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L’EUROPA DEI FENICI E DEI GRECI
I Fenici e i Greci hanno contribuito in modi diversi allo sviluppo della civiltà europea.
Scenario della loro storia furono le sponde del Mar Mediterraneo, che favorì gli scambi
di merci ma anche di idee, conoscenze, credenze, abitudini. Lungo le sue coste, dalla
Spagna all’Asia Minore, dall’Africa al Libano, si sviluppò una vasta rete di colonie,
che furono lo strumento fondamentale per la diffusione della civiltà fenicia, ma so1.
prattutto di quella greca, uno dei capisaldi della cultura europea e occidentale.
1. Moneta con nave fenicia.
I Fenici costituivano
la componente principale
della flotta persiana.
Lo scontro tra la flotta greca
e quella persiana nei secoli
VI-V a.C. fu, quindi,
anche quello tra i rivali
nel commercio mediterraneo.
2. Particolare di una
colonna del Partenone
ad Atene.
2.
I Fenici, abili navigatori e commercianti, promotori di interculturalità
I Fenici furono un popolo di abili navigatori e commercianti che crearono un sistema commerciale considerato, per i tempi, “globale”. Essi fondarono città portuali ed empori dove si scambiavano i prodotti più
significativi per i popoli mediterranei (prodotti agricoli, materie prime, manufatti artigianali) ma anche idee e
conoscenze. Il beneficio storicamente più rilevante delle attività commerciali fenicie fu la diffusione nell’area
mediterranea di conoscenze, invenzioni e tecniche di vari popoli: l’uso della scrittura alfabetica, il perfezionamento di tecniche navali e marinare, le conoscenze astronomiche, matematiche e geografiche.
Per questo motivo i Fenici possono considerarsi promotori di un modello di interculturalità.
Le principali direttrici nautiche, che i Fenici utilizzarono fin dal XII sec. a. C. come vie commerciali e culturali,
sono state riconosciute dal Consiglio d’Europa Itinerario Culturale Europeo, in quanto hanno contribuito a
costruire l’identità europea. Tale itinerario, denominato “Rotta dei Fenici”, attraversa 15 Paesi di 3 continenti
diversi e oltre 80 città di origine fenicia.
La Grecia, culla della civiltà occidentale
La Grecia ha elaborato i fondamenti di una cultura che è diventata patrimonio universale oltre che europeo.
L’organizzazione politica della pòlis con il concetto di partecipazione del popolo (democrazia), l’arte, la
filosofia, il grande teatro tragico, la poesia, la storiografia, le scienze che il popolo greco ha saputo elaborare lungo i secoli della sua storia costituiscono, attraverso la mediazione di Roma, il cuore della cultura
e della civiltà dell’Occidente.
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LA PORPORA UNO STATUS SYMBOL DELL’ANTICHITÀ
Tra i manufatti più apprezzati dell’artigianato fenicio c’erano le stoffe tinte in color porpora,
una sostanza colorante ricavata da un mollusco. L’industria della porpora (documentata
presso altre civiltà mediterranee) ebbe una tale importanza economica e storica che
diede il nome allo stesso popolo: i Greci, infatti, li chiamarono Fenici (Phoiníkes),
parola che si collega a phoinix “rosso porpora”.
I tessuti in color porpora, tra i più ricercati e costosi, divennero un vero
e proprio status symbol, segno di ricchezza e raffinatezza; essi
erano usati soprattutto da re e nobili, tanto che in alcuni luoghi
divennero uno dei simboli della regalità.
La conchiglia dei murici, famiglia
di molluschi gasteropodi
dalle cui ghiandole branchiali
si estrae la tintura color porpora.
Numerose testimonianze
archeologiche attestano che
la produzione della porpora fosse
fiorente nell’area mediterranea già
nel II millennio a.C.
Sembra che siano stati i popoli minoici di
Creta a dare vita all’industria della porpora.
Alcune tavolette rinvenute a Cnosso
contengono documenti contabili relativi a
tessuti di color porpora; sempre a Crosso sono
state rinvenute ceramiche con dipinti dei murici.
Secondo gli studiosi sarebbe di origine minoica
anche il nome della porpora (porphyra), giunto a
noi attraverso i micenei e, quindi, i greci.
La porpora (dal greco porphyra, che indica sia la tintura sia una delle specie di murici) si ricavava dalla
ghiandola branchiale di alcune specie di molluschi gasteropodi della famiglia dei murici, assai diffusi nei
bassi fondali del Mediterraneo.
Ogni mollusco ne conteneva una quantità ridottissima: basti pensare che per ottenere 1,4 g di colorante
servivano ben 12 000 molluschi! Ciò, unito alla lunghezza e complessità del procedimento di estrazione
del colorante, spiega perché i tessuti di porpora fossero così costosi.
Dopo aver tolto dalla conchiglia la parte carnosa, questa veniva lasciata decomporre per alcuni giorni,
durante i quali rilasciava il colore; veniva quindi sistemata in contenitori con acqua salata e poi fatta bollire
fino ridurne il liquido a metà.
A questo punto si potevano immergere le stoffe, le quali assumevano colorazioni dal rosso cupo al violetto, dal blu all’azzurro, dal rosa-violaceo al rosso scarlatto. Il rosso è solo uno dei colori che si potevano
ottenere: la tintura, infatti, poteva essere prodotta in molte sfumature, in base alla mescolanza dei molluschi utilizzati o alle condizioni di luce o all’intensità e numero dei bagni del tessuto.
La qualità più pregiata era la cosiddetta porpora di Tiro, proveniente dall’omonima città fenicia sulle coste
meridionali del Libano, al largo delle quali il mare era ricco di molluschi.
La lavorazione della porpora avveniva fuori dei centri abitati, come testimoniano i cumuli di frammenti di
conchiglie trovati all’esterno delle città fenicie o frequentate dai Fenici, per l’odore nauseabondo emanato
durante il procedimento si estrazione.
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I murici
Lo scrittore latino Plinio il Vecchio, vissuto nel I secolo d.C., nella sua opera Storia Naturale descrive le
varie specie di conchiglie dalle quali si estraeva la porpora e il modo di catturarle.
«Le porpore vivono al massimo sette anni. Si nascondono, come i murici, all’inizio della canicola per trenta
giorni. D’inverno si radunano e, strofinandosi le une alle altre, emettono un certo liquido vischioso. Qui si
trova una vena bianca con pochissimo liquido, da cui nasce quel prezioso colore di rosa che tende al nero
e riluce. Il resto del corpo non serve a nulla. Si cerca di prenderle vive, perché gettano fuori questo succo
insieme alla vita. E si prende dalle porpore più grandi dopo che si è tolta la conchiglia, mentre le più piccole
vengono frantumate vive con la mola, così emettono quel liquido.
Il migliore dell’Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell’Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d’Europa. Con stoffe di questo sono ornati i fasci e le scuri romane, e sempre questo è emblema
della nobile gioventù. Distingue il senatore dal cavaliere; è richiesto per placare gli dei, e fa risplendere
ogni veste: nei trionfi si accompagna all’oro. Per questo motivo si deve scusare il desiderio di possedere
la porpora.
Ma da dove provengono i pezzi delle conchiglie, che hanno cattivo odore nel sugo, colore grigiastro austero e simile al mare in tempesta?
La lingua delle porpore è lunga quanto un dito e con essa mangia, perforando le altre conchiglie: tanta è la
durezza dell’aculeo. Si uccidono con l’acqua dolce, perciò vengono immerse nell’acqua dolce: altrimenti,
una volta prese, vivono cinquanta giorni con la loro saliva. Tutte le conchiglie crescono rapidissime, specialmente le porpore: raggiungono le loro dimensioni in un anno.
Vi sono due tipi di conchiglie che producono il colore detto porpora e quello detto conchilio (la materia è
la stessa, ma diversa è la combinazione). La conchiglia minore è il buccino, così detta per la sua somiglianza con la tromba con cui si suona: da qui l’origine del nome, per la rotondità della bocca, incisa nel
margine. L’altra è chiamata porpora, ha un rostro sporgente a forma di cunicolo e un’apertura laterale. In
più ha spine simili a chiodi fino alla sommità della spira, con circa sette aculei per giro, che non ci sono invece nel buccino: ma entrambi hanno tanti giri quanti sono i loro anni. Il buccino aderisce ad alcune pietre
e si raccoglie fra gli scogli.
Le porpore vengono chiamate anche pelagie. Ve ne sono molti tipi, diversi per l’alimentazione e per il
terreno dove si trovano. Esse si catturano con strumenti simili a nasse, piccoli e a maglia larga, buttati
in profondità. Essi contengono come esca delle conchiglie che possono chiudersi e sono robuste come i
mitili; queste, quasi moribonde, una volta restituite al mare, rivivono aprendosi rapidamente e richiamano le porpore, che le infestano
con le loro lingue distese; ma quelle, stimolate
dall’aculeo, si chiudono e stringono le lingue:
così le porpore vengono prese penzolanti per
la loro avidità».
da Plinio il Vecchio, Naturalis Historia,
libro IX, 60-61
Camillo Procaccini (1561-1629),
Ambrogio ferma l’imperatore Teodosio.
Per tutto il mondo classico la porpora e le stoffe
così tinte rimasero legate all’immagine del lusso e
del potere civile e religioso. Il suo fascino rimase
intatto per secoli, giungendo fino all’Età moderna.
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I MITI GRECI, MEMORIA COLLETTIVA DELL’UMANITÀ
Prometeo, Arianna e Teseo, Odisseo, Afrodite, Elena e Paride, Atlante, Orfeo ed Euridice,
Ettore e Achille, sfingi e chimere …sono soltanto alcuni dei personaggi, dèi o eroi, guerrieri o re del leggendario passato della
Grecia, mostri e animali strani, protagonisti dei racconti creati dai
Greci e tramandati fino a noi. Essi costituiscono, nel loro insieme, la mitologia greca (dal greco mythos, che significa “parola,
racconto”), una creazione originale dello spirito greco che sta
alla base dello sviluppo della cultura latina ed europea.
Nei racconti mitologici l’uomo greco, e l’uomo antico in genere,
trasporta la paura del mostruoso, dell’ignoto che vedeva nella natura, il dramma della violenza, legata principalmente alla
guerra, ma anche la ricerca del perché di fenomeni naturali e
di comportamenti, aspetti dell’essere umano.
Nel mondo greco il mito era strettamente collegato con la poesia: esso era definito “un racconto ordinato ed elegante relativo
agli dèi e agli eroi”: un racconto introdotto dai poeti non per dimostrare qualcosa, ma semplicemente per generare piacere in
chi lo ascolta o lo legge.
Se era abbastanza chiara la distinzione tra il mito (racconto privo
di dimostrazione) e il logos (ragionamento, discorso argomentato), quella tra mito e storia non fu mai netta: in età arcaica, ad
esempio, si credeva che gli eroi omerici (Ulisse, Achille, Ettore,
Paride, ecc.) fossero realmente esistiti e che la guerra di Troia
fosse da considerarsi un fatto storico svoltosi esattamente come
descritto da Omero.
I miti elaborati dal mondo greco hanno influenzato, per quasi
tre millenni, la maggior parte delle creazioni artistiche e letterarie prodotte in Europa, entrando a far parte della memoria
collettiva dell’intera umanità. Essi, infatti, non costituiscono
soltanto la riflessione sulla storia e sui valori del mondo
greco, ma sono un repertorio di motivi e di simboli “universali”, ancora attuali anche per l’uomo contemporaneo. Basti
pensare che Sigmund Freud, l’inventore della psicanalisi, si
richiamò ad esempi mitologici greci per definire alcune particolari caratteristiche e comportamenti dell’animo umano (il
complesso di Edipo, il narcisismo, ecc.).
“Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre”:
Questa definizione dello scrittore latino Sallustio sintetizza uno degli aspetti fondamentali del mito: un racconto
leggendario, di fatti che storicamente non sono avvenuti
così come vengono raccontati, ma che posseggono il valore
di “ interpretazioni universali” della storia e della condizione umana, oltre che del mondo nel suo complesso.
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Il mito di Prometeo:
la celebrazione del progresso
umano
Prometeo, uno dei Titàni, rubò il fuoco
agli dèi per donarlo all’uomo. Per punizione Zeus, il re degli dèi, fece incatenare Prometeo ad una roccia del monte
Caucaso; ogni giorno inviava un’aquila
a dilaniargli le carni e a mangiare il suo
fegato. Ogni notte le ferite guarivano,
ma il giorno successivo il supplizio ricominciava. Punendo Prometeo, benefattore degli uomini, Zeus sfogava il
suo rancore contro gli uomini che non
facevano abbastanza sacrifici agli dèi.
Il supplizio sarebbe dovuto durare migliaia di anni, ma dopo 30 anni Zeus
fece pace con gli uomini e fece liberare
Prometeo, permettendo che Eracle uccidesse l’aquila.
In tutte le numerose versioni del mito
Prometeo viene presentato come il difensore e benefattore dell’umanità,
colui che ha dato origine alla civiltà, insegnando all’uomo l’uso del fuoco, l’arte di coltivare e addomesticare gli animali, l’arte di lavorare i metalli, i numeri,
le lettere e le tecniche di navigazione.
Il mito, raccontato in numerosissime tragedie classiche, tra le quali il Prometeo
incatenato del poeta greco Eschilo (VI
sec. a.C.), ha ispirato moltissime opere
e, nel corso dei secoli, ha rappresentato
la celebrazione del progresso umano.
L’EUROPA DEI CELTI
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LA CITTÀ GRECA E L’ARTE DELLA POLITICA
Uno degli aspetti caratteristici della civiltà greca nella sua fase matura (VIII-IV sec. a.C) fu
la pólis (póleis al plurale), un termine che traduciamo solitamente con l’espressione
città-stato e che indica soprattutto un’organizzazione politico-sociale, unica nel
mondo antico.
1.
2.
Pólis e politica
Quando i Greci parlavano di pólis non intendevano soltanto un’entità
territoriale o politica, ma si riferivano principalmente a coloro che la abitavano: i cittadini (detti polítai o polítes), che ne costituivano la ragion
d’essere. La loro appartenenza alla comunità cittadina si esprimeva
nell’obbedienza alle leggi e nei culti comuni.
La pólis greca era dunque principalmente una comunità di uomini liberi, capaci di governarsi autonomamente, con proprie leggi ed isti1. Veduta dell’Acropoli di Atene,
tuzioni. Secondo i Greci la pólis era la modalità di convivenza per ecdominata dal Partenone, il tempio
cellenza adatta all’uomo, anzi un’esigenza della natura umana, come
dedicato alla dea protettrice della
ebbe a sottolineare il filosofo greco Aristotele con l’affermazione: “l’uocittà (Athena Párthenos).
mo è per natura un animale (essere vivente) politico”. Da questa antica
2. Veduta dall’alto del teatro
di Epidauro, costruito assecondando istituzione è derivato il nome con cui, ancora oggi, indichiamo l’attività
di governare uno Stato (e i princìpi sui quali si fonda), cioè la politica.
la forma del terreno.
La città greca viene costruita in armonia con la natura
Dal punto di vista urbanistico la maggior parte delle città greche era caratterizzata dalla presenza dell’acropoli, la parte sopraelevata della città, che ospitava gli edifici pubblici più importanti e il tempio della divinità
protettrice. Ai piedi dell’acropoli si estendeva l’ásty, la zona abitata: suo fulcro era l’agorá, la piazza con
portico, luogo dei commerci e delle riunioni civili. Tra gli edifici pubblici si distinguevano il teatro, la palestra,
il ginnasio, edifici adibiti alle attività amministrative. L’agglomerato urbano era delimitato da mura, al di fuori
delle quali si estendeva il territorio rurale.
A partire dall’VIII sec.a.C. le città greche cominciano ad assumere un disegno regolare, con strade perpendicolari tra loro e abitazioni disposte a scacchiera. Questo processo fu avviato soprattutto dalla fondazione di nuove colonie lungo le coste dell’Asia Minore e dell’Italia Meridionale. Nel V sec. a. C. tale schema,
detto ippodameo ( perché la tradizione lo attribuisce a Ippodamo di Mileto), viene applicato anche in Grecia. La città greca si forma in rapporto armonioso con la natura, nel rispetto dell’ambiente naturale. Essa
si adattava ai dislivelli del terreno, all’andamento della costa e all’orientamento del sole. Mediante attenti
studi, i Greci facevano sì che la luce naturale entrasse nei loro templi, mentre i teatri sfruttavano il pendìo
delle colline, adagiandovi le gradinate.
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L’IMPRONTA ARCHITETTONICA GRECA NEL MEDITERRANEO
I Greci definirono modelli architettonici, che sono diventati punti di riferimento
per l’architettura romana e per quella delle epoche successive. Gli architetti greci
ricercarono l’armonia, realizzando edifici dalle forme nitide e dalle proporzioni
perfette in tutte le loro parti. Lo stesso fecero scultori e pittori nella rappresentazione della figura umana. Esempi di quest’arte grandiosa, dalle forme semplici
e ben definite, sono i resti di teatri, ginnasi, edifici amministrativi ma soprattutto i
templi. Questi splendidi edifici, che si ergono maestosi nel paesaggio mediterraneo, testimoniano il profondo senso religioso che caratterizzava la vita
personale e sociale dei Greci.
Il Tempio di Atena (detto
tempio di Cerere) a
Poseidonia (la Paestum dei
Romani, in Campania),
fondata da coloni greci
nel VII-VI sec. a.C. I templi
delle città della Magna Grecia
(come venne chiamato il
territorio dell’Italia Meridionale
dove vennero fondate colonie
greche) e della Sicilia
presentano una maggiore
imponenza rispetto a quelli
della madrepatria.
Notevoli sono, oltre a quelli
di Poseidonia, i resti dei
templi di Agrigento
e di Selinunte.
Il tempio greco
Il tempio, luogo privilegiato della vita religiosa di ogni comunità greca, era la dimora della divinità, la cui
statua era custodita nella cella, la parte più interna; qui potevano accedere solo i sacerdoti. Intorno si stendeva un porticato rettangolare coperto (peristilio) circondato da colonne che sostenevano l’architrave; al
di sopra dell’architrave, tutt’intorno al perimetro del colonnato, correva il fregio composto da bassorilievi.
I lati minori erano sormontati da una struttura triangolare, detta timpano: essa aveva la funzione di sostenere il tetto ed era ornata da un frontone con sculture. I sacrifici erano celebrati nell’area antistante al
tempio, dove si elevava un grande altare.
Diversamente dai templi egizi e mesopotamici, il tempio greco non è imponente, ma è caratterizzato da
una struttura armonica, dall’equilibrio tra le parti che lo costituiscono. Precisi rapporti di misura regolano
le proporzioni tra altezza e larghezza dell’edificio, la distanza tra le colonne, il ritmo determinato dalla loro
successione. Ne deriva un edificio semplice, nel quale ogni parte svolge una precisa funzione strutturale.
Un edificio che si inserisce in modo armonico nell’ambiente naturale.
L’esempio più rappresentativo della perfezione formale raggiunta dall’arte greca è costituito dal Partenone, assurto a simbolo stesso della civiltà greca classica. Il tempio, dedicato ad Athena Párthenos, dea
protettrice di Atene, si erge maestoso sull’Acropoli.
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LA FILOSOFIA E LA DEMOCRAZIA: DUE “INVENZIONI” GRECHE
La Grecia antica ha lasciato in eredità alla civiltà europea e mondiale due contributi originali:
la filosofia e la democrazia. La prima è alla base del pensiero razionale occidentale; la seconda ha inaugurato, per la prima volta nella storia dell’uomo, un sistema
di governo basato sulla partecipazione della maggioranza dei cittadini.
La forma di governo più moderna mai concepita, un ideale non ancora
compiutamente realizzato.
1.
La filosofia, l’amore del sapere
Qual è l’origine del mondo? Che cos’è la natura?
Da dove hanno origine le cose che ci circondano?
Che cos’è l’uomo?
Per cercare una risposta a queste e ad altre domande sul senso
della vita e sulla realtà che circonda gli esseri umani, i Greci,
per la prima volta nella storia, non si affidarono più soltanto ai
racconti mitologici ma a un tipo di riflessione basata sul ragionamento, chiamata filosofia. Questa parola significa
letteralmente “desiderio, amore del sapere” (da philos,
amore e sophía, sapere). La filosofia è nata nel vivace mondo delle colonie e ha dato i suoi frutti più alti
con il pensiero di Platone e Aristotele.
2.
I primi filosofi, Talete, Anassimandro
e Anassimene, operarono a Mileto, in
Asia Minore e si dedicarono allo studio della natura (physis), cioè della realtà nel suo
complesso, per scoprire l’origine (arché) e la natura di tutte le cose. I successivi sviluppi
della filosofia avvennero sempre nelle colonie, non solo asiatiche, ma anche della Magna Grecia e della Sicilia. Qui operarono Parmenide, Pitagora, Empedocle, Eraclito, che
approfondirono la ricerca del senso delle cose e della vita.
Dal V sec. a. C. il centro della riflessione filosofica si sposta ad Atene, cuore politico,
economico e culturale del mondo greco. Qui, oggetto della riflessione diventa l’uomo, definito dal filosofo Protagora “misura di tutte le cose”, cioè il principio di ogni
conoscenza e ogni valutazione morale.
Tra i filosofi ateniesi più famosi vi fu Socrate (469-399 a.C.), che studiò l’essere
umano, le sue capacità e le contraddizioni del suo animo. Il suo insegnamento fu raccolto e approfondito dal discepolo Platone (427-347 a.C.),
il cui pensiero, indagando tutti gli ambiti della vita naturale e sociale
costituirà, insieme a quello di Aristotele (384-322 a.C.), il vertice
della filosofia antica.
1. Il monumento a Socrate posto all’ingresso dell’Accademia di Atene. Il pensiero di Socrate e il suo metodo di insegnamento, basato sul dialogo e sulla
dialettica, avevano lo scopo di insegnare loro a prendersi cura della propria anima, poiché essa e l’uomo sono una sola cosa. Come ha affermato lo studioso
Giovanni Reale, il merito maggiore da attribuire a Socrate è proprio quello di aver
introdotto nel mondo occidentale l’identificazione dell’essenza dell’uomo con la
sua anima, intesa come intelligenza o capacità di intendere e volere secondo
coscienza, facendo assumere alla stessa quel significato destinato a rimanere pressoché immutato fino ad oggi.
2. Figura di filosofo in una scultura di Età ellenistica.
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Alle origini della democrazia
1.
“Noi abbiamo una forma di governo che non imita l’ordinamento di nessun altro Stato, anzi è di esempio agli altri. Essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata
non per il bene di pochi, ma per la maggioranza; di fronte alle leggi tutti possono
avere lo stesso trattamento e nelle cariche pubbliche le persone sono scelte non per
la classe sociale a cui appartengono ma per i loro meriti”.
Con queste parole (riportate dallo storico Tucidide), Pericle, l’uomo politico artefice
della potenza ateniese e della sua evoluzione democratica, celebra la democrazia,
consapevole dell’originalità di questo esperimento politico.
La parola democrazia è stata inventata dai Greci: essa significa letteralmente
“potere, governo del popolo”( da demos, popolo e krátos, potere). Nella realtà la
forma di governo ateniese con coincideva esattamente con quello che intendiamo oggi per democrazia. Infatti, presso gli Ateniesi, il popolo non comprendeva
le donne e gli stranieri liberi né tanto meno gli schiavi, perno del sistema economico. I cittadini a tutti gli effetti, quelli cioè che partecipavano al governo della
città, erano, di fatto, un’esigua minoranza (un’élite di poche migliaia di persone).
Ciononostante, il governo democratico attuato dagli Ateniesi costituì un esperimento di partecipazione allargata e diretta al potere che ha pochi confronti nel
mondo antico.
Saranno necessari secoli perché si arrivi al concetto di cittadino come di “colui
che vive liberamente in uno Stato” e venga affermata l’uguaglianza di tutti gli uomini, premessa fondamentale per la realizzazione della democrazia così come
viene intesa oggi: una forma di governo in cui tutti sono liberi e partecipano alla
vita socio-politica con uguali diritti e doveri.
1. Busto di Pericle.
2. Disegno ricostruttivo dell’agorá di Atene, il luogo pubblico per eccellenza della
pólis. Qui si svolgevano le principali funzioni pubbliche e commerciali della città, oltre
a gare e spettacoli. L’ agorá era situata al centro della città ed era circondata da edifici pubblici, collegati da portici, le stóai.
1.
2.
6.
3.
2.
7.
10.
5.
4.
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8.
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Ricostruzione
dell’agorá di Atene
1. Acropoli
2. Stóa (alla greca Stóá)
3. Odéon
4. Tempio di Ares
5. Strada delle Panatenee
6. Stóa Mediana
7. Monoptero
8. Stóa delle Due Vie
9. Portico Reale
10. Tempio di Efesto
L’EUROPA DEI FENICI E DEI GRECI
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IL MUSEO E LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
Se oggi possiamo leggere le avventure di Ulisse narrate da
Omero oppure le tragiche vicende di Edipo e di Medea raccontate da Sofocle e da Euripide o, ancora, trattati di geometria degli scienziati greci, lo dobbiamo agli studiosi che operarono ad
Alessandria, la città egizia divenuta la capitale della cultura
cosiddetta ellenistica o alessandrina.
Con la fine delle poleis, l’avvento dell’impero di Alessandro Magno e dei regni ellenistici ebbe inizio una nuova stagione nella
storia del mondo antico, chiamata Età ellenistica (323 a.C.-31
a.C.). Durante questo periodo la civiltà greca venne diffusa in
una vasta parte del mondo orientale, assumendo una dimensione universale.
In ricordo dell’antica Biblioteca
andata distrutta in epoca antica
in circostanze misteriose, su
progetto dell’UNESCO nel 2002 è
stata inaugurata la moderna
Bibliotheca Alexandrina:
un vero e proprio polo del sapere
universale, comprendente, oltre alla
biblioteca vera e propria (capace
di contenere milioni di volumi),
biblioteche specialistiche, 6 musei,
un archivio digitale, un planetario e
numerosi centri di ricerca.
Custodi del sapere antico
I monarchi ellenistici promossero e finanziarono iniziative culturali di enorme rilievo. In questo si distinsero
soprattutto i Tolomei, i sovrani del Regno d’Egitto, che fecero di Alessandria d’Egitto la capitale culturale
del mondo ellenistico.
Ad Alessandria venne fondato il Museo, il luogo dove vivevano e lavoravano, protetti dai sovrani, poeti,
scienziati e studiosi. I dotti ospitati nel Museo godevano di notevoli benefici: alti stipendi, pasti gratuiti, servitù a disposizione; un alloggio privato elegante. Grazie al loro operato e ai loro studi Alessandria ottenne
il primato culturale e scientifico nel modo ellenistico. Notevole fu lo sviluppo delle scienze, che beneficiò
del contatto con la cultura orientale (babilonese ed egizia in particolare). Tra i più rappresentativi scienziati
alessandrini spiccano Eratostene (che misurò con notevole precisione la circonferenza terrestre), Euclide
e Archimede, le cui scoperte nel campo della geometria e della fisica costituiscono ancora oggi i fondamenti di quelle discipline; Aristarco, che calcolò la distanza tra la Terra e il Sole e sostenne, parecchi
secoli prima di Copernico, la teoria eliocentrica (la Terra gira intorno al Sole), poi abbandonata a favore di
quella geocentrica diffusa da un altro scienziato alessandrino, Claudio Tolomeo.
Annessa al Museo c’era la Biblioteca, costruita inizialmente per accogliere tutti i libri greci esistenti.
Tolomeo non badò a spese per acquistare tutti i volumi che poteva e poi far riprodurre nella maniera più
fedele possibile quelli che non erano in vendita. La Biblioteca non ospitava solo testi greci, ma anche testi
che vennero per la prima volta tradotti da altre lingue. Tra le traduzioni portate a termine la più celebre fu
la cosiddetta “Bibbia dei Settanta”, la prima traduzione in greco della Bibbia ebraica.
Secondo un’ipotesi abbastanza attendibile, al tempo di Tolomeo Filadelfo (III sec. a. C.) la Biblioteca custodiva circa 500 000 volumi.
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