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Elaborato di italiano1 - Isabella Tokos 3A

ELABORATO PAG. 453 N. 7
Confronta la descrizione di Laura con quella che appare nei sonetti di lode stilnovisti, in
particolare “Io voglio del ver la mia donna laudare” di Guinizzelli, “Chi è questa che vèn,
ch’ogn’om la mira” di Cavalcanti, “Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante. Presta
attenzione agli elementi che Petrarca ha ripreso dai suoi predecessori e alle novità
(caratteristiche della donna, effetti su chi la vede e/o sul poeta, collocazione nel tempo).
TITOLO: Donne ispiratrici
Nella sua poesia “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”, Petrarca fa una lode alquanto atipica
alla sua amata Laura: ne elogia la bellezza, quella ormai tramontata piuttosto che quella
effettiva; parla dei suoi capelli biondi mossi dal vento, che li fa intrecciare in ‘mille dolci
nodi’, una ragnatela d’amore che imprigiona il poeta nella sua incessante attrazione verso la
donna; elogia i suoi occhi che in passato splendevano, belli, ma di un lume ormai spento;
accenna al viso che lo aveva tanto fatto innamorare, accendendo un fuoco nel suo petto con la
pietra focaia lì riposta, un viso che sembrava quasi avesse assunto, a quel tempo,
un’espressione di pietà nei suoi confronti e nei confronti del suo amore sofferto; il poeta loda,
della sua amata, il passar per via, la voce, poco umana e molto angelica; e, infine, la donna
nella sua interezza, simile a uno spirito sceso dal cielo, a un sole incarnato, vivente. E anche
se nel corso degli anni Laura sembra aver perso il suo fascino, Petrarca dichiara che le sue
pene d’amore non sono svanite assieme a esso.
In questo sonetto la donna amata è vista quindi sotto una prospettiva nuova, diversa dalle
precedenti. Decisamente Laura non è come la Beatrice di Dante, immortale nella sua bellezza
e nelle sue virtù, nobile d’animo e angelica tanto da togliere il fiato a tutti intorno a lei e,
come dice Dante nel suo famoso sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”, un miracolo
sceso in terra per portare beatitudine, accolta dalla folla tra lodi che lei accetta umilmente,
mentre fa soffrire d’amore tutti quelli che le stanno intorno (“e par che de la sua labbia si
mova / un spirito soave pien d’amore / che va dicendo a l’anima: Sospira.”) Beatrice è una
donna superiore a ogni altro essere; Laura, invece, sembra subire il verdetto del tempo,
sembra percepire la vecchiaia che furtiva le si avvicina poiché, per quanto celestiale fosse da
giovane, risulta essere, in fin dei conti, umana.
Pure la donna amata da Cavalcanti, Giovanna, è simile a Beatrice; simile ma non uguale,
come si nota nel sonetto “Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira”. Sebbene per l’emozione
la folla non riesca a trovare il coraggio di guardare in viso Beatrice, ma Giovanna sì,
entrambe, però, vengono ammirate da tutti, apparendo, come la giovane Laura d’altronde,
quasi angeli dalle caratteristiche ineffabili per la loro perfezione. E proprio come accade a
Petrarca, Cavalcanti è devastato per la freddezza con cui lo tratta la sua amata, che sembra
rimanere impassibile di fronte ai suoi sentimenti.
In “Io voglio del ver la mia donna laudare” di Guinizzelli si ritrovano ancora aspetti della
poesia di lode in onore della propria amata. Il ‘padre dello stilnovo’, come lo definiva Dante,
evidenzia l’effetto salvifico che la donna esercita sul mondo circostante, proprio come la
donna-angelo Beatrice: con il suo saluto riesce a rendere migliore il mondo attorno a sé, lei
alla quale il poeta Guinizzelli paragona in ben due strofe la rosa e il giglio, la luminosità per
lui maggiore di quella dell’astro Venere, il cielo, il verde del prato e l’aria pura, i colori, l’oro
e il lapislazzulo, con un processo descrittivo alquanto simile a quello usato da Petrarca per
raccontare di Laura nel suo sonetto.
Dunque, mentre l’amata di Guinizzelli e quella di Dante curano il mondo dai mali
attraverso il saluto e lo sguardo e mentre Vanna è soltanto paragonata a un angelo e Beatrice
considerata tale, Laura, invece, è umana, mortale come non sembrava essere da giovane.
Petrarca rimane incatenato, aggrappato al dipinto che fa di lei, incurante della vera Laura, del
tempo trascorso e desideroso di cantarne le bellezze.
Isabella Tokos, 3A
PRIMO COMPITO A DISTANZA – marzo 2020