GENITORIALITÀ E COUNSELLING Dalla nascita del figlio in poi la coppia genitoriale diviene sempre più saliente rispetto alla coppia coniugale e vanno sullo sfondo, non senza qualche problema, le due individualità da cui ha preso avvio la coppia coniugale. Co-genitorialità ❏ Aspetto specifico della relazione di coppia che concerne il ruolo genitoriale e l’accudimento del bambino ❏ Implica il successo vs insuccesso della diade in qualità di genitori ❏ Non concerne la relazione affettiva o sessuale tra i partner e pertanto si applica alle coppie sposate, separate, conviventi Perché la co-genitorialità è importante? Cosa ci dicono gli studi? Relazione di coppia e Cogenitorialità Co-genitorialità e competenze genitoriali Mamma dice sì e papà dice no: l’importanza della coerenza educativa Quando il comportamento di un genitore vanifica, squalifica o scredita quello dell’altro il bambino diviene incerto e confuso e sviluppa l’errata sensazione di poter sfruttare a proprio vantaggio il contrasto tra i genitori. I bambini pensano di poter decidere di fare qualsiasi cosa, visto che non viene detto loro esattamente che cosa fare. L’accordo, la chiarezza e la coerenza dei genitori sono fonte di sicurezza nei bambini. Per affrontare il mondo esterno, il bambino ha bisogno di partire da una base sicura in cui possa trovare punti di riferimento fermi e non contraddittori. Co-genitorialità e benessere psicologico del figlio Stress genitoriale Squilibrio tra le risorse che il genitore sente di possedere e le esigenze obiettive imposte dal suo ruolo Reazione psicologica negativa alle richieste connesse al ruolo genitoriale. Caratteristiche del bambino Caratteristiche del genitore Caratteristiche del contesto Nello studio dello Stress genitoriale… Parenting Daily Hassless (Crnic e Greenberg 1990) “fatiche” connesse alla cura dei figli o al loro comportamento Sebbene ciascuno di questi eventi considerato singolarmente non assuma un significato di particolare rilievo, il loro impatto cumulativo durante il giorno, per diversi giorni rappresentano uno stressors significativo per i genitori più potente rispetto agli eventi di vita significativi. Modalità di intervento 1. Le serate a tema Si pongono per lo più obiettivi: • di informazione; • di sensibilizzazione in merito a problematiche educative relative: - al ruolo genitoriale - alla crescita dei figli • di suscitare domande e riflessioni; • di fornire alcune risposte e rassicurazioni su ciò che comporta nell’essere genitore. • Come operare … Dare ampio spazio a: - discussioni; - domande; - riflessioni collettive I bisogni formativi I maggiori bisogni formativi che emergono dai genitori sono: • la figura paterna; • la figura materna; • l’importanza delle regole; • l’essere coppia coniugale e genitoriale; • i bambini prepotenti; • l’ascolto e la comunicazione; • l’autonomia; • il tempo libero • l’educazione all’indipendenza Una serata a tema - i compiti dei genitori: saper proporre regole e dire dei “no” - Saper dire dei no - Perché è importante saper dare dei limiti ai propri figli - Il limite aiuta il bambino nelle scelte che fa - Il valore della frustrazione - Le caratteristiche delle regole - Far rispettare le regole - Le punizioni - Sostenere il conflitto 2. Il lavoro in piccolo gruppo Finalità: 1. Prevenzione; 2. Fornire all’adulto uno spazio temporale e mentale “protetto” in cui portare e dare significato agli aspetti dolorosi, conflittuali o indigesti del ruolo di genitore; 3. Rafforzare le risorse e le potenzialità dell’adulto, aiutandolo ad acquisire una visione meno idealizzata e più autentica del proprio ruolo attraverso il confronto con gli altri genitori; 4. Offrire un luogo di accoglienza e di accettazione, di condivisione e di confronto. Il significato del gruppo ● ● ● ● I genitori hanno un luogo in cui parlare delle loro preoccupazioni I genitori scoprono che hanno problemi ed esperienze simili agli altri I membri del gruppo risolvono i problemi insieme Il gruppo fornisce opportunità di crescita … IL NUMERO DEGLI INCONTRI Solitamente vengono programmati 6 incontri: tale numero sembra adeguato a garantire un percorso completo ai genitori evitando di chiedere un impegno troppo gravoso e prolungato nel tempo. … LA FREQUENZA I primi due incontri avvengono solitamente a cadenza settimanale al fine di non stemperare il coinvolgimento emotivo dei genitori e i pensieri messi in circolo. Gli incontri successivi vengono pensati solitamente a cadenza bi-mensile. … LA DURATA Ogni incontro è di un paio d’ore. … per formare un gruppo di genitori è importante ➔ ➔ ➔ ➔ Coinvolgere i genitori nel pianificare le attività del gruppo Selezionare i componenti del gruppo in modo bilanciato Stabilire un clima collaborativo Organizzare gruppi piccoli (5-7 genitori) La famiglia Z. è molto preoccupata per la propria figlia R. di 9 anni. Recentemente la signora Z. è stata chiamata da un negoziante perché la bambina con alcuni bambini hanno rubato alcuni pacchetti di caramelle. A scuola R. ruba le matite e le gomme degli altri bambini. Spesso va dalla maestra e dice “guarda che belle matite mi ha comprato la mia mamma” , occasioni in cui la maestra riconosce che alcuni oggetti appartengono ad altri bambini. L’altra sera la mamma di R. ha notato che le sono scomparsi 10€ dal portafoglio. C: tutti i bambini prendono le cose degli altri in una determinata fase della sua vita? G1: sì, ma penso che ci siano diverse modalità di rubare. Alcuni bambini prendono le cose degli altri finché non imparano il rispetto della proprietà. G3: i bambini devono imparare che non devono prendere le cose degli altri solo perché le vogliono. G1: penso che questa bambina abbia altre ragioni. Sapeva che sua madre sarebbe venuta a saperlo. C: quali potrebbero essere i motivi per cui R. prende le cose degli altri? G1: vuole sentirsi importante G2: ha bisogno di amici G4: forse non le viene mai concesso di comprare niente. G3: sta cercando di comprarsi gli amici perché non ne ha. C: potrebbe avere bisogno di qualcosa d’altro? G1: potrebbe avere bisogno di supporto, sicurezza, … amore G5: i suoi genitori dovrebbero dimostrare di più il loro amore. Dedicarle più tempo ed attenzione. G3: che cosa avreste fatto in relazione ai soldi? G1: C’è la dimensione di responsabilità che entra in gioco qui. Devi amarli, ma devi anche far loro vedere che si è responsabili delle loro azioni. Non sono proprio sicura di come avrei potuto fare. C: stai dicendo che i genitori di R. hanno bisogno di mostrarle il loro amore e di aiutarla ad accettare la responsabilità delle sue azioni La peculiarità del lavoro con piccoli gruppi è nell’approccio alle tematiche. I genitori, infatti, portano nel gruppo interrogativi, domande e difficoltà e cercano nel gruppo risposte, suggerimenti e riflessioni. La specificità del lavoro risiede nell’acquisire per quanto possibile un atteggiamento mentale, delle modalità di pensiero, un contenitore più che un contenuto. Cosa dicono i genitori … Dopo il gruppo mi sono tornate in mente delle cose dette, l’esperienza riaffiora … … so cosa ho messo in pratica, le cose però sono cambiate … … prendere un pezzo di ognuna per descrivere me stessa … … ho imparato ad ascoltare … … ho trovato spunti non sempre di immediata utilità di cui comunque ho fatto tesoro … … mi sento meno obbligata ad essere perfetta, temevo il giudizio ma sono riuscita a portare una parte di me diversa da quella che esprimo fuori … 3. Sportello di consulenza psico-educativa • Servizio di primo livello rivolto a genitori di bambini di diverse fasce di età (0-18 anni). • Ha come obiettivo principale la tutela del benessere psicologico e la prevenzione del disagio psichico in individui in età evolutiva (prevenzione primaria). • Si offre uno spazio di lavoro finito e chiaramente definito (solitamente 4/6 colloqui) verificando in itinere gli obiettivi e i risultati raggiunti. Le tipologie dei casi 1. Bambini che manifestano un disagio nell’attraversare specifiche fase dello sviluppo (processo di separazione/individuazione, superamento edipico, passaggio tra prima e seconda infanzia, …). L’eziologia della difficoltà viene rintracciata sostanzialmente in una fragilità del bambino. 2. Bambini che si trovano ad affrontare situazioni familiari in cui sono occorsi particolari eventi che hanno modificato e talvolta messo in scacco l’equilibrio precedentemente raggiunto dal bambino e/o dai genitori (lutti, separazioni, trasferimenti, nascita di un fratellino, …). 3. Bambini che manifestano una patologia conclamata o che versano in situazione di grave povertà socioculturale e questi casi non possono essere presi in carico allo sportello: lo psicologo ha il difficile compito di proporre l’invio ai servizi territoriali. Le caratteristiche comuni delle prime due tipologie di casi 1. Disagi recenti, di intensità lieve o media riguardanti specifiche aree dello sviluppo e alta possibilità di reversibilità. 2. Commistione o presenza di concause di diversa natura all’origine del problema (fase di sviluppo o life events + fragilità/vulnerabilità del bambino). 3. Difficoltà a distinguere quanto il problema appartenga al bambino, quanto al genitore e quanto soprattutto alla loro peculiare e particolarissima relazione. Malgrado la complessità e la molteplicità dei fattori in gioco, non si può non cercare di leggere quel dato disagio del bambino in relazione a quel particolare genitore in quel momento nonché all’interno della loro relazione. La peculiarità del lavoro dello psicologo che opera in uno sportello psicopedagogico è lavorare sulla relazione per raggiungere il bambino. Cosa fa lo psicologo … 1. Attiva le risorse dell’Io dell’adulto. 2. Mantiene l’attenzione nell'hic et nunc. 3. Fornisce ipotesi su cui lavorare (ad esempio cosa pensa succederebbe se …; come reagirebbe se facesse …; come si sentirebbe se …). 4. Offre del tempo per raccontare non solo del figlio, ma anche e soprattutto di sé. Obiettivi 1. Ripristinare un ’ organizzazione familiare relativamente fisiologica. 2. Promuovere processi di cambiamento che consentano l’acquisizione di nuove modalità esperienziali e di nuovi giochi interattivi e interpersonali. 3. Ridurre nei genitori la ferita e il vissuto di inadeguatezza rappresentato da un figlio problematico. 4. Favorire la separazione dei genitori dai figli e aiutarli a fare il lutto dei loro progetti interni sui figli. Valutazione del gioco - PLAY ASSESSMENT Assenza di Gioco NON GIOCO O ASSENZA DI GIOCO: ● il bambino non muove gli oggetti né interagisce con loro, non è quindi impegnato con gli stimoli; ● potrebbe prendere in mano gli oggetti ma senza muoverli; ● sostiene o trasporta un gioco; ● potrebbe nominare l’oggetto o descriverne le sue proprietà fattuali, per esempio, contare il numero delle tazzine; ● è impegnato in una semplice manipolazione su un gioco quale: tirare, sbattere, colpire, mettere in bocca, girare fra le dita. IL GIOCO FUNZIONALE Consiste nell’osservare il bambino che compie dei ripetitivi gesti che possono essere con o senza oggetti; una palla su e giù, etc, senza però mettere dentro al gioco nessun suono, nessuna emozione; ogni stimolo che il bambino utilizza nella sua attività ludica è utilizzato in connessione alla sua funzione reale, concreta, originaria. In particolare, può essere suddiviso in diverse tipologie: 1. effetto unico su un singolo oggetto: apre gli sportelli della macchina, etc; 2. il bambino cerca di mettere insieme più oggetti ma lo fa in maniera non funzionale; mette una tazza sulla macchinina, i cubetti dentro le marionette, un cucchiaino dentro una tazza, etc. Non c’è un narrare ma usare in maniera concreta gli oggetti. 3. quando il bambino mette insieme due oggetti in maniera consona: costruisce una torre coi cubetti, etc 4. è il gioco che si avvicina di più alla simbolizzazione, ma manca un pezzettino: un’evidenza che lo confermi: portare la tazza alle labbra per far finta di bere ma senza fare il rumore del bere, far sedere un omino su una macchina senza fare il rumore per farla partire. Inizia a far finta ma manca ancora un pezzettino per arrivare a quello che poi noi chiamiamo gioco simbolico. Il passaggio dal funzionale al simbolico è FONDAMENTALE per lo sviluppo del bambino, poiché il simbolico presuppone la capacità del bambino di trasformare gli oggetti in azioni. Apre il bambino al mondo, poiché non ci importa la funzione dell’oggetto poiché lo posso far diventare quello che voglio. Quello che caratterizza il gioco simbolico ed è il fondamento che lo differenzia dal gioco funzionale, è l’intensità dei sentimenti e delle emozioni. Quando vediamo che c’è un’attivazione emotiva. Le caratteristiche sono: IL GIOCO SIMBOLICO 1. i comportamenti di gioco possono variare da quelli del mondo reale sia nella forma che nel contenuto 2. sono sempre accompagnati da essa poiché il giocare dà piacere e divertimento 3. vengono definiti così perché nel gioco i comportamenti mancano del loro significato usuale ed in qualche modo lo conservano e noi lo riusciamo a trovare. Il bicchiere che diventa un aereo: il bicchiere è il bicchiere, ma quando diventa un aereo riconosciamo che è un aereo grazie ad i suoni e le attività che il bambino fa fare a quel gioco. 4. ci parla di un’azione volontaria, che il bambino volontariamente introduce sulla realtà. Il gioco simbolico ha perciò diverse funzioni nello sviluppo del bambino. In primis riduce le paure, il dolore e l’ansia poiché in qualche modo il bambino ne assume il controllo attraverso la simbolizzazione ludica. Quindi serve al bambino anche come strumento di autoregolazione emotiva. Grazie alla simbolizzazione promuove lo sviluppo cognitivo con la creazione del sistema astratto. Se non giocano non saranno capaci di simbolizzare e di svilupparsi socialmente, mettersi nei panni degli altri e sviluppare un comportamento prosociale. Se faccio la mamma nel mio gioco simbolico e vedo che il bambino che fa il bambino riesco anche a capire perché la mamma mi sgrida. Sono i primi passi per mettersi in relazione con l’altro e nei panni dell’altro, anche dal punto di vista degli stati mentali. Infine, promuove il problem solving, soprattutto nei giochi narrativi: dovendo costruire un intreccio, creano una storia; nel creare essa sulla base di quelle che hanno già ascoltato in passato, il bambino introduce anche la capacità di risolvere dei problemi e questioni difficili per lui da affrontare. Il consigliere ... … in un primo momento deve rimanere su un piano simbolico, in una posizione di osservazione. Se invitato a giocare, gioca insieme a lui. … non deve essere troppo intrusivo, ma deve lasciare che il bambino sviluppi l’intreccio del gioco; perché? perché ci interessa l’intreccio che ci porta il bambino, non il nostro: deve essere libero di portarci la sua storia. … deve aiutare il bambino a ricostruire i legami messi in gioco, le emozioni e le caratteristiche dei personaggi e delle creazioni artistiche elaborate in modo da poterle integrare nella vita di tutti i giorni. Deve mettere insieme i pezzi, interpretando i contenuti, ricostruendo tutto ciò che è stato messo in gioco. Processo di accompagnamento legato all’osservazione di ciò che il bambino fa. Il gioco permette al bambino… • di ottenere padronanza sugli eventi; • di sentirsi forte attraverso l’espressione fisica; • di incoraggiare l’espressione delle emozioni; • di sviluppare abilità di problem-solving e decisionali; • di sviluppare abilità sociali; • di costruire il concetto di Sé e di autostima; • di incrementare le abilità di comunicazione; • di sviluppare la capacità di insight. Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco, che in un anno di conversazione. (Platone) IL DISEGNO CHE COSA RAPPRESENTA IL DISEGNO DI UN BAMBINO? Rappresenta la sua visione del mondo. Ci fa riflettere sul modo in cui i bambini rappresentano la loro percezione del mondo e come raccolgono ed elaborano le informazioni che arrivano dal mondo. Ciò che devono fare gli adulti sono entrare nella percezione del bambino e farsi guidare, ed è ciò che dobbiamo fare noi di fronte ai disegni dei bambini con cui lavoriamo nel counseling. Utilizzo del disegno Obiettivi: • aiutare il bambino a raccontare e condividere la sua storia; • dare la possibilità al bambino di esprimere le emozioni più intense e inconsce; • aiutare il bambino a ottenere un senso di padronanza degli eventi che hanno vissuto o stanno vivendo. … questo è possibile perché … • il disegno aiuta il bambino a prendere la distanza da sentimenti, temi ed eventi connessi alla propria storia, ma al contempo a raccontarli; ancora più del gioco, mette ancora un altro step. • i bambini che non sono in grado di parlare dei propri bisogni e desideri in connessione con il passato, il presente e il futuro possono riuscire a farlo attraverso il disegno; • il disegno aiuta il bambino a comunicare pensieri, sentimenti ed esperienze utilizzando la propria immaginazione e capacità di simbolizzazione. STADI DELL’EVOLUZIONE DEL DISEGNO Dal punto di vista dell'evoluzione dei disegni, possiamo distinguere questi 4 stadi. Il primo è il motorio, in cui c’è una scarica motoria e quindi il disegno non è altro che il piacere di lasciare una traccia sul foglio. Il bambino in questo stadio non ha un coordinamento oculo manuale e perciò crea degli scarabocchi. Il secondo stadio, il percettivo, è quello dove inizia ad essere più coordinato nel tratto e non lasciarsi trasportare solo dalla mobilità; a posteriori dà un senso e significato al suo disegno. Non parte dicendo “disegno questo” ma lo disegna e quando solitamente gli si chiede cosa è il bambino risponde: ho disegnato la mamma, la nonna, lo zio. A 3 anni compare lo stadio rappresentativo in cui il bambino è mosso da un intento rappresentativo: disegno questo, quello e quell’altro. Ancora magari non c’è corrispondenza poiché il tratto non è così fine. L’ultimo stadio è quello sociale-comunicativo: il bambino si avvicina anche alla realtà figurativa; intende disegnare una cosa e di fatto la rappresenta sempre più vicina alla realtà. Il vero problema è che più si va avanti nello sviluppo più ci si allontana dal disegnare. Molti pensano che disegnare significhi fotografare la realtà, ma in realtà significa esprimere una propria rappresentazione della realtà, anche se il tratto non è quello fotografico. Luquet ci parla di realismo fortuito, che più o meno corrisponde allo stadio percettivo, in cui il bambino riconosce il significato del suo disegno a posteriori. Sul piano intellettuale, non ha ancora raggiunto il livello per cui ciò che ha pensato viene messo sul foglio. Nel realismo mancato, il bambino cerca di disegnare degli oggetti ma lo fa solitamente trascurando elementi essenziali. (es.: omino testone) Il bambino inizia ad avere un tratto grafico rappresentativo ma ancora non è in grado di mettere in rapporto tutte le parti dell’oggetto che vuole rappresentare. Il realismo intellettuale, che compare verso i ⅞ anni, in cui il bambino disegna solo cosa gli è conosciuto, ma vuole rappresentare ciò che sa. Infine, nel realismo visivo, rappresenta tutte le proprietà dell’oggetto. Schematismi del disegno Compaiono in sequenza. ● Tracciati: elementi semplici costituiti da punti e linee ● Diagrammi: segnali legati l’uno all’altro ● Combinazioni: somme di più diagrammi ● Aggregati: somme complesse di segni semplici ● Immagini: disegni figurativi Disegni in evoluzione Scarabocchio: il bambino usa in maniera motoria il colore che ha in mano. Il primo è circolare perché l’obiettivo evolutivo è quello di arrivare al cerchio: la chiusura rappresenta in qualche modo il raggiungimento di un senso dell’io. Un’altra cosa che si nota è che sborda: non è riuscito a rimanere dentro il foglio. Fa ancora fatica a stare dentro una cornice definita. Nella casa c’è grande evoluzione: si sono messi insieme più aggregati; la figura umana è cambiata: il bambino, avendo acquisito maggiori competenze, riesce a raccontarci ciò che lo circonda. Abbiamo un passaggio nel primo disegno: tendenza al gomitolo. Dice: questa è una palla. Quindi inizia in qualche modo a dare una lettura al suo tratto grafico. Nel secondo disegno rappresenta una domenica in famiglia con tutti i suoi familiari, tutti racchiusi dentro la macchina. Questo disegno era stato pensato per raccontare una domenica insieme alla sua famiglia, partendo dal viaggio in macchina con i genitori poi dopo l’incontro con i parenti. Figura umana - evoluzione Importante poiché ci permette di capire quanto il bambino sia consapevole del suo sé corporeo e come abbia integrato queste parti nella strutturazione del proprio io. Si parte dall’omino testone, che ha una testa, gli occhi e la bocca. Le gambe partono dalla testa. Nel secondo si ha un’evoluzione. Inizia a perdere la bidimensionalità poiché alcune cose hanno rilievo, come i capelli. Ci si avvicina ad una rappresentazione di un IO adulto. Nel primo disegno c’è di diverso il naso, è meno testone, è più proporzionato nel contesto, ha i piedi e ci sono colori diversi per le varie sezioni. Inizia ad usare dei colori più aderenti alla realtà. L’omino è disegnato rosa, gli occhi marroni, la bocca ed il naso sono rosa, etc. Sono elementi ben distinti nella testa del bambino. Perché lo disegna testone? Disegna prima il volto a causa di una ragione legata alla vita intrauterina: la caratteristica fisica che contraddistingue il feto e successivamente il bambino è la testa. È la parte preponderante del corpo, ch epoi si riequilibra tramite la crescita, ci porta la percezione fisica del suo sé. Nel secondo disegno c’è qualcosa che stacca la parte della testa (cognitiva) dalla parte della volontà, che sono le gambe: la parte del sentire. È un passaggio fondamentale; il bambino ci dice: io non penso e faccio! Inizia a mentalizzare questa differenza: io penso, io sento, io faccio. Il primo disegno ci parla di evoluzione; c’è un ambiente, una farfalla, delle braccia molto corte. Probabilmente è una mamma che ha poca propensione all’holding, all’abbraccio: le braccia rappresentano il veicolo per la relazione con il mondo, Il disegnare braccia molto corte vuol dire che il bambino percepisce questa mamma come poco propensa all’abbraccio. Anche nel secondo disegno aumentano i particolari, le scarpe col tacco, c’è un bell’ambiente intorno; diventano sempre più vicini a quella che è la realtà. Test grafico della figura umana Goodenough-Harris (1926) · Viene utilizzato per misurare il potenziale intellettivo di bambini con disabilità o come screening cognitivo per bambini in età prescolare. CODIFICA Vengono utilizzati 73 indici (per i maschi e 71 per le femmine) che rilevano la presenza/assenza di dettagli nelle figure, la loro complessità, la proporzione tra gli elementi che costituiscono l’intera figura, la qualità delle linee e l’utilizzo di particolari tecniche pittoriche. Per ciascun elemento si assegna un punto: il punteggio ottenuto rappresenta un indicatore della maturità intellettiva del soggetto. Non si è rivelato molto utile per tanti motivi: per diverse ragioni, il bambino può o meno disegnare parti del sé in maniera dettagliata. Machover (1951) · Test grafico utilizzato per la valutazione della personalità. Utilizziamo tre aree di codifica. CODIFICA: - Elementi grafici: qualità del tratto e delle linee, pressione, cancellature, ombreggiature - Elementi formali: collocazione del foglio, sequenza di esecuzione delle parti, dimensioni e proporzioni, numero di dettagli, trasparenze, simmetria, orientamento, movimento, tempo di esecuzione; - Elementi di contenuto: sia a livello globale (es., impressione complessiva della figura) sia analitico (elementi del corpo raffigurati che costituiscono delle “zone generali di influenza” con uno specifico significato simbolico) vittima di violenza sessuale per gran parte della sua infanzia. Il bambino nella pioggia Crocetti (1991) CONSEGNA: disegna una persona sotto la pioggia. OBIETTIVO: far emergere i meccanismi di difesa e la loro consistenza strutturale per intensità e resistenza. CODIFICA: lettura dei simboli grafici e contenutistici secondo i criteri generali relativi al Test della Figura Umana (Machover, 1951), ai quali si aggiungono le interpretazioni circa le difese del bambino. Disegno del bambino: Ospedale (CD: H) Clatworthy, Simon & Tiedeman (1999) · CONSEGNA: Disegna come ti immagini un bambino in ospedale. Custodirò il tuo disegno quando l’avrai terminato. OBIETTIVO: misurare il livello d’ansia di bambini ospedalizzati in età scolare. CODIFICA: si utilizza una griglia divisa in tre parti (A, B, C). La parte A è costituita da 14 item, relativi a: posizione, azione, altezza della persona, spessore della persona, espressione facciale, occhi, dimensione della persona in relazione all’ambiente, colori predominanti, numero di colori usati, utilizzo del foglio di carta, posizionamento sul foglio di carta, qualità del tratto, presenza di attrezzatura ospedaliera, livello di sviluppo. La parte B è composta da 8 item più specifici, che costituiscono già dei possibili indici di patologia (omissione, l’esagerazione e la de-accentuazione di una parte del corpo, distorsione, omissione di due o più parti del corpo, trasparenza, profili mixati, e ombreggiatura). La parte C valuta il senso globale espresso dal disegno, ponendo una certa attenzione al livello d’ansia e alle capacità di coping. Il punteggio totale al CD:H è dato dalla somma della parte A, B, C. Ci sono dei genitori attivi che cercano di sostituire il medico e vogliono curare il figlio, altri che sentono un senso di impotenza che li schiaccia per la malattia del figlio. Alcuni figli si sentono soli poiché il genitore è così spaventato che non è più fonte di sostegno e soluzione del problema. A volte, invece, sono i bambini che allontanano i genitori per paura di sentire il loro dolore, perché li rattristano; c’è da fare un lavoro congiunto proprio per aiutarli ad affrontare la malattia. Ci sono anche dei genitori che fanno finta di niente e altri per cui il bambino è solo la malattia. Bisogna lavorare sulla rappresentazione del problema. Tutti gli aspetti della malattia vanno affrontati. Dobbiamo cercare di capire come l’evento accaduto al bambino intacchi anche le altre persone, come i fratelli. Il medico viene rappresentato da una bambina di 11 anni; pensa all’ospedale come un medico. La bambina non è ospedalizzata ed il medico è sorridente. Nella prima foto la bambina invece ha vissuto l’ospedalizzazione quando si è rotta la gamba. È felice di essere uscita dall’ospedale ed ha vissuto un’esperienza positiva. Il bambino ci parla attraverso il disegno ma tutto deve essere inserito nella storia del bambino. Disegno della famiglia (Ddf) È lo strumento d’indagine privilegiato nel lavoro con bambini e adolescenti. Esso consente l’analisi della situazione psico affettiva individuale, mettendo in evidenza l’immagine di sé e la sua collocazione nel nucleo familiare, le relazioni oggettuali strutturate e interiorizzate, i conflitti vissuti nei confronti del gruppo familiare e i relativi meccanismi di difesa attivati. Il disegno della famiglia ci permette di individuare queste tre aree; non è la fotografia ma è la rappresentazione di queste aree. Obiettivo del test: Rilevare la mentalizzazione della famiglia attraverso l’analisi della rappresentazione grafica che l’esecutore fa di sé, collocata all’interno della rete emotiva familiare. Il test evidenzia come lo spazio originario, diadico e gruppale, è stato interiorizzato e permette di cogliere la struttura di fondo della personalità. Nella storia della psicologia sono nati tre disegni della famiglia; il primo è il disegno della famiglia reale, la cui consegna è DISEGNA LA TUA FAMIGLIA. Questo tipo di consegna non ci permette di indagare le reali rappresentazioni mentali del bambino, ma ci dà una fotografia della famiglia del bambino. Questo tipo di consegna è stata sostituita dal DISEGNO DELLA FAMIGLIA IMMAGINARIA, in cui da consegna si chiede ai bambini di disegnare UNA famiglia. In questo modo si aiuta il bambino a mettere sul foglio le sue rappresentazioni mentali, dei genitori, dei fratelli, e altri elementi utili per conoscere come lui si vive all’interno del suo nucleo. L’ultimo tipo di test si basa sulla rappresentazione del nucleo: disegna una famiglia mentre fa qualcosa. Nella mente degli autori c’è la percezione che invitando i bambini a fare ciò si comprenda meglio il tipo di scambio relazione e comunicativo sotteso all’interno del nucleo. Dal punto di vista clinico lo strumento maggiormente utilizzato è il secondo. Interpretazione del test Anche per il disegno della famiglia, abbiamo la possibilità di leggerlo secondo diversi livelli: - Livello grafico: l’analisi grafica implica la comprensione del disegno in relazione al tipo di linee tracciate, alla pressione sul foglio, all’uso del colore (in particolare alla presenza o meno di annerimenti e ombreggiature) e delle cancellature. - Livello delle strutture formali: consente una valutazione di come il disegno eseguito esprime, in modo più o meno equilibrato e completo, l’immagine della famiglia. - Livello del contenuto: esaminando il contenuto espresso dal disegno e integrandolo al materiale rilevato durante l’inchiesta, viene effettuato un confronto sistematico tra la famiglia reale, anagrafica, e quella rappresentata graficamente. Il primo disegno è stato realizzato da una bambina di 8 anni; lei non c’è, si è cancellata. I personaggi sono disegnati in modo strano, nessuna parte del corpo è proporzionata. Abbiamo la percezione che non ci sia uno spazio per la bambina nel nucleo familiare, in cui c’è una grande dominanza delle figure genitoriali. Potrebbe esserci poco calore e conflittualità. Nel secondo disegno, la componente della coppia coniugale prevale su quella genitoriale. L’albero “Disegna un albero qualunque, come ti viene in mente. Poi, se vuoi, lo puoi colorare” I tre elementi fondamentali che vanno osservati nel test dell’albero sono: - le radici: simboleggiano l’affettività. Rappresentano la vita dell’Io che, protetto e nutrito dall’affetto materno, si fortifica e cresce stabile e sicuro. Ci riconducono al mondo delle emozioni, al legame che si stabilisce tra madre (radici) e figlio (tronco). - il tronco: simboleggia l’Io, esprime la percezione di sé e la sicurezza che il bambino possiede. - la chioma: simboleggia la proiezione verso l’esterno. I rami segnalano l’apertura o la chiusura verso la comunicazione, l’adattabilità, la solidarietà e l’amore. Esprime la capacità di ridimensionare il proprio egocentrismo per ridistribuire le energie verso l’Altro. FIABA Ciò che le fiabe narrano una volta accadeva (Propp, 1976) Fiaba Vs Favola PERCHÉ LA FIABA E’ IMPORTANTE PER UN BAMBINO? CARATTERISTICHE STRUTTURALI ● Impostazione ● Linguaggio ● Schema narrativo ● Ripetitività struttura ELEMENTI PSICOLOGICI ● Stretta relazione con l’inconscio fiaba come la rappresentazione e la narrazione di formazioni e di processi della realtà psichica ● è uno dei pochissimi ambiti nei . quali si trovano i mezzi per discendere sempre più in giù, nei luoghi dell’interiorità che la mente cosciente difficilmente esplora. ● In questo senso essa permette di scoprire e analizzare il mondo interno del bambino perché raggiunge paure, ansie, e problemi inconsci e consci. ● svolge importanti funzioni nell’organizzazione psichica dell’Io di un soggetto in crescita. La fiaba … ➔ incoraggia la libera espressione dei problemi e la manifestazione di aspetti nascosti della psiche del soggetto; ➔ aiuta e stimola l’analisi dei propri pensieri e del comportamento in relazione al sé ed agli altri; ➔ insegna, tramite la raccolta e la sintesi di informazioni, la necessità di risolvere problemi, promuovendo un pensiero positivo; ➔ promuove relazioni riducendo l'ansia ed incoraggiando l’espressione dell’emotività; ➔ fornisce un modo divertente per sperimentare nuove abilità ricercando soluzioni alternative, utilizzando l’immaginazione e la fantasia I passi del processo di cura con la fiaba 1. Stabilire una relazione con il bambino 2. Valutare la situazione sintomatica del bambino e decidere il metodo 3. Selezionare il libro che meglio si adatta a quel bambino 4. Incoraggiare l’identificazione, la catarsi, l’insight e il problem solving 5. Fornire attività di follow up che lo incoraggino e valutare i cambiamenti La tartarughina che non voleva più uscire dal guscio “Quando nel bosco delle Sette Querce arrivava la pioggia, tutti gli animali si rifugiavano nelle loro tane ad aspettare che finisse (…). Fu così che un giorno, dopo la pioggia, alcuni cuccioli del bosco se ne andavano a spasso in mezzo ai cespugli e facevano a gara per trovare il sasso più bello e brillante (…). Si sentì una voce che diceva “il mio è il più bello di tutti, ha tante piccole macchie sopra.” I cuccioli provarono a toccare la pietra col muso, e questa fece un piccolo balzo, piccolissimo, poi tornò come prima. (….). “Questa non è una pietra, è una tartaruga! Chissà dove sarà la sua mamma, provate a cercarla!” disse papà scoiattolo. Ma della mamma tartaruga non trovarono nessuna traccia (…). La tartaruga non accennava a metter fuori la testa dal guscio: aveva deciso di fare il sasso, e sasso continuava ad essere (…). “Allora forse questa tartarughina, in questo momento, non ha voglia né di camminare, né di cercarsi da mangiare o di giocare; forse vuole solo fare come se non fosse viva”. E quand’è che non piacerebbe essere vivi? (…). L’anatroccolo rispose che se morissero la sua mamma ed il suo papà forse gli passerebbe la voglia di giocare, mentre una piccola puzzola rispose che avrebbe invece bisogno di giocare continuamente (…). Il metodo delle favole di Luisa Dϋss (1940) Si propone di osservare e valutare la personalità del bambino da un punto di vista psicoanalitico, considerando le principali strategie di simbolizzazione infantile. La somministrazione prevede un momento di colloquio con il bambino, al quale si riferisce che verranno lette delle piccole fiabe delle quali dovrà indovinare il seguito, potendo dire tutto ciò che pensa, senza che le sue risposte vengano giudicate giuste o sbagliate. Le 10 favole presenti nel test sono: 1. La storia dell’uccellino 2. La storia dell’anniversario di matrimonio 3. La storia dell’agnello 4. Il funerale 5. Una storia di paura 6. La storia dell’elefante 7. La storia dell’oggetto costruito 8. Passeggiata col babbo o con la mamma 9. La storia della notizia 10. Il brutto sogno “IL TEST DELLE FIABE” (FAIRY TALE TEST) (Coulacoglou) Come strumento. ➔ terapeutico PER LO STUDIO DELLA PERSONALITÀ DEI BAMBINI NELLA FORMA DI UN TEST STANDARDIZZATO ➔ TEST PROIETTIVO TEMATICO DI PERSONALITÀ PER BAMBINI DAI 6 AI 12 ANNI ● 21 TAVOLE STIMOLO - presentate a gruppi di 3 ● PERSONAGGI DI FIABE MOLTO NOTE - riflettono temi specifici ● DOMANDE - Stato soggettivo e motivazioni personaggi ● RISPOSTE SIGLATE CON PUNTEGGIO RISPETTO ALLE 29 SCALE DEL TEST - Idea globale personalità ● la trama e la cornice spazio - temporale tipica della fiaba: favorisce l'identificazione del bambino con il protagonista attiva dei movimenti proiettivi permette di cogliere alcuni aspetti rilevanti del funzionamento mentale e della personalità del bambino Primo set di Tavole: Cappuccetto Rosso Secondo set di Tavole: il Lupo Terzo set di Tavole: i Nani Quarto set di Tavole: le Streghe Quinto set di Tavole: I Giganti Sesto set di Tavole: scene dalla fiaba di Cappuccetto Rosso Settimo set di Tavole: scene dalla fiaba di Biancaneve Le Domande COMUNI A I SET CON I PERSONAGGI • Che cosa pensa e prova ogni personaggio? Perché? • Quali dei tre è il vero personaggio? Perché? SPECIFICHE Cappuccetto Rosso • Quale vorresti mangiare se tu fossi il lupo? Perché? Lupo, Streghe e Giganti • Quale ti fa più paura? Perché? Nani • Quale dei tre (Nani) Biancaneve sposerebbe? Perché? Streghe e Giganti • Qual è la più cattiva/il più cattivo? Perché? • Che cosa può fare una strega/gigante cattiva/o? • Nomi delle streghe/giganti Scene dalla fiaba di Cappuccetto Rosso e di Biancaneve • Descrivi cosa succede in ogni tavola • Con quale tavola finisce la fiaba? Perché? • Con quale tavola ti piacerebbe che finisse la fiaba? Perché? Le Scale Ambivalenza (AMB) Desiderio di oggetti/cose materiali (DMT) Autostima (SE) Moralità (MOR) Desiderio di Superiorità (DSUP) Senso del Possesso (SPRO) Senso della Privacy (SPRIV) Aggressività come Dominio (AGRDOM) Aggressività strumentale (AGRINSTR) Aggressività di tipo A (AGRA) Aggressività di tipo B (aggressività come Difesa, come Ritorsione e come Invidia) (AGRB) Aggressività orale (OA) Paura dell’aggressività (FA) Bisogni orali (ON) Desiderio di aiutare (DH) Bisogno di affiliazione (NAFIL) Bisogno di affetto (NAFCT) Bisogno di approvazione (NAPRO) Ansia (ANX) Depressione (D) Relazione con la madre (REL/MO) Relazione con il padre (REL/FA) Preoccupazione Sessuale (SP) Bisogno di Protezione (NPRO) Adattamento al Contenuto del Racconto (AFTC) Ripetizioni (REP) Risposte bizzarre (B) disegnare un quadro globale e articolato della personalità del bambino, descritta in termini di conflitti inconsci, di bisogni, di emozioni e di meccanismi difensivi prevalenti. SCOPO FTT: fornire ai clinici uno strumento di buona qualità psicometrica che consente di valutare le diverse funzioni della personalità OBIETTIVO FTT: aiutare il terapeuta a valutar le dinamiche della personalità del bambino/a, fornendo informazioni non solo su aspetti della personalità, ma anche sulle loro interrelazioni. Un caso esemplificativo: Jurgen ➔ Somministrazione: COSTRUIRE IL RAPPORTO RACCONTO DELLE 2 FIABE PRESENTAZIONE DELLE TAVOLE, DOMANDARE, TRASCRIVERE ➔ Interpretazione risultati: codifica QUALITATIVA e QUANTITATIVA (5 punti) -comportamento durante il test -impressione generale -punteggi alti o bassi per ogni scala personaggio con cui il bambino si identifica -dinamiche familiari: questionario/risposte ➔ Profilo di personalità: rapporto confidenziale Analisi qualitativa dei protocolli COSA ABBIAMO OSSERVATO ★ I finali desiderati dai bambini sono differenti dai finali classici delle fiabe: MASCHI E FEMMINE 6-8 ANNI Principe elemento di disturbo ⇨ il bambino si identifica con il nano Biancaneve = imago materna FEMMINE 9-11 ANNI Prediligono lo sposalizio ⇨ visione disincantata della vita ★ Le risposte dei bambini potrebbero essere qualitativamente diverse in base alla propria situazione familiare. Questa può influire su sentimenti, emozioni e conflitti che il bambino può incontrare nel processo di crescita FIGLI DI GENITORI SEPARATI più meccanismi di difesa (primitivi) meno fantasia FIGLI DI GENITORI CONIUGATI meno meccanismi di difesa (maturi) più fantasia Punti di. Dall’esperienza sul campo. Il Test delle Fiabe: ❏ fornire contributi nei campi della valutazione della personalità, dello sviluppo dei bambini e della psicopatologia. ❏ valuta conflitti inconsci a valenza potenzialmente nevrotica, bisogni ed emozioni ❏ efficace nell’ estrapolare il mondo interno “La fantasia fa parte di noi come la ragione: guardare dentro la fantasia è un modo come un altro per guardare dentro noi stessi”. (Gianni Rodari) SOCIALIZZAZIONE IN INFANZIA Per socializzazione in generale si intende: • L’insieme dei processi attraverso cui l’individuo, nel corso dello sviluppo, apprende come interagire con gli altri e costruire relazioni e legami stabili con una pluralità di agenti di socializzazione che sono tutte le persone con cui il soggetto si interfaccia. • Parallelamente l’individuo acquisisce norme, regole, simboli e strumenti propri della cultura e della società di appartenenza. È la socializzazione che permette al bambino da subito di imparare il contesto in cui vive. All’inizio c’era l’idea di un bambino passivo, che subiva quello che succedeva attorno a lui; nel tempo l’avere riconosciuto al bambino un ruolo fondamentale e attivo nella costruzione del mondo sociale ha permesso di focalizzare l’attenzione sullo sviluppo di competenze sociali e sui contesti familiari ed extrafamiliari che lo influenzano. Il processo di socializzazione si configura come fattore che incide sullo sviluppo (se manca la socializzazione si può avere un impatto sullo sviluppo) ma anche prodotto dello sviluppo (è nel corso dello sviluppo che si potenziano le abilità sociali, è la capacità di creare le relazioni interpersonali). Tradizionalmente in letteratura si distingue tra: 1. SOCIALIZZAZIONE PRIMARIA: · Si colloca nelle fasi iniziali della vita del bambino e coincide con il periodo della prima infanzia · Si tratta di processi di base attraverso i quali il repertorio comportamentale del bambino conduce alla formazione di legami stabili e fondamentali per l’adattamento e per lo sviluppo di abilità di tipo cognitivo, affettivo e sociale à il bambino nasce con un insieme di comportamenti innati, riflessi (es. grasping); successivamente a quel riflesso riceve un feedback che associa a quel gesto innato un significato (es. saluto, simbolo sociale e culturale): questo gli permette piano piano di entrare in relazione, creare legami e questo permette lo sviluppo di queste competenze. · Avviene prevalentemente nel contesto familiare, si sta parlando dei primi anni di vita, è il contesto principale nel quale il bambino è inserito. Negli ultimi anni non è solo così. · La relazione primaria è generalmente quella tra il bambino e la mamma. Questa relazione, seppur non in maniera deterministica, costituisce la base per la creazione delle relazioni successive e IWS, internal working models di Bowlby. Il bambino ha a livello mentale delle rappresentazioni della relazione con la mamma che saranno i modelli che lo guideranno nelle relazioni successive, NON necessariamente saranno identiche perchè nel tempo possono intervenire diversi fattori, non è un processo deterministico ma può costituire una buona base di partenza. 2. SOCIALIZZAZIONE SECONDARIA: · Coinvolge contesti extrafamiliari · Ci si sposta dal contesto primario familiare al contesto sociale, comprendente le relazioni con i pari e altri adulti significativi (es. educatori) · I processi di socializzazione vedono il bambino in una condizione autonoma di base, perché è in grado di stare da solo in contesti non familiari grazie alle abilità acquisite in precedenza · Grazie all’acquisizione del pensiero simbolico il bambino conosce e sperimenta i simboli della cultura di appartenenza: anche a livello di livello di socializzazione secondaria ha modo di apprendere stimoli, valori e norme della cultura di appartenenza. Oggi, tuttavia, non appare corretto utilizzare rigidamente questa distinzione tra socializzazione primaria e secondaria non tanto per i termini ma perché sicuramente la famiglia è il primo contesto entro il quale apprendere e sviluppare competenze sociali ma già dal primo/secondo anno di vita i bambini fanno esperienza precoce di relazioni con i pari (fratelli, primi compagni di gioco in contesti educativi...). non c’è più quel rapporto consequenziale tra socializzazione primaria e secondaria, dopo il primo anno i due processi si intersecano, non sono consequenziali. I processi di socializzazione sembrano quindi influenzarsi a vicenda a partire dall’infanzia fino all’età adulta: aspetti culturali, normativi valoriali così come gli aspetti emotivi e affettivi vengono trasmessi in famiglia e poi sperimentati e modulati in contesti sociali esterni e viceversa ovvero che quello che il bambino impara dal contesto lo porta in famiglia. Il ruolo accuditivo e protettivo della famiglia si arricchisce di nuove funzioni, come la mediazione rispetto alle conoscenze che il bambino fa rispetto al contesto esterno e l’inserimento dei bambini in nuovi contesti sociali (es. nido, è un inserimento progressivo) dove è possibile che ci si debba confrontare con modelli culturali ed educativi non condivisi dalla famiglia. È un lavoro di mediazione e scambio all’interno del quale il bambino è attivo e si confronta con modelli educativi diversi. In questi contesti, inoltre, il bambino potrà fare esperienza di nuove figure di attaccamento (come le educatrici) e sperimentare le prime forme di preferenza sociale e amicizia. Emerge un quadro di estrema complessità dove sono diversi i fattori che interagiscono nel processo di socializzazione creando quindi percorsi evolutivi differenziati, non ci può essere un unico processo di sviluppo ma anche nuovi profili di rischio anche determinati dall’interazione di tutti questi fattori tra loro. Fattori che interagiscono nel processo di socializzazione: ● Individualei · Competenze di base presenti alla nascita (repertorio comportamentale, riflessi...) · Temperamento che ha una base genetica che determina una variabilità tra i bambini. · Storia individuale/esperienze specifiche di deprivazione (profilo di rischio) o arricchimento, vanno considerate di volta in volta ● Familiari e Socioculturali · Costruzione del legame e stile di attaccamento: si è costruito un legame di che tipo? Con che figura? Che stile di attaccamento ha interiorizzato il bambino? · Modelli socioculturali che orientano le credenze genitoriali rispetto all’accudimento e all’educazione. È il tema degli stili genitoriali: quell’insieme di credenze, comportamenti, ecc che guidano il genitore nell’educazione e che ovviamente hanno delle conseguenze; sono tanti e sono diversi anche in base alla cultura. ● · Relazioni tra pari Relazioni tra fratelli e con i coetanei: Quando dobbiamo prendere in carico un bambino piccolo è importante prendere in considerazione tutti questi fattori perché sono tutti gli elementi che hanno portato il bambino ad essere così come lo vediamo noi. LA RELAZIONE TRA FRATELLI: Non si può prescindere dai genitori perché è comunque una relazione mediata anche dai genitori in quando presenti nella relazione. È un veicolo primario di socializzazione, un canale privilegiato e se vogliamo anche forzato perché non si può non socializzare con i fratelli: permette ai bambini di sperimentare le prime forme di interazione tra pari. Funge da prototipo della relazione con i coetanei e permette un passaggio più mediato dalla socializzazione primaria a quella secondaria anche se si intersecano come abbiamo visto, dipende anche dalla differenza di età dei fratelli, se vanno al nido ecc… Caratteristiche: Alto livello di coinvolgimento affettivo-emotivo, forte scambio emotivo. Ci sono studi che dimostrano che nella relazione fraterna si sviluppa l’empatia. Condivisione di spazi e tempi nella quotidianità spesso è una vicinanza anche un po' forzata ma che li porta a una forte condivisione ‘Intimità’ fisica e psicologica: il legame tra fratelli è forte anche se può essere conflittuale, non si escludono a vicenda. È una relazione forte perché si condividono tutte le esperienze familiari Si può configurare con una dimensione di verticalità (ruoli di: guida e modello), tendenzialmente la guida è il fratello maggiore ma non sempre; si crea questa dimensione di verticalità in cui uno sembra stare sopra l’altro soprattutto se la differenza di età è tanta. Il fratello più piccolo considera il fratello più grande quasi come un genitore (es. tanti fratelli o tanti anni di differenza) Presenta anche tratti di orizzontalità: collaborazione nel gioco, condivisione di oggetti e conseguente scontro, negoziazione e aiuto reciproco. È una relazione simmetrica, tra pari. È la relazione più lunga in tutto il ciclo di vita: se ne fa esperienza dai primi anni di vita fino alla morte tendenzialmente. Differenza da relazione con i coetanei: è una relazione mediata dai genitori. Le ricerche mostrano differenze nelle modalità di gestire le relazioni tra fratelli e con amici: nelle seconde si manifesta maggiore sensibilità morale e una migliore capacità di assumere la prospettiva dell’altro (giustificavano più il comportamento dell’amico che non quello dei fratelli); la relazione con i fratelli è percepita come più conflittuale. Questo potrebbe essere legato a questo legame molto forte fin dall’inizio: con l’amico percepisco una distanza che col fratello non percepisco oppure potrebbe essere anche che l’amico viene generalmente dopo che ho sperimentato socialità col fratello. È una relazione che presenta una grandissima variabilità: genere, età, ordine di genitura; è una relazione che si modifica nel tempo e nel ciclo di vita della famiglia, presenta modalità di interazione molto diverse anche perché ad esempio le interazioni in infanzia sono diverse da quelle scolari ecc… Furman & Buhrmester (1985) hanno individuato una serie di variabili che interagendo tra loro influenzano la qualità della relazione fraterna: Caratteristiche individuali (di tipo cognitivo, temperamentale, sociale) del bambino Genere, età, ordine di genitura, ampiezza familiare (famiglia più o meno numerosa) La relazione del singolo genitore con ciascun figlio e dalla percezione che il bambino avrà di questa relazione Modalità educative dei genitori: la relazione fraterna è mediata dai genitori. In più, non è detto che i genitori usino la stessa modalità educativa con tutti i fratelli. In questo modello i fattori interagiscono tra loro in modo circolare per cui la qualità della relazione fraterna può influire sulla relazione genitori-figli e sulle caratteristiche individuali del bambino: si influenzano a vicenda (relazione fraterna e tutti questi fattori). Quello che emerge non è tanto la presenza o meno della relazione ma la qualità della relazione. È descrivibile tramite alcune dimensioni: conflitto, rivalità, calore, aiuto, stima dell’altro, sostegno reciproco, in base a come interagiscono creano una migliore o peggiore relazione fraterna. A partire da questo modello, altri autori hanno indagato il peso dei fattori coniugali sulla qualità della relazione fraterna: Infelicità coniugale, clima emotivo familiare negativo, conflittualità tra i genitori: possono unirsi di più o al contrario interiorizzare una forma conflittuale di relazione. I MOI (modelli operativi interni) elaborati rispetto alla relazione con il caregiver guidano anche la relazione fraterna e i pattern di comportamento utilizzati durante le interazioni genitore-bambino vengono generalizzati anche alle interazioni tra fratelli La percezione che i fratelli possiedono riguardo al trattamento dei genitori nei propri e nei confronti del fratello: ad esempio gelosia, rivalità che può nascere se penso e percepisco che i miei genitori trattano meglio mio fratello che me. È il discorso degli stili educativi che possono essere/essere percepiti diversamente. Eventi che accadono all’interno della storia familiare PROSPETTIVA INTERAZIONISTA (Dunn, 1988;1993): è la più classica, ha dedicato molto spazio allo studio della relazione tra fratelli. La relazione fraterna è intesa come contesto di apprendimento della competenza sociale. Questa prospettiva ha usato tantissimo metodi di osservazione e di interviste; è una prospettiva sul campo. Focus: momenti di interazione tra fratelli (es: gioco condiviso) e di ognuno con la madre e sui cambiamenti che avvengono in seguito alla nascita di un secondo figlio che è il momento topico nella relazione tra fratelli. Rispetto alla nascita del secondo figlio: Rispetto alla relazione madre-primogenito: prima della nascita gli scambi verbali vertevano sul comportamento, bisogni e desideri del primogenito. Dopo la nascita l’attenzione materna si sposta e il secondogenito diventa oggetto delle conversazioni con il primogenito e può provocare gelosia del fratello maggiore ma allo stesso tempo lo aiuta nel processo di riconoscimento del fratello appena nato, lo aiuta a pensarlo come persona autonoma nella sua mente. È importante parlare col primogenito del fratello già quando è in gravidanza. Parallelamente la qualità della relazione madre-primogenito peggiora e diminuisce il tempo di gioco comune. Nei momenti di accudimento del secondogenito invece la relazione mamma – primogenito sembra migliorare: è fondamentale il ruolo della mamma nel coinvolgere il primo figlio nell’accudimento del secondo figlio (es. bagnetto: il primo figlio si sente coinvolto e non escluso). L’interazione tra fratelli costituisce una palestra sociale in cui esercitare abilità sociale e svilupparne altre. In particolare, attraverso il gioco comune e del gioco simbolico congiunto: Apprendimento dell’alternanza dei turni e della capacità di adeguare il linguaggio al contesto Sperimentare compiti e ruoli Emergere della conflittualità e quindi anche la possibilità di sviluppare abilità di negoziazione e confronto: è inevitabile che si litighi tra fratelli ma è funzionale per far sviluppare delle competenze. Apprendimento di competenze cognitive, emotive e comunicative PROSPETTIVA SISTEMICA (Bank & Kahn,1982): La relazione fraterna è intesa come un sottosistema distinto e autonomo rispetto a quello familiare. Il sottosistema fraterno, all’inizio risente molto dell’influenza del sottosistema genitoriale e poi progressivamente diventa più autonomo con spazi, attività modalità e regole proprie. Le relazioni si collocano lungo un continuum che ha due estremi: vicinanza-somiglianza e distanzadifferenza. Solitamente le relazioni si collocano nella parte centrale del continuum (percezione di somiglianza e differenza) e sono caratterizzate da una percezione reciproca di somiglianza e differenza tra i fratelli. Nel caso in cui la relazione si collochi all’estremo della somiglianza si attivano processi di identificazione che portano a una relazione ‘‘fusionale’’, dove la dipendenza è totale e reciproca. Se in alcuni momenti, se non all’estremo possono essere funzionali, dall’altra parte possono portare a situazioni di dipendenza non funzionale. Con i gemelli questa probabilità è più alta; inoltre, generalmente questo processo si attiva più facilmente nel fratello più piccolo. È inoltre possibile che uno dei fratelli, in genere il maggiore, viene idealizzato e assunto come modello che verrà sistematicamente imitato. Questa dinamica può essere funzionale in alcune fasi dello sviluppo ma può evolvere in dinamiche in forme confusive. All’opposto del continuum vengono individuate relazioni di estrema distanza e distacco (relazioni “fredde”) dove i fratelli non percepiscono nessuna somiglianza, che possono in extremis evolvere in un totale rifiuto e in una separazione. Non è così infrequente che ci sia un forte distacco tra i fratelli. Un altro concetto sistemico è quello di ‘’mito familiare’’: descrizioni di attribuzioni di caratteristiche individuali e relazionali basate sull’osservazione e non necessariamente con un fondamento ma che si tramandano nel corso del tempo nella famiglia, sono stabili nella famiglia e si tramandano nelle generazioni; si vede come nel tempo i fratelli si adeguano a questi miti. È molto presente nella pratica clinica, guidano tantissimo i genitori e spesso non sono facili da scovare perché sono molto radicati e i genitori mettono in atto comportamenti senza accorgersene. I ‘’miti familiari sui fratelli’’ possono riguardare aspetti relazionali oppure caratteristiche individuali. Ad esempio: «maschi e femmine litigano sempre», «i figli maggiori sono più indipendenti». I miti sono stabili da famiglia a famiglia e attraverso le generazioni, per cui spesso i figli finiscono per adattarvisi. In circostanze particolari, il sottosistema dei fratelli può assumere un ruolo fondamentale rispetto al più ampio sistema familiare, diventando una risorsa; nella prospettiva sistemica il sottosistema fraterno viene portato in terapia. Un esempio classico è quella della separazione/divorzio dei genitori: in questo caso il sottosistema dei fratelli è l’unico a rimanere intatto all’interno di un sistema famigliare che si sfalda. Spesso il legame si rafforza in questa circostanza e talvolta, in caso di separazioni molto conflittuali (a rischio di triangolazione), limita i tentativi dei genitori di creare alleanze all’interno della famiglia. In situazioni particolarmente stressanti e/o traumatiche (es. perdita di entrambi i genitori) è possibile che i fratelli possono costituirsi come figure di attaccamento principali con tutte le caratteristiche principali delle relazioni di attaccamento. GELOSIA tra fratelli: La gelosia è un’emozione complessa e il bambino diventa capace di provarla quando, grazie allo sviluppo cognitivo e affettivo, diventa consapevole delle emozioni proprie e altrui (non compare prima dei 18-24 mesi); possiamo considerarla come un’emozione sociale. La causa più comune dell’emergere della gelosia e della rivalità fraterna è il cambiamento del sistema familiare con la nascita di un secondo figlio. La gelosia può svilupparsi anche in famiglie con più di due figli; in questo caso le dinamiche sono svariate e possono coinvolgere i fratelli in maniera diversa (ad esempio: possono svilupparsi delle alleanze). Anche se in maniera meno frequente anche il secondogenito può essere geloso del/i fratello/i maggiore/i. In questo caso è possibile che la gelosia possa svilupparsi se il fratello maggiore ha particolare successo ed è premiato per questo. Quando nasce un secondogenito, e quindi cambia il sistema familiare, le madri generalmente prestano meno attenzione ai primogeniti che possono reagire a questa situazione in maniera diversa. Il bambino (primogenito) non è in grado di gestire autonomamente le emozioni o di esprimerle a livello verbale esplicitamente, soprattutto per le emozioni complesse come la gelosia. Le emozioni vengono quindi espresse attraverso i comportamenti, trova un altro canale di espressione. Tra le manifestazioni più tipiche: Attacchi di rabbia, capricci, richiesta di attenzione: continuamente richiedono attenzione Aggressività nei confronti del fratello (espressione di sentimenti ambivalenti) in quanto ritenuto colpevole della situazione. Aggressività, fisica e verbale, verso la mamma soprattutto ma anche verso il papà: la mamma è più presa di mira perché sicuramente è più coinvolta sol secondogenito (es. allattamento); il papà può essere una figura strategica per far sentire meno solo il bambino più grande Comportamenti regressivi (es. pipì a letto): è una manifestazione della difficoltà emotiva ma anche un ritornare piccoli perché il fratello più piccolo ha più attenzioni Quando il bambino non riesce ad esprimere i sentimenti: disturbi psicosomatici (es. tanto mal di pancia/testa). Avviene quando non ci si riesce a livello comportamentale. Come devono comportarsi i genitori? • Il primogenito va informato per tempo della gravidanza e del conseguente arrivo del fratello/sorella. Il bambino si sentirà meno escluso se coinvolto dall’inizio. Ha bisogno di metabolizzare, fare domande per capire cosa sta succedendo. Se lo si informa dall’inizio e se lo si coinvolge si sentirà pare del processo • Devono essere evitati cambiamenti repentini e ‘’imposti’’ senza alcuna spiegazione negli spazi e nelle abitudini del bambino, si deve coinvolgere anche in questo e soprattutto gli si deve dare del tempo per capire e metabolizzare • (questa è una cosa su cui deve lavorare il professionista) I genitori devono mettersi nei panni del figlio, il bambino non va punito o deriso, l’emozione va accolta e legittimata per poi spiegarla e comprenderla e favorire la mentalizzazione nei genitori • Il genitore deve assumere un comportamento paziente e rassicurante, anche quando vanno disapprovati alcuni comportamenti (come comportamenti di aggressività fisica): anche in questo caso non va punito con tono ostile ma spiegando in modo comprensivo, nominando l’emozione per aiutare il bambino a comprenderla • I genitori non devono usare espressioni che rimandino a un ‘’amore esclusivo’’ (es. vorrò sempre più bene a te) ma rassicurare il figlio con ad esempi ricordi e prove concrete che nel tempo dimostrino al figlio che il loro affetto è immutato. Può generare clima di competitività; è preferibile usare ricordi per dimostrare che il comportamento è stato lo stesso anche col primogenito così da fornire la prova che l’amore per il figlio è sempre lo stesso • È indispensabile che l’arrivo del fratello non coincida con ‘’l’uscita di casa’’ del primogenito o con step importante (ad es. inserimento al nido, mandare il primogenito a casa dei nonni per qualche giorno): questo può far pensare al primogenito di non essere voluto e che i genitori lo stiano escludendo/lo abbiano fatto apposta. • È importante che i genitori continuino a passare del tempo con solo con il primogenito. Può essere utile organizzare dei momenti esclusivi con il primogenito o se presente prima, mantenere le eventuali tradizioni precedenti • Una figura ‘’strategica’’ può essere il papà Sono tutti aspetti molto facili anche da organizzare che però hanno un effetto molto positivo sul bambino e lo fanno sentire amato da mamma e papà nonostante l’arrivo del fratellino. CONFLITTI E RIVALITA’: Il conflitto tra fratelli è un passaggio evolutivo funzionale importante che permette al bambino da un alto di affermare sé stesso e il suo punto di vista e dall’altro di prendere coscienza del fatto che gli altri possono avere punti di vista diversi; è importante che il bambino sviluppi la consapevolezza che l’altro abbia un punto di vista (TOM). Il conflitto permette al bambino di fare esperienza della frustrazione (e della sconfitta) e di imparare che vi sono delle regole da rispettare (es. non ci si picchia); piano piano deve tollerare e gestire la frustrazione. I motivi del litigio possono essere i più disparati: condivisione degli spazi o degli oggetti, rivalità, gelosia, invidia… I bambini litigano e ricorrono a comportamenti non funzionali perché hanno capacità sociali, cognitive e verbali ancora limitate: paradossalmente attraverso il conflitto riescono a migliorare queste competenze. I comportamenti attraverso cui si manifesta il litigio dipendono dal genere, dall’età, dalla competenza dei bambini, dalla differenza di età tra i fratelli… Rispetto al genere: le bambine prediligono comportamenti di tipo verbale e il pianto, mentre i bambini comportamenti più di tipo fisico; non è sempre così, possono esserci comportamenti fisici anche nelle bambine e viceversa. Tendenzialmente le relazioni tra fratelli dello stesso sesso sono più improntate alla competizione; nelle relazioni tra fratelli di sesso diverso, le sorelle per i fratelli assumono una funzione di sostegno (soprattutto se sorelle maggiori) ma talvolta questo può essere vissuto come un’ingerenza e tradursi in un conflitto, dobbiamo fare attenzione che la sorella più grande non si comporti come la mamma. Se la differenza di età è minore i litigi sono più frequenti e duraturi, i bambini sono nella stessa fascia di età e quindi hanno anche le stesse competenze. Se la differenza è maggiore, il fratello più grande farà tendenzialmente prevalere un senso di accudimento a quello di prevaricazione. Come devono comportarsi i genitori? Durante i comuni litigi i genitori dovrebbero rimanere in disparte e lasciare che i fratelli si gestiscano da soli ovviamente se il litigio rimane su un livello non pericoloso. Non dovrebbero entrare subito in gioco, è importante che imparino a gestirsi da soli per trovare una soluzione I genitori hanno la funzione di mediazione: aiuta i fratelli a ragionare su quanto successo, a negoziare e a trovare una possibile soluzione; il ruolo del genitore è quello del mediatore che li accompagna (Bruner), li accompagna a ragionare e a negoziare per trovare una soluzione. Uno strumento utile sono le storie e le fiabe in cui i personaggi fanno emergere e affrontano emozioni negative nei confronti di un fratello. Aiuta i bambini perché la storia aiuta il bambino ad immedesimarsi nella situazione e scoprire/riflettere/conoscere le emozioni e quindi imparano a riconoscerle e piano piano gestirle. È importante che i genitori esplicitino le regole fin dall’inizio, devono essere poche ma chiare e poi prevedere qualche piccola sanzione; la sanzione è per entrambi se entrambi non rispettano le regole. I genitori devono essere il più possibile giusti e corretti, evitando di fare paragoni usando etichette (più piccolo/grande; più ingestibile; ...: portano il bambino a lungo andare a adattarsi a quell’etichetta che gli viene attribuita) e di avere preferenze. Le preferenze possono essere veicolate anche implicitamente (‘’lui è più piccolo’’) FRATELLI AMICI E COMPETENZA SOCIALE: nella relazione fraterna (attraverso il gioco e/o il conflitto) i fratelli possono sviluppare, ad esempio, l’abilità di: perspective-taking, regolazione emotiva, empatia, negoziazione e problem-solving. Queste abilità, associate alla competenza sociale, possono poi essere estese, sperimentate e ulteriormente sviluppate nelle relazioni amicali, c’è infatti uno scambio tra le relazioni tra fratelli e quelli amicali. La relazione fraterna e quella amicale sono diverse, possono considerarsi successive ma non è propriamente così. Un recente studio ha messo in luce come bambini con relazioni fraterne caratterizzate da affetto e vicinanza mostrino minori livelli di aggressività e migliore competenza sociale rispetto ai bambini con relazioni fraterne conflittuali: questo filone di letteratura ha legato le relazioni fraterne con quelle amicali. Si vede come influenza la qualità della relazione è ciò che incide, non tanto il fatto di avere o meno un fratello. La relazione positiva catalizza, quella negativa non vuol dire che peggiora. Coerentemente, uno studio italiano ha mostrato come una relazione fraterna ‘’calda’’ (caratterizzata da supporto, vicinanza e intimità) influenza la creazione di relazioni supportive con gli amici e la messa in atto di comportamenti prosociali. QUANDO UN FRATELLO È DIVERSAMENTE ABILE: è una relazione particolare dove un fratello ha sviluppo tipico e uno atipico. La disabilità o una malattia cronica hanno un impatto su tutta la famiglia (può bloccare in casi estremi il ciclo di vita della famiglia, soprattutto quando arriva come evento inaspettato/stress in una fase di transizione) e quindi anche sulla relazione fraterna. Avere un figlio disabile o malato costringe i genitori a un decentramento, in termini di tempo, attenzioni e cure, dal fratello (più grande) che rimarrà disorientato dal comportamento dei genitori e aumenta il senso di esclusione. Inoltre, essere fratello/sorella di una persona con disabilità comporta una serie di emozioni contrastanti e complesse che possono essere difficile da affrontare perché sono emozioni di amore – odio: è mio fratello/sorella ma attira tutte le attenzioni. Soprattutto se il fratello è grande, è un’esperienza difficile da affrontare. Sono sempre presenti le gelosie e i conflitti ma il fratello con sviluppo tipico potrebbe provare anche: Senso di colpa per la gelosia provata nei confronti del fratello che è più fragile Vergogna o imbarazzo per il fratello in situazioni sociali Paura che la stessa malattia/disabilità possa toccare anche lui/lei, soprattutto nei bambini piccoli. Sentirsi responsabile dell’accaduto: soprattutto se in età prescolare, i bambini possono ricorrere alla fantasia per spiegare quanto avviene e che per loro non è comprensibile Sono tantissime emozioni che per un bambino creano un quadro complesso da vivere. Il legame con un fratello disabile perde le caratteristiche di intimità e di condivisione e la disabilità/malattia organizza in modo rigido ruoli e funzioni: non potrà condividere col fratello tutte le esperienze/confidenze. Inoltre, spesso il fratello con sviluppo tipico è trascurato dai genitori perché ha meno bisogno: da un lato ‘’diventerà adulto’’ più velocemente, imparando a cavarsela da solo in diverse situazioni, come se si rendesse conto di non poter fare sempre conto su mamma e papà; dall’altro si sentirà in dovere di prendersi cura del fratello, aspetto che può comportare un’iper-responsabilizzazione, ci sono casi in cui il fratello si prende molto cura del fratello, quasi fosse un 3 genitore provocando un’accelerazione dei compiti che in uno sviluppo tipico si sviluppano in seguito. Questo può a sua volta comportare nel fratello con sviluppo tipico un serie di vissuti emotivi negativi difficili da gestire che possono esitare in comportamenti regressivi (enuresi notturna), problematici (problemi comportamentali) o difficoltà di apprendimento (associazione a deficit di attenzione/concentrazione). È come se lo sfogo emotivo dovesse emergere ed emerge in questi comportamenti. Il fratello con sviluppo tipico, inoltre, può sperimentare un vissuto di forte solitudine perché è difficile trovare qualcuno che capisca e che lo possa sostenere. Come devono comportarsi i genitori? L’abilità più importante che i genitori devono introdurre in queste situazione è quello di comunicare con parole semplici e chiare, una comunicazione efficace. Non va in alcun modo nascosta la malattia/disabilità del fratello e va messo al corrente subito scegliendo le parole giuste i base all’età del bambino. Informazioni specifiche e precise che aiutano ad informare il bambino. Il bambino va rassicurato spiegando fin da subito che la malattia/disabilità non è contagiosa e che non è una sua colpa. È importante far capire la natura del disturbo: quali sono limiti e punti di forza, cosa potrà e cosa non potrà fare il fratello: ci sono sempre anche dei punti di forza, non bisogna concentrarsi solo su quello che non riesce a fare perché ci sono cose in cui è capace o addirittura più capace. Durante la comunicazione i genitori devono trasmettere serenità, e non spaventare il bambino, adottare un tono rassicurante ed empatico. Non mostrare disperazione davanti all’altro figlio, piangere ecc; bisogna prepararsi. È importante che si rendano disponibili a rispondere ad altre domande, a fornire chiarimenti o a ripetere più volte gli stessi concetti. Spesso, infatti il fratello fa più volte la stessa domanda per essere rassicurato e per interiorizzare meglio la malattia. Può essere funzionale dare dei piccoli compiti di cura del fratello disabile in modo che si possa sentire coinvolto: devono essere cose piccole che non lo sovraccarichino È assolutamente importante che i genitori si mettano nei panni del figlio con sviluppo tipico, legittimando le fatiche e le emozioni negative: è importante che il bambino non senta come sbagliate le sue emozioni. Il bambino, soprattutto se è piccolo, fa fatica a capire quello che prova e a fronteggiare le emozioni; i genitori in questo lo devono aiutare. I genitori è importante che ritaglino dei momenti di tempo da dedicare solo a lui oppure che i genitori creino dei momenti ‘’di leggerezza’’ in cui è coinvolta tutta la famiglia; avere dei momenti esclusivi dove sa che c’è solo lui. I momenti di leggerezza sono importanti per far relazionare i due fratelli tra di loro in un clima positivo. Nei casi in cui uno dei genitori è assente, non è in grado o rifiuta il ruolo di cura nei confronti del figlio disabile/malato, un rischio è quello che si verifichi la ‘’parentificazione’’ del figlio con sviluppo tipico. Con parentificazione si intende un vero e proprio rovesciamento di ruoli tra genitore e figlio, in base al quale quest’ultimo assume la funzione di caregiver (del genitore o di un altro familiare) in diversi ambiti e aspetti a spese dei propri bisogni di bambino o adolescente. Non avviene in tutte le famiglie con figlio disabile, ci devono essere determinate condizioni. In questo caso specifico, è il fratello con sviluppo tipico che assume il compito di caregiver del fratello disabile/malato. Il bambino sente la necessità di farsi carico della sua famiglia sia in maniera più esplicita occupandosi ad esempio della cura del fratello (parentificazione strumentale), o in maniera più implicita come consolare e rassicurare il/i genitore/i (parentificazione emotiva): si fa carico di compiti pratici di cura ma anche rassicura il genitore che tutto andrà bene. Il bambino che si trova in questo ambiente disfunzionale cresce sviluppando la convinzione che l’unico modo di ‘’essere visto’’, di avere attenzione o di creare un legame affettivo, minimamente soddisfacente, è quello di prendersi cura dell’altro, in questo caso del genitore o del fratello. In letteratura sono state individuate diverse conseguenze negative associate a fenomeno della parentificazione, quali: difficoltà nella regolazione delle emozioni, inferiore competenza nelle relazioni interpersonali (è come se il bambino saltasse una fase nella quale può provare e sperimentare le proprie abilità), sviluppo di disturbi internalizzanti (depressione e sintomi psicosomatici) o esternalizzanti (ad esempio disturbi del comportamento). Si tratta di una situazione di gravità e pregiudizio per l’adattamento del bambino. RELAZIONI TRA PARI E AMICIZIA IN INFANZIA La relazione tra fratelli è la prima relazione tra pari che si sperimenta però si sperimenta all’interno del contesto familiare. Altre relazioni significative tra pari sono quelle che avvengono nel contesto extrafamiliare. Se prima si faceva un discorso di sequenzialità (prima fratelli e poi pari), negli ultimi anni dove il bambino viene inserito precocemente in contesti educativi come il nido, queste relazioni si sviluppano contemporaneamente e infatti tendono a influenzarsi tra loro. Il rapporto con i pari non può considerarsi uguale a quello con i fratelli perché ha delle caratteristiche specifiche, anche se le relazioni tra fratelli e quelle con i pari si influenzano a vicenda. A partire dai 2-3 anni la ricerca ha evidenziato il ruolo positivo per lo sviluppo del bambino delle relazioni tra pari: le relazioni tra pari sono funzionali allo sviluppo di abilità cognitive, emotive e interpersonali. Queste abilità a loro volta favoriscono la costruzione di relazioni sempre più complesse: anche questo è una palestra dove il bambino può sperimentare, apprendere, facendo errori e riparandoli si apprendono competenze emotive, cognitive e interpersonali. Sono caratterizzate da orizzontalità: si costruiscono tra bambini della stessa età, che hanno lo stesso livello di sviluppo in termini di abilità cognitive e sociali, gli scambi sono reciproci. Sono relazioni dove il bambino si relaziona ‘’da solo’’ senza l’aiuto dell’adulto; pertanto, sono più difficili da gestire e mantenere. La relazione con l’adulto è più facile da mantenere per il bambino perché se l’adulti è in grado e si pone nella giusta maniera, svolge la funzione di scaffolding/supporto; è una relazione asimmetrica dove il genitore è di supporto nel gestire gli aspetti emotivi e conflittuali che ci possono essere in una relazione. Nella relazione tra pari essendo sullo stesso livello non c’è asimmetria, è difficile da mantenere ed è ancora meno mediata dai genitori rispetto a quella tra fratelli perché banalmente i genitori spesso non sono presenti (es. nido/materna). È un contesto in cui il bambino impara a stare da solo e poi sperimenta la relazione con i pari che è una relazione diversa e nuova per lui. AMICIZIA: Una delle principali componenti della vita degli individui in tutto il ciclo di vita. Assume funzioni e significati diversi a seconda della fase di vita in cui l’individuo si trova, è una costante nel ciclo di vita che cambia funzione a seconda delle tappe. In passato la letteratura proponeva una visione stadiale e la collocava in età scolare, le prime relazioni amicali si situavano nei primi anni dell’età scolare. Diversi studi più recenti mostrano come i bambini già dal secondo/terzo anno di vita creino le prime relazioni amicali. Vi sono studi che mostrano interazioni funzionali (condivisione del sorriso, motricità coordinata…) alla costruzione di relazioni amicali nel primo anno di vita. Tutte queste micro- interazioni sono funzionali alla creazione di un legame. Inizialmente il bambino ha delle interazioni solo con la mamma che diventano reciproche fino a creare una relazione: la stessa cosa avviene con i pari. Si differenzia dal legame tra fratelli anche perché è una relazione volontaria (gli amici vengono scelti, i fratelli no), stabile nel tempo (necessaria la stabilità nel tempo, non basta una sola interazione), non obbligatoria, gli amici vengono ‘’scelti’’. In infanzia, viene studiata prevalentemente in contesti di gioco (metodi osservativi, o piccole interviste) perché sono i contesti privilegiati per la creazione di tale legame, è giocando che cominciano ad interagire e poi creano un’amicizia/relazione. COMPONENTI: In letteratura vengono individuate 4 componenti dell’amicizia che la definiscono: 1. PROSSIMITÀ: ○ Ha molteplici significati: ricerca e mantenimento di prossimità o vicinanza; ricerco la vicinanza di qualcuno. Ritroviamo anche l’avvicinamento per l’espressione dei propri bisogni ma anche la ricerca e il mantenimento della prossimità in situazioni potenzialmente pericolose. ○ È una componente fondamentale perché da un lato è la condizione per la creazione di un legame e dall’altro la manifestazione dell’esistenza del legame stesso; è la condizione necessaria. Proprio il fatto che due bambini sono vicini e mantengano questa vicinanza tra di loro è il simbolo, la manifestazione tangibile dell’esistenza di questo legame. 2. RECIPROCITÀ: o Secondo Dunn (studiosa per eccellenza dell’amicizia tra bambini) l’amicizia per definizione richiede la presenza azioni e scelte speculari (come nominarsi a vicenda e identificarsi come amici) e di una reciprocità nella relazione (es. quando viene chiesto ai bambini chi sia il migliore amico) deve essere riconosciuta da entrambi. o Uno studio ha individuato come i bambini riescano ad essere reciproci anche in questo senso ovvero che mantengono degli scambi amichevoli con i coetanei che in precedenza avevano avuto un atteggiamento amichevole nei loro confronti: rispondono in maniera positiva, amichevole, se a loro volta hanno ricevuto questo tipo di comportamento. o Allo stesso modo, la reciprocità riguardava anche situazioni di conflitto: i bambini si impegnavano in comportamenti competitivi e in scontri con i coetanei che in precedenza avevano rivolto loro degli atteggiamenti ostili. Un aspetto che emerge è che la reciprocità non si vede solo in situazioni di scambio positivo ma anche di conflitto; già da piccoli mettono in atto questi comportamenti di reciprocità. 3. CONDIVISIONE ○ L’amicizia è caratterizzata dallo stare e dal giocare insieme e progressivamente dal pensare e sentire insieme quando via via si affinano le competenze cognitive, emotive e interpersonali. ○ È espressione anche della capacità di cooperare, di condividere non solo oggetti e attività ma anche un ‘’mondo immaginario’’: i bambini usano molto il gioco di finzione (facciamo finta di…) non c’è solo una condivisione concreta ma anche del mondo immaginario. ○ Tra i 18-24 mesi: i bambini osservano e imitano il comportamento dei pari, progressivamente aumentano le frequenze di azioni reciproche, si allungano le alternanze dei turni e i bambini saranno quindi in grado di compiere azioni più complesse e quindi imparare a cooperare. ○ La crescente capacità di condividere e cooperare risente anche dello sviluppo emotivo del bambino (es: tollerare rabbia e frustrazione) i primi tentativi di condivisione generalmente non hanno successo, non riescono bene a coordinarsi. Questo permette di tollerare la frustrazione e la rabbia; progressivamente sviluppano l’autocontrollo che permette di condividere e cooperare nei giochi in maniera efficace. 4. INTIMITÀ o Una prima forma di intimità è stata individuata anche all’interno delle prime forme di amicizia in età prescolare (3-4 anni) all’interno dei primi giochi di finzione condivisi. È la condivisione del mondo immaginario e di fantasia che permette gradualmente ai bambini di accedere alla ‘’mente dell’altro’’, aspetto che sviluppa un’intesa con l’altro e aiuta a costruire un ‘’senso del noi’’. Il gioco di finzione permette di sperimentare e condividere emozioni positive e negative (non a livello verbale perché non ne hanno le competenze ma di gioco). È un contesto protetto nella quale possono sperimentare quell’emozione (es. paura), entrandoci dentro, sperimentandola insieme e affrontandola. ○ Nel corso dello sviluppo questa componente si sviluppa fino ad arrivare a forme di intimità più sofisticate come la condivisione di pensieri, emozioni e credenze e valori. AMICIZIA E COMPETENZA SOCIALE: L’amicizia in infanzia assolve ad alcune funzioni fondamentali attraverso cui si sviluppa la competenza sociale: fornisce occasioni di apprendimento delle abilità sociali e facilita il confronto tra pari così come avevamo visto nella relazione tra fratelli. Il gioco e la relativa condivisione con l’amico, infatti, permette al bambino di apprendere: • Alternanza dei turni e della capacità di adeguare il linguaggio al contesto • Sperimentare compiti e ruoli, a 3-4 anni scambiano i ruoli nel gioco per apprendere competenze diverse • Apprendimento di competenze cognitive, emotive e comunicative • Abilità di negoziazione e confronto (come tra fratelli) • Permette di interiorizzare regole, norme e valori della cultura sociale. Quando esce dal contesto familiare può scontrarsi col contesto, tendenzialmente c’è la stessa cultura di base ma norme e valori possono essere diversi da quelli che ha imparato nel contesto familiare. Particolarmente interessante da questo punto di vista è la gestione del conflitto tra amici. La presenza di conflitto viene indicata come una caratteristica costante nelle diadi amicali: correlata alla condivisione di esperienze (più occasioni di scontro) e all’intensità dello scambio: più entro in contatto con una persona, più occasioni di collaborazione/cooperazione avrò con quella persona, maggiori sono le occasioni di scontro. In più, viste le componenti, diventa anche uno scambio più intenso rispetto a una persona che non si considera amica. Allo stesso tempo, gli studi hanno dimostrato come i bambini si impegnano di più nella sua risoluzione. Dunn (2004) sottolinea come già a 4-5 anni i bambini cercano un compromesso, contrattano oppure cercano una conciliazione in caso di scontro con l’amico; anche questo è stato studiato nel gioco di finzione, ad esempio quando entrambe vogliono fare entrambe un ruolo. Questo è possibile grazie alla graduale acquisizione della capacità di comprendere bisogni, emozioni e desideri dell’altro, è una caratteristica fondamentale che il bambino deve ottenere, se non è in grado di capire che anche l’altro ha i suoi pensieri e desideri non riesce ad arrivare ad un compromesso. È stato rilevato come vi siano delle differenze nel tipo di ragionamento che il bambino assume durante una lite con un amico o con un familiare (fratello e madre): sono stati distinti due tipi di ragionamento, ragionamento orientato sull’altro e ragionamento orientato a sé stessi. La probabilità che i bambini ricorressero a un ragionamento che tenesse conto dell’altro e arrivasse a una conciliazione era significativamente più elevata nel caso di conflitto con amico rispetto al conflitto con un fratello; i bambini tenevano più in considerazione le emozioni e i bisogni dell’altro nel caso dell’amico rispetto al fratello. Sono state date due spiegazioni: Maggiore parità nel rapporto: fratello più grande quindi percepito meno vicino, l’amico al contrario era percepito come un suo pari. Qualità emotiva dello scambio, preferenza per i pari: da una certa età i bambini preferiscono giocare con i pari rispetto ai genitori/fratelli. Nello studio non sono emerse correlazioni tra i comportamenti del bambino nelle 3 diverse situazioni à anche quando il bambino ha acquisito la capacità di conciliare/trovare un compromesso non impiega questa capacità in tutte le relazioni, era una scelta libera e deliberata; anche se aveva già ottenuto quella competenza (ragionamento orientato sull’altro), faceva una selezione, non necessariamente lo applicava in tutti i contesti. Ha permesso di sottolineare l’importanza del contesto e del tipo di relazione dove il bambino fa esperienza e affina le competenze. Il tipo di relazione entro il quale avviene il conflitto è fondamentale e l’amicizia sembra essere un contesto particolarmente significativo dove il bambino ha modo di affinare un’abilità fondamentale: il perspective taking. Questo ci dice come per il bambino sia importante l’amicizia anche se in passato non si riteneva così importante. AMICIZIA E COMPRENSIONE MORALE (correlato al saper cogliere la prospettiva dell’altro): Dunn (2004) sottolinea come l’amicizia sia un contesto all’interno del quale il bambino ha la possibilità di sviluppare comprensione e sensibilità morale. I bambini considerano le questioni morali in maniera diversa quando si tratta di amici: una violazione di una qualche norma morale è più grave se le conseguenze si ripercuotono su un amico (es. rubare un gioco ad un amico è più grave di rubarlo al fratello: il fratello è cattivo/antipatico mentre l’amico è il mio migliore amico e quindi non si fa ad un amico). L’assunzione della prospettiva dell’amico portava il bambino a preoccuparsi per i suoi sentimenti e percepire una ricaduta morale (rubare il gioco era un tradimento all’amico/lo faceva stare male). Inoltre, i bambini che hanno amicizie più intime forniscono giustificazioni focalizzandosi su aspetti interpersonali («non va bene perché lui è mio amico»), non sono giustificazioni egoriferite o legate ad un episodio accaduto, sono giustificazioni su un piano relazionale, di amicizia. È vero anche il legame opposto: è possibile anche che la comprensione morale contribuisca a rendere migliore la qualità dell’amicizia e rafforzi il legame tra i bambini. È un rapporto che vale in entrambi i versi: l’amicizia li influenza ma anche questi elementi influenzano e incidono su un buon legame di amicizia. DI CHI SI DIVENTA AMICI? Ci si è chiesto se si ricercano determinate caratteristiche nell’amico, se c’è una selezione/ricerca di caratteristiche particolari. Ipotesi della similarità: i bambini tendono a fare amicizia con bambini simili a loro i bambini descrivono gli amici come simili a sé e i ‘’non amici’’ come diversi da sé: quando viene chiesto ai bambini di descrivere l’amico, spesso lo descrivono con dei tratti che sono simili a loro; quelli che al contrario non considerano amici li identificano con dei tratti molto diversi da come loro sono fatti. La similarità riguarda diversi aspetti: genere, affinità di pensieri, atteggiamenti, valori, interessi, rendimento scolastico: da una similarità più superficiale, se ne sviluppa una più profonda. Nel tempo gli amici tendono però anche a diventare più simili tra loro si parla di “cultura tra pari” che rafforza la qualità del legame e mi fanno assomigliare sempre di più ai miei amici. Bombi (2005) ipotizza l’esistenza di un ‘’circolo virtuoso’’ (o ‘’vizioso’’ se i tratti in comune incidono negativamente sull’ adattamento) tra le caratteristiche condivise e la preferenza espressa. Tuttavia, alcuni bambini sembrano seguire un criterio differente e scelgono amici molto diversi, non tutti seguono il criterio della similarità. Evidenze ancora poco chiare, differenze attribuibili a caratteristiche individuali, familiari e sociali che interagiscono tra di loro. Genitori e amicizia • Quali aspetti genitoriali hanno un’influenza sulle amicizie dei bambini? ➔ Attaccamento e relazioni tra pari (Schneider et al., 2001) Bambini con attaccamento sicuro verso la propria madre dimostreranno maggiore competenza sociale all’asilo, che li porteranno a sviluppare relazioni amicali di migliore qualità ➔ Father Figure (Simpkins & Parke, 2001) Il rapporto con il padre (più che con la madre) è risultato correlato con il rapporto con i coetanei Vi sono evidenze rispetto al fatto che i padri contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo della comprensione emotiva dei figli e della loro capacità di mantenere interazioni giocose Vi sono differenze in base al sesso del figlio (Crouter & Crowley, 1990; Isley et al., 1999): le relazioni genitori-figli dello stesso sesso sono più intense e stimolano più facilmente l’identificazione del bambino con il genitore ● comportamento dei padri è correlato alle relazioni amicali dei figli maschi e quello delle madri alle relazioni delle figlie ➔ Espressività emotiva e comprensione delle emozioni (Dunn, 2004) Il clima emotivo caratterizzato da espressività emotiva e comprensione delle emozioni da parte dei genitori porta il bambino a manifestare più di frequente le proprie emozioni con gli amici e lo rende più in grado di comprendere i sentimenti degli altri ➔ I metodi educativi dei genitori (Dunn, 2004) Stili educativi genitoriali ‘’più democratici’’ (genitore autorevole) stimolano la comprensione del punto di vista dell’altro da parte del bambino ➔ La spiegazione gestionale (Dunn, 2004; Parke & Ladd, 1992) ● Influsso diretto dei genitori sull’esperienza amicale dei figli: sulle opportunità del bambino di incontrare e giocare con altri bambini, agire da mediatore nelle liti e fornire supervisione in caso di problemi con i coetanei -Madri di bambini popolari: tendono a incoraggiare i figli a giocare insieme ad altri senza disturbare il gioco -Madri di bambini non popolari: tendono a usare metodi più intrusivi per coinvolgere i propri figli -Madri che usano strategie di supervisione diretta di controllo: tendono ad avere bambini meno popolari rispetto ad altri • La direzione dell’influenza tra relazioni genitori-figli e relazioni amicali è da considerarsi in entrambe le direzioni: -Relazioni difficili o problematiche con i genitori sono associate a difficoltà di relazione con i pari -Bambini che hanno relazioni difficili con i pari saranno portati a esprimere il loro malessere e la loro insicurezza anche a casa influenzando la relazione con i genitori Il ruolo dell’adulto • L’adulto deve tenere a mente l’importanza che le relazioni con i pari e un rapporto di amicizia ricoprono per il bambino • Nel caso in cui il bambino mostri delle difficoltà nelle relazioni con i pari, è funzionale che l’adulto sostenga il bambino e che assuma il ‘’ruolo di filtro’’ • Per prima cosa è importante che l’adulto ascolti e sia ‘’sensibile’’ ai segnali che potrebbe mostrare il bambino • L’adulto può quindi aiutare il bambino a comprendere la natura delle relazioni tra le persone e a riflettere sulle proprie reazioni e sui sentimenti degli altri • È utile esaminare gli episodi in cui si sono già verificati dei problemi, accogliendo le difficoltà e le emozioni del bambino e, allo stesso tempo, aiutarlo a mettere a fuoco i motivi che possono essere alla base del comportamento proprio e dell’altro bambino • Può essere utile confrontare queste situazioni con quelle di successo in modo da rinforzare i comportamenti efficaci a livello sociale, in questo modo anche il bambino si riterrà più autoefficace a livello sociale e sperimenterà un senso di fiducia nei confronti delle relazioni con i pari • In questi casi, lo psicologo può da un lato, svolgere questa funzione di filtro, dall’altro dovrebbe sostenere i genitori e aiutarli a svolgere questa funzione • Inoltre, per coloro che operano in contesti educativi, dove ci si trova a lavorare con bambini, è importante mettere in atto interventi volti al potenziamento della competenza sociale, favorendo il contatto e la costruzione di legami amicali tra i bambini Uno strumento: Il disegno dell’amicizia • Bombi e Pinto (1993) hanno elaborazione uno specifico sistema di codifica dei disegni che consente di analizzare e confrontare le rappresentazioni dell’amicizia • Consegna: “... ora ognuno di voi disegnerà sé stesso con un amico o con un’amica...” • Codifica, 5 scale: 1.Coesione/Distanziamento 2. Somiglianza 3. Valore 4. Clima emotivo 5. Perturbazione della relazione Coesione/Distanziamento • Sguardo/sguardo distolto: una figura guarda l’altra? evita di guardare l’altra? • Avvicinamento/allontanamento: una figura è in una postura tendente a ridurre lo spazio fra sé e l’altra? una figura è in una postura tendente ad aumentare lo spazio fra sé e l’altra? • Attività coordinata/attività indipendente: l’attività di una figura è coordinata all’attività e/o alla presenza dell’altra? una figura agisce per conto proprio? • Vicinanza/lontananza: le figure sono vicine/sono lontane? • Area comune/area individuale: le figure si trovano entrambe in uno spazio comune? Una figura è collocata in uno spazio proprio? • Unione/separazione: le due figure sono unite da un elemento grafico? PUNTEGGI: dicotomici (0-1) ad ogni categoria, la cui media costituisce il punteggio globale della scala. Più questo è elevato maggiore sarà la Coesione Somiglianza • Altezza: le due figure sono di altezza uguale o diversa? • Posizione: le due figure sono in posizione uguale o diversa? • Corpo: le due figure sono uguali o diverse per forma e colore del volto e del corpo? • Attributi (abiti, scarpe, accessori): le due figure hanno attributi uguali o diversi per forma, articolazione o colore? PUNTEGGI: da 0 a 2 a ogni categoria, la cui media costituisce il punteggio globale della scala. Lo 0 corrisponde a una differenza marcata o molto marcata, 1 a una differenza leggera, 2 a una differenza minima o a massima somiglianza Valore • Spazio occupato: le due figure occupano una equivalente quantità di spazio? Se no, quale ne occupa di più? • Collocazione dominante: le due figure sono alla pari per collocazione? Se no, quale delle due si trova in una collocazione dominante? • Articolazione del corpo: le due figure hanno un numero uguale di parti del corpo? Se no, quale ne ha di più? • Numero di attributi: le due figure sono pari per numero e articolazioni degli attributi? Se no, quale ne ha di più? • Numero di colori: per eseguire le due figure è stato usato lo stesso numero di colori? Se no, quale ne ha di più? PUNTEGGI: da 0 a 2 a ogni categoria. (2 = massima differenza). Oltre ad assegnare il punteggio, occorre indicare in ogni categoria, quale delle due figure risulta dotata di maggior valore, segnando accanto al punteggio la sigla P (partner) o S (soggetto) La media dei punteggi P esprime il valore globale del partner; la media dei punteggi S il Valore Globale del soggetto; la media di tutti i punteggi (P + S) costituisce il punteggio globale della scala La differenza tra il punteggio P e di S divisa per 5 (numero delle sub scale) esprime lo Sbilanciamento di valore Clima emotivo e perturbazione Clima emotivo • Qual è lo stato d’animo delle figure che caratterizza la relazione? Si classifica lo stato d’animo di ciascuna figura considerando i seguenti elementi: mimica facciale, simboli convenzionali, (es: presenza di cuori) verbalizzazioni dirette sullo stato d’animo Stati d’animo riuniti in 3 gruppi: benessere, malessere, ostilità Le figure in cui non compaiono né elementi grafici né verbalizzazioni che consentono di identificare inequivocabilmente lo stato d’animo sono considerate neutre. Categorie di perturbazione della relazione Riferimento a forme comportamentali o verbali • Contesa di oggetti: le due figure si disputano qualcosa? • Minaccia: una figura minaccia comportamenti fisicamente lesivi dell’altra? • Opposizione: una figura dissente verbalmente o agisce in opposizione all’altra? • Aggressione: una figura aggredisce l’altra verbalmente o fisicamente? • Chiusura/rifiuto: una figura rifiuta di interagire con l’altra? Se presente, si classifica il disegno in una di queste categorie Il disegno dell’amicizia Nello studio condotto da Bombi e Pinto (1993) • Nei disegni dei bambini il grado di somiglianza nella rappresentazione di sé e del partner è associato in modo chiaro alla qualità della relazione • Gli amici, inoltre, si rappresentano solitamente come poco sbilanciati per valore e nella maggioranza dei casi più coesi che distanziati, impegnati in attività simili o condivise Solitudine e ritiro sociale in infanzia La solitudine • La solitudine ha una forma oggettiva (l’essere da soli) e una soggettiva (il sentimento di solitudine) e risponde al bisogno di separazione e di autonomia che al bisogno di relazione e di avere delle relazioni • Soddisfare il primo porta all’individuazione come persone con una propria identità, mentre soddisfare il secondo comporta gratificazione, facendo sperimentare appartenenza, affetto…. • Esistono due dimensioni della solitudine: 1. Quantitativa: nessuna o poche relazioni 2. Qualitativa: le relazioni ci sono ma non soddisfano i bisogni • Può riflettere la presenza di un disturbo (es: depressione) o qualche forma di disagio psicologico se intenso e prolungato nel tempo ➔ tende a cronicizzarsi nel tempo • Esiste la solitudine in infanzia? Quando stanno da soli che emozioni provano i bambini? Sono in grado di provare solitudine? • Negli ultimi decenni, grazie all’attività osservativa nelle scuole, le ricerche hanno mostrato un quadro composito distinguendo varie forme di comportamenti solitari e individuandone limiti e risorse per lo sviluppo • Ci si è focalizzati sullo studio del ritiro sociale da un lato, e dall’altro sul gioco solitario • La letteratura sul tema ha dimostrato che i bambini possono provare sentimenti di solitudine e disagio psicosociale • Già a partire da 5/6 anni i bambini sono in grado di: ❏ Identificare e ricordare momenti in cui si sono sentiti soli ❏ Descrivere il sentimento provato ❏ Distinguere le diverse situazioni in cui si sono sentiti soli (in famiglia, a scuola…) ❏ Differenziare tra aspetti socio-relazionali ed emotivi del sentimento di solitudine • I bambini descrivono sentimenti di solitudine provati riferendosi a: noia, tristezza, paura e senso di isolamento Il ritiro sociale • Da un punto di vista clinico e psicosociale i comportamenti solitari sono stati studiati in termini di isolamento e ritiro sociale • Può essere definito come una condizione di bassa frequenza di interazioni con i pari ➔ in un contesto potenzialmente sociale il bambino tende a rimanere in disparte e a preferire il gioco solitario • A livello clinico non costituisce di per sé un disturbo ma può essere altamente correlato a disturbi (o esserne un sintomo) quali: disturbo d’ansia da separazione, depressione, disturbi dello spettro autistico… • Da una prospettiva interazionista, i bambini che stanno spesso soli hanno meno possibilità di sviluppare competenze specifiche. Hanno maggiori difficoltà di sviluppare capacità di problem-solving, chiedendo spesso l’aiuto dell’adulto • Bambini che stanno spesso soli mostrano più bassi livelli di autostima e un concetto negativo di sé • Vi possono essere diverse motivazioni per cui un bambino interagisce poco con i pari; pertanto, si è cercato di distinguere e descrivere le varie forme di ritiro sociale • È stato esplorato attraverso l’osservazione dei momenti di gioco libero a scuola, dove i bambini erano liberi di organizzarsi Lo studio del ritiro sociale Rubin, Burgess, Kennedy & Stewart (1993; 2003) • Studio longitudinale canadese (Waterloo Longitudinal Project) • 2 obiettivi: ➢ Concettualizzare le diverse forme di ritiro sociale e seguirne l’evoluzione (età prescolare, scolare e preadolescenza) ➢ Individuare percorsi evolutivi di disadattamento sociale • Sono state individuate 3 diverse forme di ritiro sociale, che derivano dalla combinazione di variabili individuali, familiari, socioculturali e dalle due motivazioni che guidano la vita sociale: tendenza all’approccio e tendenza all’evitamento • Lo studio ha evidenziato una stabilità nel tempo delle tre diverse forme: le diverse modalità comportamentali e di gioco individuate e associate alle diverse forme di ritiro continuano a caratterizzare gli stessi bambini negli anni 1. Ritiro Sociale Attivo • Bassa frequenza di interazioni con i coetanei • Comportamenti chiassosi e turbolenti, attività frenetiche • Giochi immaturi, prevalentemente ripetitivi e di tipo funzionale sensomotorio (es: muovere una macchina o far rotolare una palla), rumorosi svolti in disparte dai compagni • Riflette immaturità cognitiva e sociale • Tono dell’umore più negativo, caratterizzato da ansia, tristezza e rabbia • Sono rifiutati dai compagni quando provano ad avviare un’interazione, sono bambini impopolari • Mostrano alto approccio sociale e basso evitamento • Ricercano l’attenzione dell’altro ma i tentativi di approccio vengono frustrati a causa delle modalità intrusive, maldestre di interazione con gli altri, i pari tendono a isolarli a si ritrova a giocare da solo a causa della bassa competenza sociale • Forma di ritiro correlato ad aggressività e disturbi esternalizzanti, sviluppano bassa autostima e sentimenti di solitudine 2. Ritiro Sociale Passivo • Forma caratterizzata da attività esplorativa e di costruzione condotta in modo quieto e sedentario • Giochi maturi sul piano cognitivo (es: giochi simbolici e di finzione) • Prediligono il gioco solitario, soprattutto con oggetti ma non evidenziano difficoltà a intraprendere e mantenere interazioni con i coetanei • Tono dell’umore più positivo, caratterizzato da interesse, gioia e curiosità • Presentano una bassa tendenza all’ approccio sociale, tuttavia mostrano una bassa tendenza all’evitamento consentendo loro interazioni efficaci con i pari • Non sono impopolari ma incide negativamente la dimensione quantitativa del ritiro: bassa frequenza di interazioni, minore occasione di costruire e sviluppare competenza sociale 3. Ritiro Sociale Reticente • Bassa frequenza di interazioni con i coetanei connessa a inibizione sociale e timidezza • Si pongono nella condizione di ‘’spettatore’’ • Bassa tendenza all’approccio sociale e alta tendenza all’evitamento: hanno il desiderio di inserirsi nel gruppo di coetanei e di interagire con loro ma sono bloccati da una sorta di inibizione che li porta a stare in disparte o a ritirarsi quando si è coinvolti • Mostrano un atteggiamento ansioso • Ripiegano spesso sul gioco solitario passivo • Diventano bambini impopolari, vengono ignorati dai pari • Manifestano sentimenti di solitudine e tristezza Il ritiro sociale: potenziali cause • Il ritiro sociale è riconducibile a una bassa competenza sociale (e viceversa) ed è inteso come il prodotto di fattori di vario tipo quali: -Temperamento inibito -Attaccamento insicuro (e in particolare, ambivalente) -Aspetti genetici e biologici di vulnerabilità -Genitori direttivi o iperprotettivi -Rifiuto dei pari -Vittimizzazione all’interno del gruppo dei coetanei • Questi fattori vanno considerati singolarmente e in interazione tra loro Il ritiro sociale: differenze di genere • Diversi studi (e.g. Coplan et al., 2001; Rubin et al., 2009) hanno successivamente indagato la presenza di differenze di genere • Ipotesi: vi sono delle differenze di genere associate alle varie forme di comportamento solitario considerando che nella società occidentale ritiro sociale e/o timidezza possono essere diversamente accettate in funzione del genere ➔ accettata nel caso dei maschi viene scoraggiata, con e femmine incoraggiata o comunque più • Non sono emerse differenze di genere rispetto alla frequenza di questi comportamenti • Sono emerse differenze di genere rispetto alle conseguenze in termini di sviluppo e adattamento • In particolare, il ritiro passivo tende a essere correlato con indici di disadattamento solo per i maschi, mentre il ritiro attivo sono risultati associato a difficoltà di gestione di relazioni sociali, di regolazione emotiva, in entrambi i sessi • Il ritiro reticente è risultato correlato a inibizione e a altri indici di disadattamento per entrambi i sessi • Tuttavia, nelle diverse fasi di vita il ritiro sociale è risultato associato a difficoltà di tipo socio-emotivo più per i maschi che per le femmine • In particolare, nei maschi è risultato correalto a: reattività negativa, diffidenza sociale e distress emotivo in contesti sociali • Questa differenza di genere è stata attribuita alle aspettative socioculturali nelle culture occidentali (Sadker & Sadker, 1994) Il ritiro sociale: correlati e conseguenze Relazioni tra pari • Nonostante le difficoltà a relazionarsi nel gruppo dei coetanei, i bambini ritirati appaiono capaci di costruire e mantenere delle relazioni amicali diadiche all’interno dell’ambiente scolastico. Tuttavia, è emerso come fosse più frequente che questi bambini costruissero un legame di amicizia con bambini che mostravano difficoltà psicosociali e distress emotivo (Rubin et al., 2006) • L’isolamento sociale in infanzia e in adolescenza è risultato associato a rifiuto da parte dei pari (la relazione può essere vera in entrambe le direzioni) • Questa associazione tende ad aumentare costantemente nel corso degli anni (Ladd, 2006) Il ritiro sociale Concetto di sé e conseguenze di tipo internalizzante • Bambini ritirati socialmente attribuiscono il fallimento sociale a caratteristiche personali e disposizionali piuttosto che ad eventi e circostanze esterne (=locus of control interno) • Inoltre, quando veniva chiesto loro di risolvere un dilemma sociale facevano ricorso a strategie di evitamento, ritiro e fuga • Prediligono strategie di coping basate sull’evitamento • Locus of control interno unitamente a queste strategie di coping possono comportare una serie di outcomes negativi di tipo internalizzante come: sintomi depressivi, bassa autostima e crescente ritiro sociale • Il ritiro sociale è risultato predittore di sentimenti di solitudine, percezione negativa di sé e depressione Conseguenze a livello scolastico • L’inserimento scolastico o il passaggio da un grado di scuola all’altro è particolarmente problematico per i bambini timidi/ritirati perché si trovano ad affrontare una situazione sociale che può essere per loro stressante • All’interno del contesto scolastico i bambini timidi/ritirati parlano meno con compagni e con gli insegnanti e hanno un linguaggio espressivo più povero • Sembrano mostrare difficoltà di performance (e non di competenza), come risultato dell’alto livello di stress sociale • Mostrano bassi livelli di autoefficacia scolastica Rapporto con gli insegnanti: non passano inosservati ma richiedono molte attenzioni, sviluppano una relazione meno intima ma dipendente con l'insegnante à aspetto a sua volta associato ad aspetti di rischio a livello di adattamento scolastico Conseguenze a livello clinico • Bambini fortemente inibiti a livello sociale sono ad alto rischio di sviluppare disturbi d’ansia (e in particolare, fobia sociale), nella tarda infanzia e in adolescenza • In generale, i disturbi d’ansia sono tra i più comuni in infanzia A prescindere dalla causa, paura e ansia sociale compromettono le interazioni e le relazioni sociali con i pari • L’evitamento delle relazioni assolve quindi la funzione di abbassare il livello di arousal →se l’evitamento diminuisce l’ansia, verrà rinforzato il ritiro sociale come strategia efficace, e aumenterà la probabilità di ricorrere a questa strategia (Crozier & Alden, 2005) • Allo stesso tempo ritiro ed evitamento interferiscono con lo sviluppo della competenza sociale. Questa mancanza di competenza aumenta e rinforza il senso di ansia sociale e bassa autostima • Il ritiro sociale è associato ed è un predittore dello sviluppo di sintomi depressivi e depressione • I bambini ritirati sul versante depressivo, sperimentano umore depresso, ritiro sociale, sentimenti di profonda solitudine, bassa autostima, scarsa concentrazione, disturbi del sonno e inappetenza • Mentre i bambini sul versante ansioso a una richiesta di aiuto riescono a sollecitare interesse, simpatia e apertura sociale, i bambini sul versante depressivo ricercano supporto sociale in modo poco funzionale, cosa che porta gli altri ad evitarli, ignorarli o rifiutarli Una differente prospettiva • Il bisogno di solitudine costituisce una costante nella vita dell’individuo ed è fondamentale sul piano evolutivo perché garantisce l’acquisizione della capacità di autoregolarsi, favorendo la nascita di spazi di autonomia • Il punto di partenza di questa prospettiva è individuato nelle riflessioni di Winnicott e Bowlby ❏ È Winnicott il primo a sottolineare l’importanza di acquisire la capacità di stare da soli grazie alla costruzione e l'interiorizzazione di un legame di fiducia con la madre ❏ Coerentemente Bowlby sottolinea il bisogno di distanziarsi, di agire in autonomia in un ambiente nuovo che permetta l’esplorazione • Ci si è quindi focalizzati sullo studio del gioco solitario per indagare se la solitudine possa in qualche modo fungere da risorsa Il gioco solitario • Contraddistingue alcune situazioni di ritiro sociale, tuttavia è osservabile in tutti i bambini anche tra coloro che interagiscono frequentemente con i compagni, in questi casi i momenti di gioco solitario sono compresenti e alternati ad altri di gioco sociale • Osservando il gioco libero non strutturato dei bambini, si rilevano chiaramente modalità diverse di partecipazione al gioco: -Alcuni giocano insieme, condividendo regole e obiettivi -Altri giocano vicini ma non insieme svolgendo la stessa attività ludica ‘’in parallelo’’ -Altri giocano per conto proprio • Queste modalità si possono alternare, per cui il gioco solitario non va considerato sempre come un ‘’campanello di allarme’’ di situazioni di disagio sociale. Lo può diventare se è una condizione costante di bassa socialità e se associate a forme ludiche immature, stereotipate o disturbanti Corsano e Cigala (2004) • Studio italiano su 140 bambini • 2 obiettivi: -Individuare categorie diverse di partecipazione sociale al gioco -Correlare le categorie ad indicatori di competenza sociale ed emotiva • Sono state individuate 3 categorie di bambini: 1. ‘’Timidi’’: comportamenti solitari da spettatore 2. ‘’Solitari costruttivi’’: giochi solitari di tipo costruttivo 3. ‘’Misti’’: la maggior parte, si dedicano sia al gioco solitario che al gioco sociale Bambini solitari costruttivi • Numero esiguo di bambini nel campione indagato (12 su 140) • Costituiscono la categoria di bambini come ‘’meno a rischio’’ • Si identificano attraverso l’evidenza delle attività solitarie preferite, di tipo costruttivo e delle competenze sul piano sociale ed emotivo che li contraddistinguono come ‘’bambini che amano stare da soli’’ • Non si differenziano dai bambini ‘’misti’’ se si considera il livello globale di competenza sociale • Mostrano tuttavia competenze specifiche sul piano sociale: sono presi a modello dagli altri, sono in grado di gestire la relazione con un adulto non familiare, chiacchierano con i compagni in momenti deputati alla socialità (es: i pasti) • A livello di gioco prediligono quello solitario costruttivo finalizzato a unire, mettere insieme elementi per realizzare un prodotto (es: puzzle, costruzioni) • Queste specificità distinguono questi bambini da quelli ‘’timidi’’ in modo molto netto • Questi bambini e i misti sono infatti capaci di stare sia da soli sia con gli altri Il comportamento solitario • Il comportamento solitario per quanto possa essere espressione di incapacità relazionale deve essere visto e studiato come una condotta solitamente presente accanto a condotte sociali nelle esperienze di bambini in età prescolare e scolare • Il contesto di riferimento, i modelli educativi culturali così come le caratteristiche temperamentali o legate alla storia individuale del soggetto possono rimodulare o riequilibrare di volta in volta il rapporto o la compresenza di tali condotte • È utile quindi ripensare alle competenze sociali dei bambini inglobandovi anche la capacità di stare da soli Il ruolo dell’adulto • Rispetto alle condotte di gioco solitario, genitori e insegnanti possono preoccuparsi molto, osservando ad esempio bambini che ripetono spesso lo stesso tipo di gioco o che ‘’parlano da soli’’ • Bisogna tener a mente che queste condotte rappresentano una modalità di gioco presente in infanzia in tutti i bambini e che se non sono le uniche forme di interazione presente possono costituire una risorsa • Quello a cui prestare attenzione è la quantità e la qualità di tali condotte: capirne la frequenza, indagare se emergono comportamenti eccessivamente ripetitivi (quasi automatici), stereotipati, rigidi • Nel caso in cui il gioco avvenga in un clima sereno e sia alternato a comportamenti di interazione sociale il ripetere alcuni giochi può essere un modo di sperimentare la propria autonomia oppure i monologhi che accompagnano il gioco solitario possono rappresentare una prima forma di pensiero narrativo così come la possibilità di sperimentare nel gioco ruoli diversi • Rispetto al ritiro sociale, i genitori possono ricondurlo a tratti temperamentali (‘’è un bambino chiuso’’), questa credenza può condurre a una condizione di passività/rassegnazione invece di stimolare la ricerca di sostegno • L’insegnante/educatore è spesso una figura ‘’strategica’’ • In situazioni di ritiro sociale è fondamentale che ci sia un lavoro ‘’sinergico’’ e condiviso tra famiglia, scuola e il professionista psicologo • È importante svolgere un accurato e attento lavoro di osservazione per identificare la natura del ritiro e le sue caratteristiche • È inoltre importante identificare e valutare se e in che quadro clinico potrebbe collocarsi tale forma di ritiro ATTACCAMENTO IN INFANZIA Strumenti di misura e valutazione La misura dell’attaccamento si è orientata finora in due direzioni: ❏ Metodi di classificazione degli individui nelle prime fasi dello sviluppo attraverso risposte comportamentali ❏ Sono stati messi a punto strumenti che consentissero di cogliere il livello di rappresentazione mentale dell’organizzazione dell’attaccamento ❏ Possiamo distinguere tra: - procedure osservative - scale di valutazione - narrazione della procedura Procedure osservative • Strange Situation (Ainsworth et al. 1978) Età: 12-20 mesi. Metodologia osservativa standardizzata della durata di circa 20 minuti. È formata da 8 episodi Ideata per valutare l’equilibrio tra il sistema di attaccamento e il sistema di esplorazione e per mettere in luce le differenze individuali nei modelli di attaccamento infantili L’attenzione dell’osservazione è rivolta soprattutto alle modalità interattive adottate durante le riunioni con il genitore • Attachment Q-Sort (AQS; validaz italiana, Cassibba e D’Odorico, 2000) Età: 1-5 anni. È un sistema di valutazione dell’attaccamento basato sull’osservazione dei comportamenti manifestati dal bambino a casa o in contesti familiari come l’asilo nido (e non in situazioni stressanti) Si basa su una procedura in cui l’osservatore classifica i comportamenti del bambino in base a descrittori dei comportamenti di attaccamento e di esplorazione Permettediottenereunpunteggiodisicurezzaeunavalutazione categoriale dell’attaccamento • Indice Osservativo dell’Attaccamento (IOA; Attili 1996-2000) Consente la misura dei modelli mentali di attaccamento utilizzando l’osservazione diretta in situazioni naturali degli stili relazionali dei soggetti coinvolti (bambino e genitori) La diade genitore-bambino viene videoregistrata per 10 minuti nella loro casa, o in uno studio fornito di giocattoli I soggetti vengono invitati a comportarsi come farebbero nella vita di ogni giorno I comportamenti osservati vengono ricondotti a delle categorie di analisi (su scala da 1 a 9) secondo uno schema di codifica da cui poi si ricava il modello di attaccamento Si rilevano i seguenti comportamenti: comportamento positivo, comportamento negativo, comportamento di controllo, conversazione neutra, insegna, disaccordi, ignora/disconferma Scale di valutazione • Parent-Infant Relationship Global Assessment Scale (PIR-GAS; Zero a tre 2005) Età: 0-5 anni. Si tratta di uno strumento diagnostico E’ una scala per la valutazione della qualità della relazione genitore-bambino, collocata all’interno di un range: Ben adattata (81-100), Tratti di un disturbo della relazione (41-80), Disturbo della relazione (0-40) La relazione viene valutata secondo tre componenti: qualità comportamentale dell’interazione genitorebambino, tono affettivo, coinvolgimento psicologico • Scala di valutazione della relazione genitore-bambino (SVR; Speranza, Fortunato e Maggiora Vergano 2013) Questionario diagnostico a 50 item, costruito a partire dalle descrizioni della PIR-GAS, valuta l’interazione e la relazione diadica sulla base delle stesse componenti ma con categorie diverse (ritiro e coartazione emotiva, relazione ostile/aggressiva, relazione ansiosa) Indaga anche la presenza di elementi critici quali il livello di angoscia e di conflitto all’interno delle interazioni o la presenza di comportamenti problematici di ipercoinvolgimento e/o abuso • Strumento di comportamento materno atipico per la valutazione e la classificazione (AMBIANCE; Bronfman, Madigan e Lyons-Ruth 2008; Bronfman, Parsons e Lyons-Ruth 1993) Età: 2-24 mesi. È un sistema di codifica messo a punto per valutare i comportamenti materni atipici correlati all’attaccamento disorganizzato del bambino Valuta i comportamenti osservati durante un’interazione attraverso cinque dimensioni: errori di comunicazione affettiva, confusione di ruolo/confini, comportamenti disorganizzati, comportamenti intrusivi/negativi, ritiro. Narrativa della procedura • Attività di completamento della storia allegata (ASCT; Bretherton, Ridgeway e Cassidy 1990) • Batteria Dello stelo di MacArthur Story (MSSB; Bretherton e Oppenheim 2003) • Manchester Child Attachment Task (MCAST; Green et al. 2000; Goldwyn et al. 2000) Età: 3-8 anni. Strumenti che utilizzano il «completamento di storie» come metodologia per valutare la qualità del mondo rappresentazionale e affettivo del bambino in età prescolare e scolare Attraverso la presentazione di materiale-stimolo viene favorita la produzione di storie relative a situazioni relazionali e familiari e a eventi emotivamente significativi Ogni strumento utilizza un numero e una tipologia di storie differenti, che si rifanno alle tematiche dell’attaccamento ma anche dello sviluppo emotivo, sociale e morale del bambino Si presta attenzione agli elementi che il bambino inserisce nelle storie (aggressività, rappresentazione dei genitori, elementi bizzarri, presenza continua di elementi catastrofici, rappresentazione del bambino) La valutazione delle narrazioni permette di attribuire sia punteggi su scala (sicurezza, evitamento, disorganizzazione…) che e una categoria dell’attaccamento Vantaggio: al bambino viene chiesto di parlare di ‘’altri’’ e non direttamente di sé e della propria famiglia ATTACCAMENTO IN INFANZIA Disturbi dell’attaccamento Psicopatologia dello sviluppo • Paradigma che si sviluppa a partire dall'integrazione di diverse prospettive e discipline: teoria dell’attaccamento, teorie psicoanalitiche, neuroscienze, genetica… • Il progredire evolutivo del bambino verso il benessere si struttura lungo una traiettoria dello sviluppo normale o adattivo o tipico, i cui elementi costitutivi sono le acquisizioni specifiche delle diverse aree di sviluppo, cognitivo, sociale • La considerazione degli aspetti evolutivi prevede che ogni tappa specifica dell’infanzia sia la precondizione necessaria per procedere verso il benessere e la salute mentale in età adulta • La psicopatologia viene intesa come esito della deviazione dal percorso di sviluppo adattivo, costituisce un’interferenza dello sviluppo che, può rallentare, modificare o, nei casi più gravi, arrestare lo sviluppo delle diverse aree del funzionamento mentale del bambino • Il disturbo si sviluppa nella sfera caregiver-bambino, ed è il prodotto dell’interazione tra aspetti biologici, psicologici e sociali, tenendo simultaneamente presente la storia pregressa dello sviluppo e i compiti specifici che il bambino è tenuto a fronteggiare e affrontare in ciascuna fase specifica della crescita • Le differenze individuali rispetto allo sviluppo di un disturbo dimostrano l’impossibilità di concepire gli esiti psicopatologici secondo un modello lineare e deterministico, ma di assumere una prospettiva multidimensionale e multifattoriale dove vanno considerati e analizzati i fattori di rischio e protezione secondo i principi di equifinalità e multifinalità • Il processo diagnostico, quindi deve partire dall’individuazione e dalla rilevazione di segni di deviazione dal percorso di sviluppo adattivo, analizzare il processo evolutivo e valutare il sistema familiare (pattern interattivi diadici e/o triadici), insieme alle caratteristiche costituzionali e maturative dello sviluppo del bambino e alla sua interconnessione con i diversi contesti di apprendimento e d’azione • A partire da queste riflessioni e da evidenze di ricerche e/o osservazioni in ambito clinico la comunità scientifica si è indirizzata ad affinare e concretizzare lo «sguardo clinico» rivolto all’infanzia, tenendo presente la sua specificità Sistemi diagnostici per l’infanzia • Il declinarsi di una prospettiva diagnostica, principalmente orientata sul bambino, si è dovuta confrontare con quella già esistente e riconducibile al DSM, che seppur presentando dei limiti strutturali ha sollecitato la necessità di una sistematizzazione clinica del disturbo mentale, con particolare riferimento alla psicopatologia infantile • A partire dai limiti della trasposizione diagnostica di criteri nosografici strutturati sulla popolazione adulta (DSM, ICD-10), è nata l’esigenza di creare dei sistemi diagnostici specifici per l’infanzia e l’adolescenza che pongono al centro la relazione primaria e il contesto di vita del bambino 1. Classificazione diagnostica della salute mentale e dei disturbi dello sviluppo dell'infanzia e della prima infanzia: 0-3 (DC: 0-3 e DC: 0-3R; Zero a Tre 1994; 2005) 2. Classificazione diagnostica della salute mentale e dei disturbi dello sviluppo dell'infanzia e della prima infanzia: 0-5 (DC: 0-5; Da zero a tre 2016) 3. Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM e PDM-2; Task Force 2006; Lingiardi e McWilliams 2017) DC:0-3R e DC:0-5 • Si avvale di un sistema classificatorio descrittivo, rappresentativo di pattern sintomatologici significativi che, tuttavia, risultano essere associati a eventi o contesti specifici • Ha una struttura multi assiale (5 assi)con più dimensioni, che caratterizzano la dinamicità di questo sistema classificatorio • La valutazione diagnostica dei vari assi si basa sull’utilizzo di strumentazioni specifiche (per asse II: ad esempio, PIR-GAS) Asse I Disturbi clinici (sulla base di sintomi e fattori di rischio) Asse II Qualità/classificazione delle relazioni primaria con il caregiver e con altri caregivers o altre relazioni importanti (contesti relazionali) Asse III Condizioni mediche Asse IV Agenti psicosociali di stress Asse V evolutive) PDM e PDM 2 Funzionamento emotivo e sociale (DC:0-5: anche considerazione delle competenze • Strutturato allo scopo di unire le scoperte empiriche con le ipotesi nate dalla pratica della psicoanalisi clinica e con la nosografia tradizionale • Prevede 6 specifiche sezioni cliniche, una per ogni fase del ciclo di vita (con una finale di valutazione e illustrazioni cliniche) • Rispetto all’infanzia vi sono due aree diagnostiche distinte: Neonati e prima infanzia (0-3 anni), Infanzia (4-11 anni) • Struttura multidimensionale: le dimensioni (o assi) sono prospettive di osservazione della realtà del paziente che necessita di essere integrata con altre dimensioni, prima di poter pervenire alla formulazione della diagnosi clinica • In infanzia: il clinico deve svolgere una valutazione complessiva che includa una storia dettagliata dello sviluppo del bambino, una rassegna dei sintomi e degli agiti principali, un’analisi dei fattori biomedici e un’esplorazione dei pattern interattivi familiari, scolastici e ambientali • Per la fascia Neonati e prima infanzia (0-3 anni) propone un approccio multiassiale (classificazione IEC), che prevede la valutazione degli assi 2-5 e in ultimo l’asse 1 Asse I Diagnosi primaria Asse II Capacità evolutive del funzionamento emotivo Asse III Capacità di regolazione e dell’elaborazione sensoriale Pattern bambino-caregiver e familiari/Pattern e disturbi relazionali (focus sia sul Asse IV genitore che sul bambino) Asse V Condizioni mediche e neurologiche • Per la fascia Infanzia (4-11 anni): pattern sintomatici devono essere compresi all’interno del contesto più ampio del funzionamento mentale e dello sviluppo della personalità Asse MC: Profili individuali del funzionamento mentale Asse PC: Configurazione della personalità Asse SC: Pattern sintomatici ed esperienza soggettiva • Nonostante la qualità della relazione genitore-bambino sia considerata dalla maggior parte dei clinici uno degli aspetti più rilevanti nella valutazione del funzionamento del bambino, è solo con l’introduzione della DC:0-3 che questa viene posta all’attenzione dei clinici • I sistemi diagnostici relativi all’infanzia (DC:0-3R DC:0-5; PDM-2) pongono al centro della valutazione del funzionamento del bambino, la qualità delle relazioni primarie collocandola in un Asse specifico (Asse II per la DC, Asse IV per il PDM) • Solo le classificazioni della prima infanzia tengono in considerazione i disturbi relazionali, e la relazione primaria viene valutata nello specifico (anche quando sana, non disturbata) cercando di cogliere tutti gli aspetti della dinamica relazionale tra il bambino e il genitore • Il disturbo specifico della relazione (DC:0-5) e i disturbi di attaccamento sono considerati dei veri e propri disturbi clinici sull’Asse I Il disturbo specifico della relazione • Viene introdotto come quadro clinico nella DC: 0-5 • L’attenzione viene posta sulla natura unica e distintiva che ogni relazione significativa ha per il bambino: evidenze empiriche hanno mostrato come verso la fine del primo anno è possibile osservare l’esistenza di modelli di attaccamento specifici e differenziati verso i diversi caregivers (attaccamenti multipli) • Si vuole indicare un quadro clinico in cui il comportamento sintomatico del bambino è limitato a una specifica relazione e anzi non deve essere presente in altre relazioni • Il disturbo deve riguardare un comportamento chiaramente sintomatico (es: un disturbo del sonno o un comportamento oppositivo) e rappresenta un disturbo emotivo o comportamentale persistente con una compromissione funzionale significativa per il bambino • Non deve ad esempio essere incluso in questa diagnosi un pattern di attaccamento disorganizzato, che rappresenta solo un rischio di psicopatologia futura per il bambino e non un disturbo di per sé I disturbi dell’attaccamento • Non sono sinonimo delle differenze individuali nelle modalità di attaccamento o solo fattori di rischio per possibili psicopatologie, ma rappresentano un disturbo più profondo e generalizzato della capacità del bambino di stabilire una relazione significativa con un caregiver preferenziale che altera in maniera profonda il suo sentimento di protezione e sicurezza • I problemi relativi all’attaccamento possono essere considerati disturbi quando le modalità relazionali ed emotive sono talmente alterate da indicare un rischio di angoscia persistente per il bambino o una menomazione del suo funzionamento • Questi quadri clinici sono generalmente associati a contesti di accudimento caratterizzati da forte deprivazione o da modalità gravemente alterate di caregiving 1. Disturbo Reattivo dell’Attaccamento (Reactive Attachment Disorder, RAD) 2. Disturbo da Impegno Sociale Disinibito (Disinhibited Social Engagement Disorder, DSED) • I quadri diagnostici indicati dalla DC:0-5 si sovrappongono in maniera abbastanza lineare con quelli descritti dal DSM-5, accentuando però la natura specifica di questi disturbi in relazione all’area dell’attaccamento e puntualizzando le specifiche manifestazioni di queste alterazioni dei comportamenti di attaccamento nel corso dello sviluppo. • Entrambi i sistemi diagnostici sottolineano l’importanza di effettuare una diagnosi differenziale con i disturbi dello spettro autistico, le disabilità intellettive, disturbo da deficit di attenzione/iperattività e i disturbi depressivi I disturbi dell’attaccamento: DSM V Il DSM-5 (APA 2013) colloca i disturbi dell’attaccamento nella sezione dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti, riconoscendo come fattore eziologico significativo l’assenza di un accudimento adeguato, che viene considerato un requisito diagnostico indispensabile I due quadri clinici (RAD e DSED), hanno un'eziologia comune ma: ● Il RAD si configura come un disturbo internalizzante con sintomatologia depressiva e comportamento ritirato ● Mentre il DSDE si manifesta con disinibizione e comportamento esternalizzante Caratteristiche del disturbo reattivo dell’attaccamento: • La relazione di attaccamento tra il bambino e i caregivers sostitutivi è assente o fortemente sottosviluppata • Il bambino mostra comportamenti di attaccamento marcatamente disturbati e raramente, o in misura minima, si rivolge a una figura preferenziale per cercare conforto, sostegno, protezione e accudimento • Al tempo stesso il bambino risponde in modo minimo ai tentativi di conforto da parte dei caregivers • Minima responsività sociale ed emotiva verso gli altri • Il bambino mostra una ridotta espressione di emozioni positive • La capacità di regolazione delle emozioni è compromessa e si evidenzia attraverso l’espressione di emozioni negative come paura, tristezza o irritabilità non facilmente spiegabili e in maniera evidente Caratteristiche del disturbo da impegno sociale disinibito: La caratteristica diagnostica principale è un comportamento culturalmente inappropriato ed eccessivamente familiare con persone relativamente sconosciute • Ridotta o assente reticenza nel relazionarsi con sconosciuti e/o disponibilità ad allontanarsi con loro • Comportamento verbale o fisico eccessivamente familiare • Diminuito o assente controllo a distanza del caregiver • Mostrano comportamenti impulsivi e socialmente disinibiti Questo pattern comportamentale compromette in modo significativo la capacità del bambino di relazionarsi ad adulti e coetanei in maniera adeguata I disturbi dell’attaccamento: DC: 0-5 Caratteristiche del disturbo reattivo dell’attaccamento: • Condizione in cui un bambino non ha una figura di attaccamento e questa condizione è attribuita alle inusuali circostanze in cui il bambino è cresciuto • Mancanza di angoscia nei confronti dell’estraneo (perché il bambino può essere diffidente verso tutti gli adulti) e la mancanza di protesta alla separazione • Ricerca di conforto (appropriata all’età) significativamente ridotta o assente in situazioni di stress • Scarsa o assente reciprocità sociale e disturbi della regolazione affettiva (scarsa affettività positiva e inspiegabili episodi di paura, irritabilità o tristezza) Aspetti di comorbidità: ❏ ritardi nello sviluppo cognitivo, motorio e linguistico ❏ stereotipie ❏ ritardo di crescita con evidenze nel peso, nell’altezza e nella circonferenza cranica ❏ segni di grave trascuratezza come malnutrizione e condizioni mediche associate ❏ sintomatologia depressiva Caratteristiche del disturbo da impegno sociale disinibito: • L’aspetto centrale del disturbo è il comportamento sociale indiscriminato e non modulato, specialmente con adulti sconosciuti, che viene osservato in bambini che hanno avuto esperienze di istituzionalizzazione o di affidamenti caratterizzati da grave trascuratezza • Mancanza di reticenza nel contatto con persone estranee, comporta modalità intrusive e indesiderate in cui vengono violati i confini sociali sia attraverso il contatto fisico eccessivo che attraverso domande intrusive • La qualità delle relazioni con altri significativi può essere ostacolata da un comportamento che viene ritenuto emotivamente superficiale e di sola richiesta di attenzioni • Questi comportamenti possono mettere in pericolo il bambino Aspetti di comorbidità: ❏ ritardi nello sviluppo cognitivo, motorio e linguistico ❏ problemi con l’equilibrio e la coordinazione ❏ stereotipie ❏ ritardo di crescita con evidenze nel peso, nell’altezza e nella circonferenza cranica ❏ disturbo da deficit di attenzione/iperattività ❏ problemi esternalizzanti, inclusa l’aggressività ❏ segni di grave trascuratezza come malnutrizione e segni di scarsa cura ❏ comorbidità con disturbo da deficit di attenzione e iperattività Fattori di rischio 1. Relazioni basate su modelli interattivi disfunzionali: ➔ l’iperregolazione, in cui sono presenti modalità interattive intrusive e insensibili ➔ l’iporegolazione, dove il caregiver assume comportamenti ritirati e ipostimolanti, il coinvolgimento reciproco è scarso e il bambino è costretto a un eccesso di autoregolazione ➔ regolazioni inappropriate, irregolari o caotiche, in cui alla mancanza di sincronia si associa un eccesso di affetti negativi o un’oscillazione costante tra modalità intrusive e ritirate che rendono difficile individuare una strategia coerente 2. Genitorialità a rischio Alcune condizioni della genitorialità: depressione materna e/o paterna; psicopatologia genitoriale (psicosi, disturbo borderline…); dipendenze; comportamenti devianti; genitorialità singola o precoce; conflitti coniugali, violenza coniugale; mancanza di supporto sociale 3. Caregiving-attaccamento: I modelli di attaccamento insicuro e disorganizzato dei genitori hanno una forte influenza sulle modalità di caregiving che andranno a loro volta a influenzare i modelli di attaccamento infantili ➔ l’attaccamento distanziante: caregiving rifiutante, insensibile, controllante, caratterizzato da avversione nei confronti del contatto fisico, mancanza di espressione emozionale ➔ l’attaccamento preoccupato: tenderà a esprimersi attraverso un caregiving poco responsivo, incostante e imprevedibile ➔ l’attaccamento disorganizzato/unresolved: modalità spaventate/spaventanti che inducono stati di paura nel bambino e la possibilità di sviluppare un attaccamento disorganizzato 4. Contesti di caregiving gravemente deprivanti o maltrattanti: Crescere all’interno di contesti in cui sono assenti figure di riferimento specifiche (es: bambini istituzionalizzati o sottoposti ad affidamenti multipli) Crescere all’interno di famiglie in cui siano presenti problemi di maltrattamento e abuso Può costituirsi come un fattore eziopatogenetico vero e proprio (come per il RAD) 5. Ambienti di accudimento difficili e/o gravemente trascuranti Le istituzionalizzazioni precoci, gli affidamenti multipli, contesti altamente a rischio, contesti di caregiving problematici in cui sono presenti maltrattamento e trascuratezza grave Diversi studi hanno mostrato che gli effetti della deprivazione possono essere differenti a seconda dei fattori di vulnerabilità e delle condizioni che perpetuano il rischio La durata della deprivazione o il periodo sensibile in cui questa avviene, ad esempio dopo i primi sei mesi di vita sono significativamente associati allo sviluppo di aspetti riconducibili al DSED 6. Vulnerabilità genetiche e correlati neurobiologici Decorsoeprognosi:RAD • Tra le conseguenze a lungo termine: grave compromissione nelle relazioni interpersonali, con scarsa competenza sociale ed emotiva • Dal punto di vista prognostico, diversi autori ritengono che l’adozione o l’affidamento da parte di caregivers sensibili possano essere considerati il trattamento di elezione per i bambini con RAD, i cui sintomi possono scomparire in maniera rapida e completa se ci sono cure adeguate • Evidenze in letteratura, mostrano come i segni del disturbo possono modificarsi nel giro di alcune settimane se il bambino viene allontanato dall’ambiente trascurante e collocato in affidamento o dato in adozione, in qualunque momento dello sviluppo entro i primi 3 anni • Al contrario, il quadro può rimanere relativamente stabile se il bambino continua a rimanere in una condizione di grave trascuratezza Decorso e prognosi: DSED • Pochi dati sul decorso e la prognosi sul disturbo da impegno sociale disinibito • Si ritiene che le caratteristiche del disturbo possano rimanere moderatamente stabili nel tempo, soprattutto se persistono le condizioni di trascuratezza • Con la crescita si osservano intrusività verbale e sociale, ricerca di attenzione, sintomi di disattenzione/iperattività e altri comportamenti esternalizzanti in età prescolare, eccessiva familiarità verbale e fisica e falsa espressione di emozioni, soprattutto in età scolare con gli adulti, sino ad alterate relazioni con i pari, con comportamento indiscriminato o conflitti in adolescenza • Dal punto di vista prognostico, sembrerebbe che il disturbo non risponda in maniera positiva a un ambiente di caregiving favorevole, mentre il comportamento indiscriminato spesso permane anche dopo che un attaccamento si è formato nei confronti dei genitori adottivi • Tuttavia, tanto più precoce è il collocamento del bambino in un ambiente supportivo, quanto maggiori sono le probabilità che i segni del disturbo si riducano ATTACCAMENTO IN INFANZIA Interventi Interventi di tipo clinico Tra gli interventi a livello clinico: ● Interventi preventivi sulla genitorialità ● Interventi di psicoterapia genitore-bambino nei primi anni Il focus di questi interventi è la relazione genitore-bambino con focus che in base all’intervento può essere più sull’interazione oppure sulle rappresentazioni mentali Interventi di tipo preventivo/precoce ispirati alla TdA: La Guida all’interazione (IG, Interaction Guidance; McDonough 2004) • Intervento clinico strutturato in sedute settimanali di un’ora in una stanza di gioco, in cui il focus terapeutico sono le interazioni osservabili fra caregiver e bambino, in quanto espressione sia del parenting che delle rappresentazioni del genitore e del bambino • Le sedute vengono videoregistrate, così da fornire ai genitori un feedback sul loro comportamento e l’effetto che può avere su quello del bambino • L’efficacia di questo trattamento è stata dimostrata per i disturbi della relazione genitore- bambino: maggiore sintonizzazione negli scambi, minore intrusività materna, aumento della cooperazione del bambino e cambiamenti nelle rappresentazioni materne Passi verso una genitorialità efficace e piacevole (STEEPTM; Egeland & Erikson 2004) • Programma a carattere preventivo rivolto a famiglie ad alto rischio psicosociale in attesa di un figlio. • Obiettivo: la costruzione di una relazione di attaccamento sicura, attraverso il sostegno offerto ai genitori nello sviluppo di strategie efficaci di regolazione emotiva diadica e dello stato di attivazione del bambino. • Prevede visite domiciliari bisettimanali dall’ultimo trimestre di gravidanza e gruppi di sostegno nei primi anni di vita del bambino • Le interazioni vengono videoregistrate e utilizzate dagli operatori al fine di favorire comprensione, sensibilità e responsività verso il bambino • Focus anche sul passato dei genitori • L’efficacia di questo intervento è relativa soprattutto alla riduzione di attaccamenti insicuri nei bambini figli di madri ad alto rischio Circolo della sicurezza (COS, Circolo della Sicurezza; Cooper et al. 2005; Powell et al. 2009) • Progetto di intervento precoce per i genitori ad alto rischio • Obiettivo: sostenerli in un processo di ridefinizione delle proprie rappresentazioni interiorizzate che guidano i loro comportamenti di accudimento e influenzano la sicurezza dell’attaccamento del bambino • I genitori partecipano a: Strange Situation, Circle of Security Interview e infine vengono coinvolti una volta a settimana per 20 settimane alle riunioni di gruppo con altri genitori È volto ad aiutare i genitori a comprendere i bisogni di base sicura e rifugio sicuro dei bambini e a elaborare aspetti problematici della loro infanzia Si è dimostrato efficace nel ridurre i rischi di disturbi relazionali in diadi a rischio, ma anche nel modificare l’attaccamento disorganizzato del bambino verso un attaccamento sicuro Intervento di video-feedback per promuovere la genitorialità positiva e la disciplina sensibile (VIPP e VIPP-R; Bakermans-Kranenburg, Juffer e van IJzendoorn 1998) • Intervento di tipo preventivo rivolto ai genitori che prevede l’uso e l’analisi di interazioni videoregistrate in contesti di vita quotidiana • Previste 4 visite tra il 7 e il 10/11 mese di vita del bambino • La madre ha la possibilità di rivedere se stessa e il bambino e viene accompagnata nel prestare attenzione ai segnali/reazioni personali e del bambino • Vengono fornite informazioni rispetto a come rispondere in maniera efficace alle richieste emotive del bambino • Si agisce sia a livello comportamentale attraverso un cambiamento nello scambio interattivo madre- bambino (VIPP), sia a livello rappresentazionale lavorando sulla coerenza mentale del genitore rispetto alle proprie esperienze di attaccamento (VIPP-R), così da interrompere il ciclo intergenerazionale di attaccamento insicuro tra genitore e figlio • In questo secondo caso, alle madri viene chiesto di discutere delle loro relazioni di attaccamento attuali e passate, aiutandole a mettere in relazione le proprie esperienze infantili con quelle vissute con il figlio • Il duplice obiettivo proposto dal programma consiste pertanto nel promuovere la sensibilità materna e nel favorire la ristrutturazione dei modelli di attaccamento verso una maggiore sicurezza Minding the Baby (MTB; Slade et al. 2005) • Programma preventivo per la genitorialità a rischio che ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo della capacità di mentalizzazione delle madri, ossia di promuovere la funzione riflessiva genitoriale quale capacità di comprendere i comportamenti del bambino in termini di stati mentali e di intenzioni • L’intervento si svolge mediante visite domiciliari settimanali da parte di un’équipe multidisciplinare formata da personale qualificato, a partire dal secondo trimestre di gravidanza fino all’età di 2 anni del bambino Oltre a interventi di tipo preventivo: • Più nello specifico, per quanto riguarda invece i disturbi dell’attaccamento (RAD e DSED), si ritiene che l’affidamento e l’adozione da parte di caregivers sensibili costituiscano l’intervento elettivo per ridurre i sintomi del disturbo e per facilitare la ripresa in termini evolutivi • Interventi di psicoterapia genitore-bambino Strumenti e interventi di tipo psico-educativo a scuola • Scuola come uno dei contesti principali di vita del bambino • Le difficoltà si presentano e hanno un’influenza anche a scuola • Questi bambini dovrebbero essere considerati come portatori di bisogni speciali (con un piano specifico), sono più rischio di altri bambini e hanno necessità specifiche • Agli insegnanti servono informazioni, strategie ma anche sostegno emotivo • La scuola può giocare un ruolo importante nel benessere emotivo e relazionale del bambino • Anche a scuola va data priorità all’importanza della relazione come occasione di adattamento e recupero • Bombèr (2007) propone di mettere a disposizione nella scuola ‘’una figura di attaccamento aggiuntiva’’ che abbia un ruolo attivo e che dia la possibilità di sperimentare una ‘’dipendenza relativa’’ • Scelta una figura di riferimento che mostri sensibilità emotiva, calma ed empatica, disponibile a lungo termine nella scuola, che sappia lavorare in team con gli altri inseganti • Per i bambini più grandi (scuola secondaria): il bambino può essere coinvolto nella scelta, così da favorire il reciproco riconoscimento • Fornire supporto anche all’adulto di riferimento • Il ruolo più importante di questa figura è quella di formare una relazione con il bambino • Questa relazione può avere un impatto considerevole nello sviluppare e adattare il concetto di sé, degli altri e della realtà esterna che ha il bambino • Ruoli primari: sintonizzarsi con il bambino, fornire contenimento emotivo, far si che il bambino sappia di ‘’essere tenuto nella mente’’, sostenere il bambino nell’interpretazione dei propri stati emotivi attraverso l’uso di commenti, aiutare il bambino a far pratica di aspetti nuovi (chiedere aiuto, risolvere conflitti, rilassarsi, dimostrare affetto…), aiutare il bambino a comprendere a realtà e i comportamenti altrui • Lavorare anche nel gruppo classe rendendo i compagni consapevoli e lavorando all’inclusione • 3 accorgimenti: ➔ Il comportamento è il mezzo per comunicare lo stato di malessere e angoscia ➔ Differenziare il linguaggio: chiaro, esplicito, che non necessiti di prerequisiti sociali ed emotivi (‘’concentrati e stai calmo’’), non usare sarcasmo ➔ Compiti e obiettivi sociali ed emotivi adatti al livello di sviluppo del bambino • Per questi bambini è difficile affrontare alcuni passaggi tipici della vita scolastica, non amano e possono essere molto spaventati dai cambiamenti • Passaggi critici: inizio della giornata, preparazione del programma della giornata, tempo per completare un compito, interruzioni durante lo svolgimento di un compito, le attese, cambio di insegnante, cambio di ambiente fisico, pause scolastiche (vacanze estive o natalizie) • Inizio della giornata: accogliere in maniera calda il bambino e proporre uso dell’oggetto transizionale per agevolare il passaggio da casa a scuola • Organizzare e usare tabelle orarie su base quotidiana, uso di timer e clessidre, di memory card, canzoni… • Quando c’è un cambiamento imminente, dare al bambino più informazioni possibili per prepararlo, usando un linguaggio semplice ed esplicito • Nel caso in cui cambi l’insegnante, valorizzare il bambino e rassicurarlo, sollevandolo da possibili sensi di colpa • Al termine dei periodi scolastici: mantenere il più possibile la routine e proporre attività strutturate Strumenti e interventi di tipo psico-educativo a scuola (ma anche per i genitori) • È importante per questi bambini sapere di ‘’essere nella mente’’ dell’adulto/adulti di riferimento • Uso creativo di diversi canali sensoriali: ● Immagini ● L’uso del profumo ● Uso di piccoli oggetti • L’adulto/adulti di riferimento devono inoltre supportare il bambino nelle sue interazioni sociali, fornendo chiavi di lettura ma anche strategie per entrare in relazione con l’altro: ● Aiuto nel differenziare tra le diverse relazioni e nel modo in cui comportarsi nelle diverse relazioni ● Uso di storie sociali: brevi narrazioni con immagini ● Rinforzare i comportamenti adeguati ● Sostegno in attività extrascolastiche • Un compito importante per l’adulto di riferimento è sostenere i bambini nel processo di regolazione emotiva, facendogli fare esperienza di contenimento emotivo e di sintonizzazione emotiva • Sono bambini con difficoltà nell’espressione delle proprie emozioni e dei propri bisogni • Sono bambini che sono abituati a provare paura e ansia a livello corporeo ma non conoscono aspetti di regolazione emotiva → necessità di fornire degli strumenti • Questo nel tempo li aiuterà a sviluppare strategie di autoregolazione emotiva Sostenere la regolazione emotiva, 4 fasi: 1.Identificare i comportamenti che indicano un aumento dell’arousal e nominarli 2. Collegare il comportamento a una possibile emozione, nominadola 3. Sostenere il bambino aiutandolo nell’uso di strumenti che possano aiutarlo a regolare lo stato di attivazione (es: scatola della calma o la carta del time out) 4. Il bambino progressivamente impara a riconoscere le risposte corporee e a capire quando utilizzare gli strumenti • Elementi a cui prestare attenzione indicativi di uno stato di attivazione: ❏ Cambiamenti repentini del tono di voce ❏ Rigidità corporea ❏ Segni di agitazione corporea ❏ Pianto ❏ Diventano progressivamente più attivi • Identificare possibili ‘’trigger’’: ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ ➢ Cambi di programma Stimoli sensoriali Mancata comprensione di una situazione Non essere in grado di organizzare il lavoro Mancanza di sensibilità da parte di figure adulte Eventi inattesi Clima teso Storie che possono richiamare all’esperienza personale Compiti di tipo autobiografico Conflitti con i compagni Assenza dell’adulto significativo La SCATOLA DELLA CALMA • Possibile strumento da utilizzare per aiutare il bambino ad autoregolarsi • Una piccola scatola che il bambino può tenere con sé con un assortimento di schede, ogni carta descrive un’attività utile a calmare il bambino in caso di attivazione emotiva • Attività brevi che possano coinvolgere più sensi, in modo da sperimentare rilassamento anche a livello corporeo • Attività pensate nello specifico per ciascun bambino, vanno adattate all’età emotiva del bambino • Nel caso di bambini più grandi queste strategie possono essere identificate insieme • Possibili idee: ❖ Attività di rilassamento muscolare ❖ Ascolto di musica rilassante ❖ Attività di respirazione ❖ Manipolazione di oggetti ❖ Giochi costruttivi di riorganizzazione ❖ Colorare ❖ Fare una passeggiata • Se insorge una crisi di rabbia o un conflitto, l’adulto di riferimento può aiutare il bambino a regolarsi • Rassicurare il bambino che è sbagliato il comportamento messo in atto e non il bambino • I bambini possono essere molto spaventati dall’evento perché temono di perdere la figura di riferimento • Bisogna fornire la possibilità di riparare a quanto accaduto • Emerge come fondamentale la collaborazione tra famiglia e scuola • È importante che vengano condivise le informazioni a disposizione dei genitori rispetto alla storia del bambino • Gli insegnanti dovrebbero condividere le osservazioni fatte all’interno del contesto scolastico • Proporre a casa e a scuola dei modelli e delle strategie che siano coerenti PANDEMIA E LOCKDOWN (POSSIBILI) INFLUENZE IN INFANZIA Bambini e situazioni di emergenza • In momenti di pericolo, i bambini hanno bisogno di ricorrere alle figure di riferimento ma, quando anche queste sono esposte allo stesso evento, i bambini possono perdere sicurezza • In base all’età e allo stadio di sviluppo, in seguito all'esposizione a un evento critico i bambini possono manifestare reazioni emotive e comportamentali discontinue e intermittenti • Vi sono marcate differenze individuali • Possono sperimentare: tristezza, colpa, rabbia, paura, confusione e ansia • Possono sviluppare reazioni comportamentali, emotive, somatiche… Pandemia e lockdown • 11 marzo 2020: la OMS dichiara il COVID-19 una pandemia, vengono adottate misure di contenimento (distanziamento, chiusure, uso di dispositivi di protezione, smart-working..) • La pandemia può essere considerata una ‘’simil-catastrofe’’: comporta una rottura della routine ed eccede la capacità della società di rispondere a tale evento. La pandemia ha comunque dei tratti peculiari • La pandemia ha comportato un repentino cambiamento delle abitudini su più livelli: routine quotidiana, scambi sociali, realtà scolastica, realtà lavorativa, gestione del tempo libero… • Evento critico e pervasivo: limitazione della libertà personale, limitazione dei contatti sociali, la necessità della riorganizzazione della routine domestica, gestione delle informazioni (poche/troppe, in contrasto…), paura e ansia per la salute propria e altrui →sfida per la capacità di adattamento • Per molti soggetti con pre-esistenti difficoltà adattive o disturbi (ad es: ADHD, disturbi persivi dello sviluppo..), la pandemia e il conseguente lockdown hanno rappresentato essi stessi un fattore stressogeno, per la perdita delle abitudini, dei ritmi che mitigavano o compensavano alcuni disagi latenti (de Miranda et al., 2020) • A questi fattori si possono aggiungere anche le problematiche di natura socio-economica (de Miranda et al., 2020) Pandemia e lockdown nei bambini • I bambini sembrano essere meno esposti al rischio di contrarre il virus ma sono stati e sono esposti alle conseguenze del lockdown e della pandemia: ● Perdita dei rituali, della routine quotidiana che per i bambini rende il modo in qualche modo ‘’imprevedibile’’ ● Chiusura di asili e scuole ● I confini personali rischiano di essere compressi, aumenta il tempo di condivisione ● Distanziamento sociale e impoverimento delle relazioni sociali ● Perdita di adulti significativi ● Difficoltà a livello familiare e socio-economico ● Mancanza di spazi di gioco ● Ansia, incertezza e paura dei genitori ● Difficoltà di comprensione, confusione Reazioni comuni • Spesso lo stress si manifesta in forma di rabbia e irritabilità che può essere diretta alle persone più vicine a loro • La noia e la fatica di mantenere i ritmi diversi di attività scolastiche a distanza: sconvolgimento degli ambienti può generare confusione e fatica, situazione di ‘’ottundimento cognitivo’’ • Espressioni di malessere: irritabilità, problemi di concentrazione, attivazione motoria, espressione attraverso il disegno, comportamenti regressivi • Difficoltà nel sonno e/o nell’alimentazione: fatica ad addormentarsi, risvegli e incubi frequenti oppure ipersonnia, difficoltà a mangiare durante i pasti • Mancanza di energie: affaticamento, difficoltà nelle interazioni sociali e tendenza a isolarsi • Maggior bisogno di attenzione da parte delle figure di riferimento Indagine IRCSS Gaslini (Genova) • Dall’analisi dei dati relativi alle famiglie (3251 questionari, tra il 24 marzo e il 3 aprile) è emerso che nel 65% dei bambini con età minore di 6 anni e nel 71% dei bambini/adolescenti con età maggiore di 6 anni sono insorte problematiche comportamentali e sintomi di regressione • Bambini al di sotto dei sei anni i disturbi più frequenti sono stati l’aumento dell’irritabilità, disturbi del sonno e disturbi d’ansia (inquietudine, ansia da separazione) • Nei bambini (età sopra i 6 anni) i disturbi più frequenti hanno interessato la “componente somatica” (disturbi d’ansia e somatoformi come la sensazione di mancanza d’aria) e i disturbi del sonno (difficoltà di addormentamento, difficoltà nel risveglio, alterazione del ritmo sonno-veglia) • Il livello di gravità dei comportamenti disfunzionali e dei disturbi di natura emotiva dei bambini/adolescenti è risultata associata al grado di malessere e stress dei genitori per la ‘’condizione Covid’’ • Inoltre il malessere dei genitori legato alla “condizione Covid” è risultato significativamente più frequente e intenso nella famiglie al cui interno erano presenti sia persone anziane che bambini Conseguenze in infanzia Ammaniti (2020) • Rischio che il bambino (soprattutto in età prescolare) percepisca il mondo come ‘’minaccioso’’ o pericoloso • Difficoltà nel trovare le parole giuste per spiegare la situazione • Sindrome di deprivazione sociale: sono mancati esperienze e stimoli sociali fondamentali, sono venuti meno elementi centrali della vita quotidiana, il confronto con altri bambini, i giochi di gruppo, le attività scolastiche, la relazione con i nonni • I figli unici possono soffrire ancora di più per questa condizione • Il genitore deve assumere un ruolo di mediatore e filtro delle relazioni sociali del figlio Solitudine e isolamento forzato (Loades et al., 2020) • Le chiusure degli asili e delle scuole, così come di spazi dedicati ad attività extrascolastiche ha fatto sperimentare ai bambini uno stato di isolamento fisico (da pari, insegnanti, educatori, familiari…) e un aumento del senso di solitudine • Aspetti che in infanzia possono essere associati a sintomi depressivi come conseguenza a lungo termine • Emergono differenze di genere: la solitudine per le femmine è associata a sintomi depressivi, mentre nei maschi più spesso a sintomi ansiosi • La durata dell’isolamento è un fattore di rischio: rispetto al Covid questo al momento non è prevedibile • Studi che avevano indagato le conseguenze a livello psicologico dopo situazioni di isolamento forzato/quarantene riportano che i bambini che hanno sperimentato queste situazioni hanno un rischio più elevato di sviluppare PTSD o di richiedere aiuto presso strutture specializzate • Si ipotizza quindi che con le misure adottate a causa del covid ci possa essere un aumento di questi disturbi nei bambini • Tuttavia la pandemia ha una caratteristica peculiare: isolamento è in qualche modo ‘’condiviso’’, la condivisione a livello sociale di questa esperienza potrebbe costituirsi come un fattore protettivo Studio condotto in Cina sul primo impatto psicologico (Jiao et al., 2020) • Obiettivo: fare uno screening dei disturbi dei problemi emotivi e comportamentali nei primi mesi di pandemia • Per tutte le età sintomi più gravi erano:disattenzione, chiusura sociale ed emotiva, irritabilità • Bambini (3-6 anni) mostravano più spesso: paura che un familiare potesse contrarre il virus, chiusura sociale ed emotiva • Bambini/adolescenti (6-18 anni): sintomi di disattenzione • I livelli di paura e ansia erano più alti per bambini residenti in zone a più alto rischio epidemico, anche se non vi erano differenze significative tra zone a diverso rischio epidemico Studio condotto in Canada (Moore et al., 2020) • Obiettivo: indagare l’effetti immediato delle restrizioni sull’attività motoria e sul gioco nei bambini (5-11 anni) e negli adolescenti (12-17 anni) • I genitori hanno compilato un questionario rispetto ai comportamenti dei figli • Sia i bambini che gli adolescenti hanno mostrato minori livelli di attività fisica, minor tempo trascorso all’aperto, si intrattenevano maggiormente con strumenti digitali • Le femmine e gli adolescenti sono risultati meno attivi rispettivamente dei maschi e dei bambini • Il supporto genitoriale e l’ingaggio genitoriale rappresentano un fattore protettivo perché associati a comportamenti motori più sani e si impegnavano nel proporre nuove attività seppur più sedentarie Conseguenze in infanzia ed aspetti genitoriali • Diversi studi nel tempo hanno messo in luce come in caso di catastrofi, disastri o altri eventi legati alla salute pubblica, hanno dimostrato come aspetti di disregolazione emotiva nei figli possano essere associati ad emotività negativa nei genitori • Un evento inaspettato e imprevedibile come la pandemia da COVID-19 e il conseguente lockdown può essere percepito come stressante e come una minaccia generando emozioni di ansia e distress Studio condotto in Cina su aspetti di vulnerabilità (Tso et al., 2020) • Obiettivo: indagare possibili aspetti di vulnerabilità e possibile conseguenze psicologiche per i bambini • Campione di 29,202 di famiglie con bambini dai 2-5 anni o dai 6-12 anni • Il rischio di sviluppare conseguenze psicosociali era più alto per bambini con: bisogni educativi speciali, malattie croniche o acute, madri con malattie psichiatriche, famiglie monogenitoriali e famiglie con basso reddito • In età prescolare: associazione tra stress genitoriale, difficoltà psicosociali e difficoltà nel sonno, uso prolungato di strumenti digitali nei figli • Bambini in età prescolare più a rischio: mostravano problemi di attenzione/iperattività e difficoltà comportamentali • Stress genitoriale più alto in famiglie monogenitoriali, a prescindere dallo status socioeconomico • Per il genitore singolo è più difficile gestire adeguatamente la cura dei figli e una situazione di smart- working • Questo probabilmente indica che condividere la responsabilità dell’accudimento dei figli può essere un fattore protettivo rispetto allo stress genitoriale Studio condotto in Italia su regolazione emotiva genitore-figlio (Morelli et al., 2020) • Obiettivo: indagare in che modo i genitori potessero influenzare il benessere emotivo dei figli • Distress psicologico nei genitori influisce negativamente sul processo di regolazione emotiva dei figli • Tuttavia se il genitore si percepisce come capace (autoefficace) dal punto di vista emotivo questo rappresenta un fattore protettivo • Un genitore che si percepisce capace saprà attingere a una serie di risorse che gli permetteranno di contenere l’impatto che la situazione stressante può avere e di prevenire aspetti di disregolazione nei figli Studio condotto in Italia (Morelli et al., 2020) • Obiettivo: indagare in che modo i genitori potessero influenzare il benessere emotivo dei figli • Distress psicologico nei genitori influisce negativamente sul processo di regolazione emotiva dei figli • Tuttavia se il genitore si percepisce come capace (autoefficace) dal punto di vista emotivo questo rappresenta un fattore protettivo • Un genitore che si percepisce capace saprà attingere a una serie di risorse che gli permetteranno di contenere l’impatto che la situazione stressante può avere e di prevenire aspetti di disregolazione nei figli Studio condotto in Italia sul ruolo dell’attaccamento (Liang, 2021) • Ipotesi: a causa della pandemia i genitori possono sperimentare emozioni diversi e di diversa intensità in base al loro stile di attaccamento (attaccamento sicuro: minor livello di emozioni negative) • Durante il periodo di isolamento sia i genitori che i figli hanno mostrato più alti livelli di emozioni negative • Le emozioni negative dei genitori influiscono su quelle del bambino: quando i genitori mostravano più emozioni negative, percepivano che anche i loro figli mostravano più emozioni negative • Genitori con attaccamento preoccupato: mostravano i livelli più elevati di emozioni negative • Genitori con attaccamento distanziante, percepivano meno emozioni negative nei loro figli • Tuttavia questo può rappresentare un rischio perché il genitore non è in grado di riconoscere gli stati emotivi propri e del bambino • Genitori con attaccamenti insicuri e i loro figli, possono quindi essere più a rischio di sviluppare conseguenze psicologiche in situazioni altamente stressanti come la pandemia Qualche indicazione pratica • Fornire una spiegazione chiara e veritiera al bambino, non cercare di far finta che l’evento non sia accaduto, né cercare di banalizzarlo • Dare la giusta quantità di informazioni magari avvalendosi di strumenti specifici • Non dilungarsi sulla dimensione o sulla portata dell’incidente, in particolare con i bambini piccoli • Usare un linguaggio chiaro ed esplicito, non utilizzare un linguaggio astratto, tenendo conto dell’età del bambino • Lasciare molto spazio alle domande del bambino (è possibile che faccia le stesse domande più volte) • Dimostrare un atteggiamento di disponibilità, vicinanza fisica cercando di parlare con tono rassicurante • Fornire elementi concreti al bambino che indichino che ci sono esperti che si stanno occupando della situazione • Legittimare e rispecchiare le emozioni del bambino • Accogliere e contenere possibili episodi rabbia • Prestare attenzione a eventuali sensi di colpa del bambino (soprattutto con quelli molto piccoli) • Cercare di mantenere una routine • Non esporre i bambini ai media • Se il bambino vuole vedere qualche notizia scegliere una breve notizia e concentrarsi su aspetti rassicuranti. Assistere il bambino nella comprensione della notizia • Sostenere il bambino affinchè possa mantenere contatti sociali (ad esempio: con i pari o con i nonni) • Cercare di portare i bambini il più spesso possibile all’esterno e far fare attività fisica • Con bambini molto preoccupati o spaventati: usare delle tecniche specifiche di rilassamento ad esempio prima di andare a letto • A livello di intervento sia per i genitori che per i bambini: potenziamento della resilienza (individuale e familiare)