Capitolo III Per funzioni amministrative si intendono i compiti che la legge individua come propri di un apparato amministrativo, il quale deve esercitarli per la cura in concreto dell’interesse pubblico. L’attività amministrativa è l’insieme delle osservazioni, comportamenti e decisioni posti in essere o assunti dalla PA nell’esercizio delle funzioni ad essa affidata da una legge. L’attività amministrativa è dotata del carattere della doverosità e il suo mancato esercizio può essere fonte di responsabilità. L’art. di riferimento è il 1 l. n. 241/1990. Il suo operato è sottoposto al controllo della Corte dei Conti; l’atto amministrativa si presta ad essere valutato, soprattutto, sotto il profilo della conformità o meno all’ordinamento. Si considera attività amministrativa anche quando essa è disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato. In relazione a ciascuna funzione, la legge individua i poteri conferiti al singolo apparato. I poteri amministrativi conferiscono agli apparati amministrativi che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale che si aggiunge alla capacità giuridica ordinaria di diritto comune. Bisogna fare distinzione tra potere in concreto e potere in astratto. Ove manchi la norma attributiva del potere, si configura un difetto assoluto di attribuzione che determina la nullità del provvedimento. Il potere in astratto ha il carattere dell’inesauribilità, il che significa che finché la norma attributiva rimane in vigore, esso si presta ad essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni concrete. Oltre che legittimata, l’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l’emanazione di un atto o di un provvedimento autoritativo idoneo ad incidere nella sfera giuridica del soggetto destinatario e a porre una disciplina del rapporto che nasce tra il privato e l’amministrazione. Nell’ordinamento italiano manca una definizione di atto o provvedimento amministrativo, ma alcune indicazioni le possiamo ricavare dalla Costituzione e da alcune leggi generali. In particolare, l’art. 113 Cost. richiama due aspetti del loro regime giuridico: la loro sottoposizione necessaria ad un controllo giurisdizionale operato dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario; la loro annullabilità nei casi di accertata difformità rispetto alle norme giuridiche. Altre disposizioni rilevanti si ritrovano nella l. 241/1990, integrata poi dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. Art. 1, comma 1-bis: stabilisce che la PA agisce di regola secondo le norme del diritto privato per gli atti aventi natura non autoritativa. Per quelli aventi natura autoritativa vale il regime pubblicistico proprio degli atti amministrativi. Art. 3: ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato. Art.7: l’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti del quale il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti. L’esercizio del potere avviene secondo il modulo del procedimento, una sequenza – anch’essa individuata dalla legge – di operazioni e di atti strumentali all’emanazione di un provvedimento amministrativo produttivo di effetti giuridici. Il procedimento ha diverse funzioni: garantire la partecipazione dei privati all’esercizio del potere; consentire all’amministrazione di acquisire informazioni utili ai fini dell’adozione del provvedimento; assicurare il coordinamento tra le pubbliche amministrazioni. Il rapporto giuridico amministrativo è il rapporto giuridico che si instaura tra la PA che esercita un potere e il soggetto privato titolare di un interesse legittimo. I rapporti giuridici interprivati vengo ricostruiti partendo dalla coppia soggetto-obbligo. Il diritto soggettivo consiste nel potere di agire per soddisfare il proprio interesse. Alla titolarità del diritto soggettivo corrisponde, in capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, un dovere generico e negativo di astensione, oppure un vero e proprio obbligo giuridico di porre in essere un determinato comportamento o attività. Accanto alla coppia diritto soggettivo-obbligo il diritto privato conosce anche altri tipi di situazioni giuridiche che si avvicinano alla dinamica del rapporto amministrativo, caratterizzato da una relazione non paritaria tra la PA che esercita il potere e il titolare dell’interesse legittimo. La potestà è una situazione giuridica soggettiva attiva attribuita al singolo per il soddisfacimento di un interesse altrui. Si tratta di un potere-dovere, nel senso che il soggetto è tenuto ad esercitarlo seguendo criteri di prudente arbitrio e nel farlo deve perseguire l’interesse altrui (potestà genitoriale). Tra i casi più tipici di diritto potestativo vi sono: diritto di prelazione, diritto di recesso, revoca del mandato. La produzione di effetti giuridici segue usualmente lo schema NORMA-FATTO-EFFETTO, nel senso che la norma giuridica individua gli elementi costitutivi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad essa si ricollega, ponendo direttamente essa la disciplina degli interessi in conflitto. Il diritto conosce anche un’altra tecnica di produzione degli effetti che segue lo schema NORMAFATTOPOTERE-EFFETTO. Questa sequenza si differenzia per il fatto che viene meno l’automatismo nella produzione dell’effetto giuridico. Il verificarsi di un caso concreto conforme alla norma attributiva del potere determina in capo a un soggetto (il titolare del potere) la possibilità di produrre l’effetto giuridico. Tra il fatto e l’effetto giuridico si interpone cioè un elemento aggiuntivo, il potere, e il titolare di quest’ultimo è pienamente libero di decidere se provocare con una propria dichiarazione di volontà l’effetto giuridico tipizzato dalla norma. E questo è lo schema del dritto potestativo. Si distingue tra: - - Diritti potestativi stragiudiziali: la produzione dell’effetto giuridico discende direttamente dalla manifestazione di volontà del titolare del potere. Un esempio può essere il datore di lavoro che licenza il dipendente per giusta causa, Diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale: la produzione dell’effetto giuridico richiede, oltre che la manifestazione di volontà del titolare del potere, un previo accertamento giudiziale. Un esempio può essere la separazione dei coniugi o il disconoscimento di paternità. In realtà, anche nei diritti potestativi stragiudiziali è prevista una fase di verifica giudiziale che presenta due caratteristiche: l’iniziativa processuale spetta al soggetto passivo nella cui sfera giuridica si è prodotto l’effetto giuridico, ed esso ha l’obbligo dell’onere della prova. Nel caso del licenziamento, il dipendente ha tempo 60 gg dalla ricezione della comunicazione allo scopo di far accertare l’assenza della giusta causa o del giustificato motivo per ottenere dal giudice una pronuncia di condanna del datore di lavoro. Il potere amministrativo può essere ricondotto a un diritto potestativi del primo tipo: la produzione dell’effetto giuridico discende direttamente dalla manifestazione di volontà della PA. Inoltre, l’accertamento giudiziale può avvenire solo in via posticipata. Il potere amministrativo trova un fondamento diretto nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere, ma anche nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si produce l’effetto. Secondo una classificazione tradizionale, la norma attributiva del potere può essere di due tipi. - Norme di azione: disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della PA, hanno come scopo assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e segnano i limiti interni al potere - Norme di relazione: disciplinano i rapporti tra amministrazione e soggetti privati. La norma attributiva del potere individua gli elementi caratterizzanti: - Soggetto competente: l’atto emanato da un soggetto diverso da quello previsto è affetto da vizio di incompetenza Fine pubblico: la violazione del vincolo del fine configura un eccesso di potere per sviamento Presupposti e requisiti sostanziali: sono fatti costitutivi del potere, la cui sussistenza in concreto è una delle condizioni per l’esercizio legittimo del potere. L’espressione “presupposti e requisiti di legge” si riferisce alla SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, una comunicazione effettuata dal privato all’amministrazione contestuale all’avvio dell’attività. In relazione ai poteri integralmente vincolati, l’amministrazione ha il solo compito di verificare che nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva e di emanare il provvedimento che produce gli effetti (anch’essi rigorosamente stabiliti dalla legge). I poteri sostanzialmente in bianco rimettono al soggetto titolare del potere spazi pressocché illimitati di apprezzamento e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un interesse pubblico. Essi sembrano derogare al principio della tipicità dei poteri amministrativi. In generale, gli spazi di valutazione dei fatti costituitivi del potere sono tanto più ampi quanto più la norma d’azione fa riferimento a “concetti giuridici indeterminati”. Questi possono essere di due categorie: Concetti empirici o descrittivi che si riferiscono al modo d’essere di una situazione di fatto (il carattere “epidemico” di una malattia, la “pericolosità” di un edificio lesionato) Concetti normativi o di valore che contengono un ineliminabile elemento di soggettività (un film “adatto” ai minori, una condotta contraria alla “moralità pubblica”. Requisiti formali e modalità di esercizio del potere: ai sensi dell’art. 21-octies l. n. 241/1990 l’inosservanza delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti non determina in modo automatico l’annullabilità del provvedimento; bisogna valutare se ha influenzato il contenuto dispositivo del provvedimento adottato in concreto. Elemento temporale Indicare il termine per l’avvio dei procedimenti d’ufficio Indicare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l’amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo Scandire i termini per l’adozione degli atti endoprocedimentali Effetti giuridici: i provvedimenti amministrativi hanno l’attitudine a produrre effetti costitutivi, che possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari del provvedimento. Effetti costitutivi: concessione amministrativa per l’uso esclusivo di un bene demaniale Effetti modificativi: sanzione disciplinare di sospensione dell’iscrizione a un albo professionale Effetti estintivi: decreto di espropriazione di un bene immobile la cui titolarità viene trasferita alla PA La discrezionalità connota l’essenza stessa dell’amministrare, cioè della cura dell’interesse pubblico. Questa attività presuppone che la PA abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel - - - caso concreto. L’art. 19 l. n. 241/1990 ha introdotto per molte autorizzazioni vincolate un regime di liberalizzazione, sostituendo il regime di controllo precedente con la SCIA. Il privato autovaluta se ha titolo per svolgere una determinata attività e il controllo da parte della PA sarà soltanto a posteriori. La PA, rispetto al diritto privato, ha un ambito di libertà più ristretto perché deve rispettare non soltanto i limiti posti dalla norma di conferimento, ma anche i limiti generali dell’amministrazione e il cosiddetto vincolo interno consistente nel seguire il fine pubblico. La discrezionalità amministrativa non trova una definizione legislativa, la quale – tuttavia – è richiamata direttamente o indirettamente da disposizioni generali. Volendo dare una definizione potremmo dire che la discrezionalità amministrativa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione affinché possa individuare, tra quelle consentite, la migliore soluzione per curare in caso concreto l’interesse pubblico. La scelta viene fatta attraverso una ponderazione degli interessi primari (fine pubblico), quelli secondari fissati dalla norma e l’interesse dei privati, i quali possono partecipare al procedimento per rappresentare il proprio punto di vista. La discrezionalità amministrativa grava su quattro elementi logicamente distinti: an¸ cioè sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento quid, sul contenuto del provvedimento che detta la regola per il caso concreto quomodo, sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento quando, sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest’ultimo, per emanare il provvedimento. A seguito dell’attività istruttoria può darsi che residui un’unica scelta tra quelle consentite in astratto dalla legge; nel corso del procedimento, la discrezionalità può ridursi sino ad annullarsi del tutto. In questo caso si parla di vincoltezza in concreto, da contrapporre alla vincolatezza in astratto. Una riduzione dell’ambito della discrezionalità può avvenire anche tramite il cosiddetto autovincolo alla discrezionalità: la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di parametri che vincolano l’esercizio della discrezionalità. Il merito amministrativo ha una dimensione essenzialmente negativa e residuale: esso si riferisce all’eventuale ambito di scelta spettante all'amministrazione. Se il potere è integralmente vincolato, lo spazio del merito risulta nullo. Rientrano di regola nel merito, il giudizio espresso dalla commissione su un candidato che partecipa ad un concorso pubblico. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti. Il primo è quello dei controlli amministrativi. Questi ultimi si articolano in controlli di legittimità e di merito. I primi sono finalizzati ad annullare gli atti amministrativi, i secondi a modificare o sostituire l’atto oggetto del controllo e di tutela giurisdizionale. In secondo luogo, il Codice del processo amministrativo contrappone la giurisdizione di legittimità alla giurisdizione con “cognizione estesa al merito”, nell’esercizio del quale il giudice amministrativo può rivalutare le scelte discrezionali dell’amministrazione e sostituire la propria valutazione. In terzo luogo, i confini tra legittimità e merito rilevano anche in materia di responsabilità amministrativa alla quale sono soggetti i funzionari pubblici in relazione al danno erariale, cioè il danno provocato dall’amministrazione stessa e che rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti. Le valutazioni tecniche si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. Es: valutazione medica avente per oggetto l’idoneità ad arruolarsi nelle forze militari. Per quanto riguarda il sindacato del giudice amministrativo, la sua valutazione è altrettanto opinabile e non ci sarebbe ragione per preferirla. Egli può solo ripercuotere l’attività valutativa e verificare se è affetta da vizi logici, incongruenze o altre carenze. Solo recentemente il giudice amministrativo ha intrapreso un’opera volta a rendere più intenso il proprio sindacato sulle valutazioni tecniche: ormai è agevolato dal fatto di potere ricorrere allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio. Al pari del diritto soggettivo, l’interesse legittimo trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni relative alla tutela giurisdizionale (art. 24, 103, 113). La rilevanza tra le due categorie è stata duplice: - riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo delimitazione ambito di responsabilità civile della PA, che non includeva il danno derivante da una lesione di interessi legittimi. La pronuncia più importante in materia è la Sent. n. 204/2004 della Corte Cost., la quale ha sconfessato il tentativo del legislatore di superare la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi come criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Per dar conto della nascita dell’interesse legittimo occorre partire da una legge del 1865 di abolizione nel contenzioso amministrativo, che attribuì al giudice civile la giurisdizione di tutte le controversie tra privati e PA. Il giudice civile dimostrò timidezza nel sindacare l’operato dell’amministrazione, e così nacque la legge del 1889 istitutiva della IV Sez. del Consiglio di Stato, introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. Dell’interesse legittimo sono state date numerose interpretazioni, ormai in gran parte superate: - il diritto fatto valere come interesse l’interesse legittimo come interesse di mero fatto diritto affievolito o degradato Le ricostruzioni tradizionali sottolineano il fatto che l’interesse privato è posto in una posizione subalterna rispetto all’interesse pubblico. Solo ove si sia in presenza di violazione di un diritto soggettivo si ha una tutela immediata. L’interesse legittimo si distingue dunque dal diritto soggettivo proprio per il fatto che l’acquisizione o la conservazione di un determinato bene della vita non è assicurato in modo immediato dalla norma, che tutela appunto in modo diretto solo l’interesse pubblico. L’art. 24 Cost. attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi pari dignità e pertanto l’ordinamento deve assicurare ad entrambi una piena tutela effettiva. Al superamento della concezione tradizionale ha concorso in modo decisivo l’evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo, per lungo tempo negata. La svolta è avvenuta con la Sent. n. 500/1999 delle Sez. U. Cass. Che ha superato la differenza tra i due ai fini della risarcibilità. Definizione: situazione giuridica soggettiva correlata al potere della PA e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti ad influire sull’esercizio del potere medesimo al fine di conservare o acquisire un bene della vita. Il privato può partecipare al procedimento, presentando memorie e documenti e cercando di orientare le valutazioni discrezionali della PA e proprio favore. In capo all’amministrazione gravano una serie di doveri comportamentali nella fase procedimentale e decisionale (correttezza, buonafede, ragionevolezza, imparzialità…). Il titolare dell’interesse legittimo fa valere una pretesa nei confronti della PA a che il potere sia esercitato in modo legittimo. Gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: - - interessi oppositivi: restringono la sfera giuridica del destinatario, sacrificando un interesse di quest’ultimo (espropriazione, irrogazione di una sanzione amministrativa). Il rapporto procedimentale assume una dinamica di contrapposizione, il titolare dell’interesse legittimo oppositivo cercherà di contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un suo bene della vita. Usualmente, il procedimento si apre d’ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Il bisogno di tutela è collegato all’interesse alla conservazione del bene della vita suscettibile di essere sacrificato in seguito all’emanazione del provvedimento restrittivo e l’interesse viene soddisfatto tramite l’annullamento dell’atto impugnato. In questo caso, il ricorrente viene reintegrato nella situazione giuridica precedete e se dalla sentenza di annullamento deriva un effetto preclusivo pieno, l’interesse legittimo ne esce addirittura rafforzato. interessi pretensivi: ampliano la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazione all’interesse di quest’ultimo (concessione per l’uso di un bene demaniale). Il rapporto procedimentale assume una dinamica più collaborativa e si apre in seguito a istanza o domanda di parte. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è collegato all’interesse all’acquisizione del bene della vita. Rispetto a tale bisogno, l’annullamento del provvedimento di diniego si rivela insufficiente: occorre una sentenza che accerti la spettanza del bene della vita e una condanna all’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto. Anche la tutela risarcitoria si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. Con riferimento ai primi, essa riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione, ma non vi è modo di rimediare al passato. Diversa è la situazione nel caso degli interessi illegittimi pretensivi: la tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita e la sentenza che accoglie l’azione di adempimento riesce a porre rimedio a questo particolare profilo di danno. La distinzione tra i due tipi di interessi consente di inquadrare i cosiddetti provvedimenti a “doppio effetto” che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo nei confronti di una parte e uno restrittivo nei confronti di un altro. Si pensi ad esempio al permesso di costruire un edificio che impedirebbe la vista panoramica al proprietario del terreno confinante. La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri distintivi di interesse legittimo e diritto soggettivo 1) Struttura della norma attributiva del potere. a. Nella norma di relazione l’effetto giuridico si produce in modo automatico seguendo lo schema NORMA-FATTO-EFFETTO e l’eventuale atto dell’amministrazione che accerta il prodursi dell’effetto giuridico ha un carattere meramente ricognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito lesivo di un diritto soggettivo e l’accertamento dell’illiceità spetta al giudice ordinario. b. Nella norma d’azione la produzione dell’effetto giuridico avviene tramite lo schema NOMRA-FATTO-POTERE-EFFETTO e il provvedimento assunto in violazione della norma d’azione va qualificato come illegittimo e lesivo di interessi legittimi. Inoltre, l’annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo. 2) Distinzione tra potere vincolante e potere discrezionale a. Potere discrezionale: la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre di interesse legittimo perché di fronte al potere discrezionale della PA il soggetto privato non è in grado di prevedere con certezza se la sua pretesa verrà soddisfatta. b. Potere vincolante: la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è di diritto soggettivo, perché il soggetto privato è in grado di prevedere con certezza ex ante se la PA riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. 3) Natura del vizio dedotto dal soggetto privato a. Carenza di potere o straripamento di potere: l’atto emanato è una parvenza di provvedimento amministrativo inidoneo a produrre effetti nella sfera giuridica del destinatario (provvedimento nullo o inesistente). La situazione giuridica di cui quest’ultimo è titolare resiste di fronte al potere e non subisce alcuna degradazione in interesse legittimo. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha individuato alcuni diritti soggettivi che di regola non possono essere incisi dalla PA e la cui tutela è rimessa al giudice ordinario. Ove invece il soggetto privato lamenti il cattivo esercizio del potere, la situazione giuridica fatta valere in giudizio ha la consistenza di interesse legittimo. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha incluso nella carenza di potere anche la “carenza di potere in concreto”, ipotesi che si verifica nel caso in cui la norma in astratto attribuisce il potere all’amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce uno degli strumenti principali volti ad accrescere la trasparenza e l’imparzialità della PA. Esso è incluso dalla l. n. 241/1990 tra i livelli essenziali delle prestazioni amministrative ex art. 117 co. 2 Cost. e rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. - - - Accesso procedimentale: possibilità di chiedere visione di tutti gli atti e i documenti con riferimento a un determinato procedimento amministrativo di cui il soggetto è parte per poter tutelare al meglio le proprie ragioni avendo cognizione di tali atti. Diritto autonomo quando il soggetto che richiede l’accesso dimostri “un interesse diretto, concreto e attuale con riferimento a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso. Eccezioni Materia ambientale Accesso civico in base al quale chiunque può richiedere l’accesso a informazioni e dati che le amministrazioni avrebbero comunque l’obbligo di pubblicare sui propri siti tutte le volte in cui abbiano omesso a tale obbligo. Sotto il profilo oggettivo, l’accesso è escluso in una serie tassative di casi, cioè in relazione ai documenti coperti dal Segreto di stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l’adozione di atti amministrativi generali. Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza, l’amministrazione deve effettuare una duplice operazione: Contrapporre l’interesse all’accesso con l’interesse alla riservatezza di terzi Valutare il carattere della necessità, che si distingue dalla mera utilità Il criterio della necessità è ancora più stringente in caso di dati definiti come sensibili. Le valutazioni dell’amministrazione sembrano avere natura discrezionale. Inoltre, la l. n. 241/1990 introduce il “potere di differimento”, che consiste nella posticipazione del momento in cui si avrà accesso agli atti. Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è incluso nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Emerge la necessità di distinguere tra interessi legittimi e interessi di mero fatto. I criteri sono essenzialmente due: il criterio della differenziazione e il criterio della qualificazione. Quanto al primo criterio, affinché possa configurarsi l’esistenza di un interesse giuridicamente protetto, occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato sia differenziata rispetto a quella della totalità dei soggetti dell’ordinamento (elemento spaziofisico della vicinanza che rende più concreto il pregiudizio ad alcuni soggetti). Poi occorre valutare se l’interesse rientri nel perimetro della tutela offerta dalla norma, e in particolare da quelle che attribuiscono il potere (criterio della qualificazione) e se il suo titolare possa vantare una posizione qualificabile come interesse legittimo. Gli interessi di mero fatto possono avere una dimensione individuale o superindividuale. Emerge così in dottrina e in giurisprudenza la nozione di interesse diffuso, interessi non personalizzati e non rivali perché il consumo da parte di uno non ne impedisce la fruizione ad un altro. L’ordinamento giuridico ha cominciato a prendere in considerazione gli interessi diffusi attribuendo ad essi una certa rilevanza sia in sede procedimentale che processuale. Sotto il primo profilo, l’art. 9 l. n. 241/1990 attribuisce facoltà ad intervenire nel procedimento ai soggetti portatori di interessi pubblici o privati nonché a coloro ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. Più complessa è la questione della tutela giurisdizionale di interessi diffusi. I principali criteri elaborati sono 3: collegamento con la partecipazione procedimentale, elaborazione di nozione di interesse collettivo, quale specie particolare di interesse legittimo, legittimazione ex lege. 1. Teoria proposta dalla dottrina che tuttavia non ha trovato riscontro nella giurisprudenza, è stata quella di individuare nella partecipazione al procedimento un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentirne l’impugnazione davanti al giudice. 2. Ampliare le maglie dell’interesse legittimo fino ad includervi anche situazioni in cui il ricorrente agisce per tutelare in realtà un interesse superindividuale. 3. Legittimazione ex lege ad alcuni soggetti in particolari settori dal legislatore. Per questi interessi l’ordinamento prevede forme di tutela non giurisdizionale semplificate e di recente il legislatore ha introdotto dei rimedi processuali ribattezzati “azioni di classe”. Il principio fondamentale che presiede all’allocazione delle funzioni è il principio di sussidiarietà, menzionato nei Trattati europei e poi nella legge costituzionale n. 3/2001. In particolare, l’art. 5 TUE enuncia il principio di sussidiarietà facendo riferimento ai rapporti tra gli Stati membri e l’Unione: quest’ultima agisce nei limiti delle competenze assegnate, le quali non devono eccedere quelle necessarie per conseguire gli scopi che gli Stati membri non possono conseguire unilateralmente. Gli Stati membri sono titolari delle generalità delle competenze residuali. Come si è visto, l’art. 5 cita anche il principio di proporzionalità, in base al quale il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non può eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. L’art. 18 Cost. cita anche i principi di differenziazione, sussidiarietà e adeguatezza. Prevede altresì che la generalità delle funzioni sia affidate ai comuni. Considerando i principi che guidano l’attività amministrativa, si fa riferimento all’art. 1 l. n. 241/1990 “l’attività amministrativa persegue fini di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”. Di recente è stata elaborata la nozione di “amministrazione di risultato” che si collega a quella del buon andamento dell’art. 97 Cost. La legge 241/1990 ha attenuta la rigorosità formale limitando la possibilità di annullare i provvedimenti affetti da vizi che non inficiano la sostanza della decisione. L’amministrazione pone in primo piano il concetto di buon andamento, introducendo criteri di valutazione delle performance della PA. Il legislatore ha disciplinato il cosiddetto “ciclo delle performance”, le cui fasi sono definizione di obiettivi, monitoraggio in corso di esercizio, misurazione e valutazione della performance organizzativa e dei singoli dipendenti. Il principio di efficienza richiamato dall’art. 1 mette in rapporto la quantità di risorse impiegate con il risultato dell’azione amministrativa. Efficace è l’attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego dei mezzi. Il principio di efficacia mette in rapporto i risultati effettivamente ottenuti con gli obiettivi prefissati. Principi sull’esercizio del potere discrezionale: fanno parte di questi gruppi il principio di imparzialità, di proporzionalità, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento, di precauzione. Il principio di imparzialità è richiamato dall’art. 97 Cost. e dall’art.41 della Carta dei dritti fondamentali dell’Unione europea. Esso consiste nel divieto di favoritismi: non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi politici o da gruppi di pressione privati. Il principio di imparzialità è posto a garanzia della parità di trattamento e uguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione. Esso può entrare in tensione con il principio della responsabilità politica delle amministrazioni: i vertici delle pubbliche amministrazioni (ministri, presidenti di regione, sindaci) che costituiscono il punto di raccordo tra amministrazione e politica, sono portati a perseguire obiettivi coerenti con le priorità della propria base elettorale. E siccome gli apparati amministrativi sono i principali erogatori di risorse e di altri benefici, i vertici politici sono portati dal debordare dalla funzione di indirizzo politico-amministrativo che è ad essi propria, cercando di condizionare a fini di parte le scelte amministrative. Il principio di proporzionalità richiede all’amministrazione che opera la valutazione discrezionale il rispetto di tre criteri da applicare in sequenza: idoneità, necessarietà e adeguatezza. Anche il principio di ragionevolezza vincola la discrezione del legislatore, ha un’estensione più ampia rispetto a quella della proporzionalità e assume rilevanza nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi come figura sintomatica dell’eccesso di potere. Il principio del legittimo affidamento mira a tutelare le aspettative ingenerate dalla amministrazione con un proprio atto o comportamento. Diritto europeo: aiuti di Stato. Diritto interno: potere di annullamento d’ufficio del provvedimento amministrativo. Il principio della certezza del diritto ha come destinatario il legislatore, ma implica che anche l’agire dell’amministrazione deve essere prevedibile e coerente nel suo svolgimento. Il principio di precauzione, comporta che, qualora sussistano incertezze in ordine all’esistenza di rischi per la salute delle persone, le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dovere attendere che sia dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. I principi sul provvedimento si riferiscono specificatamente al provvedimento amministrativo, in aggiunta al principio di legalità. Essi sono: Principio della motivazione: obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. Esso richiama anche il principio di trasparenza e il principio dell’imparzialità della decisione. Principio di sindacabilità degli atti: sancito dagli artt. 24 e 113 Cost., gli atti amministrativi che ledono i diritti soggettivi e gli interessi legittimi sono sempre sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice ordinario o del giudice amministrativo. Principi sul provvedimento sono il principio del contraddittorio, principio di pubblicità e trasparenza, principio di certezza dei tempi, principio di efficienza. Il principio di principio di pubblicità e trasparenza rileva in due ambiti complementari: Messa a disposizione della generalità degli interessati di una serie di informazioni riguardanti l’organizzazione e l’attività dell’amministrazione stessa. Diritto di accesso ai documenti amministrativi Capitolo IV Premessa: Il provvedimento viene definito come manifestazione del potere amministrativo volto a disciplinare un rapporto giuridico intercorrente tra la pubblica amministrazione e un soggetto privato avente per oggetto un bene della vita. Nel nostro ordinamento manca una definizione legislativa di atto o provvedimento, sia una disciplina organica delle sue caratteristiche strutturali e funzionali. Il suo regime giuridico si ricava in gran parte dalle disposizioni contenute nella l.241/1990, e in parte dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Un esempio di provvedimento si ha quando viene assunta la decisione di realizzare un’infrastruttura pubblica, come una nuova tratta ferroviaria o autostradale, l’acquisizione dei terreni potrebbe avvenire tramite contratti di compravendita, là dove tutti i proprietari fossero disponibili a cedere la proprietà. Ma in mancanza del consenso, lo Stato ha a disposizione uno strumento coattivo quale l’espropriazione per pubblica utilità. Il provvedimento amministrativo costituisce una manifestazione dell’autorità dello Stato e si colloca al fianco di due atti tipici riconducibili agli altri due poterei dello Stato: la legge e la sentenza. Il provvedimento, così come la sentenza, è assunto all’esito di un procedimento atto a garantire la trasparenza e tutela degli interessi coinvolti. Il regime del provvedimento: a) la tipicità Essa si contrappone all’atipicità dei negozi giuridici privati. La pubblica amministrazione è tenuta a perseguire esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento del potere e può utilizzare soltanto lo strumento giuridico definito dalla norma stessa. In questo senso si può affermare che la tipicità dei poterei e dei provvedimenti amministrativi è un corollario del principio di legalità sostanziale. Costituiscono un’attenuazione le ordinanze contingibili e urgenti che possono essere emanate solo nei casi e per i fini previsti dalla legge, ma non sono tipizzate. Nel senso che la legge lascia all’organo competente la determinazione del contenuto e degli effetti del provvedimento. Si fa riferimento anche alla nominatività in omaggio al principio di legalità formale: l’amministrazione può emanare solo provvedimenti ai quali la legge fa espresso riferimento. Il principio di tipicità e la nominatività escludono che si possano riconoscere in capo all’amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non espressamente previsti dalla legge. b) La c.d. imperatività L’imperatività consiste nell’attitudine di un provvedimento a modificare la sfera giuridica del soggetto privato destinatario senza che sia necessario acquisire il suo consenso. L’imperatività, dunque, coincide con l’unilateralità. L’efficacia del provvedimento non dipende dalla validità del medesimo. Per l’applicazione del principio dell’equiparazione dell’atto invalido all’atto valido anche l’atto illegittimo è in grado di dispiegare i suoi effetti giuridici. Solo il provvedimento affetto da nullità ai sensi dell’art. 21-septies l. n. 241/1990 non ha il carattere dell’imperatività. L’imperatività emerge con più evidenza negli atti amministrativi con effetti ablatori o restrittivi della sfera giuridica del destinatario, ma la relazione giuridica con l’amministrazione non è paritaria nemmeno nel caso degli atti amministrativi emanati su domanda o istanza di parte. Sorge in capo all’amministrazione di avviare il procedimento e di emanare (se il soggetto privato risulti in possesso dei presupposti e requisiti di legge) il provvedimento richiesto. Ma l’effetto giuridico ampliativo viene comunque prodotto in via unilaterale dal provvedimento emanato. Inoltre, l’amministrazione può imporre discrezionalmente prescrizioni e condizioni che talvolta possono risultare molto gravose e per il quale il soggetto privato che ha presentato domanda non ha prestato alcun concesso. c) L’esecutorietà e l’efficacia L’esecutorietà è oggi disciplinata dall’art. 21-ter l. n. 241/1990. Essa può essere definita come il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza dover rivolgersi preventivamente a un giudice allo scopo di ottenere l’esecuzione forzata. L’esecutorietà derogo al principio civilistico del divieto di autotutela, cioè di farsi giustizia da sé. Come esempio di esecutorietà può essere preso l’ordine di abbattimento di un edificio abusivo. Se l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti giuridici, l’esecutorietà opera su quello delle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento amministrativo. A lungo, prima dell’introduzione dell’art. di cui sopra, si è discusso in dottrina circa il fondamento dell’esecutorietà del provvedimento, che è stato rivenuto in passato nella presunzione di legittimità del provvedimento, una connotazione però ideologica che si collegava a una visione autoritaria dei rapporti tra Stato e cittadino. La dottrina ha dimostrato da tempo l’inconsistenza teorica di questo principio che però continua talora ad essere richiamato dalla giurisprudenza. Secondo le conclusioni raggiunte dalla dottrina prevalente, l’esecutorietà non è una caratteristica propria di tutti i provvedimenti amministrativi, ma deve essere di volta in volta prevista dalla legge. L’art. 21-ter, comma 1 precisa infatti che il potere di imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi è attribuito all’amministrazione sono “nei casi e con le modalità stabilite dalla legge”. In relazione ali obblighi che nascono per effetto di un provvedimento amministrativo, questo deve indicare il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Inoltre, essa può avvenire solo previa adozione di un atto di diffida con il quale intima un’ultima volta al privato di porre in essere le attività esecutive., dando luogo ad un procedimento d’ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. L’art-ter, comma 2 cita in modo specifico l’esecuzione delle obbligazioni che hanno come oggetto somme di denaro, precisando che ad esse si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti di Stato. Secondo l’art 21-bis, il provvedimento limitativo acquista efficacia con la comunicazione al destinatario. I provvedimenti limitativi hanno natura di atti recettizi, perché la loro efficacia è subordinata alla comunicazione all’interessato. Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere cautelare e urgente, che sono sempre immediatamente efficaci. Anche i provvedimenti limitativi non aventi carattere sanzionatorio possono contenere una clausola motivata di immediata efficacia. L’esecutività del provvedimento è disciplinata dall’art. 21-quater, secondo il quale i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento amministrativo. In base a tale articolo, l’esecuzione del provvedimento può essere differita o sospesa discrezionalmente dall’amministrazione. d) Inoppugnabilità Un’altra caratteristica del provvedimento è l’inoppugnabilità, che si ha quando decorrono i termini previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo. Azione di annullamento: termine di decadenza di 60gg Azione di nullità: termine di decadenza di 180 gg Azione risarcitoria: può essere proposta in via autonoma (senza la parallela azione di annullamento) nel termine di 120 gg L’inoppugnabilità non esclude che l’amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico esercitando il potere di autotutela: annullamento d’ufficio o revoca. L’inoppugnabilità garantisce la stabilità del rapporto giuridico amministrativo solo sul versante delle possibili contestazioni del soggetto privato. Altre modalità per diventare inoppugnabile: per acquiescenza de parte del suo destinatario. Essa consiste una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento (si discute se abbia rilevanza sostanziale o processuale). Gli elementi strutturali dell’atto amministrativo. L’obbligo di motivazione Anche per l’atto amministrativo possono essere individuati alcuni elementi strutturali che consentono di identificarlo e qualificarlo. Soggetto: organo incaricato di emanare l’atto; si individua in base alle norme sulla competenza. Di regola si tratta di pubbliche amministrazioni, ma in casi particolari anche i soggetti privati sono titolari di poterei amministrativi. Volontà: il provvedimento amministrativo è manifestazione della volontà dell’amministrazione. I vizi di volontà non determinano, come per il negozio privato, bensì rilevano tutt’al più, in via indiretta come figura sintomatica dell’eccesso di potere. Oggetto del provvedimento: cosa, attività o situazione soggettiva cui il provvedimento si riferisce. Esso dev’essere determinato o quantomeno determinabile. Contenuto: si trova nella parte dispositiva dell’atto, consiste in “ciò che con esso l’autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare”. Il contenuto dell’atto discrezionale può essere integrato con clausole accessorie che fissano condizioni e altre prescrizioni particolari (c.d. clausole accessorie). Esse non possono alterare il contenuto del provvedimento e devono essere coerenti con il fine pubblico previsto dalla legge attributiva del potere. Motivi: ragioni di interesse pubblico poste alla base del provvedimento Motivazioni: da cui si ricavano le ragioni (i motivi) che sono alla base dell’atto amministrativo, è la parte del provvedimento contenuta nell’art.3 l. n. 241/1990. Nel caso in cui il provvedimento si basi su una pluralità di motivi, basta che uno solo sia legittimo per escluderne l’annullabilità (c.d. prova di resistenza). L’obbligo di motivazione, al cui violazione può essere causa di annullabilità, costituisce uno dei principi generali degli atti amministrativi che lo differenzia sia da quelli legislativi che da quelli negoziali. La motivazione ha tre funzioni: Promuovere la chiarezza e la trasparenza dell’azione amministrativa Rendere più agevole l’interpretazione del provvedimento amministrativo Garanzia per il soggetto privato che subisca dal provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più incisivo sull’operato dell’amministrazione Dalla motivazione dev’essere possibile ricostruire in modo puntuale l’iter logico seguito dall’amministrazione per addivenire ad una certa determinazione. La motivazione può anche essere per relationem, cioè con rinvio ad altro atto acquisito al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni. La motivazione assume particolare importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre in quelli vincolati essa può essere limitata all’enunciazione dei presupposti di fato e di diritto che giustificano l’esercizio del potere. L’art. 3 esclude dall’obbligo di motivazione gli atti normativi e quelli a contenuto generale. Sulla motivazione si è acceso di recente un dibattitto in particolare su: Art. 10-bis: prima di rigettare formalmente l’istanza di un privato, l’amministrazione deve comunicare all’interessato i motivi per i quali la domanda non può essere accolta. Art. 6: l’organo competente ad adottare un provvedimento amministrativo, ove ritenga di discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, deve indicare nella motivazione le ragioni. Da ultimo, l’obbligo di motivazione è stato introdotto anche per gli accordi amministrativi e privati aventi per oggetto il contenuto discrezionale del procedimento. L’art. 21-octies, comma 2, esclude che il provvedimento possa essere annullato per vizi formali o procedurali ove il contenuto dispositivo del medesimo in ogni caso non avrebbe potuto essere diverso. Si discute quindi se la motivazione abbia perso almeno in parte la sua rilevanza e possa essere dequotata a vizio meramente formale. Ciò che è importa è che la decisione sia sorretta da ragioni valide, che possano emergere magari anche nel corso del giudizio amministrativo instaurato per sindacare la legittimità dell’atto. Forma: di regola è richiesta quella scritta (in alcuni casi può essere esternato oralmente). In seguito al processo di informatizzazione, l’atto può essere sottoscritto con la firma digitale e comunicato utilizzando le tecnologie informatiche. L’atto amministrativo può assumere a determinate condizioni la veste formale di un accordo tra l’amministrazione titolare del potere e il privato destinatario degli effetti volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento. L’art. 11 prevede al riguardo i cosiddetti accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento per i quali è prevista, a pena di nullità, la forma scritta. L’art. 21-septeies fa riferimento agli “elementi essenziali” del provvedimento, la mancanza dei quali costituisce una delle cause di nullità. Gli elementi essenziali non sono elencati in modo puntuale dalla legge ma sono individuati in via interpretativa. Piano descrittivo atto amministrativo: Indica nell’intestazione l’autorità emanante Contiene nel preambolo i riferimenti alle norme legislative e regolamentari che fondano il potere esercitato Richiama gli atti endoprocedimentali e altri atti ritenuti rilevanti La motivazione enuncia nel dispositivo la determinazione o statuizione finale Menziona l’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere contro l’atto e il termine entro il quale il ricorso va proposto I provvedimenti ablatori reali, provvedimenti ordinatori e le sanzioni amministrative L’art. 21-bis stabilisce che i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari acquistano efficacia con la comunicazione formale a questi ultimi, qualificandoli come atti recettizi. La stessa disposizione individua come subcategoria i provvedimenti sanzionatori che non possono mai contenere una clausola di immediata efficacia. Le principali subcategorie di provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari sono i provvedimenti ablatori, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori. Provvedimenti ablatori (reali, personali, obbligatori): essi sono atti autoritativi che restringono la sfera patrimoniale e personale del destinatario, estinguendo o modificando una situazione giuridica soggettiva attraverso l’imposizione di prestazioni (imposte o tributi), o obblighi di fare o di non fare. - Provvedimenti ablatori reali: Espropriazione per pubblica utilità: in essa si manifesta il massimo grado di conflitto tra l’interessa pubblico e gli interessi privati. Esso trova un punto di composizione, da un lato, nel consentire alla pubblica amministrazione – all’esito di un procedimento articolato – di trasferire coattivamente il diritto di proprietà; dall’altro il privato ha diritto ad un indennizzo che non deve essere necessariamente uguale al valore di mercato, ma che non può nemmeno essere irrisorio. Occupazione temporanea preordinata all’espropriazione di opere dichiarate indifferibili e urgenti che consente la presa in possesso e l’avvio immediato dei lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriativo. Provvedimenti ordinatori: tra i provvedimenti ablatori personali rientrano gli ordini amministrativi e i provvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare puntuali. Ordine: provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata. Nelle organizzazioni è lo strumento in base al quale il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida l’attività dell’organo o dell’ufficio sovraordinato. Esso presuppone che l’ambito della competenza di quest’ultimo sia inclusa nell’ambito della competenza del primo. L’impiegato deve eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico. Se l’ordine appare palesemente illegittimo, l’impiegato è tenuto a farne rimostranza motivata al superiore, il quale ha sempre il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo caso, l’impiegato è tenuto a darvi esecuzione a meno che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale. Gli ordini amministrativi possono essere previsti anche in casso di rapporti intersoggettivi tra amministrazione titolare del potere e i soggetti privati destinatari. Ordine di polizia: tra di essi vi è l’invito a comparire dinnanzi all’autorità di pubblica sicurezza entro un termine assegnato, la cui inosservanza è sanzionata anche penalmente. Oppure di sciogliere una riunione o un assembramento che metta in pericolo l’ordine pubblico. L’effettività di questo genere di provvedimenti è rafforzata da una figura di un reato che punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato da un’autorità amministrativa, emanato per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico. Esempi di obblighi comportamentali: essi hanno contenuto prescrittivo ordinatorio. Per esempio, in materia bancaria e creditizia, la Banca d’Italia può emanare nei confronti delle banche vigilate provvedimenti specifici riguardanti l’adeguatezza patrimoniale. - Diffida: ordine di cessare da un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. In caso di inottemperanza la diffida può comportare l’applicazione di sanzioni di tipo amministrativo. Es: controllo degli scarichi di acque inquinanti. Sanzioni amministrative: esse sono volte a reprime illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva. Sono previste sia dalle leggimi ammnistrative sia in caso di violazione di precetti (codice della strada) che di provvedimenti (TU enti locali). La legge 689/1981, che detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiama una serie di principi penalistici: Principio della legalità: nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in virtù di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione. Principio della personalità: capacità di intendere e di volere, non trasmissibilità agli eredi. Le sanzioni amministrative sono riconducibili a più tipi: pecuniarie, interdittive, disciplinari. Sanzioni pecuniarie: fanno sorgere l’obbligo di pagare una somma di denaro determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma. L’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito. L’obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60 giorni dalla contestazione. Sanzioni interdittive: incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della patente). Sanzioni disciplinari: si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le PA e sono volte a colpire comportamenti posti in violazione di obblighi speciali collegati allo status particolare. A seconda della gravità dell’illecito consistono in: ammonizione, sospensione dal servizio o dall’albo, radiazione da un albo, destituzione. Esse sono regolate da leggi speciali e sono dunque escluse dall’ambito di applicazione della disciplina generale posta dalla l.n.689/1981. Sul pian funzionale va posta anche la distinzione tra sanzioni in senso proprio e sanzioni ripristinatorie. Sanzioni in senso proprio: hanno una valenza essenzialmente repressiva e punitiva del colpevole. Sanzioni ripristinatorie: hanno come scopo principale quello di reintegrare l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito. Le sanzioni amministrative sono applicate, di regola, soltanto nei confronti della persona fisica del trasgressore. La persona giuridica può essere chiamata a rispondere solo a titolo di responsabilità solidale. Di recente è stata introdotta una particolare forma di responsabilità amministrativa per fatto proprio delle imprese e degli enti “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”. Questa responsabilità sorge direttamente in capo all’ente per “reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” dagli amministratori e dipendenti. (truffa in danno dello Stato, concussione, riciclaggio di denaro sporco). La responsabilità amministrativa degli entri comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive come la sospensione e la revoca di autorizzazioni e licenze. L’ente può sottrarsi alla responsabilità solo se dimostra di aver adottato modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione da parte degli amministratori e dipendenti dei reati. Le attività libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva. I provvedimenti amministrativi con effetti ampliativi della sfera giuridica del destinatario sono essenzialmente quelli di tipo autorizzativo. L’attività dei privati, in linea di principio, è libera. Nel senso che essa è sottoposta esclusivamente al diritto comune. Vale cioè la regola che è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato, salvi i limiti generali posti dall’ordinamento civile e dai prinicipi come quello del neminem laedere. Tuttavia, nei casi in cui l’attività dei privati può interferire o mettere a rischio un interesse della collettività, si giustificano regole speciali volte a porre prescrizioni e vincoli particolari. Il rispetto delle leggi amministrative può essere assicurato in un primo gruppo di casi attraverso un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi e sanzionatori nei casi in cui vengano accertati violazioni. Per agevolare i controlli effettuati dall’amministrazione, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente a una pubblica amministrazione l’intenzione di intraprendere un’attività. Comunicazione avvio attività possono essere contemporanee o con la previsione di un termine minimo tra la prima e la seconda. La segnalazione certificata d’inizio attività. La fattispecie delle attività libere regolate da leggi di tipo amministrativo e sottoposte a un regime di comunicazione preventiva è ora disciplinata in termini generali dall’art. 19 n. 241/1990 – SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). La SCIA riconduce una serie di attività, per le quali in precedenza era previsto un controllo preventivo sotto forma di autorizzazione, licenza, permesso etc, a un regime meno intrusivo di controllo successivo, effettuato dall’amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di inizio attività. Il privato deve corredare la segnalazione con un’autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di dichiarazioni mendaci scattano sanzioni amministrative e penali. La SCIA, a differenza di quanto accade per i regimi di tipo autorizzatorio in senso proprio (anche quelli sottoposti al silenzio-assenso), non ha la natura di un’istanza, ma ha solo la funzione di consentire all’amministrazione di verificare se l’attività in questione è conforme alle norme amministrative e di richiedere se del caso informazioni e chiarimenti. In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti”, nel termine di 60 giorni, può richiedere al privato di conformare l’attività della normativa vigente entro un termine fissato. Ove ciò non avvenga, emana un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell’attività e rimozione dei suoi effetti. L’amministrazione esercita cioè un potere d’ufficio che può sfociare in un provvedimento di tipo ordinatorio. Le attività sottoposte al regime della SCIA restano dunque libere anche se conformate da un regime amministrativo. Anche dopo la scadenza del termine dei 60 giorni per l’attività di controllo, l’amministrazione può esercitare i poteri di vigilanza prevenzione e controllo previsti e persino attivare il potere di annullamento d’ufficio e revoca se vi è il pericolo di un danno patrimoniale, artistico e culturale. Il capo di applicazione della SCIA è definito dall’art.19 l.n. 241/1990. Esso pone un criterio generale in base al quale la SCIA sostituisce di diritto ogni atto di tipo autorizzativo “il cui rilascio dipenda esclusivamente all’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”. Un secondo criterio è che deve trattarsi di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di programmazione di settore. Ma l’art. 19 prevede anche alcune esclusioni allorché entrino in gioco: Interessi pubblici particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza) Atti autorizzativi imposti dalla normativa europea. Secondo alcune ricostruzioni la SCISA sarebbe una forma di autoamministrazione dei privati, resa possibile proprio dalla presenza di requisiti e presupposti vincolanti. Quindi, il soggetto interessato valuta autonomamente la propria situazione d emana, per così dire, l’atto autorizzativo “in luogo dell’amministrazione”. Altre ricostruzioni più recenti riconducono la SCIA all’ambito delle attività libere, anche se conformate dalle leggi amministrative e sottoposte a vigilanza da parte delle autorità pubbliche. È rimasta a lungo tempo incerta la tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella propria sfera giuridica per effetto dell’avvio dell’attività. Il legislatore ha chiarito la questione: La SCIA, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività on costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, rivolgersi al giudice per far accertare l’obbligo di provvedere. Le autorizzazioni e le concessioni L’instaurazione di un rapporto giuridico amministrativo con la pubblica amministrazione titolare del potere di controllo ex post si ha solo con l’avvio del procedimento d’ufficio volto a contestare la violazione delle norme amministrative. La scelta da parte dell’amministratore tra i due modelli di controllo ex ante ed ex post richiede una valutazione caso per caso. Secondo il d.lgs 59/2010 “i regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale”. L’autorizzazione preventiva è ammessa quando l’obiettivo della tutela dell’interesse pubblico “non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva”. La Costituzione, per evitare limitazioni arbitrarie nell’esercizio di alcuni diritti fondamentali, pone: il divieto di introdurre regimi autorizzatori che condizionano il diritto di associazione e di stampa prevede, nel caso delle riunioni in luogo pubblico, che possa essere imposto solo un obbligo di preavviso Nell’ambito del modello del controllo ex ante sulle attività dei privati vanno considerate principalmente: Autorizzazioni: secondo una definizione classica, l’autorizzazione è l’atto con il quale l’amministrazione rimuove un limite all’esercizio di un diritto soggettivo del quale è già titolare il soggetto che presenta la domanda. Il suo rilascio presuppone una verifica della conformità dell’attività ai parametri normativi posti a tutela dell’interesse pubblico. Esse danno dunque origine a diritti soggettivi in attesa di espansione, il cui esercizio è sottoposto a una verifica preventiva a tutela di un interesse pubblico da parte di una PA. Il soggetto privato vanta una posizione di interesse legittimo pretensivo che fa coppia con il diritto soggettivo preesistente. Concessioni: è l’atto con il quale l’amministrazione attribuisce ex novo o trasferisce la titolarità di un diritto soggettivo in capo a un soggetto privato. Nel rapporto giuridico che si instaura, il privato diventa titolare di un interesse legittimo pretensivo. Solo in seguito all’emanazione del provvedimento concessorio sorge in capo al privato un diritto soggettivo pieno che può essere fatto valere anche nei confronti di terzi. Sul piano funzionale: Autorizzazione è uno strumento di controllo da parte dell’amministrazione sullo svolgimento dell’attività allo scopo di verificare preventivamente che essa non si ponga in contrasto con le norme che definiscono i presupposti e requisiti. L’autorizzazione spesso si esaurisce uno actu, cioè senza che si instauri una relazione stabile che l’amministrazione che vada al di là di una generica attività di vigilanza. Concessione instaura in molti casi un rapporto di lunga durata con il concessionario caratterizzato da diritti e obblighi reciproci e da poteri di vigilanza più continuativa. La concessione è spesso uno strumento attraverso il quale l’amministrazione, anziché provvedere con le proprie strutture alla gestione di beni e servizi, l’affida a soggetti privati la gestione dei beni (esternalizzazione). Le concessioni si suddividono in due subcategorie a valenza meramente descrittiva: Concessioni traslative: trasferiscono in capo a un soggetto privato un diritto o un potere del quale è titolare l’amministrazione. Es: concessione dell’uso di un bene demaniale per l’installazione di uno stabilimento balneare. Concessioni costitutive: attribuiscono a un soggetto privato un nuovo diritto. Es: onorificenza j k h Quanto all’oggetto, invece le concessioni sono di più specie. Concessioni di beni pubblici: come in particolare i beni demaniali sui quali possono essere attribuiti diritti di suo esclusivo. Concessioni di servizi pubblici o attività sottoposte a un regime di monopolio legale o di riserva di attività a favore dello Stato. Concessione di lavori o di servizi assimilate a normali contratti. Alcuni tipi di sovvenzioni, sussidi e contributi di denaro pubblico erogati per il perseguimento di interessi pubblici: sociali, economici, culturali, art.12 La bipartizione delle autorizzazioni e delle concessioni apparve fin dall’inizio troppo rigida e inadatta a inquadrare una realtà molto più variegata e complessa. Vennero così individuate, all’interno di ciascuna categoria, alcune fattispecie intermedie. [Giannini:] Distinzione tra: Autorizzazioni costitutive Autorizzazioni permissive: operano come fatti permissivi od ostativi all’esercizio di una determinata attività con funzione talvolta di mero controllo di quest’ultima Autorizzazioni ricognitive: volte in prevalenza a valutare l’idoneità tecnica di persone o di cose. Tra le categorie ibride vanno menzionate anche le licenze, aventi due caratteristiche: Riguardano attività nelle quali non sono rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei soggetti privati Il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo tecnico o discrezionale o di coerenza con un quadro programmatorio che ne comporti la limitazione. Storicamente le autorizzazioni e le concessioni vennero inquadrate all’interno della teoria del provvedimento amministrativo, inteso come atto d’imperio unilaterale, espressione della sovranità dello Stato. Alle autorizzazioni e alle concessioni venne riconosciuto un carattere unilaterale, pur in presenza di una volontà del privato espressa attraverso la presentazione dell’istanza; autoritativo, anche nei casi di autorizzazioni integralmente vincolate, nelle quali l’atto sembra avere una valenza meramente ricognitiva di un effetto che scaturisce direttamente dalla lege. La dottrina e la giurisprudenza elaborarono la nozione di concessione-contratto, con il quale il fenomeno concessorio si sdoppia in due componenti: Provvedimento: volto ad attribuire al concessionario il diritto di svolgere una certa attività Contratto o convenzione: volti a regolare su base paritaria i diritti e gli obblighi delle parti nell’ambito di un rapporto di durata. La distinzione tra autorizzazioni e concessioni ha richiesto un ripensamento complessivo sia alla luce del diritto europeo sia alla luce del diritto interno. La direttiva servizi 2006/123/CE, recepita con d.lgs. n. 59/2010 dà una definizione ogni comprensiva di regime autorizzatorio: “qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi a un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio o al suo esercizio”. Il regime autorizzatorio comprende tutte le procedure per il rilascio di “autorizzazioni, licenze, approvazioni o concessioni”, oltre l’obbligo “di essere iscritto in un albo professionale, in un registro ruolo o in una banca dati”. Numerose direttive europee emanate nell’ultima parte del secolo scorso hanno trasformato i regimi di concessione discrezionale in regime di autorizzazione vincolata o conforme al diritto europeo. Uno dei primi casi riguardò il sistema creditizio. Una direttiva degli anni Settanta del secolo scorso pose il divieto di subordinare l’avvio dell’attività bancario a valutazioni discrezionali e in particolare al criterio del cosiddetto “bisogno di mercato”. Oggi il TU in materia bancaria e creditizia precisa che: L’attività bancaria ha carattere d’impresa Subordina il rilascio dell’autorizzazione a una serie di condizioni oggettive che attribuiscono alla Banca d’Italia solo spazi di valutazione tecnica. Le direttive di liberalizzazione emanate verso la fine del secolo scorso hanno interessato i grandi servizi pubblici. Da qui la sostituzione dei regimi concessori con regimi di autorizzazioni vincolate. In termini più generali, il d.lgs. n. 59/2010 enuncia il principio che l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi “costituiscono espressione della libertà di iniziativa economia e non possono essere giustificati o discriminatorie” e pone l’applicazione del principio di proporzionalità. Esso individua una serie di requisiti di accesso all’attività vietati in modo assoluto perché non giustificati o discriminatori (es: residenza italiana). Enumera una serie di requisiti ammessi solo in presenza di un motivo imperativo di interesse generale, così come definito dallo stesso decreto in un elenco tassativo: (ordine e sicurezza pubblica, sanità, tutela dei lavoratori, ambiente…). Nei casi in cui il numero delle autorizzazioni deve essere limitato, il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione pubblica sulla base di criteri resi pubblici, atti ad assicurare l’imparzialità. Le condizioni alle quali i regimi autorizzatori subordinano l’accesso e l’esercizio di un’attività di servizi devono essere: Non discriminatorie Giustificate da un motivo di interesse generale Chiare e inequivocabili Oggettive Rese pubbliche preventivamente La distinzione più rilevante è tra atti autorizzativi vincolanti e discrezionali. Secondo questa dottrina, tra l’altro minoritaria, nelle prime l’atto amministrativo è fonte diretta dell’effetto giuridico prodotto secondo lo schema N-F-P-E. Nelle seconde l’effetto giuridico si ricollega direttamente al verificarsi di un fatto sussumibile nella norma. Gli atti dichiarativi Negli atti dichiarativi amministrativi il momento tipico dei provvedimenti è assente, e va riconosciuta una funzione meramente ricognitiva e dichiarativa finalizzata alla produzione di certezze giuridiche. Sono atti dichiarative: Certificazioni: dichiarazione di scienza effettuate da una pubblica amministrazione in relazione ad “atti, fatti, qualità, e stati soggettivi”. La funzione di certezza pubblica si realizza con due modalità: la tenuta e l’aggiornamento di registri, albi, elenchi; la messa a disposizione ai soggetti interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni che costituiscono la modalità tradizionale per dimostrare il possesso di presupposti e requisiti richiesti a privati per poter svolgere molte attività. L’art. 18 e TU sulla documentazione amministrativa prevedevano de modalità alternative alle certificazioni: o Le PA dovrebbero scambiarsi d’ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i soggetti privati dell’onere di ottenere il rilascio dei certificati. o Autodichiarazione: dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità dal soggetto. Se l’autocertificazione è falsa possono essere irrogate sanzioni anche di tipo penale. In caso di dichiarazioni mendaci e false attestazioni, al privato è negata la possibilità di conformare l’attività alla legge sanando la propria posizione. Viene altresì disposta nei suoi confronti la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti dal provvedimento emanato sia in base alla dichiarazione non veritiera. Atti paritetici: atto meramente ricognitivo di un assetto già definito in tutti i suoi elementi nella norma attributiva di un diritto soggettivo. Verbalizzazioni: narrazione storico giuridica da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e operazioni avvenuti in sua presenza. Atti amministrativi non provvedimentali: Pareri Valutazioni tecniche: manifestazioni di giudizio da parte di organi ed enti pubblici contenenti valutazioni in ordine a interessi pubblici secondari o elementi di carattere tecnico che l’amministrazione titolare del potere amministrativo e competente ad emanare un provvedimento amministrativo deve tenere in considerazione. Altre classificazioni: atti collegiali, atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione I provvedimenti amministrativi possono essere classificati anche in base ad altri criteri: Criterio dei destinatari del provvedimento: o Atti amministrativi generali: si rivolgono a classi omogenee più o meno ampie di soggetti o Atti collettivi: si riferiscono a categorie, generalmente ristrette, di soggetti considerati in modo unitario, ma a differenza degli atti generali sono individuati con precisione individualmente. o Atti plurimi: rivolti ad una pluralità di soggetti, ma i loro effetti sono scindibili n relazione a ciascun destinatario, a differenza degli atti collettivi. Criterio della natura della funzione esercitata e dell’ampiezza della discrezionalità: o Atti di alta amministrazione: hanno una natura amministrativa, anche se sono caratterizzati da un’amplissima discrezionalità. Es: provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei ministri. In quanti atti amministrativi devono essere motivati e sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo. o Atti politici: non sono impugnabili. In essi rientrano gli atti che, a differenza di quelli amministrativi, sono liberi nel fine e che sono emanati da un organo costituzionale. Criterio della provenienza soggettiva del provvedimento: o Organo competente di tipo monocratico o Provvedimento emanato è espressione della volontà di più organi o soggetti e quindi ha natura di atto complesso o Atti collegiali: il provvedimento è emanato da un organo composto da una pluralità di componenti designati con fari criteri. Le delibere assunte dagli organi collegiali richiedono un quorum costitutivo e un quorum deliberativo. Invalidità dell’atto amministrativo L’efficacia del provvedimento non è condizione della validità del medesimo. Si è richiamata anche la disposizione della l.n. 241/1990 che qualifica come nullo l’atto che manca nei suoi elementi essenziali. Innanzitutto, non tutti i casi di difformità tra il provvedimento e le norme che lo disciplinano danno origine a invalidità. Le conseguenze di tali difformità possono infatti essere variamente graduate dal diritto positivo. In caso di imperfezioni minori, l’atto è semplicemente irregolare ed è suscettibile di rettifica o regolarizzazione. Si ha invalidità allorché la difformità tra atto e norme determina una lesione degli interessi tutelati dalla norma e incide sull’efficacia dell’atto in modo più o meno radicale sotto forma di nullità o annullamento. (Peralto, l’annullabilità non è più ammessa per alcuni vizi meramente formali e si discute se questi siano classificabili ancora come casi di invalidità. In sede di teoria generale, opera una distinzione tra: Norme che regolano una condotta: impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti. I comportamenti che le violano sono qualificabili come illeciti e contro di essi l’ordinamento reagisce in vario modo. (Sanzioni penali, obbligo di risarcimento). Norme che conferiscono poteri: i comportamenti che le violano sono qualificabili come invalidi e contro di essi l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’invalidità può essere definita più precisamente come la difformità di un negozio o di un atto dal suo modello legale. Essa può essere sanzionata secondo due modalità: Inidoneità dell’atto a produrre gli effetti giuridici tipici: nullità Inidoneità a produrli in via precaria, cioè fintanto che non intervenga un giudice (o altro organo) che accerta l’invalidità e rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti medio tempore: annullamento. Il regime dell’invalidità del provvedimento amministrativa si ispira, ma non coincide, a quello del diritto civile. Nel diritto civile la nullità ha carattere atipico, sanzionando con la nullità tuti i casi di contrarietà del contratto a norme imperative. Rimette all’interprete la valutazione caso per caso in ordine al carattere imperativo o meno della norma violata “nullità virtuale”. La nullità del provvedimento amministrativo invece è prevista in relazione a poche ipotesi tassative, mentre la violazione delle norme attributive del potere viene attratta nel regime ordinario dell’annullabilità. Questa differenza si spiega per il fatto che nel diritto civile di norme le regole hanno carattere dispositivo. Nel diritto amministrativo invece, le norme attributive del potere hanno di regola carattere imperativo. Il regime dell’annullabilità costituisce il regime ordinario del provvedimento amministrativo invalido, mentre la nullità è categoria residuale del diritto amministrativo. L’invalidità può essere (e vale anche per il provvedimento amministrativo): Totale: investe l’atto intero Parziale: investe parte dell’atto, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non affetta dal vizio. Es: esclusione dalla graduatoria di un partecipante per assenza di requisiti non comporta la caducazione dell’intero atto di approvazione della medesima. L’invalidità di un provvedimento può essere: propria, derivata, originaria, sopravvenuta Propria: assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto. Derivata: discende per propagazione dell’invalidità di un atto presupposto Effetto caducante: travolge in modo automatico l’atto assunto sulla base dell’atto invalido Effetto invalidante: l’atto effetto da invalidità derivata conserva i suoi effetti fin tanto che non venga annullato; questo effetto si verifica in presenza di un rapporto di stretta causalità tra i due atti. Passando a considerare l’invalidità originaria e sopravvenuta, va premesso che in linea di principio trova applicazione il principio del tempus regit actum, secondo il quale la validità di un provvedimento si determina in base alle norme in vigore al momento della sua adozione. Originaria Sopravvenuta: si ha nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova leggere rende viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non i tratti di rapporti esauriti. È stata elaborata anche una distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell’amministrazione: Meri comportamenti: assunti in violazione di una norma di relazione, lesivi di un diritto soggettivi e ascrivibili alla categoria della illiceità. Essi sono equiparabili a un qualsivoglia comportamento posto in essere da un soggetto privato non conforme alle norme civilistiche. Comportamenti nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e l’attività materiale esecutiva posta in essere dall’amministrazione integra una violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo fluire l’intera disciplina nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. La questione è sorta a proposito dell’espropriazione per pubblica utilità, dove è emersa la contrapposizione tra occupazione usurpativa e occupazione appropriativa. Occupazione usurpativa: si ha quando il terreno viene occupato in carenza di qualsivoglia titolo. Si tratta di illeciti e sono sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario. Occupazione appropriativa: l’occupazione avviene nell’ambito di una procedura di espropriazione, ancorché illegittima. Secondo la Corte Costituzionale, i comportamenti costituiscono “esercizio, ancorché viziato dall’illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione” e pertanto sono inclusi nella giurisdizione del giudice amministrativo. Disciplina invalidità: l.n.241/1990 e Codice del processo amministrativo Disciplina annullabilità: art. 21-octies l.n. 241/1990 e art. 29 Codice del processo amministrativo. Entrambe le disposizioni ricomprendono la tripartizione tradizionale dei vizi di legittimità: o Incompetenza o Eccesso di potere o Violazione di legge Disciplina nullità: art.21-septies l.n. 241/1990 (che individua 4 ipotesi tassative) e art. 31, comma 4 Codice del processo amministrativo, e art 263 TFUE, il quale prevede 4 ipotesi: o Incompetenza o Violazione delle forme sostanziali o Violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione o Sviamento di potere Anche nel diritto europeo, il regime ordinario dell’invalidità è quello dell’annullabilità. Annullabilità L’atto amministrativo affetto da incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge viene qualificato come illegittimo (e pertanto suscettibile di annullamento). Annullabilità e illegittimità sono usati in modo intercambiabile, tuttavia non si può ritenere che tutti gli atti illegittimi siano annullabili. L’atto non annullabile resta pur sempre illegittimo (art.21-octies l.n. 241/1990 riferimento all’annullabilità). La stessa tripartizione tradizionale dei vizi che possono essere causa di annullabilità ha una rilevanza ridotta dopo che la Costituzione ha sancito che la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Sono state dichiarate incostituzionali le leggi amministrative emanate soprattutto durante il periodo autoritario, che sottraevano al giudice amministrativo alcune tipologie di vizi e alcuni tipi di provvedimenti. Inoltre, le conseguenze dell’annullamento non cambiano in relazione al tipo di vizio accertato. L’annullamento elimina comunque l’atto e i suoi effetti in modo retroattivo e l’amministrazione deve fare il possibile per ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui si sarebbe trovato il destinatario ove quest’ultimo non fosse stato emanato (effetto ripristinatorio). Ciò che varia in funzione del vizio è l’effetto conformativo dell’annullamento, cioè il vincolo che sorge in capo all’amministrazione nel momento in cui essa emana un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato. Da questo punto di vista la distinzione più rilevante è tra i vizi formali: Vizio natura formale o procedurale (errori in procedendo) non è da escludere che l’amministrazione, una volta sanato il vizio possa emanare un nuovo atto dal contenuto identico a quello dell’atto annullato. Vizio natura sostanziale (errori in judicando): l’amministrazione non potrà reiterare l’atto annullato., Il consiglio di Stato ha stabilito che l’atto viziato continui a produrre i propri effetti fintanto che l’amministrazione non provveda a modificarlo o a sostituirlo entro un termine assegnato. Sul versante procedurale, l’art. 29 Codice del processo amministrativo conferma il regime tradizionale secondo cui contro il provvedimento affetto da violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere può essere proposta l’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo nel termine di decadenza di 60 giorni. L’annullabilità non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma in base al principio dispositivo, può essere pronunciata solo in seguito alla domanda proposta nel ricorso. Il quale deve indicare anche in modo specifico i profili di vizio denunciati (motivi del ricorso). L’art. 30 stabilisce inoltre che insieme all’azione di annullamento può essere proposta anche l’azione risarcitoria. a) Incompetenza L’incompetenza è un vizio del provvedimento adottato da un organo o da un soggetto diverso da quello indicato dalla norma attributiva del potere. Si tratta dunque di un vizio che attiene all’elemento soggettivo dell’atto. Si distingue generalmente tra: Incompetenza relativa: l’atto emanato viene emanato da un organo che appartiene alla stessa branca, settore o plesso organizzativo. Incompetenza assoluta: determina nullità o carenza di potere (difetto di attribuzione). Si ha allorché sussiste un’assoluta estraneità sotto il profilo soggettivo e funzionale tra l’organo che ha emanato l’atto e quello competente. Sul piano meramente descrittivo, il vizio di incompetenza può essere per: Materia: attiene alla titolarità della funzione Grado: attiene all’articolazione interna degli organi negli apparati organizzati secondo il criterio gerarchico Territorio: attiene agli ambienti nei quali gli enti territoriali possono operare. Si fa riferimento anche alla competenza per valore che assume rilievo per lo più all’interno di apparati pubblici con riguardo la ripartizione tra i vari organi del potere di emanare provvedimenti che comportino esborsi di spesa. b) La violazione di legge La violazione di legge è considerata una categoria generale residuale perché in essa confluiscono i vizi che non sono qualificabili come incompetenza o eccesso di potere. Essa raggruppa tutte le ipotesi di contrasto tra il provvedimento e le disposizioni normative contenute in fonti di rango primario e secondario. La principale distinzione interna è quella tra vizi formali e vizi sostanziali. L’art. 21-octies, comma 2 l. n. 241/1990 enuclea la “violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti”, cioè una sub categoria dei vizi formali (errores in procedendo) che, a certe condizioni, sono dequotati a vizi che non determinano l’annullabilità del provvedimento. La disposizione pone due condizioni: Il provvedimento abbia natura vincolata, che sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Risulti palese che anche in assenza del vizio formale o procedurale rilevato, il contenuto del provvedimento sarebbe rimasto invariato. In questo caso il provvedimento non può essere annullato né dal giudice amministrativo nell’ambito di un giudizio di impugnazione, né dalla stessa amministrazione. Il secondo periodo dell’art. 21-octies, comma 2 l. n. 241/1990 individua un’ipotesi particolare costituita dall’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento disciplinato dall’art. 7 della medesima legge. Eguale è l’operazione richiesta all’interprete, e cioè una ricostruzione di quello che sarebbe stato l’esito del procedimento ove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la conclusione è che l’atto non avrebbe potuto essere diverso, l’atto non può essere annullato. La disposizione presenta due specificità: Manca il riferimento alla natura vincolata del potere Si richiede all’amministrazione che ha emanato l’atto di dimostrare in giudizio che il vizio procedurale o formale accertato non ha avuto alcuna influenza sul contenuto del provvedimento. L’onere della prova grava sull’amministrazione nei confronti della quale sia stato proposto un ricorso per l’annullamento del provvedimento viziato. In questa particolare ipotesi si ha un ampliamento dell’oggetto del giudizio agli elementi forniti dall’amministrazione per dimostrare che il vizio formale non ha inciso sul contenuto del provvedimento impugnato. L’irregolarità del provvedimento può essere definita come un’imperfezione minore del provvedimento che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d’azione. Es: erronea indicazione di un testo di legge o di una data. L’irregolarità non rende invalido il provvedimento che è suscettibile di regolarizzazione, attraverso la rettifica del provvedimento. L’art. 21-octies, comma 2, ha stabilito che soltanto per taluni atti illegittimi l’annullamento costituisce una reazione dell’ordinamento da ritenersi non proporzionata, il visto che il provvedimento risulta sostanzialmente legittimo. A certe condizioni può essere prevista la responsabilità disciplinare nei confronti del funzionario al quale sia imputabile la violazione formale o procedurale riscontrata. c) L’eccesso di potere L’eccesso di potere è il vizio di legittimità tipico dei provvedimenti discrezionali. Esso mette il giudice nella condizione di operare un sindacato che può spingersi fino alle soglie del merito amministrativo. L’eccesso di potere è stato definito come vizio della funzione, intesa come la dimensione dinamica del potere che attualizza e concretizza la norma astratta attributiva del potere in un provvedimento produttivo di effetti. La figura originaria dell’eccesso di potere è lo sviamento di potere. Esso consiste nella violazione del vincolo del fine pubblico posto dalla norma attributiva del potere. Una siffatta violazione sia quando il provvedimento emanato persegue un fine diverso da quello in relazione alla quale il potere è stato conferito dalla legge all'amministrazione. (Esempio: Il trasferimento di ufficio di un dipendente pubblico che in realtà ha una finalità punitiva). Nella pratica lo sviamento di potere è difficile da provare in quanto il provvedimento, all'apparenza, si presenta come perfettamente conforme alle disposizioni normative. Ciò ha indotto la giurisprudenza a rilevare il vizio in via indiretta attraverso elementi indiziari del cattivo esercizio del potere discrezionale costituiti dalle cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere. Errore o travisamento di fatti: il provvedimento viene emanato sul presupposto, richiamato dall'alto stesso, dell'esistenza di un fatto/circostanza che invece risulta inesistente. O viceversa, della non esistenza di un fatto. Si ha dunque un errore nella ricostruzione dei fatti. Difetto di istruttoria: nella fase istruttoria del procedimento l'amministrazione è tenuta ad accettare in modo completo i fatti. Ove questa attività ma anche del tutto sia effettuato in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell'eccesso di potere per difetto di istruttoria. Annullato l’atto e posta in essere una nuova istruttoria l'amministrazione potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. Difetto di motivazione: La motivazione può essere insufficiente, incompleta o generica se da essa non si manifesta compiutamente la procedura logica seguita dall’iter amministrativo e non emergano le ragioni sottostanti la scelta operata. La l. n. 241/1990 contiene alcune disposizioni che specificano il contenuto minimo della motivazione. La motivazione può essere illogica e contraddittoria, allorché contenga proprio riferimenti a elementi incompatibili fra di loro la motivazione può essere perplessa e dubbiosa, laddove non consente di individuare con precisione il potere che l'amministrazione ha inteso esercitare. Una volta annullato il provvedimento l'amministrazione può mandarne uno di contenuto identico emendato dal vizio, ma non si consente all'amministrazione di integrare o di emendare la motivazione del provvedimento in sede di giudizio. Se la motivazione manca del tutto, il vizio può essere qualificato come violazione di legge. Illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà: si è già osservato che il diritto amministrativo assume che la pubblica amministrazione agisca come soggetto razionale. Pertanto, emerge un vizio di eccesso di potere tutte le volte che il contenuto del provvedimento fa emergere profili di illogicità o irragionevolezza, apprezzabili in modo oggettivo in base a canoni di esperienza. È considerata come sottospecie dell’illogicità e irragionevolezza la contraddittorietà interna (intrinseca) al provvedimento. Questa emerge se non vi è consequenzialità tra le premesse del provvedimento e le conclusioni tratte nel dispositivo. La contraddittorietà può essere anche esterna (estrinseca) al provvedimento, cioè essere rilevata dal raffronto tra provvedimento impugnato e altri provvedimenti dell'amministrazione che riguardano lo stesso. Se la contraddittorietà riguarda provvedimenti nei confronti di soggetti, si ha la figura sintomatica della disparità di trattamento. La contraddittorietà intrinseca o estrinseca costituisce una violazione del principio di coerenza che deve presiedere all'agire della pubblica amministrazione. Disparità di trattamento: il principio di coerenza e il principio di eguaglianza impongono all'amministrazione di trattare in modo eguale casi uguali. Il vizio può emergere sia allorché casi eguali siano trattati in modo diseguale, sia allorché casi diseguali siano trattati in modo eguale. Per stabilire in concreto se le situazioni da confrontare siano identiche o differenziate va utilizzato il criterio della ragionevolezza. Perché possa essere censurata la disparità di trattamento è necessario che il provvedimento si discrezionale. Inoltre, la comparazione deve riferirsi a provvedimenti emanati in modo legittimo. Violazione delle circolari e delle norme interne, della prassi amministrativa: per evitare di cedere in tale vizio il titolare del potere deve esplicitare nella motivazione le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere nel caso concreto le prescrizioni poste dalle norme interne. Ingiustizia grave e manifesta: trae origine dal caso dell’esonero dal servizio per scarso rendimento di un dipendente delle ferrovie. Quest’ultimo aveva subito un grave incidente sul lavoro con effetti disabilitanti permanenti e ciò aveva indotto in un primo momento l’amministrazione ad adibirlo a mansioni meno impegnative, piuttosto che collocarlo subito a riposo per inabilità dovuta a causa del servizio. A breve distanza di tempo il dipendente venne esonerato per scarso rendimento. Il carattere ingiusto deve essere manifesto, cioè di immeditata evidenza per qualsiasi persona di sensibilità media. La giustificazione teorica delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere è controversa. Secondo alcune teorie, esse rilevano essenzialmente come prove indirette dello sviamento di potere e hanno una valenza essenzialmente processuale. Le singole figure sintomatiche sono costituite da situazioni che, sulla base dell’esperienza, consentono di dubitare che si sia attuata la divergenza dell’atto dalla sua finalità. Non è ammissibile prova contraria. Secondo altre teorie, le figure sintomatiche hanno ormai raggiunto una completa autonomia dallo sviamento di potere e hanno una valenza sostanziale, prima ancora che processuale. Esse sono cioè riconducibili a ipotesi di violazione dei principi generali dell’azione amministrativa e più precisamente dei principi logici e giuridici che presiedono all’esercizio della loro discrezionalità. Rilevano in particolare i principi di completezza, dell’istruttoria, di parità di trattamento e imparzialità, di giustizia sostanziale. Il giudice analizza tutte le fasi dell’esercizio del potere discrezionale e verifica la ricostruzione della situazione di fatto e di acquisizione di tutti gli elementi rilevanti per la decisione, valutazione e ponderazione degli interessi acquisiti, la coerenza tra le premesse e il dispositivo del provvedimento, la coerenza tra le premesse e il dispositivo del provvedimento, gli altri elementi di contrasto. In una siffatta verifica, il giudice non entra nel merito delle scelte discrezionali, ma riesamina l’iter logico cogliendone le contraddizioni e incongruenze. Di recente, le figure sintomatiche sono state ricondotte a clausole generali (buona fede, imparzialità), che fanno sorgere obblighi comportamentali nell’ambito del rapporto giuridico amministrativo intercorrente tra la pubblica amministrazione e il cittadino. In definitiva, le figure sintomatiche dell’eccesso di potere hanno ancora uno statuto teorico incerto. Nullità L’art. 21-septies l. n. 241/1990 individua quattro ipotesi tassative di nullità: Mancanza degli elementi essenziali: accomuna la nullità del provvedimento a quella del contratto; anche se la l. n. 241/1990 non li elenca in modo preciso. Difetto assoluto di attribuzione è già stato esaminato trattando della carenza di potere. Esso corrisponde alla figura dello straripamento di potere. Violazione o elusione del giudicato: si verifica allorquando l’amministrazione in sede di nuovo esercizio del potere in seguito all’annullamento pronunciato dal giudice con sentenza passata in giudicato emana un nuovo atto che si pone in contrasto con quest’ultima; allorché essa ponga un vincolo puntuale e non lasci all’amministrazione alcuno spazio di valutazione. Il nuovo atto «manifesta il reale intendimento dell’amministrazione di sottrarsi al giudicato». Nullità testuale: casi in cui la legge qualifica espressamente come nullo un atto amministrativo (nullità testuale). Esempio: la nullità delle clausole dei bandi di gara o gli atti adottati da organi collegiali scaduti. Sul versante processuale, l’art. 31, comma 4 del Codice del Processo Amministrativo disciplina l’azione per la declaratoria della nullità che può essere proposta innanzi al giudice amministrativo con un termina di decadenza breve (180 giorni). A differenza di quanto accade per l’annullabilità la nullità può essere sempre rilevata d’ufficio dal giudice o opposta dalla parte resistente. Inoltre, l’art.131 attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative alla nullità dell’atto adottato in violazione o elusione del giudicato. Annullamento d’ufficio, convalida, ratifica, sanatoria, conferma, conversione, revoca, recesso Sono provvedimenti che l’amministrazione emana per porre rimedio all’invalidità o alla non conformità all’interesse pubblico di un provvedimento amministrativo. I provvedimenti in questione sono assunti nell’ambito dei procedimenti definiti di secondo grado proprio perché hanno per oggetto atti già emananti che l’amministrazione sottopone ad un riesame. Annullamento d’ufficio: efficacia ex tunc dell’atto emanato. L’annullamento del provvedimento illegittimo può essere pronunciato dallo stesso organo che ha emanato l’atto (autoannullamento) o da altro organo al quale sia attribuito per legge (esempio: annullamento gerarchico). In queste ipotesi l’annullamento è doveroso, nel senso che deve essere necessariamente pronunciato ove sia accertato il vizio. Ha invece carattere discrezionale l’annullamento d’ufficio. Affinché l’amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d’ufficio devono sussistere quattro presupposti esplicitati dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990. 1. Il provvedimento sia illegittimo ai sensi dell’art.21-octies e quindi sia affetto da vizio di violazione di legge, di incompetenza o di eccesso di potere. Ma non si deve cadere in una delle ipotesi di vizi formali di cui al comma 2. 2. Sussistere ragioni di interesse pubblico, rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell’atto e dei suoi effetti piuttosto che la loro conservazione, pur in presenza di un’illegittimità accertata. L’interesse astratto al ripristino della legalità violata non è sufficiente, ma l’amministrazione deve porre a fondamento un altro interesse pubblico che deve essere al momento in cui è disposto l’annullamento d’ufficio. 3. Ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Devo essere valutati, oltre all’interesse pubblico all’annullamento, quello del destinatario del provvedimento e quello di eventuali controinteressati. Tener conto del fattore temporale. L’annullamento può essere disposto entro un termine ragionevole. Se infatti è trascorso un lungo lasso di tempo, prevale l’interesse a mantenere inalterato lo status quo ante e a tutelare l’affidamento creato. Se invece l’amministrazione rileva immediatamente l’illegittimità del provvedimento emanato, essa può procedere all’annullamento d’ufficio. Rientra nella discrezionalità dell’amministrazione stabilire se il termine è ragionevole, e ciò introduce un elemento di incertezza, Per evitare ciò, l’art. 6 della l. n. 124/2015 fissa, almeno per alcuni tipi di provvedimenti, il termine di 18 mesi decorso il quale l’amministrazione decade dal potere. L’amministrazione non è tenuta a prendere in esame e dare seguito a segnalazione e esposti da parte di soggetti privati che denunciano l’illegittimità di un atto. In materia di contratti della PA: l’amministrazione non aggiudicataria di un contratto che intenda proporre un ricorso giurisdizionale deve comunicare all’amministrazione interessata l’intenzione indicando i vizi rilevati (in questo caso l’amministrazione è tenuta a valutare se procedere all’annullamento e comunicarlo all’impresa). Convalida: art.21-nonies comma 2 prevede che l’amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo, sempre in presenza di questioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Essa è operata dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato. Si tratta di un istituto poco frequente e che ha comunque un ambito limitato. o Ratifica: ove la convalida riguardi il vizio di incompetenza è ricorrente nell’uso l’espressione di ratifica. Essa si riferisce alle ipotesi in cui all’interno della PA un organo può, in base alla legge, esercitare in caso d’urgenza una competenza attribuita in via ordinaria ad un altro organo, che poi è chiamato a fa proprio l’atto emanato. Sanatoria: si parla di sanatoria nei casi in cui l’atto è emanato in carenza di un presupposto e quest’ultimo si materializza in un momento successivo; oppure nei casi in cui un atto della sequenza procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo. Conferma e l’atto confermativo: emanato quando l’amministrazione all’esito di un procedimento di riesame, perviene alla conclusione che il provvedimento non è affatto da alcun vizio. In sede giurisprudenziale si distingue tra: o Conferma: provvedimento amministrativo autonomo dal contenuto identico di quello oggetto del riesame. o Atto meramente confermativo: l’amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il riesame che non ci sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione. L’atto meramente confermativo non può essere considerato dunque come un nuovo provvedimento suscettibile di essere impugnato. Conversione: applicabile con riferimento ai provvedimenti affetti da nullità e annullabilità; manca una disposizione legislativa espressa. Revoca: riesame dei provvedimenti perfettamente validi ed efficaci affetti da nullità e annullabilità. Nel diritto amministrativo il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione ed è ammesso da sempre dalla giurisprudenza. Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento amministrativo. L’art. 21-quinquie l.n. 241/1990 pone una disciplina generale della revoca precisandone meglio gli effetti e i presupposti. Esso distingue due fattispecie: la revoca per sopravvivenza: sono riconducibili a questa fattispecie due ipotesi tipizzate dalla disposizione, e cioè: la revoca per «sopravvenuti motivi di pubblico interesse», che interviene allorché l’amministrazione opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenute. mutamento della situazione di fatto. la revoca espressione dello jus poenitendi riguarda l’ipotesi di «nuova valutazione dell’interesse pubblico originario” che si ha quando l’amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi. È un’ipotesi molto controversa e di dubbia compatibilità con il diritto europeo. Sotto il profilo soggettivo la revoca può essere disposta dallo stesso organo che ha emanato l’atto o da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti (ex nunc). La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti a efficacia durevole, e si ritiene generalmente che non siano suscettibili di revoca provvedimenti che hanno già prodotto effetti. Art. 21-quinquies prevede un obbligo generalizzato di indennizzo nei casi in cui la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamene interessati. Prima del 2005, l’indennizzo era previsto solo per rare fattispecie. L’indennizzo è limitato al danno emergente (escluso il lucro cessante). La revoca disciplinata dall’art. 21-quinquies va tenuta distinta: o revoca sanzionatoria: può essere disposta dall’amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento favorevole, non rispetti le condizioni e i limiti in esso previsti o non intraprenda l’attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto. o mero ritiro ha per oggetto atti amministrativi che non sono ancora efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell’interesse pubblico e dei destinatari perché non ha ancora inciso in modo diretto su situazioni giuridiche soggettive di soggetti terzi. Recesso dai contratti: art.21-sexies, recesso unilaterale dai contratti della PA, ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto. o Recesso dai contratti in tema di comunicazioni e certificazioni antimafia: casi in cui emergono tentativi di infiltrazione mafiosa.