Scrivi una relazione sulle novità introdotte nelle strategie militari nelle battaglie di Crécy e Azincourt A sud di Calais la Guerra dei Cent’anni segnò una svolta nelle modalità di combattimento, nelle quali la “leggerezza” inglese vinse contro la “pesantezza”, anche numerica, dei Francesi. Sessantanove anni prima di Azincourt si svolse la battaglia di Crécy (26 agosto 1346), una delle più sanguinose e crudeli “with no room for mercy. The role of the English longbow played an important part in the outcome of the battle, more than the development of the archers in the field. Edward III’s army had long-experienced commanders and a solid core of hardened men, a well-organised host, which the French did not have. The English victory was the triumph of their tactics”(Il combattimento fu una crudele strage, senza spazio per la misericordia. Il ruolo dell'arco lungo inglese ebbe un ruolo importante nell'esito della battaglia, più che lo spiegamento degli arcieri sul campo. L'esercito di Edoardo III aveva comandanti di lunga esperienza e un solido nucleo di uomini temprati, un esercito ben organizzato, che i francesi non avevano. La vittoria inglese fu il trionfo della loro tattica). Circa 12.000 soldati inglesi riuscirono a vincere contro 40/50.000 fanti Francesi, ai quali si aggiungevano 12.000 cavalieri. Nuove tattiche, tra cui l’uso della “lancia”, l’”arco lungo” furono in grado di sconfiggere gli “invincibili” cavalieri francesi. La lancia era una mini-unità tattica, composta da un cavaliere pesantemente armato e protetto, uno scudiero a cavallo e un paggio (servitore, uomo di fatica); l’arco lungo era un arco a unica curvatura: la facilità dell’uso consentiva una potenza di fuoco molto alta, dalle 15 alle 20 frecce ogni minuto con gittata lunga, al contrario delle balestre utilizzate dai Genovesi che combattevano nell’esercito francese, che riuscivano a lanciare non più di otto dardi al minuto. Ma la “pesantezza” francese riguardò anche un atteggiamento, specialmente dei cavalieri abituati a sentirsi “invincibili” (a causa del sistema di combattimento feudale: duelli con lo scopo di prendere prigioniero l’avversario nobile e farsi pagare un riscatto dalla famiglia), e dei nobili che comandavano le forze militari: “Gli Inglesi, schierati in tre divisioni e seduti a terra, vedendo i loro nemici avanzare, sorsero fieramente e presero posizione nei ranghi... Dovete sapere che quei re, conti, baroni e signori di Francia non avanzavano con un ordinato schieramento”. Per i Francesi l’esito della battaglia fu tragico, dovettero contare circa 16.000 morti (12.000 fanti, 2.300 balestrieri, 1.542 cavalieri e 11 nobili). Si stima che gli Inglesi persero tra i 150 e i 1.000 combattenti, e “solo” due cavalieri. La vittoria inglese consentì a Edoardo III di disporre di una base a Calais, che conquistò dopo undici mesi di assedio. Ad Azincourt si scontrarono le forze francesi (stimate tra 25 e 50.000 unità, guidate dal re Carlo VI contro quelle inglesi (circa 6.000 unità) di Enrico V. Si può dire che la situazione (armamenti, numero di combattenti, atteggiamento dei Francesi) ripeteva quella di Crècy, con l’aggravante, per i Francesi, di un terreno assai fangoso, nel quale i cavalieri, appiedati dai lanci di frecce inglesi, si trovarono impantanati: “In pratica le stesse dimensioni dell'esercito francese ne determinarono la sconfitta, trasformandolo in una massa troppo grande per poter essere convenientemente gestita, soprattutto per l'irrazionalità insita in un'armata priva di disciplina e di una catena di comando efficace”. Gli arcieri inglesi circondarono i cavalieri imprigionati dai loro stessi commilitoni e non ebbero problemi a ucciderli. Quel 25 ottobre 1415 morirono 15.000 francesi e tra 150 e 500 inglesi. La battaglia di Azincourt ispirò William Shakespeare, che nell’Enrico V fa pronunciare al re inglese un famoso monologo poco prima della battaglia (Se destinati a morire, siamo abbastanza numerosi da costituire una perdita per il nostro paese. Se dobbiamo vivere, quanto più in pochi saremo, tanto più degni d’onore (…) il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da questo giorno sino alla fine del mondo, senza che in esso ci si ricordi di noi: noi i pochi, i pochi eletti, noi fratelli in armi. Giacché chi oggi versa il suo sangue con me sarà mio fratello: per quanto di bassi natali, in questo giorno si farà nobile la sua condizione). Shakespeare “riesce ad universalizzare un particolare rendendolo “interessante” per tutti (perché) non vuole semplicemente farci conoscere ciò che accadde quel lontano 1415 sul suolo francese, bensì ci vuol far capire che molte volte anche noi, nei gangli della nostra vita, ci troviamo in quel 1415, su quel campo e nei pressi di Azincourt”. FONTI: (2) Andrew Ayton and Sir Philip Preston: The Battle of Crécy, 1346, Boydell and Brewer, 2005 (3) Froissart Jean: Cronicles of England, France, and Spain and the adjoining countries, Libro 1, Henry G. Bohn, 1857 (4) Shakespeare W: Enrico V, atto IV, editori vari (5) http://www.museoalessandroroccavilla.it Roma, 11/12/2019 Isabella Tokos, 3A