Roma, 08/10/2020
FARMACOLOGIA (Mancuso Cesare)
Valentina Romano
PRINCIPI DI BASE – COME SI SOMMINISTRANO I FARMACI
Terminologia
Farmaco  qualsiasi sostanza chimica che interagisce con la materia vivente
Farmacologia  Studio dei farmaci e delle loro interazioni
Farmacologia clinica  applicazione dei farmaci sull’uomo a scopo profilattico (vaccino: un vaccino è un
farmaco che non viene somministrato per curare, ma per prevenire l’insorgenza di una malattia) e
diagnostico (quando sentiamo parlare del paziente che è stato sotto mezzi di contrasto etc non vengono
somministrati per curare, ma per diagnosticare la malattia)
Proprietà ideali di un farmaco
1) Efficacia
2) Sicurezza  nessun farmaco è sicuro al 100%
3) Selettività  solo relativa (tutti i farmaci causano effetti indesiderati); esempio: l’aspirina, se usata
con efficacia e in maniera sicura, andrà sicuramente a ridurre il dolore, ma, d’altra parte non posso
impedire che favorisca altri effetti sull’organismo
4) Altre  Reversibilità, facilità di somministrazione, scarse interazioni, economicità, stabilità
Nome farmaci
-
Nome chimico  lungo, descrive la struttura del farmaco (N-acetil-para-aminofenolo)
Nome generico  più semplice (Paracetamolo)
Nome commerciale  nomi multipli a seconda della casa farmaceutica che lo commercializza
(Tachipirina)
Vie di somministrazione: NATURALI (sfruttano le barriere naturali) e ARTIFICIALI (utilizzano dispositivi)
NATURALI
1) Enterale  attraverso il tratto digerente, ossia
- Orale (per bocca, per os, PO); 10-90 minuti per l’inizio dell’attività farmacologica; modificabile dalla
digestione e l’assorbimento
- Sublinguale (sotto la lingua, SL); 3-5 minuti per l’inizio dell’attività farmacologica
- Rettale (attraverso il retto); 5-30 minuti per l’inizio dell’attività farmacologica
NB: il farmaco per via orale va somministrato né troppo caldo né troppo freddo; alcuni vanno
assunti dopo un pasto ricco, altri dopo un pasto adeguato. La differenza tra farmaco orale e
sublinguale consiste nel fatto che il farmaco somministrato per via orale deve passare tutta la
digestione e l’assorbimento, mentre il farmaco per via sublinguale segue delle vene a livello del
pavimento che sono tributarie della vena cava superiore (quindi giungono direttamente in circolo).
Nel caso della somministrazione per via rettale, per 2/3 il farmaco salta lo step dell’assorbimento e
arriva direttamente nella vena cava inferiore attraverso il plesso rettale, tramite la spinta delle vene
rettali inferiore e superiore.
2) Cutanea  sfrutta la cute, ed è suddivisa nella via
- Topica (localizzata): il farmaco viene applicato sulla zona di cute interessata. L’assorbimento
sistemico è minimo (pomate, unguenti), fatta eccezione per la via transmucosale; oppure parliamo
di colliri
- Transdermica (generalizzata): il farmaco viene applicato sulla cute, ma viene assorbito per svolgere
una funzione sistemica (cerotto); sono necessari 5-30 minuti per l’inizio dell’attività farmacologica,
che è prolungata nel tempo. Non garantisce un effetto rapido, ma lo rilascia in maniera prolungata.
ARTIFICIALI
1) Parenterali: sottocutanea (1/3 ml, 15-30 minuti, farmaci in soluzione o sospensione acquosa),
intramuscolare (volume massimo 5 ml*, soluzioni o sospensioni acquose/oleose, o emulsioni, 1020 minuti, somministrazione nel quadrante supero esterno del gluteo, deltoide, vasto laterale della
coscia)
* Se vado oltre i 3 ml, arrivo alla massima tensione muscolare e la possibilità del farmaco di essere
assorbito è bassa
2) Ionoforesi: sfrutta l’energia elettrica continua per introdurre e veicolare farmaci direttamente nella
zona che ha bisogno di essere trattata, limitando l’effetto sistemico. Utilizzata per patologie
degenerative (artrosi), infiammatorie (artriti, tendiniti), nevralgie, pubalgia, lombalgie, osteoporosi.
Controindicata per donne in gravidanza, portatori di pace-maker o protesi, con lesioni cutanee,
affetti da epilessia. Mi serve, quindi, il farmaco in soluzione acquosa; poi devo preparare l’elettrodo
e la spugnetta, imbevuta di acqua distillata (l’acqua aumenta il passaggio di corrente), cominciare
ad erogare corrente piano piano (range del paziente: deve sentire un lieve formicolio) e
successivamente attendere circa 15/20 minuti.
3) Ultrasuonoforesi: utilizzo biologico degli ultrasuoni a scopo terapeutico. La penetrazione delle onde
sonore attraverso i tessuti ha un’azione di tipo meccanica (micro massaggio) e consente
l’assorbimento di alcuni farmaci (gel) con effetto analgesico ed antinfiammatorio, decontratturante
(rilascio muscolare) e trofico (riassorbimento di ematomi, eliminazioni di calcificazioni, guarigione
dei tessuti); stesse indicazioni e controindicazioni della ionoforesi.
FARMACOCINESI
Leggi che regolano “il destino” del farmaco. La farmacocinetica è la branca della farmacologia che studia ed
include 4 processi denominati ADME (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione)
-
ASSORBIMENTO  il principio attivo passa dalla parete intestinale, in cui avviene il processo di
assorbimento, al circolo. Eccezione: via endovenosa! Lì l’assorbimento non c’è perché tramite la
siringa già ho iniettato il farmaco nel circolo. (By Lorenza: l’unica via con assorbimento al 100% è la
via endovenosa, mentre per tutte le altre vie è di una frazione più o meno elevata del 100%).
L’assorbimento consiste: nella diffusione passiva (secondo gradiente di concentrazione, senza
dispendio di energia) di sostanza liposolubili, e nel passaggio transmembrana tramite carrier
(trasporto attivo).
ASSORBIMENTO E IONIZZAZIONE: Farmaco non ionizzato  elevata liposolubilità  diffonde più
facilmente attraverso le membrane; Farmaco ionizzato  scarsa liposolubilità, e maggiore
idrosolubilità  non diffonde bene attraverso le membrane (più il farmaco è neutro, meglio
attraverso le membrane, perché il coefficiente di ripartizione olio acqua è basso; più si ionizza
meno facilmente attraverserà le membrane)
-
-
-
DISTRIBUZIONE  il farmaco dal circolo, ad esempio, splancnico deve andare a distribuirsi in tutto
l’organismo e circolazione sistemica. La distribuzione è strettamente collegata alla biodisponibilità,
che è una frazione che si può esprimere in percentuale che indica quanto farmaco arriva
immodificato all’organo bersaglio. Ipotizziamo che io assuma una capsula, che tiene 100 molecole
di farmaco: quando arriva allo stomaco, dove incontra sostanze che ne distruggono la percentuale,
passiamo a 95; dopo di che arriviamo nell’intestino, dove c’è la flora che elimina, e lì diminuiamo ad
85; dal circolo splancnico, giungiamo alla vena porta fino alla vena cava inferiore, e siamo arrivati a
60. Allora il farmaco che ho ingerito avrà una biodisponibilità del 60%. Quindi la biodisponibilità è
in funzione sia delle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco che della via di somministrazione,
così come il legame alle proteine del plasma. Infatti, molti farmaci si legano alle proteine
plasmatiche, soprattutto l’albumina (diazepam, digitossina, furosemide), e tale legame alle
proteine limita la distribuzione del farmaco perché pesa di più e quindi un farmaco che si lega
diffonde meno bene rispetto ad un farmaco che non si lega.
METABOLISMO: svolto l’effetto terapeutico, il farmaco dovrà essere eliminato. Prima, però,
affinché l’eliminazione sia efficace, devono essere affrontate una serie di modifiche, che prendono
il nome di metabolismo. Il metabolismo rende il farmaco più idrosolubile, così da essere più
facilmente eliminato, in quanto non assorbito. Il metabolismo può avvenire in due maniere: o
tramite Citocromo p450, ovverosia una famiglia di enzimi che si trova nel fegatoe che trasforma il
farmaco in idrosolubile sulla base della sua stessa struttura, tramite reazioni di ossidoriduzione
(reazioni di fase I); o tramite Reazioni di coniugazione, ovvero quando un farmaco porta con se
acido glicuronico, o gruppi solfato, o l’acido acetico o glutatione. In tutti questi casi il farmaco ha la
possibilità di diventare idrosolubile con l’aggiunta di molecole alla sua stessa struttura (reazioni di
fase II)
Conseguenze del metabolismo  i metaboliti possono avere: ridotta attività, attività pari a quella
del farmaco parente , aumentata attività (profarmaci, ovvero farmaci che per essere efficaci
devono essere metabolizzati e in questo caso il metabolismo serve per renderli attivi ), proprietà
tossiche.
ELIMINAZIONE: via renale o via epatica/biliare. Più rare quella polmonare e quella cutanea.
RENALE tramite  Filtrazione glomerulare (farmaci più grandi) e secrezione tubulare
EPATICA tramite  Feci. L’eliminazione per via epatica dipende dal flusso ematico del fegato e
dalla funzionalità epatica (attività degli enzimi detossificanti); Fattori che riducono l’eliminazione
epatica: età avanzata, giovane età, terapia farmacologica (inibitori/induttori enzimatici), danno del
tessuto epatico (cirrosi)
EMIVITA DI UN FARMACO: tempo necessario affinché le concentrazioni del farmaco si riducano del 50%.
Consente di stabilire il corretto intervallo fra le dosi di un farmaco. Quindi, capisco se deve essere assunto
ogni 6 ore, ogni 12 ore, una volta al giorno, etc. Più l’intervallo posologico è vicino all’emivita, più
facilmente il farmaco raggiunge lo stato stazionario (ossia il mantenimento di concentrazione ematica
stabile) che raggiungo dopo 4/5 emivite. Di solito si somministrano 4 dosi ogni 6 ore.
FARMACODINAMICA
Studia le modifiche indotte dai farmaci sulle strutture viventi, attraverso interazioni recettoriali e non, al
fine di esplicitare azioni e meccanismi di tipo terapeutico. La farmacodinamica, in poche parole, spiega ciò
che accade una volta che il farmaco arriva all’organo bersaglio e deve dare origine ad un effetto.
Ripasso dei recettori: componenti molecolari dell’organismo con cui il farmaco interagisce per determinare
i suoi effetti, ovvero componenti di sistemi biologici con cui il farmaco interferisce per determinare
modifiche nella funzione del sistema stesso.
Classificazione farmaci:
1) Farmaci agonisti  farmaco che si lega al proprio recettore in maniera sfericamente perfetta, ed in
seguito al legame fa sì che il recettore venga ad essere attivato e dà origine agli effetti
farmacologici. Esempio classico è la morfina.
2) Farmaci antagonisti  farmaco che ha una struttura simile a quella del recettore, ma che non si
lega perfettamente ad esso. Non legandosi al recettore perfettamente, non lo attivano. E come
danno la risposta terapeutica? Una volta legati al recettore, impediscono che ad esso si uniscano i
farmaci agonisti. Sono suddivisi in due categorie: competitivi (o reversibili) e non competitivi (o
irreversibili). I competitivi si legano al proprio recettore ed impedisce che ad esso si leghi
l’agonista, ma se l’agonista viene prodotto in grandi quantità esso sarà in grado di spostare
l’antagonista dal recettore, legarsi e dare origine ad un effetto terapeutico; i non competitivi, una
volta legati al recettore, non possono più essere spiazzati (legame covalente, molto forte), quindi
anche qualora arrivassero grandi quantità di agonista, non si può più sciogliere il legame.
3) Farmaci agonisti parziali  farmaco che a basse dosi si comporta da agonista, mentre a dosi più
alte si comportano da antagonisti (soprattutto competitivi). Esempio classico è la pentazocina.
CURVA DOSE-RISPOSTA
Ha sull’asse delle x la dose di farmaco somministrato espressa in scala logaritmica, e sull’asse delle y c’è la
percentuale dell’effetto farmacologico massimo. L’utilizzo della scala logaritmica consente di avere una
curva sigmoide, le cui caratteristiche sono di avere tre momenti:
1) Per le dosi più basse, l’effetto aumenta lentamente
2) Con l’aumentare delle dosi, l’effetto aumenta in maniera rapida e ripida
3) Per dosi ancora più elevate, l’effetto massimo tende ad appiattirsi e ad arrivare al plateau, oltre il
quale l’effetto non è più in grado di aumentare.
Di questa curva io posso calcolare l’Ec50, ossia la concentrazione di farmaco alla quale si ottiene il 50%
dell’effetto massimo. Con 100 mg di farmaco io avrò il 50% dell’effetto terapeutico massimo.
Parametri curva dose-risposta:
-
Potenza  la quantità di farmaco necessaria per dare origine all’azione terapeutica
Efficacia  l’entità dell’azione farmacologica, ed è legata alle caratteristiche intrinseche del
farmaco
la relazione dose-risposta è graduale. Cioè, all’aumentare del dosaggio, la risposta diviene
progressivamente più grande. Poiché le risposte farmacologiche sono graduali, gli effetti terapeutici
possono essere aggiustati per andare incontro ai bisogni di ogni paziente. Per tagliare su misura il
trattamento per un determinato paziente, tutto ciò che dobbiamo fare è aumentare o abbassare il dosaggio
fino a che non si ottiene la risposta di intensità desiderata. Se le risposte farmacologiche fossero tutto-onulla invece che graduali, i farmaci avrebbero potuto produrre solo una intensità di risposta. Se quella
risposta fosse stata troppo forte o troppo debole per un determinato paziente, non avremmo potuto fare
nulla per modificare l’intensità in modo da trattare al meglio il paziente. Chiaramente, la natura graduale
della relazione dose-risposta è essenziale per il successo della terapia farmacologica.
Interazione agonista-antagonista: abbiamo tre curve. La prima curva è la curva di un farmaco agonista (A),
la seconda curva (B) è di un farmaco agonista in presenza di un antagonista competitivo. Proprio perché
l’antagonista competitivo può essere spiazzato per grosse dosi di farmaco agonista, se vado ad aumentare
la quantità di farmaco agonista somministrato, essa sarà in grado di spiazzare l’antagonista competitivo
dando origine allo stesso effetto massimo. Cosa cambia? L’Ec50, quindi la quantità di agonista necessario
per dare origine all’effetto, che risulta elevata in quanto è stato indispensabile eliminare l’antagonista,
legarsi al recettore e dare origine all’effetto. Al contrario, nell’altra curva (C) tra agonista e antagonista non
competitivo, l’antagonista non competitivo si sarà legato al recettore in maniera stabile e covalente in
modo tale che l’agonista, pur arrivando in grandi quantità, non sarà stato in grado di spiazzarlo e dare
l’effetto massimo (che è di gran lunga minore rispetto a quello dell’antagonista competitivo).
FARMACI DEL SISTEMA COLINERGICO
Noi siamo dotati di sistema nervoso somatico e sistema nervoso vegetativo (o autonomo). Il somatico è
sotto il controllo della ragione, mentre l’autonomo regola tutta una serie di attività fondamentali che non
sono sotto il controllo della volontà, come la peristalsi, la respirazione, la curvatura del diametro del
cristallino. L’autonomo a sua volta è diviso in sistema nervoso simpatico e parasimpatico. In entrambi i casi,
si devono tenere in considerazione:
1) Neurone pre-gangliare  recettore: acetilcolina
2) Ganglio  paravertebrale o già posto nell’organo bersaglio
3) Neurone post-gangliare  recettore: acetilcolina (se parasimpatico) e noradrenalina (se simpatico)
I farmaci del sistema colinergico sono quelli che hanno lo stesso effetto dell’ACETILCOLINA.
AGONISTI COLINERGICI
Sono di due tipi:
1) Diretti  legano e attivano direttamente i due tipi di recettore del sistema colinergico, ossia i
muscarinici e nicotinici. Si dividono in due grandi famigli:
- Esteri della colina, che sono 5: acetilcolina, metacolina, carbacolo, betanecolo e la succinilcolina.
L’acetilcolina e il carbacolo hanno azione sia sui muscarinici sia sui nicotinici; la metacolina e il
betanecolo hanno attività sul solo recettore muscarinico. Tutti e quattro sono dotati di un atomo di
ammonio quaternario (tutti ioni positivi) e l’assorbimento è molto molto ridotto. Deve avvenire per
via inalatoria o via artificiale.
Suscettibilità: il carbacolo e il betanecolo non sono suscettibili all’attività delle colinesterasi, ma
sono suscettibili l’acetilcolina e la metacolina. La succilincolina è idrolizzata dallo
pseudocolinesterasi, che si trova a livello plasmatico che epatico.
-
Alcaloidi, che sono la nicotina, muscarina, pilocarpina, lobelina, e vengono assorbiti molto bene per
la loro struttura terziaria. Attivano sia i nicotinici che i muscarinici.
-
Vareniclina (agonista parziale nicotinico)
2) Indiretti  inibiscono l’acetilcolinesterasi (enzima che si trova all’interno della fessura sinaptica e
va a degradarla dopo che ha avuto effetto) aumentando la quantità di acetilcolina disponibile nella
fessura sinaptica, che a sua volta stimola i recettori muscarinici e nicotinici. Sono divisi in:
- Alcaloidi semplici, come l’edofronio
-
Esteri dell’acido carbammico, come fisostigmina, neostigmina (somministrata per via artificiale),
piridostigmina
-
Organofosfati, come ecotiopato, paratione e malatione (che sono piuttosto dei tossici perché
vengono utilizzati in agricoltura come diserbanti). Vengono eliminati tramite le esterasi
plasmatiche. Gli altri farmaci per via renale
NB: i nicotinici stanno sulla giunzione neuromuscolare; quelli muscarinici a livello del cuore, neuroni
centrali, cellule muscolari lisce, ghiandole esocrine, endotelio e sistema nervoso centrale. I muscarinici sono
transmembrana, i nicotinici sono recettori canale.
Il legame all’acetilcolinesterninasi dura 15 minuti, la sfigmina 2 ore, la pirido 6 ore
EFFETTI DEGLI AGONISTI COLINERGICI
1) Ghiandole esocrine  aumentano la secrezione
2) Occhio  contrazione del muscolo sfintere dell’iride (miosi), del muscolo ciliare (accomodazione),
facilitazione del deflusso di umor acqueo
3) Cuore  Effetto cronotropo negativo (nodo SA, recettore M2), Effetto ionotropo negativo e
riduzione del periodo refrattario, effetto dromotropo negativo ed aumento del periodo refrattario
(nodo AV), riduzione della pressione arteriosa con attivazione simpatica riflessa
4) Vasi  Dilatazione di arterie e vene (mediata da NO), costrizione arteriosa e venosa solo per alte
dosi (effetto diretto).
5) Sistema respiratorio  contrazione della muscolatura liscia bronchiale
6) Tratto gastrointestinale  aumento della peristalsi dell’intestino (recettori M2,M3), rilasciamento
della maggior parte degli sfinteri
7) Tratto genito-urinario  stimolazione del muscolo detrusore della vescica (recettori M2,M3),
rilasciamento del trigono e dello sfintere vescicale
8) Sistema nervoso centrale  Tremore, ipotermia, stimolazione dell’appetito, aumento della massa
corporea, lieve stimolazione (dosi basse di nicotina attraverso il recettore Nn; agonisti indiretti
liposolubili); Tremore, emesi, stimolazione del centro del respiro (dosi intermedie di nicotina);
convulsioni, coma (dosi elevate di nicotina; agonisti indiretti liposolubili)
9) Sistema nervoso periferico  Gli agonisti nicotinici attivano i gangli simpatici e parasimpatici con
stimolazione del neurone post-gangliare. Nel sistema circolatorio prevalgono gli effetti
simpacomimetici (ipertensione, tachicardia), mentre nel tratto gastrointestinale e urinario quelli
parasimpatici.
10) Giunzione neuromuscolare  Gli agonisti nicotinici causano depolarizzazione della placca motrice
per aumento della permeabilità agli ioni sodio e potassio. La risposta contrattile varierà passando
da fascicolazioni disorganizzate a contrazioni dell’intero muscolo. La succinilcolina (formata da due
molecole di acetilcolina unite fra loro fa sì che sia molto poco liposolubile e quindi somministrabile
per via endovenosa) determina paralisi neuromuscolare con un duplice meccanismo:
BLOCCO IN FASE 1: legame al recettore nicotinico e sua attivazione. La placca motrice viene così
depolarizzata. Poiché la succinilcolina viene degradata più lentamente dell’acetilcolina, la
membrana rimane depolarizzata per un tempo maggiore. L’effetto è la paralisi flaccida.
BLOCCO IN FASE 2: man mano la depolarizzazione tende a ridursi e la membrana si ripolarizza, ma
non può essere depolarizzata dall’acetilcolina, in quanto il recettore è ancora occupato dalla
succinilcolina.
MICETISMO
Frequente a seguito dell’ingestione di funghi appartenenti al genere Inocybe e Clytocibe ricchi di
muscarina. I sintomi da intossicazione si manifestano entro 30-60 minuti dall’ingestione e comprendono
salivazione, lacrimazione, nausea, vomito, disturbi visivi, coliche addominali, broncospasmo e bradicardia.
Si somministra atropina 1-2 mg intramuscolo ogni 30 minuti.
INDICAZIONI FARMACI AGONISTI COLINERGICI
1) Miastenia gravis  edrofonio, piridostigmina, neostigmina
L’edrofronio inibirà l'acetilcolinesterasi così da portare all'aumento dell'acetilcolina, che a sua volta
sposterà l’autoanticorpo e quindi l'acetilcolina si potrà legare. Là si effettuerà la contrazione. Viene
effettuata solo come prova poiché la terapia farmaceutica volge più alla piridostigmina, in quanto
garantisce un effetto più prolungato
2) Paralisi neuromuscolare  succinilcolina
3) Glaucoma ad angolo aperto  pilocarpina, carbacolo, fisostigmina. Determinano contrazione del
muscolo ciliare, apertura della rete trabecolare, ed aumentano il drenaggio.
4) Glaucoma ad angolo chiuso  pilocarpina
CONTROINDICAZIONI FARMACI AGONISTI COLINERGICI
1) Sono spesso estensione degli effetti terapeutici
2) Gli esteri della pilocarpina e colina, a dosi eccessive, causano nausea, vomito, diarrea, salivazione,
stimolo alla minzione, sudorazione, vasodilatazione cutanea e broncocostrizione.
3) La nicotina a dosi tossiche può dare origine ad ipertensione ed aritmie cardiache . L’azione
stimolante centrale e la depolarizzazione della placca motrice possono esitare in convulsioni, coma
ed arresto respiratorio.
4) L’intossicazione da inibitori di acetilcolinesterasi si manifesta con miosi, vomito, diarrea. Segue il
blocco neuromuscolare depolarizzante.
5) La succinilcolina può causare aumento della pressione endoculare ed endogastrica, dolore
muscolare, ipertermia, broncospasmo.
ANTAGONISTI COLINERGICI
A) MUSCARINICI: divisi in
- Naturali (atropina, scopolamina)
- Ammine terziarie  ad uso centrale (benztropina), ad uso periferico (pirenzepina, diciclomina,
tropicamide)
- Derivati ammonici quaternari  in ambito gastrointestinale (propantelina, glicopirrolato),
nell’asma (ipratropio)
B) NICOTINICI:
-
Derivati del curaro  Isochinolinici (D-turbocuranina, atracurio, doxacurio), steroidei (pancuronio,
vecuronio, pipecuronio, rocuronio)
FARMACOCINETICA DEGLI ANTAGONISTI NICOTINICI
EFFETTI DEGLI ANTAGONISTI MUSCARINICI
1) Ghiandole esocrine  riduzione della secrezione
2) Occhio  midriasi, cilioplegia, rischio di precipitazione di un attacco di glaucoma acuto
3) Sistema cardiovascolare  Nel nodo SA: bradicardua transitoria in caso di basse dosi di atropina
(0,4/0,6). Tachicardia in caso di 2 mg atropina intramuscolo. La scopolamina determina bradicardia
più marcata rispetto all’atropina.
Nel nodo AV: riduzione dell’intervallo PR dell’ECG
Vasodilatazione cutanea (rossore da atropina)
4) Sistema respiratorio  broncodilatazione
5) Tratto gastro-intestinale  riduzione del tono e dei movimenti propulsivi: prolungamento del
tempo di svuotamento gastrico e di transito intestinale
6) Apparato genito -urinario  rilasciamento della muscolatura liscia degli ureteri e della vescica con
rallentamento della svuotamento vescicale
7) Sistema nervoso centrale  L’atropina ha un lieve effetto sedativo sul cervello , mentre la
scopolamina ha effett centrali più marcati(sonnolenza e amnesia). A dosi tossiche, entrambe
causano agitazione, allucinazione e coma.
La benztropina e triesifenidile riducono gli effetti dell’acetilcolina sul tratto nigro-striatale; la
scopolamina interferisce con la neurotrasmissione colinergica
8) Giunzione neuromuscolare  paralisi della muscolatura scheletrica. I muscoli addocminali, del
tronco, paraspinoso e diaframma sono i più resistenti al blocco e recuperano prima rispetto a
muscoli più piccoli (viso, piede e mano)
FARMACOLOGIA CLINCA DEGLI ANTAGONISTI COLINERGICI
● Morbo di Parkinson  benztropina e triesifinidile
● Asma bronchiale, BPCO  ipratropio, tiotropio
● Sindromi da ipermotilità intestinale  scopolamina , atropina /difenossilato
● Disturbi urinari  Ossibutinina, solifenacina, tolterodina
● Midriasi ed esame rifrattivo  per gli adulti e bambini più grandi : ciclopentolato (durata 1 giorno)
tropicamide (durata 6 h); per i bambini più piccoli può, talvolta, essere necessario usare atropina che ha
però una durata dell’effetto più prolungata (alcuni giorni). NB: I FARMACI ANTIMUSCARINICI NON
DOVREBBERO MAI ESSERE USATI PER OTTENERE MIDRIASI, A MENO CHE NON SIA RICHIESTA LA
CICLOPELEGIA O UNA DURATA D’AZIONE PROLUNGATA
● Prevenzione della formazione di sinechie nel caso di uveiti e iriti  omatrpoèina (dura qualche giorno )
EFFETTI COLLATERI ANTAGONISTI COLINERGICI MUSCARINICI
● Sono spesso estensione degli effetti terapeutici
● Negli adulti, l’atropina può essere considerata un farmaco sicuro
● In caso di intossicazione si verifica secchezza delle fauci, midriasi, tachicardia, cute calda e arrossata,
agitazione e delirio. Spesso si associa ipertermia
● Nei bambini 2mg di atropina possono essere letali
● Il sovradosaggio di atropina si giova della somministrazione di fisostigmina in infusione endovena lenta a
dosi di 1-4 mg negli adulti e 0,5-1 mg nei bambini.
● La somministrazione di antagonisti colinergici è controindicata in pazienti con glaucoma ad angolo chiuso,
ipertrofia prostatica e ulcera gastrica
EFFETTI COLLATERLI ANTAGONISTI COLINERGICI NICOTINICI
● Pancuronio, atracurio e mivacurio possono indurre ipotensione, dovuta alla liberazione sistemica di
istamina. Il pancuronio causa anche aumento moderato della frequenza e gittata cardiaca
● Broncospasmo da mivacurio
● Gli anestetici inalatori potenziano il blocco muscolare da curarici
● Evitare l’uso contemporaneo di amminoglicosidi (farmaci antibatterici) ed altri farmaci con attività sulla
placca motrice
FARMACI DEL SISTEMA ADRENERGICO
-
Stimolano gli effetti dell’attività nervosa adrenergica: farmaci agonisti o simpaticomimetici (un
farmaco che imita gli effetti l’attività del sistema nervoso simpatico)
Bloccano gli effetti dell’attività nervosa adrenergica: bloccanti o antagonisti
FARMACI AGONISTI ADRENERGICI
possono essere suddivisi in:
1) Diretti  si legano al recettore, attivandolo e dando origine ad una risposta simpatico-mimetica.
Sono la Fenilefina, l’Acetilcolina e la metacolina
2) Indiretti  sono quelli che agiscono, non legandosi al recettore, ma secondo dei meccanismi
diversi, come:
- Il favorire il rilascio di catecolamine preformate e immagazzinate nelle vescicole, e rilasciate nella
fessura sinaptica (es: anfetamine)
-
Inibendo la ricaptazione delle catecolamine rilasciate all’interno della fessura sinaptica: di solito
queste vengono ricaptate e fatte rientrare nel neurone presinaptico; se blocco questo fenomeno, le
catecolamine rimangono nella fessura e stabiliscono un contatto più duraturo con il neurone post
sinaptico.
- Inibendo il metabolismo enzimatico della noradrenalina ad opera dell’enzima MAO.
3) Misti
RECETTORI DEGLI AGONISTI ADRENERGICI: sono di tre tipi
1) Alpha  divisi in recettori alpha1 e aplha2: gli alpha1 stanno sulla muscolatura liscia,
determinandone contrazione; gli alpha2 stanno sulle terminazioni nervose adrenergiche e, una
volta stimolati, inibiscono il rilascio di noradrenalina
2) Beta  divisi in beta1 e beta2; i beta1 stanno sul cuore e stimolati sono in grado di determinare
aumento della frequenza cardiaca, la forza di contrazione, la velocità di conduzione
atrioventricolare e la pressione arteriosa sui vasi e sull’occhio ; i beta2 stanno sulla muscolatura
liscia con effetto opposto agli alfa1, quindi hanno effetto di rilascio su di essa e, sono target di
farmaci antiasmatici, assunti da pazienti con BPCO o asma (determinano broncodilatazione).
3) D (legano la dopamina)  i D1 sono situati sui vasi cutanei, muscolari, renali, cerebrali; i D2 stanno
a livello del SNC
TABELLA:
-
Fenilefrina = agonista che lega i recettori alfa1, poco gli alfa2, e non interagisce affatto con i beta
Noradrenalina = agonista sui beta1, ha anche effetti sui recettori alfa1 e alfa2
Adrenalina = farmaco con effetti sia sugli alfa che beta (alpha1, alpha2, beta1, beta2)
Isoprenalina = è beta agonista, e non ha effetti sugli alfa
Salbutamolo = agonista beta2 adrenergico
Dopamina = si lega a D1 e D2; a dosi più elevate lega anche beta1, e ad ancora più alte agli alfa1
ADRENALINA: agisce su tutti i recettori alfa e beta.
Grazie all’interazione con gli alfa1 vaso-costringe la maggior parte dei vasi.
Aumenta la frequenza cardiaca, legata alla stimolazione dei recettori beta1.
Sulla pressione arteriosa cosa fa? Ad alte dosi, in cui permane l’azione di stimolo sui recettori alfa1
(vasocostrizione), l’adrenalina aumenta la pressione sistolica e diastolica, costringendo la
muscolatura scheletrica. A basse dosi, l’adrenalina andrà a vaso-rilasciare i vasi della muscolatura
liscia (azione mediata dai beta2), e determinerà un aumento della pressione arteriosa sistolica e
una riduzione della pressione arteriosa diastolica.
Coinvolta nel rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale mediante legame con i beta2. Infatti,
nello shock anafilattico, l’adrenalina risolve la situazione critica, dilatando i bronchi.
L’adrenalina è utile nella terapia del glaucoma ad angolo aperto, perché aumenta il drenaggio
dell’umor acqueo dall’occhio (si riduce la pressione intraoculare).
DIPINEFRINA: La dipinefrina dà origine all’adrenalina, che, in questo caso, favorisce il drenaggio e
quindi la crisi glaucomatosa passa. Utile, pertanto, nella terapia del glaucoma ad angolo aperto.
Sottoforma di collirio, però, l’assorbimento è sistemico e quindi l’effetto è sistemico, perciò va a
dilatare i vasi, ad esempio. Anche l’apraclomidina e la brimomidina sono ulteriormente utili nel
glaucoma ad angolo aperto. In particolare, sono agonisti alfa2 selettivi con un meccanismo che
riduce la pressione endoculare e con effetto neuro-protettivo diretto a carico del nervo ottico.
Vengono utilizzati per via topica.
FENILEFRINA: NON è una catecolamina. Quindi, a differenza dell’adrenalina, può essere assorbita
per via orale. Le catecolamine sono composti chimici derivanti dall'amminoacido tirosina. Le
catecolamine sono idrosolubili e sono legate per il 50% alle proteine del plasma, cosicché circolano
nel sangue. Le catecolamine più importanti sono l'adrenalina (epinefrina), la noradrenalina
(norepinefrina) e la dopamina. Le catecolamine sono rilasciate dalle ghiandole surrenali (midollo
surrenale) in situazioni di stress. Le catecolammine sono sintetizzate nel cervello - nelle
terminazioni simpatiche in ruolo di neurotrasmettitori. La fenilefrina è un agonista alfa1 puro.
L’uso principale è come decongestionante nasale, sotto forma di gocce o spray nasale, che
stimolano gli alfa1. E’ anche un midriatico, ossia non provoca cicloplegia, quindi consente
all’oculista di fare al meglio l’esame di fundus oculi. A differenza dei farmaci colinergici (atropina),
non ha effetto sul cristallino (quindi la messa a fuoco rimane garantita). Quando un farmaco viene
somministrato come collirio, si verifica un certo assorbimento del farmaco per via sistemica:
bisogna tener conto che la fenilefrina può avere come effetto collaterale un aumento della
pressione sistolica e diastolica a cui corrisponde una bradicardia riflessa. Questo è privo di
significato patologico nel soggetto giovane, ma pericolosi nel soggetto anziano.
FARMACI ANTAGONISTI ADRENERGICI
RECETTORI ANTAGONISTI ADRENERGICI:
-
-
-
Alpha antagonisti: come la Prazosina, terazosina, Fenossibenzamina, fentolamina, tolazolina, e
doxazosina.
La tamsulosina, la terazosina e la doxazosina bloccano il recettore alfa1. Serve ai pazienti con
ipertrofia prostatica benigna, sui quali favoriscono la diuresi.
La terazosina e la doxazosina fungono da farmaci ipertensivi.
Fenossibenzamina e fentolamina sono farmaci che non hanno impiego clinico comune, ma molto
raro e inusuale, come quello della prevenzioni di crisi ipertensive per pazienti che devono
sottoporsi ad asportazione del feocromocitoma, tumore delle cellule cromaffini che secernono
catecolamine, tipicamente localizzato nei surreni.
Beta antagonisti: come il metoprololo, acebutolo, alprenololo, atenololo, betaxololo, propanololo,
pentubololo e timololo.
Il metoprololo, l’alprenololo, l’acebutolo, l’atenololo, il betaxololo sono antagonisti beta1. Terapia
per l’ipertensione arteriosa.
Invece, il propanololo, timololo, il pindololo, etc. sono antagonisti aspecifici (lega sia i beta1 che
beta2): il propanololo è usato per la terapia dell’ipertensione, ma l’effetto anche sui recettori
beta2, in caso di pazienti che ne prendono a dosi più elevate, può causare una esacerbazione di una
broncocostrizione, perché, se blocco i beta2, allora posso precipitare in una broncocostrizione
(importate in soggetti asmatici, enfisematosi, etc).
Antagonisti misti: labetalolo (trattamento delle crisi ipertensive che non rispondono a trattamenti
standard), carvetilolo
TIMOLOLO: antagonista beta bloccante non selettivo; manca di qualsiasi effetto anestetico, ma sotto forma
di collirio può essere utilizzato nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto. È il principio attivo di molti
farmaci nella terapia del glaucoma, con recettori beta (soprattutto beta 1). Va ad aumentare il deflusso di
umor acqueo: tuttavia, NON dovrebbe essere utilizzato per tempi particolarmente lunghi, quindi, se la
quota in circolo aumenta, si potrebbe causare una sincope con caduta del paziente.
CONTROINDICAZIONI BETA BLOCCANTI:
-
Bradicardia sinusale
-
Blocco atrioventricolare
Diabete
Asma
Malattie vascolari periferiche
FARMACI DELLA TERAPIA DEL DOLORE
Il dolore è una sensazione spiacevole che si verifica nel momento stesso in cui noi avvertiamo il rischio di un
avvenimento sfavorevole, e soprattutto è soggettivo; perciò ognuno ha una soglia del dolore differente.
Non sempre si arriva a distinguere la soglia del dolore, e questo comporta che molte volte si fa una
sottovalutazione del dolore della persona che si trova davanti a noi. Il dolore, allora, si può misurare con
delle scale visuali, oppure tramite quantificazione da 1 a 10, oppure con i bambini si possono usare delle
scale pediatriche che presentano delle faccine rappresentati degli stati emozionali.
Il dolore grossolanamente lo si può suddividere in:
1) Nocicettivo: tutto ciò che si genera in seguito a stimoli dolorifici tramite nocicettori cutanei
2) Neuropatico: dolore che insorge per una determinata patologia (es. diabetico, sciatalgia). Su questo
dolore la possibilità di intervento è minimo.
L’anatomia del dolore presenta 2 componenti:
1) Cerebrale e corticale che ci consente di apprezzare il dolore per quantità, intensitàe quindi
localizzandolo e che ci permette se possibile di agire limitandolo
2) Limbica e emozionale
Questi due segnali si influenzano a vicenda. In maniera più approfondita: abbiamo il tratto spino-brachiale e
il tratto spino talamico. Questi tratti vanno a fornire informazioni sia a livello corticale sia a livello
sottocorticale/limbico, in modo tale che una volta che lo stimolo doloroso è stato evocato, possa essere
individuato nella sua sede e nella sua intensità (livello corticale), e di modo che le quello stimolo venga
ricordato grazie all’informazione di tipo emozionale (livello subcorticale).
Inoltre, tra le vie discendenti abbiamo il grigio peri-acqueduttale: è ciò che produce le endorfine, le
encefaline, che stimolano la regolazione endogena del dolore (oppioidi endogeni). In tutto questo discorso
dobbiamo sempre tenere a mente i principali MEDIATORI DEL DOLORE  prostaglandine, sostanza P, gli
amminoacidi eccitatori (glutammato).
CLASSI DI FARMACI:
1) Analgesici oppioidi
2) Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS)
VIE DI SOMMINISTRAZIONE DEGLI ANALGESICI OPPIOIDI E FANS:
NATURALI
-
Via orale: lo svantaggio è l’assorbimento ritardato
Sublinguale: il vantaggio è l’inizio rapido, ma ha lo svantaggio che non tutti i farmaci possono essere
somministrati per questa via
-
Transdermica: inizio non rapido, ma efficacia protratta nel tempo. Alcuni farmaci oppioidi vengono
somministrati per via transmucosale (lecca-lecca)
ARTIFICIALI
-
Intramuscolare: via occasionale; è più rapida della via orale, ma ha assorbimento ritardato e,
spesso, provoca dolore nel sito di somministrazione
Endovenosa: per il dolore acuto e utilizzato nelle esacerbazioni di dolore cronico e anche per le
forme di terapia palliativa.
OPPIOIDI
Il ruolo è prettamente analgesico, vanno ad agire solo sulla parte corticale del dolore riducendo la
percezione del dolore; mentre nel caso dei FANS (farmaci antiinfiammatori non steroidei) invece questo
effetto analgesico è legato esclusivamente al contrasto tra farmaci e infiammazione. Attenzione a non
confonderli con gli oppiacei, la cui differenza è che gli oppioidi sono tutti di derivazione dell’oppio, mentre
gli oppiacei sono sostanze da abuso mentre i primi sono farmaci.
Gli oppioidi endogeni vengono prodotti dal corpo, quali le endorfine, dalla sostanza grigia, da neuroni
intorno all’acquedotto del Silvio, il cui ruolo è quello di trasporto da livello centrale a livello periferico
attraverso il MS.
RECETTORI DEGLI OPPIODI:
1) Recettori Mu  sono localizzati nel talamo, caudato/putamen, amigdala, grigio peri-acqueduttale e
negli strati superficiali delle corna dorsali del midollo spinale; Funzione analgesica e regolazione
delle funzioni cardiovascolari e respiratorie
2) Recettori Delta  localizzati nel bulbo olfattorio, neocortex, caudato/putamen, e negli strati
superficiali delle corna dorsali del midollo spinale; Funzione analgesica, controllo della motilità
gastrointestinale , regolazione dell’apparato cardiovascolare
3) Recettori Kappa  localizzati nel talamo, ipotalamo, cortex e claustro; Funzione analgesica, diuresi,
funzioni neuroendocrine e immunitarie
4) Recettori N/OFQ  localizzati nel nervo olfattorio anteriore, cortex, ipotalamo, ippocampo,
amigdala, sostanza nera; Funzione nella nocicezione, risposta allo stress, controllo del sistema
immunitario
CLASSIFICAZIONE:
A seconda del loro legame con il recettore Mu, gli analgesici oppioidi possono essere divisi in:
AGONISTI  divisi a loro volta in agonisti a
1) Elevata potenza: morfina, metadone (per gli eroinomani), e fentanil (impiego soto forma di leccalecca per via transmucosale e transdermica)
2) Moderata potenza: farmaci come la morfina, ma meno efficaci. Possono antagonizzare l’effetto di
agonisti forti: tra questi abbiamo la codeina (si usa nel tachidol e si trova in alcuni sciroppi per la
tosse), l’idrocodone
AGONISTI-ANTAGONISTI AD AZIONE MISTA  farmaci che a basse dosi si comportano da agonisti e ad alte
dosi si comportano da antagonisti. Con questi bisogna usare tutte le cautele possibili, perché bisogna
identificare per ogni singolo pz la dose corretta per la quale il farmaco sia agonista e quindi analgesico
piuttosto che antagonista. Questi sono sostanzialmente due pentazocina e buprenorfina. Quest’ultima si
dissocia più lentamente dal recettore Mu: dissociandosi più lentamente, garantisce un’analgesia più
prolungata.
ANTAGONISTI MU  sono il naloxone e il naltrexone. Non vengono impiegati nella terapia del dolore, ma
solo in caso di overdose da agonista (da morfina).
MECCANISMO D’AZIONE OPPIOIDI
-
-
Alterano la percezione del dolore (innalzano la soglia del dolore) e alterano la risposta allo stimolo
doloroso (il fatto di non avvertire quella sensazione emozionale negativa) a livello emozionale.
Sono accoppiati a proteine G: chiudono i canali del calcio voltaggio dipendenti sui terminali nervosi
pre-sinaptici, riducendo quindi il rilascio di neurotrasmettitori, quali glutammato, acetilcolina,
noradrenalina, serotonina e sostanza P; aprono i canali del potassio, iperpolarizzando ed inibendo i
neuroni post-sinaptici.
Attivano anche MAPK e PLC
Azione periferica diretta degli oppioidi
FARMACOCINETICA DEGLI OPPIOIDI:
-
Morfina  buona biodisponibilità; 35% di legame alle proteine; tempo massimo di 0,2 ore se
intramuscolare, 1 ora se per PO, 3-8 ore se PO SR; Emivita = 2 ore; Escrezione = rene
Codeina  buona biodisponibilità; 7% di legame alle proteine; tempo massimo 3 ore; Emivita = 3
ore; Escrezione renale
Buprenorfina  buona biodisponibilità; 95% di legame alle proteine; tempo massimo 2 ore; Emivita
= 5 ore; Escrezione renale
Fentanyl  no biodisponibilità; 95% legame alle proteine; Emivita = 3-5 ore; Escrezione renale; NB:
non viene somministrato per via orale, ma transmucosale, endovenosa o transdermica.
Metabolismo: la morfina e la codeina vanno incontro a reazione di glucuronoconiugazione, quindi viene ad
essere attaccato sulla molecola di morfina e codeina un gruppo di acido glucuronico, andando a formare la
morfina-3-glucuronide e morfina-6-glucuronide. Sia la prima che la seconda sono dei metaboliti e
mantengono un’attività analgesica simile a quella della morfina. Quindi è un metabolismo sostenuto
soprattutto dal reazioni di FASE II, mentre il metabolismo di buprenorfina e fentanyl è sostenuto dal
citocromo P450 (Fase I).
EFFETTI DEGLI OPPIOIDI:
1) Sistema nervoso centrale  miosi, analgesia, euforia, depressione respiratoria, inibizione del
riflesso della tosse, nausea e vomito
2) Apparato gastrointestinale e vie biliari  aumento del tono basale di tenue e crasso con riduzione
di ampiezza di onde propulsive e non propulsive; contrazione muscolatura liscia (talvolta dà coliche
con ittero)
3) Apparato urinario  ritenzione urinaria
4) Utero  prolungamento del travaglio di parto
5) Apparato neuroendocrino  Secrezione di ADH, prolattina, e somatotropina; inibizione del rilascio
di LH
6) Prurito  effetti centrali e periferici (da liberazione di istamina)
Altra cosa su cui bisogna essere chiari è su cosa si chiama abitudine e dipendenza. La prima non deve essere
confusa con la tolleranza, termine che non deve essere usato quando si parla di farmaci: essa è la mancata
risposta ad un farmaco per una somministrazione ripetuta. Se si somministra il farmaco per un tempo
prolungato, progressivamente perderà efficacia e quindi sarà necessario aumentare la dose di farmaco. La
dipendenza, invece, può essere fisica o psichica, e solitamente vanno di pari passo: la seconda è quella che
si chiama training ed è ciò che spinge il soggetto a commettere azioni anche gravi pur di non cadere nella
dipendenza fisica; mentre la dipendenza fisica è una sensazione di dolore che culmina con una astinenza
fisica che si verifica quando il soggetto non può assumere il farmaco.
EFFETTI COLLATERALI DEGLI OPPIOIDI:
-
Depressione respiratoria
Ipotensione ortostatica
Stipsi, nausea, vomito
Ritenzione urinaria
Ittero
Rash
Sono controindicati in caso di ipersensibilità e devono essere usati con cautela in caso di patologie
delle vie respiratorie, epatiche e renali, o traumi al capo.
FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)
Meccanismo d’azione: sulle membrane sono presenti fosfolipidi, che vengono scissi dalla membrana
tramite un enzima. L’acido arachidonico viene ad essere metabolizzato da questi enzimi, chiamati COX-1 e
COX-2. Per effetto di questi due enzimi, l’acido arachidonico viene trasformato IgG, IgH2 ein prostaglandine
(!!!), che sono i mediatori del dolore per eccellenza. La COX-1 dà origine alla sintesi di trombossanoa2
responsabile dell’aggregazione piastrinica. Quindi i FANS andando a legarsi alla COX1 e COX2
(ciclossigenasi) vanno a bloccare la sintesi di prostaglandine (blocco che può essere reversibile o
irreversibile), e quindi, venendo meno le prostaglandine, viene meno il dolore e l’infiammazione. L’aspirina,
attraverso l’inibizione della COX1 va a ridurre la sintesi di trombossano e quindi a ridurre l’aggregazione
piastrinica. Pertanto l’impiego di aspirina a basse dosi è utile in pazienti con problemi cardiovascolari.
Le ciclossigenasi (COX) agiscono in momenti e livelli differenti: La cox1 è chiamata anche cox-costitutiva,
perché funziona h24 nel nostro organismo e regola effetti fisiologici, quali la promozione di aggregazione
piastrinica e regola la filtrazione glomerulare e la secrezione tubulare. Il blocco della cox 1, blocca tali
meccanismi fisiologici, dando origine ad effetti collaterali (erosioni e ulcere gastriche).
La cox 2 è inducibile e responsabile di tutte le malattie pro infiammatorie, e coinvolta in fenomeni di natura
infiammatoria e quindi la sua inibizione può essere alla base di azioni terapeutiche. Combatte problemi
patologici, tra cui la presenza di batteri che attivano nell’organismo questo enzima per attivare le
prostaglandine, che oltrepassando la barriera ematoencefalica, aumentano la temperatura corporea
(provocando la febbre) e combattono i batteri. AGISCE IN MANIERA NON SELETTIVA E IRREVERSIBILE
FARMACOCINETICA DEI FANS:
-
Acido acetilsalicilico (aspirina)  eccellente biodisponibilità; legame alle proteine > 20%; tempo
massimo = 1 ora; Emivita = 0,5 ora
-
Diclofenac  buona biodisponibilità; 99% legame alle proteine; tempo massimo = 5 ore per via
orale; emivita = 1 ora
Ketorolac  eccellente biodisponibilità; 99% legame alle proteine; tempo massimo = 1 ora via
orale, intramuscolo 1 ora; Emivita= 4/7 ore
Metabolismo ed eliminazione: metabolismo sia per fase I che per fase II; eliminazione per via urinaria
EFFETTI DEI FANS: L’inibizione della sintesi di prostaglandine e trombossani è irreversibile per l’aspirina e
reversibile per tutti gli altri FANS. Si parla quindi di 4 grossi effetti
1.Analgesico
2.Antinfiammatorio
3.Antipiretico
4.Antiaggregante piastrinico: solo a vantaggio dell’aspirina (cardioaspirina)
(Tra i fans abbiamo il toradol che dovrebbe usato solo per il trattamento del dolore acuto post operatorio).
EFFETTI COLLATERALI DEI FANS:
-
Anoressia
Ulcere gastrointestinali
Diminuzione della funzionalità renale
Iperventilazione, vertigini, confusione
FARMACI ANTIPARKINSONIANI
Introduzione al Parkinson  Il dottor Parkinson fu il primo ad analizzare questo tipo di morbo e stese il
“Saggio sulla paralisi agitante” nel 1817. I termini “paralisi” e “agitante” potrebbero sembrare due termini
antitetici, in quanto, se c’è una paralisi, difficilmente potrebbe verificarsi un qualche tipo di movimento.
Tuttavia Parkinson riconobbe questa sindrome come caratterizzata sia da agitazione (nel modo più corretto
“tremore non intenzionale”) sia da bradicinesia e rigidità: l’insieme di questa rigidità e bradicinesia aveva
fatto apparire il paziente come paralitico. Se vogliamo mettere insieme quella che è la triade
sintomatologica del morbo di Parkinson, esso, pertanto, è caratterizzato da tremore non intenzionale,
rigidità e bradicinesia. La causa scatenante della sindrome è una riduzione prodiga e progressiva delle
quantità di dopamina cerebrale. E come contraltare alla riduzione di dopamina vi è un aumento dei livelli di
acetilcolina cerebrale.
FISIOPATOLOGIA  Il morbo di Parkinson è caratterizzato da una distruzione marcata dei neuroni
dopaminergici che si trovano nella sostanza nera (nella pars compacta della sostanza nera, più
precisamente). Tali neuroni mandano efferenze al corpo striato. Il corpo striato, coinvolto nella regolazione
dei movimenti involontari, per la progressiva distruzione dei neuroni dopaminergici, è responsabile delle
alterazioni caratteristiche del paziente affetto da Morbo di Parkinson. Fare una diagnosi di Parkinson
precoce è molto raro. La maggior parte delle diagnosi si verifica quando cominciano a comparire i primi
sintomi (il primo sintomo è quasi sempre il tremore a riposo). Quando compaiono i primi sintomi, però, la
concentrazione di dopamina si è già ridotta di almeno il 70%: quindi, molte volte, l’impiego di alcuni farmaci
risulta inutile nella terapia contro il morbo di Parkinson, perché i livelli di dopamina sono già talmente bassi
da non essere in alcun modo ovviati. Infatti, se si va a fare una valutazione post-mortem del paziente, la
quantità di dopamina cerebrale o è azzerata o è arrivata ad un livello prossimo del 10%.
BIOCHIMICA DELLA DOPAMINA
Quella che vediamo è una sinapsi dopaminergica. Il tutto comincia a livello presinaptico con la fenilalanina
dietetica, che nel fegato, per mezzo di enzimi, viene trasformata in tirosina. Quest’ultima, attraverso il
circolo, arrivata a livello cerebrale, entra all’interno dei neuroni per mezzo di un trasportatore, che è quello
degli L-amminoacidi aromatici. Quindi la tirosina, dal circolo, entra all’interno del neurone presinaptico, e lì
per mezzo della tirosina-ossidrilasi, viene trasformata in dopa-di-idrossifenilalanina. La fenilalanina a sua
volta, ad opera dell’enzima dopadecarbossilasi (!!!), diventa dopamina, che viene immagazzinata in
opportune vescicole per attività del trasportatore delle monoammine di tipo 2 (VMAT2). Quando tale
sinapsi dopaminergica viene ad essere stimolata a livello del neurone presinaptico, si verifica ingresso di
sodio e calcio, le vescicole sinaptiche vanno a fondersi con la membrana, e la dopamina viene rilasciata
nello spazio sinaptico. Qui andrà ad interagire con i recettori D1 O D2 nel neurone post sinaptico. Rilasciata
nella fessura sinaptica, la dopamina andrà incontro al fenomeno di ricaptazione (quindi viene ricaptata nel
neurone presinaptico). La dopamina reimmessa nel neurone presinaptico, per l’attività enzimatica delle
mono-ammino-ossidasi di tipo B (MAO- B), verrà trasformata in DOPAC, e, a sua volta ancora il DOPAC,
grazie al COMT, verrà trasformato in acido omovanilico e abbandonerà il neurone come prodotto finale del
catabolismo della dopamina. (Questi enzimi sono importanti, devono essere ricordati)
Ora, cosa avviene nella barriera ematoencefalica? La dopadecarbossilasi e la COMT, oltre ad essere
contenute nel tessuto extra-cerebrale, sono anche contenute a livello del tessuto cerebrale. Le MAO-B si
trovano, invece, a livello neuronale. Quando abbiamo iniziato a parlare di Parkinson, abbiamo detto che è
caratterizzato dalla progressiva distruzione dei livelli di dopamina cerebrale ed aumento dei livelli di
acetilcolina: in condizioni normali, la dopamina, che viene ad essere prodotta nella sostanza nera, una volta
che le efferenze arrivano al corpo striato, viene rilasciata in esso. Dal corpo striato poi, la dopamina va a
stimolare gli interneuroni GABAergici, che aumentano il rilascio di GABA. Il GABA è un neurotrasmettitore
inibitore e iperpolarizzante, la cui funzione è inibire i neuroni colinergici del corpo striato. Nel paziente con
Parkinson la progressiva riduzione della dopamina porta alla quasi completa assenza di dopamina nel corpo
striato: non venendo stimolati gli interneuroni GABAergici e non venendo rilasciato il GABA, esso non andrà
ad inibire i neuroni colinergici. Questa disinibizione porterà ad un aumento dell’acetilcolina cerebrale.
EPIDEMIOLOGICA  colpisce tutti. Negli USA vengono colpiti maggiormente i maschi rispetto alle donne;
l’età di prevalenza è compresa tra i 55-65 anni e la razza caucasica è più colpita. In Italia non ci sono le
stesse valutazioni: l’incidenza è variabile fra 5 e 24 casi ogni 100mila persone all’anno. Quindi è un numero
abbastanza elevato.
CAUSE
-
In oltre il 50% dei casi, la ragione è sconosciuta, e questo si definisce Parkinson sporadico.
Per un rimanente 10-30% il Parkinson può avere una certe componente genetica, con familiarità
spiccata. Può essere trasmesso per via autosomica dominante o recessiva.
Se viene trasmesso per via autosomica dominante, si verificano alterazioni a carico di tre geni: alfa
sinucleina, chinasi-2 ricca di ripetizioni di leucina (anche detta leucine-rich-repeat kinase 2), e
glucocerebrosidasi. Se c’è alterazione dell’alfa sinucleina si parla di forma di “Parkinson ad
insorgenza precoce” ed in genere vengono ad essere coliti pazienti tra 21-50 anni; per il secondo
gene, se c’è alterazione, si verifica il Parkinson con comparsa dell’età avanzata, ben oltre i 60 anni;
per alterazioni dell’ultimo gene, la glucocerebrosidasi, si verificano delle forme di Parkinson
giovanili (< 21 anni).
Sempre per quanto riguarda la forma genetica, per le forme trasmesse per via autosomica
recessiva, esse sono a carico della mutazione del gene che codifica per la Parkina, e si verificano le
forme giovanili, poc’anzi citate.
- Oltre al Parkinson sporadico e al Parkinson genetico, si è visto che anche cause ambientali
possono essere coinvolte nella genesi del morbo di Parkinson, come ripetuti traumi al cranio, o
pesticidi (come il rotenone).
Indipendentemente dalle cause la via finale comune responsabile del morbo è l’aumentato stress
ossidativo, che si verifica a livello dei neuroni nigro-striatali, che porta alla neuro-degenerazione e
distruzione dei neuroni nigro-striatali.
CARATTERISTICHE CLINICHE DEL MORBO DI PARKINSON
1)
-
Sintomi motori precoci:
Rigidità
Bradicinesia
Tremore a riposo
Micrografia (scrittura piccola, fino a diventare incomprensibile)
Amimia (incapacità di modificare le espressioni del volto)
Riduzione nel compiere i movimenti
Voce bassa
2)
-
Sintomi non motori precoci
Stipsi
Alterazioni del sonno-veglia
Depressione
Alterazioni a carico dell’olfatto
3)
-
Sintomi motori tardivi
Fluttuazioni motorie
Discinesie e distonie
Andatura alterata che porta al blocco del cammina (freezing): atteggiamento camptocormico e
andatura a festinazione (insegue il baricentro con delle piccole corse)
Cadute, secondarie a tali alterazioni
4)
-
Sintomi non motori tardivi
Disfagia
Demenza franca
Disfunzioni autonomiche (es: incontinenze urinarie)
Quando un paziente muore per morbo di Parkinson, la morte è legata a presenza di polmonite ab ingestis,
da disfagia o da infezioni ricorrenti, causate dall’immobilizzazione e da piaghe da decubito.
COME VALUTARE LA RIGIDITA’: segno della troclea o ruota dentata. Chiedo al paziente di flettere il polso, e
all’estensione, sembra che l’estensione stessa avvenga a scatti, come se ci fosse una ruota dentata.
CLASSIFICAZIONE CLINICA- SCALA DI HOEHN & YAHR:
0 = no clinical signs
1 = Unilateral involvement, only
2 = Bilateral involvement, no impairment of balance
3 = Bilateral disease, mild-moderate disability
4 = Severely disabling, still walking
5 = Confined to bed
FARMACI USATI NELLA TERAPIA DEL PARKINSON
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
Antagonisti colinergici muscarinici: biperidene, triesifenidine
Amantadina: rilascia la dopamina dai neuroni nigro-striatali
Inibitori delle MAO-B: selegilina, rasagilina, safinamide
Inibitori COMT: entecapone, tolcapone
Agonisti dopaminergici: Pramipexolo, Ropinirolo, Apomorfina
Levodopa + carbidopa o alla benserazide
Levodopa associata o alla carbidopa o all’entecapone
(1) ANTAGONISTI COLINERGICI MUSCARINICI
- Bloccano i recettori muscarinici a livello dello striato. FUNZIONANO PER IL TREMORE
- Dosaggio: per il triesifenidine 2 mg/die, biperidene 1mg/3 volte al giorno o 4 mg/5 volte al
giorno, biperidene SR 4-12 volte al giorno
- Farmacocinetica: ben assorbiti per via orale; il tempo massimo necessario a raggiungere le
concentrazioni plasmatiche di picco sono 2 ore per il triesifenidine, e 6 ore per il biperidene a
rilascio prolungato; l’emivita del triesifenidine è 33 ore e 1,5-21 ore per il biperidene; il
metabolismo avviene nel fegato e l’eliminazione è per via urinaria.
- Clinica: efficaci nel ridurre il tremore a riposo e anche un po’ la rigidità.
- Effetti collaterali: xerostomia (bocca secca), sedazione, alterazioni dell’umore, visione
offuscata, aumento della pressione intraoculare (con rischio di glaucoma acuto)
- Controindicazioni: pazienti con ipertrofia prostatica benigna, pazienti con glaucoma angolo
chiuso, o pazienti affetti da malattie intestinali ostruttive
(2) AMANTADINA
Sviluppato inizialmente come antivirale, manifestò la sua efficacia nei pazienti con morbo di
Parkinson. Agisce andando a migliorare la sintesi, il rilascio e la ricaptazione della dopamina.
Per cui la dopamina riesce a rimanere per un tempo prolungato nella fessura sinaptica in
quantità maggiori. Ha anche effetto di antagonista nel legame dell’adenosina, responsabile
dell’inibizione dei recettori D2. Antagonizza ance il recettore NMDA, responsabile di
neurotossicità a livello dei neuroni nigro striatali.
- Farmacocinetica: biodisponibilità dell’84-96% dopo somministrazione per via orale; Legame
del 67% alle proteine plasmatiche; Un tempo massimo di raggiungimento della concentrazione
plasmatica di picco di 2-4 ore ed un’emivita di 40 ore. E’ eliminata ed immodificata dal rene.
Solo il 10% viene eliminata dopo acetilazione epatica.
- Clinica: influenza favorevolmente la bradicinesia, la rigidità
- Dosaggio: 100 mg per due volte al giorno
- Effetti collaterali: funziona bene se somministrata in pazienti in fasi molto iniziali della
malattia, quando ancora i neuroni nigro-striatali sono in grado di produrre dopamina. Non
sempre, quindi, è efficace. Tra le azioni sfavorevoli abbiamo, infatti, l’irritabilità, l’insonnia,
depressione, agitazione, confusione mentale, allucinazioni, livedo reticularis (reticolo di
capillari evidenti attraverso la cute)
(3) INIBITORI DELLE MOA-B
Sono enzimi che si trovano all’interno dei neuroni e trasformano la dopamina ricaptata in
acidodidrossifenilanacelico. Sono di due tipi: quelle di tipo A e quelle di tipo B. La dopamina
viene degradata dalle tipo B, mentre le A degradano altre catecolamine, come la
noradrenalina. La somministrazione di selegilina, ritarda la degradazione della dopamina.
SELEGILINA  ben assorbita dopo somministrazione orale; attraversa bene la barriera
ematoencefalica; raggiunge il tempo massimo di concentrazione plasmatica di picco entro i
30/90 minuti ed ha un’emivita di 5-6 ore. Viene metabolizzata sia a livello epatico che a livello
extraepatico. Viene eliminata dal rene attraverso le urine.
Il dosaggio è di 5 mg due volte al giorno (colazione e a cena). Spesso associata alla levodopa,
con lo scopo di ridurre il dosaggio di quest’ultima e aumentarne l’efficacia (vedremo come). La
selegilina, però, a dosaggi superiori perde la selettività nei confronti delle MOA -B e blocca la
MOA-A. Il blocco della MOA-A non è auspicabile, perché, come detto prima, degrada la
noradrenalina: se blocco la degradazione di noradrenalina, ci sarà un aumento della pressione
arteriosa, che esiterà in una crisi ipertensiva grave. Ecco perché, quando la somministrazione
di selegilina, per determinati motivi, deve essere aumentata, se ne deve vietare l’aumento e la
terapia si sospende. Per evitare la sospensione della terapia, è stato sviluppato un inibitore
delle MAO-B che è selettivo e reversibile per le MAO-B, ossia la rasagilina
RASAGILINA  5/10 volte più potente della selegilina. Dose: 1 mg/die. Il farmaco è assorbito
rapidamente per via orale. Non ha elevata biodisponibilità. Il tempo per raggiungere la
concentrazione plasmatica di picco è di un’ora e l’emivita è compresa tra 0,5-3 ore. Viene
metabolizzata nel fegato.
- Effetti collaterali di entrambi: ipertensione; non vanno associate a farmaci antidepressivi;
non devono essere somministrate con farmaci antidolorifici come metadone, la se legilina non
deve essere somministrata con pazienti con insufficienza epatica (da sospendere due
settimane prima dell’intervento).
(4) AGONISTI DOPAMINERGICI
- FARMACOCINETICA  PRAMIPEXOLO e ROPINIROLO hanno una buona biodisponibilità dopo
somministrazione orale (90%); il legame alle proteine plasmatiche è variabile: nel pramipexolo
è del 15%, e 20-40% nel il ropinirolo. Il tempo necessario per raggiungere le concentrazioni
plasmatiche di picco è di 1-3 ore (quindi un effetto terapeutico rapido). L’emivita è
intermedia: 6 ore per il secondo e 8 ore nel primo. Il pramipexolo è eliminato immodificato
nel fegato, il ropinirolo dalle urine.
APOMORFINA  scarsa biodisponibilità (< 5%), quindi viene ad essere somministrata per via
sottocutanea. Lega al 95% le proteine plasmatiche. Il tempo necessario al raggiungimento
della concentrazione plasmatica di picco inizia intorno ai 18 minuti. L’emivita è di un’ora. Il
metabolismo ed eliminazione avviene per autossidazione. Il fatto che venga somministrata per
via sottocutanea e l’emivita breve, fa sì che il paziente ne risenta un po’ , in quanto la
somministrazione deve avvenire spesso ed in maniera dolorosa.
PRAMIPEXOLO  lega sia il recettore D1 sia il recettore D2. Può essere utilizzato come
monoterapia in Parkinson lieve. L’impiego maggiore è, però, per pazienti con Parkinson più
avanzato, associato alla levodopa, facendo sì che diminuiscano le quantità di levodopa
giornaliere da somministrare. Si comincia con la dose di 0,25 mg per tre volte al giorno, e poi
andando avanti di settimana in settimana si raddoppia il dosaggio. Se il paziente ha disfunzioni
renali il dosaggio deve essere modificato. E’ disponibile una formulazione a rilascio
prolungato, somministrato una volta al giorno.
ROPINIROLO  lega il recettore D2. Stesso discorso per il Parkinson lieve e avanzato. Il
dosaggio è di 2-8 mg/die. E’ disponibile una formulazione a rilascio prolungato.
- Effetti collaterali: nausea (specialmente per l’apomorfina) contrastata grazie al
domperidone o grazie all’impiego di altri farmaci con effetto antiemetico; aumento repentino
di pressione arteriosa; discinesie, contrastate andando a ridurre la dose totale di farmaco; non
devono essere impiegati in soggetti con infarto miocardico recente o ulcera peptica attiva
(5) LEVODOPA
Il paziente con morbo di Parkinson ha concentrazioni cerebrali di dopamina che tendono
progressivamente a ridursi fino ad azzerarsi. Logica vorrebbe che, se si riduce la dopamina, il
paziente venga trattato con la dopamina, analogamente al paziente diabetico, al quale viene
somministrata insulina esogena. Ma non è questo il caso, in quanto la dopa mina non è in
grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica e non arriverebbe a livello cerebrale. Allora,
si fa un passo indietro: non potendo somministrare dopamina, si somministra il precursore,
ossia la levodopa. Poi grazie all’attività della dopadecarbossilasi, si arriva alla sintesi di
dopamina dalla levodopa. Di conseguenza, il paziente ha la supplementazione di dopamina
cerebrale che gli serve. Ma solo l’1% della dose di levodopa arrivata nel cervello è pronta ad
essere trasformata in dopamina, perché la levodopa per via orale verrà distrutta dalla
dopadecarbossilasi e dalle COMT.
Il passo successivo è stato quello di formulare in un’unica compressa levodopa e un inibitore
della dopadecarbossilasi. Questo, tuttavia, non è in grado di passare la barriera
ematoencefalica, e va solo a bloccare la trasformazione periferica della levodopa in dopamina.
Quest’idea ha portato ad un maggior assorbimento di levodopa (e quindi una maggior
quantità di levodopa che arriva al cervello), ma non è stata sufficientemente soddisfacente
come idea, perché, bloccata la dopadecarbossilasi periferica, rimaneva comunque attiva la
COMT, e quindi le quantità di levodopa da far arrivare al cervello sarebbero rimaste ancora
ridotte.
L’ultimo passaggio è stato quello di preparare un farmaco che contenesse levodopa + un
inibitore della dopadecarbossilasi + un inibitore della COMT: in questo modo tutta la levodopa
assunta per via orale non veniva trasformata a livello periferico dalla COMT e dalla
dopadecarbossilasi, ma arrivava intatta al cervello, e poi trasformata in dopamina.
- Farmacocinesi: è rapidamente assorbita dall’intestino e va assunta a stomaco vuoto, perché
la presenza di cibo rallenta l’assorbimento. Il tempo massimo è di 1-2 ore; L’emivita è di 2-3
ore; Circa i 2/3 di una dose viene metabolizzata entro le prime 8 ore ad opera della
dopadecarbossilasi e delle COMT.
- Clinica: se associata alla carbidopa, il rapporto tra i due farmaci può essere di 10:1 o di 4:1;
se associata alla benzeraside il rapporto è 4:1. C’è differenza tra i due (tra carbidopa e
benzeraside)? Sì, perché la benzeraside è 10 volte più potente della carbidopa nell’inibire la
dopadecarbossilasi. Gli inibitori della dopadecarbossilasi migliorano l’assorbimento della
levodopa in quanto aumentano la biodisponibilità del 20%, aumentano la concentrazione e
l’emivita.
- Controindicazioni: discinesie e distonie tardive, che compaiono dopo l’assunzione del
farmaco dopo 10 anni. Ci sono studi più recenti che attestano che questi effetti possano
comparire anche prima dei 10 anni. Bisogna anche sottolineare che dopo un certo numero di
anni la levodopa, a parità di dosaggio, non dà più gli stessi effetti, ma possono originare delle
fluttuazioni cliniche importanti. Cosa fare? O utilizzare una levodopa a ri lascio prolungato o
utilizzarla sottoforma di gel intestinale. Un altro approccio è quello di aggiungere o un
agonista dopaminergico o un antagonista della MAO-B o un inibitore della COMT alla
levodopa. Le fluttuazioni nella risposta possono essere identificati come i fenomeni “on-off”.
In parole povere, quando tale fenomeno si manifesta nel parkinsoniano, significa che ha dei
giorni in cui sta in on (la terapia funziona), e giorni in cui sta in off (non funziona la terapia).
Cosa fare? I primi tempi si sospendeva la terapia, ma il limite di tale approccio fu che nei 21
giorni, in cui non veniva somministrata la terapia, il paziente poteva morire di qualsiasi causa.
Ad oggi, invece, si utilizza l’apomorfina che è l’agonista dopaminergico somministrato per via
sottocutanea e dall’emivita molto breve. Allora, quando ci sono le risposte variabili, si può
continuare la levodopa, diminuendola, in associazione alla somministrazione di apomorfina ,
consentendo al paziente di superare le fluttuazioni, pur continuando a mantenere la
somministrazione giornaliera di levodopa.
(6) INIBITORI DEL COMT
Sono il tolcapone e l’entecapone. Prolungano l’azione della levodopa perché diminuiscono il
loro metabolismo extra-cerebrale e ne aumentano le biodisponibilità. Né l’uno né l’altro
agiscono al livello della concentrazione plasmatica di picco (Cmax) della dopamina, e
nemmeno ne modificano il tempo massimo di raggiungimento della concentrazione
plasmatica di picco (Tmax).
Il tolcapone ha effetti periferici e centrali, mentre l’entecapone ha solo effetti periferici. Ecco
perché siamo più interessati a somministrare l’entecapone: perché dobbiamo bloccare gli
effetti periferici del Parkinson.
La biodisponibilità del tolcapone è del 65% per via orale, mentre per l’entecapone è del 45%. Il
tempo necessario per raggiungere le concentrazioni massime di picco è variabile tra 0,5 -2 ore,
mentre l’emivita è di 2 ore. Il tolcapone è leggermente più potente ed ha una durata d’azione
più lunga dell’entecapone. Vengono metabolizzati nel fegato e, successivamente, eliminati per
via urinaria. Le dosi giornaliere sono: per il tolcapone 100 mg per tre volte al giorno, mentre
per l’entecapone 200 mg fino a sei volte al giorno.
TERAPIA PER I SINTOMI NON MOTORI
1)
2)
3)
4)
Rivastigmina, memantina e donepezil per i pazienti con declino cognitivo
Antipsicotici qualora il paziente esiti in psicosi
Modafinil per la perdita dell’adeguato ritmo sonno-veglia
Solifenacina per disfunzioni urinarie
FARMACI ANTIBATTERICI
Principi di base della terapia antibatterica:
1) Tossicità selettiva  la capacità che ha un farmaco di, in questo caso, uccidere i batteri in grado di
determinare l’infezione. Gli antibiotici, però, non hanno una tossicità selettiva, perché, oltre ad
andare ad eliminare i batteri patogeni responsabili dell’infezione, distruggono i batteri commensali
(quindi quelli che vanno ad agire anche sulla flora intestinale, vaginale, etc), andando a creare delle
disbiosi, avitaminosi. Quindi, idealmente, il farmaco antibatterico dovrebbe agire il più possibile sul
batterio responsabile dell’infezione, senza alcun effetto su quelli commensali.
2) Spettro dell’attività antimicrobica  alcuni farmaci antibatterici agiscono solo su alcune specie e
ceppi batterici (spettro ristretto), mentre altri agenti sono in grado di inibire la crescita o uccidere
batteri appartenenti a molteplici specie o ceppi (spettro allargato).
3) Classificazione dei farmaci
4) Siti e meccanismo d’azione
5) Meccanismi di resistenza
CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI (3)
Basata sul grado di tossicità per il microbo: batteriostatici o battericidi. Quindi, i farmaci batteriostatici sono
quelli in grado di bloccare la replicazione batterica, ma non sono in grado di uccidere i batteri. L’uccisione
dei batteri è demandata a quelle che sono le difese immunitarie dell’organismo, umorale o cellulo mediate.
I battericidi, invece, sono in grado di andare a distruggere i batteri e sono sufficienti alla risoluzione
dell’infezione: un’importante conseguenza di questa differenziazione risiede nel fatto che i primi devono
essere utilizzati nella terapia di infezione in soggetti che hanno il sistema immunitario ben funzionante, in
quanto se li usassimo per soggetti immuno depressi, non riusciremmo ad avere il risultato immunitario
ottimale.
Grafico dell’azione batteriostatica e battericida  è riportata la curva di crescita nel tempo di un batterio
e la crescita batterica è in scala logaritmica: quindi sull’asse delle x c’è il tempo, mentre sull’asse delle y c’è
il numero di cellule vive. In condizioni normali la crescita batterica aumenta in maniera lineare, fino ad
arrivare ad un plateau. Nel momento in cui aggiungo un farmaco, ad esempio la sulfonamide,
batteriostatico, il farmaco bloccherà l’ulteriore replicazione dei batteri ed il numero di cellule rimarrà
stabile, lasciando poi al sistema immunitario il compito di distruggerle tutte. Se, invece, vado a
somministrare un battericida, come la penicillina e gentamicina, la crescita batterica si riduce fino a
scomparire completamente.
Tabella nomi farmaci  tra i battericidi ricordiamoci soprattutto gli amminoglicosidi, gli antibiotici beta
lattamici (penicilline); tra i batteriostatici ricordiamo i macrolidi.
SITI E MECCANISMO D’AZIONE (4)
Dal punto di vista classificativo, i farmaci anti batterici rientrano in 5 categorie:
1) Inibitori della sintesi della parete cellulare esterna dei batteri: oltre alla membrana cellulare, i
batteri hanno all’esterno la parete cellulare, che dobbiamo immaginarla come una muraglia fatta
da tanti mattoni (peptidoglicani), mantenuti saldi tra loro grazie al legame peptidico (legame
covalente tra due amminoacidi che formano il peptidoglicano) che hanno il ruolo di contenere il
liquido extracellulare intorno. Se non ci fosse la parete cellulare esterna, il batterio imbarcherebbe
acqua e morirebbe. Ogniqualvolta il batterio si divide, la cellula madre cede una parte della parete
cellulare esterna alla cellula figlia, salvo poi, molto rapidamente, andare a ricomporla nella sua
interezza per continuare ad essere isolato. Se blocco la sintesi di questa parete cellulare esterna,
nel momento in cui la cellula madre si divide e dà origine alla cellula figlia, non c’è possibilità che
venga ad essere rigenerata la parete esterna in quella porzione di batterio che dà luogo a due
cellule. Quindi i batteri andrebbero ad imbarcare acqua e alla fine, andando ad aumentare l’acqua
che penetra nel batterio, esso scoppia. Ci ricordiamo tra questi le penicilline (moxicillina o zimox;
amplital) e le cefalosporine (glazidim).
2) Inibitori della membrana cellulare batterica  la membrana serve a contenere tutti gli organelli e il
citoplasma. Con farmaci come le polimixine, vado a distruggere la membrana cellulare, e accade
che la cellula batterica va a perdere la sua interezza.
3) Inibitori della sintesi proteica  il batterio è in grado di produrre da sé le proteine necessarie alla
replicazione e alla sopravvivenza dei batteri stessi (a differenza dei virus). Se somministro farmaci
che inibiscono la sintesi proteica dei batteri, esso o non si potrebbe più replicare, come con i
macrolidi batteriostatici, oppure verrebbe completamente distrutto, come con gli amminoglicosidi
battericidi. Quindi possiamo fare una distinzione tra i farmaci che bloccano la sintesi proteica,
andandosi a legare alla subunità 50s (eritromicina) del ribosoma batterico, oppure quelli che
bloccano la sintesi batterica, legandosi alla subunità 30s del ribosoma batterico (tetracicline,
amminoglicosidi, ossia il gentalyn, che oltre ad essere usato per via cutanea, può essere
somministrato per via intramuscolare)
4) Inibitori della DNA girasi  nei batteri il DNA non è lineare, ma è superspiralizzato (a gomitolo): nel
momento in cui il batterio si deve dividere, prima che si verifichi tutto ciò, è necessario che il
gomitolo superspiralizzato diventi lineare, funzione che spetta alla DNA girasi. Se blocco questo
enzima con i chinoloni (cyproxin), ottengo che il DNA batterico, da superspiralizzato, non venga ad
essere trasformato in lineare. In questo modo non può replicarsi, dividendosi nelle due eliche e
dando vita alla cellula figlia.
5) Inibitori del metabolismo dell’acido folico  Una volta che la DNA girasi ha svolto il suo compito,
una volta, quindi, che un’elica è stata ceduta alla cellula figlia, affinché si costituiscano le altre due
eliche complementari di DNA, è necessario che ci sia la formazione delle basi puriniche e
pirimidiniche, che si formano grazie all’acido folico. L’acido folico sono importantissimi perché
donano unità monocarboniose, donano gruppi funzionali (CH3, CH2) e questi gruppi messi insieme
vanno a formare le basi puriniche e pirimidiniche. Se blocco il metabolismo dell’acido folico, per
esempio con le sulfonamidi, cotrimossazolo (bactrim), non potranno essere costruite le basi
necessarie per la formazione dell’elica complementare, conditio sine qua non della sopravvivenza
della cellula madre.
MECCANISMI DI RESISTENZA (5)
Molte volte il batterio risulta essere resistente al farmaco, e conoscere i vari meccanismi di resistenza può
essere utile a capire il motivo per cui un determinato farmaco non è stato risolutivo per l’infezione.
1) Inattivazione dell’antibiotico ad opera di enzimi batterici  alcuni batteri producono degli enzimi,
come le beta-lattamasi, che vanno a distruggere le penicilline. Distruggendole prima che arrivino a
livello del batterio, impediscono che venga ad essere bloccata la transpeptidazione necessaria per
saldare il legame covalente peptidico. Quindi quando un batterio produce le beta-lattamasi, esso
distrugge le penicilline, rendendo i farmaci inefficaci.
2) Alterazione delle strutture bersaglio  per adenilazione, acetilazione, fosforilazione gli
amminoglicosidi. Questi perdono la capacità di andarsi a legare al ribosoma batterico (e quindi
perdono la capacità di andare ad inibire la sintesi proteica) per interferenza a livello delle subunità
50s o 30s. Se il farmaco non è in grado di legare tali strutture (le subunità) non viene impedita la
sintesi proteica del batterio ed esso continua a replicarsi.
3) Riduzione della penetrazione del farmaco che non raggiunge le strutture bersaglio  un
amminoglicoside, per esempio, prima di arrivare al ribosoma batterico, dovrà attraversare la parete
batterica esterna, superare la membrana cellulare, e andare ad accumularsi nel citoplasma fino a
raggiungere il ribosoma batterico per inibirlo. Se riduco la penetrazione del farmaco (ci sono batteri
che non hanno le porine, ossia i canali ad acqua che permettono il passaggio di sostanze), esso non
sarà un grado di arrivare al citoplasma e legarsi al ribosoma impedendo la sintesi proteica.
4) Efflusso dell’antibiotico  quand’anche il farmaco sia in grado di arrivare al citoplasma, all’interno
del citoplasma può incontrare delle pompe di efflusso che, non appena, l’antibiotico arriva, lo
buttano fuori dalla cellula batterica. Non consentendo l’accumulo dell’antibiotico, la sintesi
proteica prosegue e il batterio sopravvive replicandosi.
CRITERI DA SEGUIRE PER L’UTILIZZO OTTIMALE DI FARMACI ANTIBATTERICI
1) Evitare di prescrivere o assumere antibiotici se non quando è strettamente necessario
2) Somministrare antibiotici specifici, per quanto possibile, per il microrganismo o la patologia da
trattare (antibiogramma, che identifica la specie batterica e i farmaci ai quali il batterio è sensibile)
3) Evitare le associazioni se non giustificate dal quadro clinico (esempio: amoxicillina + acido
clavulanico, ossia augmentin: impedisco ad eventuali beta-lattamasi batteriche che venga bloccata
l’azione del farmaco)
4) Non somministrare antibiotici in caso di infezioni virali quali raffreddore, influenza, etc.