Lezione 21 aprile LE IMMUNITÀ Qual è lo scopo delle immunità? Il valore giuridico protetto è l’ordine globale, universale: equilibrio globale. Ordine globale come ordine tra Stati pari tra loro, che hanno la stessa sovranità e che non riconoscono altre autorità al di sopra degli stessi: superiorem non recognoscens. Gli Stati riconoscono l’altrui sovranità, ma non un’autorità al di sopra degli stessi. L’ordine globale ha la sua natura nel principio di uguaglianza, nella parità giuridica degli Stati. Come poter rispettare l’uguaglianza tra le sovranità? L’uguaglianza può essere garantita da norme giuridiche come l’immunità, la non ingerenza, il dominio riservato: dal rispetto dell’altrui sovranità. L’immunità si basa su brocardi che nascono dall’uguaglianza: par in parem non habet iurisdictionem ; ne impediatur legatio. Non ostacolare l’altrui sovranità, esercizio di governo. Il rispetto reciproco. Nel caso delle immunità il rispetto si basa sull’autolimitazione degli Stati, autolimitando la propria sovranità riconoscono e rispettano l’altrui sovranità. Uguaglianza per giungere all’equilibrio. Ciò si sostanzia nel riconoscere l’altro stato in diverse forme: nella forma individuale, come stato in quanto tale (immunità statale), immunità statale per mezzo del suo organo (immunità diplomatica), nella forma associativa (immunità delle organizzazioni internazionali) - IMMUNITÀ DIPLOMATICHE Il diplomatico è l’organo di uno stato straniero che svolge le sue funzioni ufficiali per conto del proprio stato di appartenenza (Stato accreditante) sul territorio di un altro stato (Stato accreditatario). Funzione di mantenere i contatti, i buoni rapporti con gli stati accreditatari → è necessario evitare che lo stato territoriale, accreditatario esercitando la sua sovranità ostacoli l’attività del funzionario dell’altro stato (ne impediatur legatio) → altrimenti ci sarebbe una posizione di disequilibrio, sarebbe come se lo stato accreditatario volesse primeggiare sull’altro stato, non riconoscendo la figura del diplomatico La legazione sia attiva sia passiva non è un obbligo: si basa sul mutuo consenso, sulla unione di due volontà statali Come avviene l’invio del diplomatico? Generalmente lo stato accreditante cerca di ottenere un gradimento iniziale da parte dello stato eventualmente accreditatario. Capita la volontà di quello stato di accogliere il diplomatico, allora lo stato accreditante avvia il procedimento di accreditamento, che termina con l’invio del diplomatico assieme alle lettere credenziali, ossia lettere scritte dal capo di stato (in virtù del potere conferitogli dall’art. 87 Cost.) L’immunità diplomatica inizia a decorrere dal momento in cui il diplomatico mette piede sul territorio dello stato accreditatario, e perdura per tutta la durata della sua missione. Può finire in diversi modi: con una lettera di richiamo dello stato accreditante; con l’estinzione dei rapporti diplomatici (ad es. in un conflitto armato tra i due stati); con la dichiarazione di persona non grata (consegna dei passaporti) da parte dello stato accreditatario che vede nel diplomatico una potenziale minaccia alla propria sicurezza. Le immunità personali sono conferite al diplomatico anche nel suo passaggio per un terzo stato e vengono rispettate solo dallo Stato accreditante. Le immunità trovano una fonte normativa di riferimento nella Convenzione di Vienna del 1961. Le immunità diplomatiche possono essere suddivise in tante subcategorie a seconda del settore di riferimento. Si dividono in inviolabilità personale, inviolabilità domiciliare, immunità giurisdizionale (dalla giurisdizione penale, civile ed amministrativa), esenzione fiscale. 1) Inviolabilità personale: obbligo dello stato accreditatario di proteggere la persona del diplomatico dalle offese (inviolabilità fisica), dalle misure preventive e repressive (a meno che lo stato accreditante non dia il suo consenso a questo) 2) Inviolabilità domiciliare: riguarda il domicilio del diplomatico, è sia l’abitazione riservata dello stesso sia la sede della missione diplomatica, ma anche l’auto e la valigetta del diplomatico Vi è un caso del 2016, posto all’attenzione della Corte internazionale di giustizia, che riguardava un’operazione di polizia francese nei confronti del figlio del Capo di Stato della Guinea accusato di riciclaggio e corruzione: l’autorità francese lo arrestò sequestrando alcuni documenti rinvenuti nell’auto del Capo di Stato e nella sede della missione diplomatica. La sede diplomatica era considerata territorio dello Stato accreditante, e non dello Stato accreditatario; questo principio di extraterritorialità è oggi venuto meno poiché la sede diplomatica è territorio dello Stato accreditatario anche se questi limita qui la sua sovranità, dal momento che nella sede diplomatica non tutte le attività possono essere eseguite da questi come ad esempio le misure repressive o coercitive. 3) Immunità dalla giurisdizione civile, penale e amministrativa: si può dividere in due sottocategorie: immunità funzionale, ratione materiae e immunità personale, ratione personae. La distinzione è legata agli atti compiuti dal diplomatico: se sono atti compiuti in qualità di organo di stato, allora si parlerà di immunità funzionale. Qualora invece gli atti oggetto di un eventuale controversia siano stati posti in essere dal diplomatico in qualità di privato cittadino allora si parlerà di immunità personale. Immunità funzionale: immunità dalla legge, che riguarda gli atti ufficiali compiuti dal diplomatico nell’esercizio e per l’esercizio delle sue funzioni tipiche. C’è quest’immunità così estesa, pregnante perché in quel caso il diplomatico agisce come organo distato, non come cittadino qualsiasi straniero, come organo rappresentativo di un’atra sovranità riconosciuta dallo stato accreditatario. Sono atti che possono essere imputati direttamente allo stato accreditante. Inoltre, se così non fosse e non esistesse l’immunità funzionale l’organo diplomatico non vedrebbe la garanzia dell’esercizio indisturbato delle sue funzioni, e quindi un ostacolo, un’ingerenza nei confronti della sovranità dello stato accreditante. Questa immunità perdura anche dopo il termine della missione, tranne nel caso di commissione di crimini internazionali, contro l’umanità. Si tratta di un’immunità che tutti gli stati devono rispettare. Immunità personale: atti compiuti dal diplomatico come qualsiasi altro cittadino straniero. Immunità non dalla legge, ma dalla sola giurisdizione. Valgono solo ed esclusivamente finchè il diplomatico esplica le sue funzioni, vi sia la missione diplomatica. Anche per queste c’è il limite dei crimini internazionali. 4) Immunità fiscale: riguarda solo le imposte dirette personali. In alcuni rapporti tra Stati queste esenzioni fiscali si sono estese anche alle imposte indirette (in questo caso più che di consuetudine, si parla di una mera ragione di cortesia basata sulla reciprocità). Se si dovesse avere un abuso di immunità, la presenza del diplomatico costituirebbe una minaccia per la sicurezza nazionale dello stato accreditatario. La Convenzione di Vienna non si esprime a tal proposito. Il Focarelli sostiene che il regime delle immunità sia autosufficiente da questo di punto di vista. Nel caso di guerra tra due Stati, vi può essere una rottura dei rapporti diplomatici che si configura come soluzione obbligatoria in caso di violazione dei diritti umani (è prevista anche la consegna dei passaporti). Il dubbio rimane se l’immunità diplomatica possa o meno essere oggetto di una contromisura (la contromisura si sostanzia nel comportamento di uno Stato che viola le norme di D.I. come risposta ad un’analoga violazione da parte di un altro Stato nei suoi confronti: una violazione che segue un’altra violazione da parte di un altro stato). La violazione delle norme sulle immunità diplomatiche non può essere giustificata a titolo di contromisura (art. 50). Nella prassi però questo non accade. Esempio: relazione tra Russia e Inghilterra 2018: il ministro degli esteri russo minacciò di espellere tutti i diplomatici inglesi sul territorio russo a titolo di contromisura alle minacce di espulsione dei diplomatici russi sul territorio inglese poste in essere da Teresa May. Tensioni provocate dall’avvelenamento di un agente segreto russo a Londra. Quali sono le figure degli organi diplomatici? Le immunità diplomatiche a chi si riferiscono? Sicuramente ai titolari della missione diplomatica: l’ambasciatore di rango; in alternativa alcune missioni sono guidate da agenti diplomatici o ambasciatori di ruolo (ministri plenipotenziari). Le immunità riguardano altresì il personale diplomatico (consiglieri, segretari di legazione). Le immunità esaminate si estendono anche ai familiari degli agenti diplomatici → esempio: figlio dell’ambasciatore brasiliano coinvolto in una rissa all’uscita di un locale notturno in uno stato europeo. Venne impedito l’arresto del figlio del diplomatico. In alcuni casi, le immunità si sono estese al personale di servizio e ai domestici dell’organo diplomatico: non si parla di estensione, ma di concessione per ragioni di mera cortesia e reciprocità. Le immunità si estendono anche ad altri organi di stato diversi dagli agenti diplomatici: capo di stato, capo di governo, ministro degli esteri, ma solo durante le visite ufficiali all’estero. Anche se nella prassi queste immunità si sono estese anche nelle visite private. Le immunità funzionali vengono riconosciute al console, che esplica funzioni amministrative: rilascio di passaporti, documenti, tiene l’archivio delle nascite e dei decessi, degli arresti, della scomparsa dei cittadini. Gode anche di un’immunità connessa all’archivio consolare, che è inviolabile. Le immunità diplomatiche riguardanti i rappresentanti di Stato si estendono anche nei casi questi ultimi svolgono le loro funzioni nelle organizzazioni e nelle conferenze internazionali. Si estende anche l’immunità personale. L’immunità personale non viene concessa agli organi che fanno parte delle delegazioni delle missioni, ma che non sono agenti diplomatici. Immunità diplomatiche degli organi di stato impegnati all’estero nelle missioni speciali: vige l’immunità personale. Però nella giurisprudenza ci sono stati casi in cui non è stata riconosciuta l’immunità personale. Esempio: corte costituzionale tedesca, leader iraniano Tabatabai. Corpi di truppa di uno Stato o di un’organizzazione internazionale impegnati in missioni all’estero, che stazionano in maniera permanente sul territorio di un altro stato, con il consenso di quest’ultimo. Esempio: sentenza della corte suprema degli Stati Uniti del 1812 The Schooner Exchange. Se è concesso il libero passaggio, questo comporta logicamente l’accettazione di altrettante limitazioni dello stato territoriale rispetto alla propria giurisdizione. Questo concetto è stato ripreso anche nel diritto internazionale marittimo. A differenza del transito, per quanto riguarda lo stazionamento non c’è una risposta univoca. Esempio: caso Lozano – caso Abu Omar. La disciplina dei corpi di truppa stazionati all’estero trae origine da accordi specifici tra lo stato territoriale e lo stato che ha inviato quel corpo di truppa: SOFAs. Lo stesso dicasi per le operazioni della NATO. La soluzione connessa alla situazione degli Stati Nato è data da una norma convenzionale che disciplina lo status delle forze NATO sul territorio degli stati membri: Convenzione di Londra del 1951 che all’art. 7 trova una “soluzione”. L’art.7 è stato utilizzato per la difesa dei due marò, nave Enrica Lexie. Lezione 22 aprile - IMMUNITÀ DEGLI STATI Ci si riferisce all’immunità di uno Stato dalla sola giurisdizione civile rispetto ad un altro Stato → lo Stato non ha una responsabilità penale, allo Stato non si può imputare direttamente un reato (questa è una massima di diritto penale); il D.lgs. n. 231/2001 all’art.1 comma 3 esclude la responsabilità penale dello Stato perché in quanto ente, persona giuridica non può essere responsabile penalmente: questo accade non solo in riferimento allo Stato italiano ma anche in riferimento ai crimini internazionali → infatti l’art. 25 par. 4 dello Statuto di Roma del 1998 (Statuto della Corte Penale Internazionale con sede all’Aia) afferma che “le disposizioni del presente statuto (disposizioni riguardanti crimini internazionali) non incidono sulla responsabilità degli Stati prevista dal diritto internazionale”. Ecco perché si parla solo di immunità dalla giurisdizione civile di un altro Stato, rivolta soltanto verso i giudici civili di un altro Stato. L’emblema del concetto dell’immunità statale si trova all’interno del brocardo “par in parem non habet iurisdictionem”, secondo il quale “tra pari non ci si giudica” e invero fino alla metà del XIX secolo questo brocardo era applicato alla lettera, infatti fino a quel momento si parlava di “immunità assoluta” dei sovrani (con riferimento alle monarchie assolute). Successivamente si è parlato di immunità giurisdizionale degli Stati con l’avvento delle monarchie costituzionali. In nessun caso un giudice civile avrebbe potuto giudicare un altro stato → per garantire l’eguaglianza tra gli Stati, l’ordine globale, altrimenti lo Stato giudicante si sarebbe posto come superiore nei confronti di un suo simile e questo avrebbe provocato uno squilibrio tra gli Stati. L’esempio per eccellenza del concetto di immunità assoluta possiamo ritrovarlo nella dottrina “act of states”, secondo la quale le corti interne non potevano in nessun caso rifiutarsi di applicare una legge straniera o di eseguire un atto di un altro Stato nel proprio territorio, anche se queste pronunce fossero contrarie al diritto internazionale o addirittura ai principi interni dello Stato territoriale → questo per evitare di controllare gli atti o le leggi degli Stati stranieri. Quindi la ratio dell’immunità statale sta nell’autolimitazione: lo Stato auto-limita la propria giurisdizione affinché si riconosca la sovranità e l’uguaglianza di un altro Stato. Questo concetto di immunità assoluta perdurò fino alla metà del XIX secolo. Successivamente, alcuni stati, l’Italia per prima, iniziarono a negare, in talune circostanze, questa immunità assoluta degli altri Stati, fino ad arrivare all’affermazione di una “immunità relativa”, un’immunità ristretta che si basa su una distinzione tra: - atti compiuti da uno Stato straniero nell’esercizio delle funzioni pubbliche, iure imperii; - atti compiuti da uno Stato straniero come privato cittadino, iure privatorum o iure gestionis. Distinzione che per analogia abbiamo già visto nelle immunità diplomatiche parlando delle immunità ratione materiae e ratione personae, distinzione quindi degli atti ufficiali compiuti dall’organo diplomatico nell’esercizio delle sue funzioni tipiche dagli atti compiuti dal diplomatico come soggetto di diritto privato. Solo per gli atti iure imperii è stata riconosciuta un’immunità. Per gli atti iure privatorum invece Stati come l’Italia hanno negato l’immunità perché lo Stato non agisce esplicando funzioni pubbliche, ma come qualsiasi altro privato. Tutto ciò perché si riteneva non opportuno riconoscere agli Stati sempre e comunque un’immunità, anche quando non c’era nessuna destinazione pubblica dell’atto. In Italia, inoltre, lo Stato iniziò a partecipare ad attività imprenditoriali (commerciali) e questo fece sì che iniziò anche ad essere chiamato in giudizio (solo per giurisdizione civile). Proprio per questo si pensò di distinguere gli atti compiuti dallo Stato e di riconoscere l’immunità solo per gli atti iure imperii. Questa soluzione venne gradualmente abbracciata da altri Stati, dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte Internazionale di Giustizia, divenendo addirittura oggi una consuetudine vera e propria. Come distinguere gli atti iure imperii e gli atti iure privatorum? Alcuni ordinamenti hanno optato per un metodo enumerativo (common law soprattutto): hanno emanato delle leggi ad hoc nelle quali si indicava quali atti nello specifico rientrassero nella categoria iure privatorum (eccezioni), dove l’immunità statale veniva meno. Anche la Convenzione di New York del 2004 ha proceduto in egual modo (non ancora entrata in vigore a causa di numero insufficiente di ratifiche): nell’art. 5 sono stati indicati gli atti iure privatorum e quindi le eccezioni alla regola generale dell’immunità riconosciuta dalla Convenzione (es. transazioni commerciali). Altri Stati come l’Italia invece hanno optato per norme generiche, non specifiche → all’art. 11 ultimo comma della L. n. 218/1995 si specifica che il giudice nazionale italiano possa rilevare ex officio, da sé, il suo difetto di giurisdizione quando il convenuto straniero è contumace o quando l’immobile è situato all’estero o nel momento in cui la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma di diritto internazionale. Il giudice civile italiano quindi in alcune tipologie di controversie transnazionali può rilevare da sé il proprio difetto di giurisdizione quando quest’ultima è esclusa da una norma internazionale; riferimento questo molto generico, non si fa nessuna specificazione, ma si parla in generale di un effetto dato dalle norme di diritto internazionale, è un rinvio generico. È il giudice ad avere l’onere di individuare quali sono gli atti sussumibili nella fattispecie iure privatorum. Se il giudice nazionale ha dei dubbi a riguardo deve applicare la regola generale dell’immunità dello Stato. In alcune fonti, come nella Convenzione di New York del 2004, la regola basilare è quella dell’immunità e poi ci sono delle eccezioni, sempre per il discorso “par in parem non habet iurisdictionem”. La stessa Convenzione dà poi un’altra linea che i giudici potrebbero seguire: all’art. 10 si parla delle transazioni commerciali (qualificate dell’art. 5 come atti iure privatorum) rispetto alle quali la linea da seguire, per capire se siano effettivamente atti iure privatorum, è quella di considerare la natura dell’atto non lo scopo: se l’atto di per sé è un atto di diritto privato allora sarà un atto iure privatorum e non iure imperii, indipendentemente dalla destinazione prefissata per quell’atto. L’esempio delle transazioni commerciali è dato dalla compravendita (istituto di diritto privato): se uno Stato scambia una cosa con il prezzo, si parlerà comunque di atto iure privatorum indipendentemente dall’eventuale destinazione pubblica di quel bene. Inizialmente anche l’Italia segui questa linea di indirizzo: la Cassazione nella sentenza n. 15027/2016 nega l’immunità all’Iraq convenuto in giudizio da una società italiana che aveva costruito e venduto su commissione all’Iraq degli elicotteri, elicotteri non pagati per intero, che però successivamente vennero utilizzati dall’Iraq per invadere il Kuwait. In questo caso c’è stato un contratto di natura privata tra l’Iraq e questa società, quindi non si è concessa l’immunità perché è un atto di natura iure privatorum. Nella realtà però questa non è l’unica soluzione; in altri casi infatti si considera la destinazione del bene. Parliamo di particolari categorie di controversie rispetto alle immunità statali: 1. esecuzione forzata e provvedimenti cautelari aventi ad oggetto beni di un altro Stato; 2. controversie di lavoro; 3. controversie nate dalla richiesta di risarcimento ad uno Stato che ha violato i diritti umani. Categorie queste che hanno dato dei problemi proprio rispetto alle immunità statali. 1. Con esecuzione forzata si intende quell’azione, quell’aggressione posta in essere da un creditore nei confronti del proprio debitore inadempiente. Primo atto dell’esecuzione forzata è il pignoramento, quindi si si procede alla vendita il bene e ci si soddisfa sul ricavato. I provvedimenti cautelari invece cristallizzano un bene sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista materiale: un bene oggetto di controversia o posto a garanzia di una situazione giuridica soggettiva. Uno dei provvedimenti cautelari tipici è il sequestro del bene. Ci si è chiesti: ma se il bene fosse di un altro Stato? Si può aggredire con l’esecuzione forzata, si può sequestrare questo bene? In questo caso vale comunque la regola dell’immunità relativa e quindi non si riconoscerà l’immunità nel momento in cui il bene non sia destinato ad una pubblica funzione (e quindi potrà essere aggredito). Invece si deve riconoscere l’immunità a quel bene destinato ad una pubblica funzione. Esempio emblematico quello di una sentenza della Cassazione del 1992 in cui i giudici italiani riconobbero l’immunità degli USA rispetto ad un bene situato in una base militare USA in Italia (Sigonella) e avente una destinazione pubblica. Col tempo però questa concezione si è estesa anche ai beni a destinazione promiscua di un altro Stato. Ad esempio, ci si è chiesto se il conto corrente di uno Stato depositato in un altro Stato potesse essere aggredito mediante esecuzione forzata o con dei provvedimenti cautelari: la risposta giurisprudenziale è stata negativa, anche in questo caso si riconosceva l’immunità dei conti correnti di un altro Stato perché si riteneva che la funzione dei conti correnti di un altro Stato fosse quella di finanziare i fini istituzionali dello stesso, quindi una funzione pubblica. Anche nella successiva giurisprudenza si è sempre estesa la concezione di beni o di atti iure imperii. Altro esempio è quello dei bond argentini: qui la Corte di Cassazione italiana ha negato la possibilità agli investitori italiani che iniziavano ad aggredire i beni argentini in Italia affermando che vi era immunità dello Stato dell’Argentina perché, se è vero che l’emissione di titoli di Stato sul debito pubblico è di per se un atto di diritto privato, è anche vero che la sospensione dei pagamenti dell’Argentina sui titoli di Stato del proprio debito pubblico era un atto iure imperii compiuto per salvaguardare la grave crisi economica dell’Argentina,. Vi è stata un’estensione che ha ampliato il concetto di iure imperii. 2. Per controversie giuslavoristiche si intendono quelle controversie tra il dipendente di uno Stato, che prestava la propria opera sul territorio di un altro Stato, e lo Stato d’invio. Ci si è chiesti: in questo caso, lo Stato che ha inviato il lavoratore sul territorio di un altro Stato per lavorare, gode o meno dell’immunità? Mettiamo il caso che il lavoratore non venga più pagato dal suo Stato, vi è o meno l’immunità dello Stato di invio? La giurisprudenza italiana in un primo momento ha distinto le situazioni rispetto alle mansioni del lavoratore: se la mansione riguardava l’esercizio di una funzione pubblica dello Stato allora c’era immunità dello Stato convenuto, altrimenti non poteva sussistere. Questa soluzione ha però delle difficoltà di applicazione perché anche il semplice autista svolge una funzione pubblica. Proprio per questo, la giurisprudenza italiana successivamente ha optato per un’altra soluzione: dare prevalenza all’oggetto della pretesa e quindi della domanda dedotta in giudizio, nello specifico se ha avuto riguardo dell’impatto che la decisione del giudice italiano avrebbe avuto sulla sovranità dell’altro Stato convenuto in giudizio. Quindi, nel caso delle controversie di lavoro, secondo la giurisprudenza italiana si poteva negare l’immunità statale solo nelle controversie di carattere prettamente patrimoniale, relative al contratto di lavoro, perché si pensava che la lesione patrimoniale sarebbe stata facilmente ripristinabile per lo Stato, non si ledeva così tanto la sovranità di un altro Stato. Giudicare uno Stato convenuto in giudizio perché doveva dei soldi al proprio lavoratore non va ad inficiare la sovranità, la potestà di un altro Stato in maniera così pregnante. A livello internazionale si è adottata un’altra soluzione: si è avuto riguardo dell’intensità del legame tra il lavoratore e lo Stato in cui il soggetto ha lavorato. Infatti, si esclude l’immunità dello Stato che ha inviato il lavoratore (dello Stato convenuto in giudizio dal lavoratore) se il lavoratore ha la residenza abituale o la cittadinanza nello Stato in cui ha prestato l’opera. Al contrario, si riconosce l’immunità dello Stato di invio del lavoratore quando quest’ultimo ha la cittadinanza dello Stato convenuto in giudizio. Semplificando: la giurisdizione nelle controversie di lavoro segue la cittadinanza o la residenza del lavoratore, o ancora il domicilio. 3. Anche per quanto riguarda le controversie nate dalla domanda di risarcimento nei confronti di uno Stato che abbia violato i diritti umani, ci si è chiesti se vige o meno l’immunità dello Stato che ha commesso queste violazioni? L’Italia ha una posizione forte rispetto a questa problematica. Esempio: Caso Ferrini, sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 5044/2004. Ferrini, deportato nei campi di concentramento nazisti, aveva convenuto in giudizio la Repubblica Federale Tedesca, chiedendo un risarcimento per quello che aveva subito, per le gravi violazioni di diritti umani. I giudici italiani non riconobbero l’immunità della Repubblica tedesca perché i diritti umani rientrano nello ius cogens, in quel nucleo delle norme di diritto internazionale valide erga omnes, che prevalgono su qualsiasi altra norma. Inoltre, parte di queste violazioni vennero perpetrate sul territorio dello Stato italiano, pertanto il locus commissi delicti era in parte quello italiano, seguendo quindi la cosiddetta “tort exception” prevista sia dall’art. 11 della Convenzione Europea sull’immunità degli Stati del 1972, sia dell’art. 12 della Convenzione di New York del 2004 (l’immunità non può essere invocata nelle controversie riguardanti il risarcimento del danno alla persona). Quindi, la giurisdizione dello Stato del foro nel momento in cui almeno una parte delle gravi violazioni siano state commesse sul suo territorio non riconosce l’immunità. La Corte di Cassazione motiva la decisione su un ulteriore argomento: “last resort argument”, ovvero se riconoscere l’immunità vorrebbe dire negare il diritto al risarcimento del danno alle vittime di queste violazioni grave e questo comporterebbe una violazione grave del diritto all’accesso al giudice allora si andrebbe a negare il diniego di giustizia, a sbarrare l’accesso alle vittime al giudice, violando l’art. 24 Cost. È una posizione innovativa quella della Corte di Cassazione che nega l’immunità, e questa diventa prassi giurisprudenziale italiana. Anche altre sentenze successivamente permettono di chiamare in giudizio gli altri Stati chiedendo il risarcimento dei danni. La Corte di Cassazione ha riaffermato la sua posizione nella sentenza Winkler, nella sentenza Mantelli e nella sentenza Lozano. La Corte di Cassazione riconobbe gli effetti di una sentenza greca, caso Distomo, emessa dal tribunale di Levadia, con la quale i giudici greci non concessero l’immunità alla Germania, convenuta in giudizio dalle vittime greche di Distomo, che chiesero alla Germania a titolo di risarcimento dei danni per le gravi violazioni dei diritti umani un risarcimento di 56 milioni di marchi. L’esecuzione di quella sentenza non venne posta in essere da altri Stati ma venne riconosciuta dall’Italia: altri paesi come l’Inghilterra hanno comunque concesso l’immunità alla Germania. L’Italia è l’unica ad aver riconosciuto la sentenza greca e ad aver negato l’immunità alla Germania. La risposta della Corte Internazionale di Giustizia fu la sentenza del 3 febbraio 2012 → dalla Sentenza del caso Ferrini si moltiplicarono le domande del risarcimento del danno, divenne un precedente, la sentenza stessa arrivò in esecuzione forzata aggredendo i beni tedeschi in Italia, e per queste ragioni la Germania citò in giudizio l’Italia affermando che avesse violato la consuetudine sull’immunità. La Corte accettò il ricorso della Germania affermando che la concessione dell’immunità per queste tipologie di controversie era ormai una consuetudine. Inoltre, riconoscere l’immunità allo Stato che ha commesso queste grandi violazioni non equivale a riconoscere la liceità di quelle violazioni, perché l’immunità ha semplicemente carattere processuale, procedurale, riguarda solamente la giurisdizione non il diritto sostanziale. Riconoscere l’immunità equivale semplicemente a precludere l’azione giurisdizionale dinanzi ad un giudice nazionale di un altro Stato, non esclude però l’esistenza della violazione. La Corte affermò che la tort exception, quindi il fatto che la giurisdizione ricada sullo Stato del foro perché il reato è commesso in parte su quel territorio, non è una consuetudine internazionale. La Corte Internazionale di Giustizia in questa sentenza sottolinea quello che è il suo reale compito, semplicemente individuare quello che è il diritto vigente in quel momento nel panorama internazionale. Anche la Corte EDU proseguì su questa strada: con la sentenza del 2001 caso Al Adsani affermò che la regola consuetudinaria era quella dell’immunità, anche in presenza di tortura commessa all’estero. Nonostante questo però l’Italia non cambiò prospettiva: la Corte Costituzionale italiana con la sentenza n. 238/2014 ripudiò la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dichiarando l’incostituzionalità delle norme che obbligavano ad ottemperare alle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia o delle norme che obbligavano a rispettare le immunità statali. Queste erano incostituzionali perché il sacrificio della tutela giurisdizionale di accesso al giudice è un sacrificio sproporzionato rispetto all’obiettivo delle immunità di non incidere sull’altrui sovranità, sulla bilancia dei valori. Quindi la Corte Costituzionale da un peso maggiore all’art. 24 della Costituzione e non alle immunità. La Corte afferma che se le immunità statali si estendono anche a questi casi, l’art. 10,1 della Cost. non può operare e quindi non può esserci l’adattamento automatico del nostro ordinamento alle norme comunitarie, perché questo vorrebbe dire confliggere con i principi fondamentali della nostra Costituzione. Questo è classico esempio della teoria dei contro-limiti. La Corte Costituzionale ribadisce quindi la giurisdizione dei giudici italiani su questo punto. Se sul piano internazionale la soluzione era quella della Corte Internazionale di Giustizia (ci sono consuetudini, l’Italia è l’unica ad avere diversa concezione, ci sono altre soluzioni come quella dell’autotutela, quindi del risarcimento in sede internazionale) a livello pragmatico invece la riparazione di un danno a livello di diritto internazionale riguarda la stessa soluzione indicata dal caso Ferrini, solo che in questo caso è il giudice nazionale a decidere sul risarcimento: questo è preferibile perché sì, esiste l’autotutela, esiste la protezione diplomatica (diversa dall’immunità diplomatica, la protezione è un istituto per mezzo del quale uno Stato agisce a livello internazionale, previo esaurimento dei ricorsi interni, per tutelare un suo cittadino che all’estero ha subito gravi violazioni) di uno Stato nei confronti del proprio cittadino leso all’estero, MA questa non è obbligatoria, lo Stato di nazionalità potrebbe anche omettere di agire a livello internazionale e così verrebbe meno il diritto di accesso al giudice da parte delle vittime. - IMMUNITÀ DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Facciamo riferimento all’associazioni di Stati, con una propria personalità distinta da quelli dei singoli Stati. Le Organizzazioni Internazionali nascono per la cooperazione degli Stati, per creare un equilibrio tra gli Stati. È importante quindi riconoscere la personalità delle Organizzazioni Internazionali e la loro indipendenza, soprattutto dai giudici degli Stati nazionali. Questa indipendenza si assicura con le immunità delle Organizzazioni Internazionali: anche in questo caso ci si riferisce alla sola giurisdizione civile. In realtà, l’immunità delle Organizzazioni Internazionali ha origine pattizia, non consuetudinaria. Infatti, per capire se un’Organizzazione Internazionale sia o meno immune dalla giurisdizione civile degli Stati membri è importante leggere il trattato istitutivo dell’Organizzazione. Problema: l’immunità concessa all’Organizzazione Internazionale in automatico non lede il diritto di accesso al giudice da parte delle vittime lese da un atto dell’Organizzazione? Dopo la sentenza n. 238/2014 nell’ambito internazionale si è iniziato a dare sempre più valore al diritto di accesso al giudice, ma nel caso dell’immunità dell’Organizzazioni come poter garantire questo diritto? La soluzione (anche se ci sono alcune eccezioni come quella olandese o come la Corte di Strasburgo in alcune sentenze) è: riconoscere l’immunità dell’Organizzazione solo ed esclusivamente se la stessa abbia un proprio tribunale interno che possa essere adito dai soggetti lesi da un atto dell’Organizzazione → un tribunale interno che possa essere adito in luogo dei giudici nazionali, infatti si parla di protezione per equivalente. Il diritto di accesso al giudice è garantito per equivalenza: le vittime, o meglio le presunte tali, possono citare in giudizio l’Organizzazione o comunque far valutare la liceità di quell’atto dell’Organizzazione dai giudici della stessa Organizzazione (invece che dai giudici interni), che ovviamente dovranno garantire l’imparzialità. Se l’Organizzazione ha un giudice interno allora sarà immune davanti ad altri giudici nazionali. Bisogna ovviamente capire se i principi di quest’organo siano compatibili con i principi garantiti a livello interno. Ci si è chiesti ancora se debba riconoscersi anche l’immunità ai funzionari delle Organizzazioni Internazionali. La risposta deve essere individuata anche qui solo a livello pattizio e non consuetudinario: l’art. 105 par. 2 della Carta ONU afferma che i funzionari delle Nazioni Unite godranno delle immunità e dei privilegi necessari per l’esercizio indipendente delle funzioni per conto dell’Organizzazione. Nel caso in cui il funzionario dovesse essere leso, l’Organizzazione può chiedere la tutela dello stesso a livello internazionale? In questo caso, c’è un parere della Corte Internazionale di Giustizia del 1949 in cui si è riconosciuta questa possibilità: ONU contro Israele, in quanto due mediatori dell’ONU furono uccisi a Gerusalemme e si riconobbe la possibilità di una protezione diplomatica anche dell’Organizzazione Internazionale. Secondo altri però, ad esempio Conforti, la protezione diplomatica non può essere utilizzata dalle Organizzazioni Internazionali, in quanto è un mezzo utilizzabile solo dallo Stato di nazionalità di quel funzionario. L’Organizzazione può utilizzare la cosiddetta protezione funzionale, quindi la possibilità di far valere le proprie ragioni a livello di diritto internazionale, solo ed esclusivamente per il risarcimento dei danni ad essa arrecati e non al suo funzionario. La differenza tra protezione diplomatica e protezione funzionale, in alcuni casi, potrebbe però assottigliarsi fino a far congiungere le due situazioni, ragione per la quale questa teoria di Conforti è stata criticata: non è difficile ipotizzare che un’Organizzazione Internazionale agisca chiedendo un risarcimento per i danni subiti dal proprio funzionario nell’esercizio delle sue funzioni.