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ORGANIZZ. INT. E DIRITTI UMANI APPUNTI

APPUNTI
ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E DIRITTI UMANI
-25.02.2021
1 PAGINA DEL MANUALE DI FOCARELLI Alla prima pagina troviamo una frase del
ministro della propaganda nazista Josef Goebbels che si indirizzò ai membri del consiglio
della società delle Nazioni (antesignana dell’organizzazione delle Nazioni unite). Siamo nel
1933 e in questo caso Frank Bernheim, che era un ebreo dell'alta Slesia, presentò una
petizione di fronte al consiglio perché aveva denunciato la legislazione antiebraica nazista
come in violazione del diritto internazionale. Goebbels rispose: ‘’Gentiluomini, noi
siamo signori e padroni della nostra casa. Siamo uno stato sovrano; ciò che ha
Detto questo individuo non vi riguarda. Trattiamo i nostri socialisti, pacifisti
ed ebrei in qualsiasi modo vogliamo. Non rispondiamo Neal l'umanità né alla
società delle Nazioni’’. Cosa successe dopo questa petizione? Questa petizione ebbe un
esito: il consiglio condannò la Germania e la Germania si ritirò dalla società delle Nazioni.
E questo è veramente un episodio molto rilevante a livello di organizzazioni internazionali
perché fino ad allora l'individuo nessuna rilevanza aveva per l'ordinamento internazionale
perché il diritto internazionale fino ad allora era considerato un diritto che regolava
esclusivamente i rapporti fra stati, stati oppure enti di natura sovrana (impero, papato).
In realtà questa evoluzione del diritto internazionale da un diritto che regola i rapporti fra
enti sovrani verso un diritto che regola sempre di più i rapporti fra individui è sicuramente
legato anche alla struttura della comunità internazionale oppure più in generale alla
struttura geografica. Pensiamo infatti ad un periodo in cui vi erano poche terre scoperte,
molte erano terrae nullius, terre da scoprire oppure pensiamo ad un periodo in cui la terra
aveva una scarsa popolazione. E chiaro che in quelle situazioni la rilevanza del diritto
internazionale era minima perché non era di alcuna priorità, era sufficiente il sovrano per
regolare le attività degli individui. Viceversa, con il passare dei secoli e soprattutto nel
mondo della globalizzazione è chiaro invece che il diritto internazionale tende sempre, ha
come obiettivo ultimo quello proprio di regolare la vita degli individui perché è un diritto
(il diritto di per sé mira a regolare delle situazioni di cui di solito tranne rarissime eccezioni
i soggetti sono gli individui).
In tutto questo lo stato che funzione ha? Focarelli (giurista internazionalista) lo spiega
molto bene: ‘’lo stato è uno strumento per ora indispensabile per governare e
proteggere gli individui’’. Quindi, Gli Stati sono strumenti per ora indispensabili per
governare e proteggere gli individui e quindi se accettiamo questa visione comprendiamo
perché il diritto internazionale regola, in primo luogo, il rapporto fra stati, ma gli Stati non
sono che strumenti per arrivare agli individui. Interessante che Focarelli affermi che per
ora gli Stati sono enti indispensabili, come dire che niente vieta che un domani allo stato si
sostituisca un altro ente oppure che gli individui riescano ad organizzarsi in modo diverso
senza alcuna autorità statale. Focarelli non lo dice espressamente.
-Che cosa sono i diritti umani?
TESTO
-‘’PENSIERI DI UN BIOLOGO SUI DIRITTI UMANI’’ DI Jean Hamburger
Questo biologo Jean Hamburger (francese) fu conosciuto da Antonio Cassese (giuristica
internazionalista, attivista dei diritti umani) (approccio si giuridico, ma molto fondato
sulla nozione di umanità). Terremmo sempre presente che i diritti umani sono bifronte,
sono diritti ma sono strettamente legati all’uomo e viceversa l’uomo affinché possa
esprimere nella propria completezza la sua umanità ha bisogno di garanzie, quindi
vedremmo che queste garanzie sono diritti di un certo tipo.
Uno dei testi di cui studiamo alcuni articoli è una raccolta di scritti che Antonio Cassese
fece poco prima della sua scomparsa che si intitola ‘’Voci contro la barbarie: la battaglia per
i diritti umani attraverso i suoi protagonisti’’ edito da Feltrinelli. Una raccolta di scritti con
un prologo alla fine di Antonio Cassese.
Perché iniziamo da Jean Hamburger, da un biologo per iniziare ad entrare nella nozione di
diritti umani? Perché la prospettiva di un biologo è una prospettiva che arricchisce
enormemente chi come noi sta costruendo le basi nelle scienze sociali perché lui parte dal
momento della comparsa della vita sulla terra, un approccio che noi scienziati sociali
probabilmente non avremmo e afferma che prima di tutto sono apparsi gli animali, quindi
la vita sulla terra appare tre miliardi di anni fa e solo centomila anni fa apparirebbe l’uomo.
Quindi, in qualche modo lui dice efficacemente noi siamo arrivati all’ultimo minuto. E
perché è apparso l’uomo? Che cosa ha di diverso? Che cosa ha di più l’uomo rispetto ad un
animale in un’ottica evoluzionista? Sostanzialmente tre elementi:
1)il primo l'intelligenza (anche l'intelligenza secondo Hamburer ce l'hanno gli animali però
l'intelligenza e la vita affettiva negli uomini sono più sviluppate rispetto agli animali);
2)il secondo una vita affettiva più sviluppata degli animali;
3)e poi piano piano gli uomini hanno sviluppato delle norme etiche. Lui parla già di
norme, ma possiamo parlare anche di condotte etiche.
Le norme etiche secondo H. esprimono un rifiuto dell’ordine biologico naturale e queste
norme etiche sarebbero state trascritte nei diritti umani, sarebbero diventate diritti umani
e quindi i diritti umani sarebbero una ribellione contro la legge naturale.
È interessante che un biologo di fama come era J.H. se la prenda con un illustre scienziato
come Konrad Lorenz (etologo) o come Robert Ardrey che invece affermano che
l’istinto è ciò che accomuna gli esseri umani e gli animali e che quindi è un errore
reprimere questi istinti.
Quindi, una certa biologia o etologia la vede in modo completamente diverso da
Hamburger il quale invece ribatte che secondo lui non si tratta di un errore, quindi non è
un errore il cercare di differenziare l’essere umano dall’animale temperando l’istinto
attraverso norme etiche. Questo non è un errore, ma secondo H. è il vero e proprio destino
dell’uomo (o destino, senso ultimo dell’uomo). Che cosa specifica a questo proposito H.?
Che si tratta di una scommessa quando si parla del destino che definisce l'uomo si tratta di
una scommessa: ‘’Dobbiamo scommettere che gli uomini possono imprimere
una loro originale impronta spirituale sul mondo nel quale sono sbarcati,
senza tuttavia esporsi a fatali ritorni all’arcaico’’. Sentiamo come si allontana
dall’approccio biologico tradizionale. Non solo bisogna superare gli istinti, ma la
scommessa dell’essere umano è quella di imprimere un’originale impronta spirituale.
Qui spirituale non lo specifica, ma è collegato con quell’etica di cui parlava prima. Perché è
una scommessa? ‘’Dobbiamo scommettere che l'uomo possiede abbastanza
intelligenza e libertà di scelta da trovare un cammino che si allontana dal
cammino degli altri animali deliberatamente.’’ Di intelligenza ne ha parlato prima,
ma qui introduce una nozione anche nuova che è la libertà. Intelligenza è libertà di scelta
da trovare un cammino che si allontana deliberatamente dal cammino degli altri animali.
Questo cosa significa? Questo è un passaggio fondamentale. Questo significa che in questa
concezione i diritti umani non sono un dono di natura, quindi siamo molto lontani dalla
visione giusnaturalistica dei diritti umani, ma al contrario sono ‘’una conquista
permanente, una battaglia senza fine contro un ritorno alla condizione
animale’’. Quindi, i diritti umani in questa visione sarebbero il nostro continuo sforzo per
superare le parti istintuali di noi a favore di una visione spirituale, etica che elevandoci fa
proprio emergere la specifica qualità umana, il destino umano che quindi non è il destino
di essere portati in basso dagli istinti, ma anzi elevati in alto dalle norme etiche.
Infatti, a questo discorso di J.H. Antonio Cassese commenta che i principi etici sono delle
coartazioni, delle costrizioni dell’io selvaggio, dell’animale primordiale. E addirittura a
questo proposito Cassese cita Freud (psicanalista), secondo il quale la coscienza morale
sorge quando dirigiamo le nostre pulsioni aggressive (sinonimo di istinti) verso il nostro io
e gli imponiamo di non perseguire esclusivamente i suoi interessi egoistici (cioè gli
interessi egoistici dell’io), ma al contrario imponiamo di incanalare le sue pulsioni a
vantaggio degli altri. Quindi cosa dice qui Freud? Freud riconosce che tutti noi abbiamo
delle pulsioni, abbiamo degli istinti e gli istinti sono in comune con gli animali. Questo è
una parte di noi, ma al tempo stesso la nostra coscienza morale; quand’è che nasce la
coscienza morale? Quando riusciamo con la forza di volontà a limitare queste spinte
aggressive dell’istinto e a incanalare queste pulsioni a vantaggio degli altri.
Cosa intendiamo per istinti? Sono vari ma sicuramente l'istinto alla sopravvivenza,
sessualità, riproduzione (mangiare, bere, dormire); questi sono gli istinti fondamentali per
difendere i quali un animale è anche disposto a ricorrere all' aggressività, al
danneggiamento dell’altro. Questi istinti invece sono sì presenti nell’essere umano, ma
l'umanità consiste proprio nel temperare questi istinti a favore di mete più elevate. E allora
come vedremmo i diritti umani cercano proprio di tutelare questi aspetti, cercano in
qualche modo di garantire che l'essere umano non solo abbia i bisogni di base soddisfatti
(vedremo che c'è un diritto al cibo, c'è un diritto all'abitazione, ma vedremo anche che
esistono tutta una serie di diritti e di libertà che evidentemente si proiettano in un altrove
rispetto agli istinti di base).
-26.02.2021
Obiettivo dell’esercizio portare un raggio di luce su quelle parti parti che ci avvicinano agli
animali, come diceva il biologo Hamburger, quindi che sono di natura istintuali e quelle
parti che invece sono più propriamente umane e che abbiamo visto essere l’affettività,
l’intelligenza e la …
Se la sera ripensiamo alla giornata passata troviamo dei momenti n cui abbiamo avuto dei
comportamenti che non ci sono piaciuti tanto. Se si agisce di istinto in una situazione si
dice che siamo andati in reazione, abbiamo reagito in reazione. Succede che se reagiamo,
se agiamo in reazione come normalmente fanno gli animali che cos’è che di noi non
partecipa a quella azione? Il ragionamento, quello che Hamburger chiama l’intelligenza
(raziocinio). Se vado in reazione non ho riflettuto su quello che sto facendo e quindi la
parte intelligenza non l’ho usata. Ma se ci riflettiamo bene non abbiamo usato neanche il
cuore, la zona dell’affettività dice Hamburger. Quindi, il cuore non lo abbiamo usato.
(Esempio: le volte in cui ci si arrabbia se una persona di una certa età, reagiamo con
impazienza  lì c’è bisogno della nostra compassione, comprendere che in ragione dell’età,
ecc. quella persona non si poteva che comportare così e c’è bisogno dell’aspetto affettivo).
Quindi, noi in reazione neghiamo la nostra intelligenza, neghiamo la nostra affettività e
neghiamo la nostra libertà perché se noi agiamo in reazione non siamo liberi perché ci
siamo fatti prendere, comandare dall’istinto. E quindi con tutta probabilità il nostro
comportamento non sarà stato un comportamento improntato all’etica e per questo poi a
sera a mente fredda (perché lì possiamo davvero agire il raziocinio oppure lasciamo parlare
il cuore e quindi possiamo scegliere). Quindi, a mente fredda pensiamo o sentiamo ‘’ecco
mi sarei potuto comportare in modo diverso’’. Siamo tutti in qualche modo soggetti ancora
a questi istinti.
Quindi, se accettiamo la versione di Hamburger per cui l’essere umano si distingue
dall’essere animale, bisogna però riconoscere che in noi vi è una continua lotta,
Hamburger la chiama ‘’scommessa’’, verso queste quattro parti di noi (istinto, raziocinio,
affettività e la libertà), quindi è una continua lotta nei confronti di queste quattro parti di
noi. Ovviamente in una situazione in cui è in gioco la mia sopravvivenza fisica una reazione
ci starà bene, cioè non è che l’istinto è sempre da demonizzare. Oppure una reazione
avvolte di immobilismo è la situazione migliore. Quindi, non è che l’istinto è sempre da
demonizzare, però in linea generale i diritti umani tendono a preservare, a proteggere le
altre nostre zone più propriamente umane, quindi la sfera del pensiero, dell’affettività e
quindi la sfera della libertà.
ESERCIZIO: per parlare di diritti umani dobbiamo avere molta consapevolezza della
nostra umanità, altrimenti si fa dell’autoritarismo perché il diritto essendo legato alla legge
molte volte rischia di sfociare nell’autoritarismo o nell’arbitrarietà.
Quando sentiamo di andare in reazione (es. capelli) stiamo in silenzio per tre secondi e poi
rispondiamo. Allora vedremmo che questo semplicissimo esercizio ci fa piano piano
interrompere o diminuire la portata della spirale di reazione. Piano piano voi iniziate a non
agire più di istinto, ma a seconda agite con il cuore o con la testa. Va fatto con regolarità.
Nell’essere umano l'istinto è legato soprattutto alla rabbia. Piano piano ci riappropriamo
della nostra umanità.
Prima abbiamo parlato di una lotta continua fra la nostra parte istintuale e quelle più
evolute ed è una lotta continua che anche a 50 anni continueremo a fare. Su questo bisogna
essere molto onesti e quindi una lotta richiede uno sforzo continuo, un impegno continuo.
Quindi, ci vuole un’attenzione continua a questi momenti in cui noi siamo tentati dal
cadere, dal ricadere nell’istinto. È uno sforzo, un impegno continuo. In questo sforzo ed
impegno ci aiuta la volontà. Un altro aspetto che hamburger non ha tirato fuori, ma
tipicamente umano che è la volontà. Quindi, la volontà è un altro elemento fondamentale
dell'essere umano. E qui viene una citazione dei Vangeli: come si conquista il regno dei
cieli? Con la forza. Chiaramente non è la forza delle armi, è la forza della volontà. Proprio
perché se i vangeli sono letti nel modo corretto danno moltissime indicazioni su come
superare le nostre istintualità e 1nvece far fiorire la nostra umanità.
Quindi, la nostra umanità è una conquista (Hamburger e Freud), noi dobbiamo
continuamente conquistare la nostra umanità perché ci sono parti di noi che sono sub
umane, animalesche.
Ogni animale ha una sua caratteristica di comportamento. Colleghiamo il comportamento
animale agli istinti, che cosa ci mostrano di animali, le varie specie di animali? Forse che
gli animali non ci ricordano i vari aspetti dell’istinto che noi stessi dobbiamo superare?
Sono come un reminder per l'essere umano? Rettile: freddezza; gatto: opportunismo.
Quindi non sono forse lì per ricordarci sempre queste parti di noi che siamo chiamati a
superare? Sono per noi come degli aiuti, potremmo vederli così. Quindi, loro se sono lì per
essere nostri aiuti, li rimangono; forse quella forza di volontà loro la usano per
qualcos'altro. Noi invece la forza di volontà dobbiamo usarla proprio per andare oltre i
nostri istinti e per evolvere con le nostre parti più nobili.
D’altronde, pensiamo un attimo: il termine umano  una delle possibili etimologie di
umano è u-mano. u è come un uomo che cade nell’istinto, un essere che va giù
nell’istinto ma che poi grazie alle mani, quindi alla forza di volontà e quindi al fare (perché
le mani tipicamente sono l’emblema del fare) ha la possibilità di tornare su e quindi di
esprimere il meglio di se. Le mani sono sì indicazione del fare, ma sono collegate al cuore
(organo interno più vicino alle mani che abbiamo) e quindi all' affettività. Quindi, vediamo
che l'essere umano è un insieme di volontà, di cuore (è nascosto ma le mani nessuno in
qualche modo le ambasciatrici), di testa (visibile).
-CHE COSA SONO I DIRITTI UMANI?
Esercizio di ieri, cosa sono per noi i diritti umani (alcune macrocategorie individuate)
-GARANZIE  il termine garanzie rimanda a qualcuno che pone in essere questa attività e
questo qualcuno nel nostro caso è l'ordinamento giuridico internazionale parleremo dei
diritti umani in ambito internazionale. Più di garanzie noi parleremo di diritti, in
particolare di diritti soggettivi. I diritti umani sono diritti soggettivi. È importante sapere
che diritto è soggettivo sinonimo di titolarità di' una situazione giuridica soggettiva. È
l'individuo titolare di questa situazione giuridica soggettiva. E quindi una situazione
giuridica soggettiva, quindi una situazione che è riconosciuta come tale da un certo
ordinamento giuridico, innanzitutto garantisce una sfera di protezione (la garanzia
riguarda una sfera di protezione) di certi interessi, di interessi che sono considerati come
supremi e che quindi non possono essere sacrificati ad altri interessi, in particolar modo
non possono essere sacrificati ad altri interessi dello Stato. In questo senso per esempio c'è
una sentenza delle nostre sezioni unite del 9 settembre del 2009 dove afferma che i diritti
umani non possono essere sacrificati agli interessi della pubblica amministrazione. Quello
era un caso che riguardava la concessione dello status di rifugiato.
Quindi, abbiamo detto: prima caratteristica della situazione giuridica soggettiva è che
conferisce una sfera di protezione ad interessi supremi.
Il secondo elemento della situazione giuridica soggettiva è che questa conferisce anche la
pretesa di far valere questo interesse supremo nei confronti di qualcun altro. Quindi, io ho
la pretesa giustificata di far valere il mio interesse nei confronti di qualcun altro.
Quindi, da una parte sfera di protezione e dall'altra la possibilità di far valere questa mia
sfera di protezione nei confronti di qualcun altro. Quindi, se posso far valere la mia pretesa
ho un potere che sarà quello di fare ricorso a dei meccanismi di controllo internazionali
oppure a dei tribunali internazionali. Questo per quanto riguarda le garanzie.
-sono garanzie di libertà. Al termine libertà si deve sostituire il termine interessi
preminenti, interessi supremi perché c’è una differenza fra libertà e diritto (la convenzione
europea sanciscono i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali e quindi da qui intuiamo
che c'è una differenza fra la nozione di libertà e la nozione di diritto).
Garanzie di libertà individuali.
-INDIVIDUO  è un termine centrale in ogni nozione di diritti umani perché gli interessi
preminenti di cui abbiamo parlato riguardano l’individuo, l’individuo in quanto persona
fisica, non riguardano l’animale, non riguardano la persona giuridica (quindi l’azienda per
esempio), non riguardano lo stato. Riguardano l'individuo come persona, riguardano
l’essere umano.
-I diritti umani sono diritti di cui godono gli individui intesi singoli individui, singole
persone fisiche. Ma io ne godo soltanto in quanto essere umano o ne godo anche perché
sono parte di una collettività? Qui si inserisce tutto il discorso del rapporto fra diritto
individuale e diritti collettivi. Diritti delle minoranze, diritti dei popoli indigeni: questi
sono diritti collettivi, cioè è vero che ogni singolo membro della comunità indigena poi
beneficerà di un certo diritto, ma quel diritto è garantito alla collettività, al popolo indigeno
in quanto collettività. Invece, noi in questo corso non parleremmo dei diritti collettivi, però
a volte faremmo dei riferimenti a dei gruppi. Parleremmo dei diritti delle donne: in questo
caso si farà riferimento al diritto individuale della donna e non al gruppo delle donne
generalmente inteso. Questa è una distinzione fondamentale. Però è anche vero che
sicuramente uno degli obiettivi indiretti dei diritti umani è quello anche di mirare ad una
convivenza civile fra esseri umani. Basta che noi leggiamo la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo del ’48 per capire molto rapidamente che se quei diritti fossero rispettati
la convivenza civile sarebbe sicuramente più agevole. Sono le persone fisiche godono dei
diritti umani.
-AMBITI: Questi diritti si esplicano in alcuni ambiti specifici. Gli ambiti sono specifici e
contrariamente alla visione giusnaturalistica che vuole che i diritti umani siano derivati dal
diritto naturale e quindi siano immutabili nel tempo e nello spazio, invece gli ambiti dei
diritti umani sono in continua espansione. Si parla di una prima generazione dei diritti
umani, di una seconda e ora di una terza (il diritto all’oblio per quanto riguarda internet
sarebbe un diritto di nuova generazione).
-UNIVERSALITA’, INALIENABILITA’ DEI DIRITTI UMANI, INTERDIPENDENZA FRA I
DIRITTI UMANI: (caratteristiche dei diritti umani). L’interdipendenza vuol dire
l’impossibilità di godere di un diritto umano senza il ventaglio degli altri diritti umani.
Chiaramente quando parliamo di diritti facciamo riferimento ad interessi garantiti, protetti
dall’ordinamento giuridico. Perché c’è bisogno di una garanzia giuridica se questi aspetti
della vita umana sono così fondamentali? Per diritti umani si intende il diritto alla vita, il
divieto di tortura, il diritto al cibo, il diritto ad un’abitazione, il diritto alla salute, il diritto
al lavoro, il diritto all’istruzione. Se questi sono degli interessi supremi dell’individuo
perché c’è bisogno di un ordinamento giuridico che li tutela?
Perché sono continuamente minacciati.
I diritti umani hanno bisogno di una tutela da parte dell’ordinamento giuridico per evitare
che le autorità dello stato violino gli interessi supremi degli esser umani. Quindi, la legge è
diventa come garanzia massima di cui l’individuo può godere affinché i suoi interessi
supremi siano tutelati. Tutelati contro cosa? Avverso quelle stesse autorità statali che in
realtà hanno adottato delle leggi a tutela dei diritti umani. Nel momento in cui la legge
diventa tale assume una vita propria e quindi indipendentemente dall'autorità che ci sarà
al potere in quel momento, quella autorità stessa è soggetta alla legge e quindi l'essere
umano, il suddito trova una garanzia nella legge più che nell’autorità statale stessa.
Allora, non troviamo qui un collegamento con quanto abbiamo detto sinora tra l’istinto, la
ragione, il cuore e la libertà? Da chi è formato lo stato? Da quelle autorità statali che così
spesso calpestano i nostri diritti umani? Da esseri umani. Non è che allora lo stato che
calpesta i diritti umani è composto da quegli individui che fanno prevalere i loro istinti
rispetto agli altri aspetti di umanità? Quindi, la legge ha un’ambizione nobile che è quella
proprio di garantire che l'istinto non prenda il sopravvento nemmeno a livello di autorità
statale.
Come altro elemento della definizione abbiamo inserito lo stato perché se il titolare del
diritto umano è l'individuo, ogni diritto ha come suo correlativo un obbligo. Quindi, se io
essere umano godo del diritto alla vita, chi ha l’obbligo di tutelare il mio diritto alla vita? Lo
stato. Quindi, quando si parla di diritti umani si parla di due soggetti fondamentali: da una
parte l'essere umano e dall'altra lo stato.
Femminicidio (termine per indicare l’omicidio di una donna per il fatto di essere donna,
tipicamente per mano di un essere umani di genere maschile, tipicamente un familiare,
molto spesso un convivente): 4 anni fa l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo nel caso Talpis (era una signora di origine moldava). Era successo che
nel tentativo di uccidere la signora Talpis, il marito ha invece ucciso il figlio che si è messo
di mezzo. L’Italia è stata condannata per violazione del diritto alla vita. Certamente la
signora Talpis e il figlio godevano del diritto umano alla vita, però il figlio della signora
Talpis non è stato ucciso dalle autorità dello stato, non è stato ucciso da un organo dello
stato (diritto internazionale: la responsabilità dello stato sorge soltanto per azioni
compiute da parte dei suoi organi oppure da parte di individui che agiscono in nome e per
conto dello stato). Ma il signor Talpis era un privato cittadino, non era né un membro delle
forze dell’ordine né aveva ricevuto istruzioni da parte dello stato. Eppure, l’Italia stata
condannata per violazione della Convezione europea dei diritti dell’uomo da parte della
corte europea di Strasburgo. Come mai? La corte europea ha applicato correttamente il
diritto. Perché? Qui abbiamo una violazione di un diritto umano fra due soggetti privati,
non fra un soggetto privato (un essere umano) e lo Stato, ma fra due soggetti privati (il
signore e la signora Talpis). Perché c'è violazione dei diritti umani in questo caso?
Questa è un’evoluzione recente del diritto internazionale dei diritti umani. Perché col
tempo si è instaurata un’altra forma di responsabilità dello stato, la responsabilità tipica
dello stato per violazione dei diritti umani è quella commissiva. Quindi, il poliziotto che
maltratta la persona in stato di fermo. Quindi, trattamento inumano degradante
chiaramente è una violazione compiuta da un organo dello stato, quindi violazione per
commissione. Ma esiste un'altra forma di responsabilità che è la responsabilità dello
Stato per omissione. In questo caso lo stato ha mancato di prevenire, quindi è
responsabile per non aver prevenuto la violazione del diritto umano da parte del signor
Talpis. Effettivamente c'erano elementi tali per cui lo stato era al corrente, sapeva della
situazione di vulnerabilità, di minaccia al diritto della vita in cui si trovava la signora Talpis
e lo Stato non ha posto in essere nessuna misura volta a proteggere la vita della signora
Talpis. Quindi, chiaramente in questo caso lo stato non è responsabile per commissione,
ma per omissione, per mancata prevenzione.
Quindi, capiamo che nell’ambito dei diritti umani questa apertura è dirompente perché
ampia enormemente la sfera di protezione degli interessi supremi dell’individuo. I diritti
umani non richiedono che lo stato vigili all'interno di ogni singola abitazione, ma che vigili
ed intervenga laddove la situazione in questo caso di violenza sia conosciuta allo stato e
siccome in quel caso c'erano state denunce, l'uomo era stato fermato più volte in stato di
ebbrezza ecc. c'erano motivi per credere che l'individuo era una minaccia per la vita della
signora Talpis.
Questo è il cosiddetto ditr cung effect, è l’effetto orizzontale dei diritti umani. Questo
è importante perché i diritti umani nascono per offrire una protezione verticale all'
individuo, quindi l'individuo è protetto nei confronti, contro lo stato criminale. Visione
tradizionale dei diritti umani. Visione più moderna è la protezione orizzontale dei diritti
umani per cui lo stato deve anche prevenire le violazioni ai diritti umani che possono
intervenire tra privati laddove ovviamente lo stato sia a conoscenza di queste potenziali
violazioni.
Gli effetti orizzontali dei diritti umani si esplicano non solo a livello di prevenzione, ma
anche a livello di repressione. Anche qui un collegamento con il diritto internazionale è
d’obbligo. Quindi, lo stato ha l’obbligo non solo di prevenire le violazioni dei diritti umani
tra privati qualora ne sia a conoscenza, ma ha anche l'obbligo di reprimerle. Quindi, il
signor Talpis deve essere sottoposto a processo per gli atti che ha compiuto nei confronti
della signora Talpis. E qui ovviamente interviene il diritto penale interno.
-UNIVERSALITA’ l'universalità dei diritti umani è una caratteristica di cui si parla
molto, ma altrettanto contestata. Universalità si intende che i diritti umani sono validi,
opponibili nei confronti di qualunque stato della comunità internazionale in qualunque
tempo. (La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo). L’aggettivo universale è stato
preferito ad altri aggettivi che pure furono presi in considerazione come dichiarazione
internazionali o dichiarazione dell’Onu dei diritti umani. È stato preferito l'aggettivo
universale proprio perché come abbiamo letto nell’intervista ad Eleonor Roosvelt, perché
l’ambizione, l’aspirazione della commissione per i diritti umani che ha redatto la
dichiarazione era proprio che si rivolgesse a tutti gli Stati della comunità internazionale e
quindi anche agli stati che all'epoca non erano membri delle Nazioni unite, ma andava
oltre. L’ambizione, l’aspirazione era che si rivolgesse a tutti gli individui del mondo, stati
ed individui e quindi da lì il termine universale. Ma i diritti umani sono davvero universali?
Per esempio, in Uganda il diritto alla vita è garantito in modo molto diverso in Uganda che
non in Italia.
Quindi i diritti umani sono universali? Ni. Sono universali a livello di principio, a livello di
enunciazione, ma a livello di applicazione vedono una dimensione locale molto forte. E
infatti noi studieremo in particolare molte convenzioni regionali sui diritti umani: la
convenzione europea dei diritti dell'uomo, ma vi è anche una convenzione interamericana
sui diritti dell'uomo ed una convenzione africana dei diritti dell'uomo. E anche ora una
carta araba. Questo lascia intendere che sul principio siamo tutti d'accordo, ma poi
sull’applicazione concreta ci sono delle specificità locali che l'essere umano stesso desidera
che siano rispettate, che siano prese in conto. Questo è importantissimo: avere una
sensibilità di natura relativistica. Sempre bene quando ci muoviamo dal nostro ambito
bisogna sempre mettersi nei panni dell'altro: questa è la famosa empatia.
-INALIENABILITA’ Quindi, i diritti umani sono quei diritti ai cui l’essere umano non
può rinunciare. Questo si intende per inalienabilità. Questa è una forma di tutela nei
confronti dell’essere umano.
-INTERDIPENDENZA FRA I VARI DIRITTI  interdipendenza riguarda la necessaria
correlazione fra i vari diritti umani senza la quale non è possibile per l'essere umano
godere appieno di nessun diritto. Ovviamente senza diritto alla vita non ha senso parlare
degli altri diritti. Senza il diritto alla salute non ha senso di parlare di un diritto al lavoro e
così via. Quindi, si parla di interdipendenza fra i diritti umani.
-STORIA DEI DIRITTI UMANI 
La storia ci dice il modo in cui siamo nati. D
dal punto di vista storico è chiaro che i diritti umani si possono far risalire anche al Codice
Hamurabi. Ma noi prendiamo le mosse invece dalla seconda Guerra mondiale perché dal
punto di vista internazionalistico i diritti umani nascono con la seconda guerra mondiale.
Abbiamo visto un anticipo nel 1933 con il signor Franz Bernheim e la sua petizione al
consiglio della società delle Nazioni, ma in realtà è proprio disprezzo per i diritti umani
operato dalla Germania nazista che ha messo in atto un grandissimo movimento filosofico,
politico e poi si è mutato in movimento giuridico a partire dalla Seconda guerra mondiale.
E qui è stato Roosvelt il presidente che per primo ha enunciato i diritti umani e al quale
probabilmente si deve addirittura l'utilizzo per la prima volta il termine ‘’human rights’’.
È interessante che lui nel discorso che fece nel 1941 affermò che gli human rights dovevano
essere ritenuti come superiori ovunque a qualunque altro interesse. E Roosvelt aveva
propugnato (siamo nel 1941) il rispetto di quattro libertà fondamentali: la libertà di
parola e pensiero, la libertà di religione, la libertà dal bisogno e la libertà dalla
paura (lui faceva riferimento alla riduzione degli armamenti, quindi possiamo dire un
diritto alla sicurezza personale). Questa dottrina dei diritti umani che è stata inizialmente
elaborata da Roosvelt ovviamente si basava su delle concezioni già preesistenti.
Queste concezioni preesistenti sono le varie dichiarazioni di indipendenza o sui diritti
umani adottati in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Francia. Quindi, si parte dalla
Magna Charta Libertatum del 1215 per passare al Bill of Rights inglese del 1689 per poi
continuare con la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776. Poi passiamo al
Bill of Rights degli Stati Uniti del 1789 e alla fine alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e
del cittadino del 1789.
Quali sono le matrici fondamentali di queste dichiarazioni? Sono due:
-una matrice è quella di limitare il potere del sovrano assoluto, quindi una limitazione del
potere sovrano assoluto. Il potere qui visto come il leviatano. E quindi di garantire all'
individuo libertà, in questo caso libertà da, libertà negativa, libertà dall interferenza dello
Stato fino ad arrivare anche al diritto di ribellione (diritto di ribellione elaborato
soprattutto negli Stati Uniti perché ribellione dalla madrepatria britannica);
-la seconda matrice filosofica di queste dichiarazioni è il pensiero dei filosofi illuministi.
Perché l'illuminismo ha elaborato alcune nozioni fondamentali come la nozione della
separazione dei poteri, la nozione di dignità umana, la nozione di contratto sociale.
Perché però abbiamo dovuto attendere la seconda guerra mondiale affinché queste
dichiarazioni abbiano dato i loro frutti in ambito internazionale? è stato proprio lo shock
causato dalle atrocità della Germania nazista che ha dato lo stimolo alla comunità
internazionale, all' insieme dei paesi indipendenti dell'epoca per creare un'organizzazione,
per trasformare quella che era la società delle Nazioni nell’organizzazione delle Nazioni
unite, quindi in una organizzazione che avesse prima di tutto a cuore la tutela della pace,
ma si era arrivati a comprendere che la pace non era possibile in assenza di diritti umani
garantiti. Quindi, Le Nazioni Unite sorgono con l'obiettivo principale di tutelare la pace,
ma anche con l'obiettivo di promuovere i diritti umani. I diritti umani erano in qualche
modo visti come strumentali al raggiungimento della pace. A questa elaborazione teorica,
quindi a questo collegamento fra pace e diritti umani, in questo caso ha contribuito
sostanzialmente la società civile in due modi:
-da una parte le associazioni ebraiche. Ovviamente gli ebrei erano il gruppo più
vittimizzato dalle atrocità della seconda guerra mondiale e quindi le associazioni ebraiche
cercavano di tradurre questa esperienza di atrocità in veri e propri codici di condotta;
-poi abbiamo un filone di matrice cattolica, il Maritain, i diritti dell’uomo, il diritto
naturale del ’43 viene subito tradotto in inglese ed ebbe un grandissimo successo.
E quindi si arriva nel ‘45 all' elaborazione della carta delle Nazioni unite. Ci sono vari
riferimenti ai diritti dell'uomo in questa carta: li troviamo in 7 o 8 articoli. Ma
sostanzialmente si afferma che gli organi delle Nazioni unite, in particolare l'assemblea
generale devono promuovere i diritti umani e che gli Stati stessi si impegnano al rispetto
dei diritti umani. Si ha una definizione dei diritti umani nella carta delle Nazioni unite o si
ha un elenco dei diritti umani nella carta delle Nazioni unite? Non c’è. Il termine human
rights usato da Roosvelt, era molto piaciuto, è stato inserito nella Carta delle Nazioni Unite
ma non si sapeva ancora di che cosa si stesse parlando. Secondo Louis Hanking (un
grandissimo giurista americano, attivista per i diritti umani) lui sostiene che in sede di
elaborazione della Carta di San Francisco, della Carta dell’ONU non fu compresa
l’importanza dirompente dell’inserimento di questi termini. Si sentiva l’urgenza a fronte di
quelle atrocità, di quelle istintualità della seconda guerra mondiale di ritornare sul dato
umano, quindi anche il termine human piaceva, ma non si era compreso la portata
dell’inserimento di questi termini ‘’diritto umano’’ in sette articoli della Carta stessa.
Questa è la visione più positiva.
Ce n'è un'altra molto più realista e pragmatica. Che Gli Stati Uniti avevano sì elaborato,
enunciato questo termine Human rights ed elaborato i primi quattro diritti, i diritti di
Roosvelt, ma siamo nel ‘45 e negli Stati Uniti i diritti umani non erano proprio garantiti a
tutti tutti gli individui, avevano ancora le leggi razziste. Nel 1945 c'erano ancora le leggi
razziste negli Stati Uniti. Quindi, secondo una visione realista in realtà il termine diritto
umano fu inserito più a scopo propagandistico che non perché la grande superpotenza
americana volesse davvero rispettarla nei fatti.
Probabilmente hanno ragione entrambi, sia Louis Hanking che i realisti. Hanno
probabilmente hanno ragione anche i realisti perché Gli Stati cercarono di inserire un Bill
of Rights nella carta dei diritti umani, quindi di inserire un decalogo sui diritti umani ma
questa proposta fu subito immediatamente scartata. Quindi, questo significa che ancora
tutti questi istinti probabilmente non legavano solamente la Germania nazista ma anche
nel grande occidente delle dichiarazioni i diritti umani facevano paura agli stati.
Cosa succede di molto importante tra il 1945 ed il 1946? Fu creato il tribunale militare
internazionale di Norimberga. E lì condannò addirittura a morte 22 gerarchi nazisti
per crimini internazionali che erano sicuramente violazioni dei diritti umani. E quel
tribunale affermò qualcosa di molto importante e cioè che dietro allo Stato agiscono delle
persone. Quindi, i crimini non sono commessi da entità astratte, affermò il tribunale nella
sentenza, cioè dallo stato, ma sono commessi da esseri umani che quindi devono essere
ritenuti individualmente responsabili per ciò che hanno compiuto. E questo è stato un
passaggio fondamentale nell’ottica dell’ordinamento internazionale. Uniamolo anche al
caso di Bernheim del 1933. Vediamo che piano piano il diritto internazionale si apre
sempre più verso gli individui. Quindi, esce dalle strettoie dello stato e si apre sempre di
più verso gli individui, con Norimberga sotto il profilo di obblighi che l'ordinamento
internazionale pone direttamente in capo agli individui e con la carta delle Nazioni unite
invece si inizia a porre il seme per quanto riguarda i diritti che l'ordinamento pone in capo
agli individui, cioè i diritti umani. E quindi nello stesso ‘46 in seno al comitato economico e
sociale (che è uno degli organi principali delle Nazioni unite) si è formata una commissione
dei diritti umani, una commissione sui diritti umani (Human rights commision) che aveva
il compito di elaborare un progetto di convenzione sui diritti umani, cioè aveva il compito
finalmente di definire che cosa erano, che cosa fossero i diritti umani che erano stati
enunciati nella carta. Questa commissione non riuscì poi ad elaborare una convenzione,
ma elaborò una dichiarazione, quindi un atto non giuridicamente vincolante ed è la
dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948.
-04.03.2021
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APPROFFONDIMENTI (presentazione)
Carta delle Nazioni Unite :1945 è la data di adozione della Carta delle NU.
Vi sono numerosi riferimenti all’espressione diritti umani (human rights), espressione
usata per la prima volta nel ’41 dal presidente statunitense Roosvelt, però l’espressione
human rights non è stata definita all’interno della Carta. E quindi ci troviamo subito dopo
l’adozione della Carta questa questione dei diritti umani della loro definizione, quindi
dell’individuazione del contenuto specifico di questa espressione è stato ritenuto di
fondamentale importanza. Perché i diritti umani nel ’45 erano considerati di così
fondamentale importanza sebbene non si sapesse chiaramente di che cosa si parlasse e
sebbene ci fossero delle visioni divergenti su questo aspetto? Per esempio, abbiamo detto
che proprio Roosvelt enunciò le 4 libertà fondamentali negli Stati Uniti d’America dove vi
erano ancora le leggi razziali. Perché erano così importanti i diritti umani?
Perché furono inserita questa espressione ‘’human rights’’ in 7-8 articoli della
Carta dell’Onu senza definirli?
Le atrocità (fino al ’41 non venivano ancora definite violazioni dei diritti umani, ma
sicuramente delle atrocità): DATO STORICO. Perché si inserì questa espressione ‘’human
rights’’ nella Carta dell’ONU e non in un trattato specifico sui diritti umani? È un primo
passo, la Carta dell’ONU è un punto di partenza.
La Carta delle NU ha come scopo principale il mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale. Quindi, nel ’45 i diritti umani erano visti come strumentali al
raggiungimento della pace. Visti in quest’ottica si comprende molto bene che nel ’45 con
l’espressione diritti umani non si ritenevano inconciliabili politiche come quelle razziali,
politiche di appartheid e non si ritenevano inconciliabili con i diritti umani nemmeno la
colonizzazione, la realtà coloniale: tre aspetti che oggi sono sicuramente considerati
violazioni dei diritti umani.
Si sentiva la pressione soprattutto da parte delle associazioni della società civile ebraica la
necessità di specificare che cosa si intendesse per diritti umani.
Siccome nella Carta delle NU era stato inserito un articolo relativamente al potere del
ECOSOC (è la commissione economica e sociale ed è uno degli organi principali delle NU),
quindi era inserita nella Carta il potere dell’ECOSOC di istituire commissioni per
promuovere i diritti umani (art.63 e art. 68), ecco che nel ’46 immediatamente l’ECOSOC
forma una Commissione sui diritti umani (denominata Human Rights Commission) con il
compito di elaborare un Bill of Rights alla stregua a quelli già adottati in ambito statale in
Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America, ma che avesse una valenza, una vigenza per
tutti gli stati membri delle Nazioni Unite. Quindi, Bill of Rights in termini giuridicointernazionalisti è una convenzione sui diritti dell’uomo, sui diritti umani.
Nel ’46 la Commissione iniziò a lavorare su questo Bill of Rights. In particolare, questo
percorso fu seguito da un comitato di redazione. Quindi, il comitato di redazione (un
comitato ristretto che fu costituito all’interno della Commissione per i diritti umani
dell’Onu) era formato dai seguenti stati: CANADA, AUSTRALIA, GRAN BRETAGNA,
STATI UNITI, CILE e LIBANO. Questi in qualche modo rappresentavano la compagine
‘’occidentale’’ (nel ’45 questi termini avevano senso). Dall’altra parte abbiamo invece la
compagine ‘’socialista’’, ovvero l’UNIONE SOVIETICA e la REPUBBLICA CINESE.
La Commissione per i diritti umani si inseriva all’interno di un’organizzazione delle NU
che era formata da 58 membri, non dai quasi 200 di oggi ed erano per lo più stati
occidentali e latino-americani, vi erano 6 stati socialisti, 14 paesi asiatici e 4 soli africani
(data la colonizzazione). Quindi, gli stati membri che in realtà si affrontarono all’interno
del Comitato di redazione e poi all’interno della Commissione sui diritti umani erano
sostanzialmente due: gli occidentali da una parte e gli stati filosocialista dall’altra. Perché
questo? Perché i paesi latino-americani che sono numerosi (erano circa 20) di fatto si
allinearono con gli occidentali e quelli afroasiatici trovarono una loro identità su base
islamica, ma non potevano avere numericamente un grande peso (erano 14 asiatici e 4
africani). Quindi, già all’interno di questo comitato di redazione e poi della commissione
dei diritti umani si delineò dai primi tempi delle loro riunioni questo scontro ideologico
che poi diventerà tipico della guerra fredda. Questo scontro fu sicuramente facilitato dal
fatto che presidente del comitato di redazione fu eletta Eleanor Roosevelt, la moglie del
Presidente degli Stati Uniti. Una donna di straordinaria cultura, di straordinaria
preparazione e anche di senso di umanità come si vede nell’intervista. Ma che
inevitabilmente era portatrice dei valori del paese da cui proveniva e infatti fu ben presto
accusata di voler elaborare un Bill of Rights che fosse una copia del Bill of Rights
statunitense. In tempi molto brevi si comprese che lo scontro era così forte che era
impensabile, impossibile arrivare all’elaborazione di una Convenzione sui diritti umani,
per lo meno di una Convenzione che avesse un afflato universalistico, che cioè potesse
essere considerata accettabile da parte della maggioranza degli stati membri del comitato
di redazione. E quindi fin da subito il comitato di redazione decise di optare per
l’elaborazione di una Dichiarazione. In ambito internazionalistico la Dichiarazione non ha
valore giuridicamente vincolante, ma con il tempo la Dichiarazione dell’Assemblea
Generale, soprattutto se adottata all’unanimità, può incidere in maniera importante sulla
formazione di norme consuetudinarie. Quindi, ben presto si dovette abbandonare
l’aspettativa di elaborare una convenzione sui diritti umani per arrivare ad un prodotto
molto meno importante in punto di diritto, che è una Dichiarazione. E quindi qui siamo tra
il ’46 e il ’48 perché poi la Dichiarazione universale dei diritti umani fu approvata nel 1948
(10 dicembre), fu adottata dall’Assemblea Generale delle NU il 10 dicembre del 1948 che è
un giorno che tutt’oggi noi festeggiamo come giornata internazionale dei diritti umani. La
dichiarazione universale dei diritti dell’uomo prima fu elaborata all’interno del comitato di
redazione delle NU, poi fu approvata dalla Commissione sui diritti umani nel suo
complesso e infine fu presentata all’Assemblea Generale perché ovviamente una
risoluzione dell’AG ha molta più autorevolezza di una risoluzione dell’ECOSOC e come
abbiamo visto nell’intervista con Eleonore Roosvelt, la Commissione per i diritti umani era
convinta che il progetto di Dichiarazione che veniva presentata all’AG fosse così solido che
vi sarebbe stata poca discussione. E invece i membri dell’AG hanno discusso ogni singola
parola di questa dichiarazione prima di arrivare alla sua adozione. Questo per capire
quanto lavoro vi è stato dietro a questa dichiarazione che noi oggi diamo un po' per
scontato.
Analizziamo brevemente il testo. Della Dichiarazione universale ci chiede di leggerlo
integralmente il testo.
Si presenta un modo assolutamente tipico, quindi con un preambolo e poi con una serie di
articoli, 30 articoli. Gli stati dell’AG, quindi i rappresentanti degli stati possono votare a
favore o contro la dichiarazione, ma non è che gli stati che hanno votato a favore della
dichiarazione poi sono obbligati a rispettarla perché è una dichiarazione, non è un trattato.
Semplicemente indicano una disposizione favorevole nei confronti della dichiarazione.
Allora, se analizziamo questa dichiarazione vediamo che in qualche modo è suddivisa in 3
parti:
-vi è una prima parte dove vengono enunciati quelli che possiamo definire diritti civili e
politici;
-una seconda parte dove invece sono enunciati i diritti economici, sociali e culturali;
-e infine tre articoli dove invece si fa riferimento al rapporto fra l’individuo titolare dei
diritti umani e la comunità, l’ambiente nel quale esso opera.
Quindi sostanzialmente possiamo individuare tre matrici ideologiche di questa
dichiarazione:
-la prima che è riconducibile ai paesi occidentali e possiamo qualificarla sotto la grande
etichetta di una matrice giusnaturalistica. E questo aspetto si rinviene nel preambolo e
soprattutto nel primo articolo, dove si parla di diritti uguali, imprescrittibili e preesistenti
allo stato. Quindi, in che modo questa dichiarazione si limita a riconoscere diritti di cui
l’uomo già gode indipendentemente dall’esistenza dello stato.
Attenzione però: non è stato riconosciuto invece il diritto di ribellione, uno dei diritti
che invece aveva più animato le Dichiarazioni interne degli Stati Uniti e Francia, ma qui
non viene inserito proprio perché vi era invece l’opposizione degli stati occidentali. Quindi,
qualora uno stato non riconoscesse questi diritti tuttavia non si è arrivati fino al punto di
ammettere un diritto di ribellione. Poi abbiamo una matrice di natura socialista, lo
statalismo di stampo socialista che riguarda gli aspetti relativi ai diritti di natura
economico-sociali. Per esempio, il diritto ad una sicurezza sociale enunciata all’articolo 22
oppure il diritto di natura culturale degli articoli 26 e 27.
Importante anche l’articolo 29 paragrafo 1 in cui vengono messi in luce i doveri che
l’individuo ha nei confronti della società. Questo è un aspetto su cui soffermarci perché noi
abbiamo affermato che i diritti umani sono diritti dei singoli individui e che il correlativo
obbligo è posto in capo allo stato. Però già nel ’48 la Dichiarazione ci avvertiva che a fronte
dei diritti umani, l’individuo gode anche di doveri. Ne parla in modo molto succinto.
All’articolo 28 paragrafo 1 si afferma, la Dichiarazione afferma che: ‘’Ogni individuo ha dei
doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua
personalità. E questo non è esattamente l’approccio occidentale, è un approccio di una
matrice più socialista. In particolare, la Cina ha una visione molto comunitarista a tutt’oggi
dei diritti umani. (approfondire argomento: GIUSEPPE MAZZINI ‘’Doveri dell’uomo’’). La
Dichiarazione universale è speciale, è straordinaria perché unisce varie anime, mette
insieme varie anime, ma le mette insieme in un documento che non è giuridicamente
vincolante. Quindi, non scandalizziamoci se la Cina, se la Russia, se l’Uganda hanno una
concezione dei diritti umani diversa dalla concezione che abbiamo noi italiani, questo non
ci deve scandalizzare o portare a giudicare, al contrario ci deve spingere a comprendere
quale è la loro concezione. Insistere sulla nozione di individuo, essere umano: se la nozione
di individuo, di essere umano è molto diversa da un paese all’altro, questa inevitabilmente
avrà delle conseguenze sulla nozione di diritto umano. Quindi, non sta a noi giudicare
quale è la nozione migliore o peggiore. Quello che noi possiamo fare è comunicare la nostra
nozione. Se poi questa sarà quella che più farà vibrare il sentire anche di un individuo
cinese, russo, ugandese benissimo, ma altrimenti attenzione perché se noi rischiamo di
compiere un grande illecito, che è quello di prevaricare l’altro. Una concezione in base alla
quale viene prima la comunità e poi l’individuo quale è quella cinese presta il fianco ad
abusi nei confronti del singolo individuo, quindi certe concezioni dell’essere umano e dei
diritti umani in realtà sono solo pretesti per gli abusi delle autorità. Vedremmo se a queste
concezioni possono essere consigliate dei correttivi in qualche modo.
Abbiamo parlato della matrice di natura giusnaturalistica, della matrice di natura socialista
(statalismo di stampo socialista).
Si può dire che ci sono dei vincitori e dei vinti nell’elaborazione di questa Dichiarazione?
Diciamo sì e no. Perché indubbiamente la visione che ha prevalso, non fosse altro per
l’aspetto numerico dei rappresentanti in seno al comitato di redazione e poi della
commissione per i diritti umani, la visione prevalente è quella occidentale. Quindi,
possiamo effettivamente ritrovare, rinvenire nella dichiarazione universale una sorta di
proiezione internazionalistica della visione rooseveltiana dei diritti umani. Però è
altrettanto vero che sui diritti umani, grazie alla dichiarazione universale i paesi socialisti
hanno fatto, compiuto i primi passi verso il riconoscimento dei diritti umani, diritti umani
che per i paesi socialisti erano soprattutto quelli di natura economica e sociale. Anche su
questo Eleonor Roosvelt sull’articolo è chiara. Infatti, per i paesi socialisti i diritti civili e
politici erano già a loro avviso garantiti e quindi ci si doveva concentrare su quelli
economici e sociali. Quelli economici e sociali implicavano una forte intervento statalista e
quindi su questi diritti invece veniva un po' posto il freno da parte dei paesi occidentali, che
avevano una visione liberista e quindi di scarsa o nessuna interferenza da parte dello stato.
I paesi socialisti fecero sì uno sforzo di venire incontro alle richieste degli occidentali, ma
furono sì soddisfatti dell’inserimento dei diritti economici, sociali e culturali, ma non
furono soddisfatti comunque in generale del risultato ottenuto al punto che non votarono a
favore della Dichiarazione. Cioè non votarono contro (questo è già un grande risultato), ma
si astennero dal votarla e l’astensione riguardò i 6 paesi socialisti, l’Arabia Saudita
e il Sudafrica. Il Sudafrica perché ritenne questa Dichiarazione un po' troppo avanti.
L’Arabia saudita aveva questo problema che poi tutt'oggi veicolano gli Stati islamici
riguardanti le libertà della donna all'interno della famiglia e riguardanti il cambio di
religione.
Quindi, vincitori e vinti un po' sì ed un po' no. Il linguaggio è un linguaggio di
compromesso. È lì dove riveniamo l'elemento di compromesso perché è un linguaggio
molto piatto. Non troviamo né riferimenti a Dio, alla religione come nel Bill of Rights
americano, non troviamo nemmeno appello alla ragione come nella dichiarazione francese.
Quindi, è un linguaggio piuttosto piatto.
Essendo una Dichiarazione e quindi non essendo uno strumento giuridicamente
vincolante, non contiene indicazioni circa modalità di attuazione della medesima, cioè
l’attuazione della dichiarazione è lasciata al libero apprezzamento dei singoli stati che
hanno votato a favore della medesima.
Nonostante questi limiti importanti, la Dichiarazione è stata dirompente. È stata
dirompente perché per la prima volta comunque contiene un decalogo dei diritti umani.
Quindi, il divieto di tortura, il diritto alla vita, il diritto all’istruzione, il diritto ad un lavoro
sicuro, il diritto di sciopero. Per la prima volta vengono enunciati, vengono elencati in un
documento che ha l’ambizione ad essere universale. Il titolo della dichiarazione
‘’dichiarazione universale dei diritti umani’’ (Universal Declaration of Human Rights) e
non è semplicemente dichiarazione dei diritti umani o dichiarazione ONU dei diritti umani
o dichiarazione internazionale dei diritti umani. Questo aggettivo fu dibattuto in seno al
comitato di redazione proprio perché l’ambizione dei membri della commissione dei diritti
umani era duplice:
-da una parte che questa dichiarazione si rivolgesse non solo agli stati membri dell’ONU
(allora ne erano solo 58, ma si sapeva che poi si sarebbe ingrandita la comunità delle NU),
quindi ambiva che la dichiarazione si rivolgesse anche agli stati non membri delle NU;
-in secondo luogo questa dichiarazione mirava a rivolgersi non solo agli stati, ma ai singoli
individui di tutto il mondo. Il vero protagonista sono gli esseri umani (art.1: ‘’ Tutti gli esseri
umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire
gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza’’). E poi ogni articolo inizia ‘’ogni individuo..’’, ‘’nessun
individuo’’. Quindi, l’aggettivo universale è estremamente importante.
La Dichiarazione non è giuridicamente vincolante. Vi sono gli stati che hanno votato a
favore, stati che si sono astenuti e la grande maggioranza degli stati non l’ha votata perché
140 stati della comunità internazionale attuale non erano allora membri delle nazioni
unite.
E perché è così importante la dichiarazione universale? Perché è diventato un parametro
per delegittimare certe condotte degli stati. Quindi, è diventato un parametro di condotta.
Fin dal ’48 infatti l’Assemblea Generale delle NU ha emanato varie condanne
relativamente a condotte operate internamente agli stati proprio facendo riferimento alla
Dichiarazione universale. Lo può fare questo l’AG? Può condannare uno stato, emanare
una risoluzione di condanna per una condotta contenuta in uno strumento giuridicamente
non vincolante? Può l’AG adottare una risoluzione di condanna nei confronti della politica
di apartheid citando, facendo riferimento alla dichiarazione universale dei diritti umani?
È normale perché l'assemblea generale è un organo politico, non è un organo giudiziario.
Quindi, non è tenuta ad iuris dicere, non fa un’opera giurisdizionale, quindi non applica il
diritto, quindi applica strumenti politici (di natura politica). Infatti, le risoluzioni
dell'assemblea generale non sono giuridicamente vincolanti. Quindi dal punto di vista
giuridico l'assemblea generale può assolutamente adottare risoluzioni di quel tenore.
Quindi, così facendo e facendolo ripetutamente nei decenni, l’AG ha riconosciuto
autorevolezza (non vincolabilità giuridica) alla dichiarazione universale ed ogni volta che
faceva riferimento alla dichiarazione universale si aggiungeva un elemento di prassi e
piano piano unite ad altre prassi è andata a formare delle norme di natura
consuetudinaria.
Altri elementi molto importante a favore della natura oggi consuetudinaria della
dichiarazione universale sono le costituzioni interne. Se andiamo a vedere le costituzioni
che dal ‘48 ad oggi sono state riviste o adottate praticamente tutte contengono il decalogo
dei diritti umani (certo con alcune variazioni, ma insomma grosso modo molto simile a
quello della dichiarazione universale del ’48). E questo è importante e rilevante soprattutto
per quegli stati che nel ‘48 non erano indipendenti. Perché allora ci troviamo di fronte ad
un fenomeno secondo il quale anche quegli stati che non hanno partecipato né alla
redazione della dichiarazione né alla sua adozione eppure non appena hanno raggiunto
l’indipendenza ne hanno riconosciuto il valore non solo politico, ma addirittura giuridico e
addirittura ne hanno riconosciuto il valore giuridico al massimo livello nel loro
ordinamento interno, cioè inserendo il decalogo dei diritti umani nella loro Costituzione
che è l’atto normativo di valore preminente per un ordinamento giuridico.
Tutti questi aspetti che abbiamo menzionato fanno sì che oggi possiamo concludere che si
sono formate tante norme consuetudinarie internazionali quanti sono i diritti umani
enunciati dalla dichiarazione universale. Quindi, vi sono tante norme in qualche modo
internazionali di natura consuetudinaria corrispondenti ai singoli diritti umani enunciati
dalla dichiarazione universale. Quindi, solo in questo senso si può affermare che la
Dichiarazione universale ha natura consuetudinaria, ma non perché originariamente fosse
giuridicamente vincolante ma perché a seguito dei fenomeni enunciati prima e che si sono
protratti per decenni oggi nel 2021 possiamo affermare che i singoli diritti umani enunciati
nella dichiarazione universale hanno raggiunto uno status consuetudinario.
Quindi, se hanno valenza consuetudinaria i diritti umani enunciati nella dichiarazione
universale (le norme consuetudinarie sono opponibili erga omnes) sono opponibili nei
confronti di tutti gli stati membri della Comunità internazionale. E questo è dirompente.
Adozione della Dichiarazione universale 10 dicembre del 1948 ad opera dell’Assemblea
Generale delle NU. Gli anni tra il ’45 (Carta delle NU) e il ’48 sono anni particolarmente
importanti per i diritti umani lato sensu perché nel ’46 viene emanato il verdetto, la
sentenza del Tribunale militare internazionale di Norimberga nella quale vennero
condannati 22 gerarchi nazisti per alcune delle atrocità della Seconda guerra mondiale.
Quello è un grandissimo esempio di tutela ancorché di natura penalistica dei diritti umani
perché per la prima volta vi è una giustizia internazionale che per i diritti umani chiede che
di questi violazioni paghino i singoli individui e paghino penalmente.
Nel ’48 viene aperta alla firma un Convenzione internazionale importantissima che è la
‘’Convenzione per la prevenzione e repressione del genocidio’’. Il termine
‘’genocidio’’ venne proprio coniato nel ’46 e nel ’48 viene utilizzato in una Convenzione. La
Convenzione come ogni trattato è giuridicamente vincolante. Quindi, è vincolante solo per
gli stati che l’hanno ratificata ed ad oggi sono numerosissimi (la stragrande maggioranza
degli stati l’ha adottata).
Tutto questo fervore di elaborazione giuridica ovviamente arriva alle orecchie della
commissione per i diritti umani delle NU. Non solo nel ’48 viene anche adottata la
‘’Dichiarazione americana dei diritti umani’’ (American declaration of human
rights) che in realtà ha una valenza pattizia di natura convenzionale. Siamo nel 1948 e si ha
già una dichiarazione americana, cioè del continente americano sui diritti umani e tra
l’altro questa dichiarazione è stata approvata dall’organizzazione degli stati americani
(OSA) nell’aprile del ’48, quindi alcuni mesi prima della dichiarazione universale
dell’ONU. Questo a capire come gli stati americani (Stati Uniti, Canada, paesi
latinoamericani) fossero estremamente sensibili a questa nozione di human rights, di
diritti umani. (convenzione regionale americana)
Tra il ’46 e il ’48 si stavano elaborando altre convenzioni poste a tutela dei diritti
dell’individuo e sono quelle che verranno aperte poi alla firma nel 1949 e mi riferisco alle 4
Convenzioni di Ginevra che tutelano gli esseri umani in tempo di conflitto armato.
Sono le note Convenzioni che formano il cosiddetto diritto dei conflitti armati o diritto
internazionale umanitario, cioè quella parte del diritto internazionale che si pone a tutela
della popolazione civile e dei combattenti in tempo di conflitto armato. Quindi anche
questi evidentemente sono aspetti che contribuiscono alla tutela dei diritti umani.
Nel 1950 poco dopo l’adozione della dichiarazione universale abbiamo quella che
probabilmente è la convenzione per i diritti umani più completa e più ampia che è la
‘’Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali’’,
aperta alla firma nel 1950. (convenzione regionale europea)
Dopo il 1950 abbiamo una sorta di stasi per quanto concerne lo sviluppo dei diritti umani
in ambito internazionale per vari motivi. Sostanzialmente perché la guerra fredda si è
chiaramente instaurata e quindi il dialogo fra il blocco occidentale e il blocco socialista è
praticamente impossibile. E poi abbiamo un altro fenomeno che si sviluppa tra la fine anni
’40- ’50 e ’60, ovvero la decolonizzazione. La decolonizzazione cambia completamente lo
scenario internazionale. quindi, gli stati erano molto preoccupati a gestire questo che noi
oggi diamo per scontato, ma che fu un fenomeno dirompente perché coinvolse un numero
estremamente alto di stati della comunità internazionale. Quindi, fu un fenomeno
estremamente esteso.
Nel ’46-’48 non fu possibile elaborare un Concezione sui diritti umani di stampo
universalistico per questo scontro ideologico che già si delineò fra est e ovest, però vi sono
numerose convenzioni sui diritti umani adottate successivamente. E quindi la prima
convenzione sui diritti umani elaborata ed adottata nell’ambito delle NU nel 1966: il
‘’Patto relativo ai diritti economici, sociali e culturali’’ e il ‘’Patto relativo ai
diritti civili e politici’’. Quindi, siamo in fase di chiusura del fenomeno coloniale e
quindi Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna (membri permanenti del Consiglio di Sicurezza)
erano più liberi in qualche modo di spostare la loro attenzione su queste altre tematiche.
Ma proprio in quegli anni vi era stato un cambiamento fondamentale anche all’interno
degli Stati Uniti (membro permanente), ovvero sia il disconoscimento delle leggi di
discriminazione razziale. Negli anni ’60 negli Stati Uniti c’è il movimento anti-razziale e
queste leggi vengono definitivamente abolite. E quindi abbiamo Stati Uniti, Gran Bretagna
e Francia sono pronti adesso ad affrontare queste tematiche perché hanno risolto i
problemi in casa loro.
Non è un aspetto da poco e il fatto che questioni di natura razziali impedissero una
discussione aperta sulle tematiche dei diritti umani è testimoniato da un altro elemento, e
cioè che la prima convenzione sui diritti umani elaborata nell’ambito delle NU è proprio la
Convenzione contro la discriminazione razziale ed è stata aperta alla firma nel
1965, un anno prima dei due patti. Quindi, questa costituiva un tatto. Una volta che si è
aperto questo tappo gli Stati Uniti sono tornati ad essere un motore per la promozione dei
diritti umani e quindi Gran Bretagna e Francia si sono poi in qualche modo accodate e così
via.
Vediamo quanto gli stati occidentali sono il motore per l’elaborazione dei diritti umani in
ambito internazionale. Questo è un dato che è imprescindibile per avere una corretta
comprensione del diritto internazionale dei diritti umani. Cioè il diritto internazionale dei
diritti umani ha una matrice fortemente occidentale. Poi i paesi socialisti in qualche caso si
sono accodati, ma questo è un dato di fondo che dobbiamo sempre tenere in mente e non
va giudicato, ma è un dato di fatto. Perché solo alla luce di questo dato di fatto si
comprendono poi le accuse di imperialismo dei diritti umani e queste accuse furono già
veicolate all’interno della Commissione dei diritti umani durante l’elaborazione della
dichiarazione universale ed erano accuse fondate. Perché la visione preponderante proprio
perché numericamente gli stati occidentali erano in maggior numero è quella
individualistica dei diritti umani, la visione di stampo liberalista. Quando, ci troviamo
confrontati con paesi non occidentali, dobbiamo sempre avere presente questo aspetto
perché altrimenti invece che diventare attivisti per i diritti umani, si diventa
neoimperialisti davvero. Se diventiamo imperialisti succede che perdiamo credibilità e
quindi il nostro messaggio sarà rifiutato e non ci sarà più dialogo.
Patti, convenzioni, trattati: tre termini che sono sinonimi per indicare un atto che sia
giuridicamente vincolante, vincolante solo per quelli stati che li ratificano.
(Manuale di testo: ai fini dell’esame non è strettamente necessario. Manuale molto buono.)
-IL FONDAMENTO DEI DIRITTI UMANI
Stiamo parlando di diritti umani, del loro contenuto (diritto alla vita, divieto di tortura,
divieto di schiavitù, diritto alla salute), ma è importante sapere che vi sono numerosi
fondamenti dei diritti umani e l’approccio ai fondamenti dei diritti umani è il più
diversificato.
Focarelli prende come fondamento dei diritti umani 4 concezioni:
1)la prima concezione è quella che si basa sulla natura umana;
2)la seconda è l’auto-evidenza;
3)la terza è il consenso;
4)la quarta è il senso di umanità.
Già da questi titoli capiamo come i fondamenti dei diritti umani per Focarelli in qualche
modo hanno tutti a che vedere con l’essenza umana.
1)Quindi, partendo dalla prima NATURA UMANA  Sulla natura umana non c’è una
visione unanime, tutt’altro. Dal punto di vista scientifico, filosofico ecc. c’è una infinità di
concezioni di che cosa sia la natura umana. Noi per esempio ne abbiamo vista una, quella
del biologo J.Hamburger (pagine molto importanti). Seccondo J.Hamburger la natura
umana è caratterizzata per l’intelligenza, per l’affettività e per la volontà. Secondo Focarelli
anche ammettendo che vi siano uniformità di vedute su cosa sia la natura umana, non di
meno resta un problema che è proprio intrinseco ai diritti umani e cioè il fatto che i diritti
umani sono in competizione fra di loro. Caso: è lecito torturare qualora abbiamo la
certezza che l’individuo che è nelle nostre mani conosce dove è posta la bomba che entro
breve esploderà e potrà causare decine di morti? In questo caso abbiamo il bilanciamento
necessario fra il divieto di tortura, quindi il diritto dell’arresto a non essere sottoposto a
tortura ma dall’altro abbiamo il diritto alla vita di un numero importante di persone (fosse
anche un’unica persona). Abbiamo due diritti in conflitto. Quindi, questo porta a
concludere che anche se i diritti umani sono legati alla persona umana, questi non sono
assoluti. Il diritto alla vita è assoluto? No. Eccezione al diritto della vita ammessa in tutti
gli ordinamenti interno e anche nell’ordinamento internazionale: la legittima difesa. È vero
che io salvo una vita, ma io posso attentare alla vita dell’altro per salvare la mia in alcune
specifiche circostanze. Non vi sono diritti umani assoluti, nemmeno quello che tutti
crederemmo assoluto come il diritto alla vita. Stranamente si parla dell’assolutezza del
divieto di tortura.
2)AUTO-EVIDENZA  Il secondo fondamento quello che Focarelli definisce dell’autoevidenza (self evidence). Noi il termine auto-evidenza lo tradurremo con il termine
elementare. Qualcosa che è self evidence è elementare, è ovvio, è quasi banale e quindi è
fondante, talmente fondante che discutere del fondamento dei diritti umani è proprio
impossibile o addirittura controproducente. Norberto Bobbio fu il primo a sostenere: non
continuiamo a parlare del fondamento dei diritti umani perché ciò che è importante non è
l’elaborazione teorica, ma la pratica, come proteggerli in pratica. Il problema è che anche
l'auto evidenza e quindi anche secondo la visione di Bobbio il modo di proteggere questi
diritti in pratica è soggettivo, non esiste un' oggettività. Guardiamo infatti a quante visioni
dei diritti umani hanno i vari stati. Quindi, l'auto evidenza non è poi così auto evidente, ciò
che è auto evidente Alitalia non è auto evidente al Sudafrica oh al Giappone. E quindi in
qualche modo Focarelli non ritiene rilevante nemmeno questo fondamento dei diritti
umani.
3)Passa poi Focarelli ad esaminare il terzo fondamento che è quello del CONSENSO  Per
consenso focarelli intende la visione della maggioranza (la visione di maggioranza degli
individui all'interno di uno stato o la visione della maggioranza degli stati all'interno della
comunità internazionale). E questa è una visione che taluni hanno. Quindi, i diritti umani
sono tali perché sono ritenuti tali dalla maggioranza. Quindi, vi è il consenso della
maggioranza. Però anche qui vi è un problema perché se è la maggioranza che conta dove è
finito il singolo individuo? Forse sarebbe più corretto sostenere che i diritti umani sono la
visione della minoranza. Abbiamo visto come sono nati in ambito interno nel XVII e XVIII
secolo per tutelare il governati dagli abusi dei governanti. È vero che i governanti sono
numericamente maggiori rispetto ai governati, ma la loro ambizione era anche quella
proprio di andare a proteggere quella parte della popolazione che era meno rappresentata
e che individuiamo come i più vulnerabili e quindi come le minoranze.
4)Una volta escluso anche questo fondamento dei diritti umani, Focarelli poi dà voce a
quello che secondo lui è il fondamento dei diritti umani e che definisce come SENSO DI
UMANITA’  Secondo focarelli i diritti umani sono sì individuali, ma non sono nella
disponibilità del singolo individuo perché il fondamento dei diritti umani è sociale, cioè i
diritti umani non esistono senza il gruppo. Quindi i diritti umani hanno senso solo perché
l'individuo si trova inserito in un gruppo.
Nei trattati sui diritti umani sono previsti delle deroghe e delle limitazioni ai diritti umani,
che quindi in qualche modo mirano a gestire questo conflitto che si può creare fra più
diritti umani. In tempi di emergenza quali quelli che stiamo vivendo noi (ma l’emergenza
deve essere un’emergenza grave che mina alla sopravvivenza del paese) è possibile
sospendere alcuni diritti umani. Noi siamo in un periodo di emergenza e questo
internamente dà dei poteri maggiori al governo rispetto al Parlamento, ma nell’ambito
internazionalistico pone le premesse per derogare a certi diritti umani internazionalmente
garantiti quali libertà di circolazione, libertà di culto religioso. Questi diritti possono essere
legittimamente sospesi in tempo di emergenza purché siano rispettati dei requisiti di
necessità e di proporzionalità. Però non tutti i diritti possono essere sospesi in tempo di
emergenza. Questo dipende dai trattati, ma per quanto riguarda la convenzione europea i
diritti ritenuti fondamentali: diritto alla vita, divieto di tortura, divieto di schiavitù,
principio di retroattività delle pene. Questi non possono essere sospesi nemmeno in tempo
di emergenza ovviamente per evitare che lo stato abusi di questi suoi poteri.
Quindi, possono essere sospesi certi diritti. Ci sono delle procedure che devono essere
seguite, devono essere sospesi solo per un certo periodo del tempo ecc.
Il secondo aspetto è quello di limitazioni dei diritti umani. Alcuni diritti umani, quale per
esempio la libertà di religione, la libertà di movimento possono essere limitati (non
sospesi) per ragioni quali la pubblica salute, ragioni di ordine pubblico. Quindi, questi
possono essere soggetti a limitazioni, possono essere ristretti e non completamente
sospesi. Ma anche queste limitazioni devono essere date con legge, devono rispettare
alcuni requisiti.
Quindi, l’ordinamento internazionale si è dotato di alcuni strumenti per temperare il
bilanciamento in caso di conflitto fra più diritti. Comunque, gli strumenti di cui si è dotato
l’ordinamento internazionale non sono sufficienti a risolvere tutti i conflitti. Esempio:
lancio del nano. C'è una prassi molto diffusa soprattutto negli Stati Uniti e Francia di
utilizzare le persone che hanno la sindrome del nanismo per essere fisicamente lanciate.
Vengono lanciati ad una certa distanza da degli individui molto grossi su dei materassi e
praticamente vince chi lancia il nano più lontano. In questo caso l'individuo affetto da
nanismo viene usato come strumento per il divertimento di altri individui. Il Consiglio di
Stato francese infatti ha ordinato la chiusura dei locali In Francia dove questa attività
ludica veniva svolta. Il locale è stato chiuso. L’individuo affetto da nanismo in questione ha
fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, ha fatto ricorso al comitato di diritti
dell'uomo perché lui ha sostenuto che la chiusura di questi locali mirava sia la tutela della
sua dignità umana, ma in realtà infrangeva il suo diritto al lavoro perché lui di quello
viveva. Allora in questi casi l’ordinamento non ha uno strumento a priori utile per risolvere
questo conflitto. Quindi, il conflitto come viene risolto? Semplicemente caso per caso e
quindi sarà il giudice o il meccanismo di controllo sull'applicazione di un certo trattato che
stabilirà nel singolo caso specifico se quel diritto umano è stato violato oppure no e quindi
il bilanciamento fra due diritti in conflitto.
Questo è un aspetto estremamente delicato perché il diritto in generale si rivolge a tutti, è
uguale per tutti. La legge è uguale per tutti, in ambito internazionale si deve dire il diritto
internazionale (non esiste una legge internazionale) è uguale per tutti. Però quando siamo
confrontati ai diritti umani ci si trova in una situazione strana in cui il caso individuale, le
specificità di dettaglio del singolo caso sono cruciali per stabilire la violazione o il rispetto
di quel diritto umano. Quindi, per assurdo due casi apparentemente uguali possono dare
luogo a due sentenze profondamente diverse. (estremamente difficile applicare i diritti
umani perché i diritti umani sono efficaci nella misura in cui vanno a tutelare il singolo
individuo nella singola situazione specifica, mentre la legge è di natura generale e non
individuale).
-05.03.2021
Tra i vari fondamenti del diritto umano che possiamo rinvenire noi ci concentriamo sulla
impostazione adottata da Carlo Focarelli e quindi abbiamo visto che la sua impostazione ai
fondamenti pei diritti umani è quadripartita. Quindi, in primo luogo abbiamo esaminato la
nozione di natura umana come fondamento dei diritti umani, poi quella di auto-evidenza, a
seguire quella del consenso e per ultima la nozione di senso di umanità.
SENSO DI UMANITA’  per focarelli il senso di umanità è da rinvenirsi si nell’individuo,
all'interno dell'essere umano ma di un essere umano concepito come parte di un insieme di
uomini e in particolare come parte di un gruppo. Quindi, i diritti umani secondo questo
fondamento non esisterebbero senza gruppo. SE ci fossero solo tanti individui di per se
presi, non avrebbe senso parlare di diritti umani. È solo nel momento in cui l'individuo
inizia ad interagire con l'altro che i diritti umani trovano la loro ragione d'essere. E quindi
da questa concezione deriva la necessità della lotta da parte di ogni individuo affinché
all'interno del gruppo i diritti umani siano riconosciuti. Quindi, necessità di una lotta
affinché all'interno del gruppo i diritti umani siano riconosciuti. Questo significa che per i
diritti umani è un impegno, afferma focarelli, individuale e quotidiano. Occorre battersi
quotidianamente affinché questi diritti siano riconosciuti. E quindi questo ci sposta dal
piano della teoria dei diritti umani al piano della pratica. Focarelli adotta l’impostazione di
Noberto Bobbio. L’importante è la pratica quotidiana dei diritti umani. E per sostenere
questa sua posizione arriva ad esprimersi in modo anche molto forte con un parallelismo
con Hitler. Arriva ad affermare che non era la teoria dei diritti umani che impensieriva
Hitler, bensì il trovarsi da solo a calpestare quei diritti. Quindi, in quale modo qui Focarelli
rovescia la prospettiva. C’è bisogno del gruppo per lottare a favore dei diritti, ma c’è
bisogno del gruppo anche per calpestarli. Ovviamente quando fa riferimento al gruppo che
calpesta il diritto il suo riferimento è soprattutto lo stato, ma abbiamo molte dimostrazioni
del fatto che non sono solo gli stati a calpestare i diritti umani, sono anche i gruppi armati,
sono anche organizzazioni internazionali, sono anche imprese multinazionali. Quindi, c’è
anche un insieme di non state actors (sono gruppi anche quelli) che sovente calpestano i
diritti umani.
Questa impostazione di Focarelli ricorda l’estratto della presentazione di J. Hamburger
dove per lui i diritti umani sono una conquista. Anche se adottiamo la concezione per cui i
diritti umani sono innati, inerenti in ogni essere umano non di meno essi hanno sempre
bisogno di essere conquistati. È una conquista quotidiana quella per i nostri diritti.
Poi focarelli mette in guardia dal ricorso ad uno degli elementi fondamentali dell'essere
umano che è il raziocinio, ragione, intelligenza. Perché lui afferma che il raziocinio può
essere utilizzato ai più vari fini. Se parliamo con dei criminali internazionali che ha
commesso crimini di guerra, atti di genocidio vedremo che hanno una visione molto
lucida, quindi molto raziocinante dell'opera che si sentono investiti di portare avanti.
Quindi, secondo focarelli il raziocinio può non essere d’aiuto quando si parla dei diritti
umani. L'essere umano cambia opinioni su cose che al momento sembrano certe perché il
pensare è così, il pensare è molto volatile, è modificabile.
Allora, di fronte al fatto che il raziocinio in qualche modo può essere da noi
strumentalizzato, quale contropotere contrappone a questo raziocinio deviante focarelli?
Lui contrappone il sentire nell’essere umano, l'empatia. Cioè un sentire che porta all'
empatia. Il sentire è la sfera del cuore, la sfera dell’affettività come la chiamava J.
Hamburger. Nel momento in cui noi ci apriamo al sentire (facciamo finta di non avere il
raziocinio) va verso l’altro. E a questo proposito FOcarelli afferma: ‘’quindi come contro
bilanciamento del raziocinio abbiamo il sentire. Faccio riferimento ad un
senso di umanità che o si sente oppure non esiste. Sentire questo senso di
umanità equivale a sentire non solo la mia fame, ma anche quella del mio
vicino. Nel sentirla agirò di conseguenza. Non mi precipiterò quindi sull’unico
pezzo di pane disponibile per soddisfare prima possibile tutta la mia fame
perché sentirò dentro di me con la stessa forza l’identico desiderio e l’identico
bisogno dell’altro. Il senso di umanità è sentire la fame del mio vicino come la
mia fame, è il torturatore che si mette nei panni del torturato, è il privilegiato
che si fa debole.’’ E per questo non ci sono spiegazioni razionali. O una persona sente ciò
che passa in altre persone e allora non ha molto da dire, ma se mai accorre e agisce oppure
non lo sente e allora gli argomenti razionali possono ben poco. E conclude:’’ Un mondo
più umano o più in linea con l’idea dei diritti umani, è un mondo in cui sono di
più quelli che si mettono nei panni degli altri rispetto a quelli che evitano di
farlo perché presi dalla paura per la loro stessa sopravvivenza e per il loro
stesso benessere’’. Quindi, vediamo come per Focarelli se questo sentire, questo andare
verso l’altro non è in qualche modo presente in noi, il raziocinio, l’intelligenza non può
supplire a questa lacuna, a questa mancanza. Quindi, si tratta di lottare affinché sempre
più persone sentano l’altro mettendo da parte la paura per il proprio destino personale.
Ora attenzione: la visione di Focarelli non è ingenua, cioè non è che mettersi nei panni
dell’altro significa anche risparmiare conseguenze ad un criminale. Lui afferma molto
chiaramente: avere empatia, sentire l’altro significa per esempio nei confronti di criminale,
sentire sicuramente ciò che prova la vittima, ma sentire anche ciò che prova il criminale. E
questo non ha nulla a che vedere con il fatto che la vittima dovrà avere gli adeguati ristori e
il criminale dovrà subire le giuste conseguenze, ma se ci si pone in un’ottica di sentire, cioè
se prevale il sentire sarà proprio la nostra umanità (senso di umanità) che informerà di se
tutto il nostro modo di lavorare sui diritti umani e il raziocinio seguirà. Certo che il
raziocinio ci serve per quell’agire di cui lui stesso parla. Per l’agire e il lottare chiaramente
ci servono degli strumenti e di questi io mi doto grazie al pensare, grazie al mio raziocinio.
Questo fondamento dei diritti umani inteso come senso di umanità fondato sul sentire lui
dice è un senso molto elementare di umanità il suo che però è assolutamente disarmante.
Sono sempre le cose più semplici, quelle più vere ma di cui ci dimentichiamo.
Una caratteristica della società occidentale è la competizione. La competizione nasce dal
sentire o nasce dal pensare?
Esercizio: proviamo cinque minuti al giorno a porre l’attenzione sulla sfera del cuore. E
proviamo piano piano a renderci conto se il nostro cuore è competitivo o no per arrivare
alla conclusione se la competizione che è un elemento caratteristico della nostra società sta
nel sentire o nel pensare. Ci vuole del tempo perché la nostra società è fondata su
un’educazione che privilegia di gran lunga l’aspetto raziocinante sull’aspetto del sentire. Se
si usa di più il raziocinio dei sentimenti i diritti umani inevitabilmente continueranno ad
essere calpestati. Se noi ci limitiamo all'aspetto raziocinante i diritti umani continueranno
inevitabilmente ad essere calpestati, mentre se ci avviciniamo al sentire (visione positiva
del sentire umano), nel sentire c'è il divino, c'è la parte più nobile di noi. Quindi, se si aprì
il divino si apre la parte più nobile di noi, mentre la testa dovrebbe essere l'aiutante del
nostro sentire, dovrebbe essere lo strumento che ci porta ad agire di conseguenza al nostro
sentire e non il contrario. Noi invece siamo abituati a prefissarci subito degli obiettivi,
mentre il processo dovrebbe essere completamente diverso. Con questa impostazione
sociale è chiaro che l'empatia è sconfitta. Ma è sconfitta in questa società, ma i diritti
umani sono un po' rivoluzionari, i diritti umani vogliono farci tornare a questo senso di
umanità, un senso che non dia appigli ad un raziocinio (ragione, intelligenza) che può
essere anche utilizzata al peggio.
E se io non sento l’altro, c’è qualcosa che posso fare? (es. quello che succede in Myanmar)
oppure se lo sento attraverso l’interferenza della mente e quindi lo sento come un nemico
c’è qualcosa che posso fare? Sì posso fare qualcosa perché io come essere umano sono
dotato anche di un terzo elemento che è la volontà. Io ho la volontà, quindi io posso agire la
volontà di educarmi giorno dopo giorno ad aprirmi all’altro in modo empatico e non in
modo mentale. Questo esercizio per chi non è abituato a farlo deve iniziare dalle piccole
cose, spostare l’attenzione dagli obiettivi. Solo se sei nel sentire hai la vera umanità. Grazie
alla volontà il sentire si può sviluppare. L’empatia si ha fin dalla nascita (visione prof.ssa).
Noi nasciamo nel sentire e poi piano piano sviluppiamo mente e volontà. La mente e la
volontà non è la nostra nemica, ma il problema è che ci sta tiranizzando, ha totalmente
prevaricato il sentire. Noi siamo fatti di questi tre aspetti. I bambini sono molto più
rispetto agli adulti. I bambini stanno sul momento, il bambino gioca con cosa ha in quel
momento e con chi c’è in quel momento. Sta nel sentire di quel momento. Viceversa, gli
adulti pensano già a quale gioco fargli fare dopo. Quindi, fuoriesco dal momento e mi
proietto altrove con il pensare. Il sentire è come la capacità di stare nel momento, di
apprezzare quello che c'è nel momento; viceversa, di raziocinio ti porta verso un obiettivo,
quindi il raziocinio tende ad avere interessi. Mentre se tu stai nel momento se privo di
interessi, il raziocinio tende ad avere interessi e quindi bisogna andare a vedere quali sono
questi interessi, questi obiettivi. Quindi, man mano che il bambino cresce si inserisce nella
nostra società che è una società inserita più nel pensare che nel sentire. E quindi man
mano che il bambino cresce si allontana dal suo sentire. Quindi, non è un male che il
bambino sviluppi l’aspetto raziocinante, ma attenzione a non sviluppare le capacità
intellettuali a detrimento di quelle dell’empatia.
Ricordiamoci poi l’importanza della volontà. Questi tre elementi (il volere, il sentire ed il
pensare) ci distinguono dagli animali, quindi ci consentono di andare oltre i nostri istinti di
base perché alla fine poi la barbaria è legata agli istinti. Molte volte l’utilizzo del pensare in
modo negativo, come Focarelli attribuisce ad Hitler, è un pensare che invece di elevare
l’essere umano lo riporta giù nel basso dei suoi istinti e quindi ci fa piombare a livello
animalesco.
Il tornare a dare uno spazio adeguato al sentire si collega fortemente alla libertà perché
finché siamo nei condizionamenti esterni (il condizionamento esterno è nel mentale, nel
pensare, è in quello che ci siamo costruiti, quello che la società ci ha costruito), finché
abbiamo questa apparente ambizione verso il benessere non siamo liberi. Non sono io che
scelgo, sono gli altri che mi fanno scegliere. Ma voi quanti pensieri originari fatte? O non
facciamo nostri i pensieri di altri? A livello inconscio perché a livello conscio ci riteniamo
tutti originali. Se ci soffermiamo a riflettere su quanti pensieri originali noi abbiamo, ci
rendiamo conto di quanto poco siamo liberi, di quanto i nostri pensieri sono condizionati
da quello che ascoltavo intorno a me. Quindi, un esercizio che diminuisce l’importanza del
pensiero a favore del sentire è anche un esercizio che ci aiuta a riconquistare la nostra
libertà profonda, vera.
Abbiamo fatto la Dichiarazione universale del ’48. Convenzione contro la discriminazione
razziale del ’65. E poi abbiamo accennato al fatto che nel ’66 siano stati aperti alla firma
nell’ambito delle Nazioni Unite due Patti, uno per i diritti civili e politici e l’altro per i
diritti economici, sociali e culturali.
Quadro di quella che possiamo definire l‘architettura o il sistema dei diritti umani
nell’ambito delle NU (organizzazione internazionale principale per il nostro corso).
-HUMAN RIGHTS ARCHITECTURE AT THE UNITED NATIONS
Vengono posti sulla riga principale i 4 organi principali delle NU: il Consiglio di Sicurezza,
l’Assemblea Generale, il Segretariato Generale e il Consiglio Economico e Sociale.
Non parleremo del ruolo del Consiglio di Sicurezza e dell’AG in quanto organi circa la
tutela dei diritti umani.
Ci concentriamo su un organo che è sussidiario dell’Assemblea Generale ed è lo ‘’Human
Rights Council’’. Questo organo è stato creato nel 2006. È un organo sussidiario dell’AG
ed è composto da 47 rappresentanti di stati che vengono eletti ogni 4 anni dall’AG fra gli
stati membri delle NU. Questo Council ha succeduto quella Commissione per i diritti
umani di cui abbiamo sentito parlare perché ha elaborato al Dichiarazione universale del
’48 e i Patti del ’66. Quindi, la Human Rights commisson che era formata da 54 stati è stata
sostituita dallo human rights council in cui siedono 47 stati dal 2006. Lo human rights
commission era ritenuta essere diventata troppo politicizzata. Quindi, è stata sostituita con
questo Council. Evidentemente questo Council per chi si occupa di diritti umani è
estremamente importante, è uno degli organi più importanti all’interno delle NU per la
tutela dei diritti umani. E in effetti questo organo è uno strumento importante anche se
avendo la caratteristica di essere costituito da rappresentanti dello Stato evidentemente è
un organo di natura politica, non è un organo composto da esperti indipendenti. Quindi, lo
human rights council è un organo di natura politica e che opera nel dei diritti umani,
quindi è preposto al controllo del rispetto dei diritti umani attraverso tre strumenti (ha tre
strumenti a disposizione per controllare il rispetto dei diritti umani all'interno degli Stati
membri delle Nazioni unite):
1) il primo strumento è nuovo ed è stato proprio ideato per questo Council. Quindi, di
questo strumento non si era dotata la Commissione per i diritti umani ed è la cosiddetta
Universal Periodic Review (UPR) (Revisione universale periodica). Questa revisione
universale periodica consiste nel fatto che tutti gli stati membri delle NU a turno, quindi
ogni 4 anni, devono presentare un rapporto allo Human rights council, un rapporto di
massimo 20 pagine, circa il loro report dei diritti umani, quindi ciò che nel quadriennio
precedente hanno fatto a favore dei diritti umani oppure che rimane loro ancora da fare. A
questo rapporto poi possono fare seguito report della società civile, di organizzazioni non
governative. Quindi report statale più i report delle organizzazioni non governative
vengono discussi di fronte ad un working group dello human rights council e quindi a
seguito di questa discussione possono emergere delle raccomandazioni nei confronti dello
stato che quindi sono formalmente veicolate allo stato. Lo stato a questo punto ha la
possibilità di impegnarsi o non impegnarsi nel porre in essere quelle raccomandazioni, nel
dare seguito a quelle raccomandazioni. Quindi, vediamo che è una revisione fra pari perché
io stato sono sottoposto alla revisione della mia situazione dei diritti umani da parte di altri
stati e quindi grazie a questo strumento si instaura un dialogo fra stati relativamente alla
situazione dei diritti umani che sicuramente può portare a dei miglioramenti della
condizione dei diritti umani in ogni singolo paese perché lo stato che oggi fa parte dello
working group dello human rights council che analizza per esempio l'Italia sa che massimo
fra quattro anni sarà lui nella posizione dell'Italia, sarà lui ad essere esaminato per quanto
riguarda la sua situazione dei diritti umani. Per cui è una situazione in cui il giudicante
diventerà giudicato e viceversa e prima o poi sarà anche l'Italia a valutare la situazione dei
diritti umani degli altri paesi. Quindi, si crea un circolo sembra virtuoso perché ovviamente
la procedura ci ha messo un po’ ad andare a regime, quindi sono ancora pochi gli anni in
cui questa procedura si è svolta, però effettivamente questo sta diventando un forum di
discussione sulle situazioni dei diritti umani che sta dando i suoi frutti.
E poi l'altro aspetto interessante è che è una procedura il cui risultato sono solamente
raccomandazioni, quindi non hanno un valore giuridicamente vincolante e inoltre
queste raccomandazioni possono essere accettate o rifiutate dallo stato under review.
Vediamo che è uno strumento estremamente flessibile, ma proprio per questo gli stati ci si
sottopongono piuttosto di buon grado. I documenti presentati e le raccomandazioni
emanate durante questa procedura sono tutti disponibili sul sito delle Nazioni unite. Da
queste documentazioni si coglie molto l’aspetto del relativismo dei diritti umani a cui
abbiamo accennato. Per esempio, possiamo trovare l’Iran il cui record relativamente ai
diritti delle donne non è esattamente eccezionale. L’Iran che critica la situazione della
tutela dei diritti delle donne in Italia dove pure c’è molto da fare per migliorare la
situazione dei diritti delle donne in Italia, però la situazione è molto diversa in Iran.
Quindi, è interessante vedere come gli stati vedono gli uni gli altri.
Quindi, questo è il primo strumento a disposizione dello human rights council.
2) poi abbiamo il secondo strumento che è la cosiddetta Complaint Procedure (la
procedura dei reclami). Allo Human rights council possono rivolgersi individui o
organizzazioni non governative che hanno direttamente subito o che sono a conoscenza di
violazioni gravi, sistematiche e attuali dei diritti umani. Quindi, violazioni gravi,
sistematiche e attuali dei diritti umani possono essere portate all’attenzione di questo
organo politico sussidiario dell’assemblea generale che è lo human rights council. Questa
procedura è molto interessante perché innanzitutto non è necessario il consenso dello stato
che è ritenuto avere compiuto questa violazione grave. Quindi, se io ritengo che in Italia
nei diritti durante il lockdown i diritti di circolazione sono stati violati in modo grave,
continuo e tuttora presente posso sottoporre una complaint allo human rights council
contro l’Italia e l’Italia non è che deve acconsentire. Io lo faccio in autonomia. Ovviamente
dovranno essere presenti certi requisiti di ammissibilità. Quindi, dovrò dimostrare che
prima di tutto io ho cercato il rimedio a questa mia violazione all’interno del mio paese.
Quindi, questo è un aspetto fondamentale: cosiddetto principio di esaurimento dei ricorsi
interni. Quindi io posso presentare il mio reclamo alla human rights council. Inoltre, posso
presentare il mio reclamo relativamente alla violazione di qualunque diritto, non di un
diritto specifico perché lo human rights council ha una competenza di natura generale, può
pronunciarsi su qualunque diritto umano sia stato eventualmente violato.
Perché gli stati hanno attribuito questa competenza al Consiglio per i diritti umani visto
che non c’è bisogno del consenso degli stati stessi? Perché questa procedura è
confidenziale, quindi non è che lo human rights council inizia a diffondere nomi, luoghi,
tempi di queste eventuali violazioni. Semplicemente qualora ravvisi la sussistenza delle
violazioni gravi, sistematiche e continue apre un dialogo con lo stato in questione, il quale
avrà l’opportunità di fornire le sue spiegazioni e solamente al termine di questo dialogo lo
human rights council emanerà le proprie raccomandazioni allo stato. Quindi, siamo di
fronte ad una procedura di natura confidenziale e ad una procedura che termina solo con
delle raccomandazioni, non con un atto giuridicamente vincolante. Questa procedura è
sorta in modo quasi spontaneo all’interno della Commissione per i diritti umani, di quella
che era stata creata nel ’46 e poi ha continuato a vivere anche nello human rights council.
Quindi, questa è una procedura che ha una lunga storia.
3) L’ultimo strumento che lo Human rights council ha a sua disposizione per promuovere e
tutelare i diritti umani a livello delle NU e queste sono le cosiddette special procedures
(le procedure speciali). Queste procedure speciali sono per lo più costituite da singoli
individui, spesso professori universitari ai quali viene attribuito lo studio di una tematica
relativa ai diritti umani o di un paese e su questo deve poi rendere conto allo human rights
council. Quindi, ad oggi ci sono tantissimi special reporters delle NU per lo più ai quali è
quasi sempre attribuito competenze in via tematica. Ci sono special reporter relativi alla
povertà, violenza contro le donne, cambiamento climatico. Quindi ci sono special raporters
negli ambiti più diversi e questi devono studiare queste varie problematiche per
individuare dal punto di vista universale l’impatto che quella determinata problematica
come la povertà o come il cambiamento climatico ha sul godimento dei diritti umani.
Gli special rapporteurs sono degli esperti indipendenti, non solo rappresentanti degli stati,
e siccome sono nominati in virtù della loro experties, di solito elaborano dei rapporti che
anche se hanno solo un valore raccomandatorio che sono rivolti a tutti gli stati in generale,
non di meno sono autorevoli proprio perché promanano da esperti indipendenti.
Office of the High Commissioner for Human Rights: questo ufficio dell’alto
commissario per i diritti umani dipende dal segretario generale delle NU ed è anche questo
un ufficio piuttosto nuovo. È stato creato nel 1993. Questo ufficio ha sede a Ginevra. La
sede centrale delle NU è a New York, ma a Ginevra vi è una sede distaccata molto
importante perché le sedute degli organi che hanno a che fare con i diritti umani si tengono
quasi esclusivamente a Ginevra. L’Office of the high commissioner for human rights ha
vari obiettivi. Sostanzialmente quello di promuovere in senso generale i diritti umani tra i
membri delle NU. Poi ovviamente essendo direttamene connesso al Segretario generale
deve coadiuvare il segretario generale dell’ONU stesso nella definizione della policy, della
politica sui diritti umani dell’Organizzazione. Poi fornisce informazioni e assistenza in
ambito dei diritti umani ai vari stati membri e di fatto ha anche la funzione di attirare
l’attenzione dell’opinione pubblica su gravi violazioni dei diritti umani. Per esempio,
l’Office of the hugh commisioner for human rights fu uno dei primi a rendere noto le
violazioni dei diritti umani perpetrate nella base navale di Guantanamo a Cuba. Questo
ufficio serve poi anche da supporto per l’attività degli special rapporteurs dello Human
rights council. Quindi, funge anche da segretariato per vari individui che hanno funzioni
relative ai diritti umani nell’ambito delle NU. Comunque, è un ufficio che lavora sotto le
direttive di un High commissioner of human rights (Michelle Bachelet: dal 1 settembre
del 2018, prima era la presidente del Cile). Alcuni special rapporteurs, alcune special
procedeurs sono incardinate sotto l’office of the high commissioner for human rights,
quindi sono collegate a questo ufficio e al human rights council. Quindi, le special
procedeurs possono rendere conto o allo Human rights council o all’Office of the high
commissioner for human rights.
Commissions: qui è indicata una Commission on the Status of Woman, quindi una
commissione sullo stato della donna costituita poco dopo l’istituzione dell’ECOSOC (1946).
E’ una commissione tutt’ora esistente, che specificamente si dedica alle problematiche
relative ai diritti umani delle donne. Però è una commissione che ha svolto un lavoro che è
meno rilevante rispetto ad altre commissioni sui diritti delle donne che studieremmo.
Human Rights Commission (1946-2006): perché la commissione per i diritti umani nel ‘46
fu istituita come organo sussidiario dell’ECOSOC, però questa commissione non esiste più
perché ha terminato le sue funzioni nel 2006 l'anno in cui è stato sostituito dallo Human
Rights Council.
La commissione per i diritti umani è quella commissione di rappresentanza degli stati,
organo sussidiario dell’ECOSOC, che ha funzionato tra il ’46 e il 2006. La sua opera
principale riguarda la dichiarazione universale dei diritti umani del ’48 e l’impulso nei
confronti di alcuni trattati sui diritti umani che studieremmo. Questa è la commissione per
i diritti umani: organo subordinato all’ECOSOC che è formato da rappresentanti dello
stato.
Poi abbiamo invece il Consiglio per i dritti umani anch’esso formato da rappresentanti
statali, che è un organo sussidiario dell’AG, che ha solo poteri di raccomandazione e che
promuove e tutela i diritti umani attraverso i 3 strumenti di cui abbiamo parlato.
-11.03.2021
Domanda: Quali sono i nostri pensieri in relazioni all’epidemia che stiamo vivendo?
L’epidemia sta limitando fortemente i rapporti sociali che impattano soprattutto sui
giovani, che la gestione politica dell’epidemia crea un’illusione di un ritorno alla normalità
e il virus crea preoccupazione soprattutto rispetto alla salute.
Domanda: Vedi aspetti che possono far limitare tutti gli aspetti negativi?
Domanda: Che cos’è per me la libertà?  fare ciò che voglio, essere ciò che sono, fare ciò
che ritengo essere giusto per me, fare ciò che mi fa sentire vivo, essere ciò che sono 
Libertà è sicuramente non essere bloccati, non essere rinchiusi altrimenti non posso
esprimermi. In queste espressioni utilizzate abbiamo già trovato quella che è la modalità in
cui si esplica la libertà. La libertà può essere libertà da qualcosa, e quindi sono libera dalle
circostanze esterne, per esempio, sono libero da un blocco (libertà da). Ma sono anche
libero di, sono libero di fare ciò che voglio. Quindi, la libertà è duplice in qualche modo, la
libertà da qualcosa per essere libero di essere, di fare quello che scelgo, quello che decido.
LIBERTA’ DA e LIBERTA’ DI
Se io ho la libertà da, quindi se sono libero per esempio dai condizionamenti, mi è più
facile essere libero di scegliere chi voglio essere, chi sono, cosa voglio fare. Importante
questo secondo aspetto perché la libertà di implica anche la libertà di non. Quindi, io sono
veramente libero quando posso scegliere di uscire ma posso anche scegliere di non uscire.
E questo aspetto ha delle ripercussioni ai fini del nostro corso. Questo è la differenza tra
DIRITTO e LIBERTA’ (intesa ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani). Per
esempio, la Convenzione europea del 1950 si intitola ‘’Convenzione europea dei diritti
umani e delle libertà fondamentali’’, quindi evidentemente c’è una differenza fra diritto e
libertà. Quindi, la libertà è quella situazione soggettiva in cui l’essere umano può scegliere
se esercitare una certa condotta, se seguire una certa condotta oppure no. Un esempio
tipico della libertà è il diritto di sciopero: si chiama diritto, ma in realtà è una libertà
perché io sono libero di scegliere se fare sciopero per una determinata causa oppure no.
Libertà di farlo o libertà di non fare sciopero. Viceversa la nozione tecnica di diritto non
contempla il suo negativo. Esempio più estremo è il diritto alla vita, cioè il diritto alla vita
non contempla il diritto alla non vita (cioè il diritto di morire). Quindi, il diritto è una
situazione giuridica soggettiva che si può vivere solamente in positivo (diritto alla vita,
diritto ad un equo processo). Il diritto ad un equo processo non implica che tu possa avere
il diritto ad un processo non equo. Viceversa, la libertà di abbracciare una religione implica
anche il diritto di non scegliere alcuna religione. Quindi, vediamo che c'è una differenza da
un punto di vista tecnico-giuridico fra diritto e libertà. Dal punto di vista terminologico,
abbiamo parlato di convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali; a
volte troviamo un'espressione di mezzo, troviamo l'espressione diritti fondamentali.
Molti studiosi utilizzano l'espressione diritti umani come sinonimo di diritti fondamentali.
In realtà, queste due espressioni non sono sinonimi. Si fa riferimento ai diritti
fondamentali come a quei diritti che sono sanciti nell'ordinamento nazionale, quindi per
esempio la nostra Costituzione all'articolo 2 sancisce i diritti fondamentali. Quei diritti li
nell'ottica dell'ordinamento internazionale sono denominati diritti umani. Quindi, i diritti
umani nascono, si sviluppano e mutano nell'ordinamento internazionale, mentre i diritti
fondamentali vivono nell'ordinamento nazionale. Ciò non toglie che dal punto di vista
contenutistico vi è molto spesso una pressoché totale sovrapposizione, una pressoché
totale identità.
Il libro di ‘’Il diritto di avere diritti’’ di Stefano Rodotà. Lui utilizza quasi esclusivamente il
termine diritti fondamentali nel suo libro perché lui parla anche dell’ordinamento
internazionale, ma la sua ottica è quella internista. Quindi, giustamente usa l’espressione
diritti fondamentali.
Libertà di natura personale: non si può avere una vera libertà esterna se non si ha una
libertà interna, interiore. Di solito facciamo questo errore, cioè pretendiamo la libertà
dall'esterno, ma non la ricerchiamo all’interno. Questo è fondamentale perché se non
sappiamo interiormente chi siamo, che cosa vogliamo quando poi ci rapportiamo verso
l'esterno, quindi anche nel diritto internazionale dei diritti umani, per quello che riguarda
la nostra personale autodeterminazione non siamo più grado di scegliere tra il fare e non
fare, cioè non sapremmo più quella libertà di fare sciopero o di non fare sciopero, ma
siamo del tutto agiti dall’esterno. Sarà l’esterno che ci induce ad agire in un modo o in un
altro. Partiamo sempre da quella che è la nostra interiore conoscenza perché solo quella ci
dà la vera libertà che è una libertà di scelta; la libertà di scelta per noi esseri umani (che ci
distingue dagli esseri animali) implica la volontà con la quale dirigiamo il raziocinio
(l’intelligenza) e l’affettività. Quindi, ricordiamoci sempre questi tre centri. Non
dimentichiamoci mai che sono tre centri. Non lasciamo tutto al raziocinio, alla razionalità
perché non necessariamente la razionalità esaurisce l’ambito della verità. È uno degli
aspetti, ma non è l’unico. Esiste anche l’affettività.
La libertà non è mai assoluta, dipende dalla cultura che ho ricevuto, dalla famiglia in cui
sono nato, dalle condizioni economiche, dal momento storico in cui io nasco. È vero?
Se c’è una differenza economica ci sarà un motivo. Ognuno ha un po' la sua funzione e
queste diverse funzioni non possono che esplicarsi nella diversità. Se fossimo tutti uguali,
porteremmo tutti lo stesso elemento, lo stesso aspetto, la stessa matrice. Seneca sosteneva
che siamo stati creati diversi per imparare a comunicare e collaborare fra di noi. Siamo
diversi perché abbiamo uno scopo come essere umani che è quello di comunicare tra di noi
primo e secondo di collaborare. Pensieri assolutamente comuni che vengono rovesciati.
Vedere uno sfortunato in positivo; ognuno ha da portare qualcosa. Io collaboro per vedere
che cosa ho da portare e cosa ho da imparare. Ragionare put of the box, in modo diverso da
quello che ci costringono ad esprimere.
La vera libertà è la libertà di poter scegliere tramite la mia volontà di non essere sopraffatto
dai miei istinti, di superare l’aspetto animalesco, di agire l’affettività e il raziocinio. Quindi,
questo è arrivare ad essere ciò che sono. Essere ciò che sono implica libertà da, libertà di,
libertà di non. È difficilissimo. Quindi, prima di tutto partiamo dalla libertà da: eliminiamo
i condizionamenti esterni, pensiamo con la nostra testa e non solo agiamo.
Una volta che ci siamo liberati dall’esterno, una volta che siamo più vicini ad essere ciò che
siamo, arriveremmo a sentire la cosa più giusta per me. A quel punto io sono libera quando
io faccio ciò che ritengo essere più giusto per me. Quindi, arrivo ad una nozione di etica. È
una nozione di etica dove il termine giusto non è un giudizio che io passo giusto o
sbagliato, ma è la convinzione che ciò che sto facendo è veramente l’espressione di me
stessa e non è invece il frutto di ciò che mi è stato inculcato dall’esterno.
Come è che posso quindi sviluppare questa mia libertà interiore? C’è un metodo che
possiamo agire anche durante la pandemia ed è stare nella natura (spiaggia, giardino,
bosco). Lì non abbiamo i condizionamenti della società perché la natura non è società. È
nella natura dove probabilmente troviamo più facilmente un contatto con l’essere ciò che
siamo. Quindi, anche durante la pandemia possiamo trovare degli aspetti di positività. Non
è che la pandemia è positiva. È un’occasione fantastica per stare di più dentro di me, ed è
un’occasione fantastica per stare di più nella natura. E questo è un arricchimento
fondamentale. Se arricchiamo l’essere umano arricchiamo i diritti umani perché sono uno
degli elementi di questa diade.
-THE UNITED NATIONS HUMAN RIGHTS TREATY SYSTEM
Abbiamo esaminato il consiglio dei diritti umani, l’alto commissariato delle NU per i diritti
umani. Oggi parliamo dei trattati sui diritti umani.
All’estrema sinistra si ha il cosiddetto ‘’International Bill of Human Rights’’ che è
costituito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. E’ una Dichiarazione e
quindi non è uno strumento giuridicamente vincolante, anche se tutto il suo contenuto ad
oggi ha natura consuetudinaria, quindi è diventato nei decenni giuridicamente vincolante,
ma non in quanto dichiarazione ma in quanto norma consuetudinaria. Quindi, la
Dichiarazione universale del ’48 e i due Patti del ’66 (ICESCR: International Covenant
on Economic, Social and Cultural Rights e ICCPR: International Covenant on Civil and Political
Rights). Questi due patti insieme alla Dichiarazione universale formano il cosiddetto
framework internazionale dei diritti umani di base. Solo nel ’66 la Commissione per i
diritti umani delle NU è riuscita ad elaborare il testo di due Covenant (Patti, sinonimo di
Trattati o Convenzione: atti giuridicamente vincolanti), quasi vent’anni dopo l’adozione
della Dichiarazione universale perché c’erano ancora degli ostacoli da superare (le leggi
razziali negli Stati Uniti, l’apartheid in Sudafrica, reticenze da parte degli stati islamici con
riferimento al diritto di cambiare la propria religione), ma soprattutto fu la
decolonizzazione che a metà degli anni ’60 era quasi completata e quindi che aveva portato
gli stati di nuova indipendenza a voler dare un contributo sui diritti umani che non lo
avevano potuto dare con l’elaborazione della Convenzione del ’48. Però si è arrivati a due
Patti distinti perché i crivage che si erano instaurati fin dal ’46 all’interno della
Commissione per i diritti umani, cioè il differente approccio a questi diritti portato avanti
dall’occidente rispetto a quello dei paesi socialisti era ancora quanto mai vivo. Quindi,
ricordiamoci l’occidente privilegiava i diritti civili e politici. Viceversa, i paesi socialisti i
diritti economici, sociali e culturali. Quindi, la decisione salomonica di arrivare
all’adozione di due Patti distinti consentì alla Commissione per i diritti umani di uscire
dall’enpasse perché evidentemente questi due patti furono aperti alla firma da parte
dell’Assemblea Generale, significa che l’AG prese atto che ad un certo giorno del ’66 il testo
di questi due patti era definitivo, non poteva più essere modificato; però poi gli stati erano
liberi di firmare e ratificare l’uno dei due patti, entrambi o nessuno. Quindi, anche oggi ci
sono circa 170 gli stati che sono parte all’uno o all’altro trattato, ma non vi è coincidenza.
L’Italia invece si, ha ratificato entrambi i Patti. Noi studieremmo solo alcuni di questi
articoli, però sono Patti che contengono tutti i diritti della Dichiarazione universale e
quindi li rendono giuridicamente vincolanti per gli stati parte, ma vanno oltre la
Dichiarazione universale, aggiungono molti altri diritti. Uno per tutti il principio di
autodeterminazione dei popoli.
ICERD: (Convenzione sull’eliminazione della discriminazione razziale) del 1965.
CEDAW: Nel 1979 viene adottata un’importante Convenzione che è quella per
l’eliminazione della discriminazione contro le donne che è tutt’oggi un caposaldo per i
diritti delle donne, molto ratificata.
CAT: Nel 1984 abbiamo la nota Convenzione contro la tortura.
CRC: Nel 1989 è stato aperto alla firma la Convenzione per i diritti del fanciullo.
ICPMW: Nel 1990 è stato approvato la Convenzione per i diritti dei lavoratori migranti.
CRPD: Nel 2006 la Convenzione per le persone con disabilità.
CED: Nel 2006 è stata aperta alla firma la Convenzione per le sparizioni forzate.
Perché mettiamo tutti insieme questi trattati? Questi sono definiti i trattati delle Nazioni
Unite sui diritti umani. Che cosa si intende con questo termine? Questo non significa che
gli stati membri delle NU sono ipso facto parte anche a questi trattati. Ogni stato membro
delle NU è libero di ratificare o no uno, nessuno, una parte di questi trattati.
Perché allora si chiamano trattati delle NU? Per più motivi. Ne elenchiamo 3:
1)Il primo motivo è che tutti questi trattati sono stati aperti alla firma nell’ambito
dell’Assemblea Generale. Quindi, in qualche modo l’AG ha promosso, ha sostenuto questi
trattati. Però poi ogni stato membro era ed è libero di ratificarli oppure no.
2)In secondo luogo, questi trattati hanno caratteristiche simili. Ovviamente disciplinano
diritti umani diversi, quindi sono trattati di natura settoriale, ma hanno una cosa in
comune. Quindi, pur disciplinando materie dei diritti umani diverse, hanno in comune che
questi trattati creano anche un Comitato, ossia un organismo di individui esperti e quindi
siedono a titolo di esperti e non a titolo di rappresentanti dello stato e che hanno il
mandato di monitorare l’applicazione di ogni singolo trattato ad opera degli stati parte.
Sono questi i cosiddetti ‘’treaty bodies’’. Quindi, ognuno di questi trattati ha un comitato
di monitoraggio sulla sua attuazione. Non è poco perché siamo partiti dalla definizione di
diritti umani come quei diritti che tutelano il vulnerabile, il debole nei confronti di
eventuali abusi da parte del forte. I diritti umani tutelano gli individui in quanto
governanti dai possibili abusi del governo o dei governanti. Quindi, è solo lo stato che può
ratificare o non ratificare un trattato. I trattati per i diritti umani sono trattati particolari
perché vanno a beneficiare direttamente i singoli individui, ma siccome si rischierebbe di
avere un corto circuito perché quello stato che ha ratificato i diritti umano è lo stesso stato
che può violarli, ecco che all’interno delle NU si è trovato un meccanismo di controllo
sull’operato dello stato e questo meccanismo di controllo e il treaty monitoring body che è
formato da esperti. Il numero di esperti è variabile a seconda del comitato. In genere, sono
una quindicina; una quindicina che vengono eletti dall’assemblea degli stati parte, ma poi
gli individui siedono a titolo personale (non possono ricevere indicazioni da parte dello
stato di appartenenza).
I 3 motivi: il primo è il fatto che sono stati aperti alla firma ad opera dell’AG delle NU. Il
secondo è che tutti hanno un comitato di monitoraggio. E il terzo è che questo comitato di
monitoraggio riceve un rimborso spese da parte delle NU stesse. Cioè questi comitati
devono riunirsi (di solito si riuniscono tre volte all’anno, di solito si riuniscono a Ginevra
che è la sede ONU privilegiata per quanto riguarda i diritti umani), i membri di questi
comitati ricevono solo un rimborso spese (non sono stipendiati); hanno bisogno di spazi
per riunirsi, di un segretariato per i rimborsi. Tutto questo si fonda sul budget delle NU.
Questo è il terzo legame con le NU.
Le parole in corsivo (reports, individual complaints, inquiries) indicano il tipo di controllo
che ogni singolo Comitato può porre in essere nei confronti degli stati parte.
I reports sono dovuti a tutti i comitati. Quindi, questo significa che gli stati parte ad uno o
più di questi trattati hanno l’obbligo sancito nel trattato stesso di sottoporre
periodicamente (questo periodo di solito oscilla tra i 4-5 anni) al Comitato un rapporto in
cui descrivono gli aspetti attuativi più importanti relativamente a quel trattato stesso.
Quindi, se per esempio è stata passata una legge sul divieto di tortura oppure se sono state
poste in essere delle politiche volte a mitigare la tortura oppure se non è stata ancora
adottata una legge sulla nozione di tortura perché e cosa si prevede di fare. Questo è il
sistema id reporting, quindi questo è un modo per controllare l’azione dello stato.
Tutti questi meccanismi, anche il Comitato per i diritti del fanciullo, consentono anche
degli individual complains, tutti lo consentono tranne il ECOSOC. L’individual
complains è un termine già incontrato. Presso lo Human Rights Council (organo delle NU)
i singoli individui possono presentare dei reclami; però lo Human Rights Council non può
essere investito di qualunque violazione subita da quasi gli 8 miliardi di individui del
mondo su qualunque diritto umano. Lo Human Rights Council riceve solo i complains
relativi a violazioni gravi, sistematiche e tutt’ora on going. Viceversa, questi singoli
comitati possono ricevere anche individual complains, cioè non è necessaria la natura
grave e sistematica della violazione allegata, può essere anche una violazione semplice per
due motivi. Innanzitutto, ogni individuo può sottoporre al Comitato la supposta violazione
solo di quei diritti o quel diritto sancito nel trattato di cui il Comitato sta facendo il
monitoraggio. Quindi, nei confronti del comitato contro la tortura si potranno inviare
reclami solo relativamente a supposte violazioni di questo diritto. Non è che si potrà
investire il Comitato della tortura di un’eventuale violazione del diritto all’istruzione.
Questo aspetto limita fortemente il numero di indivudal complains che ogni singolo
comitato può ricevere. Ma poi c’è un’ulteriore limitazione che l’eventuale violazione del
diritto umano deve essere compiuta da uno stato parte a quel determinato trattato,
altrimenti il comitato non è competente a giudicare di condotte poste in essere da stati che
non sono parti a quel trattato.
Alcuni di questi trattati prevedono ulteriori meccanismi di controllo quali inchieste o
visite in loco.
Questi sono i cosiddetti trattati delle NU sui diritti umani. Questo non significa che non vi
siano altri trattati che hanno a che fare con i diritti umani e che non sono stati elaborati,
negoziati e poi aperti alla firma all’interno della grande famiglia delle NU. Al contrario, vi
sono numerose convenzioni aperte alla firma nell’ambito dell’OIL (organizzazione
internazionale per il lavoro), nell’ambito dell’UNESCO. La convenzione per la prevenzione
e la repressione del genocidio del ’48 adottata nell’ambito ONU. La convenzione del 1951
sullo status dei rifugiati. La convenzione del 1973 sull’apartheid. Anche queste convenzioni
fanno parte di questo sistema.
Questi trattati sono stati ampiamente ratificati dagli stati. Alcuni di questi, per esempio,
solo un paio di stati non li hanno ratificati. Quindi hanno una ratifica pressoché universale.
Alcuni di questi hanno numerose riserve. Tramite la riserva si ha un’accettazione parziale
di una o più clausole del trattato. Per esempio, è interessante l’esame delle riserve apposte
da determinate categorie di stati. Esaminando delle riserve, per esempio, si nota che gli
stati islamici hanno praticamente tutti apposto delle riserve estremamente simili il che ci
dovrebbe far riflettere sulla probabile non universalità delle clausole sottoposte a queste
riserve.
Questi trattati sono piuttosto risalenti nel tempo (’66, ’75, ’79, ’84, ’89). Non è che sono
trattati recentissimi, mentre la società umana muta. E quindi proprio sulla base
dell’assunto ubi societa ibi ius anche questi trattati possono necessitare di un
aggiornamento. Allora l’aggiornamento sui trattati per i diritti umani di solito avviene
tramite una procedura un po' particolare, cioè non si rimette in discussione il trattato
originario, cioè non si cerca di emendare il trattato originario; bensì si procede alla stipula
di un trattato aggiuntivo, che è a tutti gli effetti un trattato ma che assume una
denominazione differente, cioè viene denominato ‘’protocollo aggiuntivo’’ e quindi va
ad aggiungere alcuni diritti alla Convenzione di riferimento. La convenzione sui diritti del
fanciullo del 1989 si è dotata all’inizio degli anni 2000 di due Protocolli aggiuntivi, uno
sulla tutela dei minori nei conflitti armati e uno sulla tutela dei minori contro abusi
sessuali e pornografia. Aspetti di cui l’impatto sociale è importantissimo, ma che non erano
stati inseriti nella convenzione del ’89. Quindi, sono stati elaborati questi nuovi protocolli
che sono in tutto e per tutto dei trattati e quindi gli stati possono ratificare o no questi
protocolli. Non è che c’è un obbligo, non è che perché uno stato è parte alla Convenzione
sui diritti del fanciullo è obbligato anche a ratificare successivi protocolli. Può ratificarli
entrambi o nessuno. Di solito è richiesto per ratificare il Protocollo è richiesta già la ratifica
della Convenzione originaria. Ma a volte vi sono delle eccezioni. Per esempio, la
convenzione sui diritti del fanciullo è una di queste eccezioni. Gli Stati Uniti, per esempio,
non hanno ratificato la Convenzione sui diritti del fanciullo, mentre hanno ratificato i due
Protocolli opzionali. Questo è possibile se il Protocollo espressamente lo prevede.
Sulle caratteristiche delle singole Convenzioni, esamineremmo del dettaglio quella della
tortura, però su moodle abbiamo caricate le pagine del Focarelli.
-TRATTATI A CARATTERE REGIONALE
Finora abbiamo esaminato i trattati di natura universale, cioè trattati che possono essere
ratificati da qualunque stato del mondo. Quindi, non si ha una limitazione geografica. Ma
insieme ai tratti sui diritti umani di natura universale esistono dei trattati sui diritti umani
di natura regionale.
Il primo di questi trattati è la Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà
fondamentali. Questa Convenzione è stata aperta alla firma nel 1950, quindi solo due
anni dopo l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo in ambito ONU.
La Convenzione europea del 1950 riprende e approfondisce tutti i diritti civili e politici
enunciati nella Dichiarazione universale. (solo i diritti civili e politici) Quindi, è il primo
frutto di atto normativamente (giuridicamente) vincolante a cui la Dichiarazione
universale ha dato luogo.
Questo atto è stato elaborato all’interno di una organizzazione internazionale che non è
molto nota: il Consiglio d’Europa. Il Consiglio d’Europa (Council of Europe) non ha
niente a che vedere con il Consiglio dell’Unione Europea. Il Consiglio d’Europa è
un’organizzazione internazionale che ha sede a Strasburgo, creata nel 1949 con lo scopo di
sviluppare la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto sul continente europeo,
ovviamente aspetti che erano stati violentemente calpestati durante la II guerra mondiale e
soprattutto sul continente europeo. Quindi, vi è proprio un’organizzazione preposta
specificamente alla promozione di questi aspetti sul continente europeo. Quindi, essendo
un’organizzazione regionale aperta a tutto il continente europeo, ad oggi ve ne fanno parte
47 stati. L’ultimo ammesso è la Macedonia. E quindi include una grande nozione di
Europa, fino alla ex Unione Sovietica. Include gli stati come l’Uzbekistan, l’Armenia,
l’Unione Sovietica, i paesi slavi e quelli dell’Europa centrale ed occidentale, i paesi
balcanici. Invece, l’Unione europea (1992) oggi e prima Comunità economica europea è
stata creata nel 1957 con i trattati di Rom, quindi nasce qualche anno dopo il Consiglio
d’Europa e per non fare confusione ricordiamo che la Comunità economica europea nasce
economica, quindi nasce con obiettivi di natura meramente economica (l’unione doganale
esterna comune). Poi dal ’92 in poi trasformatasi in Unione Europea piano piano ha
iniziato ad occuparsi anche di diritti umani e oggi si è dotata proprio di una carta sui diritti
umani (la Carta di Nizza) che si applica anche all’Italia in quanto stato parte dell’Unione
europea. Però la vocazione dell’UE è di natura economica, non è di natura promozione dei
diritti umani. Viceversa, il Consiglio d’Europa è proprio un’organizzazione internazionale
che ha come vocazione di base la promozione e lo sviluppo dei diritti umani. Gli stati parte
dell’UE sono 27 (28 con il Regno Unito). Vediamo come l’UE è molto più ristretta, ha
un’organizzazione internazionale con una membership più limitata rispetto a quella del
Consiglio d’Europa.
La Corte europea dei diritti dell’uomo è l’organo giurisdizionale (organo che dice il
diritto, iuris dictio) creato dalla Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà
fondamentali del ’50. Quindi, la Convenzione europea entro in vigore nel 1953, la Corte
europea inizia a lavorare nel ’59. Quindi, l’Europa è stato il primo continente che si è
dotato di una Convenzione, quindi di un atto giuridicamente vincolante sui diritti umani e
il primo continente che si è dotato di una Corte sui diritti umani. Ovviamente questa Corte
è competente solo a giudicare di violazioni di quei diritti contenuti nella Convenzione
europea.
Aspetto molto interessante: negli anni c’è stato tutto un gradualismo, oggi uno stato che
voglia diventare membro del Consiglio d’Europa deve ipso facto anche aderire alla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e riconoscere la competenza obbligatoria (la
giurisdizione) della Corte europea. Ogni stato membro del Consiglio d’Europa deve sia
diventare parte alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che riconoscere la
giurisdizione della Corte europea. È un’organizzazione molto particolare perché obbliga gli
stati parte a sottoporsi ad una giurisdizione sovranazionale. Non è una giurisdizione
sostitutiva dei tribunali nazionali, è una giurisdizione di ultima istanza.
-12.03.2021
-CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Convenzione europea dei diritti dell’uomo: è il primo risultato giuridicamente vincolante
della Dichiarazione universale
Corte europea dei diritti dell’uomo: la Convenzione europea è un trattato che nella prima
parte sancisce, definisce i diritti sostanziali, quindi quali diritti questa Convenzione tutela.
Noi studieremmo il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù.
Nella seconda parte la Convenzione stabilisce un meccanismo di controllo che inizialmente
si articolava in due organi: una Commissione ed una Corte. Quindi, prima vi era una
Commissione europea dei diritti umani ed una Corte europea dei diritti umani.
La Commissione europea dei diritti umani è stata attiva fino al 1998 ed era competente a
ricevere reclami (vuol dire apertura di veri e propri processi da parte di singoli individui)
individuali solo a condizione che lo stato che si riteneva avesse violato il diritto umano
avesse espressamente accettato la competenza della Corte su questo punto. Gli individui
potevano rivolgersi alla Commissione, mentre alla Corte potevano rivolgersi solamente gli
individui di quegli stati che avevano espressamente riconosciuto la giurisdizione della
Corte europea dei diritti dell’uomo.
Inizialmente, soltanto tre stati hanno espressamente riconosciuto la giurisdizione della
Corte europea dei diritti dell’uomo a ricevere delle cause, dei reclami da parte degli
individui. Quindi, nel 1959 la Corte europea dei diritti dell’uomo inizia a lavorare con la
possibilità di ricevere reclami individuali da parte di soli tre stati.
La Commissione europea non può emanare sentenze. Le sentenze possono essere emanate
solamente da un tribunale o da una corte. La Commissione europea può solo emanare delle
raccomandazioni. Se la Commissione europea rinveniva una violazione di un diritto umano
e lo stato in questione non si rendeva disponibile a trovare una soluzione amichevole con
l’individuo relativamente a quella violazione, a quel punto la Commissione europea poteva
investire della questione la corte europea. Quindi, in qualche modo la Commissione
europea era un organo non giurisdizionale che però agiva da filtro nei confronti di un
organo giurisdizionale quale la Corte europea. Mentre direttamente alla Corte europea dei
diritti dell’uomo potevano rivolgersi solamente gli individui che avessero subito una
violazione dei diritti umani da uno dei tre stati che inizialmente avevano riconosciuto la
giurisdizione della corte. Quindi inizialmente la Corte aveva una giurisdizione molto
limitata. Ad oggi con gli anni mano mano gli Stati hanno sempre più riconosciuto
attraverso un atto di consenso la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell'uomo a
ricevere reclami individuali e ad oggi tutti e 47 gli stati membri del Consiglio d'Europa
hanno riconosciuto la giurisdizione della Corte europea a ricevere reclami individuali.
Quindi, siamo passati da una situazione del 1950 in cui vi era solo un organo non
giurisdizionale, cioè la commissione europea che poteva monitorare sull'applicazione della
convenzione europea in tutti gli Stati parte, però era un meccanismo di controllo che non
aveva strumenti di natura giuridicamente vincolante. La Commissione europea dei diritti
umani aveva poteri simili ai united nations human rights treaty bodies, dei comitati di
controllo dei trattati sui diritti umani. Quindi, i membri della commissione erano persone
che sedevano a titolo individuale, esperti di diritti umani quindi con autorevolezza, però
non avevano poteri vincolanti, ma comunque era una prima forma di controllo sui diritti
umani ed è stato importante questo gradualismo perché gli stati ancora non erano pronti a
rinunciare in modo cosi netto alla propria sovranità per tutelare i diritti umani, perché
tutelare i diritti umani significa andare a vedere, giudicare la condotta degli stati nei
confronti dei cittadini. Quindi, è chiaro che gli stati essendo loro che ratificano i trattati e la
convenzione europea dei diritti dell’uomo evidentemente è un trattato, non avrebbero
ratificato quella convenzione nel 1950 se quella convenzione avesse significato fin da
subito riconoscere che un ente terzo quale la Corte europea avesse potuto sindacare con
poteri giuridicamente vincolanti la loro condotta. Quindi, è stato necessario del tempo
affinché la coscienza degli stati e anche evidentemente degli individui che hanno fatto
pressione tramite le organizzazioni non governative. Le organizzazioni non governative
sono state e sono fondamentali nella tutela dei diritti umani perché agiscono da pungolo
verso gli stati. Quindi, grazie agli individui che hanno agito attraverso le organizzazioni
non governative è stato un pungolo nei confronti degli stati che piano piano hanno
riconosciuto negli anni la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo nei
confronti dei reclami individuali. La Corte europea è anche competente a ricevere reclami
interstatali, ma su questo non ci fermiamo. Quindi, oggi qualunque individuo soggetto alla
giurisdizione di uno dei 47 stati membri del Consiglio d’Europa può presentare un reclamo
direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Ovviamente vi sono dei requisiti di ammissibilità che devono essere rispettati e sono
numerosi e molto tecnici. I requisiti più importanti:
-in primo luogo, l’individuo in questione deve avere esaurito i ricorsi interni. Questo è un
requisito fondamentale altrimenti la Corte europea potenzialmente può essere investita di
cause da 820 milioni di individui (cittadini che formano il Council of Europe). Quindi,
chiaramente questo è un modo per limitare che la Corte sia sopraffatta dal numero di
ricorsi individuali. Ma la logica era anche un’altra. Cioè la logica è che non è che la Corte
europea dei diritti dell’uomo deve sostituirsi agli stati. E’ chiaro che la responsabilità
principale per il rispetto dei diritti umani e per i rimedi qualora i diritti umani siano stati
violati, la responsabilità principale risiede negli stati stessi. Quindi, non è che perché esiste
una Corte europea dei diritti umani che gli stati possono abdicare alla loro responsabilità
relativamente al rispetto dei diritti umani. Non è questa la logica della creazione della
Corte europea. La logica è che grazie all’esistenza della Corte europea gli stati siano ancora
più stimolati a rispettare i diritti umani e qualora abbiano compiuto una violazione siano
stimolati a porre rimedio a questa violazione nei confronti dell’individuo in questione.
Quindi, il requisito di ammissibilità relativo al previo esaurimento dei ricorsi interni si
pone proprio in questa ottica e significa che quindi l’individuo che ritiene di aver subito
una violazione dei diritti umani deve prima ricercare il rimedio a questa violazione
all’interno dello stato. Quindi, l’individuo in primo luogo dovrà ricorrere ai tribunali e alle
corti del paese in questione, quindi dovrà fare ricorso ai tribunali italiani (a seconda del
tipo di violazione: tribunali civili o tribunali penali) per richiedere quindi che alla propria
violazione sia fatta giustizia. Per esempio, il caso Cucchi: quello è un caso di supposta
violazione del diritto alla vita. Quali sono gli strumenti che lo stato italiano ha per
assicurare se il diritto alla vita è stato violato oppure no? Chiaramente sono strumenti di
diritto penale. Qualora però siano stati esauriti, quindi si sia fatto ricorso a tutti i tre livelli
di giustizia interna e comunque l’individuo ritenga che la violazione del suo diritto umano
non sia stata adeguatamente presa in considerazione a livello statale, quindi che non vi sia
stato un rimedio, tipico è il caso in cui in un processo penale non si siano poi rinvenuti i
colpevoli dell’atto penale per esempio oppure in un processo di natura civile non si sia
arrivati ad un risarcimento; allora una volta esauriti i rimedi interni, l’individuo può fare
ricorso alla Corte europea. Quindi, sostanzialmente prima di fare ricorso alla Corte
europea l’individuo deve dimostrare, deve inviare gli atti in cui dimostra che tutte le vie di
ricorso interne sono state esperite.
-L'altro requisito è che l'individuo che fa ricorso alla Corte europea deve essere
direttamente vittima della violazione. Evidentemente nel caso Cucchi l'individuo in
questione è deceduto e quindi vittime della violazione saranno gli aventi causa, cioè i
familiari.
-E l’altro requisito importante è che il ricorso alla Corte europea riguardi uno dei diritti
sanciti dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo o da uno dei protocolli aggiuntivi.
Per esempio, il diritto al lavoro non è sancito dalla convenzione europea. Quindi, un
individuo che faccia ricorso alla Corte europea per la supposta violazione del suo diritto al
lavoro, la Corte europea lo dichiarerebbe irricevibile perché non rientra nella sua
giurisdizione.
Una volta che la Corte europea dichiara ricevibile, ammissibile un ricorso poi quindi si
pronuncia nel merito e a quel punto quindi avremo un individuo contro Italia. Individuo X
è colui che ha presentato il ricorso, il ricorrente e lo stato sarà il convenuto.
Quindi il processo che si apre di fronte alla Corte europea ha natura civilistica. La Corte
europea dei diritti dell'uomo in cui sia un ricorrente (individuo) che agisce contro un
convenuto (stato), quindi la Corte dovrà giudicare se la supposta violazione del diritto
dell'uomo subita dall’individuo ad opera dello Stato è stata compiuta oppure no. Siamo in
giudizio di natura civilistica un po' perché la responsabilità penale è individuale (non esiste
una responsabilità penale dello stato; sanzione penale tipica è l’imprigionamento e come si
fa ad imprigionare uno stato). E poi perché la forma di rimedio che la Corte europea può
pronunciare qualora rinvenga effettivamente che un diritto umano sia stato violato è
solamente un risarcimento. Non sono sanzioni di natura penalistica che la Corte europea
può erogare. Può solo richiedere che lo Stato proceda ad un equo indennizzo
dell’individuo. Un equo indennizzo è però sempre complementare rispetto a quanto lo
stato ha eventualmente già provveduto a fornire all’individuo, quindi se andiamo a vedere
la parte dispositiva delle sentenze della Corte europea troveremmo che questi indennizzi
sono piuttosto limitati dal punto di vista della quantità economica che viene indicata
(quindi si monetizza), è quasi più un risarcimento di natura simbolica.
La nozione di responsabilità internazionale dello stato (responsabilità di natura civilistica)
 Se la Corte europea rinviene che lo stato ha effettivamente violato un diritto umano, in
quel caso lì dal punto di vista del diritto internazionale succede che la Corte europea sta
rinvenendo la responsabilità internazionale di quello stato. Quindi, sorge la responsabilità
dello stato perché esistono i due requisiti di responsabilità internazionale dello stato:
l’elemento soggettivo e l’elemento oggettivo. L’elemento soggettivo è rinvenibile perché la
Corte accerta che la violazione del diritto umano nei confronti di quell’individuo è stata
compiuta dallo Stato stesso (organo dello Stato). L'elemento oggettivo: vi deve essere una
condotta violativa di una norma consuetudinaria o convenzionale. In questo caso lo stato
ha violato una norma della convenzione europea dei diritti dell'uomo che è un trattato e
quindi una norma pattizia.
Quindi, una volta che è stata accertata la commissione dell’illecito ad opera di uno stato e
quindi sorge la responsabilità internazionale di cui lo stato a quali conseguenze si va
incontro? Varie conseguenze. In questo caso la conseguenza è di natura giurisdizionale,
quindi lo stato subisce una sentenza di condanna in sede civilistica. Lo stato è condannato
con una sentenza pubblica e questo concreta già una forma di riparazione dell’illecito. La
condanna per la violazione di una norma di diritto internazionale (in questo caso pattizia)
operata da un tribunale, in questo caso un tribunale internazionale (una Corte europea),
concreta già una forma di riparazione. Quindi, si ha una responsabilità internazionale,
dalla responsabilità internazionale dello Stato derivano delle conseguenze sul piano
internazionali, queste conseguenze danno luogo alla riparazione, all'obbligo da parte dello
Stato di provvedere alla riparazione e la sentenza è già una forma di riparazione. Facciamo
riferimento alla riparazione: soddisfazione. Sono tre le forme di riparazione: la prima è la
restituzione in integrum (ritorno alla situazione precedente), sui diritti umani non è quasi
mai possibile ritornare alla situazione precedente (diritto alla vita, divieto di tortura non
puoi tornare alla situazione precedente). Poi abbiamo il risarcimento monetario: qui
sicuramente siamo in presenza di un risarcimento e quindi questa è una forma di
riparazione. Quando lo stato accorda l’equo indennizzo indicato dalla Corte europea
evidentemente provvede a dare seguito a questa forma di riparazione. Un’altra è la
cosiddetta soddisfazione. Soddisfazione è una forma di riparazione per il danno morale e
quando si parla di diritti umani evidentemente il danno morale è quasi sempre esistente.
Quindi, una sentenza di condanna è già un riconoscimento dell’errore che lo stato ha fatto
e quindi questo già concreta una forma di riparazione per danno morale. Lo stato è
pubblicamente condannato. La soddisfazione è già una forma di riparazione. Quindi, non
dobbiamo stupirci se l’equo indennizzo non raggiunge vette stratosferiche perché
comunque già la sentenza di condanna è già una forma di riparazione per il danno subito
in questo caso ad opera dell’individuo.
La convenzione europeo all’art.15 prevede una clausola di deroga. Deroga significa
sospensori. Quindi, in circostanze eccezionali gli Stati parte alla convenzione europea
possono derogare, possono richiedere la sospensione di alcuni diritti sanciti dalla
convenzione. E l’Italia ha tuttora dichiarato un’emergenza interna dovuta al Coronavirus
ed è in ragione di questa emergenza che sta limitando (non completamente sospendendo)
alcuni dei nostri diritti. Lo stato non può sospendere o limitare qualunque diritto per un
tempo indefinito e senza alcun criterio, ci sono dei criteri giuridici da rispettare.
Caso Talpis: Italia condannata per violazione del diritto alla vita. Sentenza di condanna e
poi c’è stata l’indicazione di un equo indennizzo alla vittima, in questo caso alla signora
Talpis.
Conseguenze della rivenuta violazione dei diritti umani ad opera della Corte europea a cui
lo Stato va incontro  Sempre più infatti la Corte non solo si limita ad indicare il quantum
di indennizzo da corrispondere alla vittima, ma sempre più indica misure generali o
addirittura speciali che lo stato deve prendere. Esempio: sovraffollamento delle carceri.
Non solo la Corte si limita a richiedere che lo stato proceda ad indennizzare la vittima in
questione, il detenuto in questione ma richiede che prenda dei provvedimenti (in questo
caso di natura proprio pratica) volti a far sì che in futuro non vi siano violazioni di questo
tipo.
Per quanto la sentenza della Corte abbia evidentemente efficacia inter partes, quindi solo
limitatamente al caso concreto, negli ultimi anni la Corte si sta sempre più espandendo a
livello di conseguenze fino ad indicare delle misure anche piuttosto precise che lo stato
deve prendere per evitare il ripetersi di situazioni simili. Questa è una prassi che la Corte
europea ha un po' mutuato dalla Corte interamericana.
-CONVENZIONE AMERICANA SUI DIRITTI UMANI (1969)
Abbiamo una convenzione europea dei diritti dell'uomo che viene elaborata all'interno di
una organizzazione internazionale che è il Consiglio d'Europa (è un'organizzazione
internazionale regionale).
La convenzione americana dei diritti umani viene elaborata all'interno dell'organizzazione
internazionale regionale per l'America che è l’OSA, l’organizzazione degli stati americani.
Quindi, all’interno dell’OSA viene aperta alla firma nel ’69 questa Convenzione, che è
molto simile a quella europea solo contiene qualche diritto in più di natura economica e
sociale e come la Convenzione europea prevede oltre ai diritti sostanziali anche un
meccanismo di controllo, che si sostanzia in una Commissione interamericana per i diritti
umani e in una Corte interamericana per i diritti umani, con lo stesso tipo di competenze
che abbiamo visto per la commissione europea e per la Corte europea. La commissione
europea per i diritti umani ha finito le sue funzioni nel 1998, quindi dal 1998 non vi sono
più reports della commissione europea; proprio tramite un protocollo, il protocollo 11 tutti
gli Stati della convenzione europea hanno deciso di emendare tramite questo protocollo la
convenzione e quindi dal mio 1998 è stata abolita la commissione ed è rimasta in vita la
Corte europea. Quindi ad oggi tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa devono
obbligatoriamente ratificare la convenzione europea dei diritti umani e obbligatoriamente
riconoscere la competenza giurisdizionale della Corte europea. Tutti Gli Stati parte del
Consiglio d'Europa.
Invece, nell'ambito del continente americano siamo ancora nella situazione in cui si
trovava il Consiglio d'Europa pre 1998. Quindi, abbiamo ancora una commissione
interamericana che può ricevere reclami individuali, ma gli individui non si possono
direttamente rivolgere alla Corte interamericana, devono passare attraverso la
commissione interamericana. Comunque la commissione interamericana è molto
autorevole, è formata da individui esperti e quindi alcuni suoi reports anche se non sono
giuridicamente vincolanti hanno ha avuto un peso importante nel continente
latinoamericano che ha delle caratteristiche molto diverse da quello europeo. Mentre sul
continente europeo la Corte europea ha provveduto soprattutto a sviluppare diritti relativi
all' equo processo, all’irretroattività del diritto penale; invece, nel continente americano la
commissione e la Corte sono intervenuti per lo più in casi relativi al divieto di tortura,
relativi al diritto alla vita (pensiamo a tutti i regimi dittatoriali che si sono succeduti),
relativamente a casi di sparizione forzata. Quindi, i reports della commissione e la
giurisprudenza Della Corte interamericana privilegiano diritti umani diversi rispetto a
quelli che poi si è visto essere necessitari di una maggiore tutela sul continente europeo.
Gli Stati Uniti e il Canada non sono parte alla convenzione americana per i diritti umani.
Commettono un illecito internazionale a non essere parte alla convenzione interamericana
sui diritti umani? No perché Gli Stati sono liberi di ratificare o meno una convenzione.
Stiamo scoprendo che il continente europeo ha un meccanismo regionale di controllo sui
diritti umani. Il continente interamericano ha un meccanismo regionale di controllo sui
diritti umani anche se stati importanti come Canada e Stati Uniti non ne sono parte. E ora
arriviamo al continente africano. Anche il continente africano ha un meccanismo di
controllo, questa volta elaborato all’interno dell’organizzazione regionale africana che si
chiamava L’Organizzazione per l’unità africana e oggi invece denominata Unione Africana.
Qui la Convenzione sui diritti umani assume una denominazione un po' diversa e cioè
Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.
-CARTA AFRICANA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEI POPOLI
È stata elaborata un po’ dopo, siamo nel 1981 ed è in vigore fin dal 1986.
Quindi, anche questa carta in qualche modo contiene due parti. In una prima parte
enuncia i diritti di natura sostanziale che sono tutelati ed in una seconda parte dettaglia le
caratteristiche del meccanismo di controllo su questi diritti. I diritti umani sanciti nella
Carta africana sono un po' diversi dalle due precedenti Convenzioni regionali perché qui
innanzitutto sono proprio ben esplicitati i diritti economici, sociali e culturali. Poi viene in
rilievo l’eredità coloniale del continente africano e quindi vi troviamo dei diritti come, per
esempio, il diritto all’autodeterminazione dei popoli, vi troviamo il diritto allo sfruttamento
delle proprie risorse naturali ed economiche, il diritto allo sviluppo. Insomma, vi troviamo
dei diritti che ben si legano, chiaramente hanno un legame con la storia del continente.
Inoltre, troviamo una concezione dei diritti umani che è diversa rispetto a quella accolta In
Europa e in America, cioè nell’occidente. Troviamo cioè una concezione dei diritti umani
che collega questa nozione molto più strettamente alla comunità di quanto non avviene in
Europa e in America. E questo già lo vediamo dal titolo: titolo della carta è ‘’carta dei diritti
dell'uomo e dei popoli’’, quindi già si vede come l'essere umano non è concepito in quanto
individuo ma in quanto inserito in un popolo o come viene descritto dopo in una comunità.
Quindi, si trovano numerosi articoli, in particolare il 22 e il 29, in cui vengono dettagliati i
doveri che l'individuo ha nei confronti della propria comunità.
Questo in nuge era già presente nella dichiarazione Delle Nazioni unite del ’48, questa
convinzione lo esplicita.
Questo per quanto riguarda i diritti sostanziali. Con riferimento al meccanismo di controllo
previsto da questa carta: attenzione questa carta si limita a creare una commissione
africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, non crea una Corte. Nel 1981 gli Stati africani
non erano ancora pronti a concepire una Corte africana dei diritti umani e quindi hanno
creato una commissione africana dei diritti umani in tutto uguale alle altre due
commissioni regionali, quindi comunque composta di individui che siedono a titolo
personale (non come rappresentanti dello Stato) e che quindi monitorano l'applicazione
della carta africana senza però avere poteri giuridicamente vincolanti.
Nel 1998 è stato aperto alla firma un protocollo aggiuntivo alla carta africana con la quale
si crea una Corte africana per i diritti dell'uomo e dei popoli. Siamo nel 1998. Ovviamente è
un protocollo aggiuntivo, quindi è un trattato che li stati parte alla carta africana sono
liberi di ratificare oppure no. Questo protocollo ad oggi più o meno è stato ratificato da una
trentina di stati africani. Tutti gli parte della carta africana dei diritti dell'uomo e più o -1
trentina hanno ratificato anche il protocollo di creazione della Corte africana. Quindi,
questa Corte africana per i diritti dell'uomo è diventata operativa nel 2006 (quindi è una
Corte di recente creazione), ma affinché la Corte africana si possa pronunciare su ricorsi
individuali è necessario che lo stato abbia espressamente accettato una clausola a questo
effetto. Quindi, affinché la Corte africana possa ricevere ricorsi individuali occorre che lo
stato abbia accettato una specifica clausola. Ad oggi solo 8-10 stati africani hanno accettato
questa clausola. Quindi, capiamo che la competenza della Corte africana a ricevere ricorsi
individuali è piuttosto limitata, è limitata alle supposte violazioni dei diritti umani
compiuti da circa 8-10 stati del continente africano. Per il resto la Corte africana agisce
perché è investita di casi che le sono trasferiti dalla commissione, come avveniva a livello
europeo fino al mio 1998. Quindi è la commissione africana che in certe circostanze
trasferisce un caso alla Corte, ma altrimenti solamente gli individui che hanno subito la
violazione da quegli 8 stati che hanno riconosciuto la clausola specifica del protocollo del
1198 possono fare direttamente ricorso alla Corte africana.
Quindi abbiamo fatto tre continenti. Cosa succede a livello asiatico? Esiste una Corte
asiatica per i diritti umani? Non esiste una Corte asiatica per i diritti umani, non esiste
neppure una Convenzione asiatica per i diritti umani.
Nel continente asiatico esiste una carta per i diritti umani ma è una carta araba.
-CARTA ARABA PER I DIRITTI UMANI
La carta araba per i diritti umani è stata elaborata all'interno di una organizzazione
regionale che è denominata la Lega araba. La Lega araba è costituita da 22 Stati membri
(soprattutto del Nordafrica e del Medio-Oriente). Questa carta araba che è una carta, ma è
un trattato, è stata aperta alla firma nel 2004 all'interno della Lega araba. Quindi, solo di
stati della Lega araba possono ratificarla. Ad oggi l'hanno ratificata circa 15 dei 22 stati.
Quindi, la carta araba è molto interessante perché a prima vista se la leggiamo sembra
molto simile alle altre convenzioni regionali sui diritti umani.
In realtà contiene delle clausole molto problematiche e ommette il riconoscimento di
importanti diritti. Contiene clausole problematiche perché all’ART.2 fa riferimento al
sionismo come ad un fenomeno da combattere con qualunque mezzo. Quindi, questa
clausola è stata fortemente criticata a livello internazionale perché sembra faccia
riferimento alla legittimità dell'uso della forza per combattere il sionismo. Ma noi
sappiamo che nell’ambito internazionale vige il divieto della minaccia e dell’uso della forza
nelle relazioni internazionali e quindi questa clausola è stata additata come una violazione
di una norma di ius cogens. E se un trattato viola una norma di jus cogens che effetti
produce questa violazione della norma di ius cogens nei confronti del trattato?
Si Potrebbe anche sostenere che il trattato è nullo o nella sua interezza o relativamente a
quella clausola. Gli stati della Lega araba la pensano diversamente, quindi gli Stati che lo
hanno ratificato lo ritengono validamente applicabile. Questa è la clausola più
problematica, ma ve ne è un’altra molto problematica sancita all'articolo 43 perché
questo articolo condiziona l’interpretazione e l’applicazione dei diritti sanciti nella Carta
alle norme di diritto interno dei singoli paesi. Praticamente l’articolo 43 è una sorta di
clausola di salvaguardia. Quindi una clausola di salvaguardia dell'articolo 43 rischia di
rendere del tutto vane perlomeno alcune clausole della carta araba perché gli Stati si sono
mantenuti interpretare le norme della carta araba in conformità con il proprio diritto
interno.
La Carta araba prevede un meccanismo di controllo, il cosiddetto Comitato arabo per i
diritti umani ed è composto da 7 membri che siedono a titolo individuale. Questo
Comitato però ha dei poteri molto più limitati rispetto alle altre commissioni regionali di
controllo per i diritti umani.
Nel 2014 è stato adottato un protocollo all'interno della Lega araba istitutivo di una Corte
araba dei diritti umani. Non risulta che questa Corte sia attualmente attiva.
-Paesi del Nord Africa parti alla Carta araba (differenza tra firma e ratifica) (obblighi
confliggenti: quando sei parte a due trattati sulla stessa materia lo stato ha contratto
obblighi confliggenti. Allora, ne può uscire in vari modo: o uno dei due trattati contiene
una clausola di superiorità o di subordinazione, cioè o uno dei due trattati afferma quale ha
priorità sull’altro. Ma non è questo il caso. Oppure lo stato prima di ratificare il secondo
trattato studia gli aspetti di conflitto con il trattato precedentemente ratificato e procede
alla apposizione di riserve o eccettuative o interpretative in modo da rendere compatibili
entrambi i trattati. Qualora lo stato non abbia proceduto in questo senso oppure qualora
non vi sia la possibilità di risolvere il conflitto tramite le riserve lo stato si pone in una
situazione di potenziale violazioni di uno dei due trattati perché quando poi in un caso
specifico si troverà nella situazione di dover scegliere a quale trattato dovrà dare priorità o
gli viene in aiuto il principio che la legge posteriore deroga quella anteriore o la legge
speciale deroga quella generale, ma se questo non è il caso lo stato si troverà in una
situazione di dover scegliere quale obbligo rispettare e quindi quale obbligo violare.
Quindi, si troverà in una situazione di responsabilità internazionale. quindi, non è mai
auspicabile una situazione del genere però è la stessa situazione in cui si trova per esempio
l'Italia che ha ratificato sia la convenzione europea sia la convenzione internazionale
contro la tortura. Per fortuna, sulla tortura non ci sono profili di conflittualità. In generale
tra le carte regionali EI trattati universali non vi è conflittualità. Con riferimento alla carta
araba abbiamo visto la norma sul sionismo, e la norma che dà priorità alla sharia
evidentemente non è compatibile con gli altri diritti umani o può far trovare lo stato in una
situazione di conflitto.
-18.03.2021
-DIRITTO ALLA VITA
Iniziamo dal diritto alla vita. Iniziamo dal diritto alla vita perché dal punto di vista della
sistematica dei trattati sui diritti umani questo è il primo diritto che viene sancito in tutti i
trattati sui diritti umani. E quindi evidentemente questo mette in luce la centralità di
questo diritto.
In assenza di vita ogni altro diritto perde di senso. Quindi, la vita è il presupposto per il
godimento dei diritti umani. Quindi, evidentemente deve esistere un diritto alla vita. Se
non ci fosse un diritto alla vita chiunque potrebbe attentare alla vita altrui fino al limite
estremo dell’autodistruzione dell’umanità stessa. Quindi, è del tutto naturale che anche il
diritto internazionale ma non solo si sia dotato di strumenti di tutela della vita.
Questo che è un assunto incontrovertibile, in realtà poi dal punto di vista attuativo
presenta delle difficoltà che l’ordinamento internazionale non è ancora riuscito a
disciplinare in modo chiaro. Quali sono questa difficoltà? Sono legate alla nozione stessa di
vita. Evidentemente stiamo parlando del momento di inizio della vita e del momento di
fine della vita. Quindi, ci stiamo domandando se l’ordinamento internazionale presenta,
definisce in modo chiaro il momento a partire dal quale vi è vita e quindi vi è un diritto alla
vita e il momento a partire dal quale non vi è più vita e quindi nemmeno più un godimento
del diritto alla vita stessa.
Ci stiamo riferendo alla nozione di diritti del nascituro o diritti del feto da una parte,
quindi ci stiamo riferendo a tutti quegli aspetti che hanno a che fare con l’inizio vita. E
dall’altra ci stiamo riferendo ad una domanda cioè se un diritto alla vita possa essere
correlato da un corrispondente diritto di scelta di morire. Questi due aspetti sono solo
marginalmente disciplinati dai trattati sui diritti umani. Essenzialmente perché la nozione
di vita non trova una definizione unanime. Questa non è una mancanza dell’ordinamento
internazionale, è che anche a livello di ordinamento nazionale, anche a livello di ogni
singolo essere umano abbiamo, per quanto possa sembrare paradossale, una nozione di
vita molto diversa gli uni dagli altri.
Con riferimento all’inizio della vita, per esempio, c’è chi concepisce l’inizio della vita dal
momento stesso del concepimento. All’estremo opposto c’è chi considera che la vita ha
inizio solo al momento del parto, al momento in cui il feto viene dato alla luce. Vi sono poi
delle posizioni intermedie. Tre posizioni quindi. La terza posizione secondo la quale si ha
vita nel momento in cui il feto è in grado di vivere autonomamente, essenzialmente è in
grado di respirare autonomamente dalla madre e quindi intorno alla 22° settimana di
gravidanza. Questo per quanto riguarda l’inizio vita.
Per quanto riguarda il fine vita, vi sono delle concezioni sul fine vita legate all’attività
cerebrale, legate alla0attività cardiaca (quindi vi sono delle concezioni strettamente
biologiche), ma ve ne sono altre che oltre all’aspetto strettamente biologico prendono in
considerazione anche la qualità della vita. Quindi, per esempio un individuo che è
fortemente limitato nella sua autodeterminazione fisica o mentale sarebbe un individuo la
cui qualità della vita è talmente deteriorata da avvicinarsi ad uno stato di non vita.
Evidentemente a fronte di questa varietà di posizioni il diritto internazionale non può
prendere una posizione. Il diritto internazionale può farsi portatore di una visione o
generale della comunità internazionale, della maggior parte degli stati della comunità
internazionale e in quel caso si ha la formazione di una norma consuetudinaria. Oppure di
una visione limitata ad alcuni stati e allora si hanno dei trattati.
Non esistono norme consuetudinarie per lo meno norme consuetudinarie di chiara portata
relativamente alla nozione di inizio vita e di fine vita. Vi possono essere delle linee di
tendenza. Possiamo individuare più o meno la direzione nella quale la comunità
internazionali si sta orientando, ma questo è un percorso ancora in divenire, ancora in
fieri.
Quindi, riferiamoci ai trattati, alle norme pattizie. Vediamo se almeno le norme pattizie ci
danno qualche indicazione a questo riguardo.
Per quanto riguarda i trattati lasciamo da parte la Dichiarazione universale che non è un
trattato, però la Dichiarazione universale non ci aiuta molto perché con riferimento al
diritto alla vita semplicemente in modo molto sintetico stabilisce che ‘’ognuno ha il diritto
alla vita’’. Non ci indica alcunché relativamente all’inizio o alla fine della vita.
Questo è l’approccio adottato da tutti i trattati regionali sui diritti umani e dal patto sui
diritti politici e civili del 1966, con un’unica eccezione che è la Convenzione
interamericano o Convenzione americana sui diritti umani. È quella Convenzione
regionale elaborata all’interno dell’Organizzazione degli stati americani, aperta alla firma
nel 1969 e entrata in vigore una decina di anni più tardi. Capiamo ancora come gli anni in
cui si è dibattuto in modo molto approfondito dell’inizio vita sono soprattutto gli anni ’70,
con riferimento al diritto o meno all’aborto. Negli anni ’60 questa discussione stava
cominciando a svilupparsi e di questa è testimonianza la Convenzione americana, la quale
all’ART.4 afferma che ‘’il diritto alla vita in generale inizia dal momento del
concepimento’’. Quindi è l’unico trattato sui diritti umani che dà una chiara indicazione di
natura temporale relativamente all’inizio della vita. Quindi, in generale il diritto alla vita e
la vita stessa ha inizio con il concepimento. Quindi, evidentemente questa Convenzione
mira alla tutela più completa possibile dell’essere umano, è quella che ha una portata
evidentemente più ampia almeno stando alla lettera della Convenzione stessa. Attenzione
però perché è importantissima l’espressione che viene subito prima della parola
concepimento, cioè l’espressione ‘’in generale’’. Quindi, l’art.4 della Convenzione
americana stabilisce che il diritto alla vita è tutelato in generale fin dal momento del
concepimento.
Allora questa espressione ‘’in generale’’ come è stata interpretata dagli organi di controllo
del sistema interamericano sui diritti umani? È stata interpretata in modo piuttosto
estensivo perché fin dagli anni ’80 la Commissione interamericana dei diritti umani ha
affermato che l’espressione in generale contempla la possibilità che almeno in alcuni casi vi
possano essere delle situazioni in cui il concepito non deve essere ancora considerato
portato del diritto alla vita. È vero la norma afferma che in linea generale il concepito ha il
diritto alla vita, ma questo significa che in casi particolari può non averlo. Questo in realtà
è una raccomandazione (la Commissione non può emanare sentenze, emana
raccomandazioni) che ha dato luogo a molte discussioni, dibattiti e che tutt’ora non è
unanimemente seguita dalla giurisprudenza della Corte interamericana, quindi sul punto
la Corte interamericana si è espressa a volte a favore a volte contro i diritti del concepito.
Quindi, non vi è un’uniformità di vedute. Però sostanzialmente nel caso deciso nel ’81 dalla
Commissione interamericana, questa Commissione aveva rinvenuto la compatibilità fra
alcune leggi interne statunitensi sul diritto di aborto e la convenzione stessa. Quindi,
questa è sicuramente la prima raccomandazione internazionale emanata comunque da un
organo autorevole come la Commissione interamericana per i diritti umani in cui si ritiene
che certe leggi sull’aborto sono compatibili con il diritto alla vita. Quindi, evidentemente
questo ha dato luogo a molte critiche perché si riteneva che la tutela prevista dalla
Convenzione americana nei confronti del nascituro fin dal momento del suo concepimento
fosse violata da qualunque legge sull’aborto.
La Corte interamericana si è poi pronunciata (non in molti casi) in via vincolante sulla
questione ma senza adottare un orientamento uniforme.
Venendo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo questa pure stabilisce che
ogni essere umano gode del diritto alla vita, ma non opera alcun riferimento al momento di
inizio della vita. Pertanto, evidentemente anche qui è il meccanismo di controllo, in
particolare la Corte europea, che quando investita di casi relativi alla tutela del nascituro
ha dovuto pronunciarsi sulla questione. E come si è pronunciata? Anche qui in modo
piuttosto ambiguo.
L’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo è nel senso di non negare i diritti
del nascituro (o feto), però fino adesso 1) la Corte non ha mai specificato il momento
temporale a partire dal quale eventualmente il feto avrebbe questi diritti (se al momento
del concepimento o dalla 22° settimana in poi). 2) Ed in ogni caso anche i diritti del
nascituro non possono essere tutelati a detrimento dei diritti della madre.
Queste due orientamenti sono espressi in modo consistente, uniforme. Quindi possiamo
dire che sono sicuramente dei principi cardine che ormai vanno ad individuare il
contenuto del diritto alla vita secondo la Convenzione europea.
Quale è il centro del ragionamento della Corte europea? La Corte europea non vuole
escludere che il feto goda del diritto la vita, ma sicuramente pone prima i diritti di chi è già
in vita e quindi in questo caso i diritti della madre.
A questo punto si pone l'ulteriore problema di sapere quali sono i diritti della madre che
possono essere tutelati prioritariamente nei confronti del diritto del nascituro. Per
esempio, qualora il portare avanti una gravidanza applicassi il pericolo per la vita della
madre saremmo d'accordo sul fatto che vada data priorità alla madre. Quindi, in questo
caso abbiamo un bilanciamento tra due diritti alla vita e quindi daremmo molto
probabilmente priorità al diritto della madre. Ma qualora il diritto in questione non sia
diritto alla vita, ma per esempio un diritto che pone il divieto di trattamento inumano.
Quindi, per esempio un diritto di porre la madre in una situazione che non la umili, non
umiliante. Immaginiamo una gravidanza frutto di una violenza e quindi il perseguirla
darebbe luogo ad una umiliazione per la madre.
Ebbene in questi casi come si pone il diritto internazionale? Questi sono casi molto difficili
su cui non c'è una risposta univoca, in questi casi la Corte verificherà molto nel dettaglio e
ogni singolo caso. Fino ora si è orientata in un modo che lascia perplessi molti.
Finora la Corte ha detto guardate in questi casi, che non sono casi limite (come quello di
bilanciare la vita del nascituro con la vita della madre), in casi più delicati la Corte si
rimette alla normativa statale. La Corte europea dei diritti umani lo può fare perché la
corte europea dei diritti umani deve applicare la Convenzione europea dei diritti umani,
ma siccome la convenzione europea sui diritti umani su quel punto è silente, né afferma né
nega, allora quale è il metodo che adotta la Corte europea? Questo è un punto importante.
In assenza di una espressa previsione nella convenzione europea, la Corte esamina se ci
sono delle norme comuni sul punto nei paesi parte alla convenzione.
La Corte verifica se vi è un consenso diffuso, quindi esamina la prassi degli stati,
limitatamente alla tematica specifica. Su questo aspetto pacifico del rapporto tra diritto
della madre e diritto del nascituro in casi non limite la Corte ha più volte affermato che
non vi è un’uniformità di vedute all'interno degli stati parte alla convenzione europea dei
diritti dell'uomo. E quindi la Corte adotta quella che viene definita la dottrina del
‘’margine di apprezzamento’’. È proprio una dottrina interpretativa, uno strumento di
interpretazione in base al quale in assenza di prassi uniformi fra gli Stati parte alla
convenzione europea, la Corte rimette la questione all’interpretazione del singolo stato.
Questa è una metodologia che la Corte utilizza spesso e che è utile per dar conto di quel
relativismo dei diritti umani, chiamiamolo in questo caso localismo dei diritti umani di cui
abbiamo solo marginalmente accennato ma di cui tutti siamo consapevoli. È vero cioè che
la regione europea è una regione più omogenea rispetto ad altri continenti, ma è anche
vero che al suo interno vi sono stati contraddizioni culturali e quindi normative
profondamente diverse. Quindi questa dottrina del margine di apprezzamento è una
dottrina molto nota e molto applicata che si è stata sviluppata da prima dai giudici a Corte
europea ma poi è stata adottata anche dai giudici delle altre corti regionali sui diritti
umani. In virtù di questa dottrina la Corte riesce a evitare di imporre agli stati la propria
visione in materie in cui la convenzione non è esplicita e in materia in cui la prassi degli
stati non è univoca.
(La Corte deve limitarsi ad interpretare ed applicare il diritto. Se il diritto contiene una
norma non chiara, come in questo caso, la Corte se si spingesse molto nel dettaglio
rischierebbe di trasformarsi in un legislatore. Allora, siccome è una Corte sussidiaria delle
corti nazionali. Quindi questo vuol dire che prima che il caso di una signora arrivi alla
Corte europea, ci sono già stati 3 ° giudizio interni, in questi casi si dice la Corte opera una
sorta di rispetto nei confronti di quella che è già la pronuncia interna. Però ovviamente
quando non siamo nei casi limite di violazioni del diritto alla vita, della violazione del
divieto di tortura. Nei casi limite la Corte si pronuncia. Nei casi non limite invece li invia
allo stato nazionale. La Corte deve farsi portatrice delle esigenze degli stati parte del loro
insieme quindi questo caso anche delle esigenze della Polonia.
E’ un modo per continuare a far sì che la Corte viva perché altrimenti rischiamo piano
piano che gli Stati si sottraggano alla convenzione europea. 2) Così facendo comunque la
Corte è di stimolo agli stati parte perché, comunque, una sentenza che fa leva sul margine
di apprezzamento dello Stato, per esempio, in materia di aborto, è comunque una
sentenza. Si arriva comunque poi ad una condanna o ad un rinvenimento della non
responsabilità. Quindi, qualunque sia il metodo è comunque una sentenza, è comunque
vincolante per lo stato.)
Un po' la stessa apertura si rinviene anche con riferimento al fine vita. Anzi qui la
questione è ancora più spinosa perché quando si parla di fine vita (ci riferiamo a tutte
quelle situazioni in cui si pone fine alla vita in modo non naturale o tramite un suicidio
assistito o tramite la sottrazione di strumenti che consentono il perseguimento artificiale
della vita). Bisognerebbe già fare dei distinguo fra tutte queste modalità di porre fine in
modo artificiale alla vita. Ma comunque nessun trattato sui diritti umani stabilisce il
termine della vita. E questo tra l'altro per motivi ancora più comprensibili che non quelli
riferibili all'inizio vita perché il tema del fine vita è un tema piuttosto recente, mentre
dell'aborto si è cominciato a parlare negli anni ’60-’70, del fine vita fino agli anni ‘90 non
se n'è parlato, e negli anni 90 tutti i trattati universale sui diritti civili EI trattati regionali
sui diritti umani erano già stati adottati. Quindi, davvero per quanto riguarda il fine vita
non troviamo assolutamente alcun aiuto nei trattati.
E anche qui la prassi normativa degli stati è molto diversa. Quindi, abbiamo stati che
hanno una normativa piuttosto liberale con riferimento al fine vita; per esempio la
Svizzera, i Paesi Bassi. E abbiamo invece stati che sono assolutamente molto ristrettivi con
riferimento al fine vita. L’Italia si pone in una zona di mezzo. Noi abbiamo una legge del
2017 che disciplina il consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento (Legge
219 del 22 dicembre 2017), che in qualche modo apre degli spazi relativamente al fine
volontario della vita.
Anche in questi casi la Corte europea (è la Corte dove di gran lunga se hanno avuti più casi,
3 o 4 sono i casi della Corte europea relativi al fine vita, per cui sono ancora molto pochi).
Il ragionamento di fondo è quello che ci riporta a quanto analizzato sulla distinzione tra
diritto e libertà. La libertà implica il godimento del suo contrario. Quindi, la libertà di
scioperare implica anche la libertà di non scioperare. Viceversa, un diritto non implica il
suo contrario e quindi qui ci torna utile ricordare questo assunto di fondo. Quindi, il diritto
alla vita non implica un diritto di morire. Quindi, il suicidio non è un atto legale in nessun
ordinamento, quindi nemmeno il suicidio assistito è un atto legale in nessun ordinamento.
L’eutanasia in alcuni ordinamenti è un atto legale, ma allora la Corte europea la ritiene
compatibile con il diritto alla vita solamente in situazioni molto specifiche.
Per ora le ha ritenute compatibile con la convenzione europea solamente in situazioni
molto specifiche; sostanzialmente in casi in cui non vi è possibilità di recupero della salute
da parte dell’individuo, nei casi in cui l'individuo può dare il consenso circa il fine della vita
e nei casi in cui vi sono tutta una serie di garanzie procedurali da rispettare. Ora le garanzie
procedurali sono numerose quelle che la Corte elenca. Ne enunciamo due: il primo è che la
decisione circa la irreversibilità della patologia dell’individuo provenga da più medici; il
secondo è che anche la famiglia, i familiari dell’individuo siano informati della scelta di
questo individuo.
Il diritto internazionale ancora si avvale molto del riferimento agli ordinamenti interni su
questioni così delicate e così aperte come quello dell’inizio di fine vita.
Sarà da continuare a studiare gli sviluppi interni in questa materia perché saranno solo gli
sviluppi interni in questa materia che poi informeranno di sé l’ordinamento internazionale.
ESERCIZIO:
Cerchiamo gli aspetti positivi di questa pandemia e delle sue conseguenze.
Si può dividere quello che è stato detto in 3 macrocategorie:
1)il rapporto con me stesso
2)il rapporto con l’altro
3)il rapporto con l’esterno, con il contesto.
1)Per quanto riguarda il rapporto con me stesso qui viene in rilievo soprattutto cioè che
questa forzata limitazione perdurante della libertà esterna. Non è limitata anche la mia
libertà interna, la libertà nei confronti di me stessa. È aumentata la nostra capacità di stare
da soli. Significa che siamo più consapevoli della esistenza di una libertà interiore che non
ha niente a che vedere con l’esterno. Io sono padrona di ciò che è dentro di me, sono
padrona della mia solitudine. Se noi ci disperdiamo molto nel godimento della libertà
esteriore, la nostra libertà interiore non viene esercitata. Quindi il nostro stare in
solitudine non vien esercito fino al punto in cui non riusciremmo più a starci. Noi
nasciamo soli e moriamo soli. Ma quanto della nostra vita passiamo soli con noi stessi?
Molto poco. Questa è un’occasione per sviluppare la nostra libertà interiore.
Vuol dire essere più consapevoli della propria salute psicologica, di ciò che ci fa bene e di
ciò che ci fa male, di ciò che ci fa stare meglio e di ciò che ci fa stare peggio.
Lo spazio di libertà interiore non ha solo a che fare con quello che per me è importante, ma
ha anche a che fare con la mia creatività (pensare in modo diverso: didattica a distanza
esempio). Quindi, rivedere anche certe convinzioni. Per esempio, la convinzione secondo la
quale se non esco tutti i giorni sto male la posso rivedere. Rimetto in dubbio e vedo se c’è
un modo nuovo (creativo) di affrontare quella questione. Due termini fondamentali, due
risorse: CONSAPEVOLEZZA e CREATIVITA’. Se trovi uno spazio di libertà interiore,
questo dolore diminuisce (non mi faccio schiacciare dall’esterno). Lo spazio di libertà
individuale dà la possibilità di scegliere come vivere ogni situazione. Soprattutto a livello
interiore, a livello di libertà individuale io posso sempre scegliere come vivere una certa
situazione, anche una situazione estrema come quella dell’epidemia. Non sempre io possa
scegliere il cosa (epidemia), ma posso sempre scegliere come viverla.
2)Riscoperta del rapporto con l’altro, a livello familiare, ma si può estendere anche ai
rapporti non familiari. C’è la necessaria selezione dei rapporti: quando posso uscire una
sola volta al giorno per vedere un amico, io necessariamente deve selezionare. La selezione
in questo caso va intesa come una scelta, come un’azione di scelta e la scelta laddove è
espressione di me individuale è sempre positiva, è sempre una crescita.
Si arriva invece ai rapporti malati con l’altro (violenza sulle donne, violenza sui minori) che
sono stati visti in maniera più chiara e che quindi ci consentono di consapevolizzare.
Questa è l’epidemia, un caso estremo che ci aiuta a consapevolizzare sia quali sono i
rapporti per noi importanti sia quali sono i rapporti che invece mettono profondamente a
rischio la nostra integrità.
3)Inquinamento, necessità di investimenti sulla sanità. Per migliorare il livello di rispetto
dell’ambiente, il diritto alla salute era proprio necessario arrivare ad una situazione così
estrema? Due cose: di questi aspetti in realtà l’ordinamento nazionale e internazionale si
occupano e internazionale si occupano. Non abbiamo completamente trascurato i livelli di
inquinamento. Se ne parla dagli anni ’80. Attenzione a non estremizzare. Però questa
epidemia ha fatto emergere il senso di realtà. Noi abbiamo una cosa fondamentale in
comune con gli animali, siamo esseri anche istintuali. L’istinto è quello verso la
sopravvivenza. Molte volte può portare alla sopraffazione, quindi può portare a far valere i
miei interessi personali rispetto agli interessi degli altri. È sempre necessario quel lavoro di
sviluppo del raziocinio, del cuore e della volontà perché solo questi tre aspetti limitano le
derive dell’istinto. Eliminano gli aspetti animaleschi della parte di noi. Facciamo sempre
riferimento al testo di J. Hamburger. Questo è un continuo esercizio, continua conquista:
l’epidemia ce le ha fatti vedere questi aspetti in maniera ancora più eclatante, ma sono
comunque aspetti che noi stavano già agendo in maniera inconsapevole fin da prima.
Magari da ora in poi possiamo agire in maniera più consapevole. Noi siamo nati così e
finché noi non accettiamo anche questa parte di noi, si va poco lontano. Però accettarla
non significa giustificarla e non fare nulla per limitarla.
-19.03.2021
Esercizio sugli effetti della pandemia: obiettivo quello di riflettere sulla nozione di libertà.
Riflettere sui due aspetti di libertà: aspetto esteriore e aspetto interiore.
-DIRITTO ALLA VITA
Ieri abbiamo trattato della centralità del diritto alla vita e al contempo abbiamo messo in
luce varie difficoltà sul dire il momento a partire dal quale l’essere umano gode di questo
diritto e questo diritto è anche incluso il diritto di stabilire da soli il momento di porre fine
alla vita stessa. E abbiamo visto come non ci siano norme così chiare nel diritto
internazionale dei diritti umani, e ci sono delle linee di tendenza ma il percorso non è
ancora ben definitivo.
Oggi parliamo di questioni che sono più definite all’interno del diritto internazionale dei
diritti umani relativamente al diritto alla vita. E parliamo da una parte di quelli che sono
gli obblighi negativi che gli stati hanno in relazione al diritto alla vita e dall’altra degli
obblighi positivi. Gli obblighi negativi consistono nell’astensione dal fare qualcosa da parte
dello stato, quindi poiché parliamo di diritto alla vita evidentemente gli obblighi negativi in
questione hanno a che fare con l’astensione dello stato dal porre in essere atti che possano
attentare alla vita di un individuo. E questa è la nozione classica che i diritti umani
contemplano con riferimento al diritto alla vita perché gli obblighi negativi per eccellenza
hanno a che vedere con la pena di morte e con la nozione di privazione arbitraria
della vita. Pena di morte e privazione arbitraria della vita hanno a che vedere con gli
obblighi negativi in capo agli stati relativamente al diritto alla vita. Gli obblighi positivi
invece sono obblighi di fare, quindi sono obblighi sorti piuttosto recentemente e
consistono in tutte quelle azioni che lo stato deve intraprendere per garantire la protezione
della vita degli individui. Vedremmo che lo stato a volte può adottare una varietà di misure
per proteggere gli individui.
-OBBLIGHI NEGATIVI
PENA DI MORTE: La pena di morte è vietata oggi dal diritto internazionale dei diritti
umani oppure è permessa? È vietata e ci sono alcuni paesi che violano questa norma
oppure non è vietata ma si va verso una progressiva abolizione di questa pena?
In Europa la pena di morte è praticamente inesistente, cioè vi è stata un’evoluzione in
Europa (intendiamo l’Europa del Consiglio d'Europa, quindi dei 47 paesi) per cui ad oggi
possiamo ritenere che il Consiglio d'Europa è uno spazio virtualmente libero dalla pena di
morte. Quindi, in concreto l’Italia ha abolito la pena di morte già da molto tempo, prima
l’ha abolita in tempo di pace e poi l’ha abolita in tempo di guerra. Quindi, non è una
questione che ci tocca poi così da vicino.
Però è altrettanto vero che paesi importantissimi invece la ritengono ancora legale. Come
sta la questione dal punto di vista del diritto internazionale dei diritti umani? In linea
generale i trattati sui diritti umani di cui abbiamo parlato finora sia i Trattati di natura
universale sia i trattati di natura regionale non prevedono un divieto tout cour della pena
di morte. Adottano una impostazione molto realista, cioè né la vietano espressamente né
espressamente la consentono. Si limitano a stabilire che qualora in uno stato parte a quel
trattato sia in vigore la pena di morte, questa deve essere combinata e poi eseguita nel
rispetto di alcuni criteri che sono dettagliati in questi trattati. possiamo dire che in linea
generale ad oggi non esiste il divieto di pena di morte nel diritto internazionale, tuttavia il
diritto internazionale pone dei limiti alla combinazione di questa pena di morte.
Ci può un po’ sorprendere che il diritto alla vita è così fondamentale, al contempo gli stati
sono lasciati liberi dal punto di vista normativo di uccidere una persona perché la pena di
morte si tratta di uccidere una persona che non sta in quel momento ponendo un rischio
reale nei confronti degli altri individui. Non siamo in una situazione di legittima difesa per
cui non ho altra scelta se non quella di eliminare la mia minaccia. Siamo in una situazione
in cui l’individuo è stato arrestato, è stato sottoposto a giudizio, condannato. Quindi, non
sta ponendo un rischio alla mia vita, alla vita degli altri. Questo ci può sorprendere.
Allora, come mai non esiste questo divieto nei trattati sui diritti umani? Perché all’epoca in
cui i trattati sono stati redatti (il primo trattato sui diritti umani che è stato elaborato è la
Convenzione europea dei diritti umani del 1950, poi abbiamo i due Patti del ’66, poi
abbiamo la Convenzione americana del ’69 e così via). Quindi, negli anni ’50-’60 il livello
della coscienza della comunità internazionale relativamente alla pena di morte era molto
diverso rispetto a quello di oggi, cioè era molto più a favore della pena di morte rispetto a
quanto non sia oggi. Prevaleva un concetto di giustizia di natura punitiva per cui a fronte di
crimini estremamente gravi la pena di morte era una pena assolutamente adeguata.
E quindi troviamo che nella convenzione europea, nei patti del 66 e in tutti i trattati
regionali sui diritti umani si stabilisce che laddove uno stato mantenga la pena di morte
deve rispettare alcuni criteri, alcune condizioni. Quali sono queste condizioni? Le più
importanti: prima di tutto la pena di morte può essere comminata solamente per i reati più
gravi. In secondo luogo, la pena di morte può essere comminata solo a seguito di un
processo equo. In terzo luogo, non può essere comminata nei confronti di minori di anni
18. Queste sono le limitazioni principali, comuni a tutti i trattati. Quindi, queste condizioni
devono anche oggi essere rispettare dagli stati parte alle relative convenzioni.
Negli anni la coscienza internazionale relativamente a questo problema si è evoluta al
punto che tutti i trattati sui diritti umani che contengono questa norma solo limitativa alla
pena di morte, sono stati corredati di un protocollo aggiuntivo che la elimina, che la vieta,
che la proibisce. Quindi, sia il patto sui diritti civili e politici, sia la convenzione europea,
sia la convenzione americana ecc. sono tutti stati corredati ad eccezione della Carta araba
per i diritti umani (non ha protocollo aggiuntivo sul divieto della pena di morte, i paesi
arabi mantengono praticamente tutti la pena di morte), ma tutti gli altri hanno visto aprire
alla firma un protocollo che vieta la pena di morte. Questi protocolli che vietano la pena di
morte ovviamente sono dei trattati e quindi gli stati sono liberi di ratificarli o no. E quindi
qui si ha una geometria variabile. Evidentemente gli Stati Uniti che sono parte al Patto sui
diritti civili e politici non hanno invece ratificato il protocollo aggiuntivo al Patto relativo
alla pena di morte e ovviamente sono liberi di farlo.
Quindi, sicuramente si può affermare che nel diritto internazionale dei diritti umani vi è
una chiara tendenza nel senso di andare verso la abolizione tout court della pena di morte.
Questa è sicuramente una tendenza.
Dato statistico su questo aspetto: sito di Amnesty International che porta avanti dagli anni
’60 la causa dell’abolizione della pena di morte a livello mondiale.
Qualche dato: l’84% delle esecuzioni della pena di morte sono portate avanti solo da 4 stati
tra i quali non rientrano gli Stati Uniti: al primo posto la Cina (le stime parlano di migliaia
di esecuzioni di pena di morte all’anno), poi abbiamo l’Iran, poi l’Iraq e l’Arabia Saudita.
Nel continente americano gli Stati Uniti sono l’unico paese esecuzionista.
In Europa ve ne è uno solo paese detenzionista: la Bielorussia, che non è nemmeno parte
del Consiglio d’Europa. Praticamente per ciò che riguarda l’Europa intesa come Consiglio
d’Europa è questa una zona virtualmente libera dalla pena di morte perché i protocolli (2
in questo caso) che vietano la pena di morte l’uno in tempo di pace e l’altro in tempo di
guerra sono stati ratificati da tutti gli stati membri del Consiglio d’Europa tranne due, la
Russia e l’Azerbaijan. Però comunque di fatto questi due paesi anche se comminano la
pena di morte (la pena di morte è ancora in vigore formalmente, quindi i giudici possono
passare delle sentenze relative alla pena di morte ma non vi sono esecuzioni) in realtà da
vari anni adottano la moratoria, cioè non danno seguito a queste pene di morte, cioè non
eseguono, non ci sono state esecuzioni per pene di morte. Anche se ad un individuo è stata
comminata la pena di morte, poi in realtà quell’individuo resta in detenzione per tutta la
vita. Una moratoria sull’esecuzione. L’eccezione è la Bielorussia, ma la Bielorussia non è
membro del Consiglio d’Europa.
Quindi, questa è un’evoluzione molto interessante che conviene seguire. In futuro non
vicinissimo si arriverà alla completa abolizione della pena di morte.
(I trattati non specificano la lista dei reati più gravi e quindi ci troviamo in situazioni dove,
per esempio, in Cina fino a pochi anni fa anche certi aspetti del reato della corruzione
prevedeva la pena di morte. Relativamente alla lista ci sono stati molti atti di soft law,
quindi comments dei treaty bodies tra cui una molto recente del 2018 dove si vengono
dettagliati i reati. Però sono strumenti di soft law. Quindi cercano di indirizzare gli stati ma
non sono formalmente vincolanti. Su questo c’è ancora molto spazio di libertà di cui
godono gli stati.)
PRIVAZIONE ARBITRARIA DELLA VITA: Passiamo all’altro aspetto relativo agli obblighi
negativi che riguarda la cosiddetta nozione di privazione arbitraria della vita.
Il termine arbitrario è un termine molto contesto. È sicuramente arbitrario una privazione
della vita compiuta in violazione del diritto interno e/o diritto internazionale. Quindi in
questo senso anche la comminazione della pena di morte in violazione delle norme interne
o internazionali costituisce una privazione arbitraria della vita.
Con la categoria della privazione della vita ora ci riferiamo in realtà ad un tipo di atti
diversi, cioè ci riferiamo a quella privazione che è posta in essere sempre dagli organi dello
stato, ma che è posta in essere dagli organi dello stato che hanno l’uso legittimo della forza.
Quindi, ci riferiamo in questo caso alle forze armate e alle forze di polizia. Quindi,
evidentemente è molto intuitivo il fatto che questi organi dello stato non possono utilizzare
la forza in modo illimitato, la forza letale, devono avere delle limitazioni e queste
limitazioni sono espressamente previste in tutti i trattati sui diritti umani. Qui vi è un po' di
differenza tra un trattato e l’altro, però grosso modo se prendiamo come riferimento la
Convenzione europea dei diritti umani riusciamo un po' a fare un discorso che raggruppa
anche gli altri trattati.
La Convenzione europea prevede che la privazione della vita di un individuo non sia
arbitraria qualora sia il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario.
Quindi, il primo requisito affinché una certa privazione della vita non sia arbitraria è che
l’uso di quella forza fosse assolutamente necessario. Quindi, vediamo che questo requisito
della necessità è particolarmente stringente perché non è sufficiente che sussista una
necessità ma deve essere assoluta. Quindi, questo significa che non ci deve essere
assolutamente nessun altro mezzo che consenta di arrivare ad una soluzione diversa dalla
privazione della vita. Quindi se c’è un’alternativa rispetto alla privazione della vita deve
essere esperita. Primo requisito: di assoluta necessità dell’uso di quella forza letale.
Il secondo requisito ha a che fare con lo scopo legittimo, cioè questa forza deve essere
utilizzata per il perseguimento di uno dei tre scopi che sono tassativamente previsti dalla
Convenzione stessa. Il primo caso è quello della legittima difesa. Il primo obiettivo: io
posso usare la forza se questa è assolutamente necessaria per la mia autodifesa, la mia o
anche la difesa di altri. Qui abbiamo una nozione più ampia rispetto a quella accolta in
certi ordinamenti interni. Il secondo obiettivo legittimo è per eseguire un arresto o
impedire l’evasione di una persona. Questo scopo si può perseguire con l’uso della forza
letale solo se non ci sono alternative. L’ultimo obiettivo legittimo è per reprimere una
sommossa o una insurrezione. Quindi, in questi casi si può usare la forza letale, gli organi
dello stato possono usare la forza letale. E quindi in questo caso lo stato si astiene dal
commettere una violazione del diritto alla vita qualora rispetti questi tre requisiti. Siamo di
fronte agli obblighi negativi, lo stato si astiene dal commettere un attentato alla vita
qualora usi la forza per questi tre obiettivi e la forza sia assolutamente necessaria. Questo
per quanto riguarda gli obblighi di natura negativa.
-OBBLIGHI POSITIVI
In cosa consistono gli obblighi positivi? Per certi aspetti sono strettamente legati agli
obblighi negativi. Per rimanere nell’ambito delle operazioni di polizia, gli obblighi positivi
hanno a che vedere sia con l’aspetto sostanziale della tutela del diritto alla vita sia con
l’aspetto procedurale.
Per quanto riguarda l’aspetto sostanziale, lo stato deve garantire che una operazione
nella quale è previsto o possibile l’uso della forza letale deve essere pianificata ed eseguita
in modo tale da minimizzare i rischi per la vita delle persone coinvolte nell’operazione
stessa. Per quanto riguarda gli obblighi positivi di natura sostanziale, in relazione ad
un’operazione in cui è prevista o è possibile l’uso della forza armata (forza letale) lo stato
deve pianificare questa operazione e controllarla, quindi controllarne l’esecuzione, in modo
da minimizzare, da ridurre al minimo i rischi per la vita che in questa operazione sono
coinvolte.
Cosa significa questo? Immaginiamo un’operazione contro dei terroristi, un’operazione
contro dei criminali molto pericolosi. Famoso è il caso dell’operazione contro la Gran
Bretagna, il Gibilterra di un’operazione contro tre noti terroristi dell’IRA ( Irish Republican
Army ) del Nord Irlanda in cui la Gran Bretagna era venuta a conoscenza del fatto che
questi individui stavano preparando un attentato in Gran Bretagna + e quindi avevano
inviato per tempo le forze speciali dell’esercito in GB per tutelare nella misura maggiore
possibile i cittadini di Gibilterra. Hanno pianificato in modo errato l’operazione e il
risultato è stato che questi 3 individui sono stati uccisi da queste forze speciali e la Corte ha
rinvenuto che l’uccisione era di natura arbitraria perché in realtà se lo stato avesse
pianificato in modo diverso quella operazione la vita di quegli individui sarebbe stata
risparmiata.
La questione si è posta anche nel caso Giuliani: l’uccisione di Giuliani durante il G8 di
Genova del 2001. È un caso arrivato fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale si
è pronunciata a favore dell’Italia e non a favore di Giuliani ritenendo che in quel caso la
pianificazione dell’operazione fosse stata adeguata e che il carabiniere avesse agito in
legittima difesa. Quindi, legittima difesa: obbligo negativo rispettato. Pianificazione
dell’operazione: obbligo positivo rispettato. E quindi non vi è stata una violazione del
diritto alla vita ai sensi della Convenzione europea. Una situazione che è stata molto
complessa e molto criticata (dubbio sull’accuratezza della pianificazione dell’operazione).
Qui ci troviamo di fronte ad una manifestazione quella del G8 che è per necessità
organizzata recentemente a livello statale. Quindi lo stato sempre in occasione di grandi
occasioni ha pronta un piano di intervento delle proprie forze dell’ordine. E quindi in base
al diritto internazionale dei diritti umani le modalità di approntamento di questi piani anti
sommossa possono poi essere oggetto di scrutinio da parte della Corte europea.
Più complesse sono quelle operazioni che invece non sono pianificate. Evidentemente
numerose operazioni in cui sono coinvolte le forze di polizia non sono pianificate. Si è
confrontati inaspettatamente con una situazione che può arrivare fino a richiedere l’uso
della forza letale. Allora anche in questi casi lo stato ha degli obblighi positivi? Si, ma
ovviamente si restringono molto gli obblighi positivi che hanno a che vedere con la
modalità di pianificazione e di esecuzione dell’operazione perché ci troviamo in
un’operazione che non è stata pianificata a tavolino. Quindi, in questo caso gli obblighi
positivi che maggiormente vengono in rilievo? Sono gli obblighi di natura generale che non
attengono a quella operazione specifica, ma sono di natura generale; cioè hanno a che
vedere con l’adozione di misure di natura legislativa o regolamentare che mirano a dare
delle indicazioni alle forze dell’ordine sui requisiti da rispettare nell’utilizzo della forza
armata. Sappiamo che un poliziotto può sparare al primo colpo, prima deve dare un
avvertimento. Per esempio, l’obbligo di dare un avvertimento, salve le ipotesi di legittima
difesa, rientra negli obblighi positivi che lo stato deve rendere obblighi di natura legislativa
o regolamentare.
Esistono anche gli obblighi positivi di natura procedurale. Questo significa che lo
stato ha anche degli obblighi in relazione allo svolgimento di indagini ed eventualmente
alla sottoposizione al processo e alla punizione degli individui responsabili per l’attentato
alla vita di una persona. (sottoposizione ad indagine, apertura di un processo ed
eventualmente condanna di individui che hanno attentato alla vita di una persona). Questi
sono gli aspetti procedurali. Quando vi è stato un attentato alla vita di un individuo,
affinché lo stato possa garantire il rispetto degli obblighi di natura procedurale deve
approntare un sistema giudiziario efficace. Quindi, deve avere un sistema di tribunali tale
per cui gli individui possono essere svolte delle indagini efficaci e che poi consentono
l’apertura di un processo in tempi ragionevoli.
Tutto questo può sembrare piuttosto ovvio. In realtà, gli obblighi positivi sono molto
spesso violati da parte degli stati. sono spesso violati anche gli obblighi di natura
procedurale perché lo stato tende ad essere piuttosto protettivo nei confronti dei propri
organi. Si sta parlando di forze di polizia, si sta parlando di membri delle forze armate.
(Caso Cucchi) Quando poi siamo di fronte ad una situazione di attentato alla vita,
l’esperienza dimostra che lo stato tende ad essere molto generoso nei confronti dei propri
organi e quindi le indagini non sempre sono accurate come dovrebbero essere e non
sempre i processi portano a delle condanne adeguate alla gravità dell’atto.
E quindi i Tribunali internazionali hanno sviluppato una giurisprudenza interessante su
questo punto, cioè hanno ritenuto che il diritto alla vita fosse da considerarsi violato,
quindi che si fosse di fronte ad una privazione arbitraria della vita anche laddove fosse
violato solo l’obbligo positivo di natura procedurale. Quindi, la mera violazione
procedurale dell’obbligo positivo può portare ad una sentenza di condanna di fronte ad
una corte regionale dei diritti umani anche laddove gli altri obblighi invece siano stati
soddisfatti.
Ci possiamo per esempio trovare di fronte ad una situazione come quella del carabiniere
Placanica e di Giuliani in cui per esempio il carabiniere avrebbe agito in legittima difesa, in
cui l’Italia aveva affrontato tutti gli obblighi positivi di natura sostanziale, ma in cui le
indagini e il processo a cui Palcanica è stato sottoposto è stato ritenuto non imparziale, non
equo. In questo caso l’Italia sarebbe potuta essere condannata per violazione dell’obbligo
positivo di natura procedurale (non è accaduto così). Quindi, sarebbe stato a tutti gli effetti
una sentenza di condanna dell’Italia.
Come abbiamo notato il diritto alla vita non è un diritto che è tutelato in modo assoluto. Vi
sono delle legittime eccezioni. Abbiamo visto la legittima difesa, l’intervento per un arresto
o impedire un’invasione e la repressione di una sommossa. Questi sono 3 casi in cui sono
contemplate le eccezioni alla privazione arbitraria della vita.
CONFLITTI ARMATI: Poi oltre a questo si dovrebbe aprire tutto un altro ambito che
riguarda i conflitti armati. Il diritto internazionale dei diritti umani consente ulteriori
deroghe oltre a queste 3 circa la privazione arbitraria della vita qualora ci si trovi in tempo
di conflitto armato.
Un esempio: danno collaterale in tempo di conflitto armato  questi sono legittimi perché
ai sensi del diritto internazionale contemporaneo la popolazione civile non può essere
direttamente oggetto di un attacco armato in tempo di conflitto armato, ma può essere un
danno incidentale, un danno collaterale. Questo significa che un belligerante nell’attaccare
un obiettivo militare legittimo (supponiamo una caserma) può legittimamente provocare
danni o morti addirittura a beni civili o persone civili purché questi danni civili siano
proporzionati all’importanza dell’obiettivo militare. Quindi questo significa che se per
esempio ho una caserma militare che per me è un obiettivo estremamente importante e
accanto c’è una scuola, io posso creare dei danni alla scuola fino al punto di uccidere alcuni
dei bambini di quella scuola. Ma non è che ho preso di mira direttamente la scuola. Ma
nella misura in cui la scuola subisce dei danni collaterali, dei danni incidentali rispetto
all’uso della forza che era legittimamente destinata contro la caserma la morte di quei
bambini e i danni materiali a quella scuola sono legittimi, cioè non costituiscono una
privazione arbitraria della vita.
Qui abbiamo riportato la norma internazionale. Vi sono vari criteri per stabilire questo
rapporto di proporzionalità che si instaura fra l’importanza dell’obiettivo militare e il
numero di vittime che è accettabile. (eccezioni alla tutela del diritto alla vita quando ci si
trova in un conflitto armato)
NOZIONE DI VITA DIGNITOSA: Ultimo punto che ha a che vedere con gli obblighi
positivi ma in questo caso gli obblighi positivi non riguardano gli organi dello stato che
fanno il legittimo uso della forza, non riguardo gli organi di polizia e delle forze armate, ma
riguardano l’apparato statale nel suo complesso. Tutta la questione affrontata finora in
relazione al diritto alla vita sono questioni di natura classica, tradizionale.
Ma negli anni il diritto alla vita si è arricchito di tutta una serie di ulteriori coloralli, di vere
e proprie norme che pongono l’enfasi non soltanto sulla concezione della vita come pura
esistenza di natura biologica, ma viceversa pongono l’accento sulla vita come un’esistenza
che è dotata di alcune qualità. Quindi, è una nozione di vita dignitosa o vita che presenta
una certa qualità. Non è il mero sopravvivere che sarebbe tutelato dal diritto alla vita, ma
viceversa il diritto alla vita richiederebbe che lo stato ponga in essere anche degli obblighi
positivi che garantiscano una certa qualità della medesima. Tutto questo sviluppo è uno
sviluppo degli ultimi 20-30 anni, sono questi molto recenti che si stanno sempre più
ampliando sull’orizzonte internazionale e che in particolare si articolano su 4 elementi:
1) uno è il diritto al cibo;
2) l’altro è il diritto all’acqua;
3) il terzo è il diritto alla salute;
4) e il quarto è il diritto all’abitazione.
Questi diritti non sono contenuti nelle norme sui trattati dei diritti umani che disciplinano
i diritti alla vita, sono contenuti nei trattati sui diritti umani che disciplinano altri tipi di
diritti. Ma la loro correlazione con la qualità della vita è di tutta evidenza.
DIRITTO AL CIBO: Il diritto al cibo è menzionato all’ART.11 del patto sui diritti
economici, sociali e culturali. Ed è poi menzionato anche nei vari trattati regionali ad
eccezione della carta africana dei diritti umani e dei popoli. Gli aspetti da considerare con
riferimento al diritto al cibo sono essenzialmente 3: in primo luogo la necessità di una
disponibilità di cibo in quantità e qualità sufficiente (questi sono gli obblighi che gravano
in capo agli stati); in secondo luogo il cibo deve essere accessibile e per accessibilità non si
intende solo l’accessibilità fisica, si intende anche l’accessibilità economica, quindi prezzi
accessibili. In ultimo abbiamo l’elemento della sicurezza alimentare che è la cosiddetta
food security, cioè garantire che del cibo vi sia. Sicuramente è ancora uno degli obiettivi da
raggiungere. Sappiamo che circa 800.000 persone nel mondo sono ritenute ad oggi
soffrire di fame. È un obiettivo che per il 2020 non è stato assolutamente raggiunto.
DIRITTO ALL’ACQUA: Questo è contenuto però solo implicitamente negli ART. 11 e
ART. 12 del patto sui diritti economici, sociali e culturali. Lo si ritiene implicito
perché l'acqua è necessaria per la preparazione e per il consumo del cibo, quindi è
strettamente correlata al diritto al cibo, ma al tempo stesso è assolutamente necessaria per
l’igiene personale e quindi è strettamente correlata al diritto alla salute.
Su questo diritto vi è un commento generale del Comitato per i diritti economici, sociali e
culturali adottato nel 2002 che afferma che questo diritto è uno dei più fondamentali per la
sopravvivenza degli individui.
DIRITTO ALLA SALUTE: Il diritto alla salute è in realtà declinato come un diritto al più
alto standard possibile di salute. Già da qui capiamo che vi è una limitazione. Peraltro,
standard possibile di salute è uno standard che varia molto in ragione dello Stato in
questione. L’Italia è uno dei paesi che ha il più alto standard di salute nel mondo. Altrove la
situazione è estremamente diversa. Questo diritto è sancito all’ART.12 del patto sui
diritti economici, sociali e culturali e su tutta un’altra serie di trattati.
Anche qui vi è un commento generale del Comitato per i diritti economici, sociali e
culturali del 2000 e in questo commento generale è specificato che il diritto alla salute
include fra le altre cose il diritto di controllo sulla propria salute e il diritto di controllo sul
proprio corpo. Poi esprime tutta una serie di altri diritti quale il diritto al consenso alle
cure e il divieto di discriminazione (il diritto ad un accesso alle cure senza
discriminazione).
È chiaro che il diritto alla salute si interseca con le norme dell’organizzazione mondiale del
commercio relativo ai brevetti per i farmaci.
DIRITTO ALL’ABITAZIONE: Questo diritto è sancito dall’ART. 11 del Patto sui diritti
economici, sociali e culturali. Per esempio, nella carta africana questo diritto non è
stato espressamente previsto. Tuttavia, la Commissione africana per i diritti umani lo ha
ritenuto implicito nella carta stessa.
Questo è un diritto sul quale alcuni paesi hanno lungamente dibattuto perché
evidentemente i riconoscimento di questo diritto impone sugli stati obbligo di garantire un
tetto anche a quegli individui che non sono in grado di procurarselo da soli e quindi a
fronte di stati, come per esempio l'Italia che ha una politica anche piuttosto capillare in
questo senso, ve ne sono altri come gli Stati Uniti che invece ritengono che l’ingerenza
dello stato nei confronti della vita degli individui non debba estendersi fino a garantire
proprio l’obbligo positivo di fornire un abitazione agli individui.
Quindi questo è uno dei motivi che a tutt'oggi reclude alcuni stati da ratificare il patto sui
diritti economici, sociali e culturali.
CAUSE DI MORTE NEL MONDO:
-1° causa di morte naturale: malattie cardio-vascolari
-1° causa di morte non naturale: incidenti stradali
I morti per le guerre si trovano in posizione estremamente elevata, al decimo posto.
-25.03.2021
- DIVIETO DI TORTURA E TRATTAMENTI O PENE INUMANI E DEGRADANTI
Quello della tortura è un argomento su cui tutti ci siamo confrontati nella nostra vita. È un
termine molto utilizzato, evidentemente per quanto attiene al diritto internazionale questo
termine è una nozione di natura tecnica. Vedremo come il termine tortura è in realtà
ampiamente abusato.
È un terreno particolarmente fecondo per quanto riguarda il diritto internazionale dei
diritti umani perché come è stato messo in luce il divieto di tortura e trattamenti inumani e
degradanti rappresenta una sorta di frontiera avanzata rispetto alle norme che riconoscono
e proteggono l’insieme dei diritti umani. E una sorta di frontiera avanzata perché va al
cuore della sofferenza dell'essere umano, ovvero sia alla base di questo divieto vi è proprio
l'umanità, quindi il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti va a tutelare il
nocciolo essenziale dell'umanità, della dignità umana.
Iniziamo dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del ’48 che in maniera
molto sintetica, molto laconica sancisce semplicemente il divieto di sottoposizione a
tortura o pene o trattamenti disumani o degradanti. In realtà, la dichiarazione utilizza un
altro termine anche che è trattamenti o pene crudeli, che è un aggettivo che troviamo
anche in alcuni trattati ma che poi non ha un rilievo definitorio e quindi applicativo e
quindi noi non lo esamineremmo. Noi ci limitiamo ad esaminare tortura o pene o
trattamenti disumani o degradanti.
Questa dicitura è stata utilizzata nella prima convenzione, nel primo strumento
giuridicamente vincolante sui diritti umani che è la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950). È importante questo perché indica la
sensibilità o la maturità del continente europeo relativamente a queste tematiche.
Ricordiamoci che questa sensibilità affonda le proprie radici nell’esperienza storica perché
le atrocità della seconda guerra mondiali sono state compiute quasi esclusivamente sul
continente europeo.
Quindi, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo all’ART.3 pone il divieto di tortura o
pene o trattamenti inumani (o disumani) o degradanti proprio utilizzando la stessa
dicitura della Dichiarazione universale del ’48. È importante che la Convenzione europea
proprio come la Dichiarazione universale enuncia questo divieto e non lo sottopone a
nessuna eccezione. In altri termini, è un divieto di natura assoluta. È chiaro che è espresso
come un divieto e non come un diritto perché il messaggio è più chiaro se lo si esprime
come un divieto, ma evidentemente il correlativo diritto è il diritto di ogni individuo di non
essere sottoposto a tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti. Quindi, questo
divieto è assoluto. Invece, il diritto alla vita non era assoluto, vi erano delle eccezioni prima
tra tutte la legittima difesa, quindi la possibilità di attentare ad un'altra vita per difendere
legittimamente la propria. La norma in questione e quindi l’art.3 della CEDU vieta
maltrattamenti che siano rivolti contro l'integrità psicofisica dell’individuo e quindi vieta
una serie di atti che di solito sono oggetto di norme penali negli ordinamenti interni.
Vedremo che è una norma che è suscettibile di coprire un ampio spettro di condotte,
quindi non si limita ai maltrattamenti posti in essere nei confronti di persone arrestate allo
scopo di ottenere confessioni che è sicuramente l’esempio più chiaro di condotta a cui
questo divieto si applica, ma vedremo che questo divieto si applica anche nei confronti di
certi trattamenti posti in essere verso i minori o a livello di vita domestica o nei confronti
di individui soggetti a patologie. Quindi, ha una portata estremamente ampia.
Questo divieto ha carattere assoluto, quindi non vi sono eccezioni. Il fatto che non vi siano
eccezioni va declinato meglio perché la natura assoluta di questo divieto può assumere una
moltitudine di significati. Elenchiamo i principali:
1)in primo luogo anche questa norma proprio come quella sul diritto alla vita è da
annoverarsi fra quelle norme sui diritti umani che consacrano valori fondamentali (il
valore fondamentale della dignità umana) e che sono alla base delle società democratiche;
2)in ulteriore elemento del carattere assoluto di questo divieto consiste nel fatto che esso
non può mai essere derogato, cioè sospeso. Neppure in situazioni estreme di emergenza
nazionale, neppure per esempio nel caso di ripetuti atti di terrorismo, neppure in
situazioni di conflitto armato. Invece, il diritto alla vita poteva essere oggetto di deroga in
situazioni di conflitto armato a condizione però che nel tempo di conflitto armato si rispetti
tutta quella branca del diritto internazionale che è il diritto internazionale dei conflitti
armati. Ma questa branca comunque per certi aspetti consente la licenza di uccidere.
Quindi, queste deroghe in tempo di conflitto armato sono consentite al diritto alla vita
mentre non sono consentite al divieto di tortura. Quindi, qualunque sia la circostanza che
lo stato si trova ad affrontare, il divieto di tortura o pene o trattamenti disumani o
degradanti deve essere rispettato in maniera assoluta.
3)Un altro elemento di assolutezza del divieto consiste nel fatto di una espansione
dell’ambito territoriale di applicazione di questo divieto. Questo divieto sì estende anche a
territori che non sono parte alla convenzione europea dei diritti dell'uomo, quindi ha
un’applicazione extraterritoriale. Questo aspetto è legato al principio di non refoulement
(di non respingimento).
4)quarto elemento dell’assolutezza di questo divieto è che lo stato è responsabile per atti di
tortura o trattamenti inumani o degradanti sia che questi atti abbiano natura commissiva
che invece abbiano natura omissiva. Quindi sia che lo stato ponga tramite i suoi pubblici
ufficiali (agenti di polizia) in essere questi atti sia che lo stato non ponga in essere le misure
necessarie a prevenire o reprimere condotte che contemplano atto di tortura inumano e
degradante. Quindi, atto omissivo consiste nella mancanza dello stato nell’approntamento
di misure atte a prevenire o reprimere la tortura o trattamenti inumani e degradanti.
5)in ultimo e questo è in qualche modo collegato a quanto affermato prima. Il divieto in
oggetto è assoluto perché è irrilevante, non ha alcuna correlazione con la condotta posta in
essere dal maltrattato. Quindi, si parla di irrilevanza della condotta posta in essere dal
maltrattato. In altre parole, anche il più grande criminale, terrorista, mafioso neppure lui
deve essere sottoposto a questo tipo di atti.
A questo punto però ci domandiamo quali tipi di maltrattamento concretano un
trattamento inumano, degradante o atto di tortura. Perché evidentemente c’è una
differenza tra trattamento inumano, trattamento degradante e atto di tortura. Questa è una
questione estremamente complessa perché l’art.3 della Convenzione europea è
semplicemente una frase molto breve ‘’ Nessuno può essere sottoposto a tortura né
a pene o trattamenti inumani o degradanti.’’ Quindi, per fare luce su questa
nozione, cioè sugli elementi costituitivi dell’actus reus. Per stabilire cosa distingue un atto
di tortura da un trattamento inumano o degradante occorre fare riferimento alla
giurisprudenza della Commissione europea dei diritti dell’uomo prima e della Corte
europea dei diritti dell’uomo poi.
Per la prima volta la nozione di tortura è stata affrontata nel 1969 in un rapporto della
Commissione europea dei diritti dell’uomo relativamente ad un caso di maltrattamenti
posto in essere nei commissariati di polizia ad Atene durante il governo dei Colonelli. E poi
quello che la Commissione ha enunciato per la prima volta nel 1966 ha trovato conferma
nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in un caso del 1977 relativo a
maltrattamenti posti in essere dal Regno Unito nei confronti di alcuni membri dell’IRA in
Irlanda. Quindi, la sentenza è Irlanda contro Regno Unito. In queste due occasioni, la
Commissione prima e la Corte poi, ha stabilito che l’art.3 richiede una soglia minima di
gravità al di sotto della quale un trattamento non rientra nel divieto sancito dalla
disposizione. Si richiede una soglia minima di gravità. Questa soglia minima di gravità
consiste nel trattamento degradante, la soglia intermedia di gravità dà luogo al trattamento
inumano, mentre la soglia massima di gravità dà luogo all’atto di tortura.
È chiaro che dall’art.3 restano esclusi alcuni maltrattamenti che in qualche modo sono
minoris generis, quindi quei maltrattamenti che nemmeno raggiungano la soglia del
trattamento degradante non rientrano in questo divieto.
Quindi, diventa cruciale stabilire quali sono gli elementi dell’actus reus che concretano il
trattamento degradante. La Corte nel caso Irlanda contro Regno Unito ha stabilito che la
nozione di trattamento degradante è quel trattamento o pena tale da creare nella sua
vittima sentimenti di paura, angoscia e inferiorità atti ad umiliarla ed eventualmente
fiaccare la sua resistenza fisica o morale. Quindi, in altre parole un trattamento degradante
umilia l’individuo davanti ad altre persone o lo induce a compiere atti contro la sua volontà
o contro la sua coscienza. Esempi: la fustigazione, fino agli anni 70 in Gran Bretagna era
consentita la punizione di certi reati tramite la fustigazione nei confronti di minori, le
cosiddette punizioni corporali. E secondo la Corte quel trattamento era umiliante, crea
angoscia, mirava ad eliminare quella coscienza e consapevolezza di sé del minore e quindi
era degradante. E la Gran Bretagna, quindi, fu condannata per violazione dell’art.3 della
Convenzione.
Viceversa, andando avanti troviamo il trattamento o la pena inumani (o disumani).
Questo trattamento ci disse la Corte ha la caratteristica di essere applicato a lungo, con
premeditazione e di causare delle sofferenze fisiche e morali che nel caso di specie non
sono giustificate. È inumano quel trattamento o quella pena applicato a lungo e con
premeditazione che ha causato delle sofferenze fisiche e morali che nel caso di specie non
sono giustificabili. Cosa significa che non sono giustificabili? Con questo occorre fare
riferimento al tipo di contesto. Per esempio, vi sono delle situazioni quali certe forme di
isolamento penitenziario che possono essere giustificate in ragione della pericolosità
dell’individuo in questione. Nozione di premeditazione: il trattamento inumano è quello
applicato con premeditazione. Si può estendere questo elemento e considerarlo come
sinonimo d’intenzione e quindi qui aggiungiamo un elemento che non abbiamo trovato nel
trattamento degradante. Il trattamento degradante non richiede l’intenzionalità, mentre il
trattamento inumano sì, richiede un elemento aggiuntivo dal punto di vista giuridico che è
quello della intenzionalità. Quindi, mentre il trattamento degradante può essere una
conseguenza non voluta di una certa condotta, il trattamento inumano viceversa è tale solo
se c'è un elemento volitivo alla sua base. Siccome ci poniamo su una sorta di continuum fra
il trattamento degradante e quello inumano e l’atto di tortura, capiamo che ogni atto
inumano è per forza anche degradante.
Passiamo all’atto di tortura vero e proprio. Secondo la Corte nella sentenza Irlanda
contro Regno Unito del ’67, la tortura è un atto disumano, contraddistinto dal particolare
stigma legato ai trattamenti che provocano sofferenze particolarmente gravi. Inoltre, la
tortura richiede una finalità specifica ed un intento. Andiamo a vedere tutti e i 3 elementi,
cioè la gravità delle sofferenze in primo luogo, poi la finalità e infine l’intento. Esempio per
illustrare l’actus reus della tortura: nel caso Irlanda contro Regno Unito, il cuore della
application dell’Irlanda contro il Regno Unito riguardava le note 5 tecniche di
interrogatorio che la Gran Bretagna poneva in essere in quel paese e queste 5 tecniche di
interrogatorio consistevano:
1)prima tecnica: di costringere la persona sotto interrogatorio a stare in piedi contro il
muro sulle dita dei piedi per lunghi periodi di tempo;
2)seconda tecnica: la copertura della testa con dei cappucci scuri che quindi impedivano
all’interrogato di vedere;
3)terza tecnica: sottoposizione della vittima ad un rumore intenso e continuo;
4)quarta tecnica: privazione del sonno;
5)quinta tecnica: privazione non totale ma sostanziale di cibo e acqua.
La Corte conclude che il ricorso a queste 5 tecniche di interrogatorio costituivano un
trattamento inumano (erano certamente premeditate), ma non concretavano la fattispecie
di tortura perché questi atti non avevano dato luogo ad alcuna sofferenza di particolare
intensità. Questo perché la Corte ritiene che la nozione di gravità delle sofferenze è di
natura relativa, dipende cioè da tutte le circostanze del caso quali: la durata del
trattamento, poi gli effetti fisici e mentali a cui questo trattamento dà luogo ed in ultimo
dalle caratteristiche della vittima, ovvero dal sesso, dall’età e dalle condizioni di salute
psicofisica della medesima. Questa motivazione addotta dalla Corte è stata poi ripresa sia
in tutte le altre sentenze successive della Corte che anche Dalla Corte interamericana dei
diritti umani. Nella Convenzione americana esiste un articolo sul divieto di tortura che è
espresso negli stessi termini di quelli della convenzione europea.
Quindi, sostanzialmente che cosa ha stabilito la Corte nel ’77? Ha praticamente
relativizzato una nozione quale quella di tortura che è oggetto di un divieto assoluto.
Sembra un po' un controsenso. Però effettivamente se ci riflettiamo troviamo che questo
ha una sua ragione. Il divieto di tortura è assoluto nel senso che non può mai essere posto
in essere, ma la nozione stessa di tortura è relativa perché è collegata al contesto del
maltrattamento e alle caratteristiche della vittima del maltrattamento. Quindi, in altri
termini non vi possono essere dei maltrattamenti che dal punto di vista oggettivo sempre e
comunque concretano un atto di tortura. Alcuni maltrattamenti potrebbero invece che di
un atto di tortura, concretare un trattamento inumano o altri addirittura un trattamento
degradante. Quindi, questo può essere un po sorprendente.
Quindi, l’individuazione di limiti agli atti che concretano tortura è praticamente inevitabile
se si vuole applicare a casi concreti una norma astratta che però riguarda l'essere umano.
Se si vuole applicare a casi concreti una norma astratta che riguarda l'essere umano
evidentemente occorrerà andare a valutare le caratteristiche specifiche di quell’essere
umano.
La sentenza del ’77 della Corte che non ha ritenuto le 5 tecniche di interrogatorio
britanniche concretare un atto di tortura, è stata fortemente criticata perché la Corte non
ha adeguatamente preso in considerazione che queste tecniche venivano utilizzate in modo
anche cumulativo (cioè tutte e 5 insieme) ed anche per periodi di tempo prolungati.
Quindi, la Corte poteva senz'altro arrivare a concludere che perlomeno quando questi due
elementi erano presenti (la cumulatività delle forme i di interrogatorio e la loro natura
prolungata) si sarebbe stati di fronte ad un atto di tortura.
Quando è che la Corte per la prima volta riscontra che un certo maltrattamento è definibile
come atto di tortura? È nel 1996. Questo è un caso in cui lo stato condannato è la Turchia, è
un caso noto come caso AKSOY. Ed era un caso in cui il signor Aksoy (Aksoy contro
Turchia), caso che riguardava un individuo sottoposto alla cosiddetta impiccagione
palestinese. È una prassi di tortura piuttosto diffusa, si viene spogliati e sospesi nel vuoto
per le braccia con queste legate dietro la schiena. Quindi, non si viene impiccati per il collo,
ma per le braccia legate dietro la schiena. Perché la Corte arriva a concludere che questo
atto è una tortura e non solo un atto disumano? Evidentemente questo trattamento ha una
natura deliberata, è intenzionale perché richiede una preparazione ed anche uno sforzo
perché questo atto possa essere posto in essere. Inoltre, provoca sia un dolore acuto alle
spalle, sia porta alla paralisi duratura nel tempo (molte volte proprio all' impossibilità di
utilizzare le braccia), quindi con conseguenze di natura duratura se non addirittura
permanente. Inoltre, lo stato aveva posto in essere questo atto con lo scopo di ottenere
confessioni o informazioni da parte della vittima.
Facciamo riferimento ad altre due sentenze Della Corte europea che sono assolutamente
fondamentali per lo sviluppo di questa pratica. Una è una sentenza del ‘97 sempre della
Corte europea che riguarda sempre la Turchia ed è il caso AYDIN, dove la Corte ha
ritenuto che lo stupro subito dalla ricorrente durante il periodo di detenzione costituiva
tortura. Questa è una sentenza fondamentale perché per la prima volta un atto di stupro
viene rinvenuto concretare la fattispecie di tortura. E qui è importante porre l'accento sulla
differente posizione assunta dalla Corte europea rispetto ad un caso precedente simile,
cado un caso del 1974 ed è il caso interstatale Cipro contro Turchia in cui la commissione
aveva decretato che gli stupri perpetrati su vasta scala da soldati turchi a danno delle
donne cipriote non costituivano tortura, ma soltanto trattamento inumano. Cosa cambia
tra il ‘74 e il ‘97? Evidentemente cambia la coscienza della comunità internazionale.
Infatti, come ha affermato in un’altra sentenza importantissimo per ciò che riguarda la
tortura ed è il caso SELMOUNI CONTRO FRANCIA, è una sentenze del ’99. La Corte (è
sempre un caso di violazione dell'articolo 3) ha stabilito che la convenzione europea sui
diritti dell'uomo è uno strumento vivente e quindi anche la nozione di tortura va
aggiornata sulla base dell' evoluzione degli standard tipici delle società democratiche al
momento dell'interpretazione perché la CEDU è uno strumento vivente e quindi evolve
proprio come evolvono le società democratiche europee. E’ interessante questo approccio
perché se applichiamo questa affermazione al caso Irlanda contro Regno Unito,
evidentemente con tutta probabilità un caso del genere oggi farebbe giungere i giudici ad
una conclusione diversa, cioè oggi l'adozione delle 5 tecniche di interrogatorio utilizzate
dalla Gran Bretagna in Irlanda sarebbero sicuramente considerati come atti di tortura e
non solamente come atti inumani.
E’ chiaro che un atto di tortura riassume in sé anche le caratteristiche del trattamento
degradante e del trattamento inumano però ha un quid pluris ed il quid pluris è la gravità
delle sofferenze subite dalla vittima, gravità delle sofferenze a cui quel maltrattamento dà
luogo.
Ritorniamo sugli altri elementi dell’atto di tortura. Fino adesso abbiamo parlato
dell’ACTUS REUS, degli elementi della condotta. Però vi sono anche altri elementi: da una
parte l’INTENTO (intenzionalità) e dall’altra è lo SCOPO. Questi due elementi in realtà si
comprendono meglio se si trattano insieme. Cioè l'intento è il dolo e quindi è la volontà di
ottenere tramite il maltrattamento un certo scopo. E quale è questo scopo? Lo scopo (visto
nel caso Aksoy) più tradizionale è quello di estorcere una confessione o ottenere
informazioni. L’intento affinché un certo maltrattamento concreti l’atto di tortura, vi deve
essere un intento da parte dell’individuo che lo pone in essere. Ma l’intento non è quello di
provocare gravi sofferenze, viceversa l’intento è quello di ottenere confessioni o
informazioni. Quindi, le gravi sofferenze sono lo strumento che io uso per raggiungere il
fine di ottenere la confessione o l’informazione. Questo passaggio è importante.
Abu Ghraib: maltrattamenti posti in essere da soldati statunitensi nella prigione di Abu
Ghraib. Lì in realtà quei maltrattamenti non erano stati posti in essere per ottenere delle
confessioni, estorcere delle informazioni ma erano stati posti in essere proprio per il gusto
della sevizia, per il gusto di vedere la sofferenza nell’altro. Era un atto di tortura quello alla
luce di quanto abbiamo detto? No, era un atto di sadismo. Il sadismo chiaramente è vietato
dagli ordinamenti interni. Sarà un atto disumano dal punto di vista internazionale perché
sicuramente c’era un’intenzionalità. Avevano messo il guinzaglio al collo, abbiano poi
fotografato le scene, c’era una premeditazione dietro però erano premeditazione volta ad
umiliare l'altro e non era assolutamente volta ad ottenere delle confessioni.
Quindi ricordiamoci lo scopo a cui l’intenzione è collegata è un elemento fondamentale per
distinguere il trattamento inumano dall' atto di tortura.
Lo scopo per cui può essere inflitta la tortura non è solo quello di estorcere una confessione
o ottenere delle informazioni. In realtà, gli scopi sono molto più ampi e gli scopi sono
indicati all’ART.1 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla prevenzione e
repressione della tortura che è stata aperta alla firma nel 1984. All’art.1 si può
leggere che ‘’ Ai fini della presente Convenzione, il termine "tortura" indica qualsiasi atto
mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti,
fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona
informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha
commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di
intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su
qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un
agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua
istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o
alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse
cagionate.’’
Vediamo come qui si sta ampliando, si inserisce una persona terza. Quindi, tortura può
essere anche quell’atto posto in essere nei confronti miei affinché sia una persona cara mi
ha indotta a rendere confessioni o informazioni.
Lo scopo può essere qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione.
Quindi, volendo far rientrare gli atti di Abu Ghraib in un atto di tortura potremmo fare leva
su questo elemento dello scopo, cioè un motivo collegato ad una forma di discriminazione.
In quel caso lì di discriminazione di natura religiosa, perché venivano proprio umiliati
questi detenuti in ragione della loro religione musulmana.
Quindi l'intento del maltrattamento deve avere come obiettivo uno o più di questi scopi.
L’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea ha fatto luce su più elementi, sugli
elementi costitutivi dell’atto di tortura e questo ha consentito negli anni di arrivare ad una
elaborazione in tutti i suoi elementi dell’atto di tortura quale contenuta all'articolo 1 della
convenzione dell'Onu del 1984.
Quindi, abbiamo un ulteriore elemento: l’atto di tortura deve essere posto in essere da un
organo ufficiale dello Stato ai sensi della convenzione per la tortura del ’84.
Invece, ai sensi dei trattati sui diritti umani è considerata tortura anche l'atto posto in
essere tra privati qualora lo stato non abbia prevenuto o adeguatamente represso quell’atto
stesso. La giurisprudenza della Corte europea è quella che ha contribuito alla elaborazione
della nozione di tortura del ’84, ed è del ’84 la nozione giuridicamente vincolante di tortura
per gli Stati che a questa convenzione hanno aderito. Vedremo poi che anche l'Italia ha
ratificato la convenzione contro la tortura pochi anni dopo la sua apertura alla firma, ma
che solo molto recentemente nel 2017 l’Italia si è dotata di un reato di tortura. Fino al 2017
L'Italia non aveva il reato di tortura nel suo codice penale in modo molto sorprendente.
(Ogni atto di tortura è anche un trattamento disumano e degradante ma non viceversa.
L’atto degradante è quello che mira a svilire l'altra persona, ma è compiuto senza
intenzionalità. Se si ha l’intenzione di umiliare un'altra persona e io lo pongo in essere
intenzionalmente, con intenzione proprio di umiliarti questo è un atto inumano. Se io
invece ho l’intenzione non di umiliarti ma l’intenzione di estorcere da te o da qualcun altro
un’informazione, a quel punto io ti umilio a livello tale per cui tu hai delle sofferenze gravi
o di natura fisica o di natura psichica che sono proprio oggettivamente rilevanti. Infatti,
tutti gli atti di tortura poi si correlano di referti medici e psichiatrici. Quindi, la tortura
deve essere grave. (elemento di gravità, elemento di soggettività). Quindi, l'atto inumano e
l'atto di tortura hanno in comune l'intento, l’intenzionalità ma la tortura differisce dall' atto
inumano per …).
(è chiaro che più la coscienza della comunità internazionale diventa sensibile a questa
nozione di dignità umana, minore è il grado di tolleranza di certi atti. Da questo punto di
vista c'è una sorta di espansione della nozione di tortura fino ad includere atti che prima
sarebbero stati definiti solo come atti inumani, però con la guerra al terrorismo c’è stato un
tentativo di regressione da questo punto di vista.)
-26.03.2021
- DIVIETO DI TORTURA E TRATTAMENTI O PENE INUMANI E DEGRADANTI
Continuiamo con la questione della nozione dell’actus reus, quindi la definizione degli
elementi che costituisce trattamento degradante, inumano o atto di tortura quale emerge
dalle pratiche poste in essere soprattutto da alcuni stati, in particolare gli Stati Uniti,
durante la cosiddetta guerra al terrorismo (war on terror). È un insieme di azioni,
condotte poste in essere negli Stati Uniti e per certi aspetti anche dai loro alleati a seguito
degli attentatati dell’11 settembre del 2001.
Il dibattito che si è aperto relativamente all’opportunità di allentare le norme sul divieto di
tortura qualora uno stato avesse arrestato, fermato un individuo sospettato di avere
conoscenze tali da poter evitare che un certo atto criminoso, per esempio l’esplosione di un
ordigno potesse avere luogo e quindi grazie alle conoscenze fornite agli inquirenti da parte
di quel individuo si sarebbe potuto evitare un attentato fra i più gravi ai diritti umani di
una o molto probabilmente di un gruppo numero di individui.
Questa che è tornata alla ribalta con la war on terror è una questione in realtà risalente nel
tempo, è quella cui ci si riferisce con un termine anglosassone cioè il cosiddetto
ticking time bomb scenario. Quindi, è lo scenario della bomba che sta per esplodere e
quindi ci si trova confrontati ad un dilemma di tutt’altro che facile soluzione, quindi il
dilemma è se rischiare la vita di persone innocenti per tutelare l’assolutezza del divieto di
tortura oppure viceversa se attenuare il divieto di tortura consentendolo solo in
limitatissima misura richiesta dalla necessità dell’ottenimento di informazioni cruciali e
urgenti.
Prima di arrivare all' evoluzione della prassi internazionali e quindi per certi aspetti della
norma di cui stiamo trattando, facciamo un passo indietro. Quello del ticking time bomb
scenario non è uno scenario che si è prospettato solamente con la war on terror, ma si è
presentato varie volte. In particolare, si è presentato tutte le volte che lo stato aveva
arrestato o posto in stato di fermo un individuo legato alla criminalità, in particolare alla
criminalità più estrema e sono gli atti di terrorismo.
Quindi, questa questione è stata sollevata di fronte alla Corte europea dei diritti dell'uomo
già negli anni ’80 in un caso che è rimasto molto noto e che è il caso TOMASI CONTRO
FRANCIA. Tomasi Era un che fu arrestato dalla polizia francese del 1983 perché
sospettato di avere partecipato ad un attentato nel quale un membro della legione
straniera aveva perso la vita. A seguito di questo arresto, nell’immediatezza dell’arresto il
Tomasi fu interrogato per 14 ore anche durante la notte, durante le quali dichiaro di essere
stato più volte picchiato dai poliziotti, di essere stato costretto a rimanere a lungo in piedi
con le mani ammanettate dietro la schiena e di essere stato privato di cibo. Dai referti
medici si sa che il Tomasi riportava lividi, riportava abrasioni, aveva dolori in varie parti
del corpo. Sembra anche che da questi maltrattamenti avesse riportato problemi
importanti ad un orecchio e ai denti, ma la radiografia che fu trasmessa agli inquirenti non
venne poi più trovata. Il Tomasi denunciò gli agenti della pulizia di questo commissariato
ai tribunali interni francesi per lesioni gravi. In realtà, i tribunali interni (quindi esperiti i
vari gradi di giudizio fino alla Corte di Cassazione) si negò che il Tomasi avesse prodotto
delle prove di colpevolezza sufficienti nei confronti degli agenti di polizia. A questo punto il
Tomasi adì alla commissione europea (siamo alla fine degli anni ’80, quindi era ancora la
commissione europea per i diritti dell'uomo) per violazione tra le altre cose dell'articolo 3
della Convenzione europea, quindi proprio quello che riguarda il divieto di tortura e di
trattamento inumano e degradante. La Commissione già qualificò le lesioni gravi riportate
dal Tomasi come costituenti trattamento inumano e degradante e comunque adì la Corte.
La Corte nella sentenza del ’92 ha confermato quanto stabilito dalla commissione e
quindi ha condannato la Francia per trattamento inumano e degradante. Quindi, non per
atti di tortura ma bensì per trattamento inumano e degradante. Perché a noi questa
sentenza interessa in relazione al ticking time bomb scenario? Perché in questa sentenza la
Corte per la prima volta ha sottolineato che ‘’la necessità delle indagini e le
innegabili difficoltà della lotta alla criminalità, in particolare in materia di
terrorismo, non possono condurre al limitare la protezione dovuta all'
integrità della persona.’’ Quindi, in questa sentenza la Corte opera un bilanciamento a
favore dell’integrità della persona, a favore della sua integrità fisica e mentale.
Evidentemente questa questione si è riproposta con veemenza dopo gli eventi dell’11
settembre. Dopo l’11 settembre vi è stato un tentativo ripetuto da parte soprattutto degli
Stati Uniti di restringere la portata del divieto di tortura e trattamenti inumani e
degradanti. In particolare, ricordiamo le affermazioni dell’esecutivo statunitense secondo il
quale pratiche quali waterboarding non costituiscono tortura.
Andiamo più nel dettaglio della posizione assunta dagli Stati Uniti con riferimento al
divieto in questione e quindi per fare questo, bisogna fare un po' un passo indietro. Gli
Stati Uniti evidentemente non sono parte alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, né sono parti alla Convenzione americana sui diritti umani;
però hanno ratificato la Convenzione contro la tortura. Nel 1984 viene elaborata
nell’ambito delle NU la Convenzione della prevenzione e repressione della tortura, quindi
questa viene aperta alla firma nel ’84, entra in vigore nel ’87 per gli stati che l’hanno
ratificata e gli Stati Uniti la ratificano nel ’94. Quindi, dal ’94 gli Stati Uniti sono parte a
questa Convenzione. Erano liberi di diventare parte a questa Convenzione oppure no.
Attenzione però. Contestualmente alla ratifica gli Stati Uniti hanno posto una riserva alla
Convenzione in base alla quale la nozione di trattamento o punizione crudele (Convenzione
del’84 accoglie anche questo aggettivo ‘’crudele’’ che però non sembra aggiungere niente
agli altri due inumani e degradanti), quindi in base alla riserva degli Stati Uniti la nozione
di trattamento o punizione crudele, inumano o degradante è accettata nella misura in cui
corrisponde alla nozione di ‘’cruel and unusual treatment’’ contenuta nella Costituzione.
Quindi, si dà priorità al diritto interno. Inoltre, hanno apposto un understanding (un
understanding può essere considerata come una riserva interpretativa più che
eccettuativa) in cui si formula una interpretazione restrittiva della tortura mentale.
Abbiamo definito come tortura un maltrattamento grave di natura fisica o mentale. È
evidente che l’aspetto mentale ampia estremamente il tipo di maltrattamento che può
concretare la fattispecie di tortura. Gli Stati Uniti hanno specificato che invece la tortura
mentale secondo loro solo quando il danno mentale è prolungato, solo quando dal
maltrattamento derivi un danno mentale prolungato. E inoltre gli Stati Uniti elencano in
questo understanding in maniera tassativa le varie condotte che concretano questo danno
mentale prolungato. Quindi, vediamo che restringono in modo importante la nozione in
questione.
Cosa succede a seguito dell’11 settembre del 2001? Il tentativo di restringere la nozione di
tortura si è ulteriormente concretizzato. In particolare, durante l’amministrazione Bush
sono stati adottati vari memoranda promossi dall’ Office of Legal Counsel (OLC), quindi
dall’ufficio legale dell’esecutivo, che miravano a lasciare margine di libertà maggiore
relativamente agli interrogatori nei confronti di sospetti terroristi Al Quaida e i loro
affiliati. Sono questi dei memoranda da allora noti come Bybee, il cui aspetto più rilevante
attiene proprio all’ulteriore restrizione dell’actus reus, in particolare della forte limitazione
alla nozione di sofferenza grave perché in questi memorandum si richiede una soglia di
dolore estremamente elevata affinché un maltrattamento possa qualificarsi come tortura.
In particolare, si richiede che affinché si possa parlare di tortura il dolore deve essere tale
da provocare ‘’organ failure’’ (rendere non più funzionale un organo), oppure impedire una
funzione del corpo ‘’impairment of bodily function o addirittura la morte ‘’even death’’.
Queste sono le tre ipotesi. Quindi, il dolore è grave solamente se provoca un arresto di un
organo o impedisce una funzione corporea o conduce alla morte. Questi memoranda sono
diventati subito oggetto di durissime critiche non solo ad opera della società civile
internazionale (non tanto quella statunitense), ma anche ad opera degli studiosi, degli
attivisti per i diritti umani ma anche ad opera di quei monitor in bodies delle NU e di
quelle special reporteurs delle NU. Quindi, la nozione di tortura che gli Stati Uniti hanno
deciso di abbracciare a seguito degli eventi dell'11 settembre è stata ritenuta inaccettabile
dalla comunità internazionale nel suo insieme, eccessivamente restrittiva.
A questo punto facciamo una notazione molto giuridica. L'osservazione è la seguente:
finora abbiamo parlato di norme pattizie, abbiamo parlato cioè dell’interpretazione,
applicazione data dalla commissione e corte europea dei diritti dell’uomo limitatamente
all’art.3 della Convenzione. Quindi, la convenzione europea = norma pattizia. Adesso
abbiamo parlato delle riserve apposte dagli Stati Uniti alla convenzione dell’84 contro la
tortura e della recente prassi applicativa che questo stato ha operato. Quindi, ci troviamo
nell’ambito del diritto pattizio e possiamo dire che dal punto di vista del diritto pattizio
quindi la norma sul divieto di tortura, trattamenti inumani e degradanti tiene, cioè siamo
in presenza di trattati in cui esiste un meccanismo di controllo nel caso della convenzione
contro la tortura in particolare è il Comitato contro la tortura (monitor embody) e quindi
prima di tutti si è pronunciato contro questa interpretazione restrittiva data dagli Stati
Uniti. Nel caso dell’Europa invece addirittura un organo giurisdizionale, un organo
giudiziario che vigila sulla corretta applicazione della Convenzione. Ma ovviamente a
fronte di questo esiste una norma di natura consuetudinaria contro la tortura che potrà a
seconda del caso essere più o meno corrispondente alla norma di natura pattizia che noi
finora abbiamo studiato. Abbiamo visto che in realtà vi è una pressoché totale
corrispondenza fra l'articolo 3 della CEDU e l’art.1 della Convenzione dell’84. Quindi,
questo ci porta nella direzione secondo cui l’art.1 dell’84 molto probabilmente trova una
corrispondenza nella relativa norma consuetudinaria. Se questa conclusione fosse
accertata sarebbe molto interessante perché evidentemente questa norma sarebbe
opponibile anche a quegli stati, fra l'altro pochi, che non sono parte alla convenzione
dell'84. Troviamo maggiore materiale a sostegno di questa affermazione nell'articolo di
Marchesi che in effetti possiamo concludere che il divieto di tortura è ormai un divieto di
natura consuetudinaria. Quindi, il divieto di tortura è un divieto di natura consuetudinaria,
anzi vi sono affermazioni di alcuni tribunali internazionali secondo cui il divieto di tortura
avrebbe assunto il rango di ius cogens, di norma imperativa. Qualora questa norma avesse
assunto davvero il rango di norma imperativa gli effetti che questa produrrebbe sia nei
confronti di trattati che connessa fossero eventualmente in conflitto sia nei confronti di
norme interne che con essa fossero eventualmente in conflitto.
Posto questo assunto occorre evidentemente anche domandarsi se la prassi post 11
settembre posta in essere dallo stato che maggiormente si è esposto nella guerra al
terrorismo è tale da modificare la portata della norma consuetudinaria. In realtà, Marchesi
conclude in senso negativo. Cioè in realtà vi sono numerosi elementi di opinio iuris e di
prassi nel senso che anche la norma consuetudinaria relativamente al divieto di tortura ha
mantenuto il suo contenuto anche attraverso i scostamenti che si sono avuti durante la war
on terror. Sostanzialmente è chiaro che tutte le proteste rivolte agli Stati Uniti per questo
tentativo estremo di ridurre la nozione di tortura sono tutti elementi di prassi che indicano
che la prassi statunitense non è atta a modificare la norma consuetudinaria in questione,
bensì costituisce una violazione della norma consuetudinaria. C’è un punto in cui il
discrimine tra la violazione di una norma consuetudinaria e invece i primi elementi di
prassi per la modifica di questa norma è difficile da individuare, però nel caso di specie
invece siamo sicuri di essere di fronte ad una violazione non ad una modifica incipiente
della norma in questione.
(In diritto internazionale il termine legge non esiste perché non esiste un parlamento.
Quindi, esiste la norma, esiste la regola internazionale, esiste il diritto internazionale.)
Occorre andare a verificare l’attitudine della maggior parte degli stati della comunità
internazionale per stabilire se quella norma e in procinto di modificarsi oppure no.
La prassi statunitense veniva già seguita da un altro stato della comunità internazionale
anche se con delle sfumature un po’ diverse, ma insomma l'orientamento era quello: lo
stato a cui facciamo riferimento è l’Israele (piccolo stato ma grande alleato degli Stati
Uniti).
I paesi arabi islamici hanno una nozione di tortura che è piuttosto restrittiva, ma è
piuttosto restrittiva soprattutto per un aspetto, soprattutto per l'aspetto della punizione.
Cioè abbiamo definito come trattamento inumano o degradante o tortura un trattamento o
una punizione che raggiunge determinate soglie di gravità. Punizione: noi non ci siamo
soffermati sulla punizione. Punizione è la conseguenza. Quindi, un atto illecito compiuto
da un individuo che è legittimamente erogato dallo stato; quindi, lo stato applica le proprie
leggi. I paesi islamici avevano e forse hanno ancora una nozione di punizione molto diversa
da quella a cui siamo abituati noi ed è una nozione che secondo noi è crudele. La famosa
punizione della mano, il taglio della mano destra consentito come legittima sanzione nei
confronti dell’individuo che ha rubato ma senza averne necessità. Per noi è una punizione
che sicuramente concreta tortura (taglio della mano: danno permanente). Invece, nella
concezione islamica viene detto che gli individui si sottoponevano di buon grado a questa
punizione perché Allah non può farlo due volte (punire). Quindi, se tu sei punito per un tuo
errore in terra non verrai poi punito una seconda volta quando non sarai più in terra.
Questo è solo un piccolo esempio per vedere quali sono poi le declinazioni culturalmente
accettate in alcune parti della terra che invece per noi sono assolutamente da aborrire.
(Articolo di Antonio Marchesi: è stato presidente di Amnesty International Italia,
professore di diritto internazionale, allievo di Antonio Cassese uno dei più grandi
sostenitori della lotta legale e giuridica alla tortura.)
A questo punto passiamo ad una questione che meglio illustra il dilemma del torturatore.
Lo illustriamo tramite il riferimento ad un caso molto noto nella giurisprudenza
internazionale che è il CASO GAFGEN CONTRO GERMANIA (CEDU). Questo caso
riguarda il vicepresidente della polizia di Francoforte, il signor Dashner, che autorizzò che
il suo subordinato (un agente di polizia) potesse minacciare di usare tecniche di
interrogatorio che producessero sofferenza in presenza di un medico nei confronti del
signor Gafgen. Il signor Gafgen aveva rapito un bambino che non si trovava più. Anche
questo è un caso di ticking time bomb scenario, la polizia ha messo le mani sul rapitore, vi
è la sicurezza che quell individuo sia il rapitore del bambino, ovviamente l'obiettivo è che il
rapitore sveli il prima possibile il luogo dove si trova il bambino. Siamo di fronte ad un
caso di minaccia di tortura, di produrre sofferenza grave. Il vicepresidente della polizia non
dovete passare poi ai fatti perché il Gafgen confessò piuttosto rapidamente, indicò il luogo
in cui si trovava il bambino. I poliziotti recandosi in quel luogo lo trovarono effettivamente
ma era stato ucciso, trovarono il cadavere. Questo caso ha fatto moltissimo scalpore in
Germania, se ne è parlato a lungo nell opinione pubblica che sostanzialmente si divise in
due parti. Da una parte chi riteneva che la tortura in qualche modo preventiva violasse la
dignità umana e quindi dovesse mantenere la sua natura assoluta anche nel caso estremo
in cui era in gioco la vita di un innocente. Quindi, il divieto di tortura non poteva essere
oggetto di alcun bilanciamento. Dall’altro lato invece vi era chi sosteneva che il
bilanciamento fra i diritti umani del criminale EI diritti umani della vittima dovevano
propendere a favore di quest'ultima.
Quindi quale fu la soluzione trovata dal tribunale regionale di Francoforte? Sia il
vicepresidente che i poliziotti furono sottoposti a processo per aver proferito minacce di
tortura. Quindi, evidentemente qui siamo di fronte ad un processo che si svolge secondo le
norme interne tedesche. E il risultato fu che i due poliziotti furono rinvenuti colpevoli per
avere proferito le minacce di tortura, ma non punibili. Questa è una fattispecie penalistica
tipica dell'ordinamento tedesco che per esempio non si trova nell’ordinamento italiano.
L’istituto che più gli si avvicina nel nostro ordinamento sarebbero gli attenuanti. Quindi, i
due poliziotti furono ritenuti colpevoli ma a loro furono concesse attenuanti importanti
perché nel minacciare la tortura i due perseguivano uno scopo nobile. Lo scopo nobile
evidentemente era quello di salvare la vita di un innocente. Inoltre, il tribunale di
Francoforte dà addito della pressione operata dall’opinione pubblica nel senso di dare
priorità alla vita del minore. In ultimo, il tribunale prende anche in considerazione
l'atteggiamento sprezzante del rapitore che quindi inizialmente era tutt'altro che volto a
collaborare con gli inquirenti. Quindi, il risultato fu che i due agenti furono sì ritenuti
colpevoli, ma solamente ammoniti e trasferiti ad impieghi di natura puramente
amministrativa.
Questa può essere una soluzione, cioè che fa salvo un po’ due aspetti del dilemma del
torturatore perché da una parte si fa salvo l’assolutezza del divieto, quindi si rinviene il
fatto che i due poliziotti siano colpevoli quindi abbiano violato una norma di natura penale,
ma dall'altro si fa anche valere ai fini della punibilità il diritto alla vita dell’individuo in
questione, della vittima.
(Il reato di tortura si concretizza anche nella minaccia.)
Quindi, questa può essere una soluzione interessante.
Per quanto riguarda la nozione di actus reus possiamo chiudere qui perché ora passiamo
agli obblighi di prevenzione e di repressione che vigono in capo agli stati relativamente a
questi divieti.
La prima cosa è l'obbligo di prevenzione, l'obbligo di prevenire la tortura è un obbligo
molto interessante perché chiaramente si applica nei confronti degli organi di Stato (agenti
di polizia, agenti di pubblica sicurezza: sono quelli che più rischiano di violare il divieto di
tortura perché sono quelli che sono più spinti a fare interrogatori nell’imminenza dei fermi
o degli arresti), quindi è abbastanza ovvio il fatto che la norma sul divieto di tortura chiede
allo stato di adottare delle leggi tali per cui all'organo di Stato deve essere fatto divieto di
ricorrere alla tortura. Questo obbligo di prevenzione della tortura si è nel tempo espanso
fino a richiedere che lo stato ponga in essere le misure necessarie a prevenire atti di tortura
anche nei rapporti fra privati. Questo evidentemente non significa che lo stato deve
controllare qualunque tipo di atto che viene posto in essere per esempio tra le mura
domestiche, ma qualora lo stato sia a conoscenza del rischio a cui una determinata persona
è sottoposta allora sì che deve prendere adeguate misure di prevenzione. E qui facciamo un
esempio che riguarda la violenza domestica.
In un caso sempre della Corte europea OPUZ CONTRO TURCHIA nel 2009, la Corte
europea dei diritti dell'uomo ha condannato la Turchia perché non aveva posto in essere
misure di natura preventiva nei confronti di un soggetto manifestamente vulnerabile quale
era la signora Opuz nei confronti del marito. La signora Opuz aveva una storia di ripetute
violenze, percosse, soprusi ricevuti sia dalla madre che adopera del marito in un arco
temporale molto più ampio perché siamo tra il ’90 e il 2002, un arco temporale di circa 7-8
anni. Questi soprusi erano sempre stati denunciati dalla vittima e quindi le autorità turche
erano al corrente di questi eventi al punto che il marito fu ammonito, fu fermato, fu
multato e poi anche soggetto a fermo ma mai per più di qualche settimana perché le
denunce venivano sì presentate, ma anche prontamente ritirate dalla signora Opuz con una
prassi che è tristemente comune fra le donne soggetto a violenza domestica. Quello della
violenza domestica è un’escalation che però ha al suo interno presenta anche momenti di
riconciliazione, di riappacificazione e quindi sono in questi momenti con tutta probabilità
che la signora Opuz ha poi ritirato la denuncia o sotto minaccia da parte del marito.
La Corte ha condannato la Turchia perché le violenze subite erano di indubbia gravità,
quindi il rischio per la persona era sicuramente reale ed imminente. Addirittura, una volta
la signora Opuz aveva subito talmente tante coltellate dal marito che dovette stare 7 giorni
in ospedale. Quindi in questo caso secondo la Corte anche in assenza di una specifica
denuncia ad opera della vittima, anzi anche in presenza di ritiro delle denunce da parte
della vittima, lo stato avrebbe dovuto approntare delle misure di protezione. Quindi, La
Turchia in questo caso aveva violato l’art.3.
Questo è uno sviluppo dirompente perché vediamo che il divieto di tortura si insinua anche
tra le mura domestiche, ovviamente solo qualora le autorità siano al corrente del rischio
che la vittima subisce.
L’altro tipo di obblighi è invece di natura repressiva. Quindi, abbiamo obblighi di
natura preventiva e obblighi di natura repressiva. Ovviamente questi sono obblighi che
attengono alla sfera della condotta di indagini e di procedimenti efficaci. Quindi, il divieto
di tortura si concretizza anche nell obbligo di aprire le indagini relativamente al
maltrattamento allegato. Quindi, vediamo che questo come l’obbligo di prevenzione,
questo è un obbligo positivo, è un obbligo di fare. Mentre il divieto di tortura in quanto
tale, in quanto actus reus richiede un’astensione da parte dello Stato, quindi è un obbligo
negativo, un astenersi dal porre in essere determinati maltrattamenti; invece con l'obbligo
di prevenzione e repressione ci inoltriamo in quelli che sono gli obblighi di fare. Quindi, lo
stato deve prevenire e anche reprimere condotte che abbiano portato alla violazione di
questo obbligo. Interessante è il fatto che uno stato può essere ritenuto responsabile per
violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti o tortura anche solo se ha
violato un obbligo positivo. Quindi, uno stato può anche essere ritenuto di non aver violato
il divieto in questione, ma può essere invece ritenuto responsabile per la mancata apertura
di indagini.
Un noto caso in questo senso è LABITA CONTRO ITALIA (2001) che è un caso che
riguarda sospetti maltrattamenti nel carcere di Pianosa. In quel caso lì la Corte non accertò
l’effettiva sussistenza di maltrattamenti che concretassero violazione dell’art.3 della CEDU,
ma certamente rinvenne la mancata apertura di indagini interne volte ad accertare se
questi maltrattamenti effettivamente fossero stati posti in essere. Quindi, il risultato è che
comunque l'Italia è stata condannata per violazione dell'articolo 3. Quindi, si ha comunque
una sentenza di condanna, ancorché una condanna limitata alla violazione di un aspetto
procedurale, quindi alla violazione dell’obbligo positivo di repressione del divieto di tortura
e trattamenti inumani e degradanti.
Vedremo che L'Italia è stata condannata per lo stesso motivo anche nel caso Cestaro che è
quello che riguarda gli eventi della scuola Diaz, maltrattamenti durante il G8 di Genova.
Principio di non respingimento (principio di non refoulement): qui riproviamo con un
profilo che più direttamente attiene al rischio di maltrattamenti qualora un individuo fosse
rinviato in un paese (qualunque sia la ragione del rinvio: quindi che si tratti di espulsione,
estradizione e di trasferimento a qualunque altro titolo), quindi il divieto di trasferimento
sussiste qualora vi sia un rischio reale che l'individuo possa subire maltrattamenti se
facesse ritorno in un determinato paese.
Questo principio che adesso è senza dubbio una norma di natura consuetudinaria, forse
anche di natura imperativa, fu affermato in modo molto chiaro dalla Corte europea dei
diritti dell'uomo in una sentenza che è una delle più note e delle più importanti che è la
sentenza SOERING CONTRO GERMANIA DEL 1989. Il signor Soering era un
cittadino tedesco che aveva ucciso i genitori della sua ragazza canadese negli Stati Uniti. Il
Soering e la sua ragazza scapparono in Gran Bretagna dove furono arrestati. Il Soering
nelle more dell’estradizione del Soering negli Stati Uniti, La Gran Bretagna richiesi la non
comminazione della pena di morte. Sappiamo che per l'omicidio doloso negli Stati Uniti è
prevista la pena di morte. E quindi la Gran Bretagna richiese la non comminazione della
pena di morte o quantomeno la non esecuzione qualora il Soering a seguito del processo
fosse stato condannato a questa pena. Effettivamente gli Stati Uniti dichiararono che
avrebbero preso in considerazione la richiesta della Gran Bretagna. Non di meno il signor
Soering fece ricorso alla Corte europea per bloccare l'estradizione.
La Corte di Strasburgo effettivamente affermò che l'estradizione avrebbe violato tra le altre
cose l'articolo 3 in quanto se l’estradizione avesse avuto seguito la Gran Bretagna avrebbe
in questo modo aggirato il divieto di tortura e trattamento inumano a cui era vincolata in
ragione della convenzione europea. Quindi, la Corte opera un ampliamento della
applicazione spaziale del divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti. Quindi,
non è che Gli Stati Uniti all'improvviso diventano titolari degli obblighi derivanti dalla
CEDU, ma al contrario la Gran Bretagna non può farsi Complice di una tale violazione
tramite l'estradizione di un individuo che si trova sotto il suo controllo.
L'estradizione dell’individuo non avrebbe costituito una violazione del diritto alla vita e
non del divieto di tortura? Qui il ragionamento è un po’ sottile. Tra l'altro è un
ragionamento che è stato elaborato da Amnesty International che ha presentato un Expert
opinion Alla Corte e la Corte di buon grado ha adottato questa prospettiva. Nell’87 in
ambito europeo la pena di morte era ancora consentita, non vi era un divieto di
comminazione della pena di morte In Europa nell’87. Oggi si vi è, ma nell’87 che è l'anno
della sentenza non vi era. Quindi, evidentemente non si poteva fare leva su diritto alla vita
del Soering, ma si è fatto leva con un’argomentazione molto fina avanzata da Amnesty
International che ha fatto leva sul fatto che la permanenza nel braccio della morte degli
Stati Uniti avrebbe suscitato così tanta angoscia nel Soering da concretare una violazione
dell'articolo 3. Dati statistici mostravano che la permanenza nel braccio della morte si
poteva prolungare per alcuni anni, fino a 6 anni prima dell'esecuzione e in più le condizioni
del braccio della morte erano tali che aggravavano ulteriormente l'ansia, l'angoscia per
l'attesa del momento dell'esecuzione a morte. Quindi, è la permanenza nel braccio della
morte, è l'angoscia che quella avrebbe provocato nel Soering a costituire una potenziale
violazione dell'articolo 3 e non è la pena di morte in sé perché dal punto di vista giuridico
questo non sarebbe stato accoglibile da parte della Corte.
Quindi, il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti in ragione dell’applicazione
del principio di non refoulement ha una espansione territoriale potenzialmente illimitata,
che potenzialmente copre tutto il globo e quindi alla luce di questa affermazione
comprendiamo anche perché la prassi della extraordinary rendition (consegne
straordinarie) è una prassi che è stata più volte censurata da parte della Corte europea.
Quindi, la prassi di inviare determinati sospetti (sospetti terroristi) nell'ambito della war
on terror in determinati paesi che hanno la mano un po’ più forte relativamente agli
interrogatori, è una prassi che viola comunque l'articolo 3 In ragione della sussistenza del
principio di non refoulement.
In ultimo, la Corte europea ha anche applicato il rispetto del principio di non refoulement
anche qualora l’estradizione riguardasse individui particolarmente pericolosi. Famoso è il
caso SAADI CONTRO ITALIA, che riguardava proprio l'espulsione di un cittadino
tunisino che era stato condannato per gravi reati, ma il cui respingimento nel proprio
paese avrebbe comportato rischi per la tutela dell’integrità dell’individuo stesso. Eppure la
Corte nega un bilanciamento da una parte fra le esigenze di sicurezza collettiva e dall'altro i
rischi a cui l’individuo andrebbe incontro se rinviato nel proprio paese. Quindi, anche in
questa sentenza la Corte ritorna all'assolutezza del divieto di trattamento inumano e
degradante e divieto di tortura.
(Gli Stati Uniti adottano una interpretazione estremamente restrittiva. È un po’ la
concezione che gli Stati Uniti adottano per ogni trattato sui diritti umani, cioè loro
ritengono che i trattati sui diritti umani devono avere un applicazione strettamente
territoriale e non extraterritoriali. Ovviamente questa interpretazione se portata alle
estreme conseguenze invece al contrario produce l'effetto di aggirare le norme stesse.
Quella delle extraridnary radition è stato un fenomeno di cui si sono macchiati numerosi
paesi e non soltanto gli Stati Uniti. Magari Gli Stati Uniti fanno più notizia perché in linea
generale sono più trasparenti di altri paesi e quindi informano di più di quello che fanno gli
altri paesi e in più pubblicano in una lingua a noi facilmente accessibile).
(ci sono vari step. Il primo è quello della ammissibilità della richiesta e il 70% delle
richieste è inammissibile. Ci sono dei requisiti di ammissibilità molto stringenti. Qualora
però un ricorso sia dichiarato ammissibile e quindi l’ammissibilità è dichiarato da un unico
giudice o al massimo da tre giudici. A quel punto si passa al giudizio nel merito. Qui può
essere di spettanza o di una camera che è formata da 7 giudici oppure se il caso è
particolarmente rilevante della grande chamber di 17 giudici. La tempistica non è dettata
perché ovviamente dipenderà dalla complessità del caso, dal tipo di prove addotte ecc.
Però in situazioni di emergenza l'individuo può chiedere l'indicazione di misure
provvisorie. Può chiedere che nelle more della pronuncia della sentenza, la Corte induca lo
stato a prendere delle misure provvisorie. Non sono tanti i casi in cui questo avviene.
Oppure c’è un'ulteriore possibilità che è quella di non dare seguito nei casi urgenti a quello
che è requisito di ammissibilità più stringente che è l’esaurimento dei ricorsi interni.
Quindi, in casi di urgenza l'individuo può evitare che questo requisito sia esperito.
Ovviamente lo deve documentare. Ci sono quindi degli strumenti di cui la Corte si è dotata
nel tempo volti proprio a tutelare l'individuo).
(Campo di prigionia di Guantánamo: American exceptionalism to human rights.
Argomenti come la priorità della costituzione americana rispetto ai trattati o l’applicazione
esclusivamente territoriale dei trattati sui diritti umani quelle sono argomentazioni che gli
Stati Uniti in modo ricorrente adducono. La situazione di Guantanamo è diversa perché lì
gli Stati Uniti hanno provato a sostenere che su quel territorio non si applicassero le leggi
statunitensi e non si applicasse nemmeno il diritto internazionale che vincolava gli Stati
Uniti perché avevano adottato un approccio molto formalista, cioè sostenevano che quel
territorio non fosse territorio statunitense. La base navale di Guantanamo si trova in
territorio cubano, ma è una base che è data in affitto per un arco temporale limitato agli
Stati Uniti come base navale. Nell’area che poi è diventata un vero e proprio campo di
detenzione degli individui legati ad Al Qaida, in passato erano stati ospitati dei rifugiati da
Haiti ed eccetera, quindi quella base era stata già utilizzata non solo ad uso navale ma per
altri scopi. Facendo leva su quell accordo di leasing, Gli Stati Uniti hanno provato a
sostenere che quel territorio quindi era dal loro punto di vista extra, non era territorio
statunitense. Questa affermazione avrebbe portato ad una conseguenza che probabilmente
Gli Stati Uniti almeno inizialmente non avevano puntato, cioè se quello non è territorio
statunitense e quindi non si applicano le norme interne internazionali a cui Gli Stati Uniti
sono vincolati evidentemente si applica il diritto cubano. Se tu ritieni che quello non sia un
tuo territorio, evidentemente è un territorio di qualcun altro perché non esistono più terrae
nullius, quindi si sarebbe dovuto applicare il diritto cubano. In realtà, su Guantanamo è
intervenuta la Corte Suprema statunitense che ha privilegiato non tanto l'aspetto
territoriale, quindi certo è vero ha riconosciuto che gli Stati Uniti non avevano sovranità in
Guantanamo (la sovranità permaneva in mano a Cuba), ma invece ha privilegiato l'aspetto
del controllo. Cioè questi individui erano in custodia degli Stati Uniti e quindi gli Stati
Uniti dovevano rispettare i diritti di questi individui limitatamente a ciò che era pertinente
le aspetti relativi alla custodia degli individui stessi. Quindi, è vero che dal punto di vista
della sovranità territoriale gli Stati Uniti non ne godevano sul territorio di Guantanamo,
ma con riferimento alla custodia degli individui la Corte Suprema ha ricordato che questa
era in capo agli Stati Uniti stessi e quindi avrebbero dovuto applicare sia le norme interne
che le norme internazionali. Alla luce di queste sentenze gli Stati Uniti hanno trasferito i
cittadini americani in terraferma, cioè sul territorio statunitense e hanno invece lasciato i
cittadini non statunitensi a Guantanamo e hanno adottato una serie di ordinanze,
equiparabili alle leggi, che hanno creato delle commissioni di natura militari pronte a
giudicare le condotte probabilmente terroristiche degli individui internati a Guantanamo,
quindi creando delle sorti di tribunali che hanno applicato delle norme penalistiche expost,
le cosiddette ordinanze delle commissioni militari. Quindi, la pagina di Guantanamo è una
pagina nerissima per Gli Stati Uniti quanto riguarda il rispetto del diritto internazionale
dei diritti umani.)
-01.04.2021
- DIVIETO DI TORTURA E TRATTAMENTI O PENE INUMANI E DEGRADANTI
-SULL’ATTUALITA’ E L’IMPORTANZA DEGLI OBBLIGHI DERIVANTI DALLA
CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE CONTRO LA TORTURA DEL 1984
Una nota del Consiglio direttivo della Società Italiana di Diritto Internazionale e Diritto
dell’Unione Europea (SIDI). Per gli esperti di diritto internazionale questa è la società di
riferimento. Come possiamo vedere è una nota molto interessante per quanto riguarda
l’argomento che stiamo trattando, è una nota che è stata diffusa lo scorso dicembre perché
riguarda gli abusi definiti brutali perpetrati in Egitto a danno di due cittadini italiani,
Regni e Zhaki. Quindi, in questa nota la società italiana di diritto internazionale e diritto
dell'unione europea richiama il fatto che entrambi gli Stati in questione, Italia ed Egitto,
sono parti alla Convenzione per la prevenzione e la repressione della tortura del 1984.
Che cosa ricorda questa nota? Ricorda che la convenzione prevede ‘’una solida rete di
obblighi in capo agli stati parte, per evitare che gli autori di atti di tortura o di trattamenti
inumani e degradanti, restino impuniti.’’ Uno degli obiettivi della convenzione è
l’impunità. Però questa convenzione non si limita a dettare obblighi volti a prevenire simili
comportamenti nei territori sottoposti alla loro giurisdizione, ma richiede l'adempimento
di ulteriori obblighi positivi. Gli obblighi positivi sono obblighi di fare. Tra cui quello di
‘’indagare e reprimere tali atti’’, che possono concretare trattamenti inumano o degradante
o divieto di tortura. E qui aggiunge un altro elemento che noi non abbiamo trattato, ma che
discende dall’ART.12 della Convenzione, e cioè l’obbligo ‘’di fornire cooperazione e
assistenza giudiziaria ad altri Stati parte’’. E quindi questo significa che ‘’ogni stato debba
assicurare, garantire che le sue autorità competenti procedano ad una inchiesta immediata
e imparziale ogni volta che ci sono ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura è
stato commesso in un qualunque territorio sotto la sua giurisdizione’’. Quindi, quando ci
sono ragionevoli motivi di ritenere che un atto di tortura è stato commesso, bisogna che lo
stato parte (in questo caso lo stato parte in questione è l’Egitto). L’Italia senza la
collaborazione dell’Egitto non può indagare. Inoltre, vi è un altro elemento che discende
dall’ART.9 secondo cui ‘’ gli Stati parte si accordano reciprocamente la più ampia
assistenza giudiziaria in ogni procedimento penale relativo ai reati previsti all'articolo 4,
compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova dei quali dispongono e che siano
necessari ai fini della procedura.
Oltre all'articolo 12 che pone un obbligo generale di apertura di un'inchiesta, invece
l'articolo 9 è più specifico perché richiede che siano inviati elementi di prova ad uno stato
parte che ne faccia richiesta relativamente a delle indagini per reati di tortura
(comunicazione degli elementi di prova). Quindi, è molto chiara la Convenzione su questi
punti che fino adesso non avevamo messo a fuoco, avevamo parlato in modo generale di
obbligo di repressione.
Molto interessante è la conclusione della nota che fa riferimento anche al fatto che qualora
vi sia un inadempimento in relazione a questi obblighi, la Convenzione offre la possibilità
di ricorrere a procedure ad hoc di soluzione delle controversie, come precisato
dall’articolo 30. Quindi, la Convezione offre la possibilità di ricorrere a procedure ad
hoc. Quali sono queste procedure ad hoc di risoluzione delle controversie a cui la
convenzione può fare riferimento? (Diritto internazionale) Quali sono i metodi di soluzione
delle controversie? Il NEGOZIATO, la MEDIAZIONE, l’INCHIESTA, la CONCILIAZIONE
 sono quelli di natura diplomatica. Ma poi vi sono quelli di natura giudiziaria, ovvero sia
l’ARBITRATO. Qui molto probabilmente il riferimento è all'arbitrato, cioè alla creazione di
un tribunale arbitrario ad hoc che valuti l'applicazione corretta o meno di questa parte
della convenzione. Come si crea l’arbitrato? Che procedura segue? Di solito è un collegio
arbitrale formata da 5 arbitri, che emana un lodo arbitrare che è a tutti gli effetti una
sentenza, quindi è giuridicamente vincolante.
Quindi, come vediamo non solo il governo ma anche le associazioni di studiosi del diritto
internazionale si muovono nei casi concreti quando atti di tortura vengono perpetrati
soprattutto nei confronti di cittadini italiani.
-REATO DI TORTURA IN ITALIA
Facciamo un focus sulla questione del reato di tortura in Italia. Esiste nel nostro codice
penale un reato di tortura, definito proprio come tortura?
Siamo arrivati finalmente nel 2017 quando L'Italia ha ratificato la convenzione nel 1987 (è
stato uno dei primi paesi a ratificare la convenzione), come mai ci sono voluti 20 anni
prima di introdurre questo reato nel nostro ordinamento. La Convenzione richiede proprio
la criminalizzazione interna della condotta, quindi è un obbligo che discende dalla
convenzione.
Per questa analisi partiamo da una sentenza della Corte europea che è la sentenza
CESTARO CONTRO ITALIA. È una sentenza dell'aprile del 2015 dove la Corte rinviene
la responsabilità dell'Italia per violazione non solo dell'articolo 3, ma specificamente per
violazione del divieto di tortura. Questo è il primo caso in cui la Corte europea ritiene
responsabile l'Italia per atti di tortura. Siamo nel 2015. Già in passato la Corte aveva
ritenuto l'Italia responsabile di violazione dell'articolo 3, ma o non aveva specificato per
quale atto oppure aveva chiarito che si trattava di atti inumani o degradanti, ma mai atti di
tortura. Questa sentenza riguarda gli eventi che si sono svolti nella notte del 21 luglio del
2001 a Genova nella scuola Diaz. 19-21 luglio: a Genova è stato ospitato il G8, dove i
rappresentanti dei paesi più industrializzati si erano riuniti per discutere questioni relative
al cambiamento climatico. Questo evento attrasse migliaia di manifestanti da tutto il
mondo che volevano esprimere la loro preoccupazione per il futuro della terra. E sebbene
la maggior parte di loro fossero manifestanti molto pacifici, però tra questi vi erano anche
degli individui estremamente violenti che furono identificati come i black blocs. Questi si
abbandonarono a distruzione di buona parte della città ed anche ad attacchi contro altri
manifestanti che contro la polizia stessa. Nei confronti di questi individui gli agenti di
polizia risposerò molto fortemente, con molta forza senza necessariamente fare una chiara
distinzione tra gli individui pericolosi e quelli no. Una notte del 21 luglio quando un gruppo
di manifestanti stava riposando nella scuola Diaz, ci fu un’irruzione degli agenti di polizia
con l’intenzione di trovare alcuni esponenti dei black blocks che a loro avviso si erano
nascosti dentro la scuola. In realtà, gli agenti di polizia si trovarono a confrontarsi con
persone che non opponevano alcuna resistenza, ma questo non ha fermato, non ha fatto
desistere gli agenti di pulizia dal porre in essere degli atti che sono diventati noti; atti di
percosse, di trascinamento per i capelli per le scale di questi individui, addirittura gruppi di
agenti che malmenavano un unico individuo, fino al punto che alcuni di loro ne uscirono
non solo con lesioni manchi con ossa rotte. A questo poi seguirono degli eventi nel
commissariato di polizia di Bolzaneto, dove furono condotti alcuni di queste persone e in
quel caso furono proprio posti in essere delle azioni tipo obbligare gli individui a stare
svegli tutta la notte in piedi, furono tagliati loro i capelli senza alcuna necessitò, fu urinato
sulle persone in stato di fermo perché rifiutavano di riprodurre degli inni di natura
fascista. Questi sono solo alcuni degli atti che sono stati compiuti.
Questi eventi ovviamente dettero luogo a grandissima indignazione e furono anche aperte
indagini e processi. Una delle difficoltà di questi processi è legata al fatto che gli individui
in questione, gli agenti avevano il volto coperto dagli elmi anti sommossa e quindi la loro
individuazione era molto difficile.
Per quanto riguarda poi la procedura In Italia: in Italia praticamente gli individui sono
stati sottoposti a delle pene molto lievi, soltanto praticamente una metà di loro (15
condanne e 30 assoluzioni), e ovviamente per reati come abuso d’ufficio o violenza privata
e altri atti minor generis rispetto ad atti di tortura perché appunto nel nostro ordinamento
ancora questo reato non era previsto. Però in appello la Procura chiese l'archiviazione per
prescrizione (la prescrizione era prevista per i reati di cui erano stati ritenuti colpevoli in
primo grado perché erano reati che comunque prevedevano pene molto brevi), e quindi poi
in appello la archiviazione fu accolta dal giudice. Quindi, c'è stata una archiviazione per
prescrizione.
Uno di questi individui, il signor Cestaro, un uomo di 62 anni dalla salute piuttosto
malferma. Il Signor Cestaro fa ricorso alla Corte europea, la quale dopo aver in maniera
molto accorta esaminato i processi che si sono svolti in Italia, arriva alla conclusione che vi
sono stati atti di tortura dal punto di vista sostanziale (quindi vi è una violazione
sostanziale dell'articolo 3 della Convenzione), ma vi è anche una violazione di natura
procedurale. Per quanto riguarda la violazione sostanziale del divieto di tortura, la Corte
ritiene che come già stabilito dal giudice italiano la forza usata dagli agenti di polizia era
sproporzionata in quanto il ricorrente e gli altri occupanti della scuola non opponevano
alcuna resistenza. Quindi, la Corte condanna queste modalità operative utilizzate dagli
agenti di polizia, un uso eccessivo della forza, un uso sproporzionato. E va oltre e afferma
anche che la pianificazione dell’intera operazione era inadeguata in quanto agli agenti non
erano state date delle indicazioni decise su quelle situazioni che avrebbero giustificato l'uso
della forza. Questo è l’ambito delle cosiddette regole di ingaggio; sono regole molto chiare e
succinte in cui si stabilisce la gradualità dell’uso della forza. Queste non erano state date
agli agenti. Quindi, la Corte conclude che i maltrattamenti erano dolosi, intenzionali e
premeditati, gravi sia per la violenza fisica inflitta sia per i sentimenti di paura ed ansia
instillati nel ricorrente. Quindi, abbiamo l'elemento dell’intenzionalità, abbiamo l'elemento
della gravità del trattamento dal punto di vista fisico ed anche mentale e pertanto eravamo
in presenza di tortura. Il tipo di maltrattamento ha anche concretato una violazione di
natura procedurale perché la Corte rinviene dei limiti nella condotta delle indagini e a
livello di punizione dei colpevoli. Questo perché gli agenti di polizia indossando l'elmetto
erano di fatto non identificabili. Bastava che vi fosse un unico uomo in divisa che questo
comunque avrebbe consentito la loro individuazione senza ridurre la sicurezza della gente
di polizia (e questo adesso c’è). Quindi, questo a livello di indagini ha precluso una effettiva
indagine. E a livello di condanna secondo la Corte le condanne per abuso di autorità,
lesioni personale aggravate, calunnie ecc. non hanno reso giustizia della gravità degli atti
compiuti alla Diaz. Quindi, vi è una sproporzione tra la gravità degli atti e il tipo di pena
che poi è stata comminata.
Inoltre, la Corte critica l'Italia per la prescrizione per reati così gravi, per l’applicazione
della prescrizione dovuta al fatto che nell’ordinamento italiano mancassero delle norme
penali relative al reato di tortura. Quindi, la Corte fa proprio riferimento esplicito alla
mancanza di norme penali interne relative al reato di tortura, al punto che questi due
elementi, la mancanza dell’inclusione del reato di tortura nell’ordinamento interno e
l’applicazione della prescrizione per reati così gravi, ha di fatto assicurato l’impunità agli
agenti di polizia responsabili per le violenze. Quindi, molto netta questa sentenza, una
condanna molto esplicita senza mezzi termini e sotto tutti i profili.
Molto interessante è il fatto che per la sua critica sulla mancanza del reato di tortura
nell’ordinamento interno, la Corte abbia fatto leva sulle sentenze interne, sulle sentenze
italiane, in particolare sulla sentenza della Corte costituzionale del 02 ottobre del 2012,
nella quale è proprio basandosi sulla definizione di tortura contenuta nella Convenzione
dell’84 e sull’articolo 3 della CEDU, ha precisato che solo l’assenza di tortura nel nostro
ordinamento ne aveva impedito di qualificare i maltrattamenti della scuola Diaz come
tortura. Quindi, è solo a causa di questo perché altrimenti dal punto di vista dell’actus reus
non vi è dubbio che quella sarebbe stata la qualificazione corretta. E qui in qualche modo
arriva il plauso della Corte europea, dei giudici di Strasburgo che quindi apprezzano gli
sforzi fatti dal giudice italiano, al contrario del legislatore che invece per inerzia non aveva
ancora introdotto il reato, e appunto di nuovo ribadisce la necessità di un adeguamento
dell’ordinamento italiano come già rilevato dalla Corte interna. Quindi, si può dire che la
Corte ricorda che l’Italia ha un obbligo positivo di introdurre nel proprio ordinamento
norme penalistiche che definiscano gli elementi dell’atto di tortura ed indichino le pene.
In realtà almeno fin dal 2013 era all’esame delle camere un progetto di legge sul reato di
tortura. Ovviamente questa sentenza ne ha accelerato l’iter legislativo, che si è poi concluso
con la legge 110 del 14 luglio del 2017. Andiamo a vedere cosa prevede questa legge perché
ovviamente è una legge che richiede discendendo da una norma pattizia internazionale;
questo è un caso di adattamento dell’ordinamento interno ad una norma pattizia
internazionale. Questo adattamento può avvenire in due modi: il primo è quello
automatico, cioè tramite ordine di esecuzione. Quindi, la prima modalità è quella secondo
cui le camere adottano una legge molto semplice in cui si afferma con ‘’si dà qui immediata
esecuzione alla convenzione del ‘84 sulla prevenzione e repressione della tortura’’ e si
allega proprio il testo del trattato. Ma non è questa la modalità che è scelta dal legislatore
italiano, che voleva solamente introdurre il reato di tortura, voleva specificare gli elementi
del reato di tortura. Quindi, quando una norma non è self-executing, ovviamente quando
devi specificare una norma di natura penalistica è chiaro che vanno dettagliati gli elementi
della norma, quindi non sono mai self-executing le norme di natura penalistica. Allora,
giustamente il legislatore ha optato per la seconda scelta che è la riformulazione della
norma pattizia nell’ordinamento interno. Questa riformulazione però poggia il fianco a dei
rischi, cioè i rischi di travisamento della norma internazionale e infatti in questo caso è in
parte avvenuto. E allora andiamo a vedere perché.
-LEGGE 14 LUGLIO 2017, n.110 INTRODUZIONE DEL DELITTO DI TORTURA
NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
La legge in questione è andata a modificare sostanzialmente il codice penale, l’articolo 613bis. Questo per quanto riguarda la nozione di tortura. Poi vedremmo che è stato modificato
anche un articolo del codice di procedura penale e altri articoli su cui ci soffermiamo dopo.
Partiamo però dalla questione più complessa che è il dispositivo dell'articolo 613-bis del
codice penale.
ART.1: ‘’Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona
acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà
personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza,
ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da
quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un
trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.’’
Da questo emerge già la difficoltà dell’elaborazione di questa norma perché è di tutta
evidenza che è molto diversa, molto più complessa rispetto a quella internazionale, quella
della Convenzione dell’84. E qui vi sono numerose critiche che sono state presentate da
tutti gli organi internazionali, addirittura prima dell’adozione ma a nulla sono serviti, il
nostro Parlamento ha comunque perseguito per la sua strada. Qui il primo elemento che
salta all’occhio è il dover individuare le varie situazioni di vulnerabilità in cui l’individuo si
deve trovare affinché la persona che pone in atto certi maltrattamenti possa essere
accusata di tortura. Si parla di custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza.
Sono tutte situazioni che complicano gli aspetti probatori perché ovviamente si deve prima
dimostrare che quell’individuo era sotto la cura o il controllo o la potestà o la vigilanza di
un altro individuo. Aspetto che invece nella Convenzione dell’84 non è richiesto perché
secondo quella Convenzione l’atto di tortura è un reato proprio, cioè è proprio di una
categoria di individui che sono i pubblici ufficiali, cioè gli organi di stato quali sicuramente
gli agenti di polizia. L’Italia invece ha scelto di definire questo reato, il reato di tortura
come un reato comune, quindi come ad un reato che può essere posto in essere da
qualunque individuo. Ora questo da una parte è da vedere di buon grado perché amplia la
possibilità che anche un singolo cittadino possa essere accusato di questi reati
indipendentemente dallo status ufficiale in cui li ha compiuti. Ma invece complica
notevolmente a livello probatorio quando questo atto è posto in essere da un individuo che
esercita una funzione pubblica ed è tra l’altro sotto questo primo aspetto che la norma
contro la tortura nasce; nasce come un aspetto di verticalità, autorità statali verso vittima.
Questo è sicuramente un elemento di differenza con la norma internazionale.
Poi proprio perché questo reato è considerato come reato comune, manca la previsione di
condotte omissive da parte degli agenti dello Stato. Immaginiamo che un agente di polizia
non intervenga quando vede che un suo collaboratore pone in essere atti di tortura. Questa
condotta non è sanzionata dalla norma interna, al contrario di quanto avviene per la
norma internazionale.
Abbiamo poi altri due aspetti molto problematici. Un altro aspetto problematico è quello
della reiterazione. Nel primo paragrafo si afferma che l’atto è punito con la pena di
reclusione ‘’se il fatto è commesso mediante più condotte’’, quindi questo significa che un
atto di tortura è tale solo se è reiterato. Se invece è posto in essere un’unica volta non può
concretare tortura, al più può concretare un atto disumano o degradante. Ovviamente
anche questo è in totale violazione della norma internazionale; tra l’altro la prassi
internazionale ci indica proprio che l'atto di tortura è spesso posto in essere in un'unica
soluzione.
Inoltre, anche la questione della verificabilità del trauma psichico pone dei problemi,
‘’chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute
sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico’’. Il mentale qui è stato trasformato in
un ‘’verificabile trauma psichico’’ e anche questo, il fatto che sia verificabile ovviamente
pone un ulteriore aggravio probatorio in uno stato come quello italiano che già non vede
un grade record di rapidità dei processi. Quindi, anche questo aspetto sicuramente non ci
fa rallegrare.
Poi come vediamo nei commi successivi, si fa riferimento al pubblico ufficiale al secondo
comma e qualora si rinvenga che l’atto di tortura è stato commesso da un pubblico
ufficiale, a questo punto la pena è leggermente aumentata.
Il terzo comma invece ripete la norma internazionale; il fatto che non si possa definire
tortura una sofferenza che risulti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative,
questo è presente nella norma internazionale. Per esempio, l’isolamento penitenziario in
casi estremi potrebbe configurarsi come (potrebbe: condizionale perché la tendenza della
giurisprudenza invece ha senso opposto) una legittima sanzione e non invece un atto di
tortura.
Successivamente il terzo e il quarto comma parlano delle pene su cui non ci soffermiamo.
Un accenno all’istigazione del pubblico ufficiale. L’articolo 613-ter anche prevede il reato di
istigazione del pubblico ufficiale a commettere il reato di tortura.
Passando alla modifica dell’articolo 191 del codice di procedura penale, è interessante che
in questo articolo si precisi che le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante tortura
non sono utilizzabili, ‘’salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di
provarne la responsabilità penale’’. Anche questo è un principio di natura convenzionale
che mira evidentemente a non ricorrere all'atto di tortura perché qualora poi le confessioni
così ottenute non si possano ottenere il processo, evidentemente viene meno la
motivazione del ricorso alla tortura.
Vediamo poi che questa legge va ad incidere anche in materia di immigrazione e anche qui
recependo una norma esplicitamente contenuta nella convenzione dell'84 che è quella del
non respingimento. Il principio di non refoulement lo troviamo qui chiaramente espresso
all’articolo 3 paragrafo 1.
In ultimo, segnaliamo il fatto che sia esclusa l'immunità per stranieri sottoposti a
procedimento penale oppure condannati per tortura in un altro stato o da un tribunale
internazionale. Quindi, questo è un aspetto molto rilevante in cui in qualche modo si fa
valere la norma della tortura quale norma di ius cogens, come preminente rispetto alla
norma sulla immunità.
Però come vediamo anche da queste ultime norme, manca il divieto di prescrizione. Non è
esplicitamente previsto e quindi anche per la prescrizione bisogna fare riferimento alle
norme generali del codice penale e quindi le limitano a pene di una certa durata e quindi
purtroppo ci troviamo in una situazione in cui bisognerà andare a verificare caso per caso
se la pena prevista per quel determinato atto di tortura possa essere soggetto a prescrizione
oppure no, quindi dipende dalla durata della pena.
Evidentemente gli interessi in gioco nell’elaborazione di questa norma erano tanti
evidentemente lo stato tende a tutelare i propri agenti e ritiene il ricorso a certi mezzi che
potremmo definire ‘’metodi persuasivi di interrogatorio’’ possano essere ritenuti ancora
efficaci. Mentre abbiamo detto che nessuno studio prova l’efficacia di un interrogatorio
molto ‘’persuasivo’’ perché sì un maltrattamento grave può anche portare alla confessione
della vittima, ma non potremo mai avere certezza che quella confessione costi di
informazioni correte e utili.
Per quanto riguarda l’Italia non diciamo altro.
-UN SPECIAL RAPPORTEUR ON TORTURE: JUAN MENDEZ
Vediamo due video di due special rapporteurs contro la tortura.
Gli special rapporteur sono degli esperti nominati di solito dallo Human Rights
Council, che è l’organo delle Nazioni unite evidentemente preposto proprio alla tutela dei
diritti umani; molto spesso sono dei professori universitari o sono degli avvocati attivisti
per i diritti umani, ai quali viene attribuito un compito, una tematica e questi di solito con
un mandato di quattro anni sono tenuti ad esaminare quella tematica a livello mondiale,
redigendo dei rapporti o su aspetti specifici di quella tematica o relativamente alle
specifiche di un certo paese sempre per quella tematica. Poi questi special rapporteur
devono presentare i loro lavori, i loro rapporti allo Human Rights Council. Questi rapporti
sono pubblici, li possiamo trovare sul sito dell0ufficio delle NU che si occupa dei diritti
umani e che ha sede a Ginevra (Office of the United Nations High Commissioner
for Human Rights). Sul sito troviamo tutti gli special rapporteurs attualmente attivi e
tutti i loro rapporti. Questi rapporteur a seconda del mandato, ma di solito possono anche
effettuare delle visite proprio nei paesi in cui sospettando che più il dritto umano di cui si
occupa sia violato, e possono anche ricevere dei ricorsi individuali, delle segnalazioni
individuali di violazione del diritto umano in questione. Questi che si chiamano special
procedeur evidentemente non sono paragonabili a procedure giudiziarie, quindi hanno
meri effetti raccomandatori. Tuttavia, siccome promanano da individui molto autorevoli
nel loro settore, alcuni di questi repport fanno molto scandalo in certi paesi e sono molto
diffusi anche dai media e indubbiamente vi sono alcuni di questi special rapporteur che
trattano di materie più rilevanti rispetto ad altri e hanno un mandato anche più politico
rispetto ad altri.
Questo è sicuramente il caso per lo special rapporteur sulla tortura, trattamenti crudeli,
inumani e degradanti; questo special rapporteur addotta la dicitura della Convezione
dell’84 e non quella della Convenzione europea, per cui si occupa anche di trattamenti
crudeli ma in realtà il trattamento crudele viene poi sussunto nel divieto di tortura.
Fino al 2015/2016 lo special rapporteur per la tortura era Juan Mendez. È un attivista
per i diritti umani argentino. (si stava concentrando sulla pena di morte: il suo obiettivo
era quello di trovare dei punti di contatto tra la pena di morte e l’atto di tortura).
Vediamo una brevissima intervista di Juan Mendez da cui si può meglio evincere lo
spessore con cui lui ha svolto il suo mandato come special rapporteur.
Quindi, abbiamo visto che Juan Mendez è stato uno delle decine di migliaia di individui
torturati per anni, lui per un anno e mezzo, nell’Argentina degli anni ’70. È interessante
quello che dice relativamente alla tortura sistematica, alla tortura come punizione. Noi
dopo l’11 settembre ci siamo più concentrati invece sulla tortura di individui con lo scopo di
evitare che questi individui potessero compiere degli attentati terroristici, invece la tortura
può assumere varie forme, può essere anche di natura punitiva come lui dice, e quindi
assumere delle dimensioni importantissime. L’Argentina poi ha cambiato completamente
registro, con una serie di importantissimi processi, che ha portato a numerosissime
condanne come anche nei confronti dell’individuo che più perpetuava la tortura nei
confronti di Juan Mendez.
Per saperne di più del suo operato troviamo i repports che lui ha elaborato sul sito
dell’Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights, ma abbiamo
anche un libro ‘’Taking a stand: the evolution of human rights’’. È un libro che contiene un
capitolo sulla tortura dove dettaglia anche la sua esperienza, ma è un libro più in generale
sui diritti umani.
-UN SPECIAL RAPPORTEUR ON TORTURE: NILS MELZER
L'attuale special rapporteur per la tortura è invece un accademico, Nils Melzer, un
professore di diritto internazionale di Ginevra (il centro mondiale al momento più
prestigioso per lo studio dei diritti umani e del diritto del conflitto armato).
Nils Mezler è Un vero e proprio professore, ed ha un atteggiamento diverso rispetto a Juan
Mendez. In questo video vediamo bene l'idea delle difficoltà a cui uno special rapporteur
per la tortura è confrontato quotidianamente, anche difficoltà di natura molto pratica e che
quindi al contempo testimonia di quanto l’atto di tortura sia ancora estremamente diffuso
a livello internazionale. Addirittura, nell'ultimo report che Melzer ha reso noto da pochi
giorni, l’8 marzo, lui praticamente con sdegno richiama Gli Stati agli obblighi contro la
tortura, banalmente con riferimento alle necessità che ha dato seguito alle proprie richieste
di visita in certi paesi o a richieste di informazioni relative a casi specifici. Per esempio,
famose richieste di informazioni che lo special rapporteur ha trasmesso gli Stati tra il 2016
e il 2020, il 90 per 100 di queste risposte erano del tutto superficiali. Si parla di 500
comunicazioni ufficiali (idea della quantità di lavoro che lo special rapporteur svolge).
Oppure con riferimento alle visite nei vari paesi, l'80% di richieste di visite sono state
ignorate, spostate o declinate dagli stati, quindi di nuovo a conferma che gli atti di tortura
sono ancora altamente purtroppo praticati.
Abbiamo visto questo video (report del 2017), lui su questo rapporto si è concentrato sulla
questione di quali armi sono più crudeli, inumani o degradanti. L’obiettivo del video è
quello di avere un’idea di quante energie vengono spese in ambito internazionale per
monitorare che il divieto di tortura sia effettivamente rispettato. Questo era l’obiettivo.
-02.04.2021
Documentario: THE GHOSTS OF ABU GHRAIB
È un documentario molto efficace perché cerca non solo di rendere conto degli
avvenimenti di questo luogo di detenzione sotto il controllo degli Stati Uniti, ma anche di
mettere in un contesto più ampio il fenomeno della tortura.
Per cui iniziamo con l’esperimento di Milgram. Le immagini sono degli anni ’60
quando questi esperimenti si è tenuto e le immagini sono in bianco e nero. È un
esperimento in cui uno psicologico sottopose alcuni volontari per verificare la loro
tendenza, disponibilità ad eseguire degli ordini anche laddove questi ordini producessero
sofferenza negli individui sottoposti all’esperimento. Si trattava di erogare una certa
quantità di elettricità a degli individui; l’elettricità non era effettivamente erogata, quindi
gli individui che subivano questa corrente elettrica erano degli attori, ma chi invece
erogava la corrente non sapeva della macchinazione. E quindi i risultati furono piuttosto
sconvolgenti.
Questo a testimoniare di nuovo quanta parte di noi è soggetta a quegli istinti che abbiamo
definito animaleschi e come è necessario una lotta dentro di noi per controllare questi
istinti e soprattutto controllarli di fronte a delle influenze esterne, come quelle di un ordine
apparente che proviene da un’autorità a noi superiore.
L’esperimento di Milgram si ha in apertura e anche in chiusura del documentario.
(saltare dal minuto 45 al 55)
Si parla molto di Convenzioni di Ginevra del ’49. Queste sono quattro Convenzioni
che riguardano la condotta delle ostilità, quindi applicano le norme che tutelano i civili e i
combattenti in tempo di conflitto armato. Anche queste Convenzioni fanno divieto di
tortura, queste sono le prime Convenzioni che proibiscono la tortura (siamo nel 1949). La
prima Convenzione sui diritti umani che ha vietato la tortura è quella europea del 1950.
Quindi, nel ’49 si fa per la prima volta divieto di tortura in tempo di conflitto armato, ma
non la si definisce. Quindi, c’è sempre questo problema. La definizione di tortura poi
avverrà in via giurisprudenziale grazie all’intervento della Corte europea dei diritti
dell’uomo, sulla cui giurisprudenza poi si costruirà la definizione di tortura contenuta nella
Convenzione specificamente dedicata a questo atto che è quella dell’ONU del 1984.
Si parla anche di regole di ingaggio (rules of engagement). Le rules of engagement sono
delle disposizioni di natura amministrativa che il governo dà ai militari o alle forze di
polizia per stabilire l’escalation nell’uso della forza. Quindi, a seconda della situazione che
si presenta concretamente sul campo un pubblico ufficiale che ha l’uso delle armi dovrà
seguire le regole di ingaggio prima di ricorrere alla forza armata.
Si parla poi dei vari Memoranda adottati dagli Stati Uniti nell’immediatezza dell’inizio
della war on terror.
Dal minuto 45 al minuto 55 vi sono immagini molto pesanti.
Prepariamo delle domande di chiarimento. Fare riflessioni.
-22.04.2021
DIVIETO DI TORTURA E TRATTAMENTO O PENE INUMANI E DEGRADANTI
Finiamo la parte sul divieto di tortura facendo la parte dell’enforcement a livello preventivo
con l’attività di due Comitati, il Comitato internazionale della Croce Rossa e il Comitato
europeo per la prevenzione della tortura. E poi passeremmo al divieto di schiavitù, servitù
e lavoro forzato con un accenno alla pratica e lo faremo partendo dall’analisi delle forme
moderne di schiavitù. Poi passeremo ad un diritto e non più sul divieto (divieto di tortura,
divieto di schiavitù che ovviamente dà luogo al correlativo diritto di non essere sottoposto
a tortura, di non essere sottoposto a schiavitù ecc.) Passeremo invece al diritto alla privacy,
vita privata e familiare.
-Documentario: THE GHOSTS OF ABU GHRAIB
La specificità della normativa interna statunitense sul divieto di tortura. Quando vediamo
queste immagini ci ricordiamo delle prime lezioni e del testo di J. Hamburger che esprime
un concetto che è noto, ma di cui ci dimentichiamo. Quindi, la ragione con il cuore che
possiamo tenere a freno i nostri istinti perché lì chiaramente sono gli istinti più bassi
dell’essere umano che emergono e che abbiamo. Dobbiamo sempre ricordarci che noi
siamo più di quelli istinti, e quindi abbiamo la capacità di controllarli e questo è anche
l'obiettivo dei diritti umani, del diritto internazionale dei diritti umani di ricordare sempre
che l'essere umano ha una parte elevata che quindi deve agire anche attraverso il diritto.
È un esercizio continuo. È un lavoro continuo che deve essere fatto perché è una parte che
è dentro di noi, che rimane dentro di noi. Quindi, un lavoro quotidiano.
-COMITATO EUROPEO PER LA PREVENZIONE DELLA TORTURA (CPT)
Brochure: Documento riassuntivo della struttura, della composizione del mandato di
questo comitato. (anche il sito per conoscere approfonditamente questo Comitato)
Il CPT è un acronimo che sta per Comitato europeo per la prevenzione della tortura.
Questo Comitato è europeo nel senso che è stato creato dalla Convenzione per la
prevenzione della tortura elaborata nell'ambito del Consiglio d'Europa. Per questo si
chiama europeo. Ricordiamo sempre la differenza tra Consiglio d’Europa e Unione
Europea. Questa Convenzione europea ha la specificità di praticamente creare questo
comitato ed è un comitato di prevenzione della tortura e dei trattamenti disumani e
degradanti. È una convenzione che è stata aperta alla firma nel 1987. Quindi, è di poco
successiva alla convenzione Onu, quindi di natura universale sulla tortura il cui acronimo è
CAT (Convention against Torture). È quella Convenzione estremamente articolata che non
solo fornisce la nozione di tortura che abbiamo ampiamente approfondito, ma anche pone
vari obblighi in capo agli stati parti. Noi abbiamo trattato dell'obbligo che gli Stati parte
hanno di adottare una normativa interna di criminalizzazione della tortura stessa.
Ci ricordiamo anche che la convenzione Onu dell’84 prevede un comitato di controllo, un
meccanismo di controllo come tutti gli Human Rights Treaties delle NU.
A livello europeo si è sentita la necessità di dotarsi di un meccanismo specifico, quindi per i
membri del Consiglio d'Europa, che avesse una funzione esclusivamente preventiva; cioè
mentre il comitato contro la tortura delle Nazioni unite creato dall'omonima convenzione
ha funzione sia preventiva che repressiva, invece quello europeo ha funzione
esclusivamente preventiva. Quindi, vediamo che è un comitato il cui mandato è
estremamente chiaro: cioè in qualche modo mira ad avere un effetto deterrente nei
confronti degli stati parte. Questo comitato è formato da individui indipendenti, quindi che
siedono a titolo individuale non da rappresentanti dello stato, ma ogni stato parte a questa
convenzione comunque invia una persona a questo comitato che ha individuato ed è il
Comitato poi esecutivo del Consiglio d'Europa che effettivamente poi nomina questi
individui.
Il professore Antonio Cassesse è stato uno dei promotori di questa Convenzione e quindi
uno degli istitutori di questo Comitato di cui è stato per numerosi anni presidente. A
seguito di questa esperienza come presidente del Comitato per la prevenzione della tortura
ha elaborato un libro, si intitola ‘’Umano-disumano: commissariati e prigioni nell’Europa
di oggi’’ del 1994. Qui viene spiegato molto bene la modalità nella quale il comitato svolge
le proprie visite.
Le visite sono effettuate di solito non dal Comitato di 47 membri (i membri del Consiglio
d’Europa sono 47 e tutti gli stati hanno ratificato questa Convenzione e quindi le visite a 47
del Comitato sarebbero difficilmente gestibili). Sono svolte da un numero inferiore di
rappresentanti, di solito coadiuvati da professionisti quali medici o psicologi. Il Comitato
ha il diritto di visitare non solamente luoghi di detenzione, commissariati di polizia (tra
l’altro sono i luoghi in cui di solito viene effettuata la tortura o comunque i maltrattamenti
vengono effettuati soprattutto al momento del fermo della persona, dell’arresto perché è il
momento in cui si ritiene che le informazioni che l’individuo può fornire siano le più utili
possibili nell’ottica di, per esempio, interrompere la catena criminale). Ma il Comitato è
abilitato a visitare qualunque altra struttura che ritenga possa essere utile a scongiurare il
ricorso alla tortura stessa. Quindi vediamo centri di detenzione per gli immigrati regolari,
istituti psichiatrici, istituzioni di ricovero a carattere sociale ecc. Quello che è interessante è
che all’interno di questi luoghi come vediamo nella brochure i membri del Comitato hanno
il diritto di intrattenersi a parlare con le persone ivi detenute senza testimoni. Questo
significa senza la presenza di autorità o responsabili direttamente del centro oppure senza
rappresentanti del governo in questione. Questo ovviamente è di cruciale importanza
perché un individuo in situazione di privazione o limitazione della libertà, quanto più se
sottoposto a maltrattamento, non sarà disponibile a parlare in tutta sincerità con degli
individui ancorché terzi ancorché membri del Comitato per la prevenzione della tortura se
ad ascoltarli vi sono le autorità, quelle stesse autorità che forse hanno già posto in essere
maltrattamenti o hanno minacciato di farlo. Quindi, questo è un aspetto essenziale.
Il colloquio di questi membri del comitato, quindi, verterà su quelle questioni di cui o
hanno già avuto in qualche modo qualche informazione o viceversa saranno aperti a
qualunque tipo di comunicazione che l’individuo vorrà a loro rivolgere. Ovviamente,
quindi, il Comitato mira ad accertare la sussistenza di atti di tortura o trattamenti inumani
o degradanti (anche maltrattamenti minoris generis rispetto alla tortura stessa).
Terminata la visita che può durare poche ore o può durare per più giorni. Ovviamente
dipende dall’ampiezza del luogo di detenzione.
Conclusa la visita entro breve tempo il Comitato redige un rapporto che verrà poi destinato
al governo in questione e che quindi conterrà i risultati della visita e soprattutto qualora
siano rivenute delle necessità di miglioramento vengono ovviamente rivolte delle
raccomandazioni allo stato in questione. Quindi, come tutti i Comitati di controllo non si
tratta di atti giuridicamente vincolanti, hanno invece un effetto meramente
raccomandatorio ma non per questo meno importante. La questione della riservatezza: in
generale questi rapporti sono mantenuti riservati, quindi i membri del Comitato hanno
l’obbligo di riservatezza. Infatti, nel libro di Antonio Cassese lui parla della sua esperienza
e va anche molto nel dettaglio di certi eventi che ha vissuto ma non specifica mai di quale
paese sta parlando. La prassi dei maltrattamenti gravi è sempre molto viva e proprio per
questo richiedo un nostro continuo intervento di vigilanza. La riservatezza a cui quindi i
membri del Comitato sono sottoposti e in particolare i rapporti dei Comitati sono
sottoposti può essere superata qualora lo stato stesso sia d’accordo. Quindi, se lo stato
stesso presenta questa disponibilità allora il rapporto può essere pubblicato. Oppure
qualora lo stato ne pubblichi una parte (tipicamente gli stati tendono a pubblicare la parte
a loro più vantaggiosa) a quel punto il Comitato è libero di pubblicare il rapporto nella sua
interessa. Quello che è interessante è vedere che praticamente tutti gli stati hanno nel
tempo accettato che questa riservatezza venga meno, quindi hanno nel tempo accettato che
questi rapporti vengano resi pubblici come a confermare che l’adesione a questa
Convenzione non è solo di facciata, ma è proprio di sostanza. Anche perché comunque il
Comitato una volta all’anno pubblica un rapporto sulle proprie attività. Quindi, comunque
in qualche modo è possibile dedurre un po' quali sono le zone del continente più calde in
un determinato periodo per questo aspetto.
Ricordiamoci che questo Comitato non è un organo investigativo, non è quindi un organo
di natura giudiziaria. È un organo però di cui si può servire ad esempio la Corte europea
dei diritti dell’uomo qualora si sia investita di un caso relativamente al divieto di tortura.
Il sistema di visite: le visite sono periodiche, solitamente ogni quattro anni, a meno che
non vi siano delle urgenze specifiche e in questo caso il Comitato può richiedere una visita
ad hoc.
-COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA (ICRC)
Croce Rossa  la Croce Rossa indica presidio medico sanitario. Fino a 150 anni fa non
esisteva nemmeno il simbolo di Croce Rossa. Cerchiamo di riflettere sulle cose e di non
darle per scontate. Pare che il simbolo della Croce Rossa sia il simbolo più noto a livello
mondiale, quindi sia universalmente conosciuto, insieme ad un altro simbolo o marchio
Coca Cola.
Origine del simbolo della Croce Rossa: Henry Dunant era un cittadino svizzero che si
dice uomo d’affari di poco successo, che mosso a compassione per tutti questi combattenti
che decedevano sul campo di battaglia in Italia perché non assisti a livello infermieristico
o medico, ebbe un’idea straordinaria, cioè quella di creare una serie di associazioni che a
livello nazionale si formasse in tempo di pace a livello infermieristico e medico in modo
che poi quando necessario fosse pronta ad intervenire sul campo di battaglia, quindi in
tempo di guerra, e al quale fosse riconosciuta neutralità e imparzialità, quindi potesse
intervenire apportando fisicamente soccorso alle vittime del conflitto armato
indipendentemente dalla loro apparenza ad una o all’altra parte. Da qui l’indipendenza e la
neutralità. Questa idea fu dirompente. Siamo nel 1863 e entro un anno Henry Dunant
riuscì a convocare una Conferenza diplomatica (quindi ritorniamo nell’ambito delle
relazioni internazionali) a Ginevra che mise insieme quelle che erano le potenze del tempo,
quindi gli Imperatori (zar di Russia ecc.) e porto all’elaborazione della I Convenzione di
Ginevra, siamo nel 1864, che in 10 articoli prevedeva proprio l’istituzione di società
nazionali che furono definite Croce Rossa e quindi avessero come scopo, come obiettivo
quello di formare individui in grado di assistere i malati e i feriti sul campo di battaglia e il
cui intervento quindi fosse in qualche modo protetto da questo simbolo, dal simbolo di
Croce Rossa. La Croce Rossa fu utilizzata sul campo bianco semplicemente perché era il
contrario della bandiera della Confederazione elvetica, della Svizzera. Quindi, il
riferimento alla Croce Rossa ha sicuramente una valenza collegata alla Svizzera. Ha anche
una valenza di natura religiosa perché evidentemente la croce ha una valenza di natura lato
sensu cristiana. Questo sebbene probabilmente non fosse negli intendimenti di Henry
Dunant, quindi sebbene Henry Dunant non intendesse creare un’associazione nazionale
ma quindi anche internazionale a sfondo religioso, però poi negli anni è stata percepita
come tale e quindi poi alla Croce Rossa si sono aggiunti altri simboli, in particolare quello
della mezza luna rossa (che è il simbolo della religione musulmana) e da ultimo un rombo
rosso (che invece è molto più neutrale). Ma comune a tutt’oggi il simbolo della Croce Rossa
è quello che in qualche paese si vada, anche in Cina, individua il presidio medico sanitario.
Per questa idea tra l’altro Henry Dunant, che poi è riuscito a porre in essere
concretamente, nel 1919 è stato il primo individuo a ricevere il premio Nobel per la pace.
Quindi, ad egli è stato riconosciuto un grandissimo merito.
Cosa succede? Che quindi gli stati che hanno ratificato questa Convenzione in pochissimo
tempo hanno provveduto a creare internamente una Croce Rosa, quelle che sono chiamate
le società nazionale di Croce Rossa. Ogni stato può avere solo 1 società nazionale di Croce
Rossa, che poi dopo interloquisce con quello che è chiamato il padre del movimento
internazionale di Croce Rossa che è il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR o
con dicitura inglese ICRC: International Committee of the Red Cross), che ha sede a
Ginevra. La I Convenzione di Ginevra del 1864 ha creato anche una organizzazione
internazionale. In realtà, è un’organizzazione non governativa ma che ha uno status un po'
speciale. La Croce Rossa internazionale ha uno status giuridico un po' particolare: non è
chiaro se sia un vero e proprio soggetto del diritto internazionale oppure no perché è vero
che è formata da individui che siedono a titolo personale (non ci sono rappresentanti degli
Stati), però è anche vero che riceve anche sussidi governativi livello di donazioni. E poi le
Convenzioni di Ginevra che dal ’64 ad oggi si sono notevolmente arricchite; adesso sono 4
Convezioni di Ginevra che tutelano le vittime di conflitti armati. Queste Convenzioni di
Ginevra attribuiscono alla Comitato internazionale di Croce Rossa la facoltà (non diritto)
di visitare persone priviate della libertà in tempo di conflitto armato.
Ecco il collegamento al nostro argomento. Quindi, fin dal 1929 con la Convenzioni di
Ginevra relativa ai prigionieri di guerra, poi dopo modificata nel 1949; quindi
fin dal 1929 il Comitato internazionale della Croce Rossa ha una facoltà espressamente
sancita in un trattato internazionale di visitare delle persone private della libertà in
collegamento ad un conflitto armato. Quindi, in questo modo la Comunità internazionale
ha riconosciuto l’autorità, l’autorevolezza di questo Comitato di Croce Rossa che quindi
creatosi a livello svizzero, per eccellenza in qualche modo garantiva l’imparzialità e la
neutralità perché era formato da cittadini svizzeri e la Svizzera era in una condizione di
neutralità, è un paese neutrale anche dal punto di vista proprio del diritto internazionale
(Rivedere la neutralità internazionale).
Cosa succede quindi? Le varie società nazionali di Croce Rossa nel tempo non si sono
limitate, e quindi anche la Croce Rossa italiana, sono nate per creare questo gruppo di
infermiere, le famose crocerossine, e di medici atti ad intervenire in tempo di conflitto
armato, ma evidentemente in tempo di pace è subito emerso che poi questo obiettivo fosse
un po' limitato e quindi poi ogni società nazionale di Croce Rossa si è un po' specializzata.
Per esempio, la Croce Rossa italiana si è specializzata nell0attività di assistenza medica di
emergenza per malattie cardiovascolari. Le ambulanze di Croce Rossa sono specificamente
adibite per le necessità relative a questo tipo di intervento. Poi è chiaro che le società
nazionali di Croce Rossa interpretano in modo molto estensivo questo mandato
umanitario e quindi possono svolgere attività a favore di qualunque categoria che presenta
una vulnerabilità (giovani, donne, anziani, disabili). Da questo punto di vista qualunque
attività di natura umanitaria rientra negli obiettivi del movimento internazionale di Croce
Rossa.
Comunque, il movimento internazionale di Croce Rossa deve rispettare dei principi che
sono numerosi, i principi fondamentali sono: il principio di umanità, il principio di
imparzialità, il principio di indipendenza e di volontariato. Se questi principi non sono
rispettati da una società nazionale di Croce Rossa allora interverrà il padre di questo
movimento che è il ICRC di Ginevra e quindi chiederà alle autorità statali di intervenire in
un modo piuttosto che in un altro.
Accanto al padre ICRC c’è anche una madre. La madre del movimento internazionale di
Croce Rossa è la Federazione internazionale di Croce Rossa (FICR). La Federazione
internazionale di Croce Rossa è sempre un’organizzazione che ha sede a Ginevra e che
riunisce sempre le società nazionalità di Croce Rossa, ma per un obiettivo specifico: di
assistere le persone vittime di un disastro naturale (quindi di terremoti, tsunami e simili).
Quindi, la Federazione internazionale di Croce Rossa svolge in qualche modo attività di
coordinamento delle società nazionali di Croce Rossa in questo ambito.
L’ICRC invece non solo sovraintende al rispetto dei principi del movimento di Croce Rossa
da parte di tutte le società nazionali di Croce Rossa, ma inoltre ha un compito ben
specifico, cioè ha il compito di portare avanti l'obiettivo di Henry Dunant e quindi l’ICRC
presiede a tutte quelle attività che hanno a che fare con l'assistenza dell'essere umano in
tempo di conflitto armato. Questa è un'attività molto poco conosciuta, ma che è
fondamentale perché a tutto oggi l’ICRC svolge attività di assistenza in tempo di conflitto
armato in praticamente tutti i paesi in cui vi è un conflitto armato conclamato o in cui vi è
il rischio che vi sia un conflitto armato, svolge questa attività attraverso persone che
intervengono a livello di volontariato che stanno fisicamente sul campo. E che inizialmente
i membri di questo comitato erano una decina di persone di cittadinanza Svizzera che
fisicamente intervenivano in tempo di guerra per ad esempio visitare le persone
prigioniere di guerra o per anche verificare se per esempio il tipo di armi utilizzate era
conforme ai trattati internazionali. Ma con il tempo evidentemente è stato necessario
ampliare il numero di individui che fossero disponibili ad andare sul campo. E quindi negli
anni questo comitato si è ampliato aprendosi ai cosiddetti delegati di Croce Rossa, che
quindi sono individui che venivano reclutati e pagati. E quindi fino all’89 questi delegati
del Comitato che andavano in zone di conflitto armato erano solo di cittadinanza Svizzera.
Dopo l’89 con la fine della guerra fredda ecc. il comitato internazionale di Croce Rossa si è
aperto anche ad individui non di nazionalità Svizzera.
(Esperienza professoressa: passare dalla teoria ai fatti, andare sul campo per verificare fino
a che livello quello che si studia viene rispettato nei fatti. Andare in zona di conflitto
armato: ICRC organizzazione di riferimento. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni unite è
un organo politico. Varie organizzazioni non governative (organismi internazionali):
Amnesty International (solo per le violazioni, molto poco sul campo, solo tempo di fare
missioni specifiche), Medici senza frontiere. Dottorato del diritto dei conflitti armati: ICRC
è proprio quella organizzazione a cui le convenzioni di Ginevra danno il mandato di
promuovere sempre nuove convenzioni che mirino a tutelare gli individui in tempo di
conflitto armato. Selezione di tipo psico-attitudinale. Si viene prima reclutati dalla società
nazionale di Croce Rossa e poi messa a disposizione del comitato internazionale di Croce
Rossa a Ginevra.
Primo anno: in Uganda (paese dell’Africa centrale) (capitale: Kampala). L’Uganda aveva in
atto due conflitti, un conflitto armato internazionale con il Sudan e vari conflitti armati
interni.
Secondo anno: in Uzbekistan (Asia centrale, ex sovietica) (capitale: Tashkent). Insegnava il
diritto dei conflitti armati nelle università dell’Asia Centrale. (Stati Asia centrale ex
sovietica: Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan e Kirghizistan). I lavori con il comitato
internazionale di Croce Rossa sono sempre di 12 mesi. (Libro: Il grande gioco di Hoprik)
E’ il paese di Tamerlano, Gengis Khan (colui che è il più grande rispetto dei diritti umani).
Vi è la famosa Samarcanda, una città straordinaria.
Attività svolta in Uganda: delegata a detenzione, quindi visitava i prigionieri di guerra
sudanesi che i prigionieri politici detenuti in ragione del conflitto armato interno.
Quindi il ICRC fin dalla fine dell'Ottocento (1870) visita gli individui che sono detenuti o
internati in ragione di un conflitto armato. Per esempio, nel 2014 i delegati dell’ICRC
hanno svolto più di 4500 visite in 94 contesti. Quindi, l’ICRC ha sviluppato delle modalità
di visita che negli anni si sono raffinate e che ora sono diventate le conditio sine qua non
della visita stessa. Queste conditio sine qua non sono: accesso a tutti i detenuti (aspetto
garantistico: sarebbe troppo facile per le autorità consentire la visita solo ad una parte
della struttura per poi poter maltrattare gli altri) e accesso a tutte le clamisis. Poi l’altro
elemento è l’autorizzazione a ripetere le visite, la ripetibilità; questo è un aspetto
fondamentale tanto più in tempo di conflitto armato, cioè la Croce Rossa deve poter
ripetere la visita al suo piacimento quindi senza nemmeno informare preventivamente
(sono le cosiddette visite a sorpresa, anche questo ha uno scopo garantista). E poi abbiamo
la possibilità di intrattenersi in privato con i detenuti che il delegato sceglie. E poi l’ICRC
deve poter avere accesso alle liste dei detenuti in modo da sapere quale è la sorte di quel
determinato detenuto. Con questi presupposti le visite della Croce Rossa tendono ad essere
piuttosto efficaci perché abbiamo la ripetibilità senza preavviso, l’accesso a tutti i luoghi,
l’accesso a tutte le persone in modalità privata, quindi la possibilità che emergano aspetti
critici è estremamente elevata perché con il tempo il delegato creerà un rapporto di fiducia
con il detenuto e quindi avrà la tendenza ad aprirsi e dire se vi sono dei problemi e da che
punto di vista (prima di tutto dal punto di vista dei maltrattamenti, quindi tortura,
trattamenti inumani o degradanti), ma poi anche da altri punti di vista che sono tutti quei
diritti umani sanciti dalle convenzioni di Ginevra che sostanzialmente attengono al
sostentamento alimentare, al minimo di accesso all'aria aperta, ad un minimo di contatto
umano se all'interno del luogo di detenzione che con la propria famiglia di origine e poi alla
assistenza di natura sanitaria qualora questo sia necessario. Quindi si verificano tutti
questi aspetti e poi si fanno dei rapporti alle autorità, anche questi mantenuti confidenziali.
Vediamo che quasi tutte le modalità di visita dell’ICRC sono stati ripresi dalla convenzione
europea per la prevenzione della tortura. Cassesse ben conosceva l’esperienza dell’ICRC
che ha sortito moltissimi frutti e che poi è stata trasposta a livello europeo in tempo di
pace.
Le categorie di persone che possono essere visitate dall’ICRC sono due: prigionieri di
guerra e prigionieri politici (individui detenuti in collegamento ad un conflitto armato). E
la differenza è questa: prigionieri di guerra tecnicamente ai sensi della convenzione
internazionale sono solo gli individui detenuti, internati in quanto combattenti legittimi,
quindi che combattono in nome e per conto di uno stato, quindi in un conflitto armato
internazionale. Tra l’Uganda e il Sudan nel ’98 vi era in corso un conflitto armato e
l’Uganda aveva fatto dei prigionieri di guerra. Questi individui sono internati perché sono
sottratti (non possono più combattere). L’obiettivo della prigionia di guerra è quella di
sottrarre l'individuo al campo di battaglia, quindi di renderlo innocuo rispetto alla potenza
detentrice, quindi non può più fare del male, non può più combattere, ma non può essere
sottoposto a processo per il fatto di aver preso le armi perché quel combattente combatte
non una guerra individuale ma combatte in nome e per conto Dello Stato di appartenenza.
Però a volte succede che un prigioniero di guerra nel combattere ha compiuto un crimine
di guerra, per esempio ha trucidato dei bambini. In quel caso evidentemente il prigioniero
di guerra però può essere sottoposto a processo per quel crimine di guerra. La potenza
detentrice lo trasferisce dal campo di internamento a una vera e propria prigione e lo
sottoporrà a processo secondo le proprie regole interne. Però comunque quell’individuo
mantiene lo status di prigioniero di guerra per cui per esempio anche quando qualora lo si
sia trovato responsabile per crimini di guerra ha il diritto di continuare ad essere visitato
da dei delegati della Croce Rossa internazionale. D’altro lato però oggi sono molto più
numerosi i conflitti armati interni (pensiamo La Colombia, lo Sri Lanka). In questo caso le
persone che prendono le armi contro il governo e che poi vengono arrestate non hanno
diritto allo status di prigioniero di guerra, ma sono chiamati detenuti politici. E quindi
anche questi individui sono visitati dal CICR. Quindi, hanno lo scopo di garantire che
questi individui non sono maltrattati dalle autorità e che se necessario siano sottoposti a
processo e poi una volta scontata la condanna che siano liberati.)
(Medici senza frontiere vs Croce Rossa: parliamo di organizzazioni non governative, quindi
sono gruppi di individui che si uniscono per una finalità che dovrebbe essere di natura
umanitaria e che intervengono però in più paesi. Non sono soggetti di diritto
internazionale perché comunque sono incardinati in un ordinamento nazionale; quale è
l'ordinamento di riferimento lo si vede dallo statuto dell'associazione. Per esempio,
Amnesty International è incardinata in Gran Bretagna; il Comitato internazionale di Croce
Rossa è incardinato in Svizzera. Ogni controversia che possa sorgere con questa
organizzazione avrà come foro quello stato lì. Evidentemente le organizzazioni non
governative cercano di non sovrapporsi perché altrimenti perdono di efficacia e quindi poi
c'è uno spreco di risorse e poi devi dare contro gli stakeholders di come hai utilizzato delle
tue risorse. Di fatto, in base alle necessità ci si coordina e si stabiliscono chi faceva cosa.
Nelle prigioni a fare le visite per stabilire se vi sono maltrattamenti o atti di tortura, questa
è un’attività che svolge quasi esclusivamente ICRC (medici senza frontiere no). L’ICRC
dovunque perché ha un’espressa facoltà in questo senso dalle convenzioni di Ginevra
(art.126 della terza convenzione di Ginevra). Le altre organizzazioni lo possono fare ma
devono in qualche modo negoziare e può essere non agevole specificamente con lo stato in
questione l'accesso a questi luoghi di detenzione, di internamento. C'è nei fatti una
divisione di competenze che è legata allo statuto istitutivo della organizzazione stessa.)
(Proprio non si inizia nemmeno la visita, se si arriva al campo di internamento o al luogo di
detenzione e le autorità responsabili di quel luogo ci informa che una parte non può essere
visitata allora o il motivo è c'è stato un crollo; ma se la motivazione non è plausibile a quel
punto di solito nemmeno viene iniziata la visita e si rivolgi una protesta all’autorità
immediatamente superiore a chi dirige il campo di internamento o di detenzione oppure si
richiede l'accesso a tutti i luoghi. Quindi, non si avalla la posizione dell'autorità
responsabile del campo perché sarebbe come un atto di cessione nei confronti di quello che
è un tentativo di nascondere qualcosa).
Il fatto che i Comitati internazionali di Croce Rossa o Medici senza frontiere siano
organizzazioni umanitarie non vuol dire che mirano a sostituirsi alle autorità statali. Al
contrario, queste organizzazioni non governative sono tanto più efficaci quanto più
stimolano le autorità statali a svolgere il ruolo alle quali sono preposte. L'obiettivo di
queste organizzazioni è di medio e lungo periodo, quindi fungono da pungolo alle autorità
dello Stato affinché queste svolgano nel modo migliore le competenze a loro attribuite.
Se uno stato impedisce ripetutamente la visita la Croce Rossa lo dice. Di fronte a situazioni
estreme il comitato internazionale della Croce Rossa ha denunciato: dopo il genocidio di
Ruanda del 94, il sovraffollamento delle carceri ruandesi in quel caso il comitato
internazionale della Croce Rossa rese pubblico quello che aveva visto nel paese. Quindi,
anche la confidenzialità trova dei limiti nel principio di umanità.
Le visite dei delegati dell’ICRC mirano a verificare non solamente eventuali maltrattamenti
posti in essere nei luoghi di detenzione e di internamento ma a verificare le condizioni di
detenzione e internamento in generale (quindi l'adeguatezza delle strutture, alimentazione,
attività all'aperto, contatti con le famiglie). Quindi, il mandato dell’ICRC è più ampio
rispetto a quello del comitato europeo di prevenzione della tortura.
-23.04.2021
DIVIETO DI SCHIAVITU’, SERVITU’ E LAVORO FORZATO O OBBLIGATORIO
Per quanto riguarda il tema della schiavitù per avere una visione il più attendibile possibile
di quelle che sono le forme moderne di schiavitù partiamo dal sito di un’organizzazione
non governativa che ha sede a Londra, che fa un egregio lavoro in questo ambito e che è
ANTI-SLAVERY.
Quando si pensa alla schiavitù evidentemente si pensa ad una forma di totale restrizione
della libertà personale e da questo punto di vista la schiavitù è oggi oggetto di divieto
quantomeno da parte di alcune convenzioni internazionali. Potremo anche dire che è un
divieto posto da una norma di natura consuetudinaria; però per attenerci ha dato scritto la
schiavitù è entrata in una convenzione del 1926 che fornisce di questo fenomeno una
nozione che è ancora considerata quella giuridicamente vincolante, secondo la quale: ‘’la
schiavitù è lo stato o la condizione di una persona sulla quale vengono
esercitati alcuni o tutti i poteri inerenti al diritto di proprietà.’’ Quindi, si parla
di un vero e proprio rapporto di proprietà. Per cui l’individuo è privato di quegli elementi
tipici della soggettività ed è ridotto a mero oggetto di un altro individuo. Queste forme
storicamente risalenti di schiavitù non sono più esistenti in questi termini o perlomeno
molto raramente, ma ce ne sono di forme moderne. E queste forme moderne vediamo che
sono estremamente diffuse, Anti-slavery stima che 40 milioni di persone al mondo siano
coinvolte in queste gravissime violazioni dei diritti umani. Di questi 40 milioni ¼ è
minorenne e quasi ¾ sono donne e ragazze. Quindi, vediamo che la dimensione è
estremamente rilevante.
Qui vediamo che dal punto di vista della schiavitù vi sono ancora delle forme forse poco
note che hanno carattere ereditario e quindi mi sono ancora dei paesi soprattutto nel sahel,
in Mauritania, in Niger, Mali, Ciad e Sudan dove esistono ancora forme di trasmissione di
vera e propria schiavitù.
Oppure vi sono forme di schiavitù di minorenni, Quando cioè il minorenne è ridotto a
mero oggetto, talvolta addirittura dei genitori, che viene usato esclusivamente a fini di
lucro. E vediamo le varie ipotesi: lo sfruttamento a fini di prostituzione, per elemosina, per
piccoli crimini, per finalità di lavoro.
Le forme però più diffuse oggi di privazione di libertà al fine di produrre qualche cosa che
dia del rendimento a qualcun altro rientra nella categoria che chiamiamo ‘’servitù o lavoro
forzato’’. La nozione di servitù è una nozione che si avvicina molto alla schiavitù e che
però è contraddistinta dall’obbligo di fornire non solo lavora, ma anche dei servizi tramite
l’uso della coercizione. La servitù si distingue abbastanza chiaramente dalla schiavitù
perché la servitù comprende l’obbligo di abitare nella proprietà di un’altra persona ed è
considerata una situazione permanente, cioè la vittima della servitù sente come la propria
condizione sia impossibile da modificare. Quindi, è molto difficile distinguere la schiavitù
dalla servitù, sono molto vicine. Se vogliamo le possiamo distinguere sulla base di una
gradazione della gravità della restrizione della libertà, essendo quindi la schiavitù la forma
di restrizione maggiore della libertà e di coercizione maggiore di produzione di lavoro.
Però abbiamo poi due forme in qualche modo minoris generis di restrizione della libertà o
negazione della libertà al fine di produrre lavoro che sono la nozione di lavoro forzato o
di lavoro obbligatorio. Foto che riguarda il lavoro forzato nella raccolta di cotone in
Uzbekistan e in Turkmenistan. Molto curioso che nell’epoca sovietica l’Uzbekistan e il
Turkmenistan paesi ma estremamente aridi, siano stati trasformati nella riserva di cotone
dell’Unione Sovietica. Il cotone richiede tantissimo sole, ma richiede altrettanta acqua. Poi
è stata deviata l'acqua dall’Aral (lago), creando moltissimi problemi di natura ambientale e
anche inquinamento del terreno. Quindi, le persone che si trovano poi costretti a questo
lavoro si trovano non solo in una condizione di non poter sottrarsi a queste forme di lavoro
forzato ma hanno anche delle ripercussioni a livello di salute. Per quanto riguarda il lavoro
forzato vi sono due Convenzioni di riferimento, una del 1930 ed un’altra del 1957 e quella
del 1930 si è arricchita di un Protocollo aggiuntivo nel 2014 (vi è un’estensione un po' più
moderna della previsione di questo tipo di lavoro). Quindi, lavoro forzato o obbligatorio ai
sensi della Convenzione del 1930 è ‘’quel lavoro o servizio che viene estorto da una
persona sotto la minaccia di una punizione’’. Qui abbiamo la situazione in cui o
l’individuo pone in essere quel servizio o quel lavoro oppure viene punito e per il quale la
persona non si è offerta in modo volontario. Vediamo che sono questi gli ambiti nella quale
questo tipo di lavoro forzato o obbligatorio si pone in essere: l’agricoltura e la pesca, lavoro
domestico, costruzioni, manifattura, prostituzione e attività legate al commercio ed è
l’elemento più comune della schiavitù moderna. Quando si parla di schiavitù moderna le
forme più rilevanti sono quelle riconducibili a lavoro forzato e obbligatorio, coinvolgono
quasi 25 milioni di persone.
Da ultimo facciamo rientrare una forma tutt’ora diffusa di lavoro obbligatorio è quello che
a tutt’oggi alcune parti del mondo viene richiesto per il pagamento di un debito. Quindi, a
tutt’oggi nelle famiglie estremamente povere viene richiesto lavoro obbligatorio come
pagamento di un debito. Foto: lavoratori obbligatori che stanno costruendo dei mattoni in
India.
La forma più conosciuta di lavoro forzato sia la tratta degli esseri umani.
Le Convenzioni che vietano la schiavitù sono: la Convenzione del ’26 ed una
Convenzione del ’56.
Le Convenzioni che proibiscono il lavoro forzato o obbligatorio sono: la Convenzione del
’30 a cui si è aggiunto il Protocollo del 2014 ed una Convenzione del ’57.
Però anche i trattati sui diritti umani contengono norme che pongono divieto di queste
forme di negazione gravissima della libertà. Il divieto di schiavitù era già presente all’art.4
della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ’48, è presente all’art.8 del Patto sui
diritti civili e politici dell’Onu, è presente all’art.4 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. Quello che è interessante è che mentre tutti questi
trattati e dichiarazioni che abbiamo menzionato pongono divieto di schiavitù, servitù e
lavoro forzato o obbligatorio e invece alcune carte regionali si limitano a proibire solo
alcune di queste forme. Quindi, la Carta africana vieta solamente la schiavitù e non fa
riferimento alle altre forme di lavoro forzato. E la Carta araba viceversa vieta il lavoro
forzato ma non la schiavitù e la servitù.
Ora ci concentriamo sulla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali elaborata nel 1950 e che pone all’art.4 un divieto che comprende
divieto di schiavitù, di servitù e il divieto di lavoro forzato o obbligatorio. Però l’articolo 4
non definisce questi fenomeni. Si comprende che vi è una distinzione fra questi fenomeni
ma non li definisce. Quindi, questa opera di individuazione delle varie nozioni è stata
demandata alla Commissione europea prima e alla Corte europea dei diritti dell’uomo oggi.
Non sono molte le pronunce di questi due organi sull’art.4. Il Consiglio d’Europa è
l’organizzazione internazionale di riferimento per la Corte europea dei diritti dell’uomo
produce periodicamente dei …. In cui riassume la giurisprudenza relativamente ad un
determinato diritto umano tutelato dalla Convenzione stessa. (sono facilmente reperibili
sul sito della corte) Esempio: sostanzialmente nei casi in cui la Corte si è trovata a
pronunciarsi sull’art.4, la Corte ha fatto riferimento ai trattati internazionali citati prima.
Quindi, per determinare se un certo individuo potesse essere considerato ridotto in
schiavitù o servitù ha fatto riferimento alle relative definizioni contenute nelle Convenzioni
citate prima, del ’26, del ’56 e del ’30 e del ’57. Bisogna dire che in linea generale la Corte
ha adottato con riferimento alla schiavitù una nozione, è stata piuttosto reticente a
riconoscerla.
Primo caso importante: SILIADIN CONTRO FRANCIA è una sentenza del 2005 in cui
la Corte ha ritenuto che la ricorrente non fosse stata soggetta a schiavitù bensì a servitù e
lavoro forzato o obbligatorio. Nel caso di specie la ricorrente era una cittadina del Togo
(paese africano) di 18 anni, che era stata costretta a lavorare per molti anni 15 ore al giorno
come domestica senza mai un giorno di riposo né di salario. In questo caso la Corte ha
ritenuto non sussistente la violazione del diritto umano di schiavitù perché su di lei non era
stata esercitato un vero e proprio diritto riconducibile al diritto di proprietà, per cui non
era da considerarsi ridotta a mero oggetto, ma sicuramente la sua privazione della libertà
totale e il tipo di lavoro a cui era sottoposto era eccessivo e soprattutto la ricorrente
percepiva questa sua condizione come di natura permanente.
Anche la questione della servitù dalla Corte viene definita in relazione alle rilevanti
convenzioni. La Corte rileva una sorta di gradazione di gravità del fenomeno. Quindi, la
schiavitù è più grave, poi viene la servitù, poi il lavoro forzato o obbligatorio.
Anche passando alla nozione di lavoro forzato e obbligatorio anche per questa la Corte ha
dovuto rifarsi alle relative convenzioni del ’30 e del ’57. E quindi ha rilevato in questo caso
più volte la violazione di questo diritto sempre facendo riferimento a quella nozione che
abbiamo visto prima citata sul sito di anti-slavery secondo cui lavoro forzato o obbligatorio
è un lavoro o un servizio estorto ad una persona sotto minaccia di una punizione. Quindi,
qui abbiamo l’elemento della punizione ed è un servizio o un lavoro per il quale la persona
non si è offerta spontaneamente. In questo caso la Corte ha evidenziato che nel primo caso
del ’87 per stabilire se un individuo è stato costretto ad un lavoro forzato o obbligatorio è
necessario stabilire se l’individuo sia sottoposto ad un onere sproporzionato relativamente
al tipo di lavoro o servizio che deve fare. Quindi l'individuo è stato costretto tramite una
costrizione che può essere o di natura fisica o di natura mentale a svolgere un lavoro o un
servizio che gli imponeva un onere sproporzionato, quindi un onere eccessivo. (pressione
psicologica che viene fatta). C’è qualcuno che ‘’ti costringe’’ con minacce (caporalato).
Ai sensi dell’art.4 della convenzione europea dei diritti dell'uomo il lavoro forzato o
obbligatorio prevede delle eccezioni: (la professoressa ha una reazione non proprio di
accettazione). Le eccezioni sono: il lavoro normalmente richiesto ad una persona detenuta
o ad una persona che svolge il periodo di libertà condizionale; l’altra eccezione è il servizio
militare o un qualunque servizio sostitutivo di quello militare obbligatorio; la terza
eccezione è un servizio richiesto in caso di crisi o calamità che minacciano la vita o il
benessere della comunità e l’ultimo è un lavoro o un servizio che fa parte dei normali
doveri civici. Su questo ultimo punto c’è un po' di giurisprudenza della Corte europea:
citiamo il caso degli avvocati o dei notai a cui è richiesto di svolgere del lavoro per lo stato
pro bono. La Corte ha ritenuto che queste prassi non costituiscano un lavoro forzato o
obbligatorio.
Ci rendiamo conto che il fenomeno della tratta non è preso in considerazione, non è
citato in quanto tale dall' articolo 4. Eppure, la tratta degli esseri umani è un fenomeno
estremamente diffuso e che è oggetto di normative apposite in ambito internazionale. Sono
normative recenti. Il fenomeno della tratta è definito in due Protocolli aggiuntivi alla
Convenzione di Palermo sulla criminalità organizzata transnazionale. Questa
convenzione è del 2000 e i protocolli aggiuntivi sono di pochi anni dopo. Uno di questi
Protocolli aggiuntivi riguarda la tratta di donne e di bambini e l'altra riguarda la tratta
come traffico di migranti. A livello poi di Consiglio d'Europa ci si è dotati di una
convenzione specificamente dedicata per questo continente alla tratta ed è una
Convenzione del 2005. La tratta è un fenomeno molto complesso che viene definita nei
Protocolli e nelle convenzioni in questione come. Tratta di esseri umani significa il
reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o l’accogliere persone tramite la
minaccia o l'uso della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, tramite
inganno, abuso di potere o scambio di denaro o vantaggi, tutto questo per ottenere il
consenso di una persona che ha autorità sull’altra allo scopo di sfruttamento. (non
interessa che ci ricordiamo tutta la definizione, ma che ci ricordiamo i due elementi
fondamentali della tratta che ci aiutano a distinguerla dagli altri fenomeni che oggi stiamo
studiando. Quindi, la tratta è un fenomeno complesso che richiede da una parte delle
azioni specifiche e dall’altra una finalità specifica. Quindi, le azioni sono: il reclutamento, il
trasporto, il trasferimento, l'ospitare, l’accogliere. Quindi, nella tratta anche il termine
stesso lo evoca: c'è un trasferimento di' qualcosa, c'è un passaggio, c'è un agire, c’è
un’azione, un’attività. E poi c'è un fine e il fine è lo sfruttamento di quella persona. Lo
sfruttamento può essere a fini di schiavitù, a fini di servitù, a fine di prostituzione o a fine
di prelievo di organi. Quindi, possiamo dire che la tratta include in sé la schiavitù, la
servitù; possiamo considerare incluso anche il lavoro forzato o obbligatorio, però richiede
un passaggio ulteriore, c’è tutta un'azione precedente alla riduzione in schiavitù, lavoro
forzato o servitù. E poi c’è questa finalità di sfruttamento.
Sebbene la nozione di tratta non sia contenuta nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo del ’50, la Corte in realtà l’ha fatta rientrare nell’art.4. Per questo aspetto
vediamo una sentenza recente del 2007 ed è il caso CHOWDURY E ALTRI CONTRO
GRECIA. È un caso di lavoro forzato posto in essere per la raccolta di fragole in condizioni
al di poco disumane e quindi siccome è un fenomeno che è anche diffuso in Italia e che è
stato oggetto di una normativa specifica che è la legge sul caporalato, la legge 199 del 2016
che finalmente punisce non solamente l’intermediario ma anche gli utilizzatori finali di
questa condotta di lavoro forzato.
Sentenza su moodle: per l’esame non chiede che leggiamo la sentenza.
STRUTTURA DELLE SENTENZE DELLA CORTE EUROPEA:
-Troviamo nella prima parte la descrizione dei fatti. Sui fatti la Corte si affida alla
ricostruzione quale effettuata dalle parti e quale effettuata dai tribunali interni perché la
Corte europea può essere adita solo dopo avere esperito rimedi interni, quindi solo dopo
che l’individuo ha esperito tutti i ricorsi ai tribunali interni. Quindi, quando un caso arriva
alla Corte europea vi sono delle pronunce del passato dei tribunali interni e quindi la Corte
studia queste pronunce e di solito si attiene a queste pronunce, più le indicazioni date dalle
parti per la ricostruzione dei fatti.
-Poi abbiamo una parte che riguarda proprio le allegazioni del ricorrente, quindi ciò che il
ricorrente richiede che la Corte verifichi, quindi quali violazioni di quali diritti umani e per
quale motivo.
-Dopo di che la Corte nella sentenza riporta la posizione dello Stato convenuto. Come
sappiamo un individuo chiama in giudizio di fronte alla Corte europea lo stato che ritiene
responsabile della violazione, quindi evidentemente lo stato ha diritto di esporre la sua
posizione e la Corte riassume questa posizione nella sentenza.
-Dopo di che finalmente arriviamo a quella parte dove la Corte espone i propri findings,
quindi il merito. La Corte va nel merito della questione e quindi stabilisce se quel diritto o
quei diritti che il ricorrente ha sollevato sono stati effettivamente violati oppure no.
-Dopo questo ragionamento che è la parte che a noi interessa di più, quindi evidentemente
il ragionamento giuridico o le motivazioni della Corte si arriva alla parte finale, alla parte
dispositiva in cui quindi la Corte a maggioranza dei giudici stabilisce in modo molto
succinto se vi è stata violazione di un determinato diritto e stabilisce quanti giudici sono a
favore e quanti contrari a questa conclusione. Se del caso la Corte stabilisce anche un equo
indennizzo per la vittima, quindi un quantum monetario (è sempre molto basso perché è
un quantum monetario che comunque non deve andare a sostituirsi agli obblighi di
compensazioni che sono dovuti da parte dello Stato responsabile).
Di solito le sentenze sono disponibili sia in inglese che in francese.
Un’altra opera molto utile che il consiglio d’Europa svolge è redigere sempre dei riassunti
delle sentenze.
Commento di Elena Corcione che è una giovane ricercatrice dell’Università di Torino che
ha scritto un commento su questo caso su una rivista che è la rivista ‘’Diritti umani e diritto
internazionale’’.
Se la sentenza o il summary non sono materia di esame, il commento sì.
CHOWDURY E ALTRI CONTRO GRECIA: Questo è un caso di sfruttamento di
braccianti, si tratta di 42 cittadini del Bangladesh che erano stati reclutati per la raccolta di
fragole in una zona del Peloponneso in Grecia molto nota per questa produzione intensiva
di fragole. Però succede che questi individui hanno lavorato per vari mesi senza ricevere
alcuna remunerazione quale invece era stata preventivamente pattuita. Quindi, ad un certo
punto questi cittadini si ribellano e addirittura la loro ribellione scatena la reazione
violenta dei datori di lavoro. Quindi, questa forma di lavoro forzato che era ed è ancora ad
oggi diffusa anche in Italia (in particolare nel settore agricolo nel sud) ha fatto sì che la
Corte adotti un ragionamento che forse potremmo un giorno anche adottare se l'Italia
fosse convenuta in casi simili. Quindi, sostanzialmente la Corte ha in questo caso rinvenuto
l'elemento del lavoro forzato perché ha ritenuto che questo lavoro fosse estorto sotto
minaccia di pena o comunque che la vittima non si fosse a questo spontaneamente prestata
perché (elemento interessante di novità) la vittima era in una condizione di vulnerabilità.
Quindi, questi 42 cittadini del Bangladesh non si possono ritenere avere prestato
liberamente il consenso a questo lavoro, ma erano in una condizione di vulnerabilità
(interessante questo passaggio) in quanto migranti irregolari. Quindi, in quanto migranti
irregolari erano sottoposti ad un onere sproporzionato di lavoro, quindi un lavoro
eccessivo. Qui la commentatrice Elena Corcione rimpiange un po’ che la Corte non abbia
specificato quali sono i parametri che la Corte ha usato per stabilire la natura eccessiva di
questo onere. La Corte avrebbe semplicemente potuto valutare quale era il compenso
pattuito e verificare se quel compenso era lo stesso stabilito per lavoratori non migranti e
non irregolari per lavori simili; per esempio avrebbe potuto fare questo tipo di paragone la
Corte. Ma su questo non si è soffermata. È interessante che la condizione di migrazione
irregolare sia stata definita come condizione di vulnerabilità perché evidentemente questi
cittadini, questi individui non avrebbero potuto avere accesso a canali regolari di lavoro in
ragioni del loro status.
E quindi la Corte dichiara che la Grecia ha violato obblighi positivi, ovvero sia che era a
conoscenza dell’esistenza di questo fenomeno di lavoro forzato e che non ha preso le
misure necessari per evitare che questa violazione dei diritti umani fosse posta in essere.
Fino a qui il ragionamento della Corte ci pare del tutto condivisibile; quello che critica
Elena Corcione è il passo successivo perché la Corte oltre a rinvenire la fattispecie del
lavoro forzato, rileva anche la violazione del divieto di tratta di esseri umani. Già in un caso
del 2010 la Corte aveva stabilito che l'articolo 4 vieta anche la tratta non espressamente
prevista in questo articolo. Nel caso Chowndury la Corte rileva anche la fattispecie della
tratta perché secondo lei vi è presente lo scopo tipico della tratta che è lo scopo di
sfruttamento. In questo caso lo sfruttamento era di natura lavorativa della vittima e quindi
la Grecia viene condannata sia per lavoro forzato che per tratta. Qui però la Corte in
qualche modo omette, non dà adeguata attenzione all'altro elemento della nozione di tratta
che è quell’aspetto attivo, di azioni, di attività che le convenzioni internazionali
riconducono al reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare le persone. Cioè su questo
aspetto la Corte è totalmente silente, quasi se ne fosse dimenticata. Può darsi che questi
individui siano stati trasferiti dal loro paese o da un altro paese proprio con lo scopo di
essere sfruttati in quella coltivazione di fragole, ma la Corte semplicemente questo non va
verificarlo. Quindi, è un po' sorprendente.
Non a caso come vedremo nella lezione sulle deroghe gli articoli dei trattati internazionali
che pongono divieto di schiavitù, servitù o lavoro forzato sono articoli che non possono mai
essere oggetto di sospensione, nemmeno in casi estremi di calamità naturale, di conflitto
armato, di emergenza sanitaria. Quindi, questo avvalora l'ipotesi che questi divieti siano
non solo oggetto di norme di natura consuetudinaria, ma addirittura norme di natura
cogente (norme di natura imperativa).
(Sotto la cui GIURISDIZIONE  la nozione di giurisdizione ha soprattutto valenza
territoriale, quindi è lo stato sul cui territorio la presunta violazione viene commessa che di
solito è portato di fronte alla Corte europea.
La nozione di giurisdizione in realtà si è anche ampliata per cui La Gran Bretagna, per
esempio, è stata condannata per alcune attività poste in essere ai danni di persone
detenute in Iraq. L’Iraq non è parte alla convenzione europea, però siccome la Gran
Bretagna stava in quel periodo occupando l’Iraq e quindi aveva giurisdizione su quel
territorio. Però sono un po' casi eccezionali, di solito la nozione di giurisdizione ha natura
territoriale, quindi è il territorio dello Stato su cui la presunta violazione dei diritti umani
viene compiuta che diventa rilevante.)
-DIRITTO ALLA PRIVACY E ALLA VITA FAMILIARE
Passiamo ad un argomento completamente diverso che è l'argomento del diritto alla privacy e
alla vita familiare. Vedremo che sono due diritti che in qualche modo vanno in parallelo. Si può
ritenere che il diritto alla vita familiare sia una sottospecie del diritto alla privacy.
Il margine di apprezzamento: è una teoria a cui la Corte fa ricorso ormai da anni, che ha
individuato la Corte europea e che ora stanno usando anche altre corti regionali sui diritti
umani, in situazioni in cui la norma della convenzione non è chiara e relativamente a violazioni
dei diritti umani in cui non vi è uniformità di vedute all'interno degli stati parte alla
convenzione stessa. Quindi, non essendovi uniformità di vedute, non essendo una espressione
chiara della convenzione allora la Corte piuttosto che evitare di non pronunciarsi sulla
questione, lascia quello che viene chiamato il margine di apprezzamento allo stato; cioè
stabilisce che in assenza di un consensus su quella questione (per esempio l'affidamento dei
minori) all’interno delle legislazioni degli stati parte alla convenzione, ogni stato è libero, ha
discrezionalità a definire quella questione in base quindi esclusivamente alle proprie norme
interne. Questa è la tecnica che viene utilizzata.
-29.04.2021
DIRITTO ALLA PRIVACY E ALLA VITA FAMILIARE
Ci siamo introdotti in un nuovo ambito che è quella della vita privata e familiare. Possiamo
dire che la vita familiare è una declinazione della vita privata, almeno come è inteso
nell0ambito del diritto internazionale dei diritti umani. Quindi, oggi andiamo avanti
facciamo un'altra parte della vita privata e come vedremo dopo aver enucleato la nozione di
vita privata, andremo a fare un focus su un'articolazione piuttosto di recente di questo diritto
che è il diritto all'oblio, diritto all'oblio con riferimento ai dati protetti, trattati online che è
una questione di grande attualità su cui c'è qualche sviluppo in ambito internazionalistico.
L’ambito nella vita privata è talmente ampio che prenderemo esempi specifici e
inevitabilmente settoriale. Poi parleremo anche della questione molto attuale della
cosiddetta cessione della privacy, che è un fenomeno nuovo a cui siamo sottoposti in virtù
dell’uso sempre più importante dei social media e infine accenneremo ad alcune nuove
tendenze relativamente a questo ambito. Faremo qualche accenno anche alla tutela della
privacy in materia di emergenza sanitaria, ma di questo parleremo poi nella lezione sulle
deroghe; parleremo più specificamente delle limitazioni e delle deroghe ai diritti umani,
facendo riferimento alla situazione di emergenza sanitaria.
Facciamo un passo indietro rispetto alla nozione di vita familiare, diritto quale si è voluto
soprattutto nell'ambito della Corte europea dei diritti dell'uomo. Citiamo l’articolo 8 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo quale articolo rilevanti con riferimento alla vita
familiare e abbiamo visto come la nozione di vita familiare nelle sue varie declinazioni, per
esempio la nozione stessa di famiglia è oggetto attualmente di un ampliamento da parte
della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel senso di arrivare ad includere non soltanto
coppie di fatto, cioè coppie non sposate uomo donna, ma anche coppie dello stesso sesso.
(presentazione parte del materiale di esame). A conclusione sottolineiamo come questi
sviluppi soprattutto relativi a riconoscimento di diritti inerenti alle vite familiari a coppie
omosessuali, in generale a riconoscimento di diritti a coppie transgender sono alla base del
motivo del recesso di uno stato europeo, della Turchia, da una convenzione che non è la
convenzione europea ma è una convenzione su cui la Corte europea dei diritti dell'uomo
ultimamente si sta molto basando ed è la Convenzione sulla violenza contro le
donne e la violenza domestica, che è una convenzione che è stata elaborata
nell’ambito del Consiglio d'Europa (quindi dell’Europa a 47 membri) nel 2011, che è
entrata in vigore nel 2014 e che viene denominata convenzione di Istanbul proprio perché
la Turchia aveva svolto un ruolo preponderante nella sua elaborazione. Quindi, questo
recesso segna una sorta di campanello d'allarme, per non dire battuta d’arresto nei
confronti di questa importantissima convenzione. Per gli stessi motivi un altro paese sta
considerando il recesso dalla medesima convenzione sulla violenza domestica e violenza
contro le donne (non è un recesso dalla convenzione europea dei diritti dell'uomo) è la
Polonia. Importante essere a corrente di questi sviluppi.
Chiudiamo qui la parte sulla vita familiare.
Facciamo un passo indietro e ampliamo il nostro orizzonte al diritto alla privacy; diritto
alla privacy che forse in italiano si potrebbe tradurre con diritto alla riservatezza. Noi
utilizzeremo questi due termini come sinonimi, quindi in modo interscambiabile.
(Su moodle articolo in inglese di Tindemans , quello da cui si trae la nozione di diritto alla
riservatezza e poi un articolo della Mariotti sul diritto all'oblio  segnate le parti da
conoscere al fine dell’esame).
Il diritto alla riservatezza in qualche modo sorge più recentemente rispetto ad altri diritti
umani. Quando abbiamo parlato della storia di diritti umani, abbiamo fatto riferimento
alle varie dichiarazioni dei diritti del cittadino adottate nel XVIII secolo negli Stati Uniti e
in Francia, se andiamo a leggere quelle dichiarazioni non troviamo menzione del diritto
alla riservatezza. Questo diritto emerge un pochino dopo, alla fine dell'Ottocento perché è
strettamente collegato alla stampa scandalistica (yellow giornalism), la stampa
giornalistica che in qualche modo è esplosa alla fine dell'Ottocento negli Stati Uniti. Era
anche il periodo in cui nascevano le macchine fotografiche e quindi era il periodo in cui era
molto facile cogliere con scatti di nascosto personalità molto in vista, le cosiddette
celebrities e quindi questo sviluppo aveva come conseguenza che persone note al pubblico
per qualunque motivo o perché artisti o perché uomini coinvolti politicamente o perché
grandi imprenditori era costantemente sotto i riflettori senza quindi che la propria vita
privata fosse in alcun modo tutelata.
Quindi, il diritto alla riservatezza venne per la prima volta teorizzato da due docenti, da
due professori di diritto Warren e Brandeis, in un articolo pubblicato nel 1890. In
Questo articolo loro sostenevano che il diritto alla vita privata dovesse essere tutelato in
qualche modo in virtù di nozioni già note, per esempio il diritto alla fiducia, il diritto alla
proprietà oppure il divieto di diffamazione; quindi tutti elementi che erano già presenti
nelle dichiarazioni interne. E in effetti questo articolo ebbe un grande risalto e molto
seguito al punto che da lì a poco molti stati federati degli Stati Uniti iniziarono ad
introdurre leggi relative alla tutela della privacy. Nel frattempo, uno di questi due
professori (Brandeis) era diventato giudice della Corte Suprema statunitense e che fu
investita nel 1928 proprio di un caso che in qualche modo toccava il diritto alla privacy e in
questo caso Brandeis emise una opinione dissenziente nel quale affermava che il diritto ad
essere lasciato solo (cioè il diritto alla riservatezza) era garantito dalla costituzione degli
Stati Uniti. Quindi, per la prima volta negli Stati Uniti nel 1928 la Corte Suprema utilizza
questo termine, però in una opinione dissenziente (VEDERE). Quindi, la maggioranza dei
giudici della Corte Suprema invece nel 1928 si espresse per la non esistenza di questo
diritto ai sensi della costituzione statunitense. La Corte cambierà opinione nel 1967. Nel
1967 la Corte Suprema finalmente accetta il diritto alla riservatezza come un diritto
discendente dalla costituzione. Negli anni intercorsi tra il ’28 e il ’67 si è sviluppato un
dibattito sull’esistenza di questo diritto in ambito internazionale. Si era già sviluppato nella
Human Rights Commission, nella commissione per i diritti umani che è l’organo
sussidiario dell’ECOSOC delle Nazioni unite che poi nel ‘48 ha elaborato la dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo. Questo diritto alla riservatezza, infatti, appare già
all’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Poco dopo nel 1950 la
Convenzione europea dei diritti dell'uomo all’art.8 prevede questo diritto. Poco prima della
sentenza della Corte Suprema del ’67, cioè l'anno prima, tengono aperti alla firma i due
Patti Delle Nazioni Uniti, e nel Patto sui diritti civili e politici all’art.17 (Errore nell’articolo)
si fa riferimento proprio al diritto alla riservatezza.
Ora vediamo questi due articoli: quelle della convenzione europea del ‘50 e quelle de patto
sui diritti civili e politici del ‘66.
-PATTO SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI  ART.17
Iniziamo dal Patto internazionale sui diritti civili e politici anche se è successivo.
(Notazione importante: benché i termini Patto, Convezione e Trattato siano dei sinonimi,
quindi fanno tutti riferimento a norme giuridicamente vincolanti, di natura speciale però,
cioè che vincolano soltanto gli Stati che hanno ratificato quel determinato atto. Sebbene
tutti questi termini siano sinonimi, però ogni atto, ogni strumento ha la sua specifica
denominazione quindi impariamo la denominazione corretta).
Nel ’66 in ambito internazionale si è arrivati a questa formulazione del diritto alla
riservatezza, ossia che ‘’ Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie
o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua
corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione.’’ In
base al secondo comma ‘’ Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge
contro tali interferenze od offese.’’ Iniziamo dal Patto che è successivo alla
Convenzione europea perché il Patto adotta la stessa dicitura già contenuta nella
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del ’48. Quindi, questa clausola adotta
proprio un approccio tipicamente liberale. Vediamo che qui la preoccupazione del
redattore è quella di evitare che siano evitate interferenze nella vita privata degli individui,
interferenza da parte dello Stato. vedremo però che invece nei decenni queste interferenze
devono essere vietate non solo ad opera dello Stato, di organi dello stato ma anche ad
opera di enti privati e in particolare le compagnie, imprese multinazionali o i provider per
quanto riguarda internet per esempio. Però nel ’66 si aveva in mente gli attori statali,
quindi gli organi dello stato. E vediamo che il termine vita privata viene affiancato non solo
alla vita familiare di cui si è già parlato, ma viene affiancato dal termine casa e
corrispondenza non che si fa riferimento all’onore e alla reputazione dell’individuo.
Su questi aspetti ci soffermiamo un attimo sempre facendo riferimento all’approccio di
Tiedemann che è un filosofo del diritto, non è proprio un internazionalista, svolge delle
riflessioni molto interessanti. Tiedemann fa riferimento per chiarire la nozione di privacy,
di vita privata, che si estende anche alla famiglia, casa, corrispondenza ad un articolo
(nozioni sono note in psicologia) di Goffman pubblicato nel ‘59 e intitolato ‘’The
Presentation of Self in Everyday Life’’ dove viene ben messa in evidenza la differenza fra
individuo e personalità, (è una differenza molto nota nell’ambito della psicologia).
Sostanzialmente l’individuo vive per lo più attraverso la personalità. La personalità è un
insieme di maschere che l’individuo adotta e differenzia a seconda della situazione
pubblica che si trova a vivere. Ogni singola situazione in qualche modo fa sì che io fornisca
un’immagine all’altro e sulla base di questa immagine l’altro si crea un’impressione di me
che ovviamente è un’impressione assolutamente imparziale e che può essere altamente
erronea, cioè non corrispondere per niente alla mia vera identità (cioè alla mia vera
individualità), ma che secondo Goffman è molto importante mantenere perché crea una
sorta di sicurezza nell’altro. Quindi, il fatto che ogni individuo mantenga una maschera e
una maschera diversa a seconda della situazione dà sicurezza all’interlocutore perché se
invece fossimo spontanei in qualunque situazione l’individuo rischierebbe di essere visto
come un bambino, come un immaturo e quindi una persona del tutto imprevedibile e con il
quale quindi non è possibile relazionarsi socialmente. La privacy attiene a tutto ciò che ha
a che vedere con l’individuo, quindi non con la personalità, con la maschera ma con
l’individuo stesso. Quindi, come Goffman stesso la privacy in qualche modo si ha nel
backstage. Cioè mentre l’individuo quando va al di fuori di se, quando si proietta verso
l’esterno è come se fosse sempre su un palcoscenico e quindi recita e quindi si fa vedere, si
mostra; quando invece l’individuo è dietro le quinte, è nel backstage è lì che si esplica tutto
l’ambito della sua riservatezza, della sua vita privata ed è tutto questo dietro le quinte che
deve essere tutelato da questo diritto alla riservatezza. Quindi, il backstage è il dietro le
quinte secondo Goffman e gran parte della psicologia è dove l’uomo è più autentico, dove
l’individuo è veramente se stesso, non è più personalità ma è proprio individuo. È il luogo
in cui l’individuo è sottratto ai riflettori, alla vista degli altri; in qualche modo è nascosto
alla vista degli altri. L’individuo è nascosto alla vista degli altri prima di tutto nella sua
casa, dentro le sue mura. Capiamo subito che anche dentro le mura l’individuo può essere
osservato, può essere osservato per esempio laddove si abbia sospetto che lì si stia
organizzando, pianificando, o commettendo un reato. Allora in questo caso l’individuo può
essere oggetto a intercettazioni, per esempio, con delle videocamere. Ma in questo caso
come vediamo dal paragrafo 2 dell’articolo 17 del Patto queste misure devono essere
tutelate dalla legge, cioè solamente a seguito di atti di legge queste possono essere adottate
misure volte a limitare, quindi a interferire con la vita privata dell’individuo per esempio
nella sua casa. Quindi, abbiamo che l’articolo 17 pone il cosiddetto principio di legalità,
quindi solamente in ragione di norme di legge può il diritto alla privacy essere limitato.
Sebbene questo articolo non lo include espressamente, il diritto alla riservatezza può essere
limitato a tre condizioni: la prima è quello del rispetto del principio della legalità, la
seconda condizione è il rispetto del principio di necessità (quindi vi deve essere una
necessità affinché questa misura restrittiva sia presa) e la terza condizione è la
proporzionalità tra la misura e l’obiettivo che si persegue. Quindi legalità, necessità e
proporzionalità sono i tre criteri che deve rispettare un’interferenza nella vita privata
dell’individuo affinché questa non sia arbitraria o illegittima. Su questi aspetti torniamo
quando dedicheremo la lezione alle deroghe sui diritti umani.
Poi abbiamo la tutela della privacy limitatamente alla corrispondenza. Corrispondenza va
intesa in senso ampio, consideriamola come sinonimo di comunicazione. Quindi,
qualunque forma di comunicazione di un individuo deve essere tutelata da interferenze
arbitrarie o illegittime. Quindi, questo non solo ha a che vedere con la corrispondenza
postale, corrispondenza telefonica ma ha a che vedere anche con comunicazioni private
(per esempio: mentre si cammina con un’amica in un parco, quello che io dico in quella
conversazione fa parte della mia privacy, non può essere oggetto di interferenze
illegittime). Per esempio, la Corte europea dei diritti dell’uomo già da tempo ha stabilito
che la Principessa di Monaco quando si trova ad un ristorante con la sua famiglia, lì non
può essere oggetto di interferenze relativamente alle parole che proferisce.
Ovviamente nell’ambito della comunicazione rientrano anche le comunicazioni via web, sia
social web e via social media.
L’articolo 17 parla anche di offese all’onore e alla reputazione. Su questi aspetti torneremo
quando analizzeremo delle sentenze che hanno a che vedere con la reputazione di individui
su internet, e quindi del diritto all’obblio. Mentre offesa all’onore: qui è consigliato un
collegamento fra questo aspetto del diritto alla privacy offesa all’onore e il trattamento
inumano e degradante. E qui il confine è molto labile. Pensiamo per esempio a
perquisizioni fisiche oppure al test sull’abuso di alcol che vengono effettuati senza il
consenso dell’individuo. Tutte quelle sfere di intrusione nella sfera proprio fisica
dell’individuo più delle volte concretano entrambe violazioni cioè sia dell’onore
dell’individuo e quindi violazione del diritto alla riservatezza sia concreta violazione del
divieto di trattamento degradante.
(La maschera è proprio ciò che ti priva dell’autenticità. Secondo Goffman è essenziale
perché le legittime aspettative della controparte sono rispettate. Ci sono molte correnti
psicologiche e non per tutte le correnti questo è vero. Questa differenza tra la nozione di
personalità e individuo ormai è acclamata nell’ambito psicologico. Quindi, la personalità è
l’individuo che ha delle maschere, quindi è l’individuo che non è autentico ma non
autentico perché la società (quindi quando va fuori di se nelle varie situazioni della vita),
l’individuo sente in qualche mood di doversi proteggere, di doversi difendere e quindi pone
delle maschere più o meno spesse, che si distanziano più o meno dalla vera autenticità. Il
diritto alla riservatezza mira proprio a tutelare l’ambito invece della autenticità,
quell’ambito lì che quindi deve essere sottratto dall’occhio pubblico, dal riflettore esterno).
Quindi, il diritto alla riservatezza è quel diritto che ha a che fare con la nostra vita privata,
con tutti quegli aspetti della nostra vita che vogliamo siano sottratti all’occhio pubblico,
quindi contrasto pubblico-privato. Tutto ciò che ha a che fare con la mia vita privata deve
essere oggetto di tutela perché altrimenti non ho più vita privata, diventa tutto pubblico.
-CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO  ART.8
E qui adesso passiamo all’art.8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali. Siamo nel 1950. Leggiamo come viene tutelato il diritto alla vita
privata in questo articolo ‘’Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita
privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza’’. E
fino a qua niente di nuovo, abbiamo sempre la quadripartizione tra vita privata e familiare,
casa e corrispondenza come abbiamo già visto nell'articolo 17 del patto.
Le limitazioni alla ingerenza dell'autorità pubblica sono molto più ampie, quindi questo
vuol dire che il diritto alla riservatezza può essere legittimamente limitato in ipotesi ben
più numerose rispetto a quelle previste nel patto. Il comma due dell’art.8 ‘’Non può
esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno
che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una
società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica
sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla
prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla
protezione dei diritti e delle libertà altrui’’. Quindi, il principio è che non vi può
essere ingerenza però vi sono delle eccezioni, a meno che tale ingerenza sia prevista dalla
legge (principio di legalità già esistente all'articolo 17 del patto). Vediamo quante numerose
sono le eccezioni previste da questo articolo; eccezioni che non sono espressamente
previste invece dall' articolo 17 del patto. Ora possiamo dire che le eccezioni previste dalla
convenzione del ‘50 sono implicitamente accolte dall’articolo 17, perché l'articolo 17 fa solo
genericamente riferimento ad interferenze arbitrarie o illegittimi. Quindi, potremmo dire
che un’interferenza che si basa su una delle ipotesi previste dall' articolo 8 paragrafo 2
della convenzione europea sarebbero interferenze legittimi e non arbitrarie. Potremmo
sicuramente dirlo però questo va un po’ ricavato per interpretazione.
Ora su queste eccezioni possiamo dire che ci sono varie pronunce della Corte europea.
Quindi, vi sono varie pronunce della Corte europea in cui la Corte non ha rinvenuto
violazione del diritto alla privacy proprio in ragione di un interesse pubblico.
L’eccezione relativa al benessere economico del paese è stata rinvenuta in un caso molto
noto che ha a che fare con il Regno Unito in cui alcuni abitanti vicino all'aeroporto di
Heathorw avevano fatto ricorso alla Corte europea perché in ambito interno non avevano
avuto soddisfazione relativamente alla loro richiesta di una maggiore tutela dai rumori che
il vicino aeroporto provocava, in questo modo limitando fortemente il benessere all'interno
della propria casa, della propria abitazione e quindi violando il diritto alla riservatezza.
(SENTENZA POWELL e RAYNER CONTRO REGNO UNITO) In questo caso per
esempio la Corte ha invece ritenuto che grado di invasività di questo rumore non fosse tale
da richiedere che lo Stato britannico prendesse delle misure con riferimento all’aeroporto
proprio perché l'aeroporto forniva un benessere economico tale al paese per cui nel
bilanciamento con il rispetto della vita privata, il benessere economico del paese nel caso
specifico prevaleva.
Quindi, questo per dire che vi sono delle pronunce anche della Corte europea che
all'apparenza possono essere anche discutibili. Ma non sono tutte così. Per fortuna la Corte
europea non adotta il principio del precedente vincolante, viceversa la Corte europea
adotta il principio casistico (caso per caso); quindi ogni caso si applica solamente nei
confronti di quell’individuo e di quello stato e quindi da ogni singola sentenza è poi difficile
enucleare dei principi di natura generale.
Però proprio per questo passiamo all'esame invece di sentenze specifiche che riguardano
quell’aspetto del diritto alla riservatezza che ha che fare con la comunicazione e in
particolare con la comunicazione via web.
Il cosiddetto diritto all’oblio, il diritto ad essere dimenticati, che abbiamo visto essere
stato così definito da Brandeis giudice della Corte Suprema nel ’98, è tornato alla ribalta
nel 2014 grazie ad una sentenza della Corte di giustizia dell'unione europea, la nota
sentenza GOOGLE SPAIN. E Anche in Italia negli anni 2000, anche recentemente fino al
2019 vi sono molte sentenze, in particolare delle sezioni unite della Cassazione che fanno
riferimento a questo diritto all'oblio. Quindi ovviamente ci riferiamo a quel diritto che è
strettamente legato al diritto alla riservatezza perché è il diritto di un individuo a che fatti
lesivi della sua dignità e fatti risalenti nel tempo siano dimenticati dalla società, dalla
collettività, cioè diritto che su questi fatti cada l'oblio (scenda l'oblio). In qualche modo è
un diritto opposto al diritto alla verità o è un diritto opposto che deve essere bilanciato con
il diritto di cronaca, cioè il diritto all'informazione, cioè il diritto che invece la collettività
sia informata sui fatti. Però l’oblio riguarda fatti risalenti nel tempo, vecchi mentre il
diritto all'informazione e alla cronaca riguarda fatti attuali o comunque fatti la cui
conoscenza ha ancora un’utilità per la collettività. In ambito internazionale abbiamo visto
che già nel ‘48 con la dichiarazione universale, nel ‘50 con la convenzione europea, nel ‘66
con il Patto il diritto alla riservatezza era stato enunciato.
Nell’81 il Consiglio d’Europa (l'Europa a 47) apre ala firma una Convenzione (un po’ poco
nota ma è importante), ed è una Convenzione intitolata ‘’Convenzione per la
protezione degli individui con riguardo al trattamento dei dati personali’’,
anche denominata convenzione 108. Ed è una Convenzione entrata in vigore nel ’85.
Interessante che è una convenzione piuttosto ratificata e ad essa possono aderire anche
stati non parte al Consiglio d'Europa. Questa convenzione prevede già delle garanzie per
speciali categorie di dati e garanzie affinché questi siano tutelati in modi che vengono
dettagliati in maniera molto specifica e si ribadisce già un concetto già a noi noto, cioè che
le eccezioni al trattamento richiesto ai dati personali previsti dalla convenzione deve essere
effettuato solo su base di legge. A questa Convenzione è stato aggiunto un Protocollo in
vigore dal 2004 che richiede in particolare la creazione di autorità nazionali di natura
amministrativa che tutelino il trattamento dei dati personali (per esempio in Italia vi è il
cosiddetto garante per la privacy In Italia il garante per la privacy esiste già dal ‘90
perché la nostra legge sulla privacy è del ’96; ma sono tutte misure che vanno nel senso
indicato dalla convenzione del ’81 e dal protocollo del 2004.
Questioni relative al diritto alla riservatezza con riferimento specifico proprio alle sfide
poste dall’era digitale sono state anche oggetto di risoluzioni dell'assemblea generale delle
Nazioni. Segnaliamo due risoluzioni: una risoluzione del 2013 e una risoluzione del 2019.
(La risoluzione del 2019 è caricata su Moodle.)
quindi, in ambito internazionale vi è attenzione a queste tematiche però al momento
manca una Convenzione universale, una Convenzione delle Nazioni Unite che sia
espressamente dedicata alla questione del trattamento dei dati postati su internet o sui
social media e in particolar modo al diritto all’oblio. Quindi, il diritto all'oblio è un diritto
che viene considerato come incluso nel diritto alla riservatezza.
A questo punto ci soffermiamo su due sentenze in cui questo diritto all'oblio viene
affrontato. La prima sentenza è il caso GOOGLE SPAIN, quindi alla sentenza del 2014
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Questa è Una sentenza della Corte di giustizia
dell'unione europea che è il massimo organo giudiziario dell'unione europea che dal punto
di vista del diritto internazionale l'unione europea è un soggetto del diritto internazionale.
L’Unione europea è un soggetto di diritto internazionale perché è un'organizzazione
internazionale dotata addirittura di meccanismi giudiziari. È la prima volta che parliamo
della Corte di giustizia dell'unione europea perché l’Unione Europea nasce nel ’57 con i
trattati di Roma con finalità di natura puramente economica, commerciale. La finalità
dell'unione europea è quella che si crei una zona doganale comune, una zona doganale
esterna. È solo poi a seguito della progressiva modifica dei trattati istitutivi della Comunità
economica europea appunto che questa comunità si è trasformata in Unione europea e che
ha aumentato le sue competenze fino in ambito monetario, fino in ambito finanziario. E
dal 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’Unione europea si è dotata anche
di una carta dei diritti fondamentali, la nota Carta di Nizza. Ad oggi possiamo affermare
che l'unione europea è dotata di una carta dei diritti fondamentali (in questo caso il
termine diritto fondamentale prendiamolo come sinonimo di diritti umani anche se c'è una
piccola differenza), quindi dal 2009 sia l'unione europea che gli Stati membri dell'unione
europea devono rispettare questa carta, la Carta di Nizza che è una carta per molti aspetti
molto simile alla convenzione europea del 1950, però che contiene anche dei diritti in più.
Per esempio, all’articolo 8 contiene proprio il diritto alla protezione dei dati personali, un
diritto che nel ’50 non era stato preso in considerazione. Invece all'articolo 7 prevede
proprio il diritto alla vita privata e familiare in termini molto simili a quelli della
convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Quindi, il caso GOOGLE SPAIN è proprio fondato sulla presunta violazione di questi due
articoli, l'articolo 7 e l'articolo 8 della carta di Nizza. Qui si trattava di riconoscere ad un
individuo il diritto alla rimozione di dati personali che erano reperibili dall' elenco dei
risultati che si ricavavano se si inseriva il nome di questo individuo su Google. Quindi,
sostanzialmente questo individuo voleva che una volta che si digita se il suo nome su
Google non apparissero questi link che lo collegavano ad un pignoramento effettuato anni
prima perché non aveva pagato dei crediti in ambito previdenziale (per dei debiti). E
quindi si parla della cosiddetta deindicizzazione in termini tecnici. La Corte di giustizia
dell'unione europea (da non confondere con la Corte europea dei diritti dell'uomo)
riconosce il diritto di questo individuo ha la rimozione di questi link a due condizioni: (1) la
prima è che questi dati personali siano pregiudizievoli, comportino un pregiudizio per
l’interessato, quindi non siano dati neutri ma siano lesivi della sua dignità; (2) e la seconda
condizione è che sia trascorso un arco temporale tale da non giustificare più la permanenza
di questi dati negli archivi online (un arco di tempo considerevole). In effetti, nel caso di
specie erano passati 16 anni. Ora tutti questi dati li troviamo nell’articolo della Mariotti
postato su Moodle. Questa sentenza è importante perché la Corte afferma che è il gestore
del motore di ricerca, cioè Google, a dover provvedere alla rimozione di questi dati.
In breve, La Corte ha operato un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza dell'individuo
da una parte e dall'altra l'interesse pubblico della collettività all'informazione. Quindi,
secondo la Corte in questo bilanciamento nel caso di specie deve prevalere l'interesse
dell’individuo alla riservatezza. Qui è interessante perché Google aveva anche invece fatto
valere l'interesse economico del motore di ricerca mantenere questi dati e la Corte ha
scartato, cioè ha ritenuto che l'interesse economico del motore di ricerca non dovesse
prevalere nel caso di specie sul diritto dell’individuo alla riservatezza.
Però la Corte contempla una eccezione: l’eccezione riguarda il ruolo ricoperto dalla
persona nella vita pubblica, cioè nel caso di specie l'individuo non ricopriva a livello di vita
pubblica un ruolo così rilevante da far pendere la bilancia a favore dell'interesse pubblico
all'informazione. Però la Corte in termini astratti concepisce la possibilità che laddove un
individuo rivesta un ruolo pubblico importante, la bilancia possa pendere a favore
dell’interesse pubblico all'informazione. Quindi, questo è un aspetto molto interessante su
cui torneremo in una sentenza della Corte europea invece dei diritti dell'uomo.
L’altro aspetto che sottolineiamo è che comunque la Corte di giustizia dell'unione europea
afferma che l’obbligo di rimozione dei dati non sussiste direttamente in capo al provider, in
capo a Google, ma sussiste in capo allo stato. Questo significa che Google deve attivarsi nel
senso della rimozione dei dati lesivi della dignità dell’individuo solo a seguito di un
provvedimento emanato in questo senso dall'autorità giudiziaria o amministrativa. Questo
perché sarà l'autorità giudiziaria ed amministrativa ad operare il bilanciamento di cui
abbiamo parlato, cioè sarà l'autorità giudiziaria interna ad ogni singolo stato o l'autorità
amministrativa (per esempio il garante della privacy) ad operare il bilanciamento fra
interesse privato ed interesse pubblico nel caso di specie e qualora questa autorità, quindi,
rinvenga la prevalenza dell'interesse privato a quel punto ingiungerà Google a rimuovere
quei dati. Quindi, molto interessante.
In una sentenza più recente del 2019 la Corte europea ha fatto un po' un passo indietro
invece perché ha sostenuto che Google deve garantire il diritto all’oblio soltanto all’interno
dell’Unione Europea. Quindi Google/Stati Uniti o Google/Cina di fatto non è sottoposto
alle stesse norme secondo la Corte di giustizia dell'unione europea. Quindi, in altri termini
per la Corte di giustizia dell'unione europea il diritto all'oblio non ha natura universale.
Questo ci può stupire ma va compreso perché ovviamente la Corte di giustizia dell'unione
europea è una Corte di un'organizzazione internazionale regionale e quindi applica
strettamente il cosiddetto principio di territorialità (quindi non può pronunciarsi erga
omnis).
A questo punto invece passiamo ad un caso che si è attivato di fronte alla Corte europea dei
diritti dell’uomo, ed è il CASO FUCHSMANN CONTRO GERMANIA. È una sentenza
del 2017. Su questa è stato postato un breve commento preso da un Blog di una
professoressa di diritto internazionale, Marina Castellaneta. Il signor Fuchsmann è un
imprenditore nell’ambito televisivo di origini ucraine che però viveva, risiedeva ed operava
in Germania. Lui era stato coinvolto anni addietro in vicende di corruzione, corruzione
proprio finalizzata ad ottenere licenze televisive. Il New York Times, quindi notissimo
giornale, in un articolo diffuso online aveva parlato di questo, nominando questo
imprenditore e facendo riferimento a queste accuse di corruzione. A questo punto il
ricorrente si era rivolto ai tribunali tedeschi chiedendo la rimozione del contenuto
dell'articolo online proprio accampando la violazione del suo diritto alla privacy in
quell’aspetto relativo alla lesione della sua reputazione, come nel caso precedente quindi
queste informazioni erano lesive della sua reputazione. I giudici tedeschi avevano respinto
la richiesta di Fuchsmann sostenendo che essendo l'individuo molto noto nella società
tedesca, in questo caso l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti prevaleva rispetto al
diritto alla riservatezza dell’individuo. Anche qui siamo in presenza di un bilanciamento fra
il diritto dell’individuo e l'interesse della collettività e in questo caso l'interesse della
collettività, al contrario di quanto venuto in Google Spain, prevaleva. Quindi, il Fuchsmann
porta il caso di fronte alla Corte europea dove evidentemente richiede che la Corte
stabilisca che è stato violato l'articolo 8 (rispetto della vita privata) e interessante che nel
suo ricorso fa anche riferimento alla sentenza Google Spain e richiede quindi il
riconoscimento del diritto all’oblio. La Corte europea arriva alle stesse conclusioni dei
tribunali tedeschi. Quindi, in questo caso non rinviene una violazione dell'articolo 8 ad
opera della Germania perché sostiene che i giudici tedeschi hanno correttamente
bilanciato i vari interessi in gioco in conformità ai parametri adottati dalla Corte di
Strasburgo. Uno dei parametri è che l’informazione diffusa con riferimento all' individuo
sia corretta, cioè si fondi su delle fonti attendibili, verificate e che quindi i fatti siano
riportati correttamente. Ebbene la Corte ha rinvenuto che questo fosse il caso, cioè che il
giornalista autore dell'articolo del New York Times avesse soddisfatto questi parametri.
Inoltre, essendo il signor Fuchsmann un imprenditore molto noto, in particolare nella
società tedesca, doveva avere messo in conto che la sua vita privata fosse in qualche modo
più ristretta, più limitata rispetto alla vita privata di una persona comune, di una persona
non nota. E questo è un principio interessante che tanto più un individuo è noto in una
certa società, tanto più è ristretto il suo diritto alla riservatezza. Quindi, la Corte così
conclude.
È una sentenza un po' discutibile secondo la professoressa soprattutto perché l’articolo in
questione, l’articolo del New York Times dà semplicemente conto di sospetto di corruzione,
di accuse di corruzione che però non erano scaturite né in condanne né in un processo.
Quindi, in questo caso ci si domanda se in realtà fosse stato violato non solo il diritto alla
riservatezza ma anche il principio di presunzione di innocenza dell’individuo.
Quindi, in breve possiamo concludere che alla luce di queste due sentenze il diritto all’oblio
è ricavabile implicitamente dal diritto alla riservatezza, ma non è un diritto assoluto, è un
diritto che deve essere bilanciato contro interessi contrapposti, specialmente il diritto
all'informazione. Il bilanciamento quindi tra questi diritti è un bilanciamento complesso
perché deve tenere in considerazione numerosi aspetti, per esempio la notorietà del
soggetto interessato. Per esempio, l’oggetto della notizia, e per esempio il tempo trascorso
dal momento in cui si sono verificati i fatti. Quindi, effettivamente è molto complessa la
valutazione di questo tipo di diritti, la supposta violazione di questo tipo di diritti.
In realtà, il diritto all'oblio è uno degli aspetti di attualità in cui sta venendo in rilievo il
diritto alla riservatezza, ma uno degli altri aspetti che sta avvenendo in rilievo è la
cosiddetta cessione della privacy. In realtà, a causa dei social network è in espansione il
fenomeno opposto a quello della privacy, cioè la tendenza degli individui a vendere (così
dice Focarelli) la propria privacy in cambio di determinati vantaggi. Pensiamo a
programmi televisivi come il Grande Fratello nelle sue varianti: qui si arriva proprio
all'estremo di esporre pubblicamente quello che è tipicamente l’ambito per eccellenza della
riservatezza, quindi ciò che si svolge all'interno delle proprie mura. E quindi qui abbiamo
una sorta di rovesciamento della logica dei diritti umani.
-30.04.2021
-DIRITTO ALLA PRIVACY E ALLA VITA FAMILIARE
Abbiamo trattato della questione del diritto all’oblio alla luce delle sentenze Google Spain
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e il caso Fucshmann davanti alla Corte
europea dei diritti dell’uomo.
Facciamo considerazioni di natura sociologica su un aspetto dell’esercizio della privacy che
sta venendo in rilievo negli ultimi dieci, quindici anni che viene definita da Carlo
Focarelli nel manuale come il fenomeno della cessione della privacy. Cioè secondo
lui (la professoressa condivide questa lettura di questo fenomeno attuale) ci stiamo
trovando in virtù degli strumenti radio, televisivi e social network di fronte ad un
fenomeno inverso rispetto a quello tradizionale del diritto alla privacy che abbiamo
esaminato ieri. Quindi, ci troveremmo di fronte ad un fenomeno per cui l’individuo non
desidera più essere tutelato da interferenze illegittime ad opera dello Stato nell'ambito
della sua sfera di riservatezza, al contrario l’individuo (ovviamente si sta parlando in senso
generale, non per tutti gli individui questo vale) è sempre più disponibile a cedere
informazioni di natura personale o a enti conosciuti (pensiamo quando facciamo una
tessera di fedeltà) oppure ad enti non così conosciuti (quando navighiamo su internet
sappiamo tutti che acconsentendo ai cookies questo poi autorizza mente di riferimento a
raccogliere i nostri dati personali). È vero che soprattutto nel secondo caso la raccolta di
dati personali non deve essere usata relativamente a quella singola persona, deve essere
invece utilizzata per elaborare dei dati in forma aggregata.
Però sappiamo bene come George Orwell nel famoso romanzo ‘’1984’’ ha bene
illustrato: è estremamente difficile per l’utente poi verificare l’effettivo uso di queste
informazioni. Questi fenomeni nella logica dei diritti umani in qualche modo implicano un
rovesciamento perché prima l’idea alla base dei diritti umani è quella secondo la quale
l’individuo deve essere tutelato da eventuali abusi compiuti dall’autorità statale. Adesso
invece con i fenomeni che abbiamo brevemente delineato ci troviamo di fronte al consenso
più o meno consapevole che l’individuo dà affinché i propri diritti, in questo caso il diritto
alla privacy, siano ceduti. Quindi, siamo di fronte ad una cessione più o meno consapevole
del diritto alla privacy. E questo non è direttamente voluto dal potere politico, non è
qualcosa che lo stato ha voluto; quindi, non ci troviamo di fronte ad un abuso di potere ad
opera dello Stato, ma ci troviamo di fronte ad un abuso di potere ad opera di attori non
statali (i provider Google ecc). Quindi, abbiamo un’influenza sempre più pervasiva di
centri di potere di natura economica o se preferiamo utilizzare un termine più neutro di
natura privata. Quindi, in qualche modo anche i diritti umani devono adeguarsi a questo
cambiamento. Quindi, è sempre più importante che lo stato sì è capace di garantire i diritti
umani non tanto a fronte di violazioni poste in essere dai propri organi, ma a fronte di
violazioni poste in essere da enti privati. Per quanto riguarda la tutela della privacy, in
particolare da enti spesso di natura multinazionale.
L’ulteriore elemento su cui riflettiamo è che la cessione della privacy a cui più o meno
consapevolmente stiamo assistendo trova in una buona fetta della popolazione non solo un
consenso, ma anche una forma di piacere come Focarelli sottolinea. Abbiamo accennato ai
programmi di reality show: gli individui certamente si sottopongono in modo consensuale
a questa apertura totale nei confronti della loro vita privata, fin dentro la loro intimità, fin
dentro le mura domestiche. E questo perché questi individui ritengono di avere un
beneficio, un ritorno dalla rinuncia alla loro privacy, un ritorno economico a volte, un
ritorno reputazionale, un ritorno di immagine, un ritorno di celebrità, di successo.
Quindi, da questa limitazione della privacy questi individui possiamo dire con Aldous
Huxley, in questo libro ’’ Il mondo nuovo’’. Quindi, questi individui provano una forma
di piacere da questo crescente desiderio di alcuni individui di limitare la loro privacy.
Quindi, mentre in 1984 di George Orwell l’invasività del potere creava dolore, la genialità
di Huxley è nell’avere sottolineato (è un libro del 1932, molto risalente) il fatto che invece
questa nuova forma di potere, questa rinuncia alla propria riservatezza dà luogo a piacere
in questi individui.
Facciamo un passo avanti in questo ragionamento (che ci aiuti a riflettere e a non prendere
niente per scontato, non adeguarci a ciò che la società propone e sempre ricordarci che
l’essere umano è libero di scegliere sempre anche quando sembra che non sia così;
possiamo sempre scegliere il come anche se non necessariamente il cosa, esercizio sulla
libertà in tempo di Covid). Il rinunciare ad una fetta di privacy o addirittura a tutta la
privacy come può essere visto? Io rinuncio anche consensualmente ad una fetta della mia
privacy perché ritengo di avere dei vantaggi per esempio in termini reputazionali, ma
rinunciare alla propria privacy equivale ad accettare di essere sempre più sorvegliati. Se
rovesciamo la prospettiva delle cose (la prospettiva rovesciato non è mai equivalente, apre
sempre nuove porte). In altre parole, si può sostenere che la cessione della privacy quando
almeno viene consapevolmente equivale ad un desiderio crescente degli individui di farsi
sorvegliare.
E a questo punto ci dobbiamo assolutamente domandare a che fine viene data questa
sorveglianza. Questa è una domanda che dobbiamo porci anche in riferimento
all’emergenza sanitaria in corso: tutte le misure restrittive della nostra libertà sono al fine
della tutela della nostra salute? Molte volte è più importante la domanda che la risposta.
Quindi, davvero le persone che rinunciano alla propria privacy sono consapevoli del fine
che intendono raggiungere attraverso questo incremento di sorveglianza che accettano nei
confronti della propria vita. Perché evidentemente di nuovo qui abbiamo a che fare con la
nozione di libertà. Se io do il consenso a che la mia libertà sia diminuita, io accetto
un’intrusione da parte di attori addirittura non statali.
E allora mi domanda quale è il limite fra il piacere che taluni individui riscontrano in una
diminuzione della loro sfera di riservatezza e invece la vera e propria prevaricazione della
libertà dell’individuo. Quindi, riflessione anche sul termine di prevaricazione.
Quindi sempre ricordarci dell’unità dell'essere umano. Un’altra delle questioni è per
esempio quella del progresso tecnologico (questioni delle armi autonome e della necessità
o meno del mantenimento di un certo grado di controllo umano sull’attività sia dei droni
che soprattutto delle armi autonome). Quindi, anche lì va di necessità va sottolineato il
fatto che l'essere umano mantiene comunque il suo grado di controllo sugli sviluppi
tecnologici. Quindi, ricordiamoci sempre che anche lo sviluppo tecnologico (legato al
discorso che stiamo facendo sulla privacy) non è mai ineluttabile. Lo sviluppo tecnologico è
condotto dall’essere umano, quindi ricordiamoci di mantenere sempre la nostra vigilanza,
la nostra consapevolezza, e non diventare vittime di ciò che è inevitabile. È inevitabile
l'avvento tecnologico, è inevitabile in un certo grado ma poi per il resto noi possiamo
intervenire a dirigere.
-DIRITTO AD UN AMBIENTE SALUBRE
Passiamo ad un argomento che sembra distante da quello che stiamo trattando, ma in
realtà ha dei profili di collegamento che è il diritto all’ambiente.
La domanda è: esiste un diritto umano all’ambiente? In realtà, è collegato al diritto alla vita
privata e familiare perché al momento esiste solamente una Convenzione che tutela
l’ambiente in quanto diritto umano ed è la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei
popoli. La Carta africana è stata elaborata nel 1981, quindi non è certamente la prima
carta regionale sui diritti umani ad essere stata aperta alla firma, eppure è l’unica carta,
l’unico trattato che contiene il diritto umano ad un ambiente salubre. Letteralmente
all’articolo 24 la Carta africana dichiara che: ‘’Tutti i popoli hanno il diritto ad un
ambiente generalmente soddisfacente favorevole al loro sviluppo’’.
Quindi, il fatto che gli altri trattati sui diritti umani e soprattutto le altre due convenzioni
regionali sui diritti umani che prevedono un meccanismo giudiziario di controllo, cioè la
convenzione europea e la convenzione americana non contengano espressamente un
diritto umano all'ambiente ha fatto sì che questi due ambiti regionali si sia sviluppata una
giurisprudenza relativa alla tutela dell’ambiente attraverso l’incidenza che il degrado
ambientale può avere sui diritti umani che invece in queste convenzioni sono
espressamente tutelati. Quali diritti umani il degrado ambientale, l’inquinamento
ambientale può ledere? (diritto alla vita, diritto all’acqua e al cibo, diritto alla salute, diritto
all’abitazione) Può incidere anche sulla vita privata e familiare: è questo il collegamento
con la lezione di ieri. Può incidere sulla vita privata e familiare perché può incidere sulla
qualità della vita privata e quindi la qualità della vita privata ha comunque a che fare anche
con l'abitazione, il domicilio. Abbiamo accennato alla questione dell’inquinamento acustico
legato all' atterraggio e alla partenza di voli dall'aeroporto di Heathorw. Quello anche è una
forma di inquinamento ambientale. In quel caso la Corte non ha rinvenuto una violazione
del diritto alla vita privata e familiare della Convenzione perché purtroppo ha deciso che il
bilanciamento fra il diritto degli individui in questione e l’eccezione prevista al godimento
di questo diritto relativa al benessere economico del paese andava a favore del benessere
economico del paese. Ecco il collegamento fra il diritto all’ambiente e il diritto alla vita
privata e familiare.
Quindi, sempre più spesso anche se è uno sviluppo degli ultimi 20 anni, le Corti regionali
sui diritti dell’uomo sono riuscite piano piano a tutelare quello che viene definito il diritto
ad un ambiente salubre quale diritto umano che può andare a ledere diritti già consacrati
nelle Convenzioni stesse (il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, anche il
diritto all’educazione a volte può essere compromesso). Questo collegamento fra la tutela
dell’ambiente naturale e la violazione di diritti già sanciti nelle Convenzioni è stato
espressamente enucleato dal Comitato per i diritti economici e sociali che nel commento
generale al diritto alla salute ha proprio espressamente dichiarato che la tutela
dell’ambiente è strettamente collegata a questo diritto. E quindi in qualche modo la tutela
dell’ambiente viene protetto anche all’interno dei diritti economici e sociali (il diritto alla
salute è un diritto sociale), e non solo, nei diritti civili come il diritto alla vita. Quindi, è
molto importante questo passaggio perché senza il collegamento fra degrado ambientale e
la compromissione di diritti umani di natura tradizionale, il degrado ambientale non
potrebbe essere oggetto di ricorsi di fronte ai tribunali per i diritti umani, il degrado
ambientale dovrebbe essere oggetto semai di ricorsi di fronte a tribunali internazionali,
quali tribunali che sono competenti a giudicare di legami interstatali quali la Corte
internazionale di giustizia, ma il singolo individuo resterebbe privato di un rimedio di
natura internazionale. Quindi, questo aspetto è molto importante.
Questo aspetto ha avuto e sta avendo delle ripercussioni importanti per quello che riguarda
l’Italia. L’Italia è stata più volte citata di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo per
violazione dell’art.8 (quello della tutela della vita privata e familiare) per questioni relative
o al cattivo smaltimento dei rifiuti (una decina di anni fa nella zona di Napoli per alcuni
mesi non furono raccolti i rifiuti e questo dette luogo a problemi di salute per la
popolazione locale). Ci soffermiamo su un caso più recente, tutt’ora di attualità che è il
caso dell’acciaieria ILVA di Taranto. Il caso dell’inquinamento ambientale e della
gravissima incidenza sulla salute di questo inquinamento è arrivato non solo di fronte ai
tribunali italiani ma anche di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La sentenza è
stata emessa nel 2019. L’ex ILVA ha iniziato ad operare nel ’65, sta tutt’ora operando anche
se con nuovi proprietari, ma già a partire dagli anni ’70 si era iniziato a parlare di elevata
incidenza di tumori dovuto soprattutto all’inquinamento prodotto da questa azienda in
particolare dall’emissione dei gas. I gas in questione sono soprattutto l’anidride solforosa.
Poi nei decenni si sono susseguite una serie di perizie tecniche. Per esempio, famosa è
quella dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) del 2002 che
effettivamente ha costatato un aumento dei casi di tumori nella zona. Oppure quella del
2012 richiesta dal ministero della salute che è estremamente importante perché stabilisce
un aspetto che dal punto di vista giuridico è cruciale che è il nesso di causalità tra
l’esposizione a queste sostanze cancerogene che sono inalabili e lo sviluppo di tumori
(nesso di causalità). Poi vi sono stati anche degli studi invece a livello regionale, in
particolare studi congiunti della regione Lazio e della regione Puglia che hanno
riconfermato questa incidenza non solo a livello tumorale ma proprio a livello di mortalità
per tumori. Però nonostante tutto nel 2011 l’ILVA ottenne la cosiddetta autorizzazione
integrata ambientale (AIA) e quindi ha potuto legalmente continuare a produrre.
Successivamente sono stati adottati molteplici decreti-legge, i cosiddetti decreti-legge salva
ILVA, tutti miranti a garantire la prosecuzione dell’attività che mettevano però in secondo
luogo i problemi proprio di natura ambientale. Da ultimo fu nominato un commissario
straordinario che ai termini di legge era immune dalla responsabilità penale o
amministrativa. Questa immunità è stata estesa anche all’attuale acquirente dello
stabilimento. Ad oggi risulta che sempre per termini di legge il termine per l’attuazione del
piano ambientale di risanamento è stato progressivamente posticipato ed oggi questo
termine sarebbe il 2023.
A fronte di tutto questo protrarsi del mancato adeguamento di quanto previsto a livello di
sanificazione ambientale, 180 persone hanno fatto ricorso alla Corte europea reclamando
danni alla salute dovuti all’inquinamento ambientale di quell’area. La Corte ha
effettivamente condannato l’Italia. Ha rinvenuto la responsabilità dell’Italia proprio per
violazione dell’art.8, quello relativo alla tutela della privacy e della vita familiare, perché
non ha protetto in modo adeguato la popolazione residente in quella zona
dall’inquinamento di natura ambientale. L’Italia aveva un obbligo di proteggere questi
individui perché era a conoscenza dei rischi che l’inquinamento ambientale comportava
non tanto per la salute perché la Convenzione europea non tutela il diritto alla salute tout
court (è una convenzione che tutela i diritti civili e politici), ma ha rinvenuto che il degrado
ambientale violasse il diritto ad una vita privata e familiare adeguato, quindi in qualche
modo minasse la qualità della vita privata e familiare. Quindi, qualità della vita privata si
intende qualità della vita entro le mura domestiche e qualità della vita familiare quindi il
modo di interfacciarsi con i propri cari. Quindi, ha chiesto all’Italia di porre in essere
misure generali nel più breve tempo possibile volte a far sì che la violazione dell’art.8 sia
interrotta.
Quindi, questa sentenza ovviamente è stata accolta benevolmente da parte di tutta la
comunità tarantina anche se a questo punto sta all’Italia adottare misure specifiche volte a
dare attuazione a questa sentenza. Come quasi sempre, infatti, le sentenze della Corte
europea chiedono che lo Stato adotti delle misure di natura generale per cessare la
violazione e per rimediare alla violazione, ma poi le singole misure concrete è lo Stato
stesso che deve individuarle.
(Sul sito della Corte c’è una parte relativa all’esecuzione delle varie sentenze, perché il
comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che monitora periodicamente sull’attuazione
delle sentenze in ambito interno).
Quindi, questo è un ottimo esempio di ipotesi in cui il diritto ad un ambiente salubre,
quindi la tutela ambientale viene garantita da una Corte per i diritti umani in quanto il
degrado ambientale, l’inquinamento ambientale comporta una violazione di diritti umani
che chiamiamo tradizionali.
Però negli ultimi decenni, dagli anni ’70 in poi, ci si è sempre più interrogati sull’esistenza
di un diritto umano ad un ambiente salubre in quanto tale, di per se, cioè sganciato da altri
diritti. Quindi, ci si domanda se si può configurare un autonomo diritto ad un ambiente
salubre. Quindi, questo è un altro approccio al diritto ad un ambiente salubre. Quindi, il
diritto ad un ambiente salubre avrebbe il vantaggio di riconoscere la tutela ambientale, la
natura e l’ambiente quale bene di per se degno di tutela, indipendentemente dal fatto che
un suo eventuale degrado comporti la violazione di un diritto umano dell’individuo.
Quindi, riconoscere il diritto ad un ambiente salubre consentirebbe di tutelare l’ambiente
naturale in quanto tale, di tutelarlo di per se.
È dagli anni 70 che si è iniziato a parlare della sussistenza o meno di questo diritto perché è
soprattutto con la conferenza di Stoccolma sull’ambiente organizzata nel 1972 dalle
Nazioni Unite. È partito dal ’72 la questione della tutela dell'ambiente come diritto ad un
ambiente salubre è iniziato ad essere affrontata in ambito internazionale. La Conferenza di
Stoccolma del ’72 termina con una Dichiarazione sull’importanza della salubrità
dell’ambiente. Ovviamente non ha natura vincolante, ma è importante perché inizia ad
aprire il dibattito in ambito internazionale relativamente alla tutela dell’ambiente. Quindi,
come capiamo la tutela dell’ambiente è una preoccupazione piuttosto recente della
comunità internazionale. e questo già dovrebbe farci rifletter perché noi senza ambiente
non esisteremmo, senza la madre terra; quindi, evidentemente siamo noi stessi i primi
distruttori di questo patrimonio.
Dopo vent’anni, quindi siamo nel ’92 una seconda Conferenza, la nota Conferenza di
Rio è stato organizzata sempre nell’ambito delle Nazioni Unite. Questa Conferenza si è
conclusa sempre con una Dichiarazione (quindi di nuovo valore non vincolante) che però
identificava in modo chiaro alcuni principi, 27 principi e uno di questi proprio affermava il
diritto degli esseri umani ad un ambiente sano in armonia con la natura. Quindi, qui
proprio si parlava del diritto degli individui ad un ambiente sano in armonia con la natura.
In ambito convenzionale, a livello pattizio solo la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei
popoli contiene espressamente un diritto ad un ambiente salubre. Molto Costituzioni
nazionali contengono il riferimento a questo diritto. Si stima che tra le 100 e 120
costituzioni ad oggi contengano questo diritto e quindi si può dire che abbiano fatto
proprio i principi di Rio e di Stoccolma. In particolare, molto avanzata è la Costituzione
Sudafricana. Ma forse un po' sorprendentemente anche l’India è molto avanti su questo
punto. Una nota sentenza della Corte Suprema degli anni ‘90 già riconosceva il diritto ad
un ambiente salubre.
Il più recente passaggio che a noi interessa in quanto giuristi internazionalisti
relativamente a questo argomento è di quasi tre anni fa. Il 7 Febbraio del 2018 la Corte
interamericana dei diritti dell’uomo emanava un parere (un advisory opinion)
sull’ambiente e i diritti umani. Questo è un parere molto importante.
(su Moodle è stato postato un breve commentario di Maria L. Banda che è stata una
Council, un avvocato di fronte alla Corte in questa procedura. Commento a questa
importane opinione).
La Corte interamericana dei diritti dell’uomo non ha solo competenze in materia
contenziosa, cioè non è solamente competente a conoscere i ricorsi presentati da individui
che allegano violazione di una norma della Convenzione, ma può conoscere anche richieste
provenienti o dagli stati parte alla Convenzione oppure dagli organi dell’organizzazione
degli stati americani. Questo caso è partito da una richiesta della Colombia che voleva
sapere quale fosse il collegamento fra l’ambiente e i diritti umani; in quel caso la Colombia
era interessata dalla costruzione di un canale addirittura interoceanico che stava per essere
compiuto dal Nicaragua e la questione era spinosa per la Colombia perché la Corte
internazionale di giustizia aveva da poco ridefinito queste delimitazioni marittime dei
confini tra la Colombia e il Nicaragua. Ovviamente i pareri della Corte interamericana non
hanno natura giuridicamente vincolante però li studiamo perché sono molto autorevoli
perché comunque promanano da un organo giudiziario e poi seguono una procedura molto
complessa (ogni stato parte della convenzione può presentare le sue osservazioni, i giudici
possono anche in udienza convocare alcuni di questi rappresentanti statali, organizzazioni
non governative; infatti, per esempio in questo caso è stato dato molto risalto dai giudici
della Corte). Quindi, le opinioni anche se poi non danno luogo a degli obblighi in capo agli
stati, certamente sono elementi preziosissimi di opinio iuris, quindi sono elementi che poi
possono contribuire alla formazione di una norma consuetudinaria.
E quello che a noi interessa è che la Corte in questa opinione riconosce l'esistenza di un
diritto autonomo ad un ambiente salubre all'interno della convenzione americana dei
diritti umani. La Convenzione americana è del ’69, entrata in vigore nel ’78.
La Corte riconduce questo diritto nell’alveo dell’articolo 26 della Convenzione.
L’articolo 26 è un po' una clausola residuale della Convenzione, un po' onnicomprensiva
che fa riferimento allo sviluppo progressivo dei diritti, in particolare dei diritti economici,
sociali e culturali. Questi diritti non sono ulteriormente specificati, quindi è solo una
norma ombrello in qualche modo, ma che in questo caso serve secondo la Corte da testa di
ponte, quindi la Corte vi fa rientrare questo nuovo diritto.
La Corte riesce in questa operazione anche perché vi è un Protocollo aggiuntivo alla
Convenzione americana dei diritti dell'uomo che è il Protocollo di San Salvador,
aperto alla firma nell’88, che è un protocollo sui diritti economici, sociale e culturali (in cui
questi diritti vengono espressamente dettagliati) che proprio contiene anche il diritto ad un
ambiente salubre. Questo protocollo è stato ampiamente ratificato dagli stati americani,
quindi in qualche modo anche questo Protocollo attesta di un opinio iuris relativamente al
diritto ad un ambiente salubre.
Sicuramente questo è l’elemento più importante di questo parere. Quindi, ad oggi il diritto
ad un ambiente salubre è considerato giustiziabile anche nell’ambito americano.
Però questo parere è importante anche per altri due aspetti sempre collegati alla tutela
dell’ambiente.
In primo luogo, perché la Corte ha ritenuto che il diritto ad un ambiente salubre debba
essere tutelato anche quando l’inquinamento ambientale produce effetti transfrontalieri.
Questo è spesso il caso. I danni ambientali soprattutto se sono gravi hanno spesso effetti
transfrontalieri. Quindi, il problema che ci si pone nell'ottica dei diritti umani è chi debba
essere ritenuto responsabile per una violazione del correlativo diritto umano. Quindi, chi è
il responsabile per la violazione di un diritto umano. La Corte ha precisato che è
responsabile lo stato sul cui territorio l’inquinamento ha origine. E questo non è ovvio
nell’ottica dei diritti umani perché: consideriamo per esempio che il danno prodotto
dall’ILVA di Taranto (non è questo il caso) possa avere effetti fino alla Croazia, quindi è
l'individuo che si trova in Croazia che subisce un danno alla sua salute. Quindi, la nozione
territoriale di giurisdizione vorrebbe che fosse quindi responsabile di quella violazione lo
stato croato, e invece la Corte interamericana afferma un principio ampio di giurisdizione
per cui è lo stato che ha il controllo sull’attività in questione che è responsabile della
violazione del diritto dell'uomo. Quindi, in questo caso chi ha il controllo dell’attività
inquinante è l'Italia perché l’ILVA è sul territorio italiano. In un’ottica giuridica questo è un
chiarimento della nozione di giurisdizione molto importante. Quindi, il test di
giurisdizione si sposta dal controllo sul territorio sulla persona fino ad abbracciare il
controllo sull’attività dannosa per l’ambiente.
Il secondo aspetto importante che sottolineiamo del parere della Corte interamericana ha a
che fare con gli obblighi in capo agli stati relativamente alla prevenzione di danni
transfrontalieri sempre in materia ambientale. E qui la Corte chiarisce che gli stati hanno
l’obbligo di prevenzione dei danni ambientali transfrontalieri, però chiarisce che questo
obbligo è limitato solo ai danni che hanno superato una certa soglia, quindi li definisce
significant, quindi significativi. Non chiarisce quali sono i parametri per verificare se
questa soglia è stata superata oppure no, forse comprensibilmente perché questa soglia poi
dovrà essere stabilita in ogni caso concreto. Qui abbiamo un parere, quindi non abbiamo
una violazione presunta di un obbligo specifico, è un parere quindi la Corte in qualche
modo fa un esercizio più teorico che non di applicazione di una norma specifica ad un caso
concreto. In ogni caso, la Corte precisa che l’obbligo di prevenire un danno ambientale
significativo a livello transfrontaliero implica quanto meno che lo stato deve regolamentare
e monitorare tutte quelle attività poste in essere sotto la propria giurisdizione che possono
dare luogo ad un danno significativo per l’ambiente. Quindi, per esempio quelle che noi
chiamiamo le valutazioni di impatto ambientale sono uno di queste modalità con cui lo
stato pone in essere questi obblighi di natura preventiva.
Inoltre, la Corte riafferma l’importanza del principio di precauzione. Il principio di
precauzione richiama anche un principio di diritto internazionale (è più un principio
dell’unione europea) i cui contorni nell’ambito del diritto internazionale devono ancora
definirsi in modo chiaro. Secondo il principio di precauzione lo Stato deve adottare misure
atte a prevenire un danno serio all’ambiente anche in assenza di certezza scientifica.
Questo è il principio di precauzione. Non sono sicuro che quella determinata attività
industriale inquini in modo grave, ma nel dubbio devo prendere delle misure di
prevenzione.
Ultimo aspetto del parere che sottolineammo sono i cosiddetti diritti ambientali di
natura procedurale. Questo è tutto un aspetto che si sta sviluppando negli ultimi
vent’nani, in particolare in seguito della Convenzione di Aarhus (cittadina danese) e
che hanno a che fare con diritti quali l’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica,
consultazione degli individui, in tutti quelli ambiti che hanno appunto a che fare con la
tutela dell’ambiente. Quindi, quando lo Stato deve prendere delle decisioni che hanno a
che fare con la tutela dell’ambiente il coinvolgimento della cittadinanza è diventato un vero
e proprio diritto degli esseri umani. Quindi, diritti di natura procedurale.
Quindi, vediamo come questo parere e sarà interessante seguire l’applicazione, vedere se
poi le corti quando si devono pronunciare su casi concreti seguono, prendono questo
parere a sostegno della loro motivazione.
Probabilmente questo avverrà come è già avvenuto per una raccomandazione che nel 2001
la Commissione africana per i diritti dell’uomo e dei popoli ha emanato con riferimento
all’inquinamento del delta del fiume Niger (fiume della Nigeria), il cosiddetto caso
Ogoniland o SERAP. Un caso estremamente noto. In questo caso non è stata coinvolta
la Corte, solo la Commissione che emana raccomandazioni. In questo caso la Commissione
ha rinvenuto la violazione di numerosi articoli da parte dello stato convenuto, cioè la
Nigeria. E questo caso viene menzionato spesso dai tribunali per i diritti umani.
Adotta in qualche modo un approccio misto al diritto all’ambiente salubre, cioè coniuga i
due approcci che abbiamo visto finora. Quindi, il primo approccio è la tutela dell’ambiente
attraverso il richiamo a diritti umani tradizionali (quindi il diritto alla vita, diritto alla vita
privata e familiare, diritto alla salute, diritto al lavoro ecc). Invece, l’altro approccio è il
diritto ad un ambiente autonomo, a se stante. La Commissione africana nel caso
OGONILAND (gli Ogoni sono un’etnia molto importante nigeriana) adotta entrambi gli
approcci perché (la Carta africana prevede un diritto autonomo alla tutela ambientale
all’art.24) in questo caso la Commissione ha rinvenuto la violazione da parte della Nigeria
di questo diritto. Ma al contempo ha anche rinvenuto la violazione da parte della Nigeria di
tutta una serie di altri articoli contenuti nella carta africana, in particolare il diritto la vita,
il diritto all'accesso al cibo e il diritto all'abitazione.
I fatti alla base di questo caso sono inquietanti e si sono protratti per decenni. Il tutto ha
inizio negli anni ’90 quando la Shell (la compagnia petrolifera Shell) inizia ad estrarre
petrolio nel Delta del fiume Niger e ne estrae per cifre grandi, però nel tempo questa
estrazione estremamente su grande scala ha creato fuoriuscite di petrolio nei terreni in
modo incontrollato fino all'inquinamento delle falde acquifere e dei terreni coltivati da
parte degli Ogoni, ed anche inquinamento dell'aria. L’inquinamento è arrivato a
raggiungere livelli tali che queste popolazioni si sono dovute proprio spostare, non
riuscivano più a raggiungere il minimo livello proprio di sopravvivenza; si parla di almeno
mezzo milione di persone (quindi quantità importante) che non sono nemmeno mai state
informate sui rischi per la salute del rimanere in quelle zone. Quindi, fin dal’90 e in
particolare fin dal ‘95 alcuni attivisti, in particolare un noto scrittore Ken Saro-Wiwa, si
sono battuti per i diritti dei popoli Ogoni subendo come conseguenza la morte. La
condanna a morte, la sua esecuzione in particolare quella di Wiwa che era stato
pretestuosamente accusato di omicidio e condannato a morte nel ’95. Questo è un caso che
ha avuto molte ripercussioni internazionali. A seguito di questo evento addirittura la
Nigeria fu sospesa dal Commonwealth per tre anni, poi ha subito sanzioni economiche
importantissime. Comunque, ha sempre continuato a consentire lo sfruttamento
petrolifero in alcuni periodi dei quali questo sfruttamento ha dato introiti fino all’80%
delle sue entrate generali. Quindi, entrate senza le quali lo Stato avrebbe effettivamente
potuto incorrere in grosse difficoltà.
Quindi, nel ‘96 il gruppo di Ogoni si rivolge alla Commissione, nel 2001 la Commissione
emana questa raccomandazione in cui rinviene la violazione sia del diritto all'ambiente
salubre che di tutta una serie di diritti.
Quello che è importante è che la Commissione rinviene la violazione dell’obbligo di
proteggere la popolazione degli Ogoni in capo allo stato nigeriano perché lo stato nigeriano
non ha vigilato sulle attività poste in essere dalla compagnia petrolifera. Quindi, ha omesso
di vigilare sulle attività della Shell, sulle attività che lo stato aveva consentito che venissero
svolte da questa compagnia sul proprio territorio. Quindi, in altri termini in questo caso la
Commissione sottolinea che lo Stato all'obbligo di garantire che i diritti umani siano
tutelati anche a fronte di violazioni o interferenze ad opera di privati.
-UN GENERAL ASSEMBLY RESOLUTION ON RIGHT TO PRIVACY IN THE DIGITAL
ERA
E la questione delle interferenze nella privacy ad opera di privati qui lo vediamo a livello di
compagnie internazionali petrolifere, ma ne abbiamo parlato anche prima per quanto
riguarda Google, internet. Su questo aspetto è caricato su Moodle una risoluzione
dell’Assemblea Generale adottata nel 2019 che riguarda il diritto alla riservatezza nell’era
digitale. E vediamo che è una risoluzione che comprende tantissimi argomenti. Leggiamola
tutta la risoluzione.
Noteremo che questa risoluzione nella parte dispositiva, quella in cui raccomanda la
condotta da tenere, lì vediamo che quella parte lì è scissa: da una parte l'Assemblea
Generale rivolge delle raccomandazioni agli stati (e fino a qui niente di strano, le
risoluzioni dell’assemblea generale sono tipicamente rivolte agli stati), ma quello che è
innovativo è che una parte di questa risoluzione è invece rivolta alle business enterprises,
alle compagnie multinazionali o no. Quindi, vediamo come rientra spesso oggi la tutela dei
diritti umani passa moltissimo attraverso le compagnie private, le aziende private.
Il CASO OGONILAND poi è stato anche oggetto di cause in ambito nazionale sia a livello
statunitense che ovviamente a livello olandese perché stiamo parlando del ramo olandese
della Shell che opera in Nigeria. Queste cause sono state presentate da una ricorrente, la
signora Kiobel. Vi sono tutta una serie di sentenze in ambito interno.
Verificare a che punto è la procedura di fronte ai tribunali olandesi. Troviamo se questa
sentenza KIOBEL VS SHELL è stata immessa e il contenuto di questa sentenza.
Possiamo dire che è un percorso compiuto per quanto riguarda l’ambito africano, perché vi
è una previsione normativa chiara. Possiamo dire che dopo il parere del 2018 questo diritto
esiste anche in ambito interamericano. A livello europeo parlare proprio ora di un diritto
all’ambiente autonomo non ce la si sente. La presenza di un diritto all'ambiente autonomo
ha il vantaggio di consentire la tutela dell'ambiente in quanto tale, in qualche modo
sganciandola dalle ripercussioni sulla vita degli individui, però forse per fare questo sono
deputati altri tribunali che non i tribunali per i diritti umani. Però ci sono altri tribunali: c'è
la Corte di giustizia dell'unione europea che per esempio abbia già condannato l'Italia per
l’ILVA. Per esempio, c'è il tribunale del diritto del mare che potrebbe conoscere per certi
aspetti questioni dell’inquinamento Marino. C’è la Corte internazionale di giustizia. Non è
che non ci sono altri tribunali, ci sono i tribunali nazionali e comunque l’ambiente viene
tutelato con riferimento alla violazione di altri diritti. Quindi, sicuramente queste sono
delle aperture da vedere sicuramente di buon grado, la crescente sensibilità della comunità
internazionale nei confronti della tutela ambientale non solo è da vedere di buon grado ma
è una necessità indifferibile (noi non ce ne rendiamo conto e sicuramente certi uomini
politici hanno contribuito acquisto non aumento di consapevolezza da parte nostra, non ci
rendiamo conto di quanto stiamo distruggendo al punto da porre veramente a rischio la
sussistenza del genere umano. Per quanto riguarda l’ambito europeo non esiste un diritto
all’ambiente. Questo ci può sorprendere perché l’ambito europeo è così avanzato per tanti
aspetti dei diritti umani, ma in relazione alla tutela ambientale è indietro. Domandiamoci
perché. La risposta è quasi sempre interesse economico. Probabilmente se gli africani
hanno inserito quella clausola è perché hanno visto lo scempio sull’ambiente prodotto
dallo sfruttamento economico e anche dalla colonizzazione. Un paese come Brasile in cui lo
sfruttamento, per esempio, della foresta amazzonica è immenso. Però in Europa
continuiamo invece a dare spazio ad interessi privati. Quindi, su questo sicuramente in
Unione europea dovremmo fare di più.
-06.05.2021
Questione del CASO OGONILAND: vi sono state delle conseguenze in ambito
giurisdizionale in Olanda? Abbiamo parlato della terra degli Ogoni, che è questa etnia del
sud della Nigeria, il cui territorio è stato altamente inquinato a causa dello sfruttamento
iper-intensivo dei pozzi di petrolio da parte di multinazionali, in questo caso olandesi.
Questo caso ha dato origine ad una controversia portata di fronte alla Commissione
africana dei diritti dell’uomo che ha emesso una notissima raccomandazione nel 2001, ma
è solo una raccomandazione, non ha un valore giuridicamente vincolante.
Però alcuni rappresentanti degli individui danneggiati da queste estrazioni intensive hanno
fatto ricorso nei tribunali statunitensi (CASO KIOBEL E ALTRI). Però di fronte ai
tribunali statunitensi, i tribunali statunitensi hanno ritenuto di non avere giurisdizione in
questo caso. E quindi la questione si è poi aperta di fronte ai tribunali olandesi in quanto la
Compagnia petrolifera in questione è il ramo olandese della Shell.
Quindi, è una causa di natura civile (non penale), cioè una causa per risarcimento dei
danni subiti dai ricorrenti, che rappresentano un numero importante di persone di fronte
alla corte distrettuale dell’Aja. Quindi, il processo è ancora in corso. C’è stata un’ultima
udienza pochi mesi fa, sono stati ascoltati dei testimoni e cosa importante, il tribunale ha
ritenuto di avere giurisdizione.
La giurisdizione è uno degli esercizi fondamentali della sovranità statale e quindi può
essere di natura civile o di natura penale. La giurisdizione in primo luogo ha carattere
territoriale, quindi lo stato può esercitare un potere giurisdizionale, cioè può attivare i suoi
giudici, qualora un fatto abbia avuto luogo sul suo territorio. Quindi, la giurisdizione ha in
primo luogo natura territoriale (principio della territorialità della giurisdizione). È
un principio che conosciamo bene perché quando andiamo all'estero in qualunque stato
andiamo il principio fondamentale è che dobbiamo rispettare le leggi di quello stato
(principio di territorialità), se violiamo le leggi di quello stato saremo responsabili di fronte
ai tribunali di quello stato. Quindi, non c'è dubbio che per quanto riguarda gli eventi
nigeriani siano competenti i tribunali nigeriani a giudicare delle questioni. Però vi sono
altri principi di giurisdizioni importanti.
Questo principio vale per le persone fisiche, quindi per individui; ma per le persone
giuridiche come le compagnie, le imprese multinazionali? In questo caso bisogna fare un
duplice discorso perché le imprese multinazionali tipicamente agiscono su più stati proprio
per natura. Quindi, evidentemente pure le persone giuridiche sono sottoposte al principio
di territorialità della giurisdizione, quindi chiaramente la Shell può essere processata in
Nigeria, però loro hanno una sede legale. Qui c’è tutta un'ampia discussione se debba
prevalere la sede legale della compagnia multinazionale o se debba prevalere il luogo in cui
si svolge in via preminente la loro attività. Però in linea generale sicuramente il luogo della
sede offre un foro di competenza, un foro giurisdizionale quindi per questo i tribunali
olandesi si sono dichiarati competenti.
Poi però vi sono altri tre principi di giurisdizione importanti. Un altro principio di
giurisdizione che è utile in riferimento ai crimini internazionali (come gli atti di genocidio)
è il principio di universalità della giurisdizione.
Altri due principi di giurisdizione sono quello di nazionalità attiva e quello di nazionalità
passiva. Il principio di nazionalità attiva è il principio per cui ha giurisdizione il
tribunale di cui l'individuo ha nazionalità. Per cui se sono italiana, commetto un illecito
civile o penale in Francia, certo ha giurisdizione la Francia ma potrebbe avere giurisdizione
anche l'Italia perché il cittadino è italiano. Il principio della giurisdizione fondato sulla
nazionalità attiva, cioè sulla nazionalità dell'autore dell’illecito è un principio residuale,
quindi deve essere espressamente previsto nell'ordinamento interno, così come il principio
della nazionalità passiva. Il principio della nazionalità passiva interessa molto chi è
interessato ai diritti umani perché ha a che fare con la vittima; nazionalità passiva quindi
chi ha subito il torto può avere la possibilità di far valere il proprio torto nel tribunale di un
paese che riconosce questo principio della nazionalità passiva. Quindi, sono le vittime che
hanno competenza a portare un caso di fronte ad un tribunale in questo caso, le vittime di
una violazione quindi nel caso dei diritti umani questa possibilità è estremamente
importante. Infatti, in parte questo principio è riconosciuto negli Stati Uniti, per questo
alcuni rappresentanti degli Ogoni avevano fatto causa negli Stati Uniti nel caso KIOBEL.
Quindi, alcuni ordinamenti riconoscono per alcuni atti, di solito reati quindi di
responsabilità penale la legittimità ad agire in giudizio da parte di vittime di violazione di
diritti umani. Per esempio, il caso Pinochet (ex presidente del Cile): sotto il suo regime
erano stati sottoposti a tortura numerosi cittadini di nazionalità spagnola, quindi lo stato
spagnolo aveva previsto la possibilità. La Spagna aperto delle procedure contro l'ex
presidente cileno Pinochet (questo ormai 20 anni fa) perché sotto quel regime erano stati
perpetrati atti di tortura in territorio cileno nei confronti di cittadini spagnoli. Quindi, il
titolo di giurisdizione in questo caso era quello di nazionalità passiva, quindi la nazionalità
delle vittime; quindi, il fatto che le vittime fossero di nazionalità spagnola autorizzava,
dava titolo di giurisdizione ai tribunali spagnoli per aprire un processo.
L'ultimo legame giurisdizionale o titolo di giurisdizione che è quello della universalità.
Nel caso di Pinochet: principio di nazionalità attiva coincide con il principio di
territorialità, in questo caso gli autori erano cileni; principio di nazionalità passiva
abbiamo visto dare la competenza alla Spagna. Principio della universalità della
giurisdizione vuol dire che qualunque Stato può rivendicare giurisdizione su determinati
fatti, in questo caso parliamo di violazioni dei diritti umani (quindi restringiamo il campo),
indipendentemente dall'esistenza di uno dei tradizionali titoli di giurisdizione. Quindi, in
assenza di uno dei tradizionali titoli di giurisdizione. Quindi, per esempio l'Italia avrebbe
potuto richiedere di giudicare Pinochet anche se gli eventi non erano accaduti in Italia,
anche se le vittime e gli autori non erano italiani (principio dell’universalità della
giurisdizione). Però comunque una condizione questo principio la pone. Quindi, il
principio della universalità della giurisdizione potenzialmente è estremamente ampio
perché qualunque stato del mondo potrebbe giudicare qualunque violazione dei diritti
umani, però il diritto internazionale ha posto una condizione: la presenza del sospetto
autore dell’illecito, della violazione sul territorio dello Stato che vuole agire in giudizio.
Cioè tornando all’esempio di Pinochet, se L'Italia avesse voluto aprire un'indagine per
tortura nei confronti di Pinochet sulla base del principio della universalità della
giurisdizione, avrebbe potuto farlo solo a condizione che in quel momento Pinochet fosse
presente sul territorio italiano. Questa è la condizione che proprio il diritto internazionale
pone. Questo non dobbiamo vederlo come collegato al principio di territorialità, perché i
fatti comunque territorialmente si sono svolti in Cile. Perché il diritto internazionale
richiede come condizione la presenza dell’individuo sul territorio dello Stato che vuole
attivarsi? Per vari motivi: in parte per evitare un iperattivismo dei giudici che potrebbe
anche molto complicare le relazioni internazionali (come è stato tentato dalla Serbia che ha
cercato di aprire processi nei confronti di Clinton, Bush è stato oggetto di tentativi di
aperture di processi per la guerra in Iraq). Capiamo bene che se non si pone una
condizione, si apre la porta per processi pretestuosi. Quindi, la presenza sul territorio
dell’individuo in qualche modo favorisce un aspetto un po’ di pragmatismo; cioè
quell’individuo è qui. Innanzitutto ti posso processare perché sei presente sul territorio,
perché sono pochissimi gli stati che consentono il processo in contumacia (l’Italia è uno di
quelli), quindi il diritto internazionale a fronte del fatto che sono pochi gli Stati che
consentono il processo in contumacia a maggior ragione richiede la presenza
dell’individuo. Ma poi anche per un'altra questione: cioè se un individuo sa che se va in un
altro paese è soggetto a processo, quell’individuo non andrà mai in quel paese. Quindi,
rischieremmo di avere un grande spreco di risorse, una quantità di indagini svolte
all'estero con grande difficoltà perché il principio di universalità della giurisdizione per
definizione ha a che fare con eventi che non si sono svolti sul territorio dell'autorità
inquirente. Il Belgio ha fatto molte indagini in Ruanda durante il genocidio in virtù del
principio della nazionalità passiva perché molte delle vittime del Ruanda si erano poi
trasferite in Belgio. Raccogliere provi in stati così lontani è difficilissimo, dispendio di
risorse immenso. Quindi, se poi dopo non hai nemmeno l'individuo presente sul tuo
territorio rischi di vanificare completamente tutta la procedura. Quindi, questo è un altro
aspetto molto importante: principio dell’universalità della giurisdizione. Questo
praticamente è riconosciuto solo per i crimini internazionali, quindi violazioni gravissime
del diritto internazionale, in particolare dei diritti umani.
Quindi, abbiamo parlato di:
-PRINCIPIO DI TERRITORIALITA’;
-PRINCIPIO DI SEDE DELLA PERSONA GIURIDICA;
-PRINCIPIO DI NAZIONALITA’ ATTIVA E PRINCIPIO DI NAZIONALITA’ PASSIVA;
-PRINCIPIO DI UNIVERSALITA’ DELLA GIURISDIZIONE.
(Vi è un ordine di priorità tra tutti questi titoli di giurisdizione? Sì, c’è. Il principio
fondamentale è quello di territorialità; però per quanto riguarda i diritti umani anche gli
altri principi possono avere rilievo. Vi sono anche delle norme che regolano in ambito
internazionale la priorità di questi principi. In linea generale il principio è che in questo
caso vale ciò che stabilisce l'ordinamento interno in via prioritaria. Il problema diventa
invece complesso quando ci sono più stati che si vogliono attivare relativamente allo stesso
fatto e agli stessi individui; in quel caso lì ci può essere un conflitto di giurisdizione e
quindi in quel caso lì di solito il principio è quello di chi si attiva per primo, perché poi una
volta che uno stato si è attivato per primo su quel caso vige il principio ‘’nebis in idem’’,
quindi che non si può essere processati due volte per lo stesso principio.)
(lezione sul glossario giuridico) (il giurista di civil law è più rigoroso dal punto di vista
terminologico che non quindi il giurista di common law, cioè anglosassone) (Per esempio,
il termine ‘’legal’’ nella letteratura inglese è utilizzato in maniera molto più
onnicomprensiva rispetto al termine italiano legale che invece fa spesso riferimento alla
legge e non ad un atto normativo. L’inglese semplifica molto il linguaggio giuridico.)
(Il professore Giorgio Gaia di diritto internazionale  è giudice della Corte internazionale
di Giustizia. I giudici della Corte internazionale di giustizia sono 15.)
(crimine contro l’umanità: deve essere posto in essere in modo sistematico o ampiamente
diffuso contro una popolazione civile)
(il crimine internazionale ci interessa perché dà luogo non solo alla responsabilità
internazionale dello Stato, ma dà luogo anche alla responsabilità per esempio del capo
della polizia colombiana o appunto fino ad arrivare al presidente anche dal punto di vista
penale. Quindi, il diritto internazionale arriva anche a far valere la responsabilità penale
del singolo individuo per crimine internazionale in base all' ordinamento internazionale;
poi magari quegli individui sono penalmente responsabili comunque in base all'
ordinamento interno.)
(noi siamo internazionalisti e vediamo tutto sulla base dell’ordinamento internazionale,
ma in ambito dei diritti umani il collegamento con l’ordinamento interno è fondamentale
perché chi applica il diritto internazionale è lo stato, l'ordinamento interno. Il corso è
organizzato sui tribunali internazionali per i diritti umani perché ne abbiamo tre, quindi
abbiamo visto quanto è importante la Corte europea in questo ambito. Però i casi che può
conoscere la Corte europea di fronte a tutti i casi che i vari tribunali di tutto il mondo
possono conoscere sulla violazione dei diritti umani non c'è paragone.)
-PROTEZIONE DEI POPOLI E DELLE MINORANZE
Oggi abbiamo come programma i diritti umani di popoli e minoranze. Usciamo un po'
dall’ambito finora tradizionalmente seguito, quindi dei diritti umani in capo al singolo
individuo per vedere se possiamo parlare anche invece di diritti in capo a questo tipo di
collettività, minoranze e popoli.
Per ora abbiamo parlato dei diritti umani come diritti degli individui, oggi invece ci
domandiamo se esistono dei diritti di popoli e minoranze, quindi di aggregati di individui
in quanto aggregati di individui. Quindi, esistono i diritti umani dei popoli indigeni, i diritti
umani delle minoranze, i diritti umani dei popoli che lottano per il principio di
autodeterminazione? Quindi sono l’entità collettiva (gruppo indigeno, popolo e
minoranza) che è titolare del diritto umano oppure sono i singoli membri che compongono
questi gruppi, queste entità che rimangono comunque titolari dei diritti umani?
Quindi, ovviamente come sempre bisogna partire dalle questioni definitorie, quindi cosa
sono i popoli indigeni, cosa sono le minoranze, cosa sono i popoli che lottano per
l'autodeterminazione.
ART.27 del Patto sui diritti civili e politici del ‘66 è un patto che si rivolge agli individui
(ogni individuo… ogni diritto umano viene espresso con riferimento ad un singolo
individuo). In tutto il Patto però vi è un articolo che è l’art.27 (ed è l’unico Patto) che fa
riferimento alle minoranze in questi termini: ‘’Negli Stati, in cui esistono minoranze
etniche, religiose o linguistiche, alle persone appartenenti ad esse non verrà
negato il diritto al godimento della propria cultura, a professare e a praticare
la loro religione, o a usare la loro lingua, in comunità con gli altri membri del
gruppo.’’ Quindi, questo è un articolo che fa salvo il diritto alla lingua, cultura e religione
della minoranza o dei membri della minoranza? Dei membri della minoranza. Quindi, in
realtà questo articolo addotta un’impostazione tradizionale dei diritti umani, quindi non è
la minoranza in quanto tale che ha diritti ma sono i singoli membri della minoranza.
I trattati che tutelano le minoranze sono pochissimi. Vi è una Dichiarazione del ’92 e vi
è una Convenzione quadro del ’95, però la dichiarazione del 92 è dell'assemblea generale
dell’ONU e riguarda comunque i diritti delle persone appartenenti alle minoranze, quindi
sempre approccio tradizionale. La convenzione del ‘95 invece è stata elaborata in ambito
europeo, Consiglio d'Europa, e questa tutela le minoranze: Convenzione quadro per la
protezione delle minoranze nazionali (’95). È una convenzione poco nota perché è
poco ratificata e perché non fornisce la nozione di minoranza nazionale. Quindi, pone una
serie di obblighi e di diritti in modo aggregato (in questo caso collettivo), ma non dà la
definizione di minoranza nazionale.
Ci rendiamo conto che il diritto internazionale è tutt’oggi refrattario nei confronti della
minoranza intesa come aggregato di individui. Il motivo quale è? È il mantenimento dello
status quo. Il diritto internazionale ha un po’ una tendenza conservatrice perché aprire ai
titoli di rivendicazione in capo alle minoranze potrebbe avere degli effetti molto
dirompenti. Questo però non significa che le minoranze non debbano essere rispettate, ma
vengono tutelate in un modo un po’ diverso dal diritto internazionale, anche dal diritto
internazionale dei diritti umani in un modo un po' diverso rispetto a quello che abbiamo
studiato finora, cioè non tanto nell'ambito di convenzioni multilaterali quanto di solito
nell'ambito di trattati bilaterali. Pensiamo, per esempio, ai trattati tra l'Italia e Austria sulle
tutele delle minoranze al confine o diritti degli altoatesini. Quindi, sono più accordi
bilaterali che entrano in gioco dal punto di vista del diritto internazionale, quindi dove due
o più stati sono coinvolti. Dove invece è un unico stato che è coinvolto, cioè la minoranza
riguarda solo un certo specifico stato, a quel punto i diritti di quella minoranza vengono
tutelati attraverso i diritti dei singoli membri. Quindi, questo forse è ancora un ambito del
diritto internazionale che dovrebbe essere un po’ sviluppato. Però la minoranza non ha un
titolo ancestrale sulla terra, quindi la minoranza è un ente diverso dal popolo indigeno. Il
popolo indigeno sta iniziando ad avere maggiore tutela invece nell'ambito del diritto
internazionale; il motivo è la violazione massicce. I primi trattati che tutelano le minoranze
in ambito internazionale sono stati: i trattati di pace In Europa nel ’19. Lì per la prima volta
sono stati inserite delle clausole a tutela delle minoranze.
Popolo indigeno è quel gruppo di individui che era presente su un determinato territorio
prima della colonizzazione o comunque di una forma di invasione.
Convenzione dell’89 dice che il termine popolo io lo uso in questa Convenzione per definire
i popoli tribali e i popoli indigeni, ma senza che a questi popoli possano applicarsi le
conseguenze che derivano dal diritto internazionale dall’uso del termine popolo.
Quale è l'utilizzo del termine popolo che si fa in diritto internazionale? La nozione di
popolo in diritto internazionale viene utilizzata anche con riferimento a rivendicazioni
indipendentiste. Fa riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli.
Il principio di autodeterminazione dei popoli è quel principio di diritto
internazionale non solo consuetudinario ma addirittura cogente in base al quale viene
riconosciuta come legittima la lotta anche armata (questo è dirompente) che un popolo
pone in essere per uno dei seguenti tre scopi: (1) apartheid, (2) lotta da un’occupazione
straniera, (3) ipotesi per cui effettivamente è nato il principio di autodeterminazione dei
popoli che è la decolonizzazione. Quindi, un popolo può legittimamente rivendicare la
propria lotta anche armata a condizione che questa lotta abbiamo come finalità: la
liberazione dall’apartheid, o la liberazione da un’occupazione straniera o la
liberazione dal giogo coloniale. Solo ed esclusivamente per queste tre ipotesi è
possibile riconoscere quella lotta come fondantesi sul principio di autodeterminazione.
Apartheid vuol dire segregazione razziale, non vuol dire discriminazione razziale e basta, è
la forma estrema di discriminazione razziale. Quindi, la comunità internazionale ha
conosciuto solo un regime di apartheid che era quello sudafricano. Ad oggi non ci sono più
regimi di apartheid. Quindi, anche le discriminazioni contro certe razze che tutt’oggi
esistono, però non raggiungono il livello di apartheid.
Seconda ipotesi: occupazione straniera. Occupazione straniera deve essere un’occupazione
di lungo periodo, cioè non è che può essere solo l'occupazione bellica come, per esempio,
Stati Uniti e Gran Bretagna hanno operato in Iraq per qualche anno nel momento della
ricostruzione del paese. Non è quello. Ad oggi esempi di situazione di occupazione
straniera di un territorio tale per cui il popolo che ne è rappresentante può rivendicare di
lottare sulla base del principio di autodeterminazione: la Palestina (l’autorità palestinese,
l’OLP). Questo è sicuramente un'ipotesi attuale in cui il popolo può legittimamente
rivendicare di lottare per il principio di autodeterminazione. Un altro popolo che è
soggetto ad occupazione straniera e secondo la professoressa l'unico altro popolo soggetto
ad occupazione straniera ad oggi, che quindi può rivendicare di lottare per il principio di
autodeterminazione è il Sahara occidentale (occupazione da parte del Marocco), il fronte
Polisario è l’ente che conduce la lotta armata. L’ente che rappresenta il popolo che lotta per
l'autodeterminazione si chiama movimento di liberazione nazionale. quindi, ad oggi il
Fronte Polisario e l’OLP sono movimenti di liberazione nazionale. Tutto il resto (Tibet,
Quebec) non sono popoli che possono rivendicare una lotta per uno di questi tre obiettivi.
Quindi, movimento di liberazione nazionale può condurre la propria lotta anche armata, è
legittimato a ciò dal diritto internazionale perché lo Stato non dovrebbe combatterli,
dovrebbe riconoscere la legittimità della loro finalità e quindi lo stato dovrebbe o
concedere autonomia a questi movimenti oppure addirittura l'indipendenza, cioè la
secessione in ragione di uno delle tre finalità del principio di autodeterminazione è
legittima (tutte le colonie si sono decolonizzate, sono diventate stati indipendenti).
Domanda: Rispolverare la nozione di trattato, definizione di trattato proprio ai sensi della
Convenzione di Vienna del ’69. Ma gli accordi (per esempio questi qui degli Stati Uniti che hanno
concluso 400 trattati con i popoli indigeni), ma il governo degli Stati Uniti che stipula degli accordi
con i popoli indigeni, quelli sono trattati o no? Per rispondere a questa domanda è necessario
andare a riguardare la nozione di trattato. Uno dei primi articoli della convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati dà proprio la nozione di trattato. Andiamola a rivedere e riflettiamo se alla luce
di quella nazione gli accordi fra un governo ed un popolo indigeno possono qualificarsi come
trattato ai sensi dell'ordinamento internazionale.
Continuiamo domani con i popoli indigeni.
I popoli indigeni, le minoranze o i popoli tribali hanno diritti umani ma nella misura in cui questi
diritti sono riconosciuti ai singoli membri che fanno parte di queste collettività.
In
particolare, con riferimento ai popoli indigeni si può dire che stiamo andando nel senso di un
riconoscimento in capo agli stati di alcuni obblighi specifici, però sono obblighi che sono molto
simili a quelli dei diritti umani come il riconoscimento del titolo sulla loro terra ancestrale, che
quindi ci ricorda molto il diritto alla proprietà privata (in questo caso non è una proprietà privata
ma una proprietà pubblica) oppure il principio di tutela di alcune lingue. Quindi, ci sono degli
obblighi che stanno emergendo in capo agli stati, però preferiamo non configurarli come diritti
umani (il diritto umano come originalmente inteso è quello che fa riferimento al singolo individuo,
la comunità collettivamente intesa pone anche allo stato delle sfide diverse relativamente a quelle
che vengono poste poi dal singolo).
-07.05.2021
-PROTEZIONE DEI POPOLI E DELLE MINORANZE
Nozione di trattato quale prevista nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del
1969. ‘’Ai fini della presente convenzione: a) il termine «trattato» indica un
accordo internazionale concluso per iscritto tra Stati e regolato dal diritto
internazionale, che sia costituito da un solo strumento o da due o più
strumenti connessi, qualunque ne sia la particolare denominazione’’.
Quindi, accordo internazionale: significa che è un accordo stipulato fra due o più soggetti
internazionali e regolato dal diritto internazionale.
Quali sono i soggetti internazionali? Chi sono i soggetti del diritto internazionale?
-Gli STATI sicuramente: quindi un trattato è sicuramente un accordo stipulato tra stati e
regolato dal diritto internazionale qualunque sia la sua forma e denominazione. Infatti, lo
abbiamo visto la denominazione è indifferente: può essere denominato trattato, accordo,
convenzione, patto anche dichiarazione (a volte ci sono state delle dichiarazioni che invece
avevano valore vincolante). A volte la denominazione può essere fuorviante, bisogna
andare a vedere alla sostanza del testo se con quel testo gli Stati si vincolano a degli
obblighi.
-Però non sono solo gli Stati soggetti del diritto internazionale, vi sono altri soggetti. Le
ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI. Sono molto poche le organizzazioni
internazionali che hanno stipulato trattati, l’Unione europea ha aderito ad alcuni trattati
ma per ora molto poche. Però in linea teorica possono farlo.
Le organizzazioni non governative non sono soggetti del diritto internazionale. Le
organizzazioni non governative agiscono sul piano internazionale, ma sono ancorate ad un
determinato ordinamento interno. Per esempio, Amnesty International ha la sede a
Londra e quindi è regolato dal diritto britannico. Il comitato internazionale di Croce Rossa
ha sede a Ginevra ed è quindi regolato dal diritto svizzero. Ci ingannano perché
effettivamente svolgono attività come le imprese multinazionali internazionali ma neppure
un'impresa multinazionale è un soggetto di diritto internazionale. Ci può dispiacere che le
organizzazioni non governative o l'impresa multinazionale non è un soggetto del diritto
internazionale ad oggi (il diritto internazionale è in continua evoluzione)  perché la
soggettività implica titolarità di diritti ma anche di obblighi, quindi implica la
responsabilità in caso di violazione degli obblighi. Quindi, ci interesserebbe che
un'organizzazione non governativa o forse di più un'impresa multinazionale potesse essere
responsabile, per esempio, per violazioni gravi dei diritti umani ai sensi del diritto
internazionale. Ci potrebbe interessare perché talvolta lo stato potrebbe coprire certi atti o
potrebbe avere non interesse a perseguire certi atti, tipo il caso OGONILAND la Nigeria
non ha fatto nulla per impedire la distruzione di quei terreni degli Ogoni perché è un
interesse di un altro tipo. Quello della responsabilità delle imprese multinazionali per
violazione dei diritti umani è un ambito che si sta molto sviluppando. Ricordiamo la
risoluzione dell'assemblea generale del 2019 relativa alla protezione dei dati personali che
abbiamo su moodle si rivolgi per metà agli stati è per metà si rivolge espressamente alle
business enterprise e questo è un po’ una novità, quindi da un' indicazione della tendenza
della comunità internazionale e quindi dell'ordinamento internazionale, anche perché vi
sono alcune imprese multinazionali che sono ben più potenti di tanti stati; quindi siccome
il diritto internazionale è un diritto molto basse sui fatti, sull’effettività piano piano sta
prendendo in considerazione però non è un percorso compiuto, è ancora un camino che si
sta compiendo.
L'unione europea è un'organizzazione internazionale dal punto di vista del diritto
internazionale. È sicuramente un soggetto internazionale ed infatti è parte a certi trattati;
per esempio, la convenzione del mare di Montego Bay l’Unione europea vi ha aderito in
quanto Unione europea. È da tempo che si parla dell'adesione dell'unione europea alla
convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950. Questo non avverrà probabilmente mai
perché vi è un parere negativo in questo senso Della Corte di giustizia dell'unione europea.
Però è un'organizzazione internazionale l'unione europea, quindi è sicuramente un
soggetto internazionale.
-Altri soggetti internazionali: gli INSORTI. (la definizione di insorto, movimenti
insurrezionali)
-Anche gli INDIVIDUI. Siamo partiti dalla storia dell’evoluzione del diritto internazionale
dei diritti umani e abbiamo visto come il passaggio alla soggettività degli individui è stato
fondamentale dal punto di vista proprio teorico. Se con Norimberga non si arrivava a
valorizzare il fatto che di certi atti dovevano comunque essere responsabili anche gli
individui e non solo gli Stati, non si sarebbe potuto arrivare ad una nozione di diritto
umano quale diritto di cui è titolare direttamente l'individuo. Questo che è un
ragionamento ovvio per l'ordinamento statale, perché i soggetti dell'ordinamento statale
sono gli individui, è tutt'altro che ovvio per l'ordinamento internazionale. Quindi, c'è stato
quel passaggio fondamentale per cui l'ordinamento internazionale si è aperto alla
soggettività dell'individuo è avvenuto subito dopo la seconda guerra mondiale con il
tribunale militare di Norimberga. La sentenza in un passaggio dice espressamente che la
responsabilità dello Stato non può servire da schermo per l' impunità di singoli individui
perché lo stato è composto da individui. Questo ci può sembrare una banalità, ma
poniamoci nell'ottica dell'ordinamento internazionale del ’45 dove invece lo stato
(nemmeno le organizzazioni internazionali), gli unici soggetti erano lo stato e gli insorti;
l'individuo non contavano per una questione proprio di prassi, cioè fino ad allora vi era
qualche trattato, qualche norma consuetudinaria; dell' individuo si occupavano solo gli
ordinamenti interni. Quando poi abbiamo visto che cosa gli ordinamenti interni potevano
fare, quali atti atroci potevano compiere nei confronti della loro propria popolazione
quindi dei propri individui, dei propri governati a quel punto l'ordinamento internazionale
ha avuto una svolta concettuale fondamentale, dirompente. Quindi, la sentenza del
tribunale militare di Norimberga del ’46 in quella frase, lì davvero porta a termine un
percorso che ovviamente dal punto di vista teorico aveva già avuto delle basi (punto di
partenza, andiamo a rivedere l'evoluzione, soggettività internazionale degli individui sul
manuale di Cassese). Gli individui perlomeno relativamente ai diritti umani, ai crimini
internazionali sono soggetti del diritto internazionale. Quindi, è una soggettività molto
limitata quella degli individui, non può essere paragonata alla soggettività degli stati, è una
soggettività molto limitata ma di estrema importanza.
(I diritti umani tutelati dalla costituzioni: vengono più correttamente definiti diritti
fondamentali  quando si parla di diritti umani tecnicamente si fa riferimento sempre all'
ordinamento internazionale; invece gli stessi diritti come recepiti nell’ordinamento interno
dovrebbero essere definiti diritti fondamentali).
-Le minoranze sicuramente non sono soggetti del diritto internazionale ad oggi, non sono
tutelati in quanto minoranze; sono tutelati i singoli membri, i singoli individui che fanno
parte della minoranza. Ma il popolo è soggetto del diritto internazionale? Il popolo è
soggetto del diritto internazionale solamente qualora si configuri come ente
rappresentante un gruppo di individui che lotta per l'autodeterminazione. Quindi, l'unico
popolo che è soggetto del diritto internazionale è il MOVIMENTO DI LIBERAZIONE
NAZIONALE. IL movimento di liberazione nazionale in qualche modo è l’ente
esponenziale del popolo che lotta per la propria autodeterminazione. Quindi, è Il popolo
che lotta per o liberarsi dal gioco coloniale, da un regime di segregazione razziale o da un
dominio straniero. Ad oggi sussiste solamente questa ultima fattispecie, nei due casi del
popolo sahlawi e del popolo palestinese.
Quindi, il popolo indigeno non è un soggetto del diritto internazionale. Se non è un
soggetto del diritto internazionale, non può stipulare un trattato regolato dal diritto
internazionale. Quindi, stipula un accordo di diritto interno. Magari sarà un accordo che
vedrà la partecipazione di enti delle Nazioni unite, di alcuni soggetti internazionali, sarà
garantito internazionalmente ma questo non è sufficiente per rendere quell'accordo un
trattato; proprio come non è sufficiente che le organizzazioni non governative agiscano in
ambito internazionale affinché siano definiti soggetti internazionali. Quindi, il popol
indigeno non può stipulare trattati, stipulerà degli accordi. L’accordo è un termine
generico, un accordo regolato dal diritto interno. Ci sono in realtà alcune sentenze, una
della Corte Suprema statunitense dei primi dell'Ottocento, che definiscono invece questi
accordi come trattati. Questa è un po’ una questione tecnica, un po’ formalista. Però in
linea generale ricordiamo questo ancoraggio tra il trattato e il soggetto internazionale che
lo stipula.
Che cos’è il Comitato per i diritti umani? Non fare confusione tra il comitato per i diritti
umani e commissione per i diritti umani. Il comitato per i diritti umani è il comitato di
controllo del Patto sui diritti civili e politici.
Il principio di autodeterminazione non si applica al popolo indigeno. Ieri abbiamo parlato
di un profilo di autodeterminazione che è il cosiddetto profilo esterno. Quindi, il profilo
tradizionale dell'autodeterminazione è così denominato esterno, significa che il movimento
di liberazione nazionale può aspirare alla secessione, cioè alla creazione di un nuovo stato.
Quindi, ha una valenza esterna allo stato che pone in essere segregazione razziale,
colonizzazione o occupazione; questa è la valenza esterna. Quindi, tutto quello che
abbiamo detto ieri ha valenza esterna, si definisce autodeterminazione esterna. Però il
principio di autodeterminazione ha anche una dimensione interna. Secondo la
dimensione interna il movimento di liberazione nazionale (sempre e solo lui) può ambire
al riconoscimento di una forma di autogoverno che sia rispettosa non solo dei diritti
economici, sociali e culturali ma anche dei diritti civili e politici che esso rivendica.
Quindi, questa dimensione interna è stata interpretata da taluni come il diritto dei
movimenti di liberazione nazionale ad ottenere un governo democratico, cioè un governo
in cui anche questo movimento di liberazione sia rappresentato. Il principio quindi così
inteso ha in qualche modo due diramazioni: da una parte la diramazione politica, quindi la
necessità, l’ambizione che il movimento di liberazione abbia una rappresentazione politica
all’interno del governo contro cui combatte; e dall’altra mira a far si che questo movimento
abbia il controllo sulle risorse naturali che si trovano sulle proprie terre e qui c’è il
collegamento più chiaro con i popoli indigeni. Spesso i popoli indigeni risiedono su delle
terre che sono ricche di minerali, di petrolio ecc. e da lì quindi l’interesse del governo di
trasferire forzatamente questi individui, questi popoli altrove per sfruttare le risorse.
L’art.1 del Patto sui diritti civili e politici enuncia invece proprio il principio di
autodeterminazione interna e riconosce invece agli individui il diritto di sfruttamento delle
risorse sulle proprie terre, delle risorse naturali. Il patto è stato elaborato nel ‘66, quindi se
aveva in mente soprattutto i popoli colonizzati ancora. L’autodeterminazione interna
probabilmente è una questione estremamente delicata e anche tutt’ora in fieri, in essere. Vi
sono delle pronunce di organi internazionali, vi è una parte della dottrina che afferma
l'esistenza di questo diritto (il diritto all'autodeterminazione interna), ma la visione
maggioritaria è nel senso della sua negazione, quindi che non esiste ancora perlomeno un
diritto di usare la forza (perché il movimento di liberazione nazionale ti autorizza all'uso
della forza). Invece, ad oggi il principio di autodeterminazione interna non ti autorizza ad
usare la forza per rivendicare l’accesso ad un regime democratico, non te lo consente. Ad
oggi questo diritto non vi è. Quindi, il movimento di liberazione nazionale può richiedere
certo l’accesso a cariche governative, alle proprie risorse ma senza ricorrere alla forza. È
una dimensione un po’ complessa questa del principio di autodeterminazione dei popoli.
Tipicamente quando si fa riferimento al principio di autodeterminazione dei popoli si fa
riferimento alla dimensione esterna, quella interna è un po’ più in sviluppo.
Nozione di popolo indigeno: non esiste una nozione normativa di popolo indigeno o tribale
o aborigeno. C’è nella Convenzione dell’ILO del 1989: c'è quella nozione che fa riferimento
al lato storico, quindi in qualche modo l’indigeno è quello che è presente sul territorio
prima della colonizzazione, l’aborigeno è quello che esistente ancora prima.
Questa convenzione è ratificata pochissimo. Sicuramente non si può dire che questa è una
nozione consuetudinaria. È una nozione antropologica. In realtà, il diritto qui sta
balbettando, è un ambito ancora da sviluppare al punto che i diritti dei popoli indigeni ad
oggi sono molto più tutelati dal diritto costituzionale interno che dall'ordinamento
internazionale. L’ordinamento internazionale a parte la convenzione dell’89 che è
pochissimo ratificata, a parte la dichiarazione del 2007 delle Nazioni unite (ma è una
dichiarazione che neppure quella definisce popoli indigeni) non li tutela in quanto tali. Vi
sono appunto delle pronunce che vanno ad individuare le specificità dei popoli indigeni.
Anche i tribunali o il comitato sui diritti umani devono un po' arrampicarsi sugli specchi
perché non sono dei soggetti internazionali. Quindi, è questo un ambito in cui il diritto
internazionale non è ancora molto sviluppato - perché abbiamo motivo di credere che si
svilupperà. Questo ambito qui dovrà essere sviluppato dall’ordinamento internazionale;
non vi potrà essere per molto tempo una tutela interna adeguata dei popoli indigeni perché
gli Stati non hanno interesse.
Il popolo indigeno può essere una minoranza etnica, però ciò che distingue una minoranza
da un popolo indigeno minoranza è il legame che la minoranza popolo indigeno ha con le
terre ancestrali; quindi, è un legame molto forte che il popolo ha con quella terra e con le
risorse di quella terra. Il legame con la terra è legato alla concezione spirituale di questi
popoli che di solito hanno credenze animiste per cui le divinità di quella terra sono in
quella terra e il trasferire questi popoli altrove vuole dire proprio ucciderli, farli morire;
quindi, in qualche modo la loro vita, il loro spirito vitale è strettamente legato a quella terra
proprio in senso fisico (quella terra, quella foresta, quella roccia).
Questo invece non è un aspetto che caratterizza la minoranza, cioè la minoranza non
popolo indigeno ha una comunanza di cultura, di lingua, di storia ma non ha questo
collegamento con la terra. Questo è l’elemento proprio fondamentale di distinzione tra la
minoranza popolo indigeno e minoranza tout court. Cioè la minoranza di lingua tedesca
dell’Alto Adige è legata alla lingua che loro vogliono rivendicare le scuole lingua tedesca,
non è che siano così legati al territorio.
Quindi, l’art.27 il Comitato quando può perché magari quel popolo indigeno è una
minoranza lo applica perché vuole tutelare il più possibile questi popoli e li tutela
attraverso i singoli membri non come collettività.
Caso Ominayak v. Canada: questo è chiaramente un caso di autodeterminazione interna.
Espropriazione di territorio non ha a niente a che vedere con l’autodeterminazione esterna,
espropriazione di territorio quindi hai violato il diritto di sfruttamento sulle tue risorse.
Quindi, proprio classico caso di autodeterminazione interna.
Il Canada diceva attenzione questo è un popolo indigeno, non è un movimento di
liberazione. Dal punto di vista tecnico aveva ragione e inoltre il protocollo facoltativo
permette ricorsi individuali e non collettivi.
(Il diritto alla tutela giudiziale o il diritto ad agire in giudizio)
Quindi, la Corte interamericana rinviene queste violazioni.
Abbiamo avuto un assaggio della giurisprudenza della Corte interamericana sui popoli
indigeni. Questa giurisprudenza è estremamente ricca perché evidentemente sono
numerosissimi i popoli indigeni in America Latina ed in effetti la Corte in qualche modo
tende a tutelare proprio la collettività in questo caso secondo un ragionamento che è molto
consono a quel continente, quindi non ci sono state poi resistenze da parte degli stati ad
accettare un approccio di tutela collettiva ai popoli indigeni ma è un po’ un unicum.
Sottolineiamo altri due aspetti: uno emerge bene dal caso Ominayak, e cioè che certe scelte
degli stati di trasferire popoli indigeni da una terra ad un'altra e fare sì che sulla terra
inizialmente di proprietà del popolo indigeno si sta anzi altri popoli o altri individui
comporta una serie di problemi tra popoli indigeni stessi, per cui come in questo caso il
popolo indigeno si trova sul proprio territorio che si è stanziato qualcun altro, quindi non è
più lo stato che lo usa a finalità proprie ma vi si è stanziato qualcun altro e quindi abbiamo
l'assurdità di non avere solo cause tra popolo indigeno e lo stato ma cause tra popolo
indigeno e altro popolo.
L’ultimo aspetto che sottolineiamo e che forse è quello più importante nell’ottica
internazionale. A conclusione della lezione sui popoli indigeni: abbiamo detto che il popolo
indigeno non è ad oggi un soggetto di diritto internazionale, c'è una tendenza in questo
senso. Ad oggi ancora non lo è, quindi rimane un soggetto dell'ordinamento interno. Però
si può affermare che comunque l'ordinamento interno non solo deve riconoscere
ovviamente i singoli componenti del popolo indigeno i diritti umani che riconosce ai
singoli individui (questo va da sé), ma deve riconoscere anche il diritto a che i popoli
indigeni siano consultati in merito a questioni che riguardano le loro terre. Questo alla luce
della giurisprudenza della Corte interamericana, la dichiarazione del 2007, le varie
convenzioni si può sostenerlo con un certo livello di certezza. Quindi, lo stato ha un obbligo
di consultare questi popoli indigeni. Se pensiamo al percorso è comunque una tappa di un
percorso.
PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE:
-INTERNO  ti dà la facoltà di chiedere non solo partecipazione alla vita politica (perché
molte volte questi gruppi sono discriminati) e allo sfruttamento di risorse, ma anche vere e
proprie forme di autonomia interna (per esempio la creazione di una regione autonoma; In
Italia abbiamo regioni a statuto speciale non a caso), quindi forme di autonomia
(differenze tra autonomia e indipendenza)  Invece, autodeterminazione interna puoi
richiedere forme di autonomia o di partecipazione politica, ma sempre nell’ambito dello
stesso stato.
-ESTERNO autodeterminazione esterna ti dà il diritto alla secessione, quindi creazione
di uno stato indipendente) diritto perché c’è il correlativo obbligo dello stato di non
opporsi alla lotta di questo movimento.  autodeterminazione esterna = secessione
(come forma estrema perché poi ci possono essere anche dei movimenti di liberazione
interna che si accontentano di autonomia, però legittimamente in base al diritto
internazionale puoi aspirare alla secessione);
(Caricato su Moodle le pagine di Focarelli su queste questioni.)
Quello che è importante sapere è stato detto.
MOVIMENTO DI LIBERAZIONE NAZIONALE  movimento di liberazione nazionale, la
nazione non è sinonimo di Stato. Dal punto di vista del diritto internazionale il soggetto è
lo stato, non la nazione. Quindi, già questa è una prima distinzione. Il problema è la
differenza fra nazione e popolo. Quale è la differenza fra nazione e popolo? Il diritto
internazionale non ti dà una nozione chiara di popolo. Tutto parte dalla nozione di popolo,
ma di nuovo non sia una nozione normativa di popolo, si ha una nozione antropologica.
Quindi, una comunanza di storia, di cultura, di lingua: che vuol dire allora che il
movimento di liberazione nazionale è diverso dalla maggioranza degli altri individui che
formano lo stato? In teoria sì, dovrebbe avere qualcosa che lo distingue dalla maggioranza
dello Stato, ma qui si entra in un ambito che non ha più niente a che vedere con il
giuridico. Si entra in un ambito che ha a che fare con dati di fatto, con l'esperienza fattuale.
Quindi, alla fine potrebbe essere più corretto che il termine movimento di liberazione
nazionale dovrebbe essere utilizzato solo per l'autodeterminazione esterna e per
l’autodeterminazione interna dovremmo parlare genericamente di popolo. Lo si può fare se
è concettualmente più agevole; non è che è un errore. Su questo punto in letteratura
troviamo entrambe le posizioni. (la distinzione tra movimento liberazione nazionale e
popolo tout court) Per l’autodeterminazione interna non si può ricorrere all'uso della forza,
però c'è sempre principio di autodeterminazione, quindi quei tre obiettivi, quelle tre
finalità forse sfumano perché in realtà qui la finalità è quella dello sfruttamento delle
risorse e lo sfruttamento delle risorse può diventare un problema anche all'interno del tuo
proprio stato e non solo se combatti contro una potenza straniera o contro un popolo
coloniale, quindi si ha questa viraggio. L’autodeterminazione interna vira molto più verso i
diritti umani. Alla fine, l'autodeterminazione interna è un po’ una dimensione collettiva di
tutti quei diritti umani che stiamo esaminando. È un po’ una dimensione collettiva.
La prossima volta facciamo restrizioni e deroghe. Forse solo le deroghe ai diritti umani
perché faremo qualche accenno alla situazione COVID su cui c’è del materiale di diritti
umani molto interessante (postato su moodle: link sul sito del Consiglio d’Europa e un
articolo di Gabriele della Morte, professore della cattolica di Milano che sta scrivendo sulle
questioni riservatezza, covid e deroghe). Secondo la professoressa stiamo vivendo delle
situazioni di violazione dei diritti umani (situazione italiana: situazione che pone certo dei
profili di criticità).
-13.05.2021
Ultima lezione: Lunedì 17 alle 14. Una lezione in cui si sistematizzano le cose già dette con
un glossario, dei termini cruciali, errori più comuni in sede di esame, tipologie di
domande. Le prime lezioni la professoressa ci ha fatto scrivere qualcosa sul foglio, cosa
sono per noi i diritti umani, la nozione di libertà: bisogna averlo in sede di esame perché si
fa un ragionamento a partire dalle nostre risposte. La parte nozionistica è fondamentale,
ma quella di ragionamento, di comprensione cosa c’è dietro, di riflessione per lei è più
importante perché questa non la insegna nessuno mentre la nozione si trova anche su
internet.
-RESTRIZIONI AI DIRITTI UMANI
Oggi parliamo di restrizioni e deroghe ai diritti umani. Per comprendere questa logica
facciamo un passo indietro. Ricordiamo la nozione di diritto umano: è un titolo soggettivo
che fa capo ai singoli individui e che ha come obiettivo di tutelarli a fronte di eventuali
abusi da parte del potere, da parte dei governanti (lezione iniziale). Quindi, è il principio di
umanità che prevale rispetto al principio della ragione di Stato. Ci ricordiamo che i diritti
umani hanno costituito un momento di rottura della visione tradizionalmente accolta
dall'ordinamento internazionale per cui lo stato è sovrano e non ha limiti nell'espressione
di questa sovranità al suo interno (al suo esterno qualche limite già lo ha sempre avuto).
Però vi sono delle situazioni in cui i diritti umani non possono essere tutelati in modo
assoluto perché se così fosse questo andrebbe eccessivamente a detrimento o degli
interessi supremi dello Stato oppure degli interessi di altri individui, e di solito quando
parliamo di altri individui intendiamo della collettività. Quindi, in queste situazioni
estreme anche il diritto internazionale dei diritti umani prevede dei meccanismi di
bilanciamento. E questi meccanismi di bilanciamento sono di due tipi: da una parte vi sono
le restrizioni o limitazioni (in inglese si fa riferimento a questa fattispecie come limitetions
to human rights) dei diritti umani, e dall’altra invece abbiamo le cosiddette deroghe,
clausole di deroga ai diritti umani.
(Postato su Moodle le pagine più importanti relative a queste due eccezioni ai diritti umani
di Focarelli).
Restrizioni e deroghe: questi sono termini tecnici, se uno parla di restrizioni intendendo la
deroga e viceversa è un errore. Concettualmente sono molto simili ma siccome questi sono
termini tecnici, non vanno confusi.
Per quanto riguarda la prima fattispecie, le limitazioni o restrizioni ai diritti umani,
noi in realtà di questo abbiamo già sentito parlare: in riferimento al diritto alla vita
familiare e alla privacy, esaminato soprattutto attraverso l’articolo 8 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo. E quell'articolo già prevedeva delle limitazioni, delle ipotesi
di limitazione. Diciamo che le restrizioni sono delle eccezioni al principio per cui i diritti
umani vanno rispettati nella loro interezza, sono delle eccezioni. Quindi, come qualunque
restrizione ad una regola di diritto (questo è un punto importante che dobbiamo ricordare
per sempre). Un’ eccezione ad una regola di diritto va interpretata restrittivamente.
Questo è un principio di logica: la regola è generale, se quella regola ha un'eccezione la
deve interpretare restrittivamente perché se no si arriva ad annullare, rendere vana la
regola stessa, si rischierebbe di estendere a tal punto l'eccezione da rendere vana la regola
stessa, da annullare (qui c'è un termine inglese che in italiano si traduce rendere nulla,
svuotare). Quindi, se comprendiamo questa logica capiamo subito che l'eccezione va
interpretata restrittivamente. Poi la restrizione deve essere prevista dalla norma in
questione. Quindi, qui stiamo parlando di diritti umani di natura pattizia; abbiamo citato
l'articolo 8, potremmo citare altri articoli ma noi non li abbiamo studiati. Però all’art.8 le
limitazioni sono previste; quelle eccezioni sono tassative, cioè non è che lo stato poi ne può
aggiungere altre, quindi lo stato può restringere quel determinato diritto umano solo in
ragione di quelli scopi che sono tassativamente previsti in una determinata disposizione di
un trattato sui diritti umani. Quindi, restrizioni non previste da un articolo di un trattato
sui diritti umani non sono ammissibili.
Riprendiamo l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (1950)
Art. 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare.
1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale
diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una
misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale,
alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa
dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della
morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Andiamo al paragrafo due dell'articolo 8: ‘’Non può esservi ingerenza di una
autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia
prevista dalla legge’’. Quindi, questo articolo pone divieto di interferenza da parte dello
stato a meno che arriva l’eccezione. Quindi, salvo che questa ingerenza sia prevista dalla
legge. Il primo requisito affinché la restrizione sia legittima è che essa rispetti il principio
di legalità. Il termine legalità ha a che vedere con il termine legge. Quindi, il principio di
legalità prevede che una restrizione debba essere prevista dalla legge. Ora la legge può
essere o interna (nazionale) oppure può essere una norma di diritto internazionale. In ogni
caso la legge deve essere accessibile, quindi nota, conoscibile e prevedibile. Questo è il
primo requisito affinché la restrizione sia legittima.
Dopo di che la restrizione deve costituire una misura che, in una società democratica, è
necessaria per determinati scopi. Quindi, qui abbiamo il secondo requisito che è il
requisito di necessità. Quindi, la restrizione deve essere legale, quindi deve essere basata
su una disposizione di legge, deve essere necessaria. Necessaria perché deve rispondere e
qui citiamo la Corte ad un bisogno sociale pressante (pressign social need). Quindi, in altri
termini l'esigenza di restrizione deve essere oggettivamente rilevabile, siamo in una società
democratica questo non può essere un pretesto per l'esercizio autoritario di poteri di
governo.
E poi abbiamo il terzo requisito per la legittimità della restrizione che è lo scopo e la
proporzionalità (mettiamoli insieme scopo e proporzionalità). Gli scopi sono quelli che
sono tassativamente previsti nelle varie regole in questione. Per quanto riguarda l’articolo
8 gli scopi sono molto numerosi; si fa riferimento alla sicurezza nazionale, alla pubblica
sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei
reati, alla protezione della salute (questo è importante per il covid) o della morale o alla
protezione dei diritti e delle libertà altrui (questo ultimo aspetto è estremamente ampio).
Quindi, gli scopi sono tassativamente previsti, però oltre allo scopo una misura di
restrizione della libertà deve anche rispettare il principio di proporzionalità, quindi deve
essere una misura il meno lesiva possibile dei diritti individuali; meno lesiva possibile
rispetto allo scopo che per l'appunto si vuole perseguire. Quindi, taluni preferiscono
mettere il principio di proporzionalità vicino al principio di necessità. La proporzionalità
può essere in qualche modo sussunta sia all'interno del principio di necessità che
all'interno dello scopo perseguito.
Allora, consideriamo che tutti e tre i requisiti devono essere soddisfatti; quindi, principio
di legalità, necessità e scopo/ proporzionalità devono essere tutti e tre soddisfatti affinché
quell’interferenza dello Stato sia legittima. Quindi, prima di adottare una misura di
interferenza con il godimento di un certo diritto lo stato deve valutare che quella misura sia
corrispondente a tutti questi e tre requisiti. E guardiamo che gli Stati questo lo fanno nel
momento in cui emanano una legge lo fanno gli Stati questo controllo, il problema è che è
chiaro che è un controllo che lascia un certo margine di discrezionalità.
E allo chi è che va a valutare che questo margine di discrezionalità è stato superato oppure
no? Nel caso della convenzione europea dei diritti dell'uomo lo valuta la Corte europea,
qualora un caso sia portato davanti alla sua attenzione. Nel caso degli altri sistemi regionali
di protezione dei diritti umani evidentemente è la relativa Corte che lo valuta perché anche
gli altri trattati sui diritti umani prevedono tutti restrizioni ai diritti umani chi più e chi
meno, ma li prevedono tutti (è anche comprensibile). Quindi, laddove ci sia una Corte sarà
questo organo giurisdizionale e non giudiziario a valutare che la misura in questione
adottata dallo stato rispetti i tre requisiti. Qualora invece la restrizione sia adottata con
riferimento ad un trattato che non prevede un controllo giurisdizionale, cioè che non
prevede una Corte che verifichi il rispetto di questi requisiti, molto probabilmente ci sarà
un Comitato di controllo (treaty monitoring bodies), quindi quel caso lì la verifica sarà
operata dal comitato di controllo che però non ha poteri giuridicamente vincolanti, quindi
chiederà molto gentilmente allo stato di provvedere magari a modificare la misura ma non
ha strumenti vincolanti, invece le corti regionali hanno meccanismi di enforcement. Nel
caso della convenzione europea il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa che
periodicamente monitora l'applicazione della sentenza fino a che lo stato non l’ha
definitivamente applicata, quindi si ha un follow up. Quindi, la Corte evidentemente
verifica la sussistenza di questi tre requisiti ma verifica anche che le misure non arrivino al
punto di compromettere il diritto stesso in questione. Questo è il limite delle restrizioni:
non puoi compromettere il diritto.
Non ci addentriamo ad analizzare i singoli scopi e quindi abbiamo tralasciato la parte che è
molto lunga di Focarelli relativamente alla differenza fra pubblica sicurezza, sicurezza
nazionale, difesa dell'ordine e prevenzione dei reati: sono tutti scopi che possono sembrare
simili ma in realtà hanno profili particolari.
Vi sono casi in cui gli Stati (limitiamoci agli stati parte alla convenzione europea) hanno
applicato misure restrittive dei diritti umani. Non è una prassi straordinaria, eccezionale;
vi sono così come vi sono stati però anche molti ricorsi e vi sono anche molti ricorsi alla
Corte europea sulla legittimità appunto di queste misure e qui la prassi è varia. In alcuni
casi la Corte li ha ritenuti legittimi, in altri no: quindi non si può dare una linea di tendenza
unica perché evidentemente la Corte decide per il caso di specie.
Noi abbiamo esaminato le restrizioni relativamente all'articolo 8 della CEDU, ma molti
altri articoli: il 9-10-11, il 5 (sulla libertà individuale) molti altri articoli prevedono
limitazioni. Quindi, questa è una prassi piuttosto abbondante.
-CLAUSOLE DI DEROGA
Passiamo invece ad una prassi più eccezionale, più straordinaria che è quella relativa alle
clausole di deroga. È una prassi eccezionale perché in questo caso lo stato può proprio
sospendere interamente un certo diritto, quindi lo pro compromettere se vogliamo; cioè
mentre il limite delle restrizioni è che il diritto comunque non può essere completamente
compromesso, con le clausole di deroga si può arrivare (non è detto che ci si arrivi) fino
alla completa sospensione di quel determinato diritto. Deroga di solito si utilizza il termine
sospensione. Quindi, evidentemente questa è una misura assolutamente estrema a cui lo
Stato può ricorrere, ma solamente nei casi espressamente previsti dal trattato sui diritti
umani in questione. Tutti i trattati sui diritti umani (perlomeno i principali che noi
abbiamo esaminato) contengono una clausola di deroga in particolare: il patto sui diritti
civili e politici, la convenzione americana sui diritti umani e la convenzione europea. Noi ci
soffermeremo sulla convenzione europea perché è quella a noi più vicina. Però in modo
sorprendente segnaliamo anche che il patto sui diritti economici, sociali e culturali non
contiene una clausola di deroga (riflettiamo sul perché di queste cose) e nemmeno la Carta
africana dei diritti dell'uomo e dei popoli non contiene clausole di deroga.
Quale è la logica (facciamo riferimento al corso di diritto internazionale) per cui un trattato
sui diritti umani prevede la propria sospensione (non nella sua interezza ovviamente), ma
la sospensione di alcuni dei suoi diritti. L’ interesse preminente dello Stato: ma in punto di
diritto qui si può essere più precisi. Facciamo riferimento al corso di diritto internazionale.
Siamo nell'ambito della responsabilità internazionale dello Stato. Quando uno stato viola
un diritto umano chiaramente emerge la sua responsabilità internazionale di natura
civilistica ovviamente. Però vi sono alcune situazioni che invece giustificano il compimento
dell’illecito da parte dello stato al punto che la sua responsabilità non sorge: sono le
cosiddette cause di giustificazione dell’illecito. E vi è una causa che riguarda proprio la
tutela di interessi così preminenti dello Stato che se non fossero appunto tutelati la
sopravvivenza stessa dello Stato sarebbe compromessa. (lo stato di emergenza non è
sufficiente pensiamo ad un terremoto in una zona molto periferica dello Stato non è che
compromette la sopravvivenza stessa dello Stato). (ripassare le cause di giustificazione
dell’illecito). Lo stato di necessità: questo è quello che ha a che fare con lo stato di
necessità. Quindi, è la causa di esclusione dell’illecito nel caso in cui sussista un pericolo
grave e imminente (quindi un pericolo qualificato grave ed imminente, quindi non solo
potenziale e teorico, ma imminente) agli interessi essenziali dello Stato. L’ espressione
interessi essenziali dello Stato è da interpretarsi in modo estremamente restrittivo come
sinonimo alla sopravvivenza dello Stato. Quindi, queste clausole di deroga sono proprio
espressione di questa causa di giustificazione.
-ARTICOLO 15 della CEDU DEROGA IN CASO DI STATO D’EMERGENZA
Abbiamo citato la convenzione europea, il patto sui diritti civili e politici e la convenzione
americana. Tutte e tre queste convinzioni prevedono deroghe in stato di emergenza.
L’ articolo che stabilisce le condizioni di legittimità delle deroghe in questi tre trattati sono
simili ma non uguali e questo pone un problema sostanzialmente relativamente ai diritti
che possono essere oggetto di deroga perché vediamo che al paragrafo 2 dell’art.15 della
CEDU prevede che non possano essere derogati l’articolo 2 (che è il diritto alla vita),
l’articolo 3 (che è il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), l’art. 4 paragrafo
1 (divieto di schiavitù e servitù) e l’art 7 (il principio di irretroattività della legge penale,
quindi il fatto che nessuno possa essere condannato per reati che non esisteva al momento
della sua commissione). Questi quattro articoli non possono essere oggetto di deroga
nemmeno ai sensi del patto sui diritti civili e politici e nemmeno ai sensi della Convenzione
americana, però questi altri due trattati prevedono un numero maggiore di diritti che non
possono essere derogati, quindi in qualche modo sono più garantisti dei diritti umani. Però
al momento sono arrivati ad affermare che siccome questi 4 diritti non possono mai essere
oggetto di deroga, probabilmente possiamo ritenerli norme di ius cogens.
Gli articoli che prevedono deroghe nei vari trattati sono molto simili tra di se ma non
uguali, in particolare vi sono differenze relativamente ai diritti che possono essere oggetto
di deroga. I diritti che possono essere oggetto di deroga ai sensi della convenzione europea
sono anche possibile oggetto di deroga ai sensi degli altri trattati, ma gli altri trattati ne
includono altri, quindi hanno un numero maggiore di diritti che possono essere oggetto di
deroga. Noi ci limitiamo alla convenzione europea che quindi impedisce che siano derogati
il diritto alla vita, il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, il
divieto di schiavitù e servitù e infine il principio di irretroattività della legge
penale.
Quale è la procedura che lo stato deve seguire per poter legittimamente avvalersi di una
deroga? Qui quello che andiamo a dire vale anche per gli altri trattati. Ai sensi dell’art.15
paragrafo 1 prima di tutto vi deve essere una situazione di fatto che crea il
presupposto della deroga, la situazione di fatto è una guerra o un altro pericolo
pubblico che minacci la vita della nazione. Il caso di guerra è chiaramente un caso
estremo e non c’è bisogno di commentarlo, ma un pericolo pubblico qualunque non è
sufficiente, il pericolo pubblico deve essere qualificato, deve minacciare la vita della
nazione e la Corte europea qui l'ha interpretato in senso molto chiaro; dice attenzione deve
essere un pericolo che minaccia la vita della nazione nella sua interezza, quindi non solo
una particolare area geografica ma proprio nella sua interezza.
Al contempo però chi è nella posizione migliore per valutare se un certo pericolo minaccia
la vita della nazione (nazione in questo caso inteso come l’insieme del popolo che è
stabilito su quel territorio)? È il governo italiano o è la Corte di Strasburgo. Evidentemente
è il governo italiano nel caso per esempio dell’emergenza sanitaria. Le sentenze della Corte
relative a questo articolo sono poche perché si tratta di situazioni eccezionali, ma in quasi
tutte queste sentenze la corte ha comunque riconosciuto un ampio margine di
apprezzamento allo stato relativamente alla valutazione dell’esistenza dei presupposti per
la deroga. Quindi, in qualche modo la Corte tende a fidarsi, la Corte si è sempre fidata della
valutazione che fanno gli stati relativamente ai presupposti di fatto che giustificano la
deroga. Le autorità locali si trovano in una posizione migliore della Corte. Su questa parte
il manuale è molto chiaro. Quindi, le autorità locali si trovano in una posizione migliore
per valutare l’esistenza dei presupposti. In passato, la Corte non ha mai valutato se
un’epidemia possa costituire un pericolo pubblico che minacci la nazione.
Questa parte del Focarelli è fatta molto bene (3 pagine).
La Corte ha valutato sostanzialmente situazioni di emergenza terroristica. È molto
interessante questa serie di pronunce iniziata negli anni ’60 relativamente all’emergenza
terroristica in Irlanda del Nord; quindi, vi è tutta una serie di sentenze che riguardano il
Regno Unito, il quale aveva dichiarato in particolare deroghe all’articolo 5 quindi libertà
personale e detenzione cautelare. Vi sono anche sentenze che hanno a che vedere sempre
con il Regno Unito, gli eventi dopo gli attentati a Londra del 2015, il Regno Unito ha
proprio dichiarato una deroga ai sensi dell’art.15 e quindi lì vi sono deroghe sempre sulla
libertà individuale, quindi l’art.5 della Convenzione. Vi è una sentenza molto
interessante0. Quindi, sempre deroghe per minaccia di natura terroristica. Oppure vi sono
deroghe poste in essere in particolare dalla Turchia per situazioni di conflitti armato
interno nel sud-est del paese. Anche lì vi sono varie sentenze perché ovviamente
vi sono alcuni individui che non hanno ritenuto che queste deroghe non fossero legittime.
Una volta acclarato che il presupposto per la deroga è legittima, comunque lo stato prima e
poi eventualmente la Corte deve anche valutare che le misure di deroga adottate rispettino
determinate condizioni. E le condizioni sono le medesime delle restrizioni più ne
aggiungiamo altre. Quindi, le deroghe devono essere necessarie (nella stretta misura in cui
la situazione lo richieda), quindi devono essere necessarie ad affrontare quella determina
situazione, quindi non vi devono essere misure meno restrittive dei diritti umani che
possono raggiungere lo stesso scopo, quindi se lo stato può raggiungere lo stesso scopo, per
esempio, ricorrendo ad una limitazione, deve ricorrere alla limitazione); dopodiché la
misura deve essere proporzionale, qui non abbiamo lo scopo, lo scopo in qualche modo è
sussunto all’interno del presupposto, il presupposto è la tutela dell’interesse essenziale
dello stato.
Con riferimento al principio, al criterio della proporzionalità la Corte europea ha elaborato
un aspetto che forse non è stato messo a fuoco così chiaramente con riferimento alle
restrizioni che è la natura temporanea delle misure di deroga. Quindi, le misure di deroga
devono avere natura temporanea perché siamo in una società democratica, non possono
diventare il pretesto per cambiare la società da democratica a tirannica e in qualche modo
questo requisito lo ricaviamo dal paragrafo 3: ai sensi dell’art.3 ogni parte contraente deve
informare il Segretario generale del Consiglio d’Europa della data in cui queste misure
cessano di essere in vigore, quindi è necessario che sia previsto un termine di fine e inoltre
sempre il principio di proporzionalità richiede che comunque queste misure siano soggette
a revisione periodica. Quindi, anche se un certo governo prevede che quelle misure durino
per sei mesi o un anno, comunque ogni tre mesi periodicamente queste misure devono
essere sottoposte ad una revisione o giudiziale o di natura amministrativa.
Inoltre, (e questo invece è un elemento di novità rispetto alle restrizioni) sempre ai sensi
del paragrafo 1 vediamo l’altra condizione: a condizione che queste misure non siano in
conflitto con gli altri obblighi derivanti dal diritto internazionale. Quindi, le misure di
deroga comunque non possono contrastare altri obblighi internazionali di natura pattizia o
di natura consuetudinaria. Per esempio, dice Focarelli non è che queste misure di
sospensione possono giustificare repressione tale per cui si arrivi a compiere crimini
contro l’umanità. Quindi, anche questo è una forma di tutela del principio di democrazia.
Oltre a questi requisiti abbiamo le condizioni procedurali incluse al paragrafo 3 (e questo è
importante per l’Italia e l’emergenza Covid): la misura di deroga può essere invocata di
fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo solo a condizione che questa misura sia stata
notificata al Segretario generale del Consiglio d’Europa. Quindi, in qualche modo la
notifica ha valore costitutivo, cioè se lo stato non notifica le misure di deroga al Consiglio
d’Europa, e qualora un giorno quella misura sia impugnata di fronte alla Corte, lo Stato
non può eccepire che aveva derogato a quella misura. Quindi, in questo caso lo Stato non
può eccepire la deroga, potrà forse eccepire eventualmente (bisogna vedere di che misura
si tratta) la restrizione perché invece per la restrizione non è necessaria la notifica. Tutto
questo è importante per l’Italia perché l’Italia non ha notificato le misure di deroga al
Consiglio d’Europa con riferimento al Covid-19. A tutt’oggi mentre stiamo subendo delle
restrizioni che ad avviso della professoressa compromettono e hanno compromesso certi
diritti, sicuramente il diritto di riunione, ma molto è stato compromesso anche del diritto
di movimento e del diritto alla vita familiare. È un po' strano che l’Italia non abbia
notificato le deroghe al Consiglio d’Europa. Mentre altri stati lo hanno fatto in ragione del
Covid: la Moldavia, l’Estonia, la Lettonia, la Georgia e la Romania. Fin dall’inizio
dell’emergenza questi stati hanno notificato di avvalersi dell’art.15 a seconda per la deroga
di più o meno diritti.
Uno stato a non notificare non ci guadagna niente. Non riusciamo a vedere i motivi per cui
uno stato non dovrebbe notificare perché è solo qualcosa che va a suo vantaggio qualora un
giorno dei cittadini dovessero fare ricorso alla Corte europea e non è da escludere. Il
riferimento non è solo all’Italia. La segretaria del Consiglio d’Europa ha messo in guardia
alcuni stati, in particolare l’Ungheria, dal ricorrere a certe misure estreme tanto più senza
la deroga. Non si sa quanto sia una questione di pubblicità, nel senso che una notifica di
deroga è chiaro che costituisce un campanello d’allarme interno. Quando la Gran Bretagna
notificò al Segretario generale del Consiglio d’Europa le deroghe dopo gli attentati di
Londra. È chiaro che danno un campanello d’allarme circa la situazione interna del paese,
però è altrettanto vero che comunque quello che ha fatto l’Italia che è stato decretare lo
stato d’emergenza, il campanello d’allarme lo dà lo stesso. Tra l’altro è un po' sorprendente
che all’inizio nessuno sapeva che questo stato di emergenza interna è stato dichiaro.
Quindi, in qualche modo sembra quasi che ci fosse una volontà di non allarmare la
cittadinanza (se vogliamo vederlo ottimisticamente). Si potrebbe vedere anche in un altro
modo.
La dichiarazione di uno stato di emergenza interna non necessariamente dà luogo a
restrizioni dei diritti umani o a clausole di deroga. Quindi, può anche darsi che il governo
abbia valutato che le misure restrittive (quelle del primo dpcm) non fossero tali da
concretare una deroga. Cioè queste sono valutazioni che la professoressa ritiene che siano
state fatte; certo sono valutazioni estremamente delicate e complesse. L’argomento è molto
complesso. Bisognerebbe fare un'analisi talmente dettagliata della normativa che è un
lavoro che poi farebbe il giudice di Strasburgo qualora una causa fosse portata alla sua
attenzione. Quindi, stiamo su un terreno estremamente scivoloso e complesso.
Visione della professoressa: la sua impressione è che non ci siano dubbi che esistano i
presupposti per la deroga, da questo punto di vista la professoressa crede che un caso che
viene portato di fronte alla Corte europea la Corte riterrebbe che i presupposti per la
deroga ci siano anche se è un caso di epidemia (basta vedere dato numerico dei morti
eccetera). Non ci sono nemmeno dubbi secondo lei sulla necessità della restrizione o
deroga a certi diritti. Quello che invece le pone un po' più di dubbi è la proporzionalità. Lì
ho più dubbi per due motivi sostanzialmente: uno perché la lettura dei dati delle infezioni è
l'aspetto cruciale, critico qui e che è estremamente contestata come tutti i dati; due siamo
arrivati alla sospensione di numerosi diritti (anche il diritto all'istruzione). Quindi, ha dei
dubbi circa la proporzionalità di certe misure. Senza poi valutare questioni dove non è
competente di natura invece costituzionale interna. Il coinvolgimento del Parlamento
nell'adozione di queste misure potrebbe non essere proprio stato rispettoso della
costituzione. Quindi, questa è un po’ la sua visione. Se un domani vieni portato di fronte
alla Corte europea tu non puoi invocare l'articolo 15, quindi saresti facilmente condannato
per aver sospeso un diritto che magari invece se in virtù della deroga potrebbe essere stato
legittimamente sospeso. Non sa bene come valutarla questa cosa. Anche perché con
riferimento alla notifica: la notifica delle misure di deroga deve avvenire entro un termine
ragionevole ci dice la Corte, due settimane può essere un termine ragionevole. In passato,
in altre sentenze 4 mesi non è più un termine ragionevole. Per l’Italia siamo già oltre 12
mesi, quindi si tratterebbe di una notifica sicuramente tardiva e quindi succede che qui
anche una notifica fatta oggi non sarebbe atta a coprire gli atti compiuti precedentemente,
varrebbe dall'oggi in poi. Quindi, qualche dubbio lei su questo ce l'ha.
Alla Corte europea possono fare ricorso i singoli individui che siano direttamente lesi da
una sospetta violazione. Il fatto della lesione diretta comporta che quindi la lesione deve
essere già stata compiuta, non può essere potenziale. Quindi, non è che si può fare ricorso
contro una misura di legge per esempio in generale, in termini astratti ma io devo averne
subito direttamente le conseguenze. E poi devono essere stati esauriti i ricorsi interni.
Quindi, può anche darsi che qualche cittadino italiano fa ricorso internamente e trova
giustizia internamente e non fa ricorso alla CEDU, oppure non trovando giustizia fa ricorso
alla CEDU, a quel punto bisognerebbe vedere che cosa la Corte dice; certamente però non
potrebbe valutare sulla base dell'articolo 15. Però potrebbe anche darsi che nessun
cittadino o nessun individuo sottoposto alla giurisdizione Dell'Italia faccia mai ricorso.
Quindi, può anche darsi che queste misure di deroga non siano mai oggetto del sindacato
della Corte europea.
Al segretario generale devono essere notificate non solo le misure prese ma anche i motivi
che le hanno determinate. Di solito, i motivi sono espressi in due righe.
-HUMAN RIGHTS ARE MORE IMPORTANT THAN EVER IN TIMES OF CRISIS
Ora vediamo che cosa ha affermato il Segretario generale del Consiglio d’Europa. (postato
anche su moodle)
L’ affermazione della Marija Pejčinović Burić : il virus sta distruggendo molte vite, ma non
dobbiamo fare distruggere i nostri valori fondamentali e le nostre società libere. Qui il
Consiglio d'Europa se ne parla molto poco, in realtà è uno strumento di controllo del
rispetto dei diritti umani, della rule of law, cioè dello Stato di diritto e della democrazia
molto importante.
(Non è che Strasburgo dà un parere sulle nostre misure. No. Uno stato notifica le misure di
deroga e spiega brevemente perché, ovviamente deve indicare quali diritti va a derogare. Li
notifica e basta. Questa notifica che è pubblica, la notifica ha l'obiettivo di rendere
pubbliche le misure prese all'interno di uno stato. Il segretario generale non può fare altro,
al limite risponde notifica accettata. Le misure poi prese potrebbero non essere mai
oggetto dello scrutinio della Corte perché è necessario che un individuo faccia ricorso, deve
avere esaurito i rimedi interni e deve essere stato direttamente leso da quella misura, oltre
ad altri requisiti di ammissibilità (ma i cruciali sono questi due), non sono da poco questi
requisiti. Se mai tra qualche anno si andrebbe di fronte alla Corte perché prima deve
esaurire i ricorsi interni, passare tutti gradi giudizio internamente e poi con il tempo
impiegato in Italia ci vorrebbero degli anni e poi deve dimostrare che sia stati direttamente
lesi altrimenti è inammissibile il tuo ricorso. Più del 70% di ricorso alla Corte europea è
dichiarato inammissibile. Quindi, l’Italia nel momento in cui manda la notifica non è
oggetto di qualche scrutinio o parere. Non c'è nessuno parere e non c'è nessuna valutazione
da parte del Consiglio d'Europa).
Questo warning del segretario generale è stato riferito in particolare alle misure
estremamente restrittive proprio di natura politica che sono state prese e dall’Ungheria.
Però è interessante che il Consiglio d'Europa ha innanzitutto diffuso un kit di strumenti,
ricorda quali sono i diritti che possono essere più facilmente violati in ragione
dell'emergenza, poi ha ricordato che le restrizioni devono essere bilanciate con i diritti
umani e infine ha elaborato questo corso di 5 ore sui diritti umani. L’elaborazione del corso
dice che c'è molta ignoranza perché a volte gli Stati ratificano per questioni di natura
politica ma non hanno poi effettivamente consapevolezza delle implicazioni e questa
comunque è una situazione straordinaria.
‘’Molti dei diritti che diamo per scontati ci sono sottratti. In molti paesi non c'è consentito
di incontrarci persino non i nostri parenti EI bambini non possono andare a scuola, la
nostra privacy è soggetta ad interferenze, e comunque cerchiamo di fare di tutto di
superare questa emergenza’’. Questo sito è interessante.
-VACCINE PASSES: PROTECTING HUMAN RIGHTS AND PERSONAL DATA
È interessante lo statement del Comitato di bioetica del Consiglio d’Europa. Il Consiglio
d'Europa ha elaborato centinaia di convenzioni sui diritti umani (rule of law in
democracy), l’Italia ne ha ratificate tantissime. È un'organizzazione straordinaria perché
ha a cuore questi temi e ha sede a Strasburgo, dove ha sede anche la Corte europea. Noi
tendiamo sempre a pensare alle Nazioni Unite per i diritti umani ma il Consiglio d'Europa
non solo non è da meno ma è da più perché molte volte è all'avanguardia di tante questioni
anche per esempio con riferimento alla bioetica. Cosa si dice relativamente alle
vaccinations campaign. Qui non si affronta tanto la questione dell’obbligatorietà dei
vaccini che invece è stato oggetto di una recente sentenza della Corte europea che non
riguarda l'Italia e che ovviamente non riguarda i vaccini covid ma che sembra in qualche
modo andare nel senso di giustificare l’obbligatorietà dei vaccini a fronte di rischio di
infezione da parte di altri individui, ma qui invece si fa riferimento a quelli di cui si
parlava, cioè un pass sui vaccini. Il Comitato dice: ‘’Io noto le sfide complesse che le
questioni di protezione della salute pubblica e la lotta all’epidemia richiedono e quindi il
Comitato vede di buon occhio in generale tutto il lavoro che è stato fatto in questo ambito a
livello di Consiglio d'Europa. Tuttavia, l’uso dei certificati vaccinali per scopi non medici,
quindi per esempio quando si volesse viaggiare all'estero, solleva questioni di diritti umani
che dovrebbero essere molto considerati attentamente’’. Quindi, linguaggio cauto perché
non può essere diversamente. Il messaggio sembra chiaro soprattutto con riferimento ai
diritti umani più coinvolti quali sono diritto alla protezione dei dati e il principio di non
discriminazione. Quindi, questi sono i due diritti umani più problematici secondo loro.
Limitare gli spostamenti o per andare a scuola: l’uso dei certificati vaccinali anche in Italia
è richiesto per andare a scuola, ma questo è uno scopo che non ha natura medica. Qui
l’obiettivo è di salute pubblica, non è medico. Una cosa che deve essere chiara: sempre
vigilare, cioè essere sempre vigilanti non perché lo Stato è criminale, ma perché le derive
sono sempre facili. Come ha detto Gabrielle Bruney, che è un’esperta delle NU sui diritti
umani, cioè bisogna stare un po' attenti a questo bilanciamento. (‘’a life in which our
physical health is garanted but any other right is taken away is been meaningless’’).
Attenzione: se per tutelare la nostra salute tutti gli altri diritti umani ci devono essere
sottratti qualche domanda bisogna iniziare a farcela. Quindi, l’appello della professoressa è
che siate vigilanti, cioè non dare tutto per scontato in questo caso in ragione delle tutele
della salute. Non dare per scontato. Non lo dà per scontato il segretario generale del
consiglio d’Europa, non lo dà per scontato il Comitato di bioetica. Qualcun altro lo sta
dando un po' per scontato. Ognuno valuti dentro di se in base ai propri valori, in base al
proprio sentire e ricordare l’esercizio sulla libertà, libertà interna e libertà esterna, quindi
non ci facciamo condizionare, sempre ragionare con la propria testa. È una questione
estremamente complessa e delicata.
Riflessioni: La nostra idea. La partenza è buona, l’obiettivo è legittimo e per questo ci vuole
nell’applicazione proporzionalità. Il problema non è l’obiettivo o la necessità, ma è come lo
applichi. Il colore delle regioni diverso è una scelta che va verso la proporzionalità. È un
modo di attuare proporzionalità. Il coprifuoco non è una scelta proporzionale perché se il
problema è che i giovani fanno assembramento si prendono decisioni che impediscono gli
assembramenti. Quella è davvero una deriva. È una situazione molto complessa. Ce l’ha la
tendenza ad andare alla deriva, la storia ce lo dimostra perché lo stato è fatto da esseri
umani e se l’essere umano sente di avere un potere e inizia ad esercitarlo è proprio istinto.
-14.05.2021
Riflettere sulla nozione di diritti umani dell’inizio del corso ed elaborarne una ora a fine
corso e poi confrontarle. Per vedere se all'inizio del corso avevamo una nozione che ci
soddisfaceva, quindi non c'è una valutazione (bene o male). Ragionamento, motivazione.
Riprendiamo quel foglio su cui abbiamo dato la nozione di diritti umani il primo giorno di
corso e da qui a lunedì scriviamo una nuova versione o magari ribadiamo la stessa.
Ovviamente questo è un esercizio che non ha scopo valutativo, serve a noi come momento
di riflessione. Quindi, la nozione può essere molto breve o più articolata, ma certamente è
comunque una nozione, una definizione (massimo 3 o 4 righe).
Un fenomeno che si sta sviluppando fin dai primi momenti del lockdown dello scorso anno
in Italia è che le persone che vedono una persona senza mascherina, o dei ragazzi che
stanno insieme senza mascherina o in un assembramento. A fronte di queste azioni ci sono
stati degli individui che hanno chiamato le forze dell’ordine, che sono intervenute e hanno
convenuto la multa. Allora, questo è un fenomeno molto preoccupante per la
professoressa, che ricorda quello che avveniva in tempi di certe dittature in cui il vicino
denunciava la persona che gli abitava accanto per esempio perché ascoltava certe
trasmissioni alla radio. Quindi, questo è un fenomeno estremamente inquietante, quello
della denuncia di certe attività. Ci sono delle derive che sinceramente non vanno
assecondate perché altrimenti succede che si accetta tutto in nome della tutela della salute
(che è un valore), però bisogna tenere molto anche alla nostra libertà (è una questione di
buon senso).
-LA TEMPESTA PERFETTA COVID-19, DEROGHE ALLA PROTEZIONE DEI DATI
PERSONALI ED ESIGENZE DI SORVEGLIANZA DI MASSA
(Gabriele Della Morte, Università Cattolica, Milano: MARZO 30, 2020)
L’articolo di Gabriele Della Morte mette bene in luce in un’ottica giuridica
internazionalistica le sfide che il Covid pone alla protezione dei dati personali. Tutti siamo
ormai coinvolti in questa società tecnologica. Succede però che sappiamo che questa
pandemia sta fornendo la giustificazione agli stati (non solo allo stato italiano) per ridurre
l’ambito di libertà dell’individuo anche con riferimento a questo aspetto che attiene alla
privacy e che quindi fa riferimento ai dati personali. In alcuni stati (Della Morte parlava di
10 stati) sono stati adottati degli strumenti (in Italia si parla della app immuni) che non solo
individuano la persona, quindi nominativamente, ma ne tracciano in modo più o meno
invasivo a seconda della app in questione lo stato di salute (quindi se la persona è più o meno
positiva la Covid), ne traccia i suoi spostamenti e i suoi contatti al punto che qualora la
persona abbia avuto dei contatti o sia sospettata di averli avuti la sua libertà viene
completamente limitata.
Sono numerosi gli aspetti di criticità. Ma la cosa sicuramente critica è che per lo meno per
quanto riguarda la Cina, con l’app Alipay Health Code, se non si è installata questa app
sul proprio cellulare si viene ritenuti ipso facto rientrare nel codice rosso. Questo significa
che di fatto l’individuo è obbligato a scaricare l’app perché altrimenti la sua libertà è
completamente compromessa. Vi sono invece degli altri sistemi in cui lo stato di salute
relativamente evidentemente all’infezione in corso, viene verificata attraverso la raccolta di
dati in forma aggregata e questo evidentemente pone molti meno problemi. La professoressa
con molto disagio è entrata in università la prima volta che c’erano i tornelli. Il fatto che lei
debba entrare con un Qrcod individuale, quindi viene tracciato ogni suo movimento
all’interno dell’Università che è una struttura che dovrebbe essere pubblica, a lei crea
personalmente un disagio. Ricordiamoci il principio di proporzionalità. È veramente
necessaria? Non potremmo limitare il numero di persone senza avere il nome
individualmente. Siamo già molto tracciati nella nostra società. Se scarichiamo l’app immuni
facciamolo nella consapevolezza che così facendo chi lo fa abbia la consapevolezza che
questo è un momento in cui cede la propria privacy nemmeno direttamente al governo, allo
stato ma a delle compagnie private che gestiscono i nostri dati per conto dello stato. Quindi,
va bene scaricarlo, ma nella consapevolezza di cosa questo comporta dal punto di vista
sociologico, dal punto di vista giuridico, dal punto di vista giuridico internazionalistico.
Della Morte mette in luce quegli aspetti che abbiamo già trattato ieri. Quindi, la questione
della protezione dei dati personali deve essere affrontata in base a quelle due fattispecie di
cui abbiamo trattato ieri: cioè da una parte l’eventuale restrizione per scopi legittimi al
diritto alla privacy, e dall’altra l’eventuale deroga che uno stato ha notificato a seconda del
caso, al segretario generale del consiglio d’Europa se ha derogata alla Convenzione europea
oppure al segretario generale dell’Onu se ha derogato al patto sui diritti civili e politici.
Quindi, queste due ipotesi le abbiamo già analizzate. Ricordiamoci i criteri di necessità,
proporzionalità, scopo legittimo e inoltre per quanto riguarda la deroga l’esistenza del
presupposto
oggettivo
della
minaccia
alla
sopravvivenza
dello
stato.
Quello che Della Morte aggiunge all’analisi che abbiamo fatto ieri riguarda il regolamento
per la protezione dei dati personali dell’Unione europea, RGPD, il 679 del 2016.
Alcuni degli aspetti di questo regolamento che Della Morte espone in maniera succinta, ma
sufficientemente dettagliata: perché questo regolamento che è stato adottato nel 2016,
quindi in tempi non di pandemia, è molto dettagliato, e in varie parti fa riferimento a
esigenze di salute pubblica (quindi ci interessa in modo particolare). E in particolare
facciamo riferimento all’art.28 che disciplina il diritto di uno stato di porre limitazioni a
tutte quelle regole sul trattamento dei dati personali che sono stati enunciati prima nel
regolamento, ma specifica che queste limitazioni devono essere soggette sì ai principi già
conosciuti (necessità, proporzionalità, legalità), ma con riferimento a quest’ultimo principio,
quindi al principio di legalità espone dei criteri molto più restrittivi rispetto a quelli che
abbiamo visto ieri. Quindi, viene richiesto che limitazioni per sanità pubblica siano previste
mediante misure legislative, ma queste misure legislative devono indicare (1) le finalità di
trattamento, (2) le categorie di dati personali, la portata delle limitazioni introdotte, le
garanzie (questo è interessante) per prevenire abusi o illeciti, l’indicazione del titolare del
trattamento, i periodi di conservazione e le garanzie applicabili, i rischi per i diritti e le libertà
degli interessati (devono essere previste per legge) e infine deve essere previsto per legge il
diritto degli interessati di essere informati della limitazione stessa (quindi noi dobbiamo
essere preventivamente informati). Quindi, vediamo come era dettagliato già nel 2016.
Poi abbiamo l’art.9 del regolamento che probabilmente invece annacqua un po' il
principiò di legalità rafforzato che abbiamo visto essere previsto dall’art.28. L’art.9, infatti,
statuisce al paragrafo due che vi possono essere delle eccezioni a quanto finora stabilito dal
regolamento qualora siano richiesti degli interventi per la protezione da gravi minacce, per
la salute a carattere transfrontaliero. Quindi, qui non si tratta più di una questione di sanità
pubblica che coinvolge un singolo stato, ma può avere ripercussioni su più stati.
In questo motivo possono essere adottate misure straordinarie, sempre però ovviamente
queste misure straordinarie poi devono essere tutelate dal principio di legalità.
Anche l’art.9 paragrafo 4 va in questa direzione specificando che gli stati hanno il potere
di introdurre ulteriori condizioni comprese limitazioni con riguardo al trattamento dei dati
personali relativi alla salute.
Quindi, è un regolamento un po' bifronte: da una parte rafforza la tutela legale, dall’altra
lascia ampio margine allo stato.
Quale è la conclusione a cui arriva Della Morte? Sicuramente ribadisce i vari requisiti che il
diritto internazionale richiede affinché limitazioni e/o deroghe, in questo caso alla
protezione dei dati personali, siano legittimi e lui le qualifica in modo un po’ diverso da come
le ha denominato la professoressa ma le ritroviamo. Quindi, siamo sempre nell’ambito della
legalità, necessità, temporalità (le misure devono essere di carattere temporaneo),
proporzionalità. Ne specifica due: uno è il criterio della tassatività, cioè le limitazioni devono
essere dettagliate e l’altro è l’impugnabilità, cioè le interferenze devono essere in qualche
modo contestabili o di fronte ad un giudice o di fronte ad un’autorità amministrativa.
In definitiva, come conclude la sua breve disamina (è una tematica che richiede un
approfondimento ben maggiore)? Conclude con queste parole: ‘in attesa che passi la
tempesta ‘’perfetta’’ si possono anche ammainare le vele, ma occorre prestare molta
attenzione alla bussola per trovare in seguito la rotta’’. Rileggere questa frase. La bussola va
ritrovata e non bisogna perdersi perché in ragione di questa tutela della salute dobbiamo
rinunciare a tutto.
-Documentario: ‘’Coronavirus: How is China using surverillance to fight coronavirus? - BBC
News’’, guardarlo a casa.
Commenti sulla pandemia. Questa pandemia stimola molte domande per quanto riguarda i
diritti umani.
Immuni app: dipende molto dalla cultura del paese, e quindi dalla concezione di libertà che
ognuno di noi ha. (le case in Italia sono tutte dipinte dello stesso colore (dal bianco al giallo)
perché per legge è vietato dipingerle di altri colori. Per noi è normale. Cresciuti
inconsapevolmente in questo modo. Dal momento in cui scarichiamo qualcosa sul cellulare
noi siamo sempre tracciati. Bisogna essere consapevoli di quello che facciamo. L’importante
è esserne consapevoli. Tutto questo controllo da qualche parte porterà. Che la cessione della
privacy sia consapevole perché ha una finalità e questa finalità è gestita da qualcuno.
(tesi su queste tematiche, su Snowden)
-LA GUERRA AL SEPARATISMO UIGURO NELLA PERIFERIA CINESE
La questione di questa minoranza etica cinese degli uiguri e le problematiche che questa
minoranza sta vivendo con riferimento alla tutela dei diritti umani in Cina.
È una etnia? Se è un’etnia perché non può essere un genocidio? Le gravi sofferenze sono
perpetuate. Sicuramente non rientra nella nozione di gruppo culturale protetto dalla
convenzione contro il genocidio, però essendo un gruppo etnico in virtù di quello sarebbe
protetto.
Vuol dire eliminare l'identità culturale, ci sono già state sentenze in questo senso. In
qualche modo non elimini fisicamente le persone, ma elimini l'etnia perché eliminandone i
tratti caratteristici piano piano nel tempo vieni meno l'etnia stessa. Quindi, non è
un’eliminazione fisica delle persone, ma dei tratti etnici sì. E poi l'altro aspetto messo in
luce è quello religioso, perché infatti questa è una minoranza musulmana.
Perché il Kirkistan è parte invece allo statuto della Corte.
È una questione di cui si parla ma non si può parlare. E quindi non è così nota.
Due annotazioni sulla presentazione: uno ha a che fare con il titolo di apertura ‘’
separatismo uiguro’’, dal punto di vista giuridico il separatismo è un termine non tecnico.
Il termine giuridico sarebbe ‘’gravi violazioni dei diritti umani’’. Si può parlare di
autodeterminazione? La professoressa personalmente parlerebbe di gravi violazioni dei
diritti umani in questa regione.
Convenzione per la prevenzione e la repressione del genocidio:
6:10
Lezione lunedì alle 14:30 solo online.
-17.05.2021
-LEZIONE FINALE
La prima questione che deve essere chiara è la differenza fra alcuni aggettivi che di solito
confondiamo e questi sono: LEGALE, GIUDIZIARIO e GIURIDICO. Spesso li usiamo
come sinonimi ma in realtà non lo sono.
Il termine legale deriva da legge. Quindi, è legale tutto ciò che è relativo alla legge. Legge
non diritto, quindi legge intesa in senso formale, quindi quell’atto che è espressione della
volontà di un parlamento. Ora questo aggettivo in diritto internazionale non deve essere
usato perché in diritto internazionale non vi è un Parlamento che emana una legge. Le
fonti del diritto internazionale sono consuetudini, trattati e fonti derivate dai trattati.
Quindi, anche se troviamo su internet in qualche articolo di diritto internazionale questo
aggettivo noi non lo utilizziamo, è un uso errato. A volte lo troviamo in inglese legal, perché
nell’inglese giuridico effettivamente il termine legal è molto più utilizzato rispetto al nostro
aggettivo giuridico che è quello che invece andrebbe utilizzato.
Quindi, nel diritto internazionale l’aggettivo legale non va mai utilizzato. A seconda del
caso dobbiamo utilizzare l’aggettivo giuridico o giudiziario. Quale è la differenza?
Giuridico è qualcosa relativo al diritto. Un termine giuridico è un termine che ha a he fare
con il diritto.
Invece, giudiziario è un aggettivo che indica il giudice. Quindi, è qualcosa relativa ai
giudici, e non relativa al diritto in senso lato. Giudiziario deriva da giudice.
Quindi, giudiziario è relativo ai giudici (il potere giudiziario non dite potere giuridico). Il
potere giudiziario, legislativo, esecutivo.
Giuridico invece è tutto ciò che ha a che fare con il diritto.
Tornando alla questione dell’aggettivo legale, precisiamo che l’espressione legge
internazionale è errata. La troviamo, i giornalisti la usano (ai sensi delle leggi
internazionali). Non esiste una legge internazionale, esiste il diritto internazionale come
insieme di regole o norme internazionali. Quindi, in altre parole al diritto internazionale
possiamo anche fare rifermento come un insieme di norme o regole. C’è una piccola
distinzione tra il termine norma e regola, ma ai nostri fini va bene se li utilizziamo come
sinonimi. Quindi, ai sensi delle norme internazionali possiamo dire, ma certamente non
dobbiamo utilizzare l’espressione legge internazionale.
Quindi, per lo stesso motivo anche il termine legislativo in diritto internazionale non può
avere spazio il termine legislativo, va sostituito con il termine normativo in linea generale.
Poi l’altro termine sul quale facciamo spesso confusione è il termine giurisdizione. Anche
questa è una delle fondamentali funzioni dello stato ed infatti ha a che fare con il potere di
tribunali di pronunciarsi su un determinato caso. La giurisdizione, quindi, è una delle
funzioni fondamentali dello stato che ha per oggetto il potere dei giudici di pronunciarsi su
un determinato caso. Quindi, abbiamo la giurisdizione civile, abbiamo la giurisdizione
penale. Però noi questo termine lo abbiamo anche utilizzato con riferimento ai limiti entro
i quali i poteri dello stato possono esercitarsi. Abbiamo parlato di giurisdizione territoriale,
di giurisdizione universale, di giurisdizione basata sulla nazionalità attiva o passiva.
Quindi, questi sono i limiti: il limite territoriale, o il limite della nazionalità attiva o passiva
sono i limiti entro i quali i poteri dello stato possono esercitarsi. Questo è un altro
significato del termine giurisdizione.
Infine, altro termine su cui facciamo spesso confusione è quello di giurisprudenza. Che
cos’è la giurisprudenza? È l’insieme delle sentenze, decisioni e ordinanze di una Corte o di
un tribunale. Quindi, quando parliamo della giurisprudenza della Corte interamericana dei
diritti dell’uomo faccio genericamente riferimento a tutte le sue sentenze e decisioni.
Quando facciamo riferimento alla giurisprudenza della Corte di cassazione italiana lo
stesso. Infatti, a volte parliamo addirittura di giurisprudenza internazionale, quindi
facciamo riferimento alla giurisprudenza di tutti i tribunali e corti internazionali. Oppure
giurisprudenza italiana e così via. Quindi, la giurisprudenza è l’insieme delle sentenze,
decisioni, ordinanze e quant’altro pronunciate da una Corte o da un tribunale.
-Errori frequenti:
 ricordare la differenza tra Consiglio d’Europa e Consiglio dell’Unione Europea. O in
linea generale tra il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea. Nell’ambito dei diritti
umani, nel nostro corso abbiamo parlato di Consiglio d’Europa, l’Europa di 47
membri. Quell’organizzazione internazionale che ha sede a Strasburgo, nata nel ’49
prima dell’unione europea, prima della Comunità economica europea proprio con la
finalità di promuovere i diritti umani, lo stato di diritto e la democrazia sull’intero
continente europeo. L’unione europea invece sappiamo bene che cos’è.
 Di conseguenza non dobbiamo fare confusione fra la Corte europea dei diritti
dell’uomo e la Corte di giustizia europea. La prima è un organo del Consiglio
d’Europa, la Corte di giustizia europea è un organo dell’unione europea.
Il Consiglio d’Europa è
11:30