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Comunità Il tralcio - Lineamenta (3)

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Comunità
Il Tralcio
Al rev. Ministro Provinciale fr. Franco Buonamano
Al Definitorio della Provincia Italiana di san Francesco
Al rev. Ministro Generale fr. Carlos Alberto Trovarelli
Al rev. Assistente Generale della FIMP fr. Giovanni Voltan
Carissimi confratelli,
attraverso questa lettera vogliamo esprimere il desiderio portato nel cuore da ciascuno di noi e
lungamente condiviso: quello di costituire una nuova comunità religiosa completamente dedita alla
missione, attraverso l’evangelizzazione, l’accoglienza e l’accompagnamento dei giovani, tutti
elementi riconducibili alle fonti del nostro specifico carisma minoritico.
Ebbene, questa intuizione rappresenta sicuramente un punto di partenza, ma anche il passaggio
fondamentale di un percorso di discernimento che ha coinvolto, oltre a noi sottoscritti, diversi altri
frati, come la gran parte dei giovani in formazione della nostra provincia ed altri confratelli, che, nel
loro insieme, hanno mostrato il vivo desiderio di veder nascere una realtà completamente dedita alla
pastorale giovanile e vocazionale, al servizio della nostra provincia religiosa.
Infatti, in vari incontri svoltisi a partire da febbraio 2020, sotto la guida di un esperto di processi di
rinnovamento di vita religiosa ed ecclesiale, il dott. Fabrizio Carletti del Centro Studi Missione
Emmaus, pian piano è emerso il desiderio comune di dar vita ad una realtà in grado di applicare
quanto era stato condiviso nel più ampio gruppo, con la successiva decisione, da parte di alcuni, di
mettersi personalmente in gioco per concretizzare i molti elementi accomunanti.
Si tratta quindi di una proposta nata “dal basso”, aspetto che la rende indubbiamente dotata di
una certa forza in vista di una possibile realizzazione pratica.
A questo punto, è risultato per noi fondamentale mettere a confronto il nostro desiderio comune
con quello del nostro Ordine religioso, così che l’idea di un piccolo gruppo si potesse innestare
all’interno di un più ampio processo di rinnovamento. In tal senso, ci siamo pienamente riconosciuti
nella cosiddetta “Mozione 9 del 202° Capitolo generale ordinario 2019” dal titolo «Otri nuovi per vino
nuovo». In un passaggio della Lettera del Ministro Generale (Prot. n. 057/2020) che rilancia la mozione
circoscrivendone il fine, egli afferma:
Tutte le comunità sono incoraggiate a rinnovarsi nella propria vocazione, e cioè nella vita di
preghiera, fraternità ed evangelizzazione. Ad ogni modo, l'Ordine vede con speranza e buoni
occhi la possibilità che alcuni frati promuovano e discernano insieme ai loro superiori la possibilità
di avviare delle nuove presenze o iniziative di evangelizzazione ispirate alle note carismatiche
dell'Ordine come segno di una sempre maggiore radicalità evangelica.
Nel documento della mozione abbiamo ritrovato la gran parte degli elementi che erano emersi nei
nostri precedenti incontri di condivisione, come ad esempio la capacità di saper intercettare,
accogliere e accompagnare quei tanti giovani che anche oggi sono in ricerca della loro vocazione. In
tal senso si sono mostrate notevolmente preziose le esperienze già vissute in altre comunità (es.
Perugia e Urbino), le quali costituiscono sicuramente una buona base sulla quale impostare tutto il
lavoro pastorale di questa nuova comunità, che di conseguenza, si troverebbe già avvantaggiata da
una certa agilità di manovra.
Naturalmente, come anche la mozione 9 ricorda, uno dei rischi da scongiurare rimane quello
dell’autoreferenzialità, cioè che la proposta resti solo un pallino di pochi e poi muoia con essi senza
portare frutti e attivare un discernimento più ampio. Questo è un pericolo costante in un’epoca come
la nostra caratterizzata dall’esaltazione dell’individualismo, tanto che uno dei punti cardine che ci
siamo riproposti di tenere sempre al centro della nostra attenzione consiste proprio nella capacità di
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fare rete sia con la chiesa locale che con le istanze dell’Ordine: questo ci consentirà di prestare un
autentico servizio a vantaggio di tutti.
A tal proposito, tra i nostri desideri c’è anche quello di poter creare degli spazi di fraternità e
formazione per i nostri giovani che stanno vivendo il proprio cammino formativo (postulanti, novizi e
post-novizi) e per tutti quei frati che, anche per brevi periodi, sono disponibili a condividere il nostro
stile pastorale e comunitario, sapendo che ogni consiglio è ben gradito perché questa esperienza
cresca nello spirito del Vangelo.
In concreto tre sono i punti chiave sui quali vorremmo basare lo stile di vita della nostra comunità:
1) La cura per la qualità della vita spirituale, sia personale che comunitaria;
2) La capacità di saper accogliere con uno stile fraterno tutti coloro si avvicinano a noi e che sono
mossi dal desiderio di impegnarsi in un cammino di fede e di scoperta della propria vocazione,
in una logica di comunità aperta, non definita dal perimetro delle mura ma dallo spazio della
relazione e non necessariamente fondata su una struttura specifica, così da assicurare un
assetto agile, leggero e inclusivo;
3) L’esercizio della missionarietà attraverso l’evangelizzazione, da svolgersi sia in quelle forme
che sono già state testate dall’esperienza (luce nella notte, ecc.), sia mediante quelle suggerite
dalla creatività di ognuno, con lo scopo in ogni caso di incontrare le persone (specialmente i
giovani) nel loro ambiente di vita ordinario.
Il discernimento è stato anche accompagnato dagli stimoli del Magistero di Papa Francesco. In
particolare, in Evangelii Gaudium, il pontefice invita a riconoscere l’azione missionaria come
paradigma di ogni opera della Chiesa (15). Adottare seriamente questa prospettiva chiede “di
trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale
diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per
l’autopreservazione” (27). Mettere in atto un processo di tale portata nella storia della Chiesa è
possibile a partire da un piccolo gruppo che, per un tempo fissato e ad experimentum, faccia da
lievito. Questo permette di non fare distinzioni tra realtà di serie ‘A’ o di serie ‘B’, ma di stare nella
logica sapienziale dell’et et.
Su quanto detto finora abbiamo avuto la grazia di poterne parlare di persona al nostro Ministro
Generale fr. Carlos Alberto Trovarelli, col quale abbiamo condiviso con fraterna semplicità le nostre
intuizioni e aspirazioni più profonde. Abbiamo fatto tutti e tre esperienza di essere stati
paternamente e fraternamente accolti ed ascoltati con molto interesse ed attenzione. C’è stato un
lungo dialogo, semplice quanto empatico, che ci ha permesso di accoglierci e comprenderci
reciprocamente molto più delle parole dette. Alla fine il Padre Generale ci ha più volte sollecitati a
dare seguito concreto ai nostri desideri a cominciare da questa lettera al nostro Ministro Provinciale
ed al suo Definitorio.
Siamo consapevoli che lo sperimentare vie nuove richiede molta “attenzione” spirituale ed
estrema concretezza di vita: presuppone la disponibilità interiore per “apprendere” dal vissuto le
mozioni e le bellezze che lo Spirito Santo dona. È proprio di questo assetto agile che desideriamo fare
esperienza, rendendoci disponibili modificare orizzonti, iniziative e atteggiamenti qualora se ne
avvertisse il bisogno. Naturalmente tutto questo vissuto sempre attraverso il discernimento
comunitario.
In tale avventura il ruolo fondamentale non può che essere esercitato dallo Spirito Santo, che con
la sua luce costituisce la fonte delle nostre ispirazioni e, speriamo, anche la guida di ogni passo che ci
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condurrà a dare vita a qualcosa di nuovo (“Otri nuovi per vino nuovo”) ma sempre in continuità con
la sana tradizione che da secoli accompagna la nostra presenza nel mondo come Frati Minori
Conventuali.
Nel vivere questo cammino nello Spirito, vorremmo farci accompagnare dall’acuta sapienza e
profondità dell’evangelista Giovanni, che, al capitolo 15, ci consegna l’immagine della vite e dei tralci,
in particolare i versetti 16 e 17.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo
conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
Desideriamo mantenere sempre viva la consapevolezza che è il Signore l’attore principale della
storia e che noi siamo chiamati ad assecondare l’opera che Lui vuole compiere con noi. È lui che
sceglie, è lui che invia, perché attraverso un amore fraterno vicendevole possiamo generare frutti
eterni di vita. Siamo consci che non può esserci vocazione senza missione, e che anzi, è proprio
quest’ultima a dare identità alla vocazione rivestendola del suo proprio abitus.
Il cammino certamente è arduo e per questo oltre ad affidarci al nostro Serafico Padre Francesco
e alla vostra fraterna preghiera, ci affidiamo a Maria, aurora di nuovi mattini, e al suo castissimo sposo
Giuseppe, araldo dei consacrati, perché sotto il loro manto, Dio possa concedere alla nostra famiglia
francescana, di vedere i nostri giorni rinnovarsi.
Sempre uniti nel Signore,
fr. Massimo Vedova- OFM CONV
fr. Andrea M. Cannuccia- OFM CONV
fr. Luca Marcattili- OFM CONV
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ALLEGATO 1
Perché e come sperimentare
Un breve inquadramento del tema
Papa Francesco ci ricorda che “non viviamo in un'epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento
d'epoca”. Questo implica che dobbiamo accettare di non avere più né le mappe né l’equipaggiamento
adatto per attraversare questo momento storico. Siamo chiamati come Chiesa ad apprendere nuove
mappe e prassi pastorali per mantenere la nostra fedeltà alla missione della Famiglia religiosa, in
quanto il cambiamento è prima di tutto un atto di fedeltà frutto dell’incontro del carisma con la storia.
Il desiderio di sperimentare una nuova forma di fraternità volta alla missione, nasce con la
consapevolezza che la Chiesa ed il mondo stanno attraversando una crisi ove le trasformazioni in atto
sono ben più radicali di quelle richieste in un’epoca di cambiamento come quella moderna. Per
rispondere alla chiamata dello Spirito è opportuno inoltrarsi in un “cammino sperimentale” che non
può cristallizzarsi in un programma organico con obiettivi precisi e riscontri immediati di risultati
raggiunti, con il rischio di diventare insignificante prima di iniziare a realizzarlo. Con umiltà e con la
consapevolezza di vivere in “cambiamento d’epoca”, la sperimentazione sente forte il bisogno di
“esplorare” nuove vie del proprio esistere.
Lo “sperimentare”, evidentemente, non vuole essere il pretesto per avallare un agire senza senso o
perseguire un stile di vita secondo il proprio tornaconto egoistico (pericolo d’altronde sempre alle
porte in ogni forma di vita cristiana), bensì è animato del desiderio vivo di “sondare” attività di
evangelizzazione e stili di vita fraterna in cui si possa attingere alle forze spirituali della tradizione
francescana. Dio mette sempre a nostra disposizione tali ricchezze per iniziare processi di
trasformazione i cui contorni non possono essere definiti a priori. Questi processi, qualora siano
davvero innescati, richiedono ovviamente tempi lunghi per portare frutti abbondanti e quindi non
possono essere legati a carismi personali, ma danno senso nuovo ai carismi che Dio dona
personalmente ai suoi figli.
Lo sperimentare richiede molta “attenzione” spirituale ed estrema concretezza di vita a coloro che si
avventurano in questa direzione: presuppone la disponibilità interiore per “apprendere” dal vissuto
le mozioni e le bellezze che lo Spirito Santo dona, chiama a modificare orizzonti, iniziative e
atteggiamenti dopo il discernimento comunitario.
Tale sperimentazione potrebbe essere realizzata attraverso tre punti essenziali:
•
•
•
relazioni fraterne rinnovate ed agilità di decisione;
definizione degli ambiti in cui si vuole vivere la “sperimentazione” con tempi congrui (ogni
due anni massimo) di “esplorazione” a piccoli passi, lasciando molto spazio alle “avventure”
che Dio può donare;
comunicazione fraterna dello “sperimentato” fra i membri della fraternità e con il “superiore
maggiore” (o un incaricato ad hoc) con relativa documentazione scritta.
Sperimentare è attivare processi più che elaborare progetti. Partiamo da una distinzione di carattere
etimologico. Progetto, dal latino projèctus consiste nell’azione di lanciare, gettare (jàcere) avanti
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(pro). Qualcosa che si è prodotto viene portato fuori da sé, posto davanti. Si parla anche di ‘gettare
le fondamenta’. Processo, dal latino procèssus, è il participio passato di procedere, andare avanti.
Non è gettare fuori da sé, ma procedere insieme in avanti. Non si vuole contrapporre i due termini o
indicare che uno è migliore dell’altro, ma specificarne la differenza per discernere quale è più adatto
e utile per il tempo che stiamo vivendo. Un tempo complesso, in continuo cambiamento, che rende
difficile, a nostro avviso, l’atto di gettare delle fondamenta in mancanza di mappe chiare. È mettere
in atto delle azioni come strumento per porsi prima di tutto in ascolto, e rimettersi poi in discussione,
valorizzando la diversità più di ciò che unisce e omologa, senza avere subito la necessità di
istituzionalizzare ciò che si sperimenta.
Un processo parte dalla condivisione di un sogno e non dal soddisfare un bisogno, da una visione che
si attuerà nel tempo; opera un discernimento più che un’analisi, un riconoscere più che un vedere.
Fissa delle priorità e non si presta a intervenire su delle urgenze. La priorità, consiste nella scelta di
investire molte delle proprie risorse nel perseguire un risultato, che si vedrà realizzato in un tempo
lungo: non costituisce un punto di partenza ma di arrivo.
Il progetto è in funzione di un risultato, di un prodotto o servizio da realizzare quindi verrà chiesto
alla fine: cosa hai fatto? Come lo hai fatto? Il processo invece è in funzione dell’apprendimento
diffuso di tutte le persone che ne prendono parte, un apprendimento e un discernimento al tempo
stesso individuale e organizzativo. Qui alla fine verrà chiesto: cosa hai appreso? perché l’hai fatto? Il
cambiamento che si vuole realizzare e non tanto il prodotto, richiede dunque un riapprendere
linguaggi, simboli, riti, abitudini e ruoli: un cambiamento di paradigma.
La natura di una sperimentazione è quindi quella dell’apprendimento:
misurare la nostra vita, le nostre prassi nell’oggi per riconoscere cosa del carisma viene
pienamente vissuto e cosa no.
- approfondire, alla luce dei segni dei tempi e dei luoghi, le profondità stesse del carisma che
lo Spirito Santo ha fatto intuire nel fondatore e, in modo sempre nuovo, in coloro che operano
nella Famiglia.
È noto a tutti noi, come Francesco abbia riconosciuto pienamente la propria vocazione attraverso
continue sperimentazioni sin dall’inizio della sua ricerca vocazionale, dopo la spoliazione davanti al
Vescovo di Assisi (cfr. 1 Cel16.21-22). Così pure - gli studiosi degli scritti san francescani lo attestano
concordi - possiamo riconoscere nella Regola non bollata, il modo in cui le prime generazioni
minoritiche, vivente Francesco, abbiano progressivamente elaborato il proprio testo identitario a
strati, apportando modifiche anno dopo anno nei vari Capitoli di Pentecoste.
-
Come sperimentare
Descrizione della metodologia della sperimentazione
Sperimentare vuol dire rinunciare a tenere in mano una mappa, per trovare un nuovo sentiero con
un metodo fatto di “ascolto – azione – ascolto”, dove i successi e gli errori che si sviluppano
permettono di crescere. Lo strumento da tenere in mano è una buona bussola che tenga il punto
verso l’orizzonte condiviso.
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Si configura così come un approccio meno sistematico, meno completo. La valorizzazione del metodo
narrativo rispetto a quello puramente analitico infatti, è una scelta che si collega alla natura della
sperimentazione: l’apprendere insieme dall’esperienza. Ritornare al narrare perché, come sappiamo,
il processo di conversione parte dal cuore, prima che dalla mente: prima si crede e poi si conosce (Gv
6, 69).
Allo stesso tempo una sperimentazione deve rispettare alcuni parametri condivisi per poter essere
rinarrata e condivisa, per poter trarre frutto dagli errori ed essere ripensata in corso d’opera per
ottenere ulteriori informazioni e apprendimenti da condividere.
Le sperimentazioni anzitutto non partono da grandi confronti o discussioni assembleari, e
generalmente si esprimono secondo le seguenti fasi:
-
-
-
fase di discernimento: un momento in cui definire quale sia l’oggetto specifico della
sperimentazione, che deve essere abbastanza circoscritto, ma comunque collegato ad alcuni
elementi di carattere carismatico e quindi basato non solo un’azione puramente
funzionale/organizzativa;
fase di azione: si inizia a vivere il cambiamento che è stato identificato;
fase di ascolto e ridefinizione dell’azione: il pensiero nel metodo sperimentale accompagna
l’azione, non lo precede e non lo segue. Per cui sarà necessario sempre raccogliere feedback,
ascoltare le persone, rinarrarsi quello che si sta vivendo;
fase di azione rinnovata alla luce di quanto emerso dal racconto. Si procede entro un tempo
prefissato ad agire e riflettere su quello che si sperimenta con i necessari cambiamenti di
passo decisi lungo il cammino.
Con la pazienza e la forza di abitare la fragilità del nostro tempo, coltiviamo la speranza che il cuore
dell’annuncio del Vangelo possa aiutarci a crescere e ad adempiere l’invio del Signore: “Andate e fate
discepoli tutti i popoli” (Mt 28).
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ALLEGATO 2
Progetto nuova fraternità ‘Il tralcio’
Piccola riflessione ispirativa
Il brano biblico dal quale sentiamo essere
rappresentate le nostre più autentiche intenzioni è
come già accennatoGv15, 16-17:
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi
e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto
e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che
chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.
Il contesto è quello della parabola della vite e dei tralci
(Gv15,1-17). Come solo dalla vite possono scaturire i
tralci di uva con i loro frutti deliziosi, così pure la
nostra fraternità può portare frutto solo quando
rimane innestata al Signore Gesù Cristo, vero Re del
cielo e della terra.
“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”
E difatti dice il Signore “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”: il punto di partenza di questa
esperienza vuole essere la semplice risposta ad una chiamata che ci precede e ci apre una strada,
una via attraverso la quale vivere in pienezza quella prima chiamata alla vocazione francescana che
ha spinto ciascuno di noi a mettersi alla sequela del Cristo povero e crocifisso (FF692). Siamo
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consapevoli che l’iniziativa è divina, e che quello che possiamo fornire noi, è soltanto un tentativo
limitato di risposta all’appello di Dio.
“Vi ho costituiti”
“Vi ho costituiti”: quando il Signore chiama, lo fa certamente in maniera unica e speciale con ciascuno,
ma sempre con il fine di edificare quel corpo di Cristo che è la Chiesa; come ci ricorda infatti San Paolo
“da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo
l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare sé stesso nella carità” (Ef 4,16). Se
questo discorso vale per ogni cristiano, tanto più per chi è stato chiamato ad una vocazione di speciale
consacrazione, la quale essendo «profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo
Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito» (Vita Consecrata n.1).
Nessuno di noi sente di dover vivere la sua vocazione da solo, per una mera gratificazione personale
individualista, ma insieme a dei fratelli nella fede, con i quali si condivide il medesimo Spirito e con i
quali si instaura un rapporto di fiducia ed autentica fraternità, a partire dalla comune chiamata (“tutti
quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio” - Rm 8,14).
“Perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”
“Perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”: naturalmente la chiamata di Dio non è
finalizzata a creare una fraternità chiusa in sé stessa, autoreferenziale e protesa solo alla ricerca della
propria armonia interna, quasi che la vocazione si riduca solo alle mura della propria casa. Come ci
insegna il Signore, il fine della chiamata dei discepoli consiste nel mettersi in movimento con lo scopo
di comunicare a tutti la propria esperienza di Dio, la propria testimonianza di fede (“Andate in tutto
il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” – Mc 16,15). Naturalmente non c’è la pretesa che il
frutto debba essere una conseguenza dei nostri comuni progetti missionari e/o di evangelizzazione,
infatti la fruttificazione spetta solo a Dio. A noi è richiesta la semplice disponibilità a metterci in
ascolto della sua Parola di salvezza con l’assistenza del suo Santo Spirito. Sicuramente nella vita di
ciascuno il rischio di appropriarsi dei frutti di Dio è sempre presente, un rischio la cui conseguenza
più grave è l’idolatria (di sé, del proprio lavoro, degli stessi frutti).Proprio per questo motivo la nostra
fiducia è riposta in Dio, pur riconoscendo l’importanza del ricorrere ad alcune fondamentali
mediazioni, al fine di evitare il pericolo dell’egocentrismo (es. la cura della vita spirituale sia personale
che comunitaria, l’obbedienza alla Chiesa e all’Ordine, ecc.). Con questa disponibilità non solo Dio
dona la grazia di portare frutto, ma anche un frutto che rimane, perché è il suo frutto donato alla
Chiesa.
“Perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda”
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“Perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda”: naturalmente in questo
chiedere al Padre nel nome del Figlio è implicata la capacità di saper fare discernimento con l’aiuto
dello Spirito. A tal proposito vogliamo fare nostro l’appello di San Paolo: “Non conformatevi a questo
mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per
esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà” (Rm 12,2). Sicuramente
questo è l’impegno più importante, al fine di dar vita ad un’opera che sia davvero divina, a Lui gradita
e benedetta. Per questo desideriamo affidarci a tutti quei fratelli che aspirano a mettersi in cammino
con noi per aiutarci a penetrare sempre più profondamente la volontà di Dio, così che quest’opera
non sia solo nostra.
“Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”
“Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”: in questa parola è racchiusa l’intenzione più profonda,
più intima, più vera di ciò a cui noi aneliamo nel segreto del nostro cuore. Qui c’è il cuore di tutto il
Vangelo, ciò che dà significato alla nostra stessa vocazione religiosa e francescana. Questo è ciò che
ci chiede il nostro Signore e Salvatore, e questo è ciò che noi desideriamo e vogliamo più di qualsiasi
altra cosa. Siamo certi egli ci donerà di vivere tutto questo, perché Dio è fedele alle sue promesse.
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