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T.A.10 LEZIONE

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CORSO TECNICO AMBIENTALE
10 LEZIONE
INQUINAMENTO
INQIONAMENTO IDRICO
Quando si parla di inquinamento dell'acqua, si intende sia l'inquinamento
dell'acqua superficiale (fiumi, laghi, mare) sia dell'acqua presente sotto il suolo
(falde acquifere).
Va tenuto presente che l'acqua ha un suo potere rigenerante, ovvero da sola
elimina le sostanze inquinanti che le arrivano.
Questo potere rigenerante, però, può essere messo seriamente in crisi sia dal
quantitativo che dalla tipologia di inquinante.
Nei diversi campi d’impiego del termine, la resilienza è riassumibile come
capacità di resistere e riprendersi in modo accettabile da uno stress.
È cambiamento adattativo, non è una condizione statica, e può essere allenata
e migliorata.
In genere i luoghi artificiali, edificati, altamente antropizzati, hanno una
capacità molto ridotta sia di resistere agli shock ambientali (ondate di caldo,
inondazioni, eventi meteo estremi) sia di recuperare poi dai danni.
Cioè, dopo un uragano o un incendio, i luoghi artificiali rimangono danneggiati.
Significa che hanno una bassa, scarsa o addirittura nulla resilienza.
Al contrario, molti luoghi naturali hanno un’alta resilienza: gli alberi resistono,
il tessuto delle loro radici frena valanghe e siccità, le piante rinascono, gli
animali ripopolano la zona, la vita – anche dopo stress, eventi traumatici o
disastrosi – si rigenera.
La resilienza in ecologia è dunque la capacità di un’area, un ecosistema, una
comunità vitale di resistere ai colpi, di attutirne gli effetti devastanti, di ritornare
al suo stato iniziale, dopo una perturbazione che l’ha allontanata da quello
stato.
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La natura può essere molto resiliente.
Per esempio, gli ecosistemi mediterranei, caratterizzati da una storia di
variabilità di molti fattori ambientali, hanno evoluto una forte resilienza a eventi
naturali quali incendi, forti mareggiate, crollo di costoni rocciosi.
Le specie tipiche di questi ambienti riescono a colonizzare nuovamente e
velocemente le aree distrutte o fortemente degradate.
La gariga montana e la gariga costiera, la vegetazione dei pendii franosi, la
macchia mediterranea hanno tutte sviluppato e possiedono un’elevata
resilienza.
La quale pare quindi direttamente proporzionale alla variabilità delle
condizioni ambientali e alla frequenza di eventi a cui si sono adattate le
specie o gli insiemi di specie.
Ma siamo in un’era di cambiamenti climatici, quindi le perturbazioni sono e
saranno sempre più frequenti, a causa sia di eventi naturali, sia delle attività
antropiche.
Per questo gli esperti sono al lavoro per definire i modi per aumentare la
resilienza degli ambienti in cui viviamo.
Secondo le prime indicazioni, sarebbero favorite le città più piccole e più verdi.
Gli alberi aumentano la resilienza, quindi aumentare le aree verdi e alberate in
città potrebbe servire.
È una buona idea studiare come aumentare la resilienza delle città.
CAUSE DELL’INQUINAMENTO IDRICO
Gli idrocarburi che inquinano l'acqua derivano principalmente dallo
sfruttamento dei giacimenti di petrolio, da quello rilasciato dalle petroliere in
seguito a incidenti e\o dovuto a pratiche non corrette seguite nelle fasi di pulizia
dei serbatoi o di scaricamento dell’acqua di zavorra delle navi stesse, dalle
perdite accidentali degli oleodotti.
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Effetti tossici e patogeni: causati da acque di scarico ad elevato contenuto
di materiali tossici oppure patogeni in sospensione (metalli pesanti, oli minerali,
idrocarburi, ammoniaca, solventi, detergenti, fitofarmaci, ed altri ancora).
Questi causano tossicità e malattie patogene a chi utilizza e\o si nutre di
alimenti provenienti dalla stessa (pesci, alghe, molluschi ecc.)
Deossigenazione: l'inquinante va ad abbattere quella carica batterica buona
che rigenera ossigeno nell'acqua, provocando la morte di flora e fauna
acquatica effetti fisici:
La deossigenazione può essere causata da acque di scarico ad alte
temperature, dovuto alle acque calde provenienti dagli impianti di
raffreddamento delle industrie.
Eutrofizzazione: provocato da composti (sali di azoto e fosforo), presenti in
modo particolare nei detergenti, che riversato in acqua favoriscono la crescita
delle popolazioni di fitoplancton e di alghe, a scapito della sopravvivenza delle
altre specie vegetali e animali.
Ne sono particolarmente soggetti i laghi e le zone di mare costiere.
EUTROFIZZAZIONE
L’eutrofizzazione costituisce un serio problema ecologico in quanto determina
un deterioramento della qualità delle acque e rappresenta uno dei maggiori
impedimenti al raggiungimento degli obiettivi di qualità stabiliti dalla direttiva
quadro sulle acque (2000/60/ce) a livello europeo.
Secondo il survey of the state of the world's lakes, un progetto promosso
dall'international lake environment committee, l'eutrofizzazione colpisce il 54%
dei laghi asiatici, il 53% di quelli europei, il 48% di quelli nord-americani, il 41%
di quelli sud-americani e il 28% di quelli africani.
Tutti i corpi idrici sono soggetti a un naturale e lento processo di
eutrofizzazione, che negli ultimi decenni ha subito una progressione molto
veloce a causa della presenza dell’uomo e delle sue attività (la cosiddetta
eutrofizzazione culturale).
Il processo di eutrofizzazione culturale consiste in un continuo aumento
dell'apporto di sostanze nutritive, principalmente azoto e fosforo (il carico
organico), fino a superare la capacità ricettiva del corpo idrico (ovvero la
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capacità di un lago, fiume o mare di autodepurarsi), innescando cambiamenti
strutturali nelle acque.
Questi cambiamenti strutturali dipendono principalmente da 3 fattori:
• Uso di fertilizzanti: le pratiche agricole e l’uso dei fertilizzanti nel suolo
contribuiscono all’accumulo di nutrienti.
Quando queste sostanze nutritive raggiungono alte concentrazioni e il suolo
non riesce più ad assimilarle, vengono trasportate dalle piogge nei fiumi e nelle
acque sotterranee che confluiscono nei laghi o nei mari.
Scarico di acque reflue nei corpi idrici: in diverse parti del mondo, e in
particolare nei paesi in via di sviluppo, le acque reflue vengono direttamente
scaricate in corpi idrici quali fiumi, laghi e mari.
Il risultato di ciò è il rilascio di un’elevata quantità di nutrienti che stimola la
crescita spropositata di alghe.
Nei paesi industrializzati, diverse volte si è assistito allo sversamento delle
acque reflue direttamente nei corpi idrici in maniera abusiva.
Se invece le acque sono trattate mediante impianti di depurazione prima
dello scarico nell'ambiente, non è scontato che i trattamenti applicati sono tali
da ridurre il carico organico, con il conseguente accumulo dei nutrienti
nell'ecosistema.
Riduzione della capacità auto depurativa: con il passare degli anni i laghi
accumulano grandi quantitativi di materiale solido trasportato dalle acque (i
sedimenti).
Questi sedimenti hanno caratteristiche tali da poter adsorbire grandi quantità
di nutrienti e di inquinanti.
Di conseguenza, l’accumulo dei sedimenti comporta il riempimento dell’invaso
e, aumentando le interazioni tra acque e sedimenti, viene favorita la
risospensione delle sostanze nutritive presenti sul fondo del bacino.
Questo fenomeno potrebbe in effetti comportare un ulteriore peggioramento
della qualità delle acque accentuando i processi connessi all'eutrofizzazione.
Il meccanismo di formazione l’eutrofizzazione è caratterizzato da un aumento
notevole delle alghe (organismi microscopici simili alle piante) dovuto alla
maggiore disponibilità di uno o più fattori di crescita necessari per la fotosintesi,
come la luce solare, anidride carbonica e i nutrienti (azoto e fosforo).
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Quando le alghe iniziano a crescere in modo incontrollato si forma una
biomassa sempre più consistente destinata al degrado.
Nelle acque profonde si accumula una grande quantità di sostanza organica
rappresentata dalle alghe giunte alla fine del loro ciclo di vita.
Per demolire tutte le alghe morte è richiesto un consumo eccessivo di
ossigeno, in alcuni casi quasi totale da parte dei microrganismi.
Si crea così un ambiente anossico (privo di ossigeno) sul fondo del lago, con
la crescita di organismi capaci di vivere in assenza di ossigeno (anaerobi),
responsabili della degradazione della biomassa.
I microrganismi, decomponendo la sostanza organica in assenza di ossigeno,
liberano composti che sono tossici, quali ad esempio l’ammoniaca e l’acido
solfidrico.
L’assenza di ossigeno riduce la biodiversità determinando in alcuni casi
addirittura la morte di specie animali e vegetali.
Tutto ciò accade quando la velocità di degradazione delle alghe da parte dei
microrganismi è maggiore rispetto a quella di rigenerazione dell’ossigeno, che
nei periodi estivi è già presente in concentrazioni basse.
Gli effetti la perturbazione degli equilibri acquatici può essere più o meno
evidente in base all’arricchimento delle acque in nutrienti (fosforo e azoto).
Un ambiente acquatico
con limitate disponibilità di fosforo e azoto è definito “oligotrofico”
con elevate disponibilità degli stessi è chiamato ”eutrofico“
con disponibilità intermedia viene chiamato ”mesotrofico”.
Quando il fenomeno dell’eutrofizzazione diventa particolarmente intenso, si
generano effetti indesiderati e squilibri ambientali.
I due fenomeni più acuti dell’eutrofizzazione sono l’ipossia nella parte
profonda dell’ambiente (o carenza di ossigeno) e le fioriture algali che
producono tossine nocive, processi che possono distruggere la vita acquatica
nelle zone colpite.
Gli effetti principali causati dall’eutrofizzazione possono essere riassunti
come segue:
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• Abbondanza di sostanze particellate (fitoplancton, zooplancton, batteri,
funghi e detriti) che determinano l’intorbidimento e la colorazione delle acque;
• Abbondanza di composti chimici inorganici tipo ammoniaca, nitriti, acido
solfidrico etc.
Che negli impianti di potabilizzazione inducono la formazione di sostanze
dannose come ad es.
Le nitrosammine indiziate di mutagenicità
Le sostanze organiche che impartiscono odori e sapori sgradevoli all'acqua,
appena mascherati dalla clorazione nel caso di uso potabile.
Queste sostanze, inoltre, formano composti chimici complessi che
impediscono i normali processi di potabilizzazione, si depositano sulle pareti
dei tubi di ingresso al potabilizzatore accelerando la corrosione e limitando la
portata;
• L'acqua acquista degli odori e sapori sgradevoli (di terra, di pesce marcio,
di garofano, di cocomero, ecc.) anche per la presenza di particolari alghe;
• Scomparsa o forte diminuzione dei pesci pregiati con effetti fortemente
negativi sulla pesca (invece di specie pregiate come ad es. la trota si affermano
quelle indesiderabili come la carpa);
• Possibile affermazione di alghe tossiche con pericolo di danni sulla
popolazione e sul bestiame che si abbevera delle acque interessate;
• Interdizione all'uso turistico del lago e alla balneazione sia per il cattivo
odore che si riscontra nelle rive a causa della presenza di certe alghe, sia per
la torbidità e l'aspetto tutt’altro che pulito e attraente delle acque; la
balneazione è pericolosa perché alcune alghe provocano irritazione della pelle;
• Riduzione della concentrazione di ossigeno, in particolare negli strati più
profondi del lago alla fine dell’estate e nel periodo autunnale.
Alla luce di queste pesanti ripercussioni e dei gravi danni economici e
naturalistici conseguenti, appare evidente l'esigenza di porre freno al
progredire dell'eutrofizzazione evitando il collasso degli ecosistemi interessati
dal fenomeno.
Il controllo in passato le tradizionali strategie di riduzione dell’eutrofizzazione,
tra cui l’alterazione dei nutrienti in eccesso, la miscelazione fisica delle acque,
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l’applicazione di erbicidi e potenti alghicidi, si sono rivelate inefficaci, costose
e impraticabili per grandi ecosistemi.
Oggi il principale meccanismo di controllo del processo eutrofico si fonda
sulle tecniche di prevenzione, ovvero sulla rimozione dei nutrienti dalle acque
che vengono immesse nei corpi idrici.
Basterebbe ridurre le concentrazioni di uno dei due nutrienti principali (azoto e
fosforo), in particolare del fosforo che è considerato il fattore limitante per la
crescita delle alghe agendo sui carichi localizzati (carichi associati alle acque
reflue) e sui carichi diffusi (carichi di fosforo determinati da fonti diffuse quali
terreni e piogge).
Il carico è il quantitativo (milligrammi, chilogrammi, tonnellate, ecc.) di nutrienti
immesso nell'ambiente a causa di un'attività umana.
Le possibili attività da intraprendere per prevenire l’apporto di nutrienti e
per limitare i carichi di fosforo possono essere così sintetizzate:
• Miglioramento delle performance depurative degli impianti di trattamento
delle acque reflue, installando sistemi di trattamento terziario che portino
all’abbattimento delle concentrazioni di nutrienti;
• Realizzazione di ecosistemi filtro efficaci per la rimozione di azoto e fosforo
presenti nelle acque di dilavamento (come gli impianti di fitodepurazione);
• Riduzione della presenza di fosforo nei detersivi;
• Razionalizzazione delle tecniche agricole mediante una corretta
programmazione delle concimazioni e l’utilizzo di fertilizzanti a lento rilascio;
• Utilizzo di pratiche alternative in zootecnia per limitare la produzione di
acque di rifiuto.
Nel caso in cui la qualità delle acque fosse già compromessa a tal punto da
rendere inefficace ogni tentativo di prevenzione, si può procedere con
procedure “curative” quali:
• Il prelievo e trattamento delle acque ipolimniche (sono le acque profonde
a contatto con i sedimenti) ricche di nutrienti essendo a contatto diretto con la
fonte di rilascio;
• Il drenaggio dei primi 10-20 cm di sedimenti soggetti alle reazioni biologiche
e con concentrazioni di fosforo elevate;
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• L'ossigenazione delle acque per ripristinare le condizioni ecologiche
riducendo gli effetti negativi del processo eutrofico, quali carenza di ossigeno
e formazione di composti tossici derivanti dal metabolismo anaerobico;
• La precipitazione chimica del fosforo mediante aggiunta alle acque di sali
di ferro o alluminio, oppure carbonato di calcio, che danno luogo alla
precipitazione dei rispettivi ortofosfati di ferro, alluminio o calcio, riducendo in
questo modo gli effetti negativi connessi all'eccessiva presenza di fosforo nei
sedimenti.
L’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio
che va difeso e protetto soprattutto a fronte della diminuzione globale della
disponibilità di acqua potabile e dell’aumento della sua richiesta.
Nonostante i notevoli sforzi condotti per migliorare la qualità delle acque
limitando l’arricchimento in nutrienti, l'eutrofizzazione culturale e le fioriture
algali conseguenti continuano a essere la principale causa di inquinamento
delle acque.
Risulta dunque sempre più rilevante l’azione di prevenzione e protezione che
gli stati devono intraprendere per salvaguardare lo stato di qualità delle acque
superficiali, come richiesto non solo da parte della comunità scientifica e da
altri esperti, ma in misura sempre crescente da parte dei cittadini e delle
organizzazioni ambientali.
La gestione del processo eutrofico è una questione complessa che richiederà
sforzi collettivi di scienziati, responsabili politici e cittadini.
INQUINAMENTO ACUSTICO
La presenza di inquinamento acustico nel proprio habitat riduce la qualità della
vita e può deteriorare la salute.
Anche varie specie animali ne risentono.
Le cause dei decibel in eccesso sono i vicini, le industrie, il traffico, attività
manutentive, etc.
Per difendersi c'è una normativa sull'inquinamento acustico che disciplina
l'emissione del rumore e gli orari da rispettare.
L’inquinamento acustico fa davvero male: nessuno è felice tra i rumori molesti,
e con il malumore sorgono altri problemi di salute.
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Stress, ipertensione, insonnia, calo della memoria, ira, possono essere una
conseguenza a un’esposizione continua a troppi decibel.
Esistono anche alcune categorie professionali a rischio, come gli operai dei
cantieri stradali ed edili.
Analoga triste situazione per gli ecosistemi. Varie specie animali mostrano
alterazioni riproduttive, turbe comportamentali, stress.
Inquinamento acustico, le cause
Si definisce inquinamento acustico l’insieme dei rumori che, su base oggettiva
e soggettiva, causano malessere, interferenza sulle normali attività e sul
riposo, danni alla salute, agli ecosistemi e ad edifici, monumenti e ambiente in
generale.
Le principali fonti sonore “moleste” sono:
•
Vicini di casa: vengono percepiti come i più rumorosi in assoluto.
Elettrodomestici, sciacquoni, lavori di bricolage, calzature pesanti e anche
animali sono oggetto di numerose denunce perché fonti di inquinamento
acustico.
•
Traffico: auto, treni, aerei disturbano il riposo notturno e le attività diurne di
moltissime persone.
Su questo fronte abbiamo lievi migliorie, grazie all’applicazione della normativa
sull’inquinamento acustico.
Per esempio, i nuovi veicoli devono rispettare criteri più stringenti di
silenziosità, e l’uso di avvisi acustici notturni dei mezzi pubblici è limitato ai casi
di reale necessità.
Più buia la situazione intorno agli aeroporti, dati i decolli notturni ancora in
vigore nella maggior parte di essi.
•
Attività industriali ed artigianali: l’uso di macchinari a motore, martelli
pneumatici, ventole, ecc. causa inquinamento acustico su larga scala.
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A risentirne sono gli abitanti delle zone attigue a stabilimenti e officine, oltre ad
alcune categorie professionali.
Le più coinvolte sono gli operai edili e quelli degli impianti siderurgici.
•
Discoteche, luna park, concerti ed eventi all’aperto. Qui la legge ha imposto
criteri più stringenti, ma non sempre sufficienti.
Senza contare le infinite infrazioni.
Inquinamento acustico, i danni alla salute e agli ecosistemi
La soglia oltre cui si parla di inquinamento acustico in parte è soggettiva.
Ad alcuni piace la musica in discoteca, altri la trovano assordante.
Sopra i 120-130 db però l’esposizione al rumore può causare danni all’udito.
Per dare un’idea, l’intensità corrisponde al suono della sirena di un impianto
antifurto domestico.
Se la fonte sonora è vicina alle orecchie, il trauma acustico derivante può
produrre sordità temporanea o permanente, più o meno grave e associata ad
acufeni e vertigini.
Tra i 100 e i 120 db, si hanno danni in caso di rumori frequenti.
A livelli inferiori, sugli 80-100 db, la durata dell’esposizione è il fattore
determinante.
Suoni di breve durata al più causano un lieve momentaneo calo dell’udito.
Alcuni studi recenti hanno scoperto, però, che forse basta un solo concerto
rock – circa 100 db – per avere danni permanenti.
L’inquinamento acustico incide sul sonno. Chi dorme in ambienti con soglie di
rumore sopra i 45 db accusa insonnia, incubi, risvegli frequenti.
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Durante il giorno si avrà quindi deficit mnemonico-attentivo e sbalzi di umore.
Alcuni animali se la passano anche peggio. Motivo? La maggiore acuità
uditiva.
L’orecchio umano percepisce frequenze fra 20 e 20.000 hz, mentre diverse
specie possono udirne anche molto maggiori e inferiori.
In tal caso, il fastidio cresce di pari passo all’udito fino.
I danni maggiori da inquinamento acustico si hanno sui cicli riproduttivi – a
partire dai rituali di corteggiamento – e sulla caccia.
Diversi volatili predatori, come gufi e pipistrelli, faticano infatti a localizzare le
prede.
Inquinamento acustico: i rimedi
Come difendersi dai danni da inquinamento acustico? In casa si può pensare
di insonorizzare i locali.
Perché la strategia funzioni occorre isolare muri, soffitti, finestre, porte e
pavimenti.
Per le pareti si può rimediare con isolanti in cartongesso o, in caso di muri
perimetrali, cappotti esterni.
I materiali più usati sono: biomattone, lana di vetro/roccia, piombo, sughero,
gomma.
Per le finestre occorrono doppi o tripli vetri, attenzione che sono importanti
anche le intelaiature.
Per insonorizzare i soffitti si usano intercapedini con cartongesso, lana di
vetro/roccia, materiali sintetici.
Quanto al pavimento, si può realizzarne un secondo rialzato, in materiali
isolanti, oppure usare la tecnologia a masse flottanti.
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Questa crea una disgiunzione fra la superficie inferiore, dalla quale proviene il
rumore, e il pavimento stesso, arrestando direttamente le vibrazioni sonore.
Tali rimedi si rivelano ben più efficaci se anche i vicini rumorosi insonorizzano
i loro locali.
Da notare che l’isolamento acustico ottenuto si associa a quello termico, che
significa risparmio e salvaguardia ambientale.
Da non ignorare, almeno come rimedio provvisorio, i tappi per le orecchie. Non
risolvono il problema, ma lo riducono.
Se ci sono le premesse, infine, è possibile tutelarsi per via legale.
A chi denunciare l’inquinamento acustico? Se l’origine del problema è, esterno
alla casa occorre rivolgersi al comune, sportello settore ambientale. Qui si può
richiedere l’apposito modulo da compilare e firmare
Se invece la sorgente sonora molesta è interna a un edificio servono
misurazioni attestanti l’infrazione. Se ne deve occupare un tecnico acustico,
dopodiché sarà possibile sporgere denuncia a carabinieri o polizia.
Inquinamento acustico: la normativa
La salvaguardia verso l’inquinamento acustico annovera norme nazionali,
europee e regionali.
A livello nazionale abbiamo la legge quadro n. 447 del 1995 sull’inquinamento
acustico integrata da successivi decreti.
Il quadro legislativo impone il monitoraggio dell’inquinamento acustico da parte
di professionisti qualificati, da attuarsi secondo le metodologie standardizzate
a livello UE.
Adesso viene considerata la somma delle varie fonti inquinanti e non più le
singole sorgenti sonore.
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Questo permette una valutazione più precisa del reale grado di inquinamento
acustico.
Misurazioni e provvedimenti sono per buona parte competenza di regioni,
province e comuni.
A questi ultimi spetta infatti la zonizzazione, ossia la divisione territoriale in aree
a diversa rumorosità.
Si va dalle zone I, le più protette – limiti decibel: 50 diurni e 40 notturni –
alle VI, le zone esclusivamente industriali – limiti diurni e notturni: 70 db -.
Le misure protettive, una volta stabilità la necessità, prevedono strutture per
l’abbattimento dei rumori, come la creazione di barriere e pavimentazioni
fonoisolanti imposte per legge.
Ne sono esempio quelle lungo alcuni tratti autostradali a carico di autostrade
spa.
In caso di emissioni sonore superiori ai limiti previsti, si applicano, è evidente,
sanzioni a carico di imprese e privati.
Nel corso degli anni il quadro normativo in materia di qualità dell’aria ha subito
sostanziali modifiche.
INQUINAMENTO LUMINOSO
L’inquinamento luminoso è una delle forme di inquinamento più
sottovalutate: eppure l’alterazione della quantità naturale di luce presente
nell’ambiente notturno provocato dalle luci artificiali ha conseguenze profonde,
sugli ecosistemi e sulla nostra salute.
Quante volte sarà capitato di alzare gli occhi al cielo per guardare le stelle e di
riabbassarli subito dopo perché non si vedeva nulla.
La colpa non è del cattivo tempo o del forte astigmatismo.
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La colpa è dell’inquinamento luminoso, definito come “qualunque
alterazione della quantità naturale di luce presente di notte nell’ambiente
esterno e dovuta ad immissione di luce di cui l’uomo abbia
responsabilità”.
Insomma, tutte quelle luci al neon e simili puntate in alto verso il cielo, senza
nemmeno una logica di risparmio, impediscono al nostro occhio di cogliere le
bellezze dell’universo.
L’inquinamento luminoso proviene in massima parte dagli impianti di
illuminazione pubblica.
Chiaramente è impensabile spegnere le luci ma le pubbliche amministrazioni
sono tenute ad usare lampioni con la luce rivolta verso il basso e con lampade
a risparmio energetico.
M’illumino di meno. I Comuni aderenti, in alcune date, spengono per un paio
d’ore le luci di alcune piazze o palazzi comunali per dire no all’inquinamento
luminoso, incentivando così comportamenti e pratiche più ecosostenibili.
La mancanza di una legge ad hoc
In realtà non esiste una vera e propria legge nazionale che regoli
l’inquinamento luminoso.
Questo è regolamentato dalle Regioni, che talvolta emettono apposite
normative.
La conseguenza è che, accanto a regioni ricche e più sensibili al problema,
abbiamo regioni più povere e meno orientate a comportamenti eco-friendly.
Una tra le più efficaci, ma anche più difficili da applicare, è la legge della
regione Lombardia n. 17/2000. Secondo la stessa legge “salvo poche e ben
determinate eccezioni, nessun corpo illuminante può inviare luce al di sopra
del piano dell’orizzonte”.
In Lombardia nel 1997 è nata Cielo Buio-Coordinamento per la protezione del
cielo notturno.
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Si tratta di un’associazione senza scopo di lucro che cerca di tutelare il cielo e
l’ambiente notturno promuovendo la cultura di un’illuminazione ecocompatibile e sensibilizzando l’opinione pubblica sul fenomeno
dell’inquinamento luminoso.
L’inquinamento luminoso ha effetti dannosi anche per gli animali
migratori, come le tartarughe o gli uccelli.
Studi scientifici hanno accertato che sono tutte queste luci cittadine a fargli
perdere la bussola. È come se non ricordassero più la rotta giusta.
Lo scienziato B.E: Witherington nel 1992 ha studiato la risposta
comportamentale delle tartarughe di mare nella deposizione delle uova in
presenza di luce artificiale.
Le testuggini preferivano non nidificare là dove c’erano le luci e avevano
difficoltà a trovare la strada di ritorno una volta approdate sulla spiaggia.
Anche se sono le falene che hanno la peggio perché impostano la rotta
migratoria basandosi sulla luna e sulle stelle più luminose.
Chi pensasse che le piante sono escluse dal problema è meglio che cambi
idea.
Molte piante sono costrette a fiorire a causa di esposizioni forzate a luci
artificiali.
E questo a discapito del fiore stesso che tende a morire prima.
Inquinamento luminoso e patologie
Non tutti sanno che l’inquinamento luminoso è concausa anche di cancro,
depressione e obesità.
Nuove ricerche sembrano infatti attribuire all’inquinamento luminoso un ruolo
nella diagnosi di queste patologie.
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Al calar del sole, il crepuscolo subito si accende di nuove luci, tutte
artificiali: lampioni stradali, vetrine illuminate, ristoranti scintillanti, fanali dei
veicoli, fino ad arrivare all’illuminazione data da smartphone, tablet e altri
dispositivi tecnologici.
Grazie a loro, l’oscurità della notte viene allontanata e i cieli stellati si possono
ammirare solo in aperta campagna. Non si riesce più a vedere neppure la
famosa Via Lattea…
Questo prolungamento forzato delle ore di luce sta contribuendo a
modificare il normale ritmo circadiano degli organismi viventi, umani
compresi, assottigliando sempre più la distinzione tra il giorno e la notte.
L’inquinamento luminoso altera il naturale ciclo di 24 ore di luce e buio,
modificando l’equilibrio dei processi di base che aiutano il nostro corpo a
funzionare normalmente: la luminosità artificiale, infatti, porta il nostro
organismo a “convincersi” che sia sempre giorno.
Inquinamento luminoso e melatonina
L’effetto più grave è la riduzione della produzione di melatonina, il principale
ormone regolatore del nostro orologio biologico interno.
La sua secrezione, da parte della ghiandola pineale presente nel cervello, è
regolata dalla presenza di luce: quando lo stimolo luminoso arriva alla
retina, la secrezione di melatonina si arresta, per riprendere solo al
sopraggiungere del buio.
La straordinaria importanza della melatonina risiederebbe nella sua capacità
antiossidante di inibire l’insorgenza del cancro, proteggendo il DNA dai
potenziali danni.
Uno studio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
sull’inquinamento luminoso, infatti, ha evidenziato un’incidenza di tumore al
seno più alta nelle donne impegnate nel turno di notte, mentre i maschi
sarebbero a rischio cancro alla prostata.
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Inoltre, la mancanza di melatonina si traduce anche in difficoltà di
apprendimento e memoria, abbassamento della temperatura corporea,
sonnolenza, scarsa attenzione alla guida. Ma i problemi non finiscono qui.
Sono segnalati anche maggiori rischi di malattie cardiovascolari, obesità,
diabete e depressione.
Cosa fare per combattere l’inquinamento luminoso
Ma ci sono alcune cose che tutti noi possiamo fare per contrastare
l’inquinamento luminoso.
La maggior parte delle fonti di luce artificiale, sia ad uso domestico che
pubblico, ha una forte componente luminosa bianco-blu.
Questa tipologia di illuminazione è la responsabile principale
nell’alterazione dei nostri ritmi circadiani: nel nostro sistema visivo, infatti,
i recettori attraverso cui ci rendiamo conto se l’ambiente è buio o no, sono più
stimolati dalla luce blu che da quella a sfondo giallo, in grado invece di
favorire maggiormente il riposo degli occhi.
Molti studiosi consigliano, pertanto, l’utilizzo di lampade rossastre per le attività
serali.
Sono già nate le prime app in grado di virare gli
di smartphone e tablet dal blu al rosso quando cala il sole.
schermi
LA PLASTICA
La plastica è un materiale composto da vari polimeri, sempre più diffuso in
diversi settori. Esistono vari tipi di materie plastiche.
Tra le più diffuse sul mercato il polietilene, usato per la produzione di
sacchetti, bottiglie e giocattoli.
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Ma anche il polipropilene, usato per i contenitori per alimenti o per i flaconi
dei detersivi o il cloruro di polivinile, usato per tubazioni e pellicole isolanti, tanto
che lo si trova anche tra i muri di casa.
Siamo circondati da prodotti in plastica, la cui produzione continua ad
aumentare.
E' passata dai 15 milioni del 1964 a più di 310 milioni di oggi, rendendo
necessario, ormai, lo sviluppo di un sistema efficiente per il corretto
smaltimento.
I rifiuti plastici, al giorno d’oggi, inquinano gran parte degli ambienti naturali.
Alcuni studi stimano che negli oceani ci siano fino a 150 tonnellate di plastica
e che, se l'andamento della produzione proseguirà nella maniera attuale, la
plastica, potrebbe raggiungere i 34 miliardi di tonnellate nel 2050 di cui almeno
12 tonnellate costituirebbero rifiuti sparsi in tutti gli ambienti.
Queste cifre lasciano intuire quanto sia fondamentale il riciclo degli oggetti in
plastica, con lo scopo di arrivare a una radicale diminuzione della produzione
di questo materiale.
I rifiuti di plastica riciclabili sono tantissimi.
Molti dell'uso quotidiano, come le bottiglie di varie bevande, contenitori di
alimenti o buste della spesa.
Solo una piccola parte è destinata finora al riciclo.
Diviso a sua volta in varie tipologie.
Il riciclaggio meccanico, che prevede la trasformazione da materia a materia.
La plastica non più utilizzata diventa il punto di partenza per nuovi prodotti.
Questa tecnica consiste essenzialmente nella rilavorazione termica o
meccanica dei rifiuti plastici.
Il riciclaggio chimico, che prevede il ritorno alla materia prima di base
attraverso la trasformazione delle plastiche usate in monomeri di pari qualità di
quelli vergini, da utilizzare nuovamente nella produzione.
Ovviamente non tutti tipi di plastica possono essere riciclati e parte purtroppo
finisce in discarica o al termovalorizzatore.
La plastica si degrada in un lasso di tempo molto lungo.
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Ad esempio, i contenitori in polietilene o in cloruro di polivinile abbandonati
nell'ambiente, impiegano dai 100 ai 1000 anni per essere smaltiti, mentre per
oggetti apparentemente più inconsistenti, come le carte telefoniche ed i
sacchetti, il tempo necessario è almeno 1000 anni.
Ecco perché un corretto smaltimento e l'avvio al riciclo sono così importanti.
La plastica sta divorando indisturbata il pianeta e sta a noi impedire che ciò
continui, attuando piccoli accorgimenti che fanno la differenza, istruendo
anche le più giovani menti alla riduzione di questo materiale e sentendoci
tutti, uno per uno, degli agenti promotori di questa battaglia.
INQUINAMENTO DOMESTICO
I prodotti chimici che contengono composti raffinati dal petrolio, come
detergenti per la casa, pesticidi, vernici e profumi, inquinano l’aria quanto i
veicoli a motore.
Lo rivela un nuovo studio condotto dagli scienziati dell’Università del Colorado
Boulder.
Una notizia che potrebbe stupire visto che solitamente quando si associano
inquinamento e detersivi si pensa alle acque, ma anche l’aria viene sporcata
dai detergenti che si usano per pulire le nostre case.
Secondo lo studio, anche se in rapporto si usa molto più carburante rispetto ai
composti a base di petrolio dei prodotti chimici, circa 15 volte di più in termini
di peso, i prodotti per la casa contribuiscono all’inquinamento atmosferico tanto
quanto il settore dei trasporti.
Considerando le particelle generate dai prodotti chimici, in questo caso le
emissioni sono addirittura il doppio di quelle del settore dei trasporti.
Le cose che usiamo nella nostra vita quotidiana possono avere un
impatto sull’inquinamento atmosferico”.
Per la nuova valutazione, gli scienziati si sono concentrati su composti
organici volatili o VOC.
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Questi ultimi possono diffondersi nell’atmosfera e reagire producendo ozono
o particolato.
La benzina è immagazzinata in contenitori chiusi, si spera, a tenuta d’aria, e i
VOC della benzina sono bruciati per produrre energia.
Ma i prodotti chimici volatili utilizzati nei comuni solventi e prodotti per la cura
della casa e della persona sono letteralmente progettati per evaporare.
Il nuovo studio rivela quindi che se da una parte si cerca di limitare la
produzione di emissioni inquinanti dalle auto, dall’altra non si fa lo stesso coi
prodotti di consumo.
Dentro casa è anche peggio.
Le concentrazioni sono spesso 10 volte superiori negli spazi interni che in quelli
esterni.
Bisognerebbe scegliere quindi detersivi ecologici o meglio preparali in casa
utilizzando materie prime naturali.
COMPOSTI ORGANICI VOLATILI (COV) PIÙ COMUNI PRESNTI IN CASA:
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AMIANTO
L’amianto (o asbesto) è un materiale fibroso, costituito da fibre minerali naturali
appartenenti ai silicati e alle serie mineralogiche del serpentino (crisotilo o
amianto bianco) e degli anfiboli (crocidolite o amianto blu).
Le fibre minerali comprendono sia materiali fibrosi naturali, come l’amianto; sia
fibre artificiali, tra le quali la lana di vetro, la lana di roccia, ed altri materiali
affini.
L'amianto ha trovato un vasto impiego particolarmente come isolante o
coibente e, secondariamente, come materiale di rinforzo e supporto per altri
manufatti sintetici (mezzi di protezione e tute resistenti al calore).
Attualmente l’impiego è proibito per legge, tuttavia la liberazione di fibre di
amianto da elementi strutturali preesistenti, all'interno degli edifici può
avvenire per lento deterioramento di materiali che lo contengono oppure per
danneggiamento diretto degli stessi da parte degli occupanti o per interventi di
manutenzione.
L’amianto di solito si ritrova in forma compatta, inglobato in una matrice
cementizia (cementoamianto in copertura, canne fumarie ecc.) o in altre matrici
(pavimenti in linoleum, pareti, pannelli ecc.), ma e possibile trovarlo anche in
forma friabile, più pericolosa, nel caso di utilizzo come insonorizzante o isolante
sui controsoffitti e/o sulle pareti.
Effetti sulla salute
La presenza delle fibre di amianto nell’ambiente comporta inevitabilmente dei
danni a carico della salute, anche in presenza di pochi elementi fibrosi.
E’ un agente cancerogeno.
Particolarmente nocivo per la salute è il fibrocemento (meglio conosciuto come
“eternit”), una mistura di amianto e cemento particolarmente friabile e quindi
soggetta a danneggiamento o frantumazione.
I rischi maggiori sono legati alla presenza delle fibre nell’aria.
Una volta inalate, le fibre si possono depositare all’interno delle vie aeree e
sulle cellule polmonari.
Le fibre che si sono depositate nelle parti più profonde del polmone possono
rimanere nei polmoni per diversi anni, anche per tutta la vita.
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La presenza di queste fibre estranee all’interno dei polmoni può comportare
l’insorgenza di malattie come l’asbestosi, il mesotelioma ed il tumore dei
polmoni.
Il mesotelioma è un tipo di tumore che si sviluppa a carico della membrana che
riveste i polmoni (pleura) e gli altri organi interni.
La sua casistica è fortemente relazionata alla presenza di asbesto
aerodisperso e la sua comparsa si manifesta dopo 15-30 anni.
Come il mesotelioma, anche il cancro polmonare compare solitamente a molti
anni di distanza dall’inizio dell’esposizione e può insorgere anche per
esposizione a bassi livelli di asbesto.
L’effetto cancerogeno dell’amianto viene amplificato nei fumatori o più in
generale in chi è esposto ad altri agenti inquinanti (es. gas di scarico, fumi
industriali, ecc.).
Anche se in forma minore sono state riscontrate patologie del tratto intestinale
e per la laringe connesse all’esposizione all’amianto.
Misure per ridurre l’esposizione
Essendo un agente cancerogeno occorre evitare l’esposizione, anche a bassi
livelli di concentrazione, poiché una minima esposizione per subirne gli effetti
nocivi.
Un discorso a parte merita la bonifica e lo smaltimento di manufatti già
esistenti (eternit, tubature, rivestimenti per centrali elettriche ecc.).
In questo caso occorre rivolgersi sempre a personale qualificato o preposto da
enti locali e regionali (ASL – Azienda Sanitaria Locale e ARPA - Agenzia
Regionale per la Protezione dell'Ambiente) in modo da non recare danni
maggiori a se stessi ed agli altri.
Amianto Normativa Con la legge 257 del 1992 è stata ormai vietata la
produzione e l’installazione di materiali in amianto.
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RIFIUTI
Rifiuto è tutto quello di cui ci si vuole disfare, tutto ciò che ogni giorno si butta via.
I tipi di rifiuti, infatti, sono tantissimi, e ciascuno ha il proprio posto nella filiera dello
smaltimento e del riciclo.
Plastica, carta, vetro, lattine, tetrapak.
Ma c’è un’altra distinzione che viene fatta ancora prima della scelta del bidone in
cui gettare il proprio scarto. Ed è quella tra rifiuto urbano e rifiuto speciale.
A differenza di quelli urbani, che consistono nei rifiuti che si buttano nei bidoni di
casa, che vengono raccolti per le strade o nelle aree pubbliche e quelli vegetali
provenienti dalle aree verdi, i rifiuti speciali necessitano interventi di smaltimento
particolari e appositi, e il più delle volte non derivano direttamente dai privati
cittadini.
Possono essere classificati sotto questa voce:
•
Rifiuti derivanti da lavorazione industriale
•
Rifiuti di attività commerciali
•
Rifiuti derivanti da attività di recupero e smaltimento rifiuti, fanghi che derivano
dal trattamento delle acque e depurazione delle acque reflue e da abbattimento
di fumi
•
Rifiuti derivanti da attività sanitarie
•
Macchinari e apparecchiature vecchi o rovinati
•
Veicoli a motore e rimorchi ormai inutilizzabili
A differenza dei rifiuti urbani, che vengono raccolti e gestiti dalla pubblica
amministrazione sulla base di una tassa apposita (la tassa sui rifiuti, TARI), lo
smaltimento dei rifiuti speciali viene effettuato da un sistema di aziende private.
Sia i rifiuti urbani che quelli speciali comprendono dentro di sé un particolare
sottogruppo, che è bene tenere sempre in grande considerazione: quello
dei rifiuti pericolosi, che necessitano di un’ulteriore tipo di gestione.
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Per quanto riguarda i rifiuti urbani, quelli classificati come pericolosi sono pochi,
individuabili prevalentemente nelle pile scariche e nei medicinali scaduti che
hanno, infatti, contenitori appositamente dedicati.
Parlando invece di rifiuti speciali pericolosi, l’elenco si amplia.
Il Ministero dell’Ambiente definisce i rifiuti speciali pericolosi «quei rifiuti generati
dalle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze
inquinanti».
In pratica, quelli che abbiamo sempre chiamato rifiuti tossici o nocivi, che hanno
bisogno di essere trattati per diventare il meno pericolosi possibile.
La maggioranza dei rifiuti speciali pericolosi prodotta in Italia (quasi il 40%) deriva
da attività industriali manifatturiere e attività di trattamento rifiuti e
risanamento.
Ma può trattarsi anche di scarti derivanti da:
•
Raffinazione del petrolio
•
Industria fotografica
•
Produzioni che utilizzano processi chimici
•
Solventi
•
Industria metallurgica
•
Produzione conciaria e tessile
•
Ricerca medica e veterinaria
•
Impianti di trattamento dei rifiuti
•
Oli esauriti
Data la loro particolarità, i rifiuti speciali pericolosi raramente vengono riciclati e
riutilizzati, ma vengono soprattutto smaltiti e lasciati in discarica.
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