http://www.patrick-charaudeau.com/A-communicative-conception-of.html
PATRICK CHARAUDEAU
Una concezione comunicativa del discorso
Studi sul discorso, vol.4, numero 3, SAGE Publications, Londra 2002., 2002
In questo articolo vorrei dimostrare come lo studio dei fatti linguistici sia rilevante per due
problematiche: "comunicazionale" e "rappresentazionale". Questa doppia problematica si rivolge a
diverse scuole di pensiero: la pragmatica, nella misura in cui tutti i fatti del discorso sono dotati di
una forza illocuzionaria e perlocuzionaria; la socio-etnografia, nella misura in cui si tiene conto
delle condizioni esterne della produzione linguistica; la psicologia, nella misura in cui considero che
ogni fatto del discorso sia inscritto in una prospettiva di influenza. Tale posizione, che definisco
semio-comunicativa, dipende da diversi principi: "alterità" (ogni oratore costruisce e si costituisce
attraverso il destinatario); "influenza" (l'oratore parla per permettere al destinatario di entrare nel
suo mondo discorsivo), "regolazione" (tenendo conto dell'altro e delle circostanze della
comunicazione il destinatario vuole influenzare l'altro), "pertinenza" (per comprendersi
reciprocamente entrambi devono condividere la stessa rappresentazione del mondo e di se stessi che
può essere adeguata e adattata alla situazione della comunicazione). La nostra posizione presuppone
quindi una teoria del soggetto linguistico in linea con i vincoli della situazione della comunicazione
e con le strategie che questo soggetto impiega.
Il soggetto e le sue "competenze
Con la presente difendo una prima ipotesi: ogni discorso-atto è il risultato della combinazione di
una situazione, di un'organizzazione discorsiva e di un certo uso dei moduli. Evidentemente, il
soggetto che parla fa queste scelte secondo i vincoli della situazione e le possibilità di realizzazione
del discorso che gli si offrono. Per far luce sulle diverse "compentenze" che il soggetto parlante
invoca quando mette in scena il suo discorso, comincerò con un esempio tratto dal discorso dei
media. L'estratto è tratto da un programma televisivo letterario francese intitolato Apostrofi; dopo
aver interrogato uno dei suoi ospiti (J.F Revel) su un'intervista che aveva rilasciato alla rivista Play
Boy, il presentatore (B. Pivot) si rivolge agli altri due ospiti e chiede loro :
-Bernard Pivot : "E tu, leggi Play Boy?
-Jean Cau (a secco) : "No !
-Jean Dutourd (a voce bassa : "Sì, a volte lo faccio, dal barbiere".
Si può notare che, in questo programma, un dispositivo triangolare organizza gli scambi linguistici.
Il cosiddetto talk-show, mette in contatto tra loro i vari partecipanti e favorisce lo scambio verbale
sul tema dei libri che hanno scritto, scambio animato dal presentatore che pone loro delle domande.
Ma questo dispositivo mette in relazione questi partecipanti con un terzo presente-assente: il
pubblico. Ma questo dispositivo mette i partecipanti in contatto con un terzo presente-assente: il
pubblico. Possiamo quindi ipotizzare che ogni oratore in questa situazione sappia di essere
osservato e ascoltato dal terzo, e che lo scambio sia diretto più verso questo terzo che verso gli altri
interlocutori, o verso questo terzo attraverso gli altri interlocutori. Inoltre, ognuno dei partecipanti
che si alternano nella conversazione può trovarsi nella posizione del terzo, ascoltando mentre gli
altri parlano tra loro.
In tale dispositivo ogni partecipante deve soddisfare un certo numero di condizioni: le condizioni di
risposta alle domande, le condizioni di spiegazione chiara e semplice (per il bene del pubblico) e, se
necessario, le condizioni di cortesia nel dibattito [1]. Ma allo stesso tempo, ogni partecipante vuole
districarsi, cioè vuole individualizzarsi utilizzando strategie volte a renderlo credibile e a sedurre i
suoi interlocutori, soprattutto il pubblico. Si può vedere come inizia J. Dutourd. La sua risposta può
essere interpretata in questo modo: "Leggo questa rivista quando mi si presenta l'occasione, in sala
d'attesa o nei luoghi di svago (non certo nello studio del dentista), senza comprarla deliberatamente
in edicola". Tutto accade come se Dutourd si appellasse al discorso di qualche meta-enunciatore che
direbbe: "Un intellettuale riconosciuto deve essere curioso di tutto", e, correlativamente,
alluderebbe: "Nella vita bisogna saper essere tolleranti".
Strategicamente, questa risposta potrebbe avere vari effetti:
a) è una risposta apparente a B. Pivot che, nel caso in questione, diventa il tu-indirizzo a cui J.
Dutourd chiarisce di aver evitato di cadere nella trappola della domanda: rispondere "no"
significherebbe mostrarsi fazioso, rispondere "sì" significherebbe mostrarsi frivolo. Ma allo stesso
tempo questa risposta istituisce J. Cau come un terzo. Lo interpreta come il "segretario" e, in
opposizione a Cau, Dutourd si presenta come una persona tollerante.
b) Si rivolge anche, forse più indirettamente, a J. F. Revel (anche se non si ha la capacità di misurare
il grado di indizialità di un'enunciazione): "Forse non è molto appropriato che un letterato rilasci
un'intervista a una rivista che si sfoglia distrattamente dal barbiere".
c) Infine, e contemporaneamente, la risposta viene fornita come un ammiccamento al pubblico - lo
spettatore televisivo, il terzo - anticipato dal dispositivo, un ammiccamento che significa: "Vedi
come si può uscire da una trappola? Scherzando" invita la terza parte ad essere sua complice.
Si vede come questi discorsi interagiscono tra loro. Possiamo quindi affermare che, come in ogni
atto di comunicazione, i discorsi si mescolano. Ma si può anche vedere che, per apprezzarne il
valore, bisogna distinguere i livelli su cui si verificano.
Per descrivere questo funzionamento, proponiamo un modello di tre livelli di costruzione dei sensi.
Ognuno di questi livelli corrisponde a una delle "competenze" del soggetto: dal livello
"situazionale" alla competenza comunicativa, dal livello "discorsivo" alla competenza discorsiva e
semantica, dal livello "semilinguistico" alla competenza semilinguistica.
La competenza comunicativa corrisponde al livello "situazionale" delle condizioni di utilizzo e di
interpretazione degli interventi. Essa rappresenta la capacità del soggetto (sia che si trovi al posto di
colui che comunica, sia che si trovi al posto di colui che interpreta) di riconoscere e di considerare
le particolarità della situazione della comunicazione, cioè l'identità dei partner dello scambio, lo
scopo dello scambio, il contenuto in gioco e le circostanze materiali che lo circondano.
L'identità dei partner dello scambio determina "chi parla a chi", in altre parole la natura del soggetto
che comunica e la natura del soggetto che interpreta per quanto riguarda la loro identità sociale
come esseri comunicanti, secondo il loro status, il loro ruolo sociale e il loro posto nella relazione
comunicativa (per esempio il significato dell'espressione "vedo che stai facendo progressi" è
determinato dal fatto che chi parla è un padre che si rivolge al figlio). La "legittimità" del soggetto
comunicante sarà giudicata in base all'identità dei soggetti - cioè secondo ciò che giustifica il suo
"diritto di parola" - e alle relazioni di potere che si instaurano tra di loro. Tale identità è sia sociale
(attribuita dallo status) sia discorsiva (costruita attraverso l'atto linguistico). L'autorità del soggetto
che parla dipende tanto dalla sua identità sociale quanto dalla sua identità discorsiva.
Lo scopo dell'atto di comunicazione è definito dalla risposta alla domanda (più spesso non
implicita): "Cosa sono qui per dire?" e simmetricamente "Cosa sono qui per sentire? Le risposte
sono estremamente diverse, a seconda del livello di generalità o di particolarità su cui ci si trova. A
un certo livello di generalità le risposte saranno date in termini di finalità comunicative dal punto di
vista del soggetto che comunica: una finalità "prescrittiva" che tende a far fare o (fargli dire, o fargli
non fare) qualcosa all'Altro; la finalità che si può trovare nei testi giuridici, normativi, ingiuntivi,
ecc. un obiettivo "richiesta" che vuole far conoscere l'altro, l'obiettivo che si può trovare nei testi di
bonifica, nelle richieste di informazioni, nelle petizioni, ecc.; un obiettivo "informazione" che vuole
far conoscere all'Altro qualcosa, come nei testi di informazione pratica, negli annunci, nei testi dei
media, ecc. un obiettivo "incentivante" che vuole far fare qualcosa all'Altro, ma senza essere
autorevole, che obbliga il soggetto a far credere, come nei testi di propaganda (testi politici o
pubblicitari); un obiettivo "educativo" che vuole "far sapere" qualcosa all'Altro, questo obiettivo
corrisponde ai manuali di istruzioni, al dosaggio dei farmaci, ecc; un obiettivo "dimostrativo" che
vuole stabilire una verità (o l'evidenza di una verità) (Charaudeau, 2000), questo obiettivo
corrisponde a certi testi scientifici, perizie, rapporti investigativi, ecc. È proprio la variazione dello
scopo secondo la situazione della comunicazione che ci permette di spiegare come un'espressione
come "Il treno parte alle 5" possa essere interpretata come un ordine ("prescrizione"), un
suggerimento ("incitamento") o un'affermazione ("informazione").
Il contenuto (proposta) è quello che fa eco al principio di pertinenza, insieme all'idea che ogni
situazione appartiene a un dominio tematico per quanto generale possa essere. Il contenuto
corrisponde al modo in cui "ciò di cui si parla" è strutturato o "attualizzato". Ad esempio, qui, in
questo articolo, il contenuto corrisponde all'attualizzazione che è stata impostata dal coordinatore
del periodico. Nella situazione della comunicazione di un annuncio pubblicitario, il contenuto
corrisponde all'ambito tematico della promozione commerciale; in una situazione di comunicazione
politica, il contenuto corrisponde all'ambito tematico della "vita nella società".
Le circostanze materiali costituiscono ciò che determina le situazioni di comunicazione dal punto di
vista della sua materialità: il numero dei partecipanti, la loro rispettiva posizione reciproca, il mezzo
(canale) di trasmissione dello scambio, il luogo dello scambio, il momento, ogni circostanza ritenuta
rilevante per la costituzione dei messaggi. Ad esempio, a seconda delle circostanze, i destinatari
sono coinvolti in uno scambio interlocutivo (spesso orale) o monolocutivo (spesso, ma non sempre,
scritto), il diritto di prendere il proprio turno di parola si attualizza in modo diverso. Infatti, il
soggetto dell'interlocuzione è un soggetto che deve costantemente difendere il proprio diritto di
parola, gestendo al meglio le mosse di accettazione o di rifiuto dell'Altro, mentre il soggetto della
monolocuzione impone all'altro il suo universo e la sua organizzazione tematica, per il fatto che
quest'ultimo non può rispondere immediatamente. Queste sono le circostanze materiali che ci
permettono di distinguere le varianti all'interno della situazione globale della comunicazione,
varianti che portano ad ogni situazione alcune particolarità. Così, per quanto riguarda la pubblicità,
distingueremo tra: pubblicità di strada (manifesti, pubblicità su riviste (sfogliando le pagine)), spot
televisivi (pubblicità animate). Allo stesso modo, all'interno del discorso politico, distingueremo tra
quelli prodotti in un comizio elettorale, durante una dichiarazione trasmessa, un'intervista
radiofonica, e quelli pubblicati dalla stampa. La competenza comunicativa è quella che determina la
posta in gioco ("enjeu") dei discorsi-atti in ogni situazione di comunicazione.
La competenza discorsiva corrisponde al livello "discorsivo" dal punto di vista del meccanismo di
realizzazione del discorso. Essa rappresenta la capacità del soggetto di riconoscere e di manipolare
le procedure operative dell'organizzazione del discorso che fanno eco ai vincoli del quadro
comunicativo. Questi vincoli (da non confondere con le procedure operative propriamente
linguistiche) sono di tre ordini: enunciativo, descrittivo-narrativo e argomentativo. Le procedure
operative enunciative corrispondono all'atteggiamento enunciativo costruito dal soggetto parlante,
secondo i dati identificativi e relazionali della situazione comunicativa, ma anche all'immagine che
egli vuole dare di sé e all'immagine che vuole attribuire all'Altro. Inventa quindi l'"Io" e il "Tu"
dell'atto enunciativo che possono sovrapporre i dati o mascherarli (come nell'ironia). Lo fa
attraverso categorie di modalizzazione, costruendo ruoli enunciativi (elocuzionario, allocuzionistico
e delocitario - élocutif, allocutif, délocutif) (Charaudeau, 1991, 1995): quando un datore di lavoro
parla al suo dipendente secondo lo status di datore di lavoro e di dipendente, si deve tener conto
della situazione di comunicazione (identità sociale); quando il datore di lavoro parla mostrando la
sua autorità o, al contrario, la sua familiarità, è la situazione di enunciazione che deve essere
considerata. La situazione di enunciazione viene messa in scena secondo le norme che prevalgono
in ogni gruppo sociale. Così appaiono i rituali socio-linguistici (sia scritti che orali). Esiste infatti un
mercato sociale di questi rituali, secondo le abitudini culturali di ogni comunità socio-linguistica. Di
conseguenza, il soggetto ha la capacità di riconoscere questi rituali, e questa competenza viene
acquisita attraverso l'apprendistato sociale. Le procedure descrittivo-narrative consistono sia nella
capacità di denominare e qualificare gli esseri del mondo, in modo oggettivo e/o soggettivo, per
l'aspetto descrittivo; sia nella capacità di descrivere le azioni nel mondo dal punto di vista dei vari
attori coinvolti, per l'aspetto narrativo. Le procedure argomentative consistono nella capacità di
organizzare le catene di causalità esplicative degli eventi, e l'evidenza di ciò che è vero, falso o
plausibile.
La competenza semantica corrisponde anche al livello "discorsivo", ma dal punto di vista
dell'investimento in materia di conoscenza. Può essere definita come la capacità del soggetto di
riconoscere e di mobilitare ciò che i cognitivisti chiamano "un ambiente cognitivo reciprocamente
condiviso" (Sperber, 1989). Il fatto è che per capire bisogna fare appello a un sapere comune che si
suppone condiviso dai partner dello scambio linguistico. Distinguo due tipi di informazioni. Le
informazioni sulla conoscenza che corrispondono alle percezioni e alle definizioni più o meno
oggettive del mondo: queste informazioni sono costruite secondo esperienze condivise (si dice
ancora che "il sole sorge e tramonta"); informazioni scientifiche modellate da calcoli, ragionamenti
ed esperimenti (sappiamo che la terra gira intorno al sole); informazioni di credenza che
corrispondono ad un sistema di valori, più o meno codificato, che circola nelle comunità sociali,
provoca giudizi dei suoi membri e allo stesso tempo dà a questi membri una ragione di esistere dal
punto di vista della loro identità (espressa attraverso "opinioni collettive" come nei dicta e nei
proverbi ("tutto ciò che luccica non è oro..."). L'abilità richiesta è qui molto più complessa che nei
casi precedenti, in quanto si basa principalmente sull'esperienza di vita nella società, dove l'ordine
semantico del discorso si esprime sia esplicitamente che implicitamente. Come si può capire che
un'espressione come "on ne mendie pas son droit, on l'obtient de haute lutte" ("non si deve
mendicare per i propri diritti, si deve lottare per essi") sia "fascista" e non, come si sarebbe potuto
pensare, "rivoluzionaria"? Tutto dipende dalle deduzioni che il soggetto interprete sarà portato a
fare in base ai dati di situazione e alla propria posizione. Per questo motivo una teoria dell'inferenza
sembra essere la più appropriata per studiare i fenomeni di interdiscursività implicita. [2]
La competenza discorsiva si compone quindi di due tipi di competenze: una si occupa delle
modalità di organizzazione, dell'impostazione del discorso, e l'altra dei contenuti, dei tipi di
informazioni e dei sistemi di valori, in relazione ai quali i soggetti definiscono le proprie posizioni.
La competenza semiolinguistica corrisponde al livello di distribuzione delle forme. Questa
competenza è la capacità dei soggetti di riconoscere e di manipolare la forma dei segni, le regole
della loro combinazione in relazione al senso che portano. Ovviamente, questi segni non possono
essere riconosciuti e manipolati, ma in relazione ai vincoli del quadro situazionale e a quelli
dell'organizzazione del discorso. È a questo livello che si costruisce il testo, se per testo si intende il
risultato di un discorso-atto prodotto da un determinato soggetto in una determinata situazione di
scambio sociale che ha una forma particolare con limiti propri. Quindi, per costruire un testo, si
deve avere la capacità di adattare la sua costruzione ai vincoli precedentemente definiti. Questa
impostazione si realizza su tre livelli, ognuno dei quali richiede un certo know-how:
- un know-how in materia di composizione testuale: da un lato, la composizione del testo nel suo
ambiente (il "paratesstuale" (Genette:1982), cioè la disposizione di diversi elementi esterni al testo
(ad esempio, la composizione delle pagine di una rivista e la loro organizzazione in sezioni, colonne
e sottocolonne); dall'altro, la composizione interna al testo, cioè la sua organizzazione in parti, la
sua rete di riferimenti e ripetizioni.
- un know-how sulla costruzione grammaticale, cioè sull'utilizzo dei tipi di costruzione (attiva,
passiva, nominalizzata, impersonale [3]), dei segni logici (connettori), della pronominalizzazione,
dell'anaforizzazione, della modalità di tutto ciò che riguarda l'"apparato formale dell'atto
enunciativo" secondo l'espressione di Benveniste (verbi modali, aggettivi, diverse locuzioni).
- infine, un know-how sull'uso appropriato del lessico secondo il valore sociale che esso porta
con sé. Così come esiste un mercato sociale dei rituali linguistici, esiste anche un mercato sociale
delle parole. Essendo costantemente utilizzate in certi tipi di situazioni, queste finiscono per
acquisire un prezzo commerciale: diventano dotate di un certo "potere della verità" e rivelano così
l'identità di chi le usa. Si può quindi affermare che le parole hanno anche un "valore identitario"
("target, posizione, immagine aziendale, per conquistare la fedeltà dei clienti" rimandano al gruppo
degli esperti di comunicazione; lo stesso vale per alcune espressioni [4]).
Si tratta quindi di una competenza particolare, che consiste nella capacità di riconoscere e utilizzare
le parole secondo le loro regole di combinazione, il loro valore identitario e il loro potere di verità.
Questi tipi di strutture possono essere chiamati "socioletti": modi di parlare caratteristici di un
gruppo sociale (familiare, professionale, regionale, nazionale o culturale).
Questa quadruplice competenza costituisce le condizioni della comunicazione linguistica. Essa si
forma attraverso un andirivieni tra le condizioni sociali della comunicazione, le procedure operative
dell'organizzazione discorsiva, i diversi tipi di conoscenza e i sistemi di forma, i cantieri del
discorso che si integrano l'uno nell'altro.
Questo mi porta naturalmente a ipotizzare che ci siano tipi di memoria che corrispondono
correlativamente a questi tipi e livelli di competenza.
Una memoria delle situazioni di comunicazione. Si può presumere che i membri di una data
comunità sociale abbiano registrato diversi meccanismi che regolano gli scambi linguistici,
meccanismi che costituiscono l'insieme delle condizioni psicosociali delle situazioni di
comunicazione, il cui riconoscimento permette ai partner di comprendere la posta in gioco dello
scambio. Senza questa memoria comunicativa, una rappresentazione della morte non potrebbe
essere interpretata in modo diverso in termini di mass media o di pubblicità commerciale. Non si
tratta infatti della morte come contenuto del discorso, ma della situazione in cui si parla della morte.
Allo stesso tempo, si può dire che questa memoria comunicativa raggruppa i soggetti che
condividono [6] la stessa conoscenza delle caratteristiche della situazione, creando tra loro una
complicità interpretativa.
Pertanto, il discorso politico sarà interpretato in modo diverso a seconda che i soggetti partecipino a
un comizio, a una manifestazione, a un colloquio, a un colloquio, a un dibattito, a una
conversazione amichevole, ecc.
Memoria del discorso... Questa memoria registra i tipi di conoscenza e i tipi di credenze proprie
della comunità a cui appartengono. Questi discorsi sono stabiliti in rappresentazioni, circolano
socialmente e costituiscono i poli di costruzione di identità collettive che chiamerò "comunità
discorsive" [7]. È su quel ricordo del discorso che gioca la pubblicità, per esempio, la pubblicità.
Uno slogan come : "Obernai, la prima grande birra con un terzo di calorie in meno" necessita, per
essere compreso, di rappresentazioni condivise [8] dell'"effetto delle calorie", del "valore dell'essere
magri", del fatto che "chi beve birra è per lo più un uomo". È proprio questa memoria discorsiva che
raggruppa i soggetti in comunità virtuali [9] - soggetti che condividono gli stessi sistemi di valori,
siano essi giudizi morali, opinioni politiche, dottrine, ideologie, ecc.
Memoria delle forme segniche. Questo tipo di memoria registra forme e segni secondo il loro
aspetto formale (sia esso verbale, iconico o gestuale). Questa memoria dei segni deve, con la loro
organizzazione in un sistema, anche con il loro uso. Qui si tratta più che altro del secondo caso, in
cui i segni sono organizzati in modi più o meno ordinari di parlare, come se ciò che conta nel
linguaggio non fosse ciò che si dice, ma il modo in cui lo si dice. Questa memoria agisce in modo
tale che i soggetti sono uniti nella loro comune affinità nell'uso del discorso (alcuni direbbero
"stile"), dal loro "modo di parlare"; questo ci permette di parlare di "comunità semiologiche" [10]
[11]... A causa di questa memoria semiologica, gli individui esprimono giudizi estetici, etici,
pragmatici o di altro tipo, basati su norme sociali che si suppone siano condivise; così si
distinguono l'uno dall'altro [12]. La comunità semiologica è anche una comunità virtuale di soggetti
che si riconoscono reciprocamente attraverso la "routinizzazione" delle forme di comportamento
linguistico.
Dato il rapporto "consustanziale" tra situazione, significati e forme, si può ragionevolmente
ipotizzare che vi sia una stretta relazione tra questi tre tipi di memoria, e oltre, tra l'ambiente che è
una componente strutturante della pratica sociale e la normalizzazione-codificazione delle pratiche
linguistiche. Si può difendere l'idea che il soggetto sociale si dia dei generi empirici e che li ponga
come norme di conformità linguistica attraverso le rappresentazioni che ne ha della sua formazione
e della sua esperienza.
Il soggetto tra vincoli situazionali e strategie discorsive
La mia seconda ipotesi, legata alla prima, è che il soggetto si avvale di queste diverse "competenze"
in modo duplice: da un lato, come essere sociale dipende dai vincoli che la situazione della
comunicazione gli impone, ma come individuo cerca di darsi un'esistenza attraverso l'uso di
strategie.
Vincoli e costruzione discorsiva
L'argomento del discorso è al tempo stesso vincolato e libero, come vedremo.
I vincoli della situazione
La situazione della comunicazione è il luogo in cui vengono istituiti i vincoli. Questi vincoli
determinano la posta in gioco nello scambio. Essi provengono, come abbiamo visto, sia dall'identità
dei partner che dal posto che occupano nello scambio, dal punto di vista del loro scopo, del loro
contenuto e delle circostanze materiali in cui si svolge il discorso. A forza di scambi linguistici, lo
scambio si costruisce da solo. Infatti, per arrivare all'intercomprensione dei domini della
comunicazione (per esempio, le situazioni di una manifestazione, di una dichiarazione
radiotelevisiva o di un programma elettorale fanno parte del dominio della comunicazione politica).
Questi domini determinano, attraverso le caratteristiche dei loro componenti, le condizioni di
produzione e di riconoscimento degli atti di comunicazione. Così il vasto dominio della pratica
sociale è strutturato in ambiti di comunicazione che io chiamo "situazioni globali di
comunicazione", che sono il risultato delle "particolari" situazioni di comunicazione ad esse
collegate. Ogni situazione nel suo insieme comprende quindi le condizioni generali comuni a tutte
queste particolari situazioni e, viceversa, ogni particolare situazione comprende, a livello delle sue
componenti, sia i dati generali che la situazione globale fornisce sia le caratteristiche che le sono
proprie. Ad esempio, la situazione globale della "comunicazione" politica fornisce le caratteristiche
generali dell'obiettivo di "incitamento", dell'identità dei partner (un'istanza politica (istanza) /
un'istanza cittadina (istanza) / un'istanza avversaria), del contenuto (l'"idealità" (idéalité) del
welfare). Altrimenti, ogni situazione particolare (manifestazione, tratto, dichiarazione alla radio,
ecc.) è costituita da queste componenti, comprese quelle che provengono da circostanze materiali.
Quindi i discorsi prodotti in ciascuna di queste situazioni sono diversi (non si parla in un comizio
come in televisione) ma hanno anche qualcosa in comune (difendere i valori, criticare quelli
dell'avversario, apparire credibili). Lo stesso vale per la situazione globale della comunicazione
mediatica, le cui caratteristiche generali si ritrovano costantemente nelle varie situazioni particolari
dell'informazione (stampa, radio, televisione).
Qualsiasi situazione di comunicazione, globale o particolare, propone ai partner coinvolti un certo
numero di condizioni che definiscono la posta in gioco dello scambio comunicativo: il suo scopo,
l'identità dei partecipanti, il dominio del contenuto, le circostanze materiali. Pur facendo l'ipotesi
che senza il riconoscimento di queste condizioni non esisterà una possibilità di intercomprensione,
introduco la nozione di contratto di "comunicazione". Tutto avviene come se un oratore e un
destinatario fossero legati da un contratto di riconoscimento reciproco che permette loro di capirsi.
Questo contratto svolge quindi un ruolo di vincolo per le procedure operative di produzione e
interpretazione dell'atto di comunicazione, e allo stesso tempo è ciò che permette ai partner dello
scambio di co-costruire il senso.
Considerata dal punto di vista dell'analisi del discorso, questa nozione permette di raggruppare i
testi che partecipano a queste condizioni situazionali. Così, i corpora possono essere costruiti, sia
intorno al contratto globale di comunicazione (corpus di testi pubblicitari, corpus di testi di
informazione mediatica, corpus di testi politici), sia intorno alle situazioni particolari (corpus di spot
pubblicitari distinti da un corpus di manifesti; corpus di cronache giornalistiche politiche distinte da
un corpus di cronache radiofoniche, ecc.) Una tale tipologia non è ovviamente l'unico principio di
ordinamento dei testi. Essa non permette di distinguere, all'interno della classe dei testi giornalistici,
le differenze che esistono tra i diversi tipi di cronache o articoli, ad esempio. Pertanto, è necessario
che io consideri di guardare più da vicino ciò che accade a livello della costruzione discorsiva.
La costruzione discorsiva
Il livello discorsivo è il luogo dove, sotto l'effetto dei vincoli della situazione, si stabiliscono "modi
di parlare" diversi e più o meno codificati. Questo luogo è quindi il luogo dove il soggetto compie
delle scelte che, senza essere assolutamente vincolato, non sono completamente libere. Si tratta in
realtà di distinguere i vincoli situazionali, discorsivi e formali.
I vincoli situazionali sono dati esterni al detto ma, come ho già detto, la base dei dati è comunicativa
nel determinare: "perché dirlo", "chi parla con chi", "su cosa" e "in quali circostanze". Così facendo,
questi vincoli generano le istruzioni che devono corrispondere a un "come dirlo".
I vincoli discorsivi sono dati interni a quanto detto e dipendono dai vincoli di situazione. Se il
legame tra i dati esterni e la costruzione discorsiva è un legame di causalità, non è per tutti che si
stabilisce una corrispondenza termine per termine tra di loro. I primi determinano solo quello che
deve essere il quadro del trattamento linguistico in cui vengono messi in ordine. Così, si osserverà
che i dati di scopo, per l'inclinazione delle loro finalità, determinano una certa scelta di modalità
descrittive, narrative o argomentative [13] ; i dati dell'identità dei partner determinano una certa
scelta delle modalità di enunciazione (allocuzionaria, elocuzionaria, delocutoria (allocutif, élocutif,
délocutif); i dati del contenuto determinano alcune modalità di tematizzazione, cioè l'organizzazione
dei temi e dei sottotemi da trattare; i dati delle circostanze materiali determinano alcune forme, cioè
l'organizzazione della produzione materiale (verbale e/o visiva) dell'atto di comunicazione. I vincoli
discorsivi non corrispondono ad un obbligo di utilizzo di tale o tal altra forma testuale, ma ad un
insieme di possibili comportamenti discorsivi tra i quali il soggetto che comunica sceglie quelli
suscettibili di soddisfare le condizioni esterne del dato. Ad esempio, le finalità di "informazione" e
di "incitamento" che caratterizzano il contratto mediatico [14] determinano una cornice per il
trattamento del discorso in cui l'istituzione mediatica deve a) : dare un resoconto dell'evento per
trasformarlo in notizia (e trasformarlo in un evento riportato) utilizzando procedure operative
descrittive e narrative, a volte oggettivistiche (per essere credibili), a volte drammatizzanti (per
catturare); b) spiegare l'evento (analisi o commento) utilizzando procedure operative argomentative;
c) produrre un nuovo evento utilizzando procedure operative che favoriscono l'interazione (dibattiti,
talk-show, interviste). I luoghi assegnati ai partner di questo contratto determinano una cornice per
la trattazione degli enunciati in cui l'istituzione mediatica deve costruirsi l'immagine di un oratore
univoco, distante e neutrale. Deve anche costruire un'immagine del destinatario che si suppone sia
coinvolto (in nome della cittadinanza), che sia influenzato (in nome della natura umana) e che
cerchi di capire (in nome della buona volontà). Il soggetto determina una razionalizzazione del
trattamento tematico, intorno agli eventi selezionati in base alla loro potenziale "attualità",
"prossimità" e "disordine sociale" [15].
I vincoli formali sono anche interni a quanto detto, costituendone la configurazione testuale. Sono
forme d'uso ripetitive che, diventando routine, si stabilizzano nei modi di parlare. Ma - ed è questa
l'ipotesi originaria - poiché questi modi di parlare dipendono dalla situazione della comunicazione;
la "routinizzazione" in questione si modella in forme che riecheggiano le esigenze del vincolo
situazionale attraverso vincoli discorsivi. Questi svolgono il ruolo di mediatore tra i dati del vincolo
situazionale e la configurazione testuale. Tutte le componenti della situazione di comunicazione
condizionano le forme, attraverso vincoli discorsivi, ma la componente della circostanza materiale è
forse quella che più direttamente influenza le forme; ciò spiega il motivo per cui questa componente
induce "dispositivi materiali". Si parte da una differenziazione delle forme di carattere orale o di
scrittura a seconda che il dispositivo ponga i partner dello scambio in compresenza fisica in una
situazione interlocutiva, o in assenza fisica in una situazione monolocutiva; ciò che fa sì che il
canale di trasmissione sia nel primo caso fonico e nel secondo scritturale. Poi, se ci si trova ad
esempio in una situazione di interlocuzione, la differenziazione riguarderà i ruoli che vengono
assegnati ai diversi partner dello scambio, cosa fa sì che le prese di parola e gli atteggiamenti
enunciativi non siano gli stessi, ad esempio, in un'intervista o in un dibattito [16]. D'altra parte, se ci
si trova in una situazione monoloculare, senza la compresenza fisica dei propri partner, le
caratteristiche del dispositivo faranno sì che la forma di presentazione di un messaggio non sia la
stessa a seconda che si comunichi per lettera, posta elettronica o telegramma. È tenendo conto di
queste circostanze che potrei proporre, nel mio lavoro di analisi del discorso informativo mediatico,
una tipologia fondata prima sul "dispositivo come materialità della produzione" (Cahiers de
sémiotique textuelle, 1986) (ciò che permette di dire che la radio è essenzialmente un dispositivo di
contatto, la televisione un dispositivo di spettacolo e la stampa un dispositivo di leggibilità); poi
sulle diverse modalità operative della produzione che vengono utilizzate per costruire vari
"dispositivi scenici" (interviste, reportage, titoli, ecc. ) (Cahiers de sémiotique textuelle, 1986).
L'organizzazione delle forme obbedisce meno alle regole che alle norme di un uso più o meno
codificato, che sono espresse linguisticamente in vari modi. Così, se una pubblicità, a causa di
vincoli situazionali e discorsivi, deve mostrare le qualità del suo prodotto utilizzando uno slogan, e
questo slogan deve essere il più breve possibile, ciò non impedisce che le costruzioni delle frasi in
cui è espressa siano estremamente variabili. Se, nella stampa, il discorso dell'informazione, per i
suoi vincoli situazionali e discorsivi, deve annunciare le notizie attraverso titoli relativamente brevi,
ciò non impedisce a questi titoli - come dimostra il confronto - di apparire come costruzioni di frasi
diverse (per lo più non nominate) a seconda del tipo di giornale e di notizia.
È a questo livello che si costruisce il testo, che gli conferisce alcune proprietà multiple; configurato
in una materialità significante, è caratterizzato da proprietà generali di carattere orale, di carattere
scritturale, di carattere mimo-gestuale, di carattere iconico, e dalle loro condizioni di costruzione
morfologica, sintattica. Poiché il testo è prodotto in una situazione contrattuale, esso dipende per il
suo significato da ciò che caratterizza tale situazione (finalità, identità, contenuto e circostanze
materiali); poiché la sua origine è un soggetto, questo testo rivela caratteristiche della situazione che
lo sovradeterminano e caratteristiche peculiari, a seconda delle scelte del soggetto. Finora, si può
dire di qualsiasi testo che è al tempo stesso codificato e singolare. Si inscrive in una continuità
delimitata da una chiusura, quella che dà al testo la sua struttura, la sua coerenza interna e le
condizioni situazionali e discorsive che lo sovradeterminano in parte. E allo stesso tempo questa
continuità rimane aperta sia per la sua adesione a una situazione che la mette in relazione con altri
testi simili, sia per la singolarizzazione operata dal soggetto. Si può quindi dire che il testo è
autonomo e dipendente.
Questa concezione del lavoro linguistico a tre livelli di vincoli, porta, come mi sembra, un punto di
vista utile per chiarire un po' la questione, così spesso discussa, dei "generi del discorso": devono
essere definiti e classificati secondo le loro ricorrenze formali o secondo i loro dispositivi
concettuali?
La definizione per ricorrenze formali pone sempre dei problemi, considerando la varietà di testi che
possono essere raggruppati in una stessa gamma. Guardando un annuncio, a un corpus di testi
giornalistici, scientifici o politici, si percepisce che è difficile concludere che esista una ricorrenza
esclusiva (perché altrimenti sarebbe impossibile fare una differenziazione) di tale forma di
costruzione frastica, di tale uso dei connettori o dei tempi verbali. Questo mi sembra naturale, se si
considera che i vincoli del processo linguistico derivano in primo luogo dal dispositivo
comunicativo, e che questi vincoli determinano gli altri.
Per questo mi propongo di definire i generi in termini "situazionali", a partire dai vincoli che
caratterizzano questo livello, per poi enumerarne le possibili varianti attraverso la descrizione di
vincoli discorsivi e formali. Così, i contratti delle situazioni globali della comunicazione come i
contratti pubblicitari, politici, mediatici o scientifici corrispondono ad altrettanti "generi" generici
che chiamerò "generi situazionali". Per quanto riguarda le varianti di questi contratti (che si
chiameranno "subappalti" o "sottogeneri"), si considererà che sono incorporati nel genere generico
da cui dipendono. Ad esempio, i "titoli di stampa": sono inscritti in una situazione globale di
"comunicazione" mediatica il cui scopo è l'informazione che richiede un vincolo discorsivo di
annuncio di notizie; in questa particolare situazione, il vincolo dell'annuncio fa appello a un vincolo
formale dei titoli. Si vede anche che è possibile parlare di generi a ciascuno di questi diversi livelli:
il genere dell'informazione determinato dal dominio mediatico, l'annuncio sotto - genere
determinato da vincoli discorsivi, e il sotto-genere (sous sous-genere) dei titoli determinato da
vincoli formali.
Strategie discorsive
La nozione di strategia è legata a quella del soggetto che ne sarebbe l'organizzatore, anche se non ne
è consapevole. Difficilmente è possibile sviluppare qui una teoria del soggetto e delle strategie
rivedendo quelle che prevalgono nelle altre scienze sociali e umane. Andrò invece direttamente a
quelle che sembrano essere le condizioni di una definizione di questa nozione nell'ambito delle
scienze del linguaggio. Quattro condizioni determinano la possibilità di "strategie linguistiche":
1) Mi sembra difficile pensare a questa nozione senza tener conto della nozione complementare di
"vincoli". Il soggetto deve avere un quadro fisso che assicuri la stabilità e la prevedibilità del suo
comportamento per potersi chiedere quale sia il margine di manovra in cui può muoversi. Sarà per
me il "contratto di comunicazione" a svolgere il ruolo di impostazione dei vincoli in relazione ai
quali il soggetto linguistico è determinato in parte, ma solo in parte, che gli lascia un margine di
manovra in cui potrà utilizzare le strategie.
2) Qualsiasi discorso-atto fa parte di un comportamento sociale più generale che si definisce in base
al suo obiettivo. Questo rappresenta l'oggetto della ricerca verso cui il soggetto è incline; ottenere
questo oggetto rappresenta uno stato di equilibrio finale di cui il soggetto beneficia. Per raggiungere
questo obiettivo, il soggetto deve avere una competenza d'azione che gli permetta di applicare un
certo numero di comportamenti e di fare delle scelte tra quelli che sono a sua disposizione per
raggiungere il suo obiettivo. Si può, forse, parlare qui di strategie di azione ma non di strategie
linguistiche
3) Per questo è necessario che esista un ostacolo, un'incertezza sul raggiungimento dell'obiettivo,
un'incertezza che può essere legata sia ad una possibile controazione dell'altro, sia ad una possibile
performance superiore dell'altro, sia all'esistenza di un ostacolo materiale che rende difficile il
raggiungimento dell'obiettivo. In ogni caso, la realizzazione dell'obiettivo dipende da quest'altro che
gli si oppone.
4) Da lì, può essere messo in atto un obiettivo per risolvere il problema posto dall'esistenza
dell'ostacolo. Lo scopo si sovrappone quindi all'obiettivo. Per comportarsi correttamente, bisogna
conformarsi alle norme abituali e allo stesso tempo pensare costantemente ad altre procedure.
Questo obiettivo apre un nuovo campo di attività che, questa volta, è strettamente linguistico: si
tratta, per il soggetto parlante, di fare delle scelte linguistiche tra una vasta gamma di possibilità per
influenzare quella da cui dipende la risoluzione del problema. Questo tipo di attività appartiene ad
una concettualizzazione (e ad una pianificazione) che consiste nel calcolare in anticipo i vantaggi e
gli svantaggi (i rischi) di ogni scelta in funzione degli ostacoli e delle incertezze che possono
sempre apparire.
Così, per me, le strategie discorsive sono definite in relazione al contratto di comunicazione. Esse
consistono per il soggetto prima di tutto in una valutazione del margine di manovra di cui dispone
all'interno del contratto per giocare tra e con i vincoli situazionali, discorsivi e formali. Poi scegliere
tra le modalità di organizzazione del discorso e le modalità di costruzione testuale, in relazione ai
tipi di conoscenza e di credenze, le modalità operative che meglio corrispondono al suo progetto di
discorso, alla sua 'influenza-abiettivo' ('visee d'influenza') nei confronti del destinatario, e alla 'posta
in gioco' che egli stesso si dà. In questo gioco tra contratto e strategie, si dirà che la prima è una
questione di decidibilità in quanto i comportamenti sono attesi lì, i secondi dell'indecidibile in
quanto dipendono dalla volontà, e dalla conoscenza da dire del soggetto. Tuttavia, le strategie non
sono necessariamente coscienti. Possono essere inconsce (questo non significa "inconsce"), nel
senso che non è necessario considerare che esse derivano solo da un progetto chiaro, ragionato e
volontario del soggetto comunicante.
TRE PUNTI
Le strategie sono molteplici, ma possono essere raggruppate in tre spazi, ognuno dei quali
corrisponde a un tipo di palo. Questi paletti non sono esclusivi l'uno rispetto all'altro, ma si
distinguono per la natura del loro scopo. Si parlerà di paletti di legittimazione, di credibilità e di
captazione.
La posta in gioco della legittimazione si basa sulla necessità di creare o rafforzare la posizione di
legittimità del soggetto che parla. Si tratta della procedura operativa della legittimazione, che spiega
la forma dinamica della parola "legittimazione"... Il soggetto parlante può avere qualche dubbio sul
modo in cui viene percepito dal destinatario (sia quest'ultimo individuale o collettivo) per quanto
riguarda il suo "diritto al discorso". È necessario allora persuadere il destinatario che la sua
comprensione e il suo modo di parlare corrispondono bene alla posizione di autorità che gli viene
conferita o dal suo statuto (si parlerà di "autorità istituzionale"), o dal suo rapporto con essa (si può
parlare di "autorità naturale").
Poiché la strategia di legittimazione consiste soprattutto nel richiamare o rafforzare una posizione di
autorità, essa è comprensibilmente accompagnata da un discorso di "giustificazione". Se
quest'ultimo appare senza essere richiesto, si parlerà di un discorso di "auto-giustificazione". In
questo caso, il soggetto raramente lo darà in quanto tale, poiché confessare la necessità di
richiamare la sua posizione di legittimità potrebbe essere controproducente e al tempo stesso far
scattare il dubbio nel destinatario: "Se si giustifica, è perché non ha abbastanza autorità per parlare".
Se la giustificazione appare su richiesta del destinatario, potrebbe consistere solo nel ricordare la
posizione istituzionale del soggetto, quella che gli conferisce una certa conoscenza (come esperto,
specialista o scienziato) o un certo potere (come persona responsabile, in grado di prendere una
decisione o di esercitare una sanzione). Si farà uso di quello che nella retorica viene chiamato
"argomento di autorità"... A volte, inoltre, non esiste un ricorso a questo genere, e il soggetto deve
argomentare per spiegare il suo diritto di parola. Nella comunicazione mediatica, per esempio,
questa posta in gioco di legittimazione è espressa da un discorso di "autocelebrazione" da parte
dell'organo mediatico (soprattutto in televisione) che mette in evidenza la validità dei suoi
programmi, la veridicità delle sue informazioni o la pertinenza dei suoi commenti.
Una posta in gioco di credibilità che si basa sulla necessità che il soggetto che parla sia creduto, sia
in relazione alla verità del contenuto del suo discorso, sia in relazione a ciò che realmente pensa, in
altre parole la sua sincerità. Il soggetto parlante deve difendere un'immagine di sé (un "ethos") che
lo porti strategicamente a rispondere alla domanda: "come posso essere preso sul serio? Per fare
questo, può adottare diversi atteggiamenti discorsivi:
a) un atteggiamento di neutralità che lo porta a cancellare nel suo discorso ogni traccia di giudizio o
di valutazione personale. Questo è l'atteggiamento del testimone che parla sulla modalità del
rapporto (mode de constat), riferisce su ciò che ha visto, sentito, provato. Ovviamente, non è
necessario che si possa avere il minimo sospetto sui motivi che inducono il testimone a parlare, e
soprattutto che non si possa pensare che egli (il testimone) sia stato accusato da qualcuno per servire
la sua causa. In questo caso, il discorso del testimone è un discorso di verità "allo stato grezzo" che
per definizione non può essere messo in dubbio.
b) un atteggiamento di distanziamento che spinge il soggetto ad adottare l'atteggiamento freddo e
controllato dello specialista che ragiona e analizza senza passione, come farebbe un esperto, sia per
spiegare le ragioni di un fatto, sia per commentare i risultati di un'indagine o per dimostrare una
tesi.
c) un atteggiamento di impegno che porta il soggetto, contrariamente al caso della neutralità, ad
optare (in modo più o meno consapevole) per una presa di posizione nella scelta degli argomenti o
nella scelta delle parole [17], o per una modalizzazione valutativa portata al suo discorso. Questo
atteggiamento intende costruire l'immagine di un soggetto parlante "essere di convinzione"... La
verità, qui, è confusa con la forza di convinzione di colui che parla, e questa verità dovrebbe
influenzare il destinatario.
Nella comunicazione mediatica, la posta in gioco della credibilità è espressa da un discorso di
autenticazione dei fatti, basato per lo più su testimonianze.
La posta in gioco dell'acquisizione si basa sulla necessità del soggetto di essere sicuro che il partner
nello scambio comunicativo accetti il suo progetto, in altre parole che condivida le sue idee, le sue
opinioni e/o sia "impressionato", commosso (Charaudeau : 2000). Deve poi rispondere alla
domanda: "come agire in modo che l'altro sia "preso" da ciò che dico? Per farlo, il soggetto può
scegliere tra diversi atteggiamenti discorsivi tra cui :
a) un atteggiamento controverso, che lo porta a mettere in discussione alcuni dei valori che un terzo
difende e ai quali il destinatario potrebbe aderire per fargli cambiare opinione. Si tratta qui di
"distruggere un avversario", mettendo in discussione non solo le sue idee ma anche la sua persona,
in modo che il pubblico che lo ascolta possa condividere questa implicazione.
b) un atteggiamento di drammatizzazione, che porta il soggetto a descrivere i fatti che riguardano i
drammi della vita, raccontati con molteplici analogie, confronti, metafore, ecc. Questo modo di
raccontare si appoggia più sulle credenze che sulla conoscenza, perché qui si tratta di far
condividere certi valori o di far provare certe emozioni.
Nella comunicazione mediatica questo appare, ad esempio, quando si descrivono i drammi e altri
disastri, attraverso l'esposizione delle ragioni che, a volte, vengono presentate come umane. Questo
ci permette di designare un responsabile, o addirittura un colpevole, contro cui indirizzare
l'indignazione o il desiderio di vendetta [18]; altre volte, queste ragioni sono presentate come non
umane - ciò che ci permette di costruire un universo di eventi da cui l'uomo è assente, in cui è
impotente di fronte alle forze oscure che lo travolgono [19].
Conclusione
La domanda fondamentale che si pone l'analisi del discorso è quella di sapere se si accetta come
proposizione teorica il fatto che il discorso (e non necessariamente la sua analisi) risulti, come dice
D. Maingueneau, "dall'intricazione di un modo di enunciazione e di un determinato luogo sociale"
(Maingueneau : 1995). Infatti, si potrebbe dire, più precisamente, che il "luogo sociale" è composto
da qualcosa che è rilevante per la "situazione di comunicazione" e da qualcosa che è una questione
di "posizionamento" del soggetto, e che questi appaiono (in modo esplicito o implicito) in un
procedimento operativo di "enunciazione".
La "situazione di comunicazione" è il luogo del condizionamento comunicativo, cioè dell'insieme
delle condizioni psicosociali che controllano gli scambi in cui si producono gli atti del discorso.
Questo condizionamento è una questione di norme simboliche che costituiscono l'oggetto dei
discorsi valutativi (espliciti o impliciti) sulla fondatezza dei comportamenti. È nell'impostazione di
queste situazioni che il soggetto mette in atto una procedura operativa di regolazione
microsociologica tra vincoli (contratto) e strategie che consistono nel giocare tra l'intra-discorsivo,
il luogo dell'enunciazione, e l'extra-discorsivo, il luogo della situazione. Così i concetti di
"situazione di enunciazione" e di "situazione di comunicazione" non saranno confusi.
Il concetto di "posizionamento" non si riferisce solo a dottrine, scuole, teorie, ecc (Maingueneau e
Cossutta, 1995). Verrebbe da questa "capacità riflessiva" dei "soggetti produttori di senso in una
determinata congiuntura storica" (Branca-Rosoff et al., 1995) che sarebbe rilevante non solo per il
linguaggio ma per tutti i comportamenti sociali attraverso produzioni discorsive che determinano il
valore delle modalità più o meno istituzionalizzate di gestione dei comportamenti. Verrebbero così
costruiti "spazi discorsivi" in cui circolerebbero non solo testi auto-costituenti e loro derivati
(Maingueneau e Cossutta, 1995), ma anche ogni sorta di discorsi non necessariamente
istituzionalizzati, con una omogeneità discorsiva e definiti in opposizione ad altri discorsi
concorrenti. È in questo spazio discorsivo che il soggetto costruisce il suo posizionamento.
Così, in una concezione comunicativa del discorso, si considererà che ogni soggetto del discorso
interviene in una data situazione tenendo conto dei vincoli che gli vengono imposti e dei margini di
manovra in cui può muoversi.
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Patrick Charaudeau is Professor of Language Sciences at the University of Paris XIII. His
research first dealt with Hispanic linguistics, has been concerned since 1977 with Discourse
Analysis and especially the analysis of media discourse.
He has published numerous books and articles in various journals. Some of them are of general
character concerning discourse analysis (Langage et discours. Eléments de sémiolinguistique, Paris,
Hachette, 1983), while others deal with media discourse (Le discours d’information médiatique. La
construction du miroir social,, Paris, Nathan-Ina, 1997 ; La parole confisquée. Un genre télévisuel :
le talk show (in collab.), Paris, Dunod, 1997 ; La télévision et la guerre. Déformation ou
construction de la réalité ? Le conflit en Bosnie (in collab.) Louvain-la-Neuve, de Boeck-Ina, 2001)
He is also the author of a French grammar (Grammaire du sens et de l’expression, Paris, Hachette,
1992).
Notes
[1] See my analysis of this broadcasting in…
[2] This is what Bakhtine calls “ dialogism ” (Bakhtine :1978).
[3] This is what allows the magazines to vary their titles according to the effects they wish to
produce : nominalised titles erasing the responsibility of the actants, active titles making clear the
action and the actors implied, etc.
[4] For example, the expressions of so called administrative style, such as “ in so far as … ”, “ in as
much as… ”, or the formulas that in the journalistic texts precede the quotations such as “according
to…”, “from well informed sources…” etc.
[5] This is an allusion to the Benneton’s publicity where a T-Shirt perforated by bullets and defiled
by the blood of a Bosnian was used : the image, almost trivial on TV, was transgressive as for
advertisement.
[6] Even if assembled individuals do not know each other, do not touch each other, are not even
together in the same moment.
[7] This notion, as it is defined here, is more restrained than Ø the one proposed by Maingueneau
(1984) and by Maingueneau and Cossutta (1995). For him the “discursive community” comprises
discourses produced by the different types of actors of a given institutional field, their positioning,
the “style of life, norms, etc” that they share. Actually, this definition would correspond to the
whole of thethree communities defined here.
[8] It is the question of “socio-discursive” representations.
[9] Since the individuals do not necessarily know each other, neither are they necessarily assembled
in the same place.
[10] “ Semiological ” is taken in a restrained sense , it refers to the formal part of sign.
[11] “ semiological ” is taken in a restrained sense , it refers to the formal part of sign
[12] I imply here the notion of “ distinction ” defined and described by P. Bourdieu in La
distinction. Critique sociale du jugement, éd. Minuit, Paris, 1979
[13] The descriptive mode is used to describe a state of beings of the world ; the narrative mode is
used to describe Ø human actions, likewise the actions which sources are in the project of quest ;
the argumentative mode is used to describe the reasoning that is itself decomposed into
“explicative” when the truth has been already established and the “how” of phenomena is to be
explained, nd into “demonstrative” when the question is about establishing or proving the truth (see
[14] I am resuming here the analysis demonstrated in the third part of Le Discours d’information
médiatique (Nathan-Ina, Paris, 1997).
[15] For the details of this description see Le discours d’information médiatique..
[16] See my articles ‘L’interview médiatique : qui raconte sa vie ?’, Cahiers de sémiotique textuelle,
8-9, University of Paris X, 1986, and ‘Le contrat du débat médiatique’, in Télévision. Le débat
culturel. “ Apostrophe ”, Paris Didier Erudition, 1992.
[17] For example : J.M. Le Pen decides to attack his adversaries by choosing the word
“l’établissement” instead of “l’establishment”.
[18] One can see it in the treatment of the affairs of corruption, in which a villain, victims and a
hero have to be identified, if possible.
[19] For instance, in the media information, this is the case of natural catastrophes ; but the way in
which Ø television has treated the “snipers” of the war in Bosnia (the images of people who fall
down in the streets under the bullets, and the pictures of the windows behind which one cannot see
anything) is also characterised by this strategy.
Pour citer cet article
Patrick Charaudeau, "A communicative conception of discourse", Discourse studies, vol.4,
number3, SAGE Publications, London 2002., 2002, consulté le 8 décembre 2020 sur le site de
Patrick Charaudeau - Livres, articles, publications.
URL: http://www.patrick-charaudeau.com/A-communicative-conception-of.html