Bologna
e il cibo
Percorsi archivistici
nel Medioevo della “Grassa”
a cura di
Antonella Campanini
A cura di: Antonella Campanini
Testi di: Antonella Campanini, Giulia Cò, Elisa Erioli, Daniele
Ognibene, Francesca Pucci Donati, Rossella Rinaldi
Progetto grafico e impaginazione: Francesco Perona
Finito di stampare nel mese di novembre 2016
da
Grafica Veneta S.p.a., Trebaseleghe (Pd)
Slow Food® Editore © 2016
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www.unisg.it
ISBN 9788884994899
Indice
Il cibo a Bologna: percorsi archivistici
Antonella Campanini
Bologna “la grassa”: la fortuna di un mito
Il cibo e le fonti archivistiche
Ricerche d’archivio sul cibo a Bologna: lo stato dell’arte
Prospettive
Bibliografia
Crisi, carestie e fonti fiscali: il caso di Bologna
tra Duecento e inizio Trecento
Elisa Erioli
Identificare la crisi: alcune premesse
Fonti: cronache bolognesi tra XIII e XIV secolo
Fonti: estimi cittadini e del contado
Le crisi a Bologna e nel panorama italiano ed europeo
L’andamento demografico di Bologna e del suo contado
Crisi e carestia
Clima e crisi
Crisi e andamento demografico
Il territorio bolognese tra Duecento e inizio Trecento:
alcune considerazioni finali
Bibliografia
Prima della tavola il viaggio: vie di uomini e di cibo
dal registro di Nello di ser Bartolomeo (1391-1392)
Daniele Ognibene
Introduzione
Le difficoltà: sciogliere il gomitolo degli affari
9
11
13
16
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26
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33
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64
73
75
76
Le potenzialità: il tempo e il denaro
I prodotti alimentari nel registro di Nello di ser Bartolomeo
Bibliografia
Qualità sul pubblico mercato (secc. XIII-XVI)
Antonella Campanini
Introduzione
Gli indispensabili: garantire l’abbondanza e tutelare la salute
Contro i commercianti disonesti
Qualità dell’ambiente
Prodotti buoni, prodotti migliori, prodotti d’eccellenza
Conclusione: la varietà come fattore qualitativo
Bibliografia
Nutrirsi nel convento: i consumi alimentari dei domenicani
di Bologna secondo due registri di spese (1331-1357)
Giulia Cò
Bibliografia
Consumi e ospitalità in una città di mercati
dal Duecento al Quattrocento
Francesca Pucci Donati e Rossella Rinaldi
Nella rete delle istituzioni (Rossella Rinaldi)
La Luna e il Leone. L’attività di due taverne a Bologna
nel Quattrocento (Francesca Pucci Donati)
Bibliografia
La tavola disciplinata: regolare i banchetti cittadini
(secc. XIII-XVI)
Antonella Campanini
81
89
95
99
101
105
109
111
113
119
121
127
156
163
165
178
198
207
Il lusso a tavola e la sua moderazione
209
Leggi suntuarie e banchetti a Bologna: prima fase (1288-1401) 211
Leggi suntuarie e banchetti a Bologna: seconda fase (sec. XVI) 215
Le ragioni del disciplinamento dei banchetti (e della sua difficoltà) 222
L’applicazione della legge
226
Conclusione
229
Bibliografia
230
Gli autori
235
Prima della tavola
il viaggio: vie di uomini
e di cibo dal registro di
Nello di ser Bartolomeo
(1391-1392)
Daniele Ognibene
Prima della tavola il viaggio - 75
Introduzione
Nel vasto panorama delle fonti archivistiche tardo-medievali
di natura economica utili allo studio della storia dell’alimentazione, lo spazio che finora è stato riservato ai registri dei dazi non
è particolarmente ampio. Le cause, seppur molteplici, possono
derivare da due particolari fattori, sui quali avrò modo di tornare
nel prossimo paragrafo: in primo luogo la difficoltà che si cela
dietro alla loro apparente semplicità di analisi, in secondo luogo la forma testuale, schematica e sintetica, con cui sono scritti,
tipica di oggetti aventi un carattere principalmente burocratico.
Questi ostacoli non impediscono di approfondire le ricerche
sui registri dei dazi – anzi, semmai stuzzicano l’appetito dello
storico proprio in virtù della loro complessità – e spesso diventano meno insormontabili di quanto fossero all’apparenza,
grazie alla possibilità di collegare documenti come questi a una
vastissima gamma di fonti di carattere economico a essi vicine.
È infatti evidente che dietro a un semplice registro dei dazi,
che a un occhio superficiale potrebbe apparire come un insieme
di cifre e materiali appena elencati, si nasconde un ginepraio di
accordi commerciali, di strade, di costi del trasporto, di vie di comunicazione terrestri e marittime; insomma, in una parola, un
76 - Bologna e il cibo
network economico complesso, al cui interno risiedono problematiche diverse che, nella mente del mercante del basso Medioevo – il
vero self made man del tempo1 – erano di primaria importanza per
riuscire ad assicurarsi affari sicuri e, possibilmente, fruttuosi.
Presso l’Archivio di Stato di Bologna sono conservati un
buon numero di registri dei dazi della città, in grado di coprire un arco cronologico molto soddisfacente e senza troppe lacune, dal 1388 al 1409, esattamente ventidue anni. La
struttura di questi documenti è, da un punto di vista formale,
identica – e sarà descritta nel prossimo paragrafo –, tuttavia si
possono dividere in due macro-categorie: da una parte i cosiddetti Universalia, ovvero registri al cui interno è presente
l’attività di diversi mercanti, dall’altra i registri nominali, che
si specializzano sulle operazioni commerciali di un singolo
individuo. In particolare è su quest’ultima categoria che sarà
incentrato questo elaborato, e più precisamente sul registro
di Nello di ser Bartolomeo2, mercante fiorentino trapiantato
a Bologna con la sua famiglia e partner di uno dei più importanti mercanti del tardo Medioevo: Francesco Datini di Prato.
In questo mio contributo cercherò di mettere su due virtuali piatti della bilancia le difficoltà che si riscontrano nell’analizzare fonti di questo genere, ma soprattutto le potenzialità che i registri dei dazi della città di Bologna nascondono
al loro interno per conoscere, tramite un’inedita lente d’ingrandimento, quale fosse la domanda sul mercato di alcune
derrate alimentari su una tratta, come si vedrà a breve, che
nel periodo preso in esame era più importante di quanto si
possa immaginare.
Le difficoltà: sciogliere il gomitolo degli affari
Un ginepraio di traffici. Ecco come potrebbero essere descritti in maniera molto sintetica i registri dei dazi presenti in
1. Le Goff J., L’uomo medievale, p. 24.
2. AS BO, Camera del Comune, Soprastanti, Depositari e Conduttori dei
dazi, XXIII/93, reg. anno 1391 (d’ora in avanti Registro di Nello di ser Bartolomeo).
Prima della tavola il viaggio - 77
Archivio di Stato a Bologna. All’apparenza però non è così.
Come ho anticipato precedentemente, da un punto di vista formale questi documenti sono scritti in maniera estremamente
sintetica e schematica; dunque, a uno sguardo superficiale, le
informazioni che si possono trarre appaiono troppo generali e
poco approfondite per poter trarre conclusioni di più ampio
respiro. In effetti, i dati che riportavano gli agenti del dazio della
città di Bologna erano piuttosto concisi, privi cioè di quel descrittivismo più particolareggiato che invece è possibile trovare
in altre fonti di carattere economico, quali i quaderni di spesa,
nei quali molto spesso viene declinata anche la qualità del cibo
acquistato (emblematico il caso del registro dei domenicani
analizzato da Giulia Cò nel presente volume).
Un esempio può aiutare a comprendere meglio la struttura del testo: se prendiamo una delle tante spedizioni operate
da Nello di ser Bartolomeo all’interno del suo registro – e in
questo caso circa proprio una partita di zucchero, del 17 marzo 13913 – la trascrizione risulta essere la seguente:
Item mittit Florentiam VII barilos Marchi Tome Bartholi et
Lapazini Tonsi
L CCXXXVIIII
L CCXXXV habuit bullictam 18 marzii
L CCXXVII
L CCL
L CCXLIII
L CCXLV
L CCXXII
habuit bullictam 18 marzii
zuchari et
pulveris zuchari
946
habuit bullictam 23 marzii
Come si può vedere, sono diverse le informazioni raccolte
dagli agenti del dazio e riguardano in maniera specifica due elementi: da una parte i mercanti che compiono l’atto di spedire
lo zucchero, dall’altra la merce che esce da Bologna e la sua
destinazione.
3. Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 3v.
78 - Bologna e il cibo
Così, nella formula introduttiva posta in alto, compaiono
il nome di Nello – in questo caso indicato dall’avverbio item,
poiché il nome completo è riportato solo nella prima spedizione del registro, risalente al 3 marzo 1391 –, la destinazione, il
quantitativo e la tipologia di contenitori in cui è riposta la merce
e, infine, il nome del mercante che possiede materialmente lo
zucchero e che lo ha spedito a Bologna, affinché Nello gli consentisse di proseguire il viaggio.
Successivamente sono segnati con estrema precisione i pesi
dei succitati sette barili (espressi in libbre), divisi da una serie
di segmenti – qui trascritti con una linea – che separano i contenitori in diverse sezioni: in questo caso tre, ma possono essere
anche di più o non esserci affatto. Al lato di ogni gruppo vi è poi
l’indicazione della data in cui Nello ha pagato la bullicta, ovvero
la tassa per poter far uscire le merci dalla città di Bologna. Infine, a lato, è indicato il peso complessivo della merce o, come in
questo caso, quello di una particolare sezione4.
Gli elementi su cui riflettere sicuramente non mancano: se
da una parte infatti i dati segnalati sono essenziali, dall’altra si
può fare affidamento su una precisione estremamente elevata,
la quale fa in modo che si possano trarre statistiche molto precise su quali e quante fossero le derrate alimentari che, nel periodo preso in esame, uscivano dalla città di Bologna.
Tuttavia, sorge un problema, che fa apparire i registri dei
dazi come una sorta di “spada a doppio taglio”: se da una parte offrono informazioni chiare e matematicamente corrette,
dall’altra non danno la possibilità di conoscere in maniera più
approfondita elementi di grande importanza, alcuni dei quali
già ricordati precedentemente: la tipologia dei cibi, la loro provenienza e il loro mercato di riferimento.
Senza queste ultime indicazioni si direbbe che le conclusioni
formulabili dall’analisi di queste fonti siano incomplete e, benché possano fornire aspetti su cui vale senz’ombra di dubbio la
pena riflettere, lascino una punta di amaro in bocca piuttosto fastidiosa, che ricorda quasi il supplizio di Tantalo: ci si avvicina
4. In questo caso – evento raro all’interno del registro – la somma è errata, in quanto il peso totale non è di 946 libbre, bensì di 965.
Prima della tavola il viaggio - 79
alla meta ma non la si può afferrare completamente. Oltre alla già
ricordata generalizzazione con cui vengono descritte le derrate
alimentari, va aggiunta anche quella riservata alle destinazioni
di queste merci. All’interno del registro di Nello, l’unica informazione che viene segnalata dagli agenti del dazio è il nome delle
città di destinazione che, in particolare per le derrate alimentari,
erano due: Firenze e Ferrara. Mancano completamente informazioni aggiuntive, come ad esempio a chi fosse destinata la merce,
se questa si sarebbe poi fermata o se avrebbe continuato il viaggio, se fra la partenza e l’arrivo fossero previste piccole tappe per
consegnare parte del carico a mercati locali o se invece quest’ultimo sarebbe arrivato a destinazione nella stessa quantità di partenza. Sono del tutto assenti inoltre i nomi dei vetturali che trasportavano la merce, indizio molto utile, sfruttato ampiamente
in studi del settore per ricostruire il loro tragitto e poter attingere
alle cosiddette “lettere di vettura”, emesse dallo speditore e contenenti il nome del vetturale, il quantitativo della merce, il peso e
il numero dei colli nonché il prezzo del trasporto stesso5.
Riassumendo, quello che manca nella pura e semplice analisi
dei registri è un trait d’union manifesto, tangibile, che leghi le
informazioni presenti e dia la possibilità di interpretarle in un
orizzonte più vasto. Tuttavia l’apparenza, come è noto, inganna.
Vi sono infatti numerosi indizi che permettono di scavare all’interno di questi documenti e nel complesso sistema di trasporti
e di traffici che si cela alle loro spalle, a partire dall’incarico di
Nello. In primo luogo va notato che egli non riveste mai il ruolo
di solista per quanto riguarda il commercio delle derrate alimentari, ma è sempre accompagnato dal nome di un altro mercante,
il quale è, a tutti gli effetti, il proprietario materiale della merce
spedita. Più che un mercante in proprio Nello è, in questo caso,
un intermediario, col compito di ricevere le mercanzie e poi smistarle verso altre direzioni secondo precise direttive, come suggeriscono documenti coevi conservati presso l’Archivio di Stato
di Prato. Ad esempio, in una lettera del 28 agosto 1392, Zanobi
di Taddeo Gaddi, storico partner datiniano operante sulla piazza
5. Melis F., Documenti per la storia economica, pp. 35-36.
80 - Bologna e il cibo
di Venezia e personaggio molto vicino anche a Nello e alla sua
famiglia6, scrive a Francesco Datini per informarlo di aver inviato a Nello quattro balloni di panni, affinché «ne facesse vostra
volontà»7. Tuttavia, il suo lavoro non sembra limitarsi a una passiva azione meccanica di ricezione e spedizione delle mercanzie
ma, al contrario, si tratta di un’attiva gestione delle stesse. Nel
registro infatti non sono rari i casi in cui Nello riduce un contenitore evidentemente troppo pesante in un numero variabile di
contenitori più piccoli, in modo da facilitarne il trasporto. Allo
stesso modo va sottolineato che molto spesso il pagamento della
bolletta non avviene nello stesso giorno, ma in diversi momenti.
È difficile, allo stato attuale delle ricerche, capire se il pagamento
sia diversificato perché la merce non veniva spedita nello stesso
momento – e dunque, in questo caso, Nello avrebbe un ruolo importante nella decisione delle modalità con cui inviare la mercanzia che riceveva – o per motivi di diversa natura. La questione è
aperta ma, non rientrando all’interno della tematica che questo
contributo vuole approfondire, non mi dilungherò oltre; tuttavia
è ugualmente importante sottolineare che Nello partecipava attivamente nella scelta delle modalità con cui inviare la merce fuori
da Bologna. D’altro canto, come già notato precedentemente, vi
sono numerosi documenti conservati presso l’Archivio di Stato di
Prato in cui compare il nome di Nello e altrettante lettere scritte da lui stesso e inviate a diversi membri delle sedi datiniane.
Sono testimonianze molto importanti, che danno un’idea di chi
fosse realmente Nello, uomo che lo stesso Datini ebbe modo di
elogiare in una famosa lettera scritta proprio a Bologna durante
il suo soggiorno nel XV secolo e inviata al suo socio Stoldo di
ser Berizio, nella quale il pratese – forse in maniera un po’ iperbolica, dovuta agli screzi che aveva con il compagno fiorentino
6. Ho iniziato alcune indagini sulla famiglia di Nello: tradizionalmente
considerato membro della famiglia Gherardini, i primi dati raccolti lo
collocherebbero, invece, all’interno di un’altra famiglia, ben inserita nella rete di traffici datiniani. Non è questa la sede per un approfondimento;
ho menzionato il fatto semplicemente per sottolineare che Nello faceva
parte di una rete commerciale di ampio respiro, che abbracciava i traffici
peninsulari e internazionali dell’azienda di Datini.
7. Melis F., Documenti per la storia economica, pp. 246-247.
Prima della tavola il viaggio - 81
– sostiene che Nello fosse riuscito a fare «più chose in un anno
che tu in tre»8, con capacità e talento eccezionali, quasi – mi si
perdoni il paragone – da “sogno americano” ante litteram, visto
che, sempre citando la lettera, «chon tre danari ànno fatto più
che noi cho’lle migliaia»9. Partendo da questo punto, si comincia
a intravedere quell’immaginario “gomitolo di affari” evocato nel
titolo del paragrafo, il quale è composto da una convergenza di
fattori che vedono Nello e la città di Bologna come parti di un
sistema più grande, fatto di relazioni, di ruoli e di interessi economici. All’interno di questo tessuto, che sussiste come substrato
delle semplici informazioni che offrono questi registri bolognesi,
pulsa un’attività mercantile molto viva e florida in cui le derrate alimentari svolgono, come ricordato in precedenza e come si
vedrà a breve, un ruolo estremamente importante. La chiave di
lettura, dunque, nonché le potenzialità di questi registri, soggiacciono dietro a questa rete e ai motivi che spinsero i mercanti a
investire proprio lì le loro risorse, consapevoli che sarebbe stata
un’ottima fonte di guadagno.
Le potenzialità: il tempo e il denaro
La fine del XIV secolo è nota come una fase estremamente
importante per la storia economica e per quella dei trasporti. La
graduale affermazione della cosiddetta discriminazione dei noli,
paragonata da Melis alla moderna invenzione del motore per il
ruolo chiave che ebbe nello sviluppo del commercio alla fine del
Medioevo10, incentivò chiaramente i mercanti a spedire quantitativi di merci molto più corposi rispetto ai periodi precedenti, in
cui il carico fiscale era più gravoso. Questo fenomeno infatti – per
spiegarlo brevemente – cambiava la modalità con cui venivano calcolati i noli navali per il trasporto delle merci. Se prima il costo era
calcolato ad quantitatem, alla fine del Trecento era la qualità di un
prodotto a determinarne il prezzo. In questo modo le merci pove8. Greci R., Mercanti, p. 234.
9. Ibidem.
10. Melis F., I trasporti, pp. 43-68.
82 - Bologna e il cibo
re non gravavano sui costi di trasporto ed era possibile ai mercanti
inviarne un quantitativo maggiore, in quanto poi, arrivate a destinazione, avrebbero garantito un guadagno sicuro. Anche le merci
ricche però beneficiarono di questo nuovo sistema, in quanto, nonostante il loro nolo fosse sempre alto, sarebbe stato ammortizzato una volta vendute grazie alle merci povere appena citate, che
viaggiavano in quantità maggiori. Questo fertile humus rinvigorì
notevolmente il mercato rendendo i mercanti capaci di rispondere in maniera adeguata alla domanda di determinati prodotti.
Per fare questo era necessario attivare un sistema di trasporti efficiente e sicuro, nonché remunerativo. Tuttavia, se da una parte si
poteva contare sulla discriminazione dei noli per quanto riguarda
i trasporti marittimi, dall’altra bisognava fronteggiare l’alto costo
del trasporto terrestre, soggetto a pesanti pedaggi, specialmente
in realtà politiche sfaccettate come quella della penisola italiana.
Inoltre, la preoccupazione di un mercante non riguardava soltanto il costo del viaggio, ma anche la sua sicurezza. A proposito di
questo va detto che il trasporto marittimo alla fine del XIV secolo,
nonostante tutte le evoluzioni tecnologiche a cui fu soggetto, restava un’incognita. Il problema del brigantaggio in mare era un dato
di fatto estremamente sentito e vi è un numero molto alto di lettere in cui lo spettro dei pirati compare più o meno esplicitamente.
Oltre a questo pericolo, a cui va affiancato quello atmosferico, che
poteva causare disastrosi naufragi, bisogna considerare che una
guerra fra due potenze navali – le quali normalmente offrono il
servizio di trasporto ai mercanti di città non marittime, come ad
esempio Firenze – poteva annullare quasi del tutto il passaggio di
navi in una determinata zona. Proprio a questo sembra riferirsi
Sandro Mazzetti, altro partner di Datini, quando scrive, nel 1385:
«Per simile udimmo del’armare fanno i genovesi e che si crede
chontro a’ chatalani, che se chosì sarà chome dite per questi mari
non si potrà mandare nulla. Piaciavi avisarne quello ne sentirete»11.
11. Frangioni L., “L’Italia centro-meridionale nel sistema datiniano”, p. 482.
Le guerre costituivano una problematica molto sentita anche via terra,
tuttavia molti vetturali erano estremamente abili nel cambiare percorso
quando una strada risultava essere inaccessibile, riuscendo spesso a non
interrompere i collegamenti tra le diverse città. Melis. F., I trasporti, p. 152.
Prima della tavola il viaggio - 83
Il trasporto terrestre poteva, al contrario, garantire una maggiore
sicurezza grazie a leggi comunali create appositamente per invogliare i mercanti a passare attraverso una determinata zona12: così
facendo, costoro avrebbero pagato il pedaggio, assicurando un’ulteriore entrata nelle casse del comune. I briganti agivano anche
via terra, questo è evidente, ma sicuramente era possibile cercare di arginare il fenomeno con leggi che tutelassero i vetturali e i
mercanti, cosa che, invece, in mare risultava estremamente difficile. Entrambe le soluzioni – quella terrestre e quella marittima
– avevano dunque due lati della medaglia con risvolti sia positivi
sia negativi. La soluzione migliore da adottare era quindi quella
di non limitare la propria rete di traffici a un solo tipo di trasporto
ma, al contrario, capillarizzarla e renderla il più versatile possibile,
creando una virtuosa complicità tra il “grande trasporto” e il “piccolo trasporto”13, tra quello marittimo – destinato a raggiungere
mete molto lontane – e quello terrestre – il quale poteva avanzare
nell’entroterra per arrivare a mercati che non si affacciavano sul
mare, oppure collegare due porti in maniera più rapida che attraverso l’uso di imbarcazioni. Il registro di Nello di ser Bartolomeo
e altri, anch’essi conservati in Archivio di Stato a Bologna, si inseriscono precisamente all’interno di questo contesto, ma con un
valore aggiunto, già anticipato in precedenza: fanno parte del medesimo tessuto commerciale, quello di Francesco Datini. Si tratta
di una delle compagnie più importanti della fine del XIV secolo,
ma anche di una realtà economica che è possibile studiare in maniera approfondita grazie alla grande quantità di documenti conservati presso l’Archivio Datini di Prato. Per penetrare all’interno
di questa realtà bisogna armarsi nuovamente di due informazioni
segnalate dagli agenti del dazio all’interno del registro di Nello: la
destinazione delle derrate alimentari e il nome del secondo mercante, possessore dei beni in movimento.
Gli ulteriori mercanti erano, come si può bene immaginare,
esattamente come Nello collaboratori di Francesco Datini con
12. Rimando agli studi fatti da Szabó riguardo alle politiche viarie nel
Medioevo. Szabó T., Comuni e politica, p. 125 e Szabó T., “Viabilità terrestre”.
13. Tucci U., “I trasporti”, pp. 454-455.
84 - Bologna e il cibo
sedi di lavoro diverse: alcuni operavano dove erano presenti dei
fondaci (come a Firenze e Pisa e, dal 1392, a Genova), altri invece
no, come ad esempio quelli che risiedevano a Venezia o lo stesso
Nello a Bologna.
Per ciò che concerne le derrate alimentari, quelli che compaiono con maggiore frequenza sono mercanti attivi sulle piazze
toscane, ma soprattutto su quella veneziana. A partire dal nome
del secondo mercante è stato possibile ricostruire il tragitto dei
cibi nella fase precedente l’arrivo a Bologna e – grazie ai tanti documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Prato, nonché al
cospicuo numero di studi sulla compagnia Datini – seguire in parte il viaggio una volta usciti dall’Emilia. Ciò che comincia a prendere forma da questa analisi è un tragitto che, nonostante fosse
già conosciuto grazie agli studi che Federigo Melis aveva compiuto in merito14, rivestiva una grande importanza all’interno della
strategia economica datiniana poiché collegava, attraverso una
tipologia di trasporto misto, sia fluviale sia terrestre, la sponda
adriatica con quella tirrenica. Partendo da Venezia, dove i collaboratori datiniani acquistavano le merci portate dalle mude della
repubblica, le mercanzie venivano poi direzionate verso Bologna
che, allora come oggi, rivestiva un importante ruolo di snodo
commerciale, per poi essere spedite verso Firenze grazie alla collaborazione di mercanti come Nello.
Sarebbe limitante pensare che la grande quantità di derrate
alimentari presenti già in un solo registro come quello di Nello –
che copre a malapena un anno e mezzo – fossero destinate a un
consumo locale. Basti pensare ad esempio allo zucchero, che
registra una mole estremamente elevata, pari a circa 37000 libbre, equivalenti più o meno a undici tonnellate e mezzo secondo il sistema metrico odierno. Una cifra del genere è incredibilmente elevata, considerando che il trasporto – sempre diretto
a Firenze – avveniva solamente a dorso di mulo per la via appenninica. Inoltre, un quantitativo così grande – e di una spezia
molto costosa quale lo zucchero – difficilmente si sarebbe fermato in un piccolo mercato o si sarebbe esaurito esclusivamen14. Melis F., I trasporti, p. 90.
Prima della tavola il viaggio - 85
te sulla piazza fiorentina. Se consideriamo che nel 1288, dunque poco più di un secolo prima, durante il regno di Edoardo I
l’intera casa reale inglese ne consumò “appena” 6258 libbre15,
pari in quel caso a circa 2735 kilogrammi, abbiamo la misura
della mole dello zucchero movimentato da Nello, più di quattro
volte superiore. Dunque da Firenze il viaggio di questi prodotti
doveva quasi sicuramente continuare ma, poiché Firenze non
dispone di uno sbocco sul mare, le derrate alimentari venivano
deviate verso «la bocca di Toscana»16, come la definì Goro Dati,
cronista coevo, ovvero Porto Pisano. In altri registri conservati a Bologna, a volte Firenze viene direttamente superata e le
merci risultano essere spedite subito verso Pisa, dove esisteva
un fondaco datiniano sin dal 1383. Tuttavia sono più frequenti i trasporti diretti verso Firenze e il motivo va ricercato nella
difficile situazione dei rapporti politici fra le due città toscane,
che portava molto spesso Pisa a indire embarghi nei confronti
dei fiorentini, proibendo quindi il passaggio dei vetturali verso il proprio porto. Era dunque meglio fare affidamento su un
tracciato versatile, che potesse superare nel miglior modo possibile questi grossi ostacoli, aggirandoli tramite l’utilizzo di altri
porti. Ne è un esempio quello di Talamone, nel territorio senese, che riusciva a sostituire almeno parzialmente Porto Pisano
quando quest’ultimo non era accessibile. La scelta migliore ricadeva quindi nel far confluire prima le merci a Firenze e poi,
da lì, smistarle dove era più conveniente. Nonostante questa
spiegazione, un dubbio permane: perché proprio il traffico che
passava attraverso Bologna è così importante? In fondo nessuna derrata alimentare sembra fermarsi in città17, dunque quelle
che giungevano erano destinate esclusivamente all’esportazione. Perché non utilizzare un’altra via, magari via mare direttamente da Venezia – come poi Datini fa contemporaneamente
15. Mintz S. W., Storia dello zucchero, p. 88.
16. Dati G., Istoria, pp. 81, 100.
17. Nel registro di Nello vi sono, per quanto poche, alcune merci che si fermano a Bologna (normalmente indicate dalla frase «Restat pro Bononia»,
oppure più brevemente «Pro Bononia»), ma non si tratta mai di derrate
alimentari, che svolgono esclusivamente il ruolo di merci “di passaggio”.
86 - Bologna e il cibo
alla scelta di passare per Bologna – evitando così le spese del
viaggio terrestre e potendo contare sulla capacità di stivaggio
delle navi, di gran lunga superiore a quelle dei muli?
La motivazione è, ovviamente, di natura economica. Se infatti è vero che il trasporto terrestre costava molto più di quello
navale18 – sostanzialmente duty free, non dovendo subire pesanti
pedaggi lungo il percorso –, tralasciando la sicurezza di cui si è
già parlato precedentemente, va detto che il tragitto che da Venezia portava a Firenze passando per Bologna offriva due vantaggi estremamente interessanti. In primo luogo il fattore tempo:
il viaggio via terra poteva impiegare dai dieci ai dodici giorni per
arrivare a destinazione, mentre quello via mare – da Venezia a
Porto Pisano – sarebbe durato quaranta o quarantaquattro giorni, a causa dell’obbligatorio periplo della penisola italiana. Quattro volte tanto, pari a circa un mese in più di viaggio: una differenza davvero notevole, che avrebbe rallentato inevitabilmente
il tragitto, finendo per pesare sulla buona riuscita degli affari. In
secondo luogo i mercanti che operano per Datini, inviando la
merce attraverso Bologna – e ancor di più Nello, che risiede stabilmente in città –, hanno un tratto in comune molto importante:
sono tutti fiorentini. Per i mercanti di Firenze erano previsti a Bologna ingenti sconti sul dazio, che rendevano allettante l’idea di
poter utilizzare questo rapido tragitto senza un esoso contributo
economico. Dalla tariffa dei dazi del 1351, trascritta da Roberto
Greci19, il vantaggio emerge in maniera evidente. Prendiamo
nuovamente come esempio lo zucchero: per un non fiorentino il
dazio da pagare ammontava a due lire, contro i nove soldi di un
mercante di Firenze, che si trovava quindi a poter pagare meno
della metà dei propri concorrenti provenienti da altre città. Si
potrebbe dire che in questo particolare tragitto sembra concretizzarsi il famoso detto “il tempo è denaro”: infatti, la tratta che
18. Pini A. I., “Alimentazione”, pp. 174-175 per quanto riguarda l’Italia e
Masschaele J., “Transport”, per quanto riguarda l’Inghilterra. In particolare Masschaele rilevò che, fra il trasporto marittimo, fluviale e terrestre,
si instaurava un rapporto di prezzi non casuale, ma ordinato, dove, se
il primo costava uno, il secondo sarebbe costato quattro volte tanto e il
terzo otto volte tanto, in una scala di 1:4:8.
19. Greci R., Mercanti, pp. 77-107.
Prima della tavola il viaggio - 87
passava attraverso Bologna da una parte garantiva velocità (tempo) e dunque rendeva possibile rispondere alla domanda del
mercato di determinati prodotti in maniera estremamente efficiente, dall’altra permetteva di risparmiare sulle spese di viaggio
che normalmente rischiavano di incidere molto sul guadagno
finale. In poche parole, questa era una rotta su cui conveniva investire risorse.
Questo insieme di fatti era ben noto a Datini e ai suoi collaboratori, primo fra tutti Nello. Se il desiderio del pratese di trasferire i suoi affari a Bologna, vista la vicinanza con Venezia20 – città
nella quale probabilmente aspirava a inaugurare un fondaco21 – è
testimoniato da alcune sue lettere scritte durante il soggiorno
nel 1400, anche alcune epistole scritte da Nello danno delle informazioni sulle potenzialità di Bologna. Se infatti quest’ultima,
secondo Nello, «no è tera merchatantile», quindi non particolarmente interessante per quanto riguarda la produzione e il commercio, «il paese è in buona disposizione»22. Infatti, in un’altra
lettera, Nello tende a sottolineare che Bologna «da Vinegia o da
Pixia si forniscie quando è pacie»23. In poche parole Bologna,
seppur non emerga come centro produttivo ed economico, presenta un vantaggio topografico per nulla trascurabile, perché
riesce ad avere facili contatti con due fra i porti più importanti
della penisola italiana, dalla sponda adriatica (Venezia) a quella tirrenica (Pisa). Questo tragitto virtuale che Nello descrive in
maniera estremamente sintetica è proprio quello su cui operava all’interno del suo registro. Dunque quella che questi registri
offrono non è una visuale su un attraversamento della penisola italiana secondario e di minor importanza rispetto ai grandi
itinerari marittimi. Al contrario, essi sono testimoni privilegiati
di un tragitto su cui i mercanti del sistema aziendale datiniano
sapevano di poter contare e sul quale erano pronti a investire,
creando una virtuosa sinergia con le altre tratte, quella via mare
in primis, in maniera tale da tenere occupato tutto il tessuto di
20. Greci R., “Il Carteggio datiniano”, p. 446.
21. Nigro G., “Francesco e la compagnia Datini”, p. 240.
22. Greci R., “Il Carteggio datiniano”, p. 442.
23. Ibidem.
88 - Bologna e il cibo
relazioni che era possibile creare, cercando in ogni percorso
potenzialità singolari: per quello di Bologna, è già stato detto,
erano il tempo e il risparmio economico.
Prima di passare all’analisi delle derrate alimentari presenti
nel registro di Nello bisogna rispondere a un ultimo quesito,
ovvero quale fosse la reale destinazione di quei prodotti, evidentemente non destinati a un consumo locale.
Anche in questo caso, l’appartenenza di Nello e degli altri
mercanti ricordati nei registri presenti in Archivio di Stato a un
sistema aziendale unito e di cui ci restano numerose testimonianze permette di fare delle ipotesi con ragionevole verosimiglianza.
Una volta arrivate a Porto Pisano le merci prendevano la via del
mare, in particolare su imbarcazioni battenti vela genovese e,
alla fine del XIV secolo, anche catalana. Le solide imbarcazioni
che potevano offrire queste due potenze navali iniziavano così
un lungo viaggio, fatto di molte tappe. Dallo studio delle assicurazioni conservate presso l’Archivio di Stato di Prato, nonché
di altre lettere di mercanti coeve al registro di Nello, si vede ad
esempio che molte navi genovesi si dirigevano prima di tutto verso la Provenza, dove facevano le prime soste. Da lì sarebbero poi
scese lungo la costa iberica, superando lo stretto di Gibilterra,
finendo per risalire quella atlantica, fino a raggiungere i grandi
mercati del nord Europa, in particolare i porti di Southampton
e Londra per quanto riguarda le coste dell’Inghilterra, e Bruges
per ciò che concerne le Fiandre24. Il ginepraio intricato nel quale
si entra una volta che si trova la chiave di lettura di questi documenti sembra dunque espandersi. L’itinerario terrestre da Venezia a Firenze che passava attraverso Bologna si trasforma in una
piccola tappa di un viaggio molto più vasto, che abbracciava un
commercio internazionale, dall’estremo oriente ai lontani mari
del nord Europa. A questo punto è necessario guardare le derrate alimentari presenti in questi registri con occhi leggermente
diversi. I motivi che spingevano questi mercanti a utilizzare la
tratta Venezia-Firenze-Bologna, in virtù della sua velocità e del
suo basso costo, facevano molto probabilmente riferimento a
24. Melis F., I trasporti, pp. 81-99.
Prima della tavola il viaggio - 89
una precisa strategia economica, che teneva conto che determinati prodotti alimentari erano molto richiesti sul mercato, specialmente in regioni lontane dai luoghi di produzione. Può essere
quindi che questo itinerario venisse utilizzato proprio per quelle
merci che dovevano essere consegnate presto, in quanto molto
ricercate e, per questo, era necessario rispondere in maniera efficiente, attraverso un viaggio sicuro e rapido.
Un registro come quello di Nello sicuramente non basta: un
anno e mezzo è evidentemente troppo poco per poter dare risposte di carattere generale. Tuttavia il registro di Nello, come
specificato all’inizio, non è un unicum, ma fa parte di un insieme ampio e ben conservato, che riesce a coprire ventuno anni,
in un contesto economico florido che, citando Tucci, potrebbe
aver inciso «non superficialmente sulle condizioni della produzione e del consumo»25, ma in maniera estremamente profonda. Studiare questi registri vorrà dire poter far luce, attraverso
una lente d’ingrandimento inedita e sperimentale, sulle abitudini alimentari fra XIV e XV secolo grazie allo studio di una tratta commerciale strategica. Sarà possibile studiare quindi quali
merci fossero maggiormente attestate, quali in crescita e quali
in calo, capire quale fosse la loro domanda, comprendere ancor meglio quale fosse la loro destinazione e, infine, trarre delle
conclusioni su quali fossero i cibi più commerciati e dunque più
richiesti in questo strano ma affascinante “gomitolo di traffici”
che si dipanava attorno alla città di Bologna.
I prodotti alimentari nel registro di Nello di ser Bartolomeo
Fra le due destinazioni che compaiono nel registro di Nello di ser Bartolomeo, quella più frequente per le derrate alimentari è sicuramente Firenze. Verso la Toscana infatti parte
il 90-95% dei cibi, contro la bassissima percentuale di quelli
diretti a Ferrara.
Questi ultimi si limitano a due sole tipologie di alimenti: formaggi e zafferano, sempre spediti in quantità totali irrisorie (530
25. Tucci U., “I trasporti”, p. 463.
90 - Bologna e il cibo
libbre il primo e 847 il secondo) e per questo non rilevanti, almeno
per il momento. Tuttavia, fra queste, una incuriosisce: il 21 ottobre 1391 è segnalato, alla volta di Ferrara, un curioso assortimento
caxey et finochiarum, posti nel medesimo barile26. Non ho trovato
sinora altre testimonianze di cibi del genere ed è piuttosto interessante che siano entrambi nello stesso contenitore. Vuol dire infatti
che il finocchio era a contatto (oppure all’interno?) del formaggio
stesso, al quale probabilmente conferiva una nota aromatica. Allo
stato attuale delle ricerche è difficile capire la provenienza, l’uso e
la frequenza di questo cibo “aromatizzato”, ma sicuramente questo prodotto affascina e lascia dietro di sé alcuni inediti spunti di
riflessione, su cui varrà la pena di soffermarsi in futuro.
Molto più interessanti sono tuttavia le derrate alimentari che
partono da Venezia alla volta di Firenze, sia per loro eterogeneità qualitativa, sia per il quantitativo che raggiungono nell’arco
temporale coperto dal documento.
Alcune di queste compaiono di rado ma in grandi quantità,
come ad esempio l’abbondante partita di uva passa spedita il 6
marzo 1392 per conto di Zanobi di Taddeo Gaddi27 e che in tutto raggiunge il ragguardevole peso complessivo di 4809 libbre,
pari a più di una tonnellata e mezzo. Altri prodotti invece vengono inviati con maggior frequenza, a partire ad esempio dalle
seppie28, esportate in quantità talmente elevate da raggiungere
le 5197 libbre totali. Mentre per l’uva passa è facile ipotizzare
una provenienza – quelle zone del Medio Oriente, del Nord
Africa o della Spagna in cui normalmente operavano i mercanti
veneziani – le seppie sono più difficili da collocare nella loro
zona di produzione. Allo stato attuale delle ricerche sono due
le opzioni più plausibili. Vi sono alcune fonti moderne del XVII
secolo che evidenziano una discreta attività di pesca di questi
molluschi alle foci del Po29. Se si fossero pescate in quella zona
anche nel Trecento, i collaboratori datiniani presenti nella laguna veneta avrebbero potuto contare su una produzione limitro26. Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 26r.
27. Ibid., c. 2r.
28. Per esempio ibid., c. 11v.
29. Moroni M., “La pesca ad Ancona”, p. 457.
Prima della tavola il viaggio - 91
fa alla propria base operativa. Tuttavia alcuni resti archeologici
testimonierebbero una grande esportazione di seppie dal sud
Italia30 dove, dopo essere state pescate, venivano disossate e
lasciate essiccare al sole per poi essere impilate su lunghe aste,
poste in barili e spedite, pronte ad affrontare anche lunghi viaggi grazie al metodo di conservazione utilizzato. I veneziani potevano imbarcarle nelle frequenti soste che facevano proprio
in quelle zone durante i viaggi di ritorno, per cercare di non
lasciare le imbarcazioni semivuote e garantirsi un guadagno anche una volta tornati a Venezia.
La destinazione delle seppie è ancora più incerta della loro
provenienza. Fonti coeve al registro di Nello segnalano che questo cefalopode era consumato abbastanza spesso nelle sedi datiniane presenti in Catalogna31, ma è improbabile la sua identificazione con quello presente nel registro bolognese: è più facile
pensare che i collaboratori catalani lo reperissero in mercati locali, dove sicuramente non mancava. Per comprendere dunque
dove fossero dirette saranno necessarie ulteriori ricerche.
Un altro cibo che, allo stesso modo delle seppie, poteva essere
recuperato dalle navi veneziane durante i viaggi di ritorno erano
i capperi32, che nel registro di Nello arrivano a pesare 2511 libbre.
Per aiutarci a comprendere la loro provenienza vi è una valuta di
mercanzie scritta nel 1393 dal già citato Zanobi di Taddeo Gaddi,
il quale segnala la presenza sia di «chapperi d’Allexandria» sia «di
Puglia»33. Questo prodotto era con ogni probabilità destinato a
un viaggio piuttosto lungo, che lo avrebbe portato anche verso i
porti del Nord Europa, come ad esempio Bruges, dove fra l’altro
recentemente sono stati trovati durante uno scavo archeologico
proprio semi di cappero, pianta che sicuramente non faceva – né
fa tuttora – parte della flora locale34.
La valuta di mercanzia appena evocata fornisce elementi utili
alla comprensione della provenienza di un altro cibo piuttosto
30. Fiorillo R., “Fonti scritte”, p. 497.
31. Giagnacovo M., Mercanti a tavola, p. 188.
32. Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 26r.
33. Melis F., Documenti, pp. 302-303.
34. Cooremans B., “An Unespected Discovery”.
92 - Bologna e il cibo
frequente nel registro di Nello: le mandorle35, che raggiungono
le 3600 libbre, pari a circa 1300 chilogrammi. Anche per questo frutto secco i luoghi di produzione ricordati da Zanobi sono
diversi: più precisamente, egli indica «mandrolle di Puglia, di
Valenza, de la Marcha», tutte regioni in cui normalmente passavano le mude di ritorno dai loro viaggi e in cui facevano frequenti
soste. La costante presenza di cibi prodotti in Puglia e da lì esportati fa certamente riflettere. Si potrebbe ipotizzare, mettendo in
conto un margine di errore, che effettivamente questi prodotti
provenissero dalla medesima regione e che poi, una volta arrivati a Venezia, venissero smerciati in direzione di altri mercati.
Stupisce il fatto che, fra le regioni ricordate da Zanobi, non figuri
la Provenza, da cui lo stesso Datini si faceva inviare le pregiatissime mandorle36. Probabilmente queste ultime prendevano vie
diverse, oppure non erano così attestate nella tratta in cui operava Zanobi. Tuttavia, per correttezza, è necessario ipotizzare che
questo prodotto potesse provenire anche dal sud della Francia,
nonostante non compaia nella valuta precedentemente citata.
Un discorso più complesso va invece fatto per le spezie presenti nel registro di Nello, senz’ombra di dubbio le derrate alimentari più importanti e frequenti all’interno del documento.
Tolte alcune che compaiono sporadicamente, come ad
esempio la liquerizia, i chiodi di garofano e lo zafferano, le altre
si ritagliano uno spazio decisamente interessante. Un gruppo
di queste è formato da non meglio identificate speziarie37, di cui
dunque è impossibile conoscere la tipologia e, benché all’interno del registro raggiungano le 7177 libbre – dunque un quantitativo piuttosto alto – è difficile inserirle con precisione all’interno
della sfera dei consumi, non sapendo di quali spezie si tratti.
Anche il pepe38 è molto frequente, ma non quanto ci si sarebbe aspettato. Infatti esso arriva a totalizzare un peso complessivo di 4457 libbre, ovvero 1449 chilogrammi, inferiore anche alle
succitate speziarie. Il motivo forse va ricercato nel «progressivo
35. Per esempio, Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 33v.
36. Giagnacovo M., “La tavola di Francesco”, pp. 113-114.
37. Per esempio, Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 18r.
38. Ibid., c. 40r.
Prima della tavola il viaggio - 93
declino dell’importanza del pepe nella cucina occidentale del
tempo»39, o perlomeno in quella più raffinata – fenomeno documentato ad esempio in maniera marcata nell’area francese40
– dove lascia spazio a droghe più rare e costose come ad esempio lo zenzero41, che effettivamente compare nel registro di Nello molto spesso e supera abbondantemente la quantità di pepe,
con un peso totale di 8849 libbre, circa il doppio ed equivalente
a poco meno di tre tonnellate odierne.
Anche in questo caso non è possibile conoscere le qualità dello zenzero, dunque non si sa se si trattasse di belledi – la tipologia
più raffinata – o colombino o “michino”42, tuttavia è affascinante
constatare che, in questa propedeutica analisi delle spezie presenti nel registro di Nello, il trend gastronomico del tardo XIV
secolo si riflette estremamente bene, con grande coerenza.
Stesso discorso può essere fatto per la spezia più frequente fra
le pagine del documento: lo zucchero43. Nell’insieme delle spezie
spedite da Nello, esso copre addirittura il 63% con un peso complessivo di 36868 libbre, pari all’incirca a 11200 chilogrammi,
come abbiamo avuto occasione di notare. Anche questa grande
quantità passata da Bologna fra il 1391 e il 1392 rispecchia in maniera puntuale il contesto gastronomico nel quale il documento
è inserito, che vede affermarsi una vera e propria “saccarofilia”
che rende questa droga estremamente richiesta e utilizzata per
un numero altissimo di ricette e non solo: il suo uso in veste di
conservante, di medicinale o anche di materiale artistico è ben
noto agli studiosi del settore44. La richiesta di zucchero da parte
delle élites crebbe notevolmente fra il XIII e il XV secolo, raggiungendo il suo apice proprio nel Trecento, quando questa spezia
cominciò a imporsi in maniera sempre più totalitaria all’interno
della cucina europea, arrivando a sostituire quasi completamente il miele nella sua funzione di dolcificante45 e a comparire in
39. Giagnacovo M., Mercanti a tavola, p. 267.
40. Laurioux B., “Cucine medievali”, p. 360.
41. Per esempio, Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 40r.
42. Giagnacovo M., Mercanti a tavola, p. 269.
43. Per esempio, Registro di Nello di ser Bartolomeo, c. 48v.
44. Mintz S. W., Storia dello zucchero, pp. 93-100.
45. Montanari M., “Agro, agrodolce”, pp. 68-72.
94 - Bologna e il cibo
maniera persistente in moltissime ricette italiane e spagnole all’inizio, poi inglesi, tedesche e, infine, francesi46.
Il documento di Nello, dunque, dallo studio delle derrate alimentari presenti si rivela essere ben inserito all’interno del panorama gastronomico della fine del XIV secolo, in quanto i cibi
che vi compaiono con maggior frequenza sono proprio quelli
più ricercati dai ceti sociali che potevano permetterseli. Questo
dato probabilmente è il più importante e conclude il percorso
compiuto attraverso questo breve contributo, il quale è partito
dall’apparente semplicità delle fonti archivistiche prese in esame, per poi addentrarsi all’interno di una reale complessità di
fattori, i quali sono serviti per dimostrare prima di tutto l’importanza della tratta di cui i registri dei dazi di Bologna sono testimoni. In secondo luogo ho voluto sottolineare l’importanza
della loro coesione, che crea un’organicità assolutamente necessaria per trarre conclusioni di carattere più generale. Infine,
ho evidenziato come il registro di Nello si inserisca pienamente
nella sfera dei consumi alimentari del tempo.
La ricerca è solo agli inizi, ma promette di dare risultati interessanti in futuro. Non vorrei che la mia fiducia nei confronti
di questi documenti appaia come un moto “campanilistico” nei
confronti della città in cui vivo. Per questo motivo ho preferito
non trarre conclusioni generali ma evidenziare sia le difficoltà sia
le potenzialità, conscio del fatto che nessuno studio possa prescindere da esse.
Utilizzare questi documenti come rilevatori – o, come direbbe Warburg, come sismografi – della domanda di determinate
derrate alimentari alla fine del XIV e agli inizi del XV secolo tramite una rotta tanto singolare quanto importante come quella
che passava attraverso Bologna potrà dare risultati inattesi che
permetteranno, con un’ottica inedita e sperimentale, di vedere
in che direzione si stesse spostando la cultura gastronomica fra
Tre e Quattrocento o di approfondire ulteriormente le conoscenze che abbiamo su di essa.
46. Montanari M., La fame e l’abbondanza, pp. 149-150.
Prima della tavola il viaggio - 95
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