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Immunità diplomatiche

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Lezione 21 aprile
LE IMMUNITÀ
Qual è lo scopo delle immunità? Il valore giuridico protetto è l’ordine globale, universale: equilibrio globale. Ordine
globale come ordine tra Stati pari tra loro, che hanno la stessa sovranità e che non riconoscono altre autorità al di
sopra degli stessi: superiorem non recognoscens. Gli Stati riconoscono l’altrui sovranità, ma non un’autorità al di sopra
degli stessi. L’ordine globale ha la sua natura nel principio di uguaglianza, nella parità giuridica degli Stati.
Come poter rispettare l’uguaglianza tra le sovranità? L’uguaglianza può essere garantita da norme giuridiche come
l’immunità, la non ingerenza, il dominio riservato: dal rispetto dell’altrui sovranità. L’immunità si basa su brocardi che
nascono dall’uguaglianza: par in parem non habet iurisdictionem ; ne impediatur legatio. Non ostacolare l’altrui
sovranità, esercizio di governo. Il rispetto reciproco.
Nel caso delle immunità il rispetto si basa sull’autolimitazione degli Stati, autolimitando la propria sovranità
riconoscono e rispettano l’altrui sovranità. Uguaglianza per giungere all’equilibrio. Ciò si sostanzia nel riconoscere
l’altro stato in diverse forme: nella forma individuale, come stato in quanto tale (immunità statale), immunità statale
per mezzo del suo organo (immunità diplomatica), nella forma associativa (immunità delle organizzazioni
internazionali)
- IMMUNITÀ DIPLOMATICHE
Il diplomatico è l’organo di uno stato straniero che svolge le sue funzioni ufficiali per conto del proprio stato di
appartenenza (Stato accreditante) sul territorio di un altro stato (Stato accreditatario). Funzione di mantenere i
contatti, i buoni rapporti con gli stati accreditatari → è necessario evitare che lo stato territoriale, accreditatario
esercitando la sua sovranità ostacoli l’attività del funzionario dell’altro stato (ne impediatur legatio) → altrimenti ci
sarebbe una posizione di disequilibrio, sarebbe come se lo stato accreditatario volesse primeggiare sull’altro stato,
non riconoscendo la figura del diplomatico
La legazione sia attiva sia passiva non è un obbligo: si basa sul mutuo consenso, sulla unione di due volontà statali
Come avviene l’invio del diplomatico? Generalmente lo stato accreditante cerca di ottenere un gradimento iniziale da
parte dello stato eventualmente accreditatario. Capita la volontà di quello stato di accogliere il diplomatico, allora lo
stato accreditante avvia il procedimento di accreditamento, che termina con l’invio del diplomatico assieme alle lettere
credenziali, ossia lettere scritte dal capo di stato (in virtù del potere conferitogli dall’art. 87 Cost.)
L’immunità diplomatica inizia a decorrere dal momento in cui il diplomatico mette piede sul territorio dello stato
accreditatario, e perdura per tutta la durata della sua missione. Può finire in diversi modi: con una lettera di richiamo
dello stato accreditante; con l’estinzione dei rapporti diplomatici (ad es. in un conflitto armato tra i due stati); con la
dichiarazione di persona non grata (consegna dei passaporti) da parte dello stato accreditatario che vede nel
diplomatico una potenziale minaccia alla propria sicurezza.
Le immunità personali sono conferite al diplomatico anche nel suo passaggio per un terzo stato e vengono rispettate
solo dallo Stato accreditante.
Le immunità trovano una fonte normativa di riferimento nella Convenzione di Vienna del 1961.
Le immunità diplomatiche possono essere suddivise in tante subcategorie a seconda del settore di riferimento. Si
dividono in inviolabilità personale, inviolabilità domiciliare, immunità giurisdizionale (dalla giurisdizione penale, civile
ed amministrativa), esenzione fiscale.
1) Inviolabilità personale: obbligo dello stato accreditatario di proteggere la persona del diplomatico dalle offese
(inviolabilità fisica), dalle misure preventive e repressive (a meno che lo stato accreditante non dia il suo consenso a
questo)
2) Inviolabilità domiciliare: riguarda il domicilio del diplomatico, è sia l’abitazione riservata dello stesso sia la sede della
missione diplomatica, ma anche l’auto e la valigetta del diplomatico
Vi è un caso del 2016, posto all’attenzione della Corte internazionale di giustizia, che riguardava un’operazione di
polizia francese nei confronti del figlio del Capo di Stato della Guinea accusato di riciclaggio e corruzione: l’autorità
francese lo arrestò sequestrando alcuni documenti rinvenuti nell’auto del Capo di Stato e nella sede della missione
diplomatica. La sede diplomatica era considerata territorio dello Stato accreditante, e non dello Stato accreditatario;
questo principio di extraterritorialità è oggi venuto meno poiché la sede diplomatica è territorio dello Stato
accreditatario anche se questi limita qui la sua sovranità, dal momento che nella sede diplomatica non tutte le attività
possono essere eseguite da questi come ad esempio le misure repressive o coercitive.
3) Immunità dalla giurisdizione civile, penale e amministrativa: si può dividere in due sottocategorie: immunità
funzionale, ratione materiae e immunità personale, ratione personae. La distinzione è legata agli atti compiuti dal
diplomatico: se sono atti compiuti in qualità di organo di stato, allora si parlerà di immunità funzionale. Qualora invece
gli atti oggetto di un eventuale controversia siano stati posti in essere dal diplomatico in qualità di privato cittadino
allora si parlerà di immunità personale.
Immunità funzionale: immunità dalla legge, che riguarda gli atti ufficiali compiuti dal diplomatico nell’esercizio e per
l’esercizio delle sue funzioni tipiche. C’è quest’immunità così estesa, pregnante perché in quel caso il diplomatico
agisce come organo distato, non come cittadino qualsiasi straniero, come organo rappresentativo di un’atra sovranità
riconosciuta dallo stato accreditatario. Sono atti che possono essere imputati direttamente allo stato accreditante.
Inoltre, se così non fosse e non esistesse l’immunità funzionale l’organo diplomatico non vedrebbe la garanzia
dell’esercizio indisturbato delle sue funzioni, e quindi un ostacolo, un’ingerenza nei confronti della sovranità dello
stato accreditante. Questa immunità perdura anche dopo il termine della missione, tranne nel caso di commissione di
crimini internazionali, contro l’umanità. Si tratta di un’immunità che tutti gli stati devono rispettare.
Immunità personale: atti compiuti dal diplomatico come qualsiasi altro cittadino straniero. Immunità non dalla legge,
ma dalla sola giurisdizione. Valgono solo ed esclusivamente finchè il diplomatico esplica le sue funzioni, vi sia la
missione diplomatica. Anche per queste c’è il limite dei crimini internazionali.
4) Immunità fiscale: riguarda solo le imposte dirette personali. In alcuni rapporti tra Stati queste esenzioni fiscali si
sono estese anche alle imposte indirette (in questo caso più che di consuetudine, si parla di una mera ragione di
cortesia basata sulla reciprocità).
Se si dovesse avere un abuso di immunità, la presenza del diplomatico costituirebbe una minaccia per la sicurezza
nazionale dello stato accreditatario. La Convenzione di Vienna non si esprime a tal proposito. Il Focarelli sostiene che
il regime delle immunità sia autosufficiente da questo di punto di vista. Nel caso di guerra tra due Stati, vi può essere
una rottura dei rapporti diplomatici che si configura come soluzione obbligatoria in caso di violazione dei diritti umani
(è prevista anche la consegna dei passaporti).
Il dubbio rimane se l’immunità diplomatica possa o meno essere oggetto di una contromisura (la contromisura si
sostanzia nel comportamento di uno Stato che viola le norme di D.I. come risposta ad un’analoga violazione da parte
di un altro Stato nei suoi confronti: una violazione che segue un’altra violazione da parte di un altro stato). La violazione
delle norme sulle immunità diplomatiche non può essere giustificata a titolo di contromisura (art. 50). Nella prassi
però questo non accade. Esempio: relazione tra Russia e Inghilterra 2018: il ministro degli esteri russo minacciò di
espellere tutti i diplomatici inglesi sul territorio russo a titolo di contromisura alle minacce di espulsione dei diplomatici
russi sul territorio inglese poste in essere da Teresa May. Tensioni provocate dall’avvelenamento di un agente segreto
russo a Londra.
Quali sono le figure degli organi diplomatici? Le immunità diplomatiche a chi si riferiscono? Sicuramente ai titolari
della missione diplomatica: l’ambasciatore di rango; in alternativa alcune missioni sono guidate da agenti diplomatici
o ambasciatori di ruolo (ministri plenipotenziari). Le immunità riguardano altresì il personale diplomatico (consiglieri,
segretari di legazione). Le immunità esaminate si estendono anche ai familiari degli agenti diplomatici → esempio:
figlio dell’ambasciatore brasiliano coinvolto in una rissa all’uscita di un locale notturno in uno stato europeo. Venne
impedito l’arresto del figlio del diplomatico.
In alcuni casi, le immunità si sono estese al personale di servizio e ai domestici dell’organo diplomatico: non si parla di
estensione, ma di concessione per ragioni di mera cortesia e reciprocità.
Le immunità si estendono anche ad altri organi di stato diversi dagli agenti diplomatici: capo di stato, capo di governo,
ministro degli esteri, ma solo durante le visite ufficiali all’estero. Anche se nella prassi queste immunità si sono estese
anche nelle visite private.
Le immunità funzionali vengono riconosciute al console, che esplica funzioni amministrative: rilascio di passaporti,
documenti, tiene l’archivio delle nascite e dei decessi, degli arresti, della scomparsa dei cittadini. Gode anche di
un’immunità connessa all’archivio consolare, che è inviolabile.
Le immunità diplomatiche riguardanti i rappresentanti di Stato si estendono anche nei casi questi ultimi svolgono le
loro funzioni nelle organizzazioni e nelle conferenze internazionali. Si estende anche l’immunità personale.
L’immunità personale non viene concessa agli organi che fanno parte delle delegazioni delle missioni, ma che non sono
agenti diplomatici.
Immunità diplomatiche degli organi di stato impegnati all’estero nelle missioni speciali: vige l’immunità personale.
Però nella giurisprudenza ci sono stati casi in cui non è stata riconosciuta l’immunità personale. Esempio: corte
costituzionale tedesca, leader iraniano Tabatabai.
Corpi di truppa di uno Stato o di un’organizzazione internazionale impegnati in missioni all’estero, che stazionano in
maniera permanente sul territorio di un altro stato, con il consenso di quest’ultimo. Esempio: sentenza della corte
suprema degli Stati Uniti del 1812 The Schooner Exchange. Se è concesso il libero passaggio, questo comporta
logicamente l’accettazione di altrettante limitazioni dello stato territoriale rispetto alla propria giurisdizione. Questo
concetto è stato ripreso anche nel diritto internazionale marittimo.
A differenza del transito, per quanto riguarda lo stazionamento non c’è una risposta univoca. Esempio: caso Lozano –
caso Abu Omar.
La disciplina dei corpi di truppa stazionati all’estero trae origine da accordi specifici tra lo stato territoriale e lo stato
che ha inviato quel corpo di truppa: SOFAs. Lo stesso dicasi per le operazioni della NATO.
La soluzione connessa alla situazione degli Stati Nato è data da una norma convenzionale che disciplina lo status delle
forze NATO sul territorio degli stati membri: Convenzione di Londra del 1951 che all’art. 7 trova una “soluzione”. L’art.7
è stato utilizzato per la difesa dei due marò, nave Enrica Lexie.
Lezione 22 aprile
- IMMUNITÀ DEGLI STATI
Ci si riferisce all’immunità di uno Stato dalla sola giurisdizione civile rispetto ad un altro Stato → lo Stato non ha una
responsabilità penale, allo Stato non si può imputare direttamente un reato (questa è una massima di diritto penale);
il D.lgs. n. 231/2001 all’art.1 comma 3 esclude la responsabilità penale dello Stato perché in quanto ente, persona
giuridica non può essere responsabile penalmente: questo accade non solo in riferimento allo Stato italiano ma anche
in riferimento ai crimini internazionali → infatti l’art. 25 par. 4 dello Statuto di Roma del 1998 (Statuto della Corte
Penale Internazionale con sede all’Aia) afferma che “le disposizioni del presente statuto (disposizioni riguardanti
crimini internazionali) non incidono sulla responsabilità degli Stati prevista dal diritto internazionale”. Ecco perché si
parla solo di immunità dalla giurisdizione civile di un altro Stato, rivolta soltanto verso i giudici civili di un altro Stato.
L’emblema del concetto dell’immunità statale si trova all’interno del brocardo “par in parem non habet
iurisdictionem”, secondo il quale “tra pari non ci si giudica” e invero fino alla metà del XIX secolo questo brocardo
era applicato alla lettera, infatti fino a quel momento si parlava di “immunità assoluta” dei sovrani (con riferimento
alle monarchie assolute). Successivamente si è parlato di immunità giurisdizionale degli Stati con l’avvento delle
monarchie costituzionali. In nessun caso un giudice civile avrebbe potuto giudicare un altro stato → per garantire
l’eguaglianza tra gli Stati, l’ordine globale, altrimenti lo Stato giudicante si sarebbe posto come superiore nei
confronti di un suo simile e questo avrebbe provocato uno squilibrio tra gli Stati. L’esempio per eccellenza del concetto
di immunità assoluta possiamo ritrovarlo nella dottrina “act of states”, secondo la quale le corti interne non potevano
in nessun caso rifiutarsi di applicare una legge straniera o di eseguire un atto di un altro Stato nel proprio territorio,
anche se queste pronunce fossero contrarie al diritto internazionale o addirittura ai principi interni dello Stato
territoriale → questo per evitare di controllare gli atti o le leggi degli Stati stranieri. Quindi la ratio dell’immunità statale
sta nell’autolimitazione: lo Stato auto-limita la propria giurisdizione affinché si riconosca la sovranità e l’uguaglianza
di un altro Stato. Questo concetto di immunità assoluta perdurò fino alla metà del XIX secolo.
Successivamente, alcuni stati, l’Italia per prima, iniziarono a negare, in talune circostanze, questa immunità assoluta
degli altri Stati, fino ad arrivare all’affermazione di una “immunità relativa”, un’immunità ristretta che si basa su una
distinzione tra:
- atti compiuti da uno Stato straniero nell’esercizio delle funzioni pubbliche, iure imperii;
- atti compiuti da uno Stato straniero come privato cittadino, iure privatorum o iure gestionis.
Distinzione che per analogia abbiamo già visto nelle immunità diplomatiche parlando delle immunità ratione materiae
e ratione personae, distinzione quindi degli atti ufficiali compiuti dall’organo diplomatico nell’esercizio delle sue
funzioni tipiche dagli atti compiuti dal diplomatico come soggetto di diritto privato.
Solo per gli atti iure imperii è stata riconosciuta un’immunità. Per gli atti iure privatorum invece Stati come l’Italia
hanno negato l’immunità perché lo Stato non agisce esplicando funzioni pubbliche, ma come qualsiasi altro privato.
Tutto ciò perché si riteneva non opportuno riconoscere agli Stati sempre e comunque un’immunità, anche quando
non c’era nessuna destinazione pubblica dell’atto. In Italia, inoltre, lo Stato iniziò a partecipare ad attività
imprenditoriali (commerciali) e questo fece sì che iniziò anche ad essere chiamato in giudizio (solo per giurisdizione
civile). Proprio per questo si pensò di distinguere gli atti compiuti dallo Stato e di riconoscere l’immunità solo per gli
atti iure imperii. Questa soluzione venne gradualmente abbracciata da altri Stati, dalla Corte di Strasburgo e dalla Corte
Internazionale di Giustizia, divenendo addirittura oggi una consuetudine vera e propria.
Come distinguere gli atti iure imperii e gli atti iure privatorum? Alcuni ordinamenti hanno optato per un metodo
enumerativo (common law soprattutto): hanno emanato delle leggi ad hoc nelle quali si indicava quali atti nello
specifico rientrassero nella categoria iure privatorum (eccezioni), dove l’immunità statale veniva meno. Anche la
Convenzione di New York del 2004 ha proceduto in egual modo (non ancora entrata in vigore a causa di numero
insufficiente di ratifiche): nell’art. 5 sono stati indicati gli atti iure privatorum e quindi le eccezioni alla regola generale
dell’immunità riconosciuta dalla Convenzione (es. transazioni commerciali). Altri Stati come l’Italia invece hanno
optato per norme generiche, non specifiche → all’art. 11 ultimo comma della L. n. 218/1995 si specifica che il giudice
nazionale italiano possa rilevare ex officio, da sé, il suo difetto di giurisdizione quando il convenuto straniero è
contumace o quando l’immobile è situato all’estero o nel momento in cui la giurisdizione italiana è esclusa per effetto
di una norma di diritto internazionale. Il giudice civile italiano quindi in alcune tipologie di controversie transnazionali
può rilevare da sé il proprio difetto di giurisdizione quando quest’ultima è esclusa da una norma internazionale;
riferimento questo molto generico, non si fa nessuna specificazione, ma si parla in generale di un effetto dato dalle
norme di diritto internazionale, è un rinvio generico. È il giudice ad avere l’onere di individuare quali sono gli atti
sussumibili nella fattispecie iure privatorum. Se il giudice nazionale ha dei dubbi a riguardo deve applicare la regola
generale dell’immunità dello Stato.
In alcune fonti, come nella Convenzione di New York del 2004, la regola basilare è quella dell’immunità e poi ci sono
delle eccezioni, sempre per il discorso “par in parem non habet iurisdictionem”. La stessa Convenzione dà poi un’altra
linea che i giudici potrebbero seguire: all’art. 10 si parla delle transazioni commerciali (qualificate dell’art. 5 come atti
iure privatorum) rispetto alle quali la linea da seguire, per capire se siano effettivamente atti iure privatorum, è quella
di considerare la natura dell’atto non lo scopo: se l’atto di per sé è un atto di diritto privato allora sarà un atto iure
privatorum e non iure imperii, indipendentemente dalla destinazione prefissata per quell’atto. L’esempio delle
transazioni commerciali è dato dalla compravendita (istituto di diritto privato): se uno Stato scambia una cosa con il
prezzo, si parlerà comunque di atto iure privatorum indipendentemente dall’eventuale destinazione pubblica di quel
bene.
Inizialmente anche l’Italia segui questa linea di indirizzo: la Cassazione nella sentenza n. 15027/2016 nega l’immunità
all’Iraq convenuto in giudizio da una società italiana che aveva costruito e venduto su commissione all’Iraq degli
elicotteri, elicotteri non pagati per intero, che però successivamente vennero utilizzati dall’Iraq per invadere il Kuwait.
In questo caso c’è stato un contratto di natura privata tra l’Iraq e questa società, quindi non si è concessa l’immunità
perché è un atto di natura iure privatorum.
Nella realtà però questa non è l’unica soluzione; in altri casi infatti si considera la destinazione del bene. Parliamo di
particolari categorie di controversie rispetto alle immunità statali:
1. esecuzione forzata e provvedimenti cautelari aventi ad oggetto beni di un altro Stato;
2. controversie di lavoro;
3. controversie nate dalla richiesta di risarcimento ad uno Stato che ha violato i diritti umani.
Categorie queste che hanno dato dei problemi proprio rispetto alle immunità statali.
1. Con esecuzione forzata si intende quell’azione, quell’aggressione posta in essere da un creditore nei
confronti del proprio debitore inadempiente. Primo atto dell’esecuzione forzata è il pignoramento, quindi si
si procede alla vendita il bene e ci si soddisfa sul ricavato. I provvedimenti cautelari invece cristallizzano un
bene sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista materiale: un bene oggetto di controversia o posto
a garanzia di una situazione giuridica soggettiva. Uno dei provvedimenti cautelari tipici è il sequestro del bene.
Ci si è chiesti: ma se il bene fosse di un altro Stato? Si può aggredire con l’esecuzione forzata, si può sequestrare
questo bene? In questo caso vale comunque la regola dell’immunità relativa e quindi non si riconoscerà
l’immunità nel momento in cui il bene non sia destinato ad una pubblica funzione (e quindi potrà essere
aggredito). Invece si deve riconoscere l’immunità a quel bene destinato ad una pubblica funzione. Esempio
emblematico quello di una sentenza della Cassazione del 1992 in cui i giudici italiani riconobbero l’immunità
degli USA rispetto ad un bene situato in una base militare USA in Italia (Sigonella) e avente una destinazione
pubblica.
Col tempo però questa concezione si è estesa anche ai beni a destinazione promiscua di un altro Stato. Ad
esempio, ci si è chiesto se il conto corrente di uno Stato depositato in un altro Stato potesse essere aggredito
mediante esecuzione forzata o con dei provvedimenti cautelari: la risposta giurisprudenziale è stata negativa,
anche in questo caso si riconosceva l’immunità dei conti correnti di un altro Stato perché si riteneva che la
funzione dei conti correnti di un altro Stato fosse quella di finanziare i fini istituzionali dello stesso, quindi una
funzione pubblica. Anche nella successiva giurisprudenza si è sempre estesa la concezione di beni o di atti iure
imperii. Altro esempio è quello dei bond argentini: qui la Corte di Cassazione italiana ha negato la possibilità
agli investitori italiani che iniziavano ad aggredire i beni argentini in Italia affermando che vi era immunità dello
Stato dell’Argentina perché, se è vero che l’emissione di titoli di Stato sul debito pubblico è di per se un atto
di diritto privato, è anche vero che la sospensione dei pagamenti dell’Argentina sui titoli di Stato del proprio
debito pubblico era un atto iure imperii compiuto per salvaguardare la grave crisi economica dell’Argentina,.
Vi è stata un’estensione che ha ampliato il concetto di iure imperii.
2. Per controversie giuslavoristiche si intendono quelle controversie tra il dipendente di uno Stato, che
prestava la propria opera sul territorio di un altro Stato, e lo Stato d’invio. Ci si è chiesti: in questo caso, lo
Stato che ha inviato il lavoratore sul territorio di un altro Stato per lavorare, gode o meno dell’immunità?
Mettiamo il caso che il lavoratore non venga più pagato dal suo Stato, vi è o meno l’immunità dello Stato di
invio? La giurisprudenza italiana in un primo momento ha distinto le situazioni rispetto alle mansioni del
lavoratore: se la mansione riguardava l’esercizio di una funzione pubblica dello Stato allora c’era immunità
dello Stato convenuto, altrimenti non poteva sussistere.
Questa soluzione ha però delle difficoltà di applicazione perché anche il semplice autista svolge una funzione
pubblica. Proprio per questo, la giurisprudenza italiana successivamente ha optato per un’altra soluzione: dare
prevalenza all’oggetto della pretesa e quindi della domanda dedotta in giudizio, nello specifico se ha avuto
riguardo dell’impatto che la decisione del giudice italiano avrebbe avuto sulla sovranità dell’altro Stato
convenuto in giudizio. Quindi, nel caso delle controversie di lavoro, secondo la giurisprudenza italiana si poteva
negare l’immunità statale solo nelle controversie di carattere prettamente patrimoniale, relative al contratto
di lavoro, perché si pensava che la lesione patrimoniale sarebbe stata facilmente ripristinabile per lo Stato,
non si ledeva così tanto la sovranità di un altro Stato. Giudicare uno Stato convenuto in giudizio perché doveva
dei soldi al proprio lavoratore non va ad inficiare la sovranità, la potestà di un altro Stato in maniera così
pregnante.
A livello internazionale si è adottata un’altra soluzione: si è avuto riguardo dell’intensità del legame tra il
lavoratore e lo Stato in cui il soggetto ha lavorato. Infatti, si esclude l’immunità dello Stato che ha inviato il
lavoratore (dello Stato convenuto in giudizio dal lavoratore) se il lavoratore ha la residenza abituale o la
cittadinanza nello Stato in cui ha prestato l’opera. Al contrario, si riconosce l’immunità dello Stato di invio del
lavoratore quando quest’ultimo ha la cittadinanza dello Stato convenuto in giudizio. Semplificando: la
giurisdizione nelle controversie di lavoro segue la cittadinanza o la residenza del lavoratore, o ancora il
domicilio.
3. Anche per quanto riguarda le controversie nate dalla domanda di risarcimento nei confronti di uno Stato che
abbia violato i diritti umani, ci si è chiesti se vige o meno l’immunità dello Stato che ha commesso queste
violazioni?
L’Italia ha una posizione forte rispetto a questa problematica. Esempio: Caso Ferrini, sentenza della Corte di
Cassazione a Sezioni Unite n. 5044/2004. Ferrini, deportato nei campi di concentramento nazisti, aveva
convenuto in giudizio la Repubblica Federale Tedesca, chiedendo un risarcimento per quello che aveva subito,
per le gravi violazioni di diritti umani. I giudici italiani non riconobbero l’immunità della Repubblica tedesca
perché i diritti umani rientrano nello ius cogens, in quel nucleo delle norme di diritto internazionale valide
erga omnes, che prevalgono su qualsiasi altra norma. Inoltre, parte di queste violazioni vennero perpetrate
sul territorio dello Stato italiano, pertanto il locus commissi delicti era in parte quello italiano, seguendo quindi
la cosiddetta “tort exception” prevista sia dall’art. 11 della Convenzione Europea sull’immunità degli Stati del
1972, sia dell’art. 12 della Convenzione di New York del 2004 (l’immunità non può essere invocata nelle
controversie riguardanti il risarcimento del danno alla persona). Quindi, la giurisdizione dello Stato del foro
nel momento in cui almeno una parte delle gravi violazioni siano state commesse sul suo territorio non
riconosce l’immunità. La Corte di Cassazione motiva la decisione su un ulteriore argomento: “last resort
argument”, ovvero se riconoscere l’immunità vorrebbe dire negare il diritto al risarcimento del danno alle
vittime di queste violazioni grave e questo comporterebbe una violazione grave del diritto all’accesso al giudice
allora si andrebbe a negare il diniego di giustizia, a sbarrare l’accesso alle vittime al giudice, violando l’art. 24
Cost. È una posizione innovativa quella della Corte di Cassazione che nega l’immunità, e questa diventa prassi
giurisprudenziale italiana. Anche altre sentenze successivamente permettono di chiamare in giudizio gli altri
Stati chiedendo il risarcimento dei danni. La Corte di Cassazione ha riaffermato la sua posizione nella sentenza
Winkler, nella sentenza Mantelli e nella sentenza Lozano.
La Corte di Cassazione riconobbe gli effetti di una sentenza greca, caso Distomo, emessa dal tribunale di
Levadia, con la quale i giudici greci non concessero l’immunità alla Germania, convenuta in giudizio dalle
vittime greche di Distomo, che chiesero alla Germania a titolo di risarcimento dei danni per le gravi violazioni
dei diritti umani un risarcimento di 56 milioni di marchi. L’esecuzione di quella sentenza non venne posta in
essere da altri Stati ma venne riconosciuta dall’Italia: altri paesi come l’Inghilterra hanno comunque concesso
l’immunità alla Germania. L’Italia è l’unica ad aver riconosciuto la sentenza greca e ad aver negato l’immunità
alla Germania. La risposta della Corte Internazionale di Giustizia fu la sentenza del 3 febbraio 2012 → dalla
Sentenza del caso Ferrini si moltiplicarono le domande del risarcimento del danno, divenne un precedente, la
sentenza stessa arrivò in esecuzione forzata aggredendo i beni tedeschi in Italia, e per queste ragioni la
Germania citò in giudizio l’Italia affermando che avesse violato la consuetudine sull’immunità. La Corte accettò
il ricorso della Germania affermando che la concessione dell’immunità per queste tipologie di controversie era
ormai una consuetudine. Inoltre, riconoscere l’immunità allo Stato che ha commesso queste grandi violazioni
non equivale a riconoscere la liceità di quelle violazioni, perché l’immunità ha semplicemente carattere
processuale, procedurale, riguarda solamente la giurisdizione non il diritto sostanziale. Riconoscere
l’immunità equivale semplicemente a precludere l’azione giurisdizionale dinanzi ad un giudice nazionale di
un altro Stato, non esclude però l’esistenza della violazione. La Corte affermò che la tort exception, quindi il
fatto che la giurisdizione ricada sullo Stato del foro perché il reato è commesso in parte su quel territorio, non
è una consuetudine internazionale. La Corte Internazionale di Giustizia in questa sentenza sottolinea quello
che è il suo reale compito, semplicemente individuare quello che è il diritto vigente in quel momento nel
panorama internazionale.
Anche la Corte EDU proseguì su questa strada: con la sentenza del 2001 caso Al Adsani affermò che la regola
consuetudinaria era quella dell’immunità, anche in presenza di tortura commessa all’estero.
Nonostante questo però l’Italia non cambiò prospettiva: la Corte Costituzionale italiana con la sentenza n.
238/2014 ripudiò la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dichiarando l’incostituzionalità delle
norme che obbligavano ad ottemperare alle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia o delle norme che
obbligavano a rispettare le immunità statali. Queste erano incostituzionali perché il sacrificio della tutela
giurisdizionale di accesso al giudice è un sacrificio sproporzionato rispetto all’obiettivo delle immunità di non
incidere sull’altrui sovranità, sulla bilancia dei valori. Quindi la Corte Costituzionale da un peso maggiore all’art.
24 della Costituzione e non alle immunità. La Corte afferma che se le immunità statali si estendono anche a
questi casi, l’art. 10,1 della Cost. non può operare e quindi non può esserci l’adattamento automatico del
nostro ordinamento alle norme comunitarie, perché questo vorrebbe dire confliggere con i principi
fondamentali della nostra Costituzione. Questo è classico esempio della teoria dei contro-limiti. La Corte
Costituzionale ribadisce quindi la giurisdizione dei giudici italiani su questo punto.
Se sul piano internazionale la soluzione era quella della Corte Internazionale di Giustizia (ci sono consuetudini,
l’Italia è l’unica ad avere diversa concezione, ci sono altre soluzioni come quella dell’autotutela, quindi del
risarcimento in sede internazionale) a livello pragmatico invece la riparazione di un danno a livello di diritto
internazionale riguarda la stessa soluzione indicata dal caso Ferrini, solo che in questo caso è il giudice
nazionale a decidere sul risarcimento: questo è preferibile perché sì, esiste l’autotutela, esiste la protezione
diplomatica (diversa dall’immunità diplomatica, la protezione è un istituto per mezzo del quale uno Stato
agisce a livello internazionale, previo esaurimento dei ricorsi interni, per tutelare un suo cittadino che
all’estero ha subito gravi violazioni) di uno Stato nei confronti del proprio cittadino leso all’estero, MA questa
non è obbligatoria, lo Stato di nazionalità potrebbe anche omettere di agire a livello internazionale e così
verrebbe meno il diritto di accesso al giudice da parte delle vittime.
- IMMUNITÀ DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Facciamo riferimento all’associazioni di Stati, con una propria personalità distinta da quelli dei singoli Stati. Le
Organizzazioni Internazionali nascono per la cooperazione degli Stati, per creare un equilibrio tra gli Stati. È importante
quindi riconoscere la personalità delle Organizzazioni Internazionali e la loro indipendenza, soprattutto dai giudici degli
Stati nazionali. Questa indipendenza si assicura con le immunità delle Organizzazioni Internazionali: anche in questo
caso ci si riferisce alla sola giurisdizione civile.
In realtà, l’immunità delle Organizzazioni Internazionali ha origine pattizia, non consuetudinaria. Infatti, per capire se
un’Organizzazione Internazionale sia o meno immune dalla giurisdizione civile degli Stati membri è importante leggere
il trattato istitutivo dell’Organizzazione.
Problema: l’immunità concessa all’Organizzazione Internazionale in automatico non lede il diritto di accesso al giudice
da parte delle vittime lese da un atto dell’Organizzazione? Dopo la sentenza n. 238/2014 nell’ambito internazionale si
è iniziato a dare sempre più valore al diritto di accesso al giudice, ma nel caso dell’immunità dell’Organizzazioni come
poter garantire questo diritto? La soluzione (anche se ci sono alcune eccezioni come quella olandese o come la Corte
di Strasburgo in alcune sentenze) è: riconoscere l’immunità dell’Organizzazione solo ed esclusivamente se la stessa
abbia un proprio tribunale interno che possa essere adito dai soggetti lesi da un atto dell’Organizzazione → un
tribunale interno che possa essere adito in luogo dei giudici nazionali, infatti si parla di protezione per equivalente.
Il diritto di accesso al giudice è garantito per equivalenza: le vittime, o meglio le presunte tali, possono citare in giudizio
l’Organizzazione o comunque far valutare la liceità di quell’atto dell’Organizzazione dai giudici della stessa
Organizzazione (invece che dai giudici interni), che ovviamente dovranno garantire l’imparzialità. Se l’Organizzazione
ha un giudice interno allora sarà immune davanti ad altri giudici nazionali. Bisogna ovviamente capire se i principi di
quest’organo siano compatibili con i principi garantiti a livello interno.
Ci si è chiesti ancora se debba riconoscersi anche l’immunità ai funzionari delle Organizzazioni Internazionali. La
risposta deve essere individuata anche qui solo a livello pattizio e non consuetudinario: l’art. 105 par. 2 della Carta
ONU afferma che i funzionari delle Nazioni Unite godranno delle immunità e dei privilegi necessari per l’esercizio
indipendente delle funzioni per conto dell’Organizzazione.
Nel caso in cui il funzionario dovesse essere leso, l’Organizzazione può chiedere la tutela dello stesso a livello
internazionale? In questo caso, c’è un parere della Corte Internazionale di Giustizia del 1949 in cui si è riconosciuta
questa possibilità: ONU contro Israele, in quanto due mediatori dell’ONU furono uccisi a Gerusalemme e si riconobbe
la possibilità di una protezione diplomatica anche dell’Organizzazione Internazionale.
Secondo altri però, ad esempio Conforti, la protezione diplomatica non può essere utilizzata dalle Organizzazioni
Internazionali, in quanto è un mezzo utilizzabile solo dallo Stato di nazionalità di quel funzionario. L’Organizzazione
può utilizzare la cosiddetta protezione funzionale, quindi la possibilità di far valere le proprie ragioni a livello di
diritto internazionale, solo ed esclusivamente per il risarcimento dei danni ad essa arrecati e non al suo funzionario.
La differenza tra protezione diplomatica e protezione funzionale, in alcuni casi, potrebbe però assottigliarsi fino a far
congiungere le due situazioni, ragione per la quale questa teoria di Conforti è stata criticata: non è difficile ipotizzare
che un’Organizzazione Internazionale agisca chiedendo un risarcimento per i danni subiti dal proprio funzionario
nell’esercizio delle sue funzioni.
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