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Totalitarismo - riassunto 13 capitolo - Le questioni dell'età
contemporanea
Sociologia della cultura (Università degli Studi di Catania)
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13° CAPITOLO: IL TOTALITARISMO
Il totalitarismo è un idealtipo che descrive in forma astratta e generale i caratteri di una formazione politica
la cui natura è tratta dall’osservazione di alcuni concreti regimi politici formatisi in Europa nel corso del 20°
secolo: il comunismo e il nazismo.
Uno degli aspetti fondamentali del regime totalitario è il suo differenziarsi tanto dalle democrazie
pluralistiche ma anche dai regimi autoritari.  si differenzia da entrambe queste tipologie, poiché in un
regime totalitario gli attori politici dominanti si impongono come gli unici soggetti dotati di una sovranità
legittima.
In un sistema totalitario il leader e il partito dominante vogliono plasmare la società secondo i propri ideali
imponendo il loro dominio sulla vita pubblica e privata: il regime esprime la “vera” volontà delle masse,
esibendo solo apparentemente ambizioni “democratiche”.  In questo contesto in cittadini vengono più
considerati come “sudditi”.
Ogni regime totalitario vuole essere considerato anche come un fenomeno di rottura, o addirittura un
fenomeno socialmente e politicamente “rivoluzionario”. E per realizzare questa trasformazione
profonda della società, i leader del sistema totalitario sono pronti ad usare anche la violenza e il terrore sui
cittadini/ sudditi.
DEMOCRAZIE PLURALISTE  Pluralismo dei partiti, delle opinioni e delle organizzazioni sociali  cittadini.
REGIMI AUTORITARI  Potere di un solo partito o leader che però in forma minima tollera altri partiti o
istituzioni autonome (Chiesa).  cittadini.
REGIMI TOTALITARI  Non esistono altri partiti oltre quello dominante. Nessuna tolleranza verso qualsiasi
forma di avversione al regime  Sudditi.
La prima formulazione del concetto di totalitarismo risale ad alcuni scritti antifascisti tra il 1923 e il 1926.
Il primo fronte di critica è l’impianto antipluralistico del fascismo, secondo GIOVANNI AMENDOLA: Lo
spirito “totalitario” non consente di vivere liberamente né la vita pubblica né quella privata, poiché
entrambe sono condizionate da atteggiamenti e azioni quotidiane imposte dal regime.
Mussolini fa proprio questo termine, nato per denigrare un progetto politico, e lo utilizza per indicare che il
fascismo è totalitario perché è sintesi e unità di ogni valore, e sviluppa e potenzia tutta la vita di un popolo
perché tutto è nello Stato.  Il termine viene usato anche in Germania, con l’avvento del nazismo, e in
Unione Sovietica, per il comunismo.
Il paragone tra questi tre regimi inizialmente viene preso con riluttanza, per poi essere accettato sempre di
più con il patto Molotov-Ribbentrop (1939).
Tuttavia, il concetto di totalitarismo viene limitato nel caso sovietico in quanto l’Urss finisce per partecipare
alla guerra antinazista. Il concetto entra definitivamente nei discorsi pubblici dell’ambiente sovietico con la
caduta dei regimi fascista e nazista e l’inizio della guerra fredda.
HANNAH ARENDT
Durante il regime nazista in Germania sono molti gli intellettuali costretti a fuggire per la loro confessione
ebraica, tra questi Hannah Arendt che, nella sua opera, descrive gli aspetti comuni di formazioni storiche
nuove, complesse e diverse l’una dall’altra: il nazismo e il comunismo (il fascismo è escluso perché lo
considera una forma di dittatura e non un regime totalitario).
Nazismo e comunismo hanno un’essenza di matrice comune, e differiscono solo per aspetti marginali.
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Secondo la Arendt il totalitarismo è una morfologia socio-politica dotata di una sua profondità storica che
parte dalla crisi compresa tra la 1° guerra mondiale e il crollo economico dei primi anni 30, ma che si
proietta già nella storia dell’800 tedesco ed europeo.
L’analisi compiuta dalla Arendt si muove su un doppio piano, storico e tipologico: da un lato rintraccia le
origini del totalitarismo nella nascita del moderno antisemitismo biologico e nell’imperialismo; dall’altro
analizza le origini e la struttura dei movimenti e dei regimi totalitari.
Questa nuova forma di antisemitismo ha più di un punto in comune con le culture e le pratiche
dell’imperialismo: questa ideologia distingue i gruppi umani di razze superiori ed inferiori, esattamente
come durante l’imperialismo si distingueva tra gli europei che andavano a colonizzare e le popolazioni
extraeuropee dominate.  Per mantenere questo senso di superiorità si ricorre all’oppressione, alla
repressione e alla violenza verso quelle popolazioni che vanno “civilizzate” secondo i canoni occidentali.
ESEMPIO: Lo stesso campo di concentramento nasce prima dell’esperienza nazista e staliniana, e risale al
tempo delle guerre inglesi contro i boeri in Sud Africa (1880-1902).
Sia per il nazismo che per il comunismo è fondamentale la capacità di mobilitare masse di individui
duramente sfinite dalle situazioni economiche, sociali e politiche tremendamente difficili.
L’ideologia comunista si fonda sull’idea di lotta di classe promossa dal movimento socialista europeo;
l’ideologia nazista si fonda sull’idea della competizione tra razze nata dal nuovo razzismo biologico
formatosi nel tardo XIX secolo.  Ognuna di questa ideologia portano con sé 3 fondamentali componenti:
1- offrono spiegazioni integrali del passato, del presente e del futuro delle rispettive società, se non
addirittura dell’intera umanità.
2- tendono a diventare indipendenti dalla realtà dei fatti e dall’esperienza concreta, cercando di piegarla ai
propri principi.
3- Sono guidate da una forte logica deduttiva, che dipende dalla realtà che viene negata se non rispecchia la
visione ideologica dominante o inglobata se invece la rispecchia: se la realtà va in contrasto con la visione
ideologia, i regimi totalitari usano la tattica del “complotto” da smascherare e punire.
Anche la struttura istituzionale di questi regimi è molto simile: in primo luogo abbiamo l’assoluta centralità
del capo che ha poteri assoluti e in secondo luogo vi è il ricorso sistematico ad una violenza di tipo nuovo: è
una violenza contro la stessa società che il movimento/regime totalitario vuole dominare, una violenza
permanente volta a suscitare un terrore che induca tutti a piegarsi alla volontà del partito dominante e del
suo capo.
La realizzazione del terrore permanente ha bisogno dell’individuazione di un “nemico oggettivo” che
possiede una qualche caratteristica, definita dal potere totalitario stesso, che va combattuta: una volta
distrutto il nemico oggettivo ne vengono creati di nuovi affinché il regime totalitario abbia motivo
d’esistere anche dopo la scomparsa di quello primordiale che lo ha fatto nascere ed instaurare Il regime
totalitario diventa quindi un movimento la cui avanzata incontra sempre nuovi ostacoli che devono essere
eliminati (ESEMPIO = Hitler dopo lo sterminio degli ebrei aveva già programmato lo sterminio del popolo
polacco e di quelle categorie di tedeschi, malati mentali e handicappati, considerati inutili al progresso della
società).
- Coloro che vengono risparmiati da questo sistema sono spinti da una pulsione irrefrenabile a conformarsi
alle condotte volute dal potere totalitario per non essere in futuro considerati come nemici interni.
- Viene annullata totalmente la volontà dell’individuo che è portato a spezzare anche legami sociali pur di
salvarsi ed evitare la “colpa per associazione” perché un loro amico viene accusato di qualcosa dal regime.
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L’apoteosi del sistema viene realizzata nella costruzione del sistema dei campi di concentramento, in cui il
sistema totalitario ha piena libertà d’azione e può astenersi da qualsiasi giurisdizione  Ed è proprio lì che
gli uomini perdono totalmente la loro identità e umanità, dove vengono cancellati dalla memoria e dal
mondo.
…………………………………………………………….
Nel corso del 20° secolo sono molti gli studi che affrontano la questione dei regimi totalitari.
Nei lavori che praticano il metodo genealogico, l’attenzione si concentra soprattutto sul ruolo delle
elaborazioni concettuali  Sono due le interpretazioni principali che si confrontano:
1- una attribuisce la nascita del pensiero totalitario a modelli di filosofia politica 800esca.
2- l’altra colloca invece in aspetti diversi del pensiero illuminista le origini dei paradigmi concettuali
che alimentano le esperienze totalitarie contemporanee.
POPPER
Nel 1945, il filosofo Karl Popper si concentra sulla teoria politica elaborata da Platone, e sul pensiero di
Hegel e Marx.
Nel loro pensiero Popper trova due elementi concettualmente “tossici”:

L’UTOPISMO, ovvero l’identificazione di una società ideale alla quale la realtà dovrebbe
uniformarsi.

LO STORICISMO, ovvero l’idea di uno svolgimento necessario della storia della società determinato
da principi immanenti.
Ad esse Popper contrappone la società aperta, ovvero la moderna democrazia liberale fondata sul
pluralismo e sul confronto delle idee, sulla centralità della rappresentanza, sulla prevalenza degli organi
legislativi su quelli esecutivi.
ADORNO ED HORKHEIMER
Diversa è l’interpretazione di Horkheimer e Adorno, il cui oggetto di riflessione non è solo il totalitarismo o
il nazismo, ma anche la decadenza della contemporanea società occidentale nel suo complesso.
Paradossalmente, in questa epoca di progresso tecnico ed economico vissuta dall’Occidente vi è anche una
terribile involuzione politico-culturale, connotata da una limitazione progressiva dell’autonomia critica e
della libertà politica dei singoli individui: le loro strutture cognitive sono indebolite perché vittime
dell’incantesimo del benessere e del consumo.
Alla base del pensiero illuminista moderno sta l’idea di poter dominare pienamente le forze della natura,
liberandosi così dagli incantesimi della fede e del mito in modo da aprire la strada verso un inarrestabile
progresso.  Il raggiungimento di questo obiettivo ha delle conseguenze: quella principale è il dominio
dell’uomo sull’uomo.
Questa dinamica trova molteplici espressioni:
- può essere tradotta nelle modalità di produzione industriale, nello sfruttamento dei produttori, nella
mercificazione dell’arte e della cultura, che favorisce un impoverimento intellettuale delle masse.
- sollecita l’identificazione di capri espiatori collettivi (gli ebrei), la cui oppressione deve dare alle masse
l’illusione di essere dalla parte giusta del processo (fra gli sfruttatori e i dominatori).
TALMON
Anche lo storico israeliano Talmon ritiene che le radici del male totalitario debbano essere investigate a
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partire dalla filosofia illuminista.
Tuttavia, a differenza di Horkheimer e Adorno, Talmon si concentra di più sull’esito comunista del pensiero
illuminista.
Inoltre, il suo riferimento all’illuminismo non è generico come quello dei suoi predecessori, ma si concentra
su Jean-Jacques Rousseau e alla sua idea di un sistema politico monista legittimato solo da un’unica
collettiva “volontà generale”.  Ma questa “volontà generale” da cui nascono tutti gli organismi
istituzionali di una nuova società politica, non ammette alcuna divergenza o contrasto nei confronti della
maggioranza che esprime questa unica volontà generale.  Percorsi concettuali come questi fondano
l’idea di una possibile società politica appoggiata ad un monismo della maggioranza che non tollera alcuna
dialettica politica.
Lo studio di Talmon è un tentativo di dimostrare che accanto alla democrazia di tipo liberale nel 18° secolo
sorse dalle stesse premesse una tendenza al totalitarismo.
La differenza essenziale tra le due correnti di pensiero democratico (liberale e messianico-totalitaria)
consiste nella loro diversa posizione rispetto alla politica:
-
Il pensiero liberale sostiene che la politica procede per tentativi ed errori, e considera i sistemi
politici espedienti pragmatici ideati della mente e dalla libertà dell’uomo.
-
Inoltre, vi è una varietà di livelli nelle capacità individuali e collettive al di fuori della sfera politica.
Il pensiero totalitario si basa sull’affermazione di una sola e assoluta verità politica: è definito
messianismo politico poiché postula un insieme di cose preordinato, armonio e perfetto, verso il
quale gli uomini sono spinti e al quale devono necessariamente giungere per riconoscere un solo
piano di esistenza, la politica.
BRZEZINSKI E ZBIGNIEW
Zbigniew K. Brzeziński non usano un approccio genealogico nello studio dei totalitarismi.
Essi prediligono una prospettiva sistematica, influenzata dal funzionalismo: vogliono costruire una
definizione “modulare” dei sistemi politici totalitari, di cui individuano singole componenti costitutive,
considerate inseparabili le une dalle altre.
Gli elementi fondamentali della tipologia di questi due studiosi sono:
1)un sistema ideologico articolato in un corpus di dottrine che affrontano tutti gli aspetti fondamentali
dell’esistenza  Il presupposto necessario per questa ideologia totalitaria è la prefigurazione di una società
nuova e perfettamente coerente con i principi ideali che animano il regime (società senza classi, purezza
della razza): questa dimensione utopica è l’obiettivo che il regime si prefigge di raggiungere;
2) un partito unico, guidato da un solo capo, articolato in una ristretta area di militanti fedeli e convinti che
organizza tutto il resto della popolazione in organizzazioni o associazioni dipendenti dal partito. La struttura
interna del partito è gerarchica e le sue articolazioni direttive si intrecciano o sovrappongono alla
burocrazia e alle istituzioni dello Stato;
3) il sistematico ricorso al terrore attraverso le polizie segrete autorizzare alla coercizione fisica e
psicologica Il terrore colpisce sia gli avversari del regime sia gruppi che appartengono alla comunità
politica sulla base di caratteristiche specifiche;
4) il completo controllo di tutti i mezzi di comunicazione di massa.
5) il completo controllo di tutte le attività produttive.
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La tipologia di Friedrich e Brzeziński ha il vantaggio di essere facilmente applicabile, ma ha una grave
debolezza: l’idea di immodificabilità di un regime totalitario che, secondo i due studiosi, può cadere solo ad
opera di un intervento esterno.
Questo modello si adatta bene al nazismo tedesco, ma non allo stalinismo.
La trasformazione interna al regime sovietico, che dopo la morte di Stalin attenua il ricorso al terrore come
strumento di governo, lo porta ad assumere i caratteri di un tradizionale autoritarismo.
Questa evoluzione storica dell’Urss comporta una crisi della teoria del totalitarismo di Friedrich-Brzeziński
tanto che dagli anni 60 del 20° secolo viene considerata definitivamente superata e soprattutto non
applicabile ai fenomeni politici più importanti degli ultimi 40 anni del 900.
Tra gli storici il concetto resta al centro di sperimentazioni e di lavori di ricerca.
BERLIN E STERNHELL
Gli storici Berlin e Sternhell, prendendo spunto dalla declinazione genealogica di questa teoria, hanno
ricondotto le origini dei fascismi europei alla reazione anti-illuministica che ha avuto origine nella cultura
politica europea del romanticismo primo-ottocentesco.
Nelle rivisitazioni del metodo genealogico, la ricostruzione storica di lungo periodo sembra prestarsi ad
analisi che danno conto solo di una delle manifestazioni del totalitarismo contemporaneo, ma non del
fenomeno nel suo complesso.
Anche nella sua declinazione modellistica, la teoria del totalitarismo ha continuato a offrire stimoli per
l’analisi empirica di nazismo e comunismo, indagando sulle convergenze e divergenze nelle dinamiche
politiche e nei rapporti di dominazione praticati dai due regimi.
Per quanto riguarda il regime nazista, sin dagli studi di Mosse, gli storici hanno posto l’accento anche sugli
elementi comunicativi, rituali e simbolici che contribuiscono alla costruzione del consenso sul regime di
Hitler, al cui interno la violenza è una delle componenti predominanti.
L’idea dell’imprevedibilità della violenza totalitaria (Arendt) può essere applicata per lo più al regime
sovietico, poiché per il caso nazista ogni soggetto tedesco-ariano è al sicuro essendo tale, a meno che non
si metta a contrastare il regime o appartenga a quelle categorie di persone considerate inutili al sistema
(malati mentali, omosessuali, handicappati).
Il meccanismo di aggressione attivato dal nazismo è molto prevedibile e discriminatorio: per questo suscita
un sentimento di sicurezza in chi appartiene al gruppo dominante e le aggressioni verso i “diversi” non
suscita orrore ma un’ulteriore rassicurazione e consenso verso il regime.
ACQUARONE
Il fascismo italiano ha rappresentato un modello per il nazismo, ed entrambi hanno ispirato altri paesi,
(come Spagna e Portogallo) a creare dei regimi di estrema destra o governi collaborazionisti come la Francia
di Vichy, i regimi ungheresi e romeni.
Nel 1965, lo storico Alberto Acquarone ha ricostruito le trasformazioni istituzionali attraversate dallo Stato
italiano dal successo del fascismo alla piena instaurazione del regime.
Secondo Acquarone, il tentativo del fascismo-regime di costruire un regime totalitario è del tutto
fallimentare poiché sono presenti delle lacune: l’autonomia dell’istituzione monarchica e della Chiesa
cattolica, ma soprattutto la mancanza di organizzazioni efficienti che sostengano la struttura partitica del
regime e la fascistizzazione della società italiana.
COLLOTTI
Anche Enzo Collotti, anni dopo, non riesce a collocare il fascismo in mezzo ai regimi totalitari, ma propone
una nuova interpretazione basata sull’individuazione di una serie di caratteristiche comuni ai diversi
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autoritarismi di destra (nazismo compreso) che si formano in Europa nella prima metà del XX secolo: rifiuto
del meccanismo democratico parlamentare, l’opposizione forte al movimento operaio, la gerarchizzazione
della società e dello Stato che si concentra sul leader carismatico, l’inclinazione imperialista e la
massificazione militare della società civile.
Collotti, infatti, per definire questi regimi non usa il termine “totalitarismi” ma li considera “fascismi”,
termine che racchiude tutti i fenomeni che vanno dal fascismo italiano e dal nazismo tedesco all’austrofascismo, al franchismo e ai regimi collaborazionisti.
DE FELICE
Diversa è la posizione di Renzo De Felice, secondo cui alla metà degli anni 30 viene attuato un processo di
“progressiva totalitarizzazione” del regime fascista che, sebbene non sia stato portato a termine, ne
caratterizza l’esperienza per due aspetti:
1) la centralità della figura del capo (molto più accentuata nel fascismo che in altri regimi).
2) il dominio della politica economica (soprattutto dopo il 1929, che avvicina il fascismo agli altri due regimi
totalitari).
Ma non si devono però trascurare le differenze strutturali tra il fascismo e gli altri totalitarismi, tra le quali il
diverso uso politico della violenza: il regime fascista non faceva ricorso sistematico al terrore di massa come
gli altri due, e probabilmente per questo non riuscì mai a realizzare nessuno degli aspetti caratterizzanti un
regime totalitario vero e proprio.
GENTILE
Emilio Gentile, invece, non ha nessun dubbio nell’inserire il fascismo tra i regimi totalitari.
Gentile sostiene che il fascismo fu un esperimento politico nuovo generato dai conflitti della moderna
società di massa.
Due caratteristiche fondamentali gli appartengono:
1- il fascismo è stato il primo movimento a creare una religione politica, un pensiero mitico al potere.
2- il fascismo è stato il primo partito milizia a conquistare il potere in una democrazia liberale europea
con l’obiettivo dichiarato di distruggerla per affermare il primato della politica su ogni altro aspetto
della vita pubblica e privata.
Propaganda del mito, azione violenta delle milizie, ruolo centrale del duce, intolleranza ad opinione diverse
da quelle fasciste, sono tutti elementi che portano a considerare il fascismo come una variante del
totalitarismo contemporaneo.
Bisogna considerare però che il fascismo ha anche come peculiarità il contrasto interno tra fascismo
autoritario e fascismo totalitario: il primo considerava il sistema realizzato fra il 1925 e il 1929 come uno
Stato definitivo e compiuto; il secondo invece lo considerava come un primo stadio verso la costruzione di
uno Stato integralmente fascista.
Gentile ritiene che la spinta totalitaria sia quella dominate, soprattutto a partire dalla seconda metà degli
anni 30.  Il fascismo, secondo lo storico, è stato storicamente l’unico dei regimi a partito unico del 20°
secolo che si è autodefinito come Stato totalitario, riferendosi con ciò alla sua concezione della politica e al
suo regime di tipo nuovo.
Ai suoi predecessori che consideravano un impedimento al compimento del totalitarismo la presenza della
monarchia e l’autonomia della Chiesa cattolica, Gentile risponde che certamente queste, come la tensione
interna, sono cause che hanno contrastato il processo totalitario ma che questo non ha impedito al
fascismo di realizzarlo, anche solo in parte.
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Ne è l’esempio la presenza di una religione fascista nonostante il Concordato con la Chiesa, e il fatto che
nonostante, la presenza del re, era Mussolini ad avere il pieno controllo e i pieni poteri dello Stato in
quanto Duce.
Tanto che Gentile “attacca” l’esclusione del fascismo dai totalitarismi della Arendt, affermando che
probabilmente la storica non ne aveva abbastanza di conoscenza sull’argomento.  Inoltre escludere il
fascismo solo per un uso più limitato della violenza non è una cosa considerabile, in quanto il regime
fascista ha preferito usare altre misure di controllo dello Stato anziché il terrore degli altri regimi.
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