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Il trattamento delle scorie radioattive - Il Progresso Giugno 2019

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IL TRATTAMENTO DELLE SCORIE
RADIOATTIVE
Di Ettore Ruberti
Scorie Radioattive
Alcune considerazioni sono necessarie circa la gestione delle scorie radioattive, poiché, come per
molte altre tecnologie, in Italia regna la disinformazione e molti sparlano dell’argomento sui
mass media e su Internet senza conoscerlo minimamente.
Lo stoccaggio di questa tipologia di rifiuto viene effettuato in previsione di un definitivo
immagazzinamento in siti artificiali o geologici stabili.
Attualmente in Italia i rifiuti radioattivi sono ubicati in 146 siti provvisori.
Sull’argomento è opportuno ricordare che non tutti i rifiuti radioattivi sono dovuti alla
produzione energetica, ma provengono anche da ospedali ed industrie; la gestione degli stessi,
pertanto, costituisce una necessità per tutte le nazioni moderne e non soltanto per quelle dotate di
centrali nucleari.
Il discorso è molto diverso, evidentemente, per quanto concerne i rifiuti radioattivi dovuti agli
armamenti nucleari; ma questo problema non ci riguarda in quanto l’Italia non fa parte dei Paesi
dotati di armamenti di quel genere.
Attualmente il sistema giudicato migliore per la gestione di questa specifica tipologia di rifiuti è
rappresentato da siti artificiali o naturali geologicamente stabili nei quali confinarli, previa loro
vetrificazione ed inserimento in appositi contenitori di acciaio a doppia parete rivestiti di rame.
Va sottolineato che le centrali di quarta generazione sono autofertilizzanti: ossia riutilizzano i
rifiuti a più alta radioattività, provenienti dai reattori delle generazioni precedenti, riducendone
significativamente la quantità, trasformandoli quindi in risorsa.
In passato alcune nazioni, come la Gran Bretagna, utilizzavano il sistema di disperdere i contenitori
in mare, sistema simile a quello utilizzato per anni dalla Svizzera che li gettava nel Lago Maggiore.
Recentemente, invece, era allo studio un sistema, sviluppato dal Prof. Carlo Rubbia, in fase di
sperimentazione presso il Centro di Ricerca ENEA Casaccia, che avrebbe dovuto consentire di
abbassare la radioattività di questi materiali, ricavandone al contempo energia, tramite loro
“bombardamento” con particelle cariche.
In parole povere, è come connettere un acceleratore con un impianto nucleare per la produzione
energetica.
Purtroppo, tale ricerca non è stata più finanziata, ne dal Governo Prodi ne da quello guidato
da Berlusconi, ne da quelli successivi; ma viene portato avanti in altri Paesi.
Per correttezza, va sottolineato il fatto che, più si procrastina la scelta del luogo dove realizzare il
sito e la sua successiva realizzazione, maggiori saranno i costi, fatto che ha permesso alla
dottoressa Gabanelli di scrivere sul Corriere della Sera che il nucleare è costoso in quanto anche i
costi per lo smaltimento dei rifiuti è enorme.
Sul vero costo del nucleare, mi riprometto di affrontare la questione in un altro articolo.
Dal Corriere della Sera 23 maggio 2019
Trattamento Scorie Radioattive:
Situazione attuale in Italia
Ma torniamo a discutere la problematica italiana attuale. Con esclusione di Italia e Grecia, tutti i
Paesi occidentali hanno già scelto da tempo – e stanno preparandosi a renderlo operativo – un loro
sito geologico nazionale.
D’altra parte le normative internazionali impediscono di esportare tali rifiuti in Paesi terzi se non
per un loro ritrattamento, come peraltro fa anche l’Italia mandandoli a Sellafield in Gran
Bretagna, ed in Francia.
Va aggiunto che a Cadrezzate, comune confinante con quello di Ispra dove è ubicato l’ex Euratom
(ora Joint Research Centre), in provincia di Varese, è stato completato ed è operativo il sito per
le scorie provenienti dai reattori del Centro stesso.
In Italia un gruppo di Ricercatori dell’ENEA, sulla base di una serie approfondita di studi svolti
dal 1976 al 1989, aveva indicato ben 217 siti adatti a questo scopo.
Per affrontare questa spinosa situazione, nel 1999, il Ministro dell’Industria Bersani del Governo
D’Alema costituì un’apposita società – la Sogin – per lo più formata da specialisti provenienti
dall’ENEA.
Quattro anni dopo, con la criticità raggiunta anche nel nostro Paese dal pericolo terroristico (e la
conseguente preoccupazione di un possibile attentato in uno dei depositi sparsi sul territorio),
l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Berlusconi, nominò come Commissario
Straordinario di Governo il Generale Carlo Jean.
Successivamente, la Commissione Ambiente della Camera votò all’unanimità una risoluzione in cui
si chiedeva al Governo di individuare il sito nazionale; e poiché la procedura prevedeva il passaggio
alla Conferenza Stato-Regioni, il Gen. Jean inviò alle Regioni un documento di avanzamento.
Un mese dopo i Presidenti delle Regioni restituirono il documento dichiarandosi disposti a
prenderlo in considerazione unicamente nell’ambito di un confronto di discussione a tutto campo
con il Governo. A questo punto il Governo diede mandato alla Sogin di andare avanti; e questa,
basandosi sui lavori di ricerca prodotti negli anni precedenti, indicò il sito al Governo.
Quest’ultimo, ai primi di novembre dello stesso anno (2003), indisse una riunione dei Ministri
competenti, i quali, considerato che lo studio presentato era pienamente convincente sul piano
tecnico-scientifico, decisero all’unanimità di emanare il Decreto Legge per metterlo in atto.
Tale Decreto fu scritto in maniera da assicurare le massime garanzie ma, purtroppo, senza prevedere
un’adeguata informazione dell’opinione pubblica.
Fu scelto il sito di Scanzano Jonico, in quanto dall’alto verso il basso, esso è caratterizzato da 300
metri di argilla seguiti da 300 metri di salgemma e da altri 300 metri di argilla, per cui i fusti
sarebbero stati confinati a 900 metri di profondità sotto questi depositi.
La zona dove era ubicato il sito inoltre non presentava rischi di natura idrogeologica. Si è parlato
invece di rischio sismico.
Quello che non è stato detto è che, dopo il verificarsi del terremoto in Molise (che determinò
numerosi danni, compreso il crollo di un’intera scuola uccidendovi i bambini che la frequentavano),
le autorità si sono spaventate ed hanno preteso che tutto il territorio nazionale venisse inserito
nella classificazione sismica, sia pure nella terza fascia.
Ma valutiamo cosa potrebbe succedere nel caso altamente improbabile che nel sito a suo tempo
scelto si fosse verificato un sisma: l’argilla ed il salgemma sono materiali autosigillanti, quindi il
peggio che poteva succedere è che a 900 metri di profondità tutto si autosigillasse e nessuno
poteva più accedervi.
Comunque, in seguito alla sollevazione popolare che rifiutava un deposito nazionale a Scanzano
Ionico, il Governo di allora ritirò il Decreto e dichiarò di prendersi un anno di tempo per
ulteriori studi. Da allora sono passati 16 anni e, malgrado si siano succeduti vari Governi, nessuno
ha avuto la volontà di risolvere la questione.
E’ necessario aggiungere che il problema è squisitamente politico: infatti, dopo aver terrorizzato
la popolazione sul pericolo rappresentato dalla radioattività, ogni politico di qualsiasi
schieramento è ben coscio che, in caso di scelta del sito del deposito, fra quelli indicati
dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), non verrebbe più
eletto!
Ovviamente, anche per non dover essere soggetti ad altre procedure d’infrazione da parte
dell’UE per non aver rispettato gli impegni presi, è necessario arrivare in tempi ragionevolmente
brevi ad una scelta.
Trattamento e confinamento delle scorie radioattive
I rifiuti radioattivi devono essere confinati sino a quando la loro radioattività non arriva ad essere
equivalente a quella del fondo naturale. Come ho spiegato nell’articolo “Radioattività ambientale
e disinformazione”, pubblicato su questa testata, il decadimento radioattivo può avere tempi
lunghissimi o brevi, e può essere altissima o bassa, a seconda degli elementi.
La normativa tecnica italiana, descritta nella Guida Tecnica n. 26 dell’ISPRA,
classifica i rifiuti radioattivi in tre categorie:



1a Categoria: comprende i rifiuti a bassa radioattività, che decadono in tempi
relativamente brevi, ossia mesi o al massimo pochi anni. Questi provengono soprattutto da
ospedali, industrie e laboratori di ricerca;
2a Categoria: decadono nel corso di alcune centinaia di anni. Provengono dai reattori
nucleari, dal ciclo di trattamento del combustibile, dai reattori di ricerca, da ospedali
ed industrie;
3a Categoria: rifiuti che decadono in milioni o miliardi di anni. Comprendono il
combustibile nucleare irraggiato, quello proveniente dal ritrattamento e il plutonio
proveniente dai reattori.
Ovviamente, il trattamento delle tre tipologie è diverso:



quelli di 1a Categoria, dopo essere stati confinati il tempo necessario ad abbassarne la
radioattività, vengono trattati come rifiuti ordinari;
quelli di 2a Categoria, vengono sottoposti a trattamento di compattazione quelli solidi,
concentrazione quelli liquidi, quindi cementificati ed inseriti in serbatoi d’acciaio,
successivamente vengono confinati in depositi superficiali o in caverne. Secondo la
normativa internazionale, questi siti devono garantirne il completo isolamento per
almeno trecento anni;
quelli di 3a Categoria, vengono divisi a seconda della tipologia. Quelli che decadendo
emettono parecchio calore, vengono vetrificati, poiché in questo modo sono termicamente
più stabili, e quindi inseriti in serbatoi d’acciaio a doppia parete rivestiti di rame per
l’isolamento elettrico. Gli altri, cementificati ed inseriti nei serbatoi d’acciaio. Entrambe
le categorie vengono confinate in strutture costruite con tecnologie volte a garantire la
massima sicurezza.
Il deposito finale, che ogni Paese è tenuto a costruire, deve essere presso strutture geologiche o
artificiali stabili, volte alla massima sicurezza ed alla massima durata nel tempo.
Contenimento dei rifiuti radioattivi – Da internet
Va aggiunto che, come più sopra brevemente delineato, i rifiuti della 3a Categoria possono essere
validamente utilizzati per produrre ulteriore energia nei reattori di quarta categoria che sono,
appunto, autofertilizzanti: in parole povere, sfruttano i rifiuti abbassandone ulteriormente la
radioattività.
Le esigue quantità rimanenti dopo l’utilizzo nei reattori, possono essere resi inerti quando sarà
ingegnerizzato il progetto di Rubbia, il cosiddetto Rubbiatron.
In pratica, in un futuro ormai prossimo, anche i più acerrimi avversari del nucleare, che ritengono
non accettabile lasciare le scorie, sia pur confinate, in eredità alle generazioni future, non avranno
più ragione di osteggiare la produzione energetica per mezzo della fissione dell’atomo!
Scorie radioattive:
Criteri per la scelta del sito
A differenza dei rifiuti tossico/nocivi, quelli radioattivi diminuiscono nel tempo la loro
pericolosità, fino a che il decadimento degli isotopi non si completi.
Tuttavia, il tempo di decadimento rende necessario confinarli in siti stabili ed in condizioni di
massima sicurezza.
I criteri per la scelta della localizzazione dove deve essere costruito il sito sono stati stabiliti a
livello internazionale dall’ONU/AIEA (Organizzazione delle Nazioni Unite/International Atomic
Energy Agency) ed ulteriormente approfonditi in Europa dalla Commissione Europea.
Le linee guida emanate prevedono:
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

stabilità sismotettonica, assenza di corpi idrici e possibilità di isolare da fenomeni
meteorologici e falde, caratteristiche chimiche e geochimiche tali da facilitare il
contenimento di isotopi eventualmente dispersi;
caratteristiche del terreno tali da essere autosigillante e consentire facilmente la
dissipazione del calore;
la topografia del sito dev’essere tale da garantire l’isolamento dalla biosfera e l’assenza
di depositi minerari o comunque sottoponibili a sfruttamento, bassa densità della
popolazione residente nei pressi del sito.
il deposito può essere artificiale, sia costruito in superficie che costruito in profondità,
oppure naturale, ricavato cioè in siti geologici profondi, oltre i mille metri di profondità.
Questi ultimi sono adatti in special modo per i rifiuti di 3a Categoria. Come abbiamo illustrato più
sopra, e come dimostrano i rilievi effettuati nei depositi già esistenti, il rischio e l’impatto
ambientale che presentano è virtualmente pari a zero.
Esempio di deposito geologico profondo – Da Internet
Leggi Anche: Specie alloctone: criticità
Tags: Deposito nazionale, radioattività, Rifiuti radioattivi
Ettore Ruberti
Ricercatore dell’ENEA, Dipartimento FSN-FISS-SNI, Professore a contratto di Biologia
generale e molecolare all’Università Ambrosiana, Direttore del Dipartimento di Biologia ed
Ecologia di UNISRITA
ETTORE RUBERTI E' Ricercatore dell’ENEA, Dipartimento FSN-FISS-SNI, I suoi campi di
ricerca sono l’evoluzione biologica e l’entomologia applicata. Dal ’91 si occupa anche di idrogeno
come vettore energetico e di fenomeni nucleari collettivi nella materia condensata. Rappresenta
l’ENEA al Forum Italiano dell’Idrogeno ed è coautore del libro bianco sull’idrogeno “Linee guida
per la definizione di un piano strategico per lo sviluppo del vettore energetico idrogeno”. Dal ’97
Professore a contratto di Biologia generale e molecolare all’Università Ambrosiana. Dal 25
settembre 2012 con qualifica accademica di Licentia Docenti ad Honorem per merito di chiara fama
nella disciplina. E’ Direttore del Dipartimento di Biologia ed Ecologia di UNISRITA. Ha
sviluppato una nuova ipotesi sul ruolo svolto da un debole campo elettromagnetico in argille di
origine magmatiche (le montmorilloniti) nella formazione delle prime macromolecole biologiche,
ipotesi che sta sottoponendo a verifica sperimentale. Ha sviluppato, in collaborazione con il Rettore
dell’Università Ambrosiana, un progetto di ricerca, volto l’interruzione del ciclo del Plasmodium
della Malaria nella Zanzara Anopheles, attualmente in fase di realizzazione attraverso una
collaborazione ENEA/Università Ambrosiana.
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