ovvero la contadina del kolchoz, una falce, ricreando il simbolo della falce e martello. La Muchina fu ispirata dallo studio di opere classiche, quali Armodio e Aristogitone, la Nike di Samotracia e La Marsigliese - gruppo scultoreo eseguito da François Rude per l'Arco di Trionfo - per portare nel cuore di Parigi una composizione monumentale sulla fiducia nel socialismo. Il simbolismo delle due figure che avanzano da Est verso Ovest, determinato dalla disposizione del padiglione, non passò inosservato agli occhi degli spettatori. La Nike di Samotracia, sec. II a. C. Louvre, Parigi. La statua è realizzata in marmo pario e calcare ed ha un’altezza di 245 cm. Il basamento invece è scolpito in marmo di Larthos e proviene da Rodi. La superficie chiara del panneggio viene mossa dal complesso chiaroscuro che si forma tra le pieghe create dal vento che investe in corpo della Nike. La Nike si impone nello spazio con grande resa monumentale. La sua funzione di grande simbolo architettonico è evidente anche dalle dimensioni e dalla posizione del corpo. La statua della Nike raffigura un personaggio femminile privo di testa e di braccia. Il corpo è avvolto da un chitone i cui panneggi sono mossi dal vento. Le ali coperte da morbide piume invece sono spiegate dietro la schiena. La Nike, infine, si protende in avanti avanzando con la gamba destra. Nike secondo la mitologia greca era una giovane dea alata figlia del titano Pallante e della ninfa Stige. I Greci veneravano Nike come personificazione della vittoria nello sport e nella guerra. Infatti, la traduzione del nome in italiano è Vittoria. La statua di Samotracia è raffigurata come la polena di una nave da guerra. Pare che la dea sia giunta in volo sulla prua dell’imbarcazione poiché il vento anima il chitone e gonfia le piume delle ali. La sua posizione di avanzamento ad ali spiegate e il chitone mosso dal vento si riferiscono infatti ad un contesto marino. La particolare e unica sagoma assunta dalla Nike mutila invece di rappresentare un difetto ne ha favorito la grande notorietà. Infatti, la statua è diventata una vera e propria iconica classica e artistica. Inoltre, la sua fama si è diffusa anche in altri ambienti quali quello sportivo e mediatico. Secondo gli storici il nome dello scultore che realizzò la Nike di Samotracia è Pitocrito. Inoltre, l’opera appartiene al periodo definito rhodio e di epoca ellenistica. Chiaramente di gusto ellenistico sono la posizione arricolata ed elegante ed il panneggio sottile che rappresenta un virtuosismo scultore in grado di mettere in evidenza l’anatomia sottostante. Infatti, l’autore della statua è riuscito a scolpire il marmo a somiglianza di un tessuto bagnato. La Nike secondo gli studiosi esprime al meglio così dinamismo della figura e virtuosismo tecnico. Per questo mette insieme l’efficace resa del panneggio di Fidia con gli effetti di trasparenza e leggerezza di Prassitele e infine il senso del volume tridimensionale di Lisippo. Nel periodo ellenistico gli artisti persero l’interesse verso la rappresentazione del corpo umano come esempio di misura e ordinata armonia. Gli scultori si interessano invece ad approfondire emozioni e sentimenti dei personaggi scolpiti. Le loro opere assumono quindi una componente drammatica o malinconica. Vladimir Tatlin, bozzetto del Monumento alla Terza Internazionale, 1919 ALBERT SPEER - PADIGLIONE TEDESCO / BORIS JOFAN - PADIGLIONE SOVIETICO Due ottime strutture propagandistiche ma con ideologia diversa. Padiglione dell’URSS → allegoria del proletariato come nuova forza storica • dinamismo dell’URSS, memore del Monumento alla III Internazionale di Tatlin (1920) sebbene con un esplicito simbolismo (falce e martello =fattoria e fabbrica= Piano Quinquennale di Stalin = industrializzazione e collettivizzazione dell’agricoltura), Padiglione nazista → staticità contro dinamismo. Tempio solenne e opprimente innalzato al potere imperiale, non figure allegoriche del lavoro ma l’emblema del partito. Era d’ acciaio rivestito in pietra: • La torre > tempio classico, la sala interna > chiesa medievale, IDEE ARCHITETTONICHE DI SPEER ED HITLER Architettura come rovina. Desiderio di creare monumentali rovine che ispirassero ai posteri. Reverenza e timore di fronte alla grandezza del Reich. “Già morta come stile, l’arte nazista sogna di trasformare anche la propria morte in spettacolo estetico” Veduta dell’interno del padiglione italiano all’expo del 1937, col mosaico di Sironi L’Italia Corporativa L’impegno artistico di Sironi ha avuto anche un risvolto istituzionale, facendo parte delle diverse organizzazioni che hanno operato all’interno dello stato fascista; fra queste il Sindacato lombardo fascista per le belle arti, fondato nel 1927. In questo clima, in cui gli interessi artistici si saldano a quelli politici, divenendone l’espressione, si sviluppa la concezione di Sironi di un’arte destinata alla collettività e realizzata in grandi spazi pubblici. Per questa ragione la produzione di Sironi di questo periodo appare strettamente collegata all’opera dei più importanti architetti del tempo. Questo mosaico, realizzato nella fabbrica vetraia Salviati di Venezia, è stato esposto all’Esposizione universale di Parigi del 1937, per poi essere collocato nel Palazzo dell’Informazione, costruito da Giovanni Muzio nel 1942, insieme ad alcune sculture eseguite dallo stesso Sironi. Arturo Martini, La vittoria dell’aria (1934) a d., e a sin. stessa esposta nel padiglione italiano all’Expo di Parigi del 1937. Josep Sert e Luis La casa, padiglione della Spagna repubblicana all’Expo di Parigi del 1937 Questo Padiglione per l'Esposizione Internazionale di Parigi del 1937 era un edificio unico che ha rappresentato il governo della Repubblica spagnola nel campione in condizioni molto difficili politica ed economica. Questo edificio era situato in Avenue du Trocadero, vicino ai padiglioni della Germania e dell'Unione Sovietica. Costruito a tempo di record, dovette adattarsi ad un terreno irregolare, in cui la superficie totale coperta è 1.400 m. Il sito ha avuto un albero nel tuo cuore che era impossibile abbattere. L'urgenza e materiali limitati sono risolti con l'uso di elementi prefabbricati montaggio rapido, facilitando e costruzione. L'aspetto generale sarebbe determinato dall'applicazione di principi razionali, modulazione e rigorosa funzionale. L'edificio più 10 alto metri è stato concepito come pareti del contenitore quasi vuoto. Attraversando l'ingresso, era il principale portico o mezzo occupato del piano terra e sulla destra la prima attenzione cosa è stato il grande murale dipinto di Picasso, l'allora famoso 'Guernica'. Il primo piano è interamente dedicato alle informazioni sul paese, i pannelli di fondo di fotomontaggi nell'ambito delle attività economiche, ricchezza nazionale, Statistiche, agricoltura, educazione, previsione, scuole, sanità pubblica, missioni educative, ecc. Il secondo piano è stato progettato per sezioni di belle arti e arti popolari. Diviso longitudinalmente mediante pannelli mobili, l'entrata è stata fatta dallo spazio per le arti visive per continuare il tour delle arti popolari e di là, una scala che porta di nuovo al primo piano. Fotomontaggio con due donne nel padiglione della Spagna Repubblicana, Parigi 1937 Il padiglione spagnolo era eloquente testimonianza dell’uso dell’avanguardia come strumento per la lotta democratica, grazie alla partecipazione di diversi artisti, tra cui Mirò e Picasso Joan Mirò, manifesto Aidez l’Espagne, 1937 Doveva essere un francobollo da un franco, che però non fu mai emesso, e i colori prevalenti, giallo e rosso, sono quelli delle bandiere spagnola e catalana. Sul poster, realizzato poi con il disegno e la scritta (“In questa battaglia attuale vedo dalla parte fascista solo le forze obsolete, e, dall’altra, le persone le cui immense risorse creative daranno alla Spagna un potere che stupirà il mondo intero”) Portabella chiude il film, quasi scagliando fuori dallo schermo un violento primo piano del pugno chiuso del contadino. Picasso, Sueno y mentira de Franco, 1937 Questi “fumetti” satirici esprimono l’indignazione dell’artista nei confronti dell’insensatezza e dell’orrore della guerra. Originariamente progettati per essere stampati come cartoline e distribuiti in massa, vengono invece pubblicati sulla rivista parigina “Cahiers d’Art” con una poesia di Picasso sul dolore per Guernica, l’indifesa città basca bombardata dai nazisti nel 1937. Stampate da sinistra a destra, le incisioni si leggono da destra a sinistra e nel complesso costituiscono una narrazione di 18 scene. Il generale fascista Francisco Franco è rappresentato, in alto a sinistra, come una figura folle, mitica e mostruosa che distrugge la scultura classica spagnola e, più sotto, mentre combatte con un toro che simboleggia la Spagna. PICASSO – GUERNICA (1937) Guernica nel padiglione spagnolo all’Expo 1937. In primo piano Alexander Calder accanto alla sua “Fontana di mercurio”. Picasso e Calder nel padiglione spagnolo all’Expo 1937. Picasso, Guernica, 1937 L'opera è strettamente connessa alla guerra civile spagnola e in particolare al bombardamento franchista della città basca di Guernica, che venne rasa al suolo in poche ore il 26 aprile 1937. In quel periodo la Spagna era agitata da una guerra civile tra repubblicani e monarchici, capeggiati dal generale Francisco Franco. Il governo repubblicano vide in Picasso un rappresentante d'eccezione: gli affidò la direzione del Prado e gli chiese una grande tela per l'Esposizione Universale di Parigi del luglio 1937, commissione che fu all'origine di Guernica. La guerra fini solo nel 1939, con la vittoria di Franco e un milione di morti. L'impegno civile di Picasso aveva avuto momenti alterni e non si era mai espresso in modo tanto esplicito quanto in quest'opera, concepita come la descrizione di un dramma locale, ma anche come un manifesto universale contro la forza cieca delle guerre che coinvolgono la popolazione inerme. Picasso stesso volle che il quadro divenisse proprietà della Spagna solo allorché questa avesse recuperato ordinamenti democratici → solo negli anni Ottanta il quadro è ritornato a Madrid dal Museum of Modern Art di New York. In quest'opera, nata come murale e quindi di dimensioni tali da coinvolgere lo spettatore quasi aggredendolo, facendolo sentire vittima tra le vittime, il pittore non inventa nuove maniere ma piuttosto crea una summa dei suoi risultati. Mette dunque al servizio del racconto tutti i dispositivi stilistici che era andato scoprendo negli anni → l'attitudine a mostrare le cose nel loro aspetto sia frontale che laterale, la riduzione del colore al monocromo, il convivere di una prospettiva costruita dall'incastro delle figure e di un'altra, più classica, indicata dallo strombo della finestra, la giustapposizione di rappresentazioni piatte e di figure con un volume (il cavallo, in cui il chiaroscuro è rafforzato da un tratteggio verticale), la capacità di creare immagini che si spingono verso lo spettatore anziché allontanarsene. Lo spazio descritto è un interno sventrato dai bombardamenti. Leggendo l'opera da sinistra a destra vi si vedono → una madre con bimbo morto in braccio, un toro, un uomo caduto, un cavallo urlante sotto una lampada, una donna che porta una lampada a olio, una donna che si trascina in avanti, un uomo in fiamme. Le figure recano molti rimandi ai classici e alla stessa opera di Picasso. La madre con bambino è a tutti gli effetti una pietà → il braccio cadente del bambino ricorda per esempio quello del Cristo morto nella prima Pietà di Michelangelo, il bimbo presago della passione in molte Natività, il braccio di Marat nel ritratto di David. Il toro, segno di forza nella Spagna delle corride, è stato dipinto in modo quasi ossessivo da Picasso nelle sue tauromachie (lotte con il toro); in particolare il toro di Guernica ricorda quello dell'acquaforte Minotauromachia (1935), dove la bestia compare come segno di forza bruta; anche il cavallo di Guernica sembra un proseguimento degli studi per la stessa incisione, dove appare come segno di una forza addomesticata dall'intelligenza. Picasso ebbe a dichiarare "il toro qui rappresenta la brutalità, il cavallo rappresenta il popolo", ma poi smentì più di una volta questa contrapposizione allegorica. In Guernica le bestie, in realtà, sono concepite come generose compagne dell'uomo e ne condividono lo stesso destino: l'universo della vita civile, offeso, si contrappone alla violenza indiscriminata di quello militare. Le guerre del Novecento entrano nelle case così come nelle stalle, non risparmiando bambini, donne, animali. La luce della modesta lampada casalinga emana raggi che richiamano le fiamme della guerra; sulla parte destra del quadro vediamo lingue di fuoco che trovano un rimando letterale anche nella lingua del cavallo. L'ultima figura a destra, l'uomo in fiamme, ricorda nella posizione la Maddalena di molte crocifissioni, dove la disperazione non si domina, ma anzi si manifesta in modo spettacolare. La composizione, concepita dopo quasi cento studi e numerose varianti, è suddivisa in parti come i polittici medievali e molti quadri di storia, che restano il suo modello principale → nella parte alta compaiono, ritmicamente, il toro, il cavallo, la donna con lampada, l'uomo in fiamme. Ciascuno di questi elementi è rafforzato da una linea verticale che ne dipende → il collo del toro, il bastone del cavallo, la lampada della donna, il braccio sinistro dell'uomo urlante. Si sovrappone a tale divisione in comparti anche un raggruppamento delle figure che crea un triangolo isoscele fortemente centrale, evidenziato attraverso il colore chiaro. Il suo vertice è nel polso della donna, mentre si chiude da entrambi i lati, sulle due parti basse della tela, con il braccio del caduto a sinistra e il ginocchio della donna a destra. Le parti chiare che stanno fuori da questo triangolo assumono, così, l'effetto di frammenti esplosi dal centro, aumentando la drammaticità della scena e quasi creando un rumore visivo. Il caduto, del resto, ha in mano un frammento di spada e il cavallo, nel suo moto circolare, mostra di avere perso l'orientamento come in un labirinto → se le Demoiselles d'Avignon erano statiche, in posa, volutamente in scena, qui ci troviamo di fronte a un attimo di panico collettivo catturato e fermato a forza. Quasi tutte le figure, inoltre, sono descritte come spinte verso sinistra da una sorta di vento → la forza d'urto delle bombe che sospinge verso la fuga. Il quadro, dunque, si trasforma in una allegoria del dolore in ogni sua forma fisica e morale. Il continuo richiamo al classicismo, alla mitologia, alla poesia epica fertilizza la scena di cronaca e rende mitica anche l'attualità più scottante. Con Guernica Picasso converte cubismo e surrealismo in linguaggio politico → contro i sostenitori del realismo sociale dimostra che l’arte modernista poteva avere una funzione pubblica. Raffaello, L’incendio di Borgo, Palazzo Vaticano, 1514 L'Incendio di Borgo è un affresco realizzato da Raffaello e da suoi allievi nel 1514. L'affresco si trova nella omonima Stanza dell'Incendio di Borgo, una delle quattro Stanze Vaticane dei Palazzi Apostolici parte del circuito dei Musei Vaticani a Roma. La storia narrata nell'affresco ha come riferimento l'incendio divampato nel 847 nel quartiere di Borgo a Roma quando secondo Papa Leone IV fece miracolosamente spegnere il fuoco invocando l'intervento divino. Raffaello mette in scena una rappresentazione calata in un ambiente classico, popolato da figure eroiche che alludono all'incendio della città Troia narrato da Virgilio nell'Eneide. Nicolas Poussin, Il massacro degli innocenti, 1628-29 Basato sull'omonimo episodio presentato nel Vangelo di Matteo, il dipinto rappresenta la scena ispirandosi profondamente ad un'opera di Guido Reni sullo stesso tema e custodita nella Pinacoteca Nazionale di Bologna. Il pittore francese decide di centrare l'attenzione sull'uccisione di un neonato da parte di un soldato, il quale si getta sul corpo del bambino brandendo la spada e ignorando la disperazione della madre che cerca di ostacolarlo. Alle spalle di questa scena sono raffigurate quattro figure femminili, tre delle quali portano tra le braccia i propri figli presumibilmente uccisi; una di queste viene mostrata mentre scruta verso l'atto dell'omicidio dell'infante, prospetticamente posta nello spazio tra le gambe del soldato. Jacques-Louis David, Il ratto delle sabine, 1799. Il tema raffigurato è un seguito del leggendario Ratto delle Sabine, e precisamente l'epilogo di tre anni successivo al violento rapimento: i Sabini, tentando di riprendere le loro donne rapite dai romani guidati da Romolo, si scontrarono con essi. I contendenti decisero di battersi a duello, ma l'intervento delle donne sabine con i loro bambini fece cessare ogni ostilità. Il centro del dipinto è infatti occupato da Ersilia, che spalanca le braccia, le Sabine e i bambini nati dall'unione con i Romani, che cercano di impedire lo scontro tra Tazio, Romolo e gli eserciti delle due città. La posa di Ersilia è chiaramente ispirata da un dipinto di Nicolas Poussin, L'Adorazione del Vitello d'oro. Per questo dipinto a soggetto storico David rompe con lo stile severo e lineare che usava per Il giuramento degli Orazi a favore di uno stile più realistico e morbido, fatto di corpi resi con linee curve ed eleganti, su ispirazione della pittura vascolare greca. Un esempio è la scelta di dipingere nudi alcuni soldati e i bambini: la nudità in pittura era vietata durante la Rivoluzione. Interessante questa rappresentazione: in basso a sinistra si nota un ragazzo nudo, che è probabilmente una figura che indica Roma: la giovane età del personaggio sembra richiamare alla giovane età di Roma stessa, nel periodo del Ratto delle Sabine, mentre il fatto che il giovanetto è nudo è un riferimento alla Roma sprovvista di risorse, costretta a compiere il rapimento delle Sabine per necessità. Francisco Goya, il 3 maggio 1808, 1814 Il 3 maggio 1808 rappresenta il momento immediatamente successivo alla rivolta e si focalizza su due gruppi di uomini: il plotone d'esecuzione, sulla destra, i condannati sulla sinistra. I carnefici e le vittime si fronteggiano bruscamente in uno spazio ristrettissimo. Una grande lanterna ai piedi dei soldati getta luce sulla scena, sottolineandone la drammaticità: viene illuminato soprattutto il gruppo di vittime, fra cui figura anche un monaco tonsurato in preghiera (a enfatizzare il fallimento della Chiesa). Il protagonista della scena, tuttavia, è la vittima centrale, bianca, che leva le braccia al cielo in attesa del colpo mortale. Sembra agonizzare ancor prima di essere raggiunta dalla pallottola; il suo volto, dai tipici tratti ispanici, è privo di bellezza ma rivela un sentimento sospeso tra coraggio, rabbia, terrore e incredulità. Il suo vestiario bianco e giallo, oltre a richiamare i colori della lanterna, suggerisce inoltre che si tratta di un semplice bracciante. Ecco invece i tumultuosi comportamenti degli altri condannati, che simboleggiano i sentimenti del popolo: 1. Un uomo inveisce con il pugno e rappresenta la rabbia del popolo; 2. Un altro uomo s'inchina verso terra, con gesto di sconforto, e rappresenta coloro che si sono arresi; 3. Un altro ancora si copre il volto con le mani, in riferimento alla vergogna; 4. Un quarto guarda con orgoglioso disprezzo i carnefici in uniforme, l'odio. Sulla destra è presente invece il plotone d'esecuzione, di spalle allo spettatore: nascosti nell'ombra, i persecutori reggono tutti una baionetta e vestono colbacchi neri e pesanti pastrani. Nel raffigurare i soldati di spalla, nascondendone pertanto i volti, Goya dà vita a una vera e propria «macchina di distruzione», rigida, violenta e disumana, che sembra quasi esser composta da anonimi automi programmati per uccidere. Senza interferire con l'intensità dell'evento, inoltre, sullo sfondo si profilano un colle arido ed il paesaggio urbano di Madrid: fra questi è presente una folla inferocita con torce, forse costituita da spettatori, forse composta da altri carnefici o condannati. La prospettiva lineare non è presente, essendo la scena ambientata all'aperto. La profondità è resa dalla differente luminosità dei vari piani e dalla disposizione dei soldati. È possibile che il 3 maggio 1808 facesse parte di una serie composta da altri tre quadri, tutti incentrati sulla rivolta del due di maggio. Mentre il secondo dipinto, Il 2 maggio 1808, è tuttora conservato al Museo del Prado, gli altri due sono scomparsi in circostanze misteriose, che potrebbero indicare il malcontento scaturito dal raffigurare l'insurrezione.