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Rivista Trimestrale di Diritto Tributario 2016-2

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2/2016
Tax Law Quarterly
2/2016
Comitato di direzione
Fabrizio Amatucci, Massimo Basilavecchia, Roberto Cordeiro Guerra
Lorenzo del Federico, Eugenio Della Valle, Valerio Ficari
Maria Cecilia Fregni, Alessandro Giovannini
Maurizio Logozzo, Giuseppe Marini
Salvatore Muleo, Franco Paparella
Livia Salvini, Loris Tosi
G. Giappichelli Editore – Torino
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Comitato di direzione
Fabrizio Amatucci, Massimo Basilavecchia, Roberto Cordeiro Guerra, Lorenzo del
Federico, Eugenio Della Valle, Valerio Ficari, Maria Cecilia Fregni, Alessandro
Giovannini, Maurizio Logozzo, Giuseppe Marini, Salvatore Muleo, Franco Paparella, Livia Salvini, Loris Tosi
Comitato scientifico dei revisori
Niccolò Abriani, Francisco Adame Martinez, Antonia Agulló Agüero, Jacques Autenne, Mauro Beghin, Pietro Boria, Marc Bourgeois, Andrea Carinci, Giuseppe
Cipolla, Silvia Cipollina, Andrea Colli Vignarelli, Gianluca Contaldi, Daria Coppa, Giacinto Della Cananea, Adriano Di Pietro, Augusto Fantozzi, Andrea Fedele,
Luigi Ferlazzo Natoli, Stefano Fiorentino, Guglielmo Fransoni, Gianfranco Gaffuri,
Franco Gallo, Cesar Garcia Novoa, Alfredo Garcia Prats, Daniel Gutman, Pedro H.
Herrera Molina, Manlio Ingrosso, Enrico Laghi, Salvatore La Rosa, Carlos Lopez
Espadafor, Raffaello Lupi, Jacques Malherbe, Enrico Marello, Gianni Marongiu,
Enrico Marzaduri, Giuseppe Melis, Sebastiano Maurizio Messina, Marco Miccinesi,
Salvo Muscarà, Mario Nussi, Carlos Palao Taboada, Leonardo Perrone, Raffaele
Perrone Capano, Franco Picciaredda, Francesco Pistolesi, Ana María Pita Grandal, Gianni Puoti, José A. Rozas Valdés, Claudio Sacchetto, Salvatore Sammartino,
Roberto Schiavolin, Roman Seer, Maria Teresa Soler Roch, Paolo Stancati, Dario
Stevanato, Giuliano Tabet, Francesco Tesauro, Giuseppe Tinelli, Edoardo Traversa,
Antonio Uricchio, Juan Enrique Varona Alabern, Marco Versiglioni, Bjorn Westberg, Giuseppe Zizzo
Comitato di redazione
Antonio Viotto (coordinatore), Ernesto-Marco Bagarotto, Gianluigi Bizioli, Susanna
Cannizzaro, Pier Luca Cardella, Anna Rita Ciarcia, Marco Di Siena, Stefano Dorigo, Antonio Marinello, Pietro Mastellone, Michele Mauro, Annalisa Pace, Damiano
Peruzza, Federico Rasi, Laura Torzi, Caterina Verrigni
Tutti i contributi pubblicati nella Rivista sono stati sottoposti alla valutazione collegiale da parte del Comitato di direzione e alla revisione anonima da parte di uno dei
componenti del Comitato scientifico dei revisori, in base all’apposito Regolamento
(consultabile sul sito www.giappichelli.it/RTDT_regolamento.html)
Amministrazione: presso la casa editrice G. Giappichelli, via Po 21 – 10124 Torino
INDICE-SOMMARIO
pag.
Gli Autori e i Revisori
IX
Dottrina
F. Amatucci, L’autonomia procedimentale tributaria nazionale ed il
rispetto del principio europeo del contraddittorio (The national
autonomy of procedural tax assessment and the compliance of the
European audi alteram partem principle)
S. Cannizzaro, Autonomia e pluralità di disposizioni nel sistema
dell’imposta di registro: contributo ad una riflessione in chiave
evolutiva (Autonomy and plurality of provisions in the stamp duty discipline: some remarks for an evolutionary analysis)
A. Carinci, Profili fiscali dello sfruttamento del diritto all’immagine
degli sportivi (Tax aspects of the exploitation of sportspersons’ image
rights)
V. Ficari, Virtù e vizi della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusione tributaria ex art. 10 bis della L. n. 212/2000 (Virtues and vices
of the new discipline on tax avoidance and abuse of law provided by
ex art. 10 bis of law n. 212/2000)
I.A. Gavrilova-O.A. Makarova, La fiscalità nella Federazione Russa:
fondamento e giustificazione economica di imposte e tasse (Taxation in the Russian Federation: economic basis and economic justification of taxes and fees)
F. Montanari, Il dibattito sul sistema tributario russo: prospettive italiana ed europea (The debate on the Russian tax system: Italian and
European perspectives)
257
277
299
313
331
343
VIII
INDICE-SOMMARIO
RTDT - n. 2/2016
pag.
C.M. López Espadafor, Revisión de los parámetros esenciales de la
soberanía fiscal internacional (Revisione dei parametri essenziali della sovranità fiscale internazionale) (Revising the essential parameters
of international tax sovereignty)
P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale (Aggressive tax planning and the
new conceptual category of global tax law)
G. Ragucci, L’etica del legislatore tributario e la certezza del diritto
(The ethics of tax law and the principle of legal certainty)
353
395
441
Giurisprudenza
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna,
con nota di P. Batalocco, Note in tema di pericolosità fiscale dei
finanziamenti infruttiferi “anomali” dei soci nelle società di capitali a ristretta base proprietaria (Remarks on the fiscal dangerousness of shareholders’ “anomalous” interest-free loans in capital companies with a narrow shareholder base)
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano,
Rel. Manzon, con nota di M. Gambarati, In tema di confisca del
profitto per reati tributari commessi dal legale rappresentante della
persona giuridica (On the confiscation of the profit for tax crimes
committed by the company’s legal representative)
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con
nota di A. Kostner, La competenza territoriale nelle liti tributarie
di primo grado in cui è parte il concessionario della riscossione:
l’intervento della Corte costituzionale (The territorial jurisdiction
on tax disputes at first instance in which the tax collection is part: the
intervention of the constitutional Court)
463
493
513
GLI AUTORI E I REVISORI
Fabrizio Amatucci
Ordinario di Diritto tributario, Seconda Università di Napoli
Paola Batalocco
Dottoranda di ricerca, Luiss “Guido Carli”
Susanna Cannizzaro
Ricercatrice di Diritto tributario, Università di Foggia
Andrea Carinci
Ordinario di Diritto tributario, Università di Bologna
Valerio Ficari
Ordinario di Diritto tributario, Università di Sassari
Matteo Gambarati
Dottore in giurisprudenza, Università di Modena e Reggio Emilia
Irina Alexandrovna Gavrilova
Associate professor Admiral Makarov, State University of Maritime and Inland
Shipping
Alessandra Kostner
Assegnista di ricerca in Diritto tributario, Università di Milano “Bicocca”
Carlos María López Espadafor
Catedrático de Derecho Financiero y Tributario, Universidad de Jaén
Olga Alexandrovna Makarova
Full Professor St. Petersburg State University
Francesco Montanari
Ricercatore di Diritto tributario, Libera Università di Bolzano
Pasquale Pistone
Associato di Diritto tributario, Università di Salerno
Titolare della Cattedra Jean Monnet ad Personam, Università WU di Vienna
Gaetano Ragucci
Associato di Diritto tributario, Università di Milano
X
GLI AUTORI E I REVISORI
RTDT - n. 2/2016
La revisione dei contributi pubblicati è stata effettuata da: Mauro Beghin
(Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Padova); Daria Coppa
(Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Palermo); Guglielmo
Fransoni (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Foggia); Franco
Gallo (Professore emerito di Diritto tributario, Luiss “Guido Carli”); Jacques Maleherbe (Professor Emeritus of Tax Law, University of Louvain, Belgium); Enrico
Marello (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Torino); Enrico
Marzaduri (Professore ordinario di Diritto processuale penale, Università di Pisa);
Francesco Pistolesi (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Siena);
Giuseppe Tinelli (Professore ordinario di Diritto tributario, Università di Roma
Tre); Edoardo Traversa (Professor of Tax Law, University of Louvain, Belgium).
DOTTRINA
SOMMARIO:
F. Amatucci, L’autonomia procedimentale tributaria nazionale ed il rispetto
del principio europeo del contraddittorio (The national autonomy of procedural tax assessment and the compliance of the European audi alteram partem
principle)
S. Cannizzaro, Autonomia e pluralità di disposizioni nel sistema dell’imposta
di registro: contributo ad una riflessione in chiave evolutiva (Autonomy and
plurality of provisions in the stamp duty discipline: some remarks for an evolutionary analysis)
A. Carinci, Profili fiscali dello sfruttamento del diritto all’immagine degli sportivi (Tax aspects of the exploitation of sportspersons’ image rights)
V. Ficari, Virtù e vizi della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusione tributaria
ex art. 10 bis della L. n. 212/2000 (Virtues and vices of the new discipline on
tax avoidance and abuse of law provided by ex art. 10 bis of law n. 212/2000)
I.A. Gavrilova-O.A. Makarova, La fiscalità nella Federazione Russa: fondamento e giustificazione economica di imposte e tasse (Taxation in the Russian Federation: economic basis and economic justification of taxes and fees)
F. Montanari, Il dibattito sul sistema tributario russo: prospettive italiana ed europea (The debate on the Russian tax system: Italian and European perspectives)
C.M. López Espadafor, Revisión de los parámetros esenciales de la soberanía
fiscal internacional (Revisione dei parametri essenziali della sovranità fiscale internazionale) (Revising the essential parameters of international tax sovereignty)
P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale (Aggressive tax planning and the new conceptual category of global tax law)
G. Ragucci, L’etica del legislatore tributario e la certezza del diritto (The ethics
of tax law and the principle of legal certainty)
256
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
Fabrizio Amatucci
L’AUTONOMIA PROCEDIMENTALE TRIBUTARIA
NAZIONALE ED IL RISPETTO DEL PRINCIPIO EUROPEO
DEL CONTRADDITTORIO 1
THE NATIONAL AUTONOMY OF PROCEDURAL
TAX ASSESSMENT AND THE COMPLIANCE OF THE EUROPEAN
AUDI ALTERAM PARTEM PRINCIPLE
Abstract
Le norme procedurali sono considerate a livello europeo in grado di assicurare
effettivamente una serie di garanzie fondamentali dei contribuenti e, pertanto, la
loro incompatibilità con il diritto UE in caso di mancato raggiungimento di tale
obiettivo, assume rilevanza attraverso il principio di proporzionalità, ai fini della
corretta applicazione di norme tributarie sostanziali e provoca un restringimento
considerevole dell’autonomia procedimentale nazionale. Il principio europeo del
contraddittorio ed il diritto ad essere ascoltato durante l’istruttoria trovano difficoltà applicative in alcune aree (i tributi non armonizzati o gli scambi di informazioni da altri Paesi riguardanti dati bancari), che sembrano conservare in parte la
loro autonomia a livello nazionale, e ciò determina una frammentazione del sistema difficilmente giustificabile.
Parole chiave: contraddittorio, proporzionalità, garanzie fondamentali, autonomia procedimentale nazionale, limitazioni
At the European level, tax procedural rules are considered able to ensure effectively several fundamental taxpayers’rights and, therefore, their incompatibility with EU law
in case of failed achievement of such purpose gains relevance through the principle pf
proportionality, to the purpose of correct enforcement of tax substantive rules, and
leads to a significant restriction of the national procedural autonomy. The European
1
Contributo non soggetto a revisione esterna.
258
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
audi alteram partem principle and the right to be heard during the tax audit find
practical difficulties in certain fields (non-harmonised taxes or bank information exchanged by other Countries), which seems to partially maintain their autonomy at
the national level, determining a systematic fragmentation that is difficultly justifiable.
Keywords: audi alteram partem, proportionality, fundamental safeguards, national
procedural autonomy, limitations
SOMMARIO:
1. L’incidenza dei principi europei sulle norme procedimentali. – 2. Il ruolo fondamentale di
principio guida della proporzionalità. – 3. Gli orientamenti della giurisprudenza nazionale in
materia di contraddittorio. – 4. Le limitazioni del contraddittorio in ambito transnazionale e
nello scambio di informazioni. – 5. Conclusioni.
1. L’incidenza dei principi europei sulle norme procedimentali
Sono sempre più frequenti gli interventi da parte della giurisprudenza
europea (CGUE e CEDU) volti a garantire il diritto di difesa del contribuente attraverso la verifica di compatibilità di norme nazionali procedurali con
principi generali come la proporzionalità, la tutela dell’affidamento, l’effettività. Ciò avviene attraverso l’individuazione di limiti che spesso non vengono rispettati dagli ordinamenti interni (ad es. termini ragionevoli di durata
del contraddittorio, diritto ad essere ascoltato, ammissibilità di alcune prove, ecc.). Le norme procedurali sono considerate a livello europeo in grado
di assicurare effettivamente una serie di garanzie fondamentali e pertanto, la
loro incompatibilità con il diritto UE in caso di mancato raggiungimento di
tale obiettivo, assume rilevanza ai fini della corretta applicazione di norme
sostanziali e provoca un restringimento considerevole dell’autonomia procedimentale nazionale. Tale autonomia è sopravvissuta per un lungo periodo, ed ha consentito agli Stati membri di imporre liberamente ed esclusivamente, secondo parametri interni, un complesso di regole amministrative
tributarie in grado di incidere sul comportamento tenuto dagli organi verificatori e dagli uffici accertatori.
Non vi è dubbio che le cause che hanno reso necessario l’ampliamento
delle garanzie dei contribuenti attraverso i principi UE e CEDU, si fondano
sulla difficoltà e sulle limitazioni del diritto di difesa dei contribuenti nella fase
Fabrizio Amatucci
259
istruttoria anteriore rispetto a quella processuale in cui tali diritti sono direttamente garantiti dagli artt. 24 e 111 Cost. 2. La tutela in ambito endo-procedimentale è particolarmente richiesta a causa dell’ampia gamma di strumenti presuntivi utilizzabili ai fini della determinazione del reddito evaso dagli Uffici ispettivi sin dalla fase di verifica, in cui si svolge oramai prevalentemente e anticipatamente l’istruttoria 3 anche alla luce delle recenti politiche
perseguite da organismi internazionali (OCSE e Commissione UE) in materia fiscale volte all’attuazione della tax compliance e della good governance 4
e che presuppongono il rispetto dei diritti fondamentali. Decisivo a tal proposito è stato l’assorbimento delle disposizioni CEDU nella sfera dell’ordinamento UE 5 (tra cui l’art. 41 Carta Europea Diritti Fondamentali), caratterizzato da principi e regole che hanno sempre avuto prevalentemente finalità economica e che condizionano fortemente gli ordinamenti fiscali nazio2
I principi CEDU sono in grado di ampliare le garanzie già previste dal nostro ordinamento ed in particolare quelle previste dall’art. 24 e 111 Cost. e renderle operative sin dalla fase istruttoria procedimentale. Essi costituiscono standard internazionali generalmente
riconosciuti che si pongono alla base della nozione di giusto procedimento. Con l’ord. 24
luglio 2009, n. 244 è stato chiarito tuttavia dalla Corte costituzionale infatti che gli artt. 24
e 111 Cost., sono parametri non possono essere invocati in relazione al procedimento di
accertamento tributario, ed in relazione ad una norma che viola l’obbligo di contraddittorio endo-procedimentale e che non ha natura processuale ed è, quindi, estranea all’ambito
di applicazione dei suddetti parametri costituzionali.
3
La tendenza verso l’anticipazione della difesa in fase endo-procedimentale non sempre garantisce nel senso che spesso non consente in tempi brevi al contribuente di fornire
giustificazioni (si pensi al difficile reperimento di documentazione giustificativa di operazioni bancarie o alla dimostrazione dell’inerenza di una spesa effettuata da un residente in
altro Paese). GALLO, Contraddittorio procedimentale, in Dir. prat. trib., 2011, p. 477, ritiene
che sarebbe necessario imporre all’ufficio deputato al controllo di rispondere in tempi brevi alle contestazioni avanzate dal contribuente in ordine alla legittimità e lesività degli atti
posti in essere nei suoi confronti.
4
Il documento Platform for tax good governance, Discussione papers della Commissione
DG Taxaud del 2 marzo 2015 è stato emanato per evitare le difficoltà di tipo amministrativo
che possono sorgere al fine di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e garantire fiscalmente certezza e prevedibilità ai contribuenti delle operazioni da effettuare.
5
I diritti garantiti dalle norme CEDU, sanciscono una serie maggiore di garanzie anche
nei confronti del contribuente e sono in grado di interpretare e integrare i parametri costituzionali e di superare la sovranità nazionale attraverso la disapplicazione di norme procedurali interne incompatibili. Le norme CEDU rafforzate e comunitarizzate a seguito dell’adesione dell’Unione Europea alla convenzione diritti umani, ampliano la sfera applicativa
di principi già esistenti come il giusto processo e il diritto di difesa. V. AMATUCCI, Il rafforzamento dei principi comuni europei e l’unicità del sistema fiscale nazionale, in Riv. trim. dir.
trib., n. 1, 2013, p. 3.
260
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
nali 6. Misure nazionali come quelle procedimentali, possono dunque ormai
essere disapplicate quando il diritto di difesa basato sulla CEDU, è strettamente correlato alle libertà fondamentali che non sono più solo economiche, ma collegate alla persona e ai diritti sociali 7. Tuttavia, secondo i recenti
orientamenti della stessa Corte di Giustizia e della Cassazione, l’obbligo di
disapplicazione delle norme che violano i diritti fondamentali garantiti dalla
CEDU, non deve impedire l’attività valutativa autonoma del giudice nazionale, né incidere sulla sfera giurisdizionale interna 8. Non vi è dubbio che la
compatibilità o affinità tra le norme procedimentali tributarie adottate dai
diversi Stati membri che scaturisce dall’attuazione di principi comuni, oltre
a favorire l’integrazione fiscale e ad evitare restrizioni formali o indirette delle libertà fondamentali, agevola allo stesso tempo la cooperazione nella lotta
all’evasione e all’elusione a livello transnazionale.
6
RAGUCCI, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib,
2009, p. 585, osserva come le norme CEDU sono norme interposte che integrano il parametro di costituzionalità la cui valutazione spetta alla Corte costituzionale. La giurisprudenza della Cass. (sentt. 10 febbraio 2011, n. 19367/2008 e n. 3270) ha inizialmente affermato l’esclusione dalla sfera applicativa della convenzione dei diritti umani delle controversie relative ad obbligazioni che risultino dalla legislazione fiscale eccetto le sanzioni tributarie che per la afflittività siano assimilabili a quelle penali. V. TUNDO, Procedimento tributario e difesa del contribuente, Padova, 2013, p. 142.
7
Le norme CEDU rafforzate e comunitarizzate a seguito dell’adesione dell’Unione Europea alla convenzione diritti umani, dovrebbero applicarsi anche a fattispecie che rientrano nella sfera del diritto dell’Unione Europea. Per maggiori approfondimenti sul tema v.
MELIS, Evasione ed elusione fiscale internazionale, in Rass. trib., 2014, p. 1293. DEL FEDERICO,
Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, p. 220 ss. V. ZAGREBELSWKI, La prevista adesione della UE alla CEDU, in www.europeanrights.eu, osserva che oggi
la Corte UE fa continuo riferimento alla CEDU nella interpretazione e applicazione della
convenzione e la Corte CEDU trova continua ispirazione dalla giurisprudenza della normativa UE. L’adesione della UE alla CEDU potrebbe inoltre favorire lo sviluppo della giurisprudenza della Corte CEDU. V. sul tema GALLO, Ordinamento UE e principi fondamentali, Napoli, 2006, p. 29, secondo il quale vi sarebbe una certa equivalenza tra protezione
dei diritti fondamentali nel sistema UE e principi costituzionali nazionali.
8
Sent. Corte Giust., Fransson, causa 26 febbraio 2013, C-617/10. La Cass., nella sent.
n. 11082/2010 inoltre, dopo aver esaminato la estensione della giurisprudenza della Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo nell’ordinamento tributario italiano, ha individuato un limite, laddove ha riconosciuto che, i principi fissati dalla CEDU, attribuiscono la potestà di
giudicare, parametro di riferimento per la valutazione dell’idoneità dei mezzi predisposti a
tutela di quelle posizioni soggettive (momento valutativo interno, anche ai fini della tutela
del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.), ma non incidono affatto sulla interpretazione
delle norme (nazionali) di ripartizione della giurisdizione.
Fabrizio Amatucci
261
2. Il ruolo fondamentale di principio guida della proporzionalità
La proporzionalità consente la corretta applicazione dei principi europei
ai quali si deve ispirare l’attività dell’amministrazione compresa quella finanziaria, consentendo da parte delle autorità nazionali la piena attuazione di
una serie di garanzie come la coerenza e la tutela dell’affidamento dell’azione amministrativa che si contrappongono all’interesse fiscale. Essa è dunque
un canone di tutela procedimentale che può determinare, grazie alla sua flessibilità ed alla sua forza espansiva, il superamento delle regole nazionali procedurali restrittive, individuando nuovi e diversi limiti più ragionevoli e consentendo allo stesso tempo di garantire il diritto di difesa e l’affidamento senza estendere eccessivamente la discrezionalità dell’Amministrazione Finanziaria nella fase procedimentale 9. In base al principio della proporzionalità
le azioni della Pubblica Amministrazione devono essere svolte arrecando il
minor pregiudizio possibile al cittadino contribuente e non eccedere mai
quanto necessario per il perseguimento dell’obiettivo. Tra i principi CEDU
ispirati e fondati sulla proporzionalità in grado di ampliare le garanzie già
previste dal nostro ordinamento e renderle operative sin dall’istruttoria procedimentale in fase di contraddittorio, va menzionato il diritto al silenzio che
garantisce termini ragionevoli della difesa in fase amministrativa 10. In altra
occasione 11, la Corte europea ha ribadito che il diritto ad essere ascoltato ed
al silenzio durante le attività istruttorie, costituisce uno standard internazionale generalmente riconosciuto che si pone alla base delle nozione di equo
processo e che è garantito in materia tributaria quando dalle indagini fiscali
possono scaturire conseguenze di tipo penale 12. Viene inoltre posta l’atten9
MARCHESELLI-COSTANZO, Elusione fiscale nello specchio del giusto processo, in Corr. trib.,
2016, p. 897. Con riferimento all’abuso si osserva che la verifica non è limitata alla sola fase
procedimentale ma va considerata in una dialettica ordinata ed integrata in istruttorie distinte (compresa quella processuale) in un’ottica collaborativa.
10
V. sent. Corte Europea Dir. Um., caso Murray, 8 febbraio 1996, n. 18731/91. La
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato che obbligare l’imputato a rendere testimonianza non è stato ritenuto in contrasto con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, mentre vi sarebbe violazione della Convenzione se
una condanna fosse basata solo o principalmente sul rifiuto di testimoniare. V. AMATUCCI
Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 274.
11
Nel caso Chambaz c. Switzerland, 5 aprile 2012, n. 11663/04.
12
DELLA VALLE, Il giusto processo tributario: la giurisprudenza CEDU, in Rass. trib.,
2013, p. 443, commentando tale caso osserva che in tale caso la Corte di Strasburgo in li-
262
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
zione della giurisprudenza EDU sulla tutela immediata del contribuente in
casi di irregolarità nella fase procedimentale delle ispezioni e dei sequestri 13.
Particolarmente importante in tale contesto di interventi giurisprudenziali ispirati alla proporzionalità, è l’orientamento della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo nel noto caso caso Jussila della Corte di Strasburgo del 2
novembre 2006, n. 73053/01, in cui si è fissato un limite in materia probatoria se pur in fase processuale 14. La Corte EDU considera infatti l’esclusione della prova testimoniale compatibile con il giusto processo e con la proporzionalità solo se da tale divieto non derivasse un grave pregiudizio del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile 15.
Anche in ambito dell’Unione Europea analoghi principi fondamentali come l’imparzialità e la buona fede che vengono posti alla base degli interventi
della Corte europea, sono ispirati alla proporzionalità ed assumono valore
di principi generali che tutelano particolarmente il contribuente durante il
contraddittorio procedimentale. Essi trovano uno specifico riferimento normativo secondo quanto previsto dall’art. 41, par. 2 della Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea che è divenuta vincolante nel 2009 con
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Tale norma sancisce infatti espressamente il diritto del cittadino ad «essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento che gli arrechi pregiudizi». Inoltre
anche la Commissione UE è intervenuta in relazione allo scambio di informazioni ed ha emanato la decisione del 23 aprile 2013 con la quale ha proposto l’istituzione di una Platform for tax good governance, aggressive tax planning and DT, volta a stimolare il dibattito tra le Amministrazioni Finanziarie
dei Paesi membri per quanto riguarda la good governance fiscale.
La Corte di Giustizia UE, dopo un primo periodo in cui ha ritenuto che
alcuni principi guida dell’attività procedimentale tributaria come quello del
contraddittorio e della proporzionalità operassero solo qualora il procedimento amministrativo fosse propedeutico all’irrogazione delle sanzioni
(sent. 24 ottobre 1996, C-32/95, caso Listrestal), ha considerato che l’applicazione degli stessi fosse da ritenere generalizzata e da estendere a qualsiasi
nea con la precedente giurisprudenza, ritiene che l’irrogazione di sanzioni infrange il diritto al silenzio violando l’art. 6 CEDU.
13
V. caso Ravon, 10 giugno 2003, n. 18497 in attuazione degli artt. 41, 47 e 48 CEDU.
14
Il caso era relativo al diritto di un contribuente ad essere ascoltato in udienza ed a far
valere la prova testimoniale, nel processo amministrativo tributario finlandese.
15
AMATUCCI, Il superamento delle preclusioni probatorie e l’ampliamento del diritto di difesa del contribuente, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, 2014, p. 275.
Fabrizio Amatucci
263
procedimento nei confronti di persone per effetto dell’art. 41 Carta Europea
dei Diritti Fondamentali. Si è dunque riconosciuto, entrando più nel dettaglio, valore all’effettività della difesa durante il contraddittorio procedimentale in materia tributaria. Proprio al contraddittorio è dedicata particolare
attenzione da parte della giurisprudenza UE che considera quest’ultimo principio fondamentale di diritto UE in grado di garantire fortemente e più direttamente la tutela degli interessi del contribuente e i principi di buona amministrazione 16. Il diritto al silenzio è stato sancito infatti dalla giurisprudenza
della Corte di Giustizia 17 in particolare nei procedimenti amministrativi riguardanti il diritto a non testimoniare contro sé stessi, che fa parte del diritto UE accolto dagli Stati membri aderenti alla CEDU. Il diritto di difesa implica per il destinatario un ragionevole lasso di tempo di durata del contraddittorio (che il giudice nazionale dovrà valutare) sufficiente per poter far valere il proprio punto di vista 18 e ciò nel rispetto del principio dell’effettivi16
In proposito, con la sent. Sopropè C-349/07/2008, sono stati riconosciuti dalla Corte di Giustizia il diritto di difesa e al contraddittorio a livello UE in materia doganale (il caso riguardava il termine preclusivo che era previsto in fase istruttoria per l’audizione della
parte e la comunicazione di documenti) come principi generali e fondamentali. V. DE
FLORA, I limiti del principio del contraddittorio preventivo, in Dir. prat. trib. int., 2012, p. 995,
la quale ritiene che i giudici UE con la sent. Sopropè attribuiscono al diritto al contraddittorio valore di principio fondamentale dell’ordinamento tributario in quanto strumento in
grado di attuare i principi della buona amministrazione. V. inoltre RAGUCCI, op. cit., p. 588.
17
V. sentenza Corte Giust., Postbank, 10 novembre 1993, C-60/92 ove la Corte afferma che la Commissione UE «nonostante in taluni casi può obbligare un’impresa a fornire
tutte le informazioni, non può pregiudicare i diritti di difesa riconosciuti all’impresa imponendo ad es. l’obbligo di fornire risposte attraverso le quali sarebbe indotta ad ammettere
l’esistenza della trasgressione che deve esser provata dalla Commissione». Ciò implica in
generale un potenziamento dei poteri istruttori nei sistemi giuridici nazionali e l’eliminazione di preclusioni in fase processuale. V. inoltre la sentenza Corte Giust., Orkem, 18 ottobre 1989, C 374/87, p. 34, Trib. I grado UE, 28 aprile 2010, T-446/05 e sent. Corte
Giust., Sopropè, 19 dicembre 2008, C-439/07.
18
V. sent. Corte Giust. Sopropè (pp. 37 e 38) ove è affermato che «In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere
messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi
sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non
siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera
del diritto nazionale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficia-
264
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
tà 19. Come accaduto in ambito CEDU, la gradualità nell’applicazione di tale
principio, non impone sempre ed in ogni caso l’obbligo del contraddittorio,
ma giustifica una differenziazione caso per caso fondata sulla proporzionalità 20, e sulla necessità del “grave pregiudizio” all’esercizio del diritto di difesa
del contribuente scaturente dalla mancata osservanza diritto ad essere ascoltato. Viene inoltre individuato un doppio limite nel caso di specie dalla giurisprudenza, chiarendo che, qualora il diritto dell’Unione non fissa né le
condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa,
né le conseguenze della violazione di tali diritti, questi ultimi rientrano nella
sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano
dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) 21. La comparabilità tra le situazioni interne e di diritto UE non va intesa certamente in
negativo e non significa che se l’ordinamento non preveda un obbligo generalizzato di contraddittorio, esso non possa essere comunque garantito a tutela di diritti fondamentali.
Chiarisce infatti la stessa Corte UE che il principio del contraddittorio
impone un obbligo che incombe sulle amministrazioni degli Stati membri
ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione
del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa comunitaria applicabile
non preveda espressamente siffatta formalità 22. Esso costituisce applicaziono i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non
rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario».
19
V. inoltre Corte Giust., sent. 13 settembre 2007, C-439/05.
20
In ambito UE v. sentt. Corte Giust. Postbank, 10 novembre 1993, C-60/92 ove la
Corte osserva che è richiesto un potenziamento dei poteri istruttori nei sistemi giuridici nazionali e l’eliminazione di preclusioni in fase processuale. V. inoltre la sentenza Corte Giust.
Orkem, 18 ottobre 1989, C 374/87, p. 34, Trib. I grado 28 aprile 2010, UE T-446/05. Si
ricorda che in materia doganale dei recente l’art. 22, Reg. n. 952/2013 entrato in vigore dal
1° maggio 2016, prevede che le autorità doganali prima di prendere decisioni favorevoli al
contribuente devono dare la possibilità al richiedente di esprimere il proprio punto di vista.
21
V., in tal senso, in particolare, sentenze del 18 dicembre 2008, Sopropé, cit., punto 38,
nonché del 19 maggio 2011, C-452/09, in Racc., pp. I-4043, punto 16. V. IAIA, Il contraddittorio anteriore al provvedimento amministrativo tributario nell’ordinamento UE, in Dir. prat.
trib., 2016, p. 56.
22
Sentenza Corte UE M.G. e R., 10 settembre 2013, C-383/13, punto 32 in materia di
libera circolazione delle persone.
Fabrizio Amatucci
265
ne del diritto di difesa la cui violazione può essere invocata direttamente innanzi al giudice nazionale e risulta fondamentale nell’ordinamento europeo
anche se può essere soggetto a restrizioni nel rispetto dell’effettività e della
proporzionalità, secondo quanto stabilito nella sentenza della Corte UE Kamino, causa 3 luglio 2014, C-130/13. Tali restrizioni tuttavia non possono
certo essere intese come settoriali 23, ma riguardano, secondo la giurisprudenza ai fini dell’annullamento del successivo atto impositivo, nel rispetto
della proporzionalità, la valutazione degli effetti della mancata partecipazione del contribuente ossia l’eventuale risultato diverso che sarebbe scaturito in
mancanza di irregolarità procedurale. È stata inoltre prevista dalla Corte UE
con la sentenza della Corte di Giustizia WML, 17 dicembre 2015, causa C419/14, la possibilità di ammettere nel processo tributario le prove provenienti dal procedimento penale, solo se il contribuente è preventivamente
ascoltato dalle autorità amministrative e se ha avuto accesso a tali prove.
Una conseguenza che dovrebbe derivare da tale evoluzione della giurisprudenza europea in materia di contraddittorio, è il riconoscimento da
parte dell’ordinamento nazionale del giusto procedimento amministrativo, che consentirebbe di assicurare una effettiva parità delle parti attraverso maggiori vincoli nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria e meno
restrizioni per il contribuente. Il diritto al contraddittorio andrebbe riconosciuto dunque in presenza di precise condizioni quali ad es. l’esistenza
di situazioni penalmente rilevanti (fondate su di un autonomo sistema probatorio) ed in presenza della gravità del pregiudizio che potrebbero derivare dalla mancata partecipazione da parte del contribuente 24. Tale graduazione consentirebbe di superare, attraverso criteri più precisi, la tendenza del nostro legislatore a stabilire l’obbligatorietà del contraddittorio
in relazione a singole fattispecie ed a sanzionare talvolta a pena di nullità il
mancato rispetto di tale regola 25.
23
Vedi orientamento sent., sez un., 9 dicembre 2015, n. 24823 esaminata oltre al par. 3.
Su tale sentenza MULEO, Il contraddittorio procedimentale: un miraggio evanescente?, in questa Rivista, n. 1, 2016, p. 233.
24
Nel nostro ordinamento il diritto al silenzio trova applicazione in materia penale nonostante dal suo esercizio possa derivare l’impossibile formazione della prova testimoniale
(Cass., 17 settembre 2007, n. 34928 e 28 gennaio 2008, n. 32557).
25
La disomogeneità nel nostro ordinamento tributario deriva, da un lato, dalla concezione autoritativa basata sulla indisponibilità della posizione del fisco, dall’altra, hanno determinato tuttavia, come esaminato, la mancanza di una norma generale idonea a sancire in
via astratta il diritto del contribuente alla partecipazione all’attività posta in essere dall’Amministrazione Finanziaria ed avente ad oggetto la propria posizione erariale. Quest’ultimo
266
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
3. Gli orientamenti della giurisprudenza nazionale in materia di contraddittorio
La nostra giurisprudenza inizialmente si è uniformata a tali orientamenti
europei (con sentt. n. 14105/2010 26 e n. 8481/2010) e si è pronunciata in
materia doganale secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia comunitaria ritenendo che i diritti fondamentali sanciti a livello europeo, sono
parte integrante dei principi generali dei quali 27 la Corte di Giustizia garanpuò tuttavia partecipare all’attività istruttoria e di accertamento qualora norme specifiche
lo impongano in riferimento ai singoli istituti da esse disciplinati. Nello specifico:
– tutte le volte in cui dai controlli automatici o dal controllo formale della dichiarazione emerge un dato diverso da quello dichiarato, l’Amministrazione Finanziaria deve o ha
l’obbligo di comunicare al contribuente l’esito del controllo e garantirgli la possibilità di
fornire i chiarimenti ritenuti opportuni;
– D.P.R. n. 600/1973, artt. 36 bis e 36 ter; L. n. 212/2000, art. 6;
– terminate le verifiche fiscali, al contribuente devono essere concessi sessanta giorni
di tempo (a partire dalla data di consegna del PVC) per effettuare le proprie osservazioni e
richieste all’ufficio, che fino al decorso del suddetto termine non può emanare l’avviso di
accertamento salvo casi di particolare e motivata urgenza (L. n. 212/2000, art. 12, comma
7, c.d. contraddittorio anticipato). V. sent. 10 giugno 2015, n. 11993 «L’Amministrazione
finanziaria è, invero tenuta, a pena di nullità dell’avviso di accertamento o di rettifica, alla
osservanza del termine dilatorio di giorni sessanta decorrenti dalla consegna del verbale di
chiusura delle operazioni, prescritto dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 citata per la
emissione dell’atto impositivo …»;
– prima dell’emissione di un avviso di accertamento sintetico, l’Amministrazione Finanziaria deve invitare il contribuente a comparire per dargli la possibilità di dimostrare che il
maggior reddito determinato sinteticamente non è tassabile o è stato già tassato (D.P.R. n.
600/1973, art. 38);
– quando si recuperano a tassazioni costi derivanti da operazioni intrattenute con imprese estere partecipate, aventi sede nei c.d. paradisi fiscali, l’Amministrazione Finanziaria
deve invitare il contribuente a fornire la prova della effettività della attività economica svolta nel Paese in cui hanno sede (art. 110, comma 11, TUIR);
– l’art. 10 bis da ultimo stabilisce insieme alla clausola antiabuso, a pena di nullità, l’attivazione di tale procedura di contraddittorio da parte dell’ufficio in quanto si rende in tali
casi realmente obbligatoria e rilevante una procedura preliminare che era già prevista anche per l’art. 37 bis, comma 4, e considerata legittima dalla sent. Corte cost. n. 132/2015.
La necessità di un contraddittorio endo-procedimentale a pena di nullità si giustifica forse
per la difficoltà di individuazione delle fattispecie incerte di abuso.
26
Secondo la Cassazione in materia doganale è stato integralmente violato il diritto
fondamentale di difesa consentito nella fase amministrativa dalla normativa nazionale – oltreché imposto dalla giurisprudenza comunitaria. Il contraddittorio costituisce «un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo».
27
V. par. 33 sent. Sopropè, cit. A tal fine, quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzio-
Fabrizio Amatucci
267
tisce l’osservanza, ispirandosi alle indicazioni fornite a livello internazionale
in materia di tutela dei diritti dell’uomo. Effettività ed equivalenza consentono di intervenire sulle norme procedimentali e sul contraddittorio qualora
esse siano restrittive ed impediscano, attraverso preclusioni, la difesa e dunque
l’attuazione dei diritti garantiti dall’Unione Europea.
La Cass., sez. un., n 19667/2014, ha riconosciuto l’esistenza nell’ordinamento interno del diritto al contraddittorio considerato principio immanente riconducibile agli artt. 24 e 97 Cost. ed attuabile anche in mancanza
di espressa previsione normativa. Ha ritenuto inoltre intollerabile il riferimento ad un diverso trattamento in tema di contraddittorio in quanto le fattispecie interne non si distinguono da quelle comunitarie. La obbligatorietà
del contraddittorio, se pur in relazione all’art. 37 bis, comma 4, è stata considerata legittima costituzionalmente anche dalla sent. della Corte cost. n.
132/2015 28. Successivamente, attraverso una sorprendente inversione di
tendenza, tuttavia secondo la stessa Corte, il contraddittorio non è stato ritenuto un principio immanente nel nostro ordinamento, ma una regola speciale che opera solo in alcuni casi specifici e dunque obbligatorio solo a metà. La Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, ha infatti distinto irragionevolmente i tributi armonizzati dai non armonizzati ritenendo il contraddittorio obbligatorio solo con riferimento ai primi e considerando che
quest’ultimo non potesse essere ancorato agli artt. 24 e 97 Cost. Ciò significa che, nonostante tale distinzione tra diverse categorie di tributi non sia
specificamente prevista dal nostro ordinamento in relazione ad una serie di
norme e regole comuni come quelle in materia antielusiva e antiabuso (si
pensi alla recente clausola generale anti abuso prevista dall’art. 10 bis, L. n.
212/2000 che si uniforma alla Commissione UE che ha esteso nella Racnali comuni agli Stati membri oltre che alle indicazioni fornite dai trattati internazionali
relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito (v.,
in particolare, sent. 6 marzo 2001, causa C-274/99, Connolly/Commissione, in Racc., pp.
I-1611, punto 37).
28
La Corte costituzionale ritiene che non sia violato il principio di eguaglianza da una
obbligatorietà del contraddittorio prevista solo in alcune fattispecie come quella dell’art.
37 bis, ritenendo che vi sarebbe una tendenza della giurisprudenza (sentt. 14 gennaio
2015, n. 406 e 5 dicembre 2014, n. 25759) ad ampliare tale obbligatorietà, ma aggiunge
che è sufficiente osservare che la mancanza dell’espressa previsione, in essa, del contraddittorio anticipato non sarebbe comunque d’ostacolo all’applicazione del principio generale
di partecipazione del contribuente al procedimento, di cui si è detto. Sicché nemmeno
questo termine di riferimento sarebbe idoneo a dimostrare la denunciata disparità di trattamento.
268
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
comandazione del 2012 la portata della clausola antiabuso a tutta la materia
fiscale), vi dovrebbe essere un diritto al contraddittorio più consolidato ed
un diritto di difesa maggiormente garantito in ambito giurisprudenziale in
materia di IVA, rispetto a quello che investe il settore non armonizzato delle
imposte dirette con conseguente tutela differenziata.
Con la sentenza della Cass., sez. un. n. 24823/2015 si è dunque tornati indietro e si è ripristinata la distinzione che era considerata inizialmente anche
nell’abuso del diritto tra IVA e tributi non armonizzati 29. Tale orientamento è
stato confermato nella sent. Cass. n. 7137/2016 ove è stato chiarito che l’annullamento deriverebbe solo dal mancato contraddittorio per i tributi armonizzati ed in ogni caso sarebbe necessario, solo per tale categoria di tributi, il
rispetto dei limiti individuati nella sentenza Kamino nello specifico l’onere del
contribuente di prospettare le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede di
contraddittorio 30. Come esaminato, la nostra giurisprudenza, dunque, attra29
La Corte di Cassazione si è basata infatti in un primo momento sui principi giurisprudenziali comunitari sull’abuso del diritto enucleati in materia di IVA che appartengono al rango delle fonti comunitarie primarie e in quanto tali godono di una efficacia tipica
delle fonti di primo grado prevalendo sul diritto nazionale e sono in grado di creare diritti
ed obblighi, ritenendo esistente, con le sentt. 21ottobre 2005, n. 20398 e n. 20318 e 14 novembre 2005, n. 22932 in materia di dividend washing, nel nostro ordinamento una nozione di abuso del diritto che deve indurre l’interprete alla ricerca di adeguati mezzi (come la
figura del contratto di frode alla legge contemplata dall’art. 1344 c.c. o la nullità della sequenza negoziale per carenza di causa concreta). Successivamente, con sentt. 29 settembre 2006,
n. 21221; 4 aprile 2008, n. 8772; 15 settembre 2008, n. 23633 e 17 ottobre 2008, n. 25374, si
è prospettata in modo più articolato nuovamente la diretta applicazione nell’ordinamento
tributario del principio dell’abuso del diritto e si è affermato chiaramente che tale principio
trova applicazione in tutti i settori dell’ordinamento tributario ed anche in quello delle imposte dirette. Finalmente, nelle sentenze Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055 e n.
30057 viene correttamente sganciato dai principi giurisprudenziali comunitari l’abuso del
diritto in materia di imposte dirette il quale, essendo riferito ad una categoria di tributi non
armonizzata, si fonda sugli artt. 53 e 23 Cost. ed è sancita la sua rilevabilità d’ufficio da parte del giudice. V. SALVINI, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in
Corr. trib., 2006, p. 3097.
30
Viene infatti affermato in tale sentenza in relazione ai tributi “armonizzati” (in particolare: l’IVA), recependo gli orientamenti della sentenza Kamino, che, inerendo alle competenze dell’Unione, sono investiti dalla diretta applicazione del relativo diritto, l’obbligo del
contraddittorio procedimentale assume, invece, un rilievo generalizzato, e la sua violazione
determina l’annullamento del provvedimento solo se, «in mancanza di tale irregolarità, il
procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”», e cioè ove risulti che il
contraddittorio, ove vi fosse stato, non si sarebbe risolto in puro simulacro, ma avrebbe rivestito una sua ragione d’essere, consentendo al contribuente di addurre elementi difensivi non
del tutto vacui e dunque non puramente fittizi o strumentali; nello specifico: il contribuente
ha l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il con-
Fabrizio Amatucci
269
verso una recente interpretazione restrittiva e non corretta basata sulle differenti regolamentazioni normative previste dal nostro ordinamento, tende in
qualche modo a riconoscere e limitare i casi di obbligatorietà scaturenti dalla
nullità dell’atto emanato in mancanza del contraddittorio sulla base della tipologia dei tributi (armonizzati e non) oggetto del procedimento, lasciando in
vita quel margine di autonomia procedimentale nazionale in materia di tributi
non armonizzati che sembra ancora essere riservato al legislatore nazionale.
Tale tendenza della nostra giurisprudenza e del legislatore non appare
tuttavia condivisibile e non conforme alla proporzionalità in quanto non si
fonda su di una gradualità del riconoscimento del principio del contraddittorio quale espressione del diritto di difesa che risulta fondamentale secondo
l’ordinamento europeo, anche se può essere soggetto a restrizioni (ciò emerge proprio nella sentenza Corte UE Kamino cit.). Tali restrizioni, che sono
previste a livello UE se rispondono ad obiettivi di interesse generale 31, non
possono certo essere considerate come avviene nel nostro ordinamento, settoriali e basate su un determinato tributo (armonizzato), o sul tipo di accertamento e di clausola antielusiva, ma riguardano trasversalmente la valutazione degli effetti della mancata partecipazione del contribuente come riconosciuto anche dalla nostra giurisprudenza 32.
È da ritenere ormai superata l’idea che le maggiori garanzie possano limitarsi al solo settore armonizzato, nonostante in tale ambito esse siano state
per lungo tempo disconosciute o limitate (condoni, falcidia, abuso IVA) per
assicurare la riscossione di una risorsa propria dell’Unione Europea, in quanto
ultimamente gli interventi a livello europeo in particolare volti al contrasto
dell’elusione e abuso, riguardano tutti i tributi anche non armonizzati 33. La
prevalenza di tali norme europee su quelle nazionali procedimentali o processuali è particolarmente rilevante in quanto, è solo attraverso l’ampliatraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. Ragioni che, valutate al momento del
mancato contraddittorio, devono rilevarsi non puramente pretestuose e, come tali, da determinare uno sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela
dell’interesse sostanziale per le quali l’ordinamento lo ha predisposto.
31
Sentenza Corte Giust. Texdata, 26 settembre 2013, C-416/11.
32
I riflessi negativi di questa limitazione fondata sulla distinzione settoriale tra tributi
vanno individuati nell’iniquità che genera uno sviluppo non armonico dell’ordinamento tributario nazionale ed un sistema procedimentale differenziato.
33
Vedi in tal senso la Giur. UE, sent. 29 marzo 2012, 3M (causa C-417/10), sentt. 23
aprile 2008, C-201/05; 6 settembre 2012, C-18/11; 18 luglio 2007, C-231/05, la raccomandazioni della Commissione in materia antielusiva (n. 772/2012) e la Comunicazione del 28
gennaio 2016, COM 2016(23) c.d. pacchetto piano antielusione.
270
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
mento del diritto di difesa che si può garantire il soddisfacimento dei diritti
fondamentali del cittadino-contribuente a fronte di un inasprimento delle
misure di contrasto. Deve ritenersi che l’effettività della tutela della difesa
del contribuente in fase pre-contenziosa non può essere parziale e dovrebbe
determinare le stesse conseguenze in qualsiasi situazione interna, secondo
gli orientamenti europei, nella fase procedimentale che spesso è unica e riguarda contestualmente IVA e imposte dirette 34. Inoltre, proprio l’effettività
dovrebbe indurre la giurisprudenza nazionale ed il nostro ordinamento a
dedicare minore attenzione alla nullità degli atti fine a sé stessa 35 per mancata instaurazione del contraddittorio al di là dell’utilità nei singoli casi che
avrebbe potuto trarre il contribuente dalla sua attivazione, attraverso ad es.
l’esibizione di documentazione probatoria che sarebbe stata idonea a far
pervenire la controversia ad un risultato diverso.
4. Le limitazioni del contraddittorio in ambito transnazionale e nello scambio di informazioni
Particolarmente complessa è la operatività delle garanzie esaminate in
ambito procedimentale e di contraddittorio, sancite a livello giurisprudenziale in situazioni intra-comunitarie o transnazionali, che coinvolgono contribuenti residenti che producono reddito all’estero ed in particolare nei casi
di scambio di informazioni tra Stati o di collaborazione allargata, rafforzata
o multilaterale. Non vi è infatti una disciplina europea che preveda un diritto del contribuente ad essere informato dall’Amministrazione Finanziaria di
ogni richiesta di informazioni sul suo conto, né la possibilità di partecipare a
tale fase di scambio. Tuttavia la c.d. cooperazione allargata sancita sia a livello internazionale attraverso il FACTA ed il CRS 36, prevede un coinvolgi34
MULEO, op. cit., p. 252, osserva correttamente che i vizi che interessano una delle garanzie procedimentali costituiscono vizi dell’intero procedimento e suscettibili di inficiare
l’atto impositivo emesso. Nell’ambito di accertamenti unitari i tributi armonizzati non
possono subire un trattamento deteriore rispetto a quelli non armonizzati e nulla osta a
che la disciplina più garantista sia estesa ai secondi quando dell’esigenza di regime unitario
discende dall’unitarietà del procedimento di accertamento.
35
Il riconoscimento dell’obbligatorietà del contraddittorio endo-procedimentale, senza una precisa definizione dei contenuti ai fini probatori dello stesso, non contribuisce ad
un rafforzamento del diritto di difesa del contribuente che può incontrare in concreto ostacoli tali da rendere improduttiva tale fase.
36
Lo scambio multilaterale automatico dei dati (Common Reporting Standard – CRS)
Fabrizio Amatucci
271
mento dei soggetti terzi come istituti finanziari che partecipano ed hanno un
ruolo attivo durante lo scambio di informazioni. Anche se la Corte di Giustizia ha riconosciuto l’importanza della cooperazione allargata nello scambi di
informazioni che vede il coinvolgimento del contribuente o di terzi ai fini
probatori nella sentenza Skandia del 26 giugno 2003, causa C-422/01, e nell’utilizzo di risultanze probatorie provenienti dal procedimento penale (sent.
WML cit.) penale, in altre occasioni (v. sentenza Sabou del 22 ottobre 2013,
C-276/12 37) ha ritenuto, in materia di contraddittorio nell’ambito dello
scambio di informazioni in materia di IVA tra Stati, non violato il diritto di
difesa in mancanza di contraddittorio con il contribuente. Si è affermato che
va esclusa l’esistenza di un diritto ad essere informato e di partecipare alle
audizioni nel caso di una richiesta di assistenza formulata (richiesta di informazioni) da uno Stato ad un altro. Emerge in tali casi la prevalenza degli
interessi patrimoniali rispetto ai valori della persona.
Il diritto fondamentale al contraddittorio non è riconosciuto in tale fase
c.d. di collaborazione multilaterale da parte della nostra giurisprudenza in
cui sono coinvolti i due Stati o in cui partecipano soggetti terzi con istituti di
credito e finanziari e non è consentito dunque al contribuente di essere informato delle richieste formulate da altro Stato, anche se nulla impedisce
che uno stato estenda tale diritto ad altre fasi d’indagine, coinvolgendo i
contribuenti nella raccolta di informazioni. Con le ordinanze Cass. n. 8605
e n. 8606, entrambe depositate il 28 aprile 2015, è stato affermato che la circostanza che i documenti (bancari) posti alla base degli atti impositivi siano
stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi, non impone all’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della
documentazione trasmessa. Inoltre – prosegue la Cassazione – non esiste
previsto dall’OCSE si basa su una collaborazione da parte di intermediari finanziari. Tale
sistema prevede le disposizioni sul contenuto dei dati da riportare, nonché l’illustrazione
delle procedure cui gli istituti finanziari dovrebbero attenersi nell’individuazione dei reportable accounts e nella trasmissione dei dati.
37
Il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla Direttiva 77/799/CEE del
Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e delle imposte sui premi assicurativi,
come modificata dalla Direttiva 2006/98/CE del Consiglio, del 20 novembre 2006, e dal
diritto fondamentale al contraddittorio, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di
assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare
i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il
diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richiesto, né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato.
272
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
un diritto del contribuente ad essere preventivamente informato circa la procedura di cooperazione attivata 38. Nelle sentenze Cass., 19 agosto 2015, n.
16950 e n. 16951 39, richiamando precedenti della giurisprudenza Corte di
Giustizia europea esaminati (caso Sabou cit.), è stato affermato allo stesso
modo che non sono previste forme di contraddittorio preventivo qualora si
provveda attraverso cooperazione informativa intracomunitaria. Inoltre in
tali casi, l’illecita acquisizione dei dati da soggetti terzi non determina la loro
inutilizzabilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria (v. Lista Falciani 40).
In ambito internazionale il rapporto, del 17 maggio 2013, OCSE denominato Co-operative Compliance: A Framework. From Enhanced Relationship to
Co-operative Compliance del 2013 OCSE collegato al BEPS, è volto anche ad
esaminare se può funzionare una cooperative compliance multilaterale 41 ove
sono coinvolte nel contraddittorio con l’impresa due o più autorità fiscali di
diversi Paesi. Il riconoscimento della documentazione ufficiale o delle prove
acquisite in altri Paesi per la compliance multilaterale e la dimostrazione dello svolgimento di una effettiva attività di impresa in altro Stato e di una distribuzione multinazionale del reddito reale, risultano fondamentali ai fini
della valutazione della correttezza dell’attività svolta da imprese multinazio38
Con le ordd. n. 8605 e n. 8606, entrambe depositate il 28 aprile 2015, la Cassazione
ha innanzitutto affermato che la circostanza che i documenti posti alla base degli atti impositivi siano stati acquisiti mediante strumenti di cooperazione tra Paesi non impone
all’autorità italiana un’attività di verifica circa la provenienza e autenticità della documentazione trasmessa, né assume rilievo l’irritualità dell’acquisizione dei dati bancari.
39
L’Amministrazione Finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può, in linea di principio, avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario,
anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sono perciò utilizzabili nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente
all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria,
senza che assuma rilievo l’eventuale illecito commesso dal dipendente stesso e la violazione dei doveri di fedeltà verso l’istituto datore di lavoro e di riservatezza dei dati bancari, che
non godono di copertura costituzionale e di tutela legale nei confronti del fisco medesimo.
Si afferma inoltre in tale sentenza che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e
clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare ma solo interessi patrimoniali e
istituzioni economiche.
40
V. sent. CTR Lazio, 14 gennaio 2016, n. 89.
41
Nel documento 2013 l’OCSE esamina la possibilità di adottare cooperative compliance multilaterale attraverso il coinvolgimento Autorità di più Paesi e si mettono in evidenza le difficoltà riconoscendo che solo in due Paesi (Olanda e UK) è stato adottato un
tale tipo di compliance.
Fabrizio Amatucci
273
nali che sono le principali protagoniste della compliance. Per garantire una
attività multilaterale di compliance è necessario acquisire tali informazioni,
non più solo attraverso scambio tra Amministrazione Finanziaria di diversi
paesi, ma attraverso il coinvolgimento diretto delle imprese stesse aderenti
alla procedura e di soggetti terzi anche non residenti collegate mediante cooperazione rafforzata. I benefici riservati all’impresa derivanti dall’adesione
alla compliance (anche una riduzione delle sole sanzioni o degli onere amministrativi) dovranno in tali casi essere condivisi dai due Stati in cui è stato
prodotto il reddito e percepito. Tale situazione può verificarsi in coincidenza con la necessità, prevista nel nostro ordinamento a seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 128/2015, art. 5 che attribuisce nell’ambito dell’adempimento collaborativo riservato alle grandi imprese, rilevanza al contraddittorio 42, di coinvolgere nell’adesione al regime collaborativo le stabili organizzazioni di imprese non residenti 43. L’ufficio potrà verificare l’esistenza dei
requisiti ed avvierà l’interlocuzione relativa al procedimento di ammissione
e l’Agenzia delle Entrate potrà accedere presso le sedi di svolgimento di tali
imprese allo scopo di acquisire informazioni utili. Per coinvolgere tali soggetti non residenti è indispensabile l’interlocuzione costante con le amministrazioni di altri Stati.
Fondamentale per superare i imiti al contraddittorio oggi previsti dalla
giurisprudenza e dalla legislazione nazionale in tale fase multilaterale, è in sintesi comprendere se, attraverso la compliance a livello internazionale o mediante i recenti accordi preventivi 44, si può avviare un nuovo procedimento
42
La proporzionalità del sistema di controllo è considerata anche nel nostro ordinamento insieme alla trasparenza e ragionevolezza tra i principi cui si fonda la valutazione dell’Agenzia delle Entrate del sistema di controllo adottato. Tali principi dovranno essere rispettati dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’ammissione e della permanenza del regime e per
risolvere le controversie attraverso l’adempimento collaborativo. Tra gli altri impegni previsti alla lett. c) del comma 1 della stessa norma, vi è quello della promozione di relazioni
con i contribuenti improntate alla collaborazione e correttezza.
43
Come risulta dal Provv. Agenzia Entrate n. 54237/2016.
44
L’art. 31 ter, D.P.R. n. 600/1973 introdotto dal D.Lgs. n. 147/2015 prevede che:
«Le imprese con attività internazionale hanno accesso ad una procedura finalizzata alla
stipula di accordi preventivi, con principale riferimento ai seguenti ambiti:
a) preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale
delle operazioni di cui al comma 7, dell’articolo 110 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dei
valori di uscita o di ingresso in caso di trasferimento della residenza, rispettivamente, ai
sensi degli articoli 166 e 166-bis del medesimo testo unico. Le imprese che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo hanno accesso alla procedura di cui al periodo prece-
274
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
in relazione a determinate attività che preveda come momento centrale il
contraddittorio riservato ad alcune imprese transnazionali che si manifestano
collaborative al fine di ottenere un vantaggio anche soli in termini di riduzione degli oneri amministrativi o se, viceversa, tale regime può essere considerato qualcosa in più e superando, attraverso la proporzionalità, gli schemi normativi ancora rigidi, pervenire mediante meccanismi validi e certi di
auto controllo, maggiore trasparenza ed un contraddittorio permanente o interlocuzione costante con l’Amministrazione Finanziaria ad una determinazione concordata dell’imponibile. In tale ultima ipotesi si cercherebbe di rendere più attraente il nostro Paese per le imprese estere garantendo maggiore
certezza, tutela dell’affidamento e meno adempimenti e oneri amministrativi. Ciò presupporrebbe un coordinamento tra le regole previste per l’attivazione della tax compliance e quelle sancite dalle varie discipline antielusive o
antiabuso che riguardano fattispecie transnazionali che sono ancora molto
disomogenee dal punto di vista della procedura 45. In particolare andrebbe
prevista in caso di adesione al regime della compliance, una preclusione da
dente anche al fine della preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del
valore normale delle operazioni di cui al comma 10 dell’articolo 110 del citato decreto del
Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
b) applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’attribuzione di utili e perdite alla stabile organizzazione in un altro Stato di un’impresa
o un ente residente ovvero alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente;
c) valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una
stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, tenuti presenti i criteri previsti dall’articolo 162 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dalle vigenti Convenzioni contro le
doppie imposizioni stipulate all’Italia;
d) applicazione ad un caso concreto di norme, anche di origine convenzionale, concernenti l’erogazione o la percezione di dividendi, interessi e royalties e altri componenti
reddituali a o da soggetti non residenti.
L’Amministrazione finanziaria esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti soltanto
in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo medesimo».
45
Si pensi all’interpello non più obbligatorio per CFC art. 167 TUIR o al contraddittorio di 90 gg., ai sensi dell’art. 110, comma 11, del D.P.R. n. 917/1986 abrogato dal 1° gennaio 2016 (obbligo di notifica da parte dell’Amministrazione Finanziaria di apposito avviso
con richiesta la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse
economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione) ed ancora all’art. 10 bis, L. n.
212/2000 che sancisce contraddittorio a pena di nullità di 60 giorni massimo più 60 gg.
per motivazioni dell’Amministrazione Finanziaria. Tale norma, pur essendo emanata in
attuazione di esortazioni provenienti in ambito europeo, lascia in vita, per il suo carattere “residuale” e comunque più generico espressamente previsto dal comma 12, altre fattispecie
antielusive speciali che prevedono il disconoscimento di vantaggio fiscale.
Fabrizio Amatucci
275
parte dell’Ufficio della possibilità di nuovi controlli o accertamenti integrativi e dall’operatività di normative presuntive antielusive la cui disciplina
appare ancora poco omogenea e spesso restrittiva per le imprese per le quali
non è previsto il contraddittorio obbligatorio, ma procedure specifiche e più
dettagliate. È importante inoltre garantire alle imprese aderenti alla disciplina
della compliance attraverso l’adesione, lo stesso risultato in termini di certezza
mediante procedure speciali che siano notevolmente meno onerose e articolate di quelle ordinarie oggi in vigore.
5. Conclusioni
È difficile stabilire se le garanzie poste dai principi del diritto UE e dalla
CEDU come la tutela dell’affidamento e la proporzionalità dell’azione amministrativa ed in particolare quelle poste dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta
Europea dei Diritti Fondamentali di difesa, imparzialità, buona amministrazione e diritto di ogni individuo ad essere ascoltato attraverso il contraddittorio, operino sempre nel diritto procedimentale tributario in caso di mancanza di tutela effettiva del contribuente in fase istruttoria e di accertamento
restringendo la sovranità degli Stati. In tal caso si dovrebbe ritenere, attraverso la good governace europea e la proporzionalità, definitivamente superata la tesi dell’autonomia nazionale in ambito procedurale amministrativo.
Tuttavia, l’esistenza di aree (riservate) del diritto procedimentale tributario
interno che mantengono la loro autonomia (scambio di informazioni riguardanti dati bancari da soggetti collocati in diversi Stati) e di sistemi probatori
che non possono essere modificati ed influenzati da garanzie di diritto europeo come la cooperazione rafforzata con i soggetti terzi (ad es. intermediari finanziari), rendono difficile l’attuazione del contraddittorio multilaterale. Inoltre è necessario chiedersi se in tale contesto fortemente europeizzato, sia ragionevole e fondata una frammentazione interna (come spesso accade ad es. in materia di contraddittorio nel nostro ordinamento) in assenza
di precisi criteri riguardanti i contenuti, gli effetti e la durata delle procedure, nel rispetto della effettività del diritto di difesa non solo in ambito processuale, dei casi di obbligatorietà del contraddittorio. La mancata osservanza di tali principi e regole non sempre genera infatti nullità dell’atto impositivo emanato in violazione degli stessi 46. Il rispetto del principio europeo del46
DEL FEDERICO, op. cit., p. 266 ss. il quale esprime dubbi e perplessità la tendenza della
276
DOTTRINA
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la proporzionalità a tal proposito è fondamentale e rappresenta una guida
indispensabile per poter rivoluzionare il rapporto tra contribuente ed amministrazione e non consentire la sopravvivenza di discipline singole differenziate e mal coordinate tra loro.
giurisprudenza comunitaria che giunge a disapplicare sempre e comunque le norme ed i
provvedimenti amministrativi in contrasto con il diritto UE. In base al principio dell’autonomia procedimentale tutti gli interventi che ripristinano le legalità devono essere adottati
da ciascun ordinamento nazionale.
Susanna Cannizzaro
AUTONOMIA E PLURALITÀ DI DISPOSIZIONI
NEL SISTEMA DELL’IMPOSTA DI REGISTRO:
CONTRIBUTO AD UNA RIFLESSIONE
IN CHIAVE EVOLUTIVA
AUTONOMY AND PLURALITY OF PROVISIONS
IN THE STAMP DUTY DISCIPLINE:
SOME REMARKS FOR AN EVOLUTIONARY ANALYSIS
Abstract
Il sistema del tributo di registro sembra escludere, almeno secondo un determinato approccio, la rilevanza del collegamento negoziale e, più in generale, l’apprezzamento unitario di assetti negoziali complessi che si articolano in una pluralità di atti non contestuali. La disciplina dell’imposta di registro, proprio in ragione del suo stretto legame con gli atti di esercizio dell’autonomia privata, tuttavia, non pare possa essere letta in modo indipendente da come vengono intesi e
considerati, in termini giuridici, gli atti stessi nell’ordinamento. Nell’impostazione moderna è la causa concreta a fungere da parametro per interpretare gli atti di
esercizio dell’autonomia privata (semplici e complessi) al fine di identificare tutti
gli interessi perseguiti, valutarne la meritevolezza, determinare la struttura negoziale ed, in ultimo, individuarne e qualificarne gli relativi effetti. Il lavoro è volto,
in quest’ottica, a fornire un contributo per l’interpretazione in chiave evolutiva
delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 131/1986 sulla base delle quali deve
valutarsi l’unicità o la pluralità di disposizioni negoziali ai fini dell’applicazione
del tributo.
Parole chiave: imposta di registro, causa concreta, disposizione negoziale, collegamento, operazione economica
According to a certain approach, the discipline of stamp duty seems to exclude the relevance of the contractual link and, more in general, the unitary appreciation of complex contractual regulations articulated in a plurality of acts made in different dates.
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DOTTRINA
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By virtue of its strict link with the acts expression of private autonomy, the discipline
of stamp duty does not seem to be independent from how such acts are classified by the
legal system. In the modern approach, the “concrete consideration” represents the parameter for interpreting the acts made by private parties (simple or complex), with
the purpose to identify all the interests pursued, establish their worthiness, determine
its contractual structure and, finally, identify and qualify their effects. In this view, the
work is aimed at providing a study for an evolutionary interpretation of the rules
contained in Presidential Decree no. 131/1986, on the basis of which the uniqueness
or plurality of contractual provisions shall be assessed for tax purposes.
Keywords: stamp duty, contract’s consideration, contractual provision, transaction, contractual link
SOMMARIO:
1. Premessa. – 2. Nozione di disposizione autonoma nel sistema dell’imposta di registro. – 3. Collegamento negoziale ed unicità causale. La causa in concreto. – 3.1. L’interpretazione degli atti
nel sistema dell’imposta di registro. Il ruolo della causa negoziale. – 3.2. Segue: … e lo stato dell’arte in giurisprudenza e in dottrina. – 3.3. L’evoluzione normativa sull’abuso/elusione. – 3.4. Le
diposizioni plurime e il collegamento negoziale. – 4. Una possibile lettura in senso evolutivo
del termine “disposizione”.
1. Premessa
L’imposta di registro è, come noto, un tributo con origini antiche 1, la cui
struttura, nel tempo, poco e lentamente si è evoluta per far fronte alla crescente complessità dei traffici giuridici. Il sistema di tale tributo, da molti
qualificato come “imposta d’atto”, pare infatti escludere, almeno secondo
un determinato approccio, la rilevanza del collegamento negoziale e, più in
generale, l’apprezzamento unitario di assetti negoziali complessi che si articolano in una pluralità di atti non contestuali. La tematica è spesso ricorrente in giurisprudenza ed è oggetto di dibattito in dottrina ma, prima che sotto
il profilo fiscale, il problema si pone sul piano sostanziale. Emerge, infatti,
nella prassi negoziale la difficoltà di adattare categorie e schemi civilistici
1
Si veda la ricostruzione storica delle origini del tributo in RUSSO, Manuale di diritto
tributario, Parte speciale, Milano, 2002, p. 251 ss.; SANTAMARIA, Registro (imposta di), in Enc.
dir., 1988, p. 533 ss.; FRANSONI, Il presupposto dell’imposta di registro tra tradizione ed evoluzione, in Rass. trib., 2013, p. 955 ss.
Susanna Cannizzaro
279
connotati da una certa semplicità e linearità in quanto frutto di antiche strutture economico-sociali a modelli negoziali ben più articolati. Tale difficoltà
non sfugge alla giurisprudenza e alla dottrina civilistiche che soprattutto di
recente, hanno riservato alle tematiche della causa e del collegamento negoziale un’attenzione particolare.
Le considerazioni che seguono sono svolte quindi con l’intento di verificare se l’impianto del tributo di registro sia effettivamente inidoneo a consentire la considerazione unitaria, ai fini della tassazione, degli assetti negoziali complessi ed a fornire, in quest’ottica, degli spunti per una interpretazione evolutiva.
2. Nozione di disposizione autonoma nel sistema dell’imposta di registro
Il nucleo centrale della definizione della fattispecie imponibile nel sistema
dell’imposta di registro è identificato nella “disposizione”, in quanto specifica
manifestazione di capacità contributiva, alla quale, ai sensi dell’art. 21, D.P.R.
n. 131/1986, corrisponde un’autonoma applicazione dell’imposta 2.
Il termine “disposizione” era originariamente riferito alla singola attribuzione contrattuale (pertanto, prima che fosse accolto il principio dell’efficacia
traslativa del consenso, alla singola obbligazione) 3. Il rapporto fra possibile
articolazione in più attribuzioni ed unicità del regolamento negoziale è stato
successivamente colto dalla dottrina 4 (e acquisito dalla giurisprudenza 5) attraverso l’identificazione del termine “disposizione” con “negozio giuridico”.
Alla metà del secolo passato il riferimento al negozio poteva tuttavia implicare
l’identificazione di “disposizione” e tipo legale. In dottrina si era infatti sottolineata la problematicità della questione con riguardo alla figura del negozio
“misto” ovverosia a quelle manifestazioni di autonomia che più evidentemente “manipolano” e stravolgono i tipi legali, addivenendo alla conclusione che
pure per i contratti innominati il termine disposizione dovesse riferirsi all’intero contratto e non alla singola obbligazione a carico della parte 6.
2
Per un approfondito esame, anche sotto il profilo storico, dell’art. 21 qui in considerazione si rinvia a FRANSONI, op. loc. ult. cit.
3
V. sul punto RASTELLO, Il tributo di registro, Roma, 1955, p. 414 ss.
4
BERLIRI, Le leggi di registro, Milano, 1961, p. 201 ss.
5
V. Cass. n. 864/1947.
6
BERLIRI, op. cit., p. 206.
280
DOTTRINA
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Elemento determinante per identificare l’unicità o la pluralità delle “disposizioni”, tradizionalmente, è individuato nella causa negoziale, intesa nella
sua connotazione economico-funzionale 7.
Un unico indice di capacità contributiva deve poi ritrovarsi, a norma dello stesso art. 21 laddove le più disposizioni siano unificate da un vincolo di
“necessaria derivazione”. La previsione normativa che prescrive l’applicazione di una sola imposta 8 laddove ricorra l’esistenza di un vincolo di tal fatta,
ha evidentemente implicato il riconoscimento della naturale articolazione e
complessità delle manifestazioni dell’autonomia negoziale, che nella pluralità di attribuzioni e determinazioni realizza un unitario regolamento d’interessi 9.
L’esistenza di un rapporto di necessaria derivazione tra disposizioni negoziali, in base ad un indirizzo abbastanza risalente e consolidato della Cassazione, si desume dalla circostanza che non si possa concepire l’esistenza
dell’una se si prescinde dall’altra, non essendo tuttavia sufficiente che la vo7
V. sul punto PISCHETOLA, Commento sub art. 21 DPR 131/1986, in FEDELE-MARICONDA-MASTROIACOVO (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Milano, 2014, p. 124, per la
ragione di cui nel testo, riferisce l’Autore citato, il regolamento di interessi, in cui si esprime l’attività giuridica negoziale, potrà essere considerato un solo “negozio” o al contrario
dovrà essere considerato, ai fini che qui interessano, contenitore di “più negozi” se attraverso di esso trovi attuazione un solo meccanismo causale (quello ad esempio relativo ad
una sola compravendita tra Tizio e Caio, oppure tra Tizio e Tizia, venditori, e Caio e Caia,
acquirenti, sia pure per diritti e/o oggetti diversi, a fronte di un’unica controprestazione)
o, rispettivamente, trovino attuazione anche più meccanismi causali (ad esempio come in
un’unica fattispecie negoziale complessa e articolata in cui i soggetti procedano alla vendita di un immobile al grezzo e alla istituzione di uno speculare rapporto di appalto per la sua
ultimazione). Così come è evidente che, sempre ai fini anzidetti, si dovrà argomentare in
termini di “più disposizioni” laddove in una medesima fattispecie documentale figurino
distinte e separate pattuizioni negoziali, magari aventi tutte la medesima connotazione
causale, ma costituenti ciascuna un autonomo regolamento di interessi (ad es. più vendite
da Tizio a Caio, da Tizio a Sempronio, da Filano a Mevio, a fronte ciascuna di una diversa
controprestazione, ecc.).
8
L’attuale formulazione dell’art. 21, comma 2, riprende il testo dell’art. 20, comma 2,
D.P.R. n. 634/1972, il quale a sua volta, ricalcava, nella sostanza, la norma del R.D. n.
3269/1923, art. 9, differenziandosi soltanto per la scelta, operata dal legislatore, di utilizzare l’espressione “più onerosa”, in luogo di quella “più grave” adoperata nel testo abrogato,
nell’intento di chiarire definitivamente che si deve aver riguardo al risultato finale dell’imposizione, piuttosto che all’aliquota applicabile.
9
FEDELE, Il trasferimento dell’azienda, profili di rilevanza fiscale, in problematiche giuridiche e fiscali in tema di trasferimento di azienda, in Atti del Convegno Roma 23-24 aprile
2010 “I quaderni della fondazione italiana per il notariato”, n. 3, 2010, p. 105 s.
Susanna Cannizzaro
281
lontà delle parti le abbiano considerate come reciprocamente coordinate e
concepite come conseguenza le une dalle altre. La connessione, cioè, deve
essere assolutamente necessaria per esigenza obiettiva del negozio giuridico
e non già una connessione voluta dai contraenti; deve sussistere «una oggettiva necessità giuridica e contrattuale di connessione o compenetrazione,
a nulla rilevando l’esistenza di una mera connessione soggettiva» 10.
In sostanza, si è ritenuto che il concetto di “derivazione necessaria” contrapposto a quello di “autonomia”, possa desumersi dalla distinzione tra la
figura del “negozio collegato” e quella “negozio complesso” 11, argomentando per l’applicazione, come regola “generale”, dell’imposizione plurima e distinta (ex art. 21, comma 1, D.P.R. n. 131/1986) per i negozi che risultino
solo collegati tra loro e, al contrario, per l’applicazione dell’unica imposizione (ex art. 21, comma 2, D.P.R. n. 131/1986), ai negozi complessi.
Viene così fondata una interdipendenza concettuale tra “negozio complesso” e la “necessaria derivazione” reciproca tra le varie disposizioni, a sua
volta determinata, quest’ultima, dalla loro intrinseca natura, intendendosi
10
Cass., 20 marzo 1972, n. 844; Cass., 5 luglio 1973, n. 1886; Cass., 4 aprile 1980, n.
2215 da ultimo confermato da Cass., 4 maggio 2009, n. 10180. È in ragione di tale orientamento giurisprudenziale che il legislatore ha normativamente risolto l’annosa disputa dottrinale e giurisprudenziale imperante in vigenza del D.P.R. n. 634/1972. Con l’introduzione nel testo dell’art. 21, comma 3 si è escluso dall’imposizione l’accollo di debiti e oneri
collegato e contestuale ad altre diposizioni. La legge di registro (art. 9, R.D. 30 dicembre
1923, n. 3269), prevedeva l’autonoma tassazione delle convenzioni che «non trovino la
loro diretta causa nel contratto cui accedono e non siano a questo indissolubilmente collegate». La L. n. 53/1983, modificando in parte il testo dell’art. 21, D.P.R. n. 634/1972, ha
stabilito che «non sono soggetti ad imposta gli accolli dei debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni». Da ultimo la disposizione è stata trasfusa nell’art. 22, D.P.R. n.
131/1986. In quest’ottica, infatti, alcuni hanno ritenuto che il legislatore abbia previsto
un’ipotesi in cui pur configurandosi disposizioni distinte – ancorché collegate – in unico
atto, la tassazione non risponda ad alcuno dei criteri previsti nei due commi precedenti
dell’art. 21 v. ARNAO, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2005, p. 130, mostrando di
assimilare l’accollo alle disposizioni che, contenute nel medesimo atto, derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre come previsto dal comma 2 dello
stesso articolo. L. NASTRI-M. NASTRI, Manuale applicativo delle imposte indirette, Milano,
1996, p. 242.
11
Il negozio complesso secondo parte della dottrina, è un atto appartenente alla generale figura del negozio misto, mediante il quale le parti intendono realizzare congiuntamente
gli effetti di due o più distinti schemi negoziali e come questo deve ovviamente sottostare al
criterio di meritevolezza, in base all’art. 1322, comma 2, c.c. Nella (unica) causa del negozio
complesso avviene un collegamento funzionalizzato alla operazione vista nella sua totalità.
Si rinvia a CARINGELLA-DE MARZO, Manuale di diritto civile, Milano, 2008, p. 189 ss.
282
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
per tale, secondo la giurisprudenza, solo quella che si evince dalla ricostruzione tipologica legale della fattispecie di volta in volta occorsa o dalla circostanza per cui non sia concepibile, nell’economia negoziale complessiva, taluna pattuizione senza la necessaria compresenza delle altre, e soprattutto
svalutando il mero dato volontaristico introdotto dalle parti nel congegno
negoziale 12-13.
12
Così testualmente PISCHETOLA, op. loc. ult. cit. La “necessità” deve essere obiettiva,
non convenzionale o soggettiva (Cass., 4 maggio 2009, n. 10180; Cass., 5 marzo 1991, n.
2312; CT II grado Bolzano, 17 gennaio 1986, n. 494), neppure se essa appaia funzionale o
congeniale ai fini della migliore attuazione di quel regolamento di interessi in cui si esaurisce di fatto l’intera vicenda negoziale, ma non sia richiesta dalla legge o non si evinca “in re
ipsa”. Per ulteriori riferimenti in giurisprudenza si rinvia a PISCHETOLA, op. loc. ult. cit.
13
In ragione della sussistenza di un vincolo di necessaria derivazione, rispetto al negozio principale, si giustifica generalmente la norma secondo la quale le quietanze non devono essere assoggettate a tassazione se rilasciate nello stesso atto che contiene le disposizioni cui si riferiscono. Si può anche osservare in proposito come la dichiarazione di quietanza – essendo idonea a condurre ad una pronuncia giudiziale che accerti, con l’efficacia del
giudicato, l’estinzione per adempimento di un credito in realtà mai soddisfatto – potrebbe,
in pratica, funzionare come un vero e proprio atto dispositivo del suo diritto da parte del
creditore quietanzante e quindi produrre gli stessi effetti di una remissione di debito. V.
GRANELLI, (voce) Quietanza, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, 1997, p. 167. Potrebbe essere
anche questa la ragione per cui la dichiarazione di quietanza è soggetta ad un diverso regime a seconda che sia rilasciata o meno nello stesso atto che contiene le disposizioni cui si
riferisce. Nel primo caso essa può sicuramente qualificarsi come dichiarazione di scienza,
nel secondo potrebbe produrre gli effetti della remissione del debito. In questo senso si era
espresso, in costanza del previgente testo unico dell’imposta di registro, UCKMAR, La legge
del registro, II, Padova, 1958, p. 28: «A prescindere dalla disposizione di cui all’art. 9, per la
quale non è dovuta l’imposta per una convenzione connessa necessariamente ad un’altra
soltanto nel caso che le due convenzioni siano contenute nello stesso atto, la tassazione
della quietanza contenuta in atto separato da quello con cui fu stipulato il trasferimento è
giustificata anche dalla considerazione che tale quietanza, indipendentemente dal precedente trasferimento, libera il debitore da un’obbligazione». Potrebbe quindi spiegarsi anche in un’ottica antielusiva la previsione di cui all’art. 6 della tariffa, parte prima, allegata al
TUR che ricomprende, assieme alla remissione di debito, le quietanze fra gli atti soggetti
all’imposta con aliquota proporzionale Si ricorda che se la quietanza viene rilasciata con
autonoma scrittura privata non autenticata l’atto è espressamente escluso dalla portata
dell’art. 6 e sarà soggetto a registrazione solo in caso d’uso, ai sensi dell’art. 5, comma 1
della tariffa Parte II, sempre ferma l’aliquota dello 0,50%. Si è sottolineato inoltre che
l’applicazione dell’imposta di registro deve considerarsi preclusa per le quietanze connesse
all’adempimento di obbligazioni soggette ad IVA, anche se rilasciate in atti separati. Ciò in
quanto la quietanza, benché espressa in atto separato, attiene ad un preordinato negozio
giuridico, colpito da IVA, del quale è parte integrante e conclusiva e per ciò stesso beneficia dell’alternatività delle due imposte (v. Ris. min., 17 luglio 1976, n. 301388; Nello stesso
senso si veda anche CTC, 16 giugno 1983, n. 1407). In questo caso la quietanza, anche se
espressa in atto separato, deve essere registrata con applicazione dell’imposta in misura
Susanna Cannizzaro
283
L’unicità o pluralità causale è quindi il parametro in base al quale valutare, ai fini impositivi, da un lato l’unicità delle disposizioni o il rapporto di
necessaria derivazione tra esse esistente, d’altro lato la loro pluralità 14.
Secondo una parte della dottrina, la relazione di necessaria derivazione
fra disposizioni può riferirsi anche a singole attribuzioni non corrispondenti ad una previsione legale in contesti senza alcuna indicazione di giustificazioni causali come avviene per la cessione del credito, l’accollo del
debito, la cessione del contratto e simili. La combinazione con altre attribuzioni in contesti di corrispettività o di mera onerosità può fornire la
giustificazione causale rinvenibile in altre attribuzioni tipizzate per legge e
realizzare la “necessaria” connessione ai sensi dell’art. 21 TUR 15. Secondo
questa ricostruzione, l’introduzione di una specifica norma che sancisse la
non assoggettabilità dell’accollo ad un autonomo prelievo è sembrata
«un cedimento: se l’accollo integra il corrispettivo non vi è necessità di
un’espressa disposizione che ne escluda l’imponibilità separata, giacché le
attribuzioni corrispettive sono sempre, ai fini del registro, “disposizioni
necessariamente connesse”» 16-17.
3. Collegamento negoziale ed unicità causale. La causa in concreto
L’impostazione tradizionale, in base alla quale, s’è visto, nella disciplina
dell’imposta di registro le disposizioni negoziali, ancorché collegate, devono
essere considerate nella loro autonomia – a prescindere se contenute in un
unico o in diversi documenti – si deve necessariamente confrontare, con
l’approccio civilistico al tema del collegamento negoziale.
È stato notato, infatti, in proposito, ma su un piano più generale, che la
disciplina dell’imposta di registro, proprio in ragione del suo stretto legame
con gli atti di esercizio dell’autonomia privata, non possa essere letta in modo indipendente da come vengono intesi ed apprezzati, in termini giuridici,
fissa. V. in tema PISCHETOLA, op. loc. ult. cit., FIORENTINO, Commento sub art. 6 Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di G.
Marongiu, tomo IV, Padova, p. 1028.
14
Cass., 7 giugno 2004, n. 10789; Cass., 12 maggio 2000, n. 6082; Cass., 13 novembre
1996, n. 9938; Cass., 6 settembre 1996, n. 8142; CTC, 1° febbraio 1994, n. 378.
15
FEDELE, Il trasferimento dell’azienda, cit., p. 105 s.
16
FEDELE, op. loc. ult. cit., p. 106.
17
Da ultimo sul punto PISCHETOLA, op. loc. ult. cit., p. 124.
284
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gli atti stessi nell’ordinamento, talché possa considerarsi già in corso un processo di adattamento del tributo alla riconosciuta tendenza del sistema a cogliere l’unità dell’atto di autonomia privata e l’assetto degli interessi perseguito, non nello schema del contratto isolatamente considerato, ma rispetto
ad un più esteso complesso di atti, regolamenti e attività 18.
3.1. L’interpretazione degli atti nel sistema dell’imposta di registro. Il ruolo della
causa negoziale
Il problema dell’interpretazione e qualificazione degli atti si pone, evidentemente, in maniera particolare per il tributo di registro, atteso che proprio in relazione agli effetti degli atti l’imposta in considerazione si deve applicare.
La disciplina dell’imposta di registro contiene in sé, com’è noto, una
norma specifica, in base alla quale l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se
non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. È altresì noto che tale enunciato sia stato tradizionalmente inteso in due diversi modi: secondo un
risalente ma autorevole filone dottrinale, di recente ripreso, in chiave antielusiva, dalla giurisprudenza, l’art. 20 esprimerebbe un principio generale del
diritto tributario in base al quale le imposte andrebbero applicate avendo
riguardo alla reale sostanza economica dei negozi e non alla loro forma e
struttura giuridica 19; secondo la contrapposta teoria la disposizione richiamata risponderebbe ad una logica tutta interna alla normativa dell’imposta
di registro, intesa quale imposta d’atto, imponendo la considerazione dei soli effetti scaturenti dall’atto presentato alla registrazione senza possibilità di
apprezzare ulteriori elementi rilevabili aliunde 20-21.
18
Così FRANSONI, op. loc. ult. cit., nello stesso senso PADOVANI, Imposta di registro e collegamento negoziale nel pensiero della Cassazione, in questa Rivista, 2014, p. 237 ss.
19
V. GRIZIOTTI, Il teorema della prevalenza della natura economica degli atti oggetto
dell’imposta di registro, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1941, II, p. 28 ss.; VANONI, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, in Opere Giuridiche, Milano, 1961, p. 210; JARACH, Il fatto imponibile, Padova, 1981, p. 24 ss.
20
Sul punto si veda ex multis DONATELLI, La rilevanza degli elementi extratestuali ai fini
dell’interpretazione dei contratti nell’imposta di registro, in Rass. trib., 2002, p. 1341 ss. Più di
recente sul punto GIRELLI, Abuso del diritto e imposta di registro, Torino, 2012, p. 61 ss. cui
si rinvia anche per ulteriori riferimenti.
21
La tesi propugnata dalla scuola Pavese in definitiva considerava recessiva la “forma”
giuridica, in quanto potenzialmente posticcia, e prevalente la “sostanza” economica poi-
Susanna Cannizzaro
285
Si è notato, in proposito, che entrambe le teorie di cui si è dato sommariamente conto ascrivono alla disposizione in questione il compito di introdurre nell’ordinamento una norma (di carattere generale per il primo indirizzo, di carattere particolare per il secondo) volta a ritagliare un’area di deroga alla sfera di influenza delle regole sull’interpretazione degli atti di autonomia privata contenute nel codice civile 22. Ma si deve evidenziare che,
sebbene l’art. 20 sia rubricato “Interpretazione degli atti” la disposizione non
pare volta ad introdurre un parametro interpretativo autonomo per gli atti
cui deve applicarsi il tributo di registro. La disposizione, infatti, trova collocazione nel Titolo III del TUR, che contiene le regole per l’applicazione
dell’imposta 23. Ed è proprio al fine di consentire la corretta applicazione del
tributo che la norma strumentalmente richiama gli “effetti dell’atto” per
contro escludendo dall’area degli elementi rilevanti ai fini impositivi le qualificazioni e i nomina attribuiti dalle parti all’atto stesso.
Il carattere strumentale della disposizione in considerazione, come delle
norme tributarie in generale, si manifesta nell’esigenza, che a tali norme è
connaturata, di dover fare riferimento a fatti o atti già disciplinati dal diritto.
In ragione di ciò le uniche regole in base alle quali l’atto di autonomia può
essere interpretato e “qualificato” al fine di individuare correttamente la fattispecie imponibili, paiono pertanto quelle di diritto civile e commerciale esplicitamente od implicitamente richiamate nel D.P.R. n. 131/1986 24. Muoché necessariamente effettiva. Al riguardo è stato autorevolmente posto in luce come le
situazioni e i rapporti “economici”, attinenti cioè alla soddisfazione di interessi e bisogni
in situazioni di scarsità di mezzi, non potrebbero essere concepiti se non in funzione di
un sistema di regole vigenti in merito all’appartenenza dei beni ed ai doveri di cooperazione dei consociati. Priva di pregio è stata quindi considerata l’affermazione che solo la
prospettiva economica consente di rilevare ed apprezzare, nella loro effettiva sostanza,
tutti gli interessi, i rapporti, le situazioni (in particolare quelli “nuovi”, “emergenti”) che
rilevano ai fini del regolamento delle relazioni intersoggettive e per l’applicazione dei tributi: tutte le forme di “emersione” nella società dei “nuovi” interessi ed esigenze, dei loro
conflitti e della soluzione di questi ultimi, sono espressione di istituti giuridici FEDELE,
Assetti negoziali e forme d’impresa tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir.
trib., 2010, I, p. 1093 ss.
22
ZIZZO, In tema di qualificazione dei contratti ai fini delle imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, in Riv. dir. trib., 1992, II, p. 176.
23
In questo senso si è espresso TABELLINI, L’elusione della norma tributaria, Milano, 2007,
p. 54 il quale nota che la dissonanza tra la rubrica dell’art. 20 e il testo discenderebbe dal fatto
che l’art. 8, R.D. del 1923 contemplava al comma 2 la regola della applicazione dell’imposta
per analogia in relazione agli atti che non erano espressamente previsti nella tariffa.
24
V. FEDELE, op. ult. cit.
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vendo da tali presupposti sicuramente non è possibile prescindere dall’utilizzo delle categorie che a quei rami del diritto appartengono, conseguentemente non pare più possibile ritenere che il collegamento negoziale, laddove funzionale all’attuazione di una sola operazione economica retta da un’unica causa concreta, risulti irrilevante ai fini fiscali.
Non v’è dubbio, tuttavia, che, partendo da un tale assunto, si debba necessariamente verificare se l’art. 20 possa contenere una clausola di “autoadattamento” del sistema di tassazione agli assetti negoziali complessi retti
da un’unica causa, benché emergenti da una pluralità di atti distinti e – se
anche ciò si arrivi ad ammettere – se la possibile considerazione unitaria di
tali assetti sia effettivamente ostacolata dalla natura e dalla struttura del tributo, tradizionalmente qualificato come imposta d’atto.
3.2. Segue: ... e lo stato dell’arte in giurisprudenza e in dottrina
Sotto il profilo appena considerato se è noto che una parte del giurisprudenza ha, fino ad un certo punto, dato rilevanza al collegamento al fine di apprezzare gli effetti finali scaturenti dalla complessa articolazione negoziale, è
d’altra parte noto che tale operazione ermeneutica è stata svolta attribuendo
una prevalente funzione antielusiva all’art. 20 TUR con lo scopo di “riqualificare” l’operazione negoziale svalutando gli effetti dei singoli negozi per far
emergere – di converso – gli interessi e gli scopi concreti che le parti abbiano voluto realizzare attraverso l’operazione nel suo complesso 25.
Tale approccio, tuttavia, parrebbe oggi recessivo 26 anche in considerazione dell’introduzione nel sistema di una disposizione generale “antiabuso”
contenuta nell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente cui, se25
Tra le tante si vedano Cass., 11 giugno 2007, n. 13580; Cass., 4 maggio 2007, n. 10273;
Cass., 23 novembre 2001, n. 14900. Osserva GIRELLI, op. cit., p. 91 ss., che nonostante le
perplessità espresse da larga parte della dottrina per un simile approccio, la Corte di Cassazione ha continuato a percorrere il sentiero intrapreso insistendo nel valorizzare la ricerca della volontà delle parti ed attribuendo una funzione sostanzialmente antielusiva alla
previsione contenuta nell’art. 20 T.U. dell’imposta di registro. In argomento si rinvia inoltre a CORASANITI, L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di registro, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 963; MELIS, Sull’“interpretazione antielusiva” in Benvenuto Griziotti e sul rapporto con la Scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni, in Riv.
dir. trib., I, 2008, p. 413.
26
Più di recente la giurisprudenza pare, infatti, negare che l’art. 20 possa avere natura
antielusiva. In tema si rinvia a CANÈ, Brevi note sullo stato della giurisprudenza intorno all’art. 20 del T.U. Registro, in Rass. trib., 2016.
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287
condo alcuni, è affidata la disciplina sostanziale e procedimentale dell’abuso/elusione anche per l’imposta di registro 27.
Prima dell’introduzione della disposizione in questione, è stato notato,
comunque, che in base ad un altro indirizzo giurisprudenziale sarebbe possibile utilizzare l’art. 20 in funzione di parametro per l’applicazione dell’imposta di registro, senza richiamarne la valenza antielusiva e facendo di converso leva sulla idoneità della norma a consentire l’apprezzamento unitario
degli effetti che, attraverso una molteplicità di atti, ancorché distinti e non
contestuali, le parti abbiano voluto realizzare 28.
Anche una parte della dottrina, di recente, non pare contraria a riconoscere astrattamente alla norma una tale funzione 29, salvo poi ritenere che la
particolare struttura del tributo – ed, in specie, la valenza di alcune disposizioni contenute nel Testo Unico – non permetta di avallare pienamente il richiamato orientamento.
I dubbi in merito, riguardano soprattutto il contenuto delle disposizioni
di cui agli artt. 21 e 22 TUR e la loro valenza sistematica quanto alla necessità di una isolata considerazione degli atti ai fini dell’applicazione del tributo
di registro 30. In particolare si evidenzia come l’unità minima sui cui appuntare l’imposizione passa, nell’evoluzione normativa prima e interpretativa
poi, dalla singola obbligazione al singolo negozio (atto o contratto), con
una particolare considerazione per i contratti complessi (atipici), che la dottrina e la giurisprudenza riconducono alla previsione che postula l’imposizione unitaria in presenza di disposizioni necessariamente derivanti le une
dalle altre. Si è osservato in proposito che, in base agli approdi di dottrina e
giurisprudenza, il criterio della tassazione unitaria delle disposizioni connes27
In questo senso MASTROIACOVO, La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, p. 31 ss.; FICARI, Virtù e vizi
della nuova disciplina dell’abuso e dell’elusione tributaria ex art. 10 bis della l. 212/2000, in questa Rivista, 2016, p. 316 ss.
28
Sul punto si vedano le considerazioni di PADOVANI, op. cit., che tratta del tema prescindendo dalla prospettiva dell’abuso. V. in una diversa chiave interpretativa GIRELLI, op.
cit., 97 ss. il quale osserva, prima dell’introduzione della disposizione “antiabuso” che, pur
aderendo alla tesi secondo cui il tributo di registro ha natura di “imposta d’atto”, può ritenersi lecita una lettura della previsione di cui all’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 meno formalistica e più aderente ad una equa e sostanziale imposizione, in ragione dell’esistenza
di clausola interpretativa immanente al sistema, quale è ritenuto il divieto di abuso del
diritto.
29
FRANSONI, op. loc. ult. cit.; nella diversa prospettiva dell’abuso GIRELLI, op. loc. ult. cit.
30
Si rinvia a FRANSONI, op. loc. ult. cit.
288
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se incontra comunque il limite della necessarietà della dipendenza tra esse e
della contestualità documentale, ed esclude, quindi, l’imposizione unica
laddove la derivazione dipenda dalla volontà delle parti. Ciò impedirebbe di
apprezzare unitariamente, atteso l’attuale contesto normativo, le articolazioni negoziali pur costituenti una operazione unica, poiché tale apprezzamento comporterebbe il superamento, in via interpretativa, sia del limite della
contestualità documentale sia del limite, di ordine negativo, della volontarietà della connessione.
L’altro ostacolo da superare, o meglio, l’altra disposizione da cui deriverebbe una indicazione sistematica nel senso della necessaria considerazione
isolata dell’atto, è l’art. 22 in base al quale sarebbe preclusa la considerazione unitaria di atti collegati, anche in presenza della contestualità documentale (data dalla circostanza che l’atto enunciante e quello enunciato sono
contenuti nel medesimo documento) e dell’esplicita menzione del collegamento.
Delle disposizioni richiamate, tuttavia, parrebbe possibile dare una diversa lettura nel senso del superamento dei limiti ivi individuati.
3.3. L’evoluzione normativa sull’abuso/elusione
Sotto il primo dei profili considerati l’introduzione della clausola generale “antibuso” recata dall’art. 10 bis menzionato, se da una parte pare potersi intendere nel senso di una limitazione alla possibilità per gli uffici finanziari di qualificare le operazioni negoziali complesse, superando gli schemi negoziali utilizzati, d’altro canto postula come necessario il controllo, ai
fini fiscali, sull’attività negoziale anche al di là del limite rappresentato dal
singolo atto.
In altri termini, sembra possibile ritenere che l’Amministrazione Finanziaria sia chiamata a valutare gli interessi che, in concreto, muovono l’autonomia privata e a disconoscere gli schemi negoziali laddove questi siano utilizzati per fini che, in base ai presupposti fissati dalla norma antiabuso, non
risultino corrispondenti a quelli tutelati dall’ordinamento in relazione alla
funzione economico-sociale degli strumenti negoziali prescelti. Quindi, se,
da una parte, la norma limita le possibilità di contestazione dell’abuso ai casi
in cui sussistano i suddetti presupposti, più in generale legittima l’amministrazione all’effettuazione di una indagine sulla “causa concreta” degli atti anche laddove questa emerga da operazioni complesse, atti collegati anche
non contestuali. È stato notato, infatti, che l’art. 10 bis si riferisce e fa emergere, ai fini della verifica di abusività un elemento, l’“operazione”, che richia-
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289
ma le logiche di mercato e che è tradizionalmente noto nell’IVA 31.
D’altro canto è stato messo in luce come il rapporto di alternatività tra il
tributo di registro e l’IVA, abbia innescato un processo di “contaminazione”
fra i due tributi, avviando la tendenza a considerare coincidenti le relative
fattispecie 32.
Aperte queste vie pare quantomeno dubbio, nel caso in cui i presupposti
dell’abuso non si rinvengano, se sia precluso l’apprezzamento di distinti atti
funzionalmente collegati e che trovino il loro elemento unificante in una causa concreta – ancorché ciascuno sia distintamente ascrivibile ad uno schema
negoziale dotato di propria funzione economico/sociale – laddove l’interesse
perseguito dalle parti sia meritevole di tutela sotto il profilo sostanziale.
Come è stato rilevato, infatti, la norma generale antiabuso ha lo scopo,
non già di imporre in generale un limite al libero esplicarsi dell’autonomia
privata, ma di perseguire la certezza del diritto predeterminando le fattispecie per cui è possibile utilizzare la “sanzione” dell’inopponibilità ovverosia
laddove, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, le operazioni risultino
prive di sostanza economica e realizzino essenzialmente vantaggi fiscali indebiti 33. Seguendo questa logica non parrebbe, di converso, possibile ricavare dalla clausola in questione un limite di ordine negativo, individuato
nell’intento elusivo, all’apprezzamento dell’autonomia privata laddove questa si esplichi in una pluralità di atti, anche collegati, al fine di coglierne a
pieno gli effetti rilevanti anche sotto il profilo fiscale, laddove gli atti stessi
siano dotati di sostanza economica e non siano volti unicamente a realizzare
vantaggi indebiti.
Ammettendo, dunque, per un verso, che l’art. 10 bis pur circoscrivendo le
fattispecie “abusive” legittimi un più ampio apprezzamento dell’attività negoziale da parte degli uffici fiscali, per altro verso, che, sotto il profilo sostanziale, le categorie giuridiche volte a delimitare e definire gli interessi dei soggetti privati sono mutate, l’indagine non può che spostarsi, come si è anticipato, sul piano delle logiche interne al sistema del tributo in considerazione 34.
31
FICARI, op. cit.
Sul punto FRANSONI, op. cit.; CARINCI, I profili di rilevanza fiscale del contratto: spunti
di riflessione, in FICARI-MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità, gratuità. Profili
tributari, Torino, 2014, p. 411 ss.
33
V. MASTROIACOVO, op. loc. ult. cit.
34
In una diversa prospettiva si pone GIRELLI, op. loc. ult. cit. L’Autore in definitiva pare
affermare che l’apprezzamento unitario e complessivo di più atti pur riconducibili ad un’unica vicenda negoziale è ammissibile al solo scopo di verificare se gli atti stessi siano fina32
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3.4. Le diposizioni plurime e il collegamento negoziale
Come chiaramente è stato evidenziato attraverso l’analisi storica compiuta di recente dalla dottrina 35, l’individuazione del negozio, quale unità minima cui si riferisce l’imposizione di registro e, dunque, l’identificazione tra
“negozio” e “disposizione” è soprattutto frutto di un’attività ermeneutica svolta da dottrina e giurisprudenza. È importante ribadire, in proposito, che il
criterio unificante per il possibile apprezzamento di più prestazioni nell’unità minima “negozio”, rilevante per l’imposizione di registro è stato individuato nella causa. La “disposizione”, in altri termini, si individua in una convenzione negoziale suscettibile di produrre effetti giuridici valutabili autonomamente, in quanto in sé compiuta nei suoi riferimenti oggettivi soggettivi e causali 36. L’individuazione nel negozio dell’unità minima ai fini impositivi ha portato, per contro, a ritenere irrilevante, ai fini dell’applicazione
del tributo, l’esistenza di un collegamento volontario e funzionale tra disposizioni causalmente autonome, ancorché emergente nello stesso contesto
documentale.
L’unica ipotesi di “collegamento” cui la norma sembra dare rilevanza è
quella che, in base alla formulazione normativa, parrebbe potersi qualificare
come collegamento necessario. Anche secondo i più recenti studi condotti
in dottrina, tuttavia, il c.d. collegamento necessario o legale o tipico, invece
di appartenere alla teoria della connessione tra negozi, apparterrebbe piuttosto, alla teoria della norma giuridica e, in particolare, alla tecnica di costruzione della fattispecie. La caratteristica peculiare che accomuna le ipotesi di collegamento necessario, e che sembrerebbe ricorrere anche nella tipologia di collegamento rilevante ai fini dell’applicazione unitaria del tributo di
registro, risiede nella circostanza che il legame corrente tra gli atti è posto
direttamente e immediatamente dalla legge 37.
lizzati a realizzare un illegittimo aggiramento delle norme fiscali. Nello stesso senso pare
esprimersi, dopo l’introduzione della disposizione di cui all’art. 10 bis menzionata di seguito nel testo, MASTROIACOVO, op. cit., p. 42, la quale precisa che, in base alla diposizione, la sanzione dell’inopponibilità, scatta quando il vantaggio è non già illegittimo ma
“indebito” ovverosia disapprovato dal sistema ancorché non sia frutto di evasione frode o
simulazione.
35
FRANSONI, op. cit.
36
Si veda sul punto anche Circolare 18/E/2013.
37
V. BARBA, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 2008, p. 804 ss. il quale giustamente afferma che altro è una tecnica di
costruzione delle fattispecie, altro l’esercizio del potere di autonomia. Altro l’esplicazione
Susanna Cannizzaro
291
Ne discende la rilevanza di una fattispecie individuata dalla legge e connotata da un certo grado di “tipicità” anche nell’ipotesi in cui le diposizioni
siano avvinte dal nesso di necessaria derivazione.
A questo proposito si può evidenziare che la formulazione normativa
dell’art. 21 e la sua consolidata interpretazione, paiono in qualche modo legate all’origine storica del meccanismo del collegamento negoziale risalente al
periodo di rigorosa tipicità dei contratti, in cui le parti non potevano porre
in essere che i tipi stabiliti ex lege. In quel momento del tempo questo strumento ha consentito di ridurre nella regione del giuridicamente rilevante
ciò che in assenza di esso sarebbe stato confinato nel limbo della irrilevanza.
Il meccanismo del collegamento ha infatti consentito la scomposizione dell’operazione in più atti ciascuno corrispondente ad un determinato tipo e ad
una autonoma causa, ed ha esonerato, in tal modo, l’interprete dallo svolgere un’indagine più complessa circa l’intento pratico, la meritevolezza degli
interessi perseguiti dalle parti 38, nonché gli effetti dell’atto. Il tipo legale – si
è osservato – insieme, rassicura i pratici fruitori e facilita l’interprete in un’autentica funzione di panacea 39.
In altri termini, il problema per l’interprete di fronte ad una operazione
complessa, prima che sotto il profilo fiscale 40, s’è posto sotto il profilo sodel potere legislativo, altro lo svolgimento di un potere negoziale. L’autore riporta le distinzioni delle tre classi in cui generalmente si distingue il collegamento necessario a seconda
che l’influenza di un contratto sull’altro riguardi la vita, la funzione o gli effetti. Alla prima
ipotesi si riconducono i casi in cui l’influenza sulla vita di un altro contratto riguarda la costituzione (come nel contratto preliminare rispetto al definitivo) o la modificazione o, ancora, l’estinzione. Alla seconda classe appartengono le cc.dd. ipotesi dei negozi accessori (garanzia ratifica, convalida) i casi dei negozi astratti dei negozi fiduciari e dei negozi indiretti.
Alla terza ipotesi, in ultimo, in casi in cui un negozio tipico costituisce per la sua efficacia il
logico antecedente di un altro (come la designazione testamentaria e l’accettazione dell’erede, la procura e l’accettazione, o i subcontratti).
38
Si veda sul punto FERRANDO, I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II,
pp. 261-262, ID., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ.
comm., 1997, II, pp. 233-249 la quale ritiene che il collegamento risolva una serie di problemi: disciplina, controllo sulla validità di talune clausole inserite nei contratti collegati;
svolgimento del rapporto contrattuale.
39
Così BARBA, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, Parte prima, cit.
40
Osserva FEDELE (Il trasferimento dell’azienda profili di rilevanza fiscale, cit.) che «alla
metà del secolo passato, il richiamo al negozio poteva implicare l’identificazione di “disposizione” e “tipo legale”, favorendo, come puntualmente avvenuto nell’elaborazione giurisprudenziale, l’affermarsi di rigorose limitazioni al riconoscimento della “connessione” per
mancata previsione legale (la connessione deve essere “necessaria per legge”)».
292
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stanziale e, in quell’ambito, dottrina e giurisprudenza hanno seguito un determinato percorso: accertato che il singolo caso non si lasciasse sussumere
o ricondurre all’interno di uno schema legale tipico, piuttosto che affermarne l’atipicità, si è preferito postulare, ove possibile, che si fosse in presenza di
un collegamento contrattuale, ossia che quel determinato affare fosse stato
realizzato dalle parti mediante la combinazione di più schemi contrattuali,
tendenzialmente, tipici 41.
Dottrina e giurisprudenza, attesa la diversa scelta del legislatore moderno, che ha espressamente riconosciuto ai privati una vera e propria autonomia contrattuale, consentendo loro di concludere anche contratti non appartenenti ai tipi aventi una disciplina particolare, tendono oggi ad interrogarsi sulla adeguatezza di tale impostazione. In quest’ambito, la propensione
della giurisprudenza, colta ed elaborata dalla dottrina, pare quella di riconoscere rilevanza alla categoria del collegamento, non soltanto in relazione al
profilo delle patologie negoziali, in applicazione del principio simul stabunt,
simul cadent, ma estendendola anche ai momenti squisitamente fisiologici
della qualificazione giuridica, dell’interpretazione e dell’individuazione della
disciplina applicabile 42. Più precisamente, alcuni, tendono a riconoscere, non
al singolo contratto ma all’operazione economica un valore ordinante, quale
categoria concettuale e giuridica. Espressione dell’unità formale dell’operazione economica è individuata dalla causa in concreto, strumento funzionale, non solo per definire il profilo della meritevolezza degli interessi ma anche per spiegare e disciplinare la complessità degli atti di autonomia, individuandone l’elemento unificante 43.
41
Si rinvia sul punto a BARBA, La connessione tra negozi e il collegamento negoziale, Parte
prima, cit., p. 793 ss.
42
In tema diffusamente COLOMBO, Operazioni economiche e collegamento negoziale, Padova, 1999, passim.
43
Si veda per tutti GABRIELLI, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003,
L’assunzione di tale categoria, intesa come schema unificante, consente di cogliere gli effetti dell’atto di autonomia negoziale, quale risultato complessivo dell’operazione (e non
come somma degli effetti derivanti dai singoli atti posti in essere) e permette di individuare e valutare, quindi, la meritevolezza di tutti gli interessi in concreto perseguiti, anche di
quelli che non siano riassunti né possano considerarsi riassumibili nello schema del tipo.
Gli approfonditi studi condotti in tema riguardano anche la verifica circa la corretta individuazione delle ipotesi di collegamento e giungono comunque alla conclusione che anche
sotto il profilo delle patologie negoziali la trasmissione dei vizi sia possibile solo in una prospettiva unitaria, ovverosia solo nel caso in cui sia ammetta, anche nell’ipotesi di una operazione complessa, l’esistenza di un unico contratto. V. BARBA, La connessione tra i negozi e
Susanna Cannizzaro
293
D’altro canto l’indagine, sempre più di frequente svolta dalla giurisprudenza, in ordine alla causa concreta che giustifica l’esercizio dell’autonomia
negoziale, anche nell’ipotesi in cui ci si trovi palesemente di fronte ad una
operazione semplice 44 – disvela l’esigenza di garantire la trasparenza nei traffici giuridici, che viene assunta quale interesse meritevole di tutela, ultroneo
e sovraordinato rispetto a quello delle parti 45.
Un ruolo importante in questo “cambio di rotta” giocano sicuramente il
legislatore e la giurisprudenza europei 46. Nella prospettiva europea il dialogo tra autonomia privata e ordinamento muta la sua fisionomia, ponendo la
il collegamento negoziale, Parte seconda, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 1167 ss. secondo
il quale, in definitiva, mentre è ragionevole che l’autonomia privata vada limitata con l’applicazione di regole eccezionali, in tutti quei casi che corrispondono esattamente a una precisa disposizione di legge, non è detto che, del pari, debba subire la medesima compressione, in quei casi che, rispetto a quelli espressamente disciplinati, presentino, soltanto alcuni
tratti o taluni profili di somiglianza.
44
Secondo GABRIELLI, op. cit., p. 100, l’operazione potrà avere una struttura semplice
quando l’emersione degli interessi sottostanti, anche se non pienamente compresa nel tipo
sia da ricollegare ad un singolo atto e non si renda necessaria una indagine interpretativa
ulteriore rispetto a quella che già emerga dal regolamento negoziale; ovvero una struttura
complessa, quando l’operazione si componga di una pluralità, di un collegamento di una dipendenza, o di n gruppo, di atti e di negozi.
45
Si veda la rassegna, con le relative considerazioni critiche di ROPPO, Causa concreta:
una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, p. 957 ss., il quale evidenzia che la prospettiva accolta
dalla giurisprudenza (giudicata, peraltro, non sempre pertinente) si allontana dalla opposta visione Bettiana della causa quale funzione economico sociale del negozio in termini,
generali, astratti e tipizzati, volta ad escludere dall’area del negozialmente rilevante tutte le
idiosincrasie della fattispecie concreta, e cioè tutti gli interessi di cui le parti fossero specificamente portatrici in quel determinato negozio, fra loro concluso in quelle determinate circostanze e su quei determinati presupposti, ma non ugualmente ricorrenti in tutti i negozi
ascrivibili allo stesso tipo.
46
È stato notato, ad esempio, che il legislatore europeo non accoglie la propensione
(propria degli ordinamenti giuridici interno e, in specie, di quello nazionale) a disciplinare
singoli tipi contrattuali, distinguendoli in ragione della relativa causa, ma tende – in funzione
del riconoscimento dell’autonomia negoziale di spazi operativi assai ampi – a non disegnare
le situazioni tipo al cui verificarsi la norma giuridica ricollega determinati effetti. Gli obiettivi
del mercato unico impongono più semplicemente interventi imperativi per quei gruppi di
contratti ove può annidarsi un momento distorsivo della concorrenza. In definitiva il legislatore comunitario che nel disciplinare i contratti, li distingue in relazione ai soggetti (contratti
dei consumatori e contratti d’impresa) e non al tipo, induce ad un superamento del profilo
funzionale della causa quale criterio di qualificazione dell’atto. V. sul punto MAZZAMUTO, Il
contratto di diritto europeo, Milano, 2012, pp. 141-142; PICARDI, La causa e il tipo, in Trattato
di diritto europeo, III, L’attività e il contratto, a cura di Lipari, Torino, 2003, p. 274.
294
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prima al centro dell’indagine quale elemento motore del diritto privato, non
costretto dalla ricerca delle tecniche che soddisfino nel modo più congruo il
rapporto tra attività negoziale e ordinamento giuridico, ma configurando
l’autonomia privata come libertà di scelta tanto del mezzo quanto del fine
da perseguire 47.
Nell’impostazione moderna, influenzata dal legislatore e dalla giurisprudenza europei, dunque, la causa concreta diviene il parametro per interpretare gli atti di esercizio dell’autonomia privata (semplici e complessi) al fine
di identificare tutti gli interessi perseguiti, valutarne la meritevolezza ed, in
ultimo, individuarne e qualificarne gli effetti 48.
In definitiva, è possibile constatare che, circa l’interpretazione e la qualificazione degli atti di autonomia negoziale, è già ampiamente in atto una
tendenza volta ad attuare una sorta di “rivoluzione copernicana”: ci si muove non più dalla struttura dell’atto verso la sua funzione economico-sociale,
ma dalla funzione economico individuale (causa concreta) verso l’identificazione in concreto della struttura e degli effetti.
Poiché l’attività di interpretazione e qualificazione degli atti funge da
anello di congiunzione non soltanto fra l’atto di autonomia privata stesso e
la normativa strettamente privatistica, ma fra esso e l’intero ordinamento giuridico, consentendo di riallacciare all’operazione economica voluta dai privati gli effetti giuridici contemplati da tutte quelle norme appartenenti ai set47
Così MAZZAMUTO, op. cit., p. 104 ss. il quale sottolinea come il dialogo tra autonomia
privata e ordinamento giuridico assume connotati cangianti a seconda del periodo storico
cui ci si riferisce e indica nelle concezioni della causa del contratto, quale veicolo per il cui
tramite il programma negoziale procede dall’individuo alla società, l’elemento di sua decifrazione. L’impostazione seguita a livello europeo viene associata, dall’A., all’idea che il diritto privato sia diritto di libertà che pone al centro dell’indagine l’agire dell’individuo libero di realizzare qualsivoglia interesse meritevole di tutela, idea propugnata, in Italia, da
FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, passim.
48
In questa prospettiva la fisionomia delle categorie giuridiche nel cui ambito si erano
sviluppati i tentativi di dare conto della distinzione tra “scopo o intento ulteriore” rispetto
alla causa tipica dei contratti utilizzati tende a scolorire, fino a sfociare nei tentativi di costruzione della fattispecie, anche a struttura complessa in uno schema formale unitario riconducibile entro il paradigma della operazione economica. Muovendo da questa prospettiva, ovverosia partendo dal presupposto che gli atti di autonomia negoziale possano avere
una funzione diversa da quella tipica, perseguendo, in tal modo, un “intento ulteriore”,
sorge il problema di verificare che tale “intento” sia conforme all’ordinamento. V. AZZARO,
(voce) Frazionamento Contrattuale, in Dig. disc. priv., Agg.***, tomo I, 2007, p. 605 ss. e
spec. p. 626. La questione si pone in maniera non dissimile, secondo l’Autore tanto nelle
ipotesi di collegamento quanto nei casi di “frazionamento”.
Susanna Cannizzaro
295
tori più diversi dell’ordinamento, dall’impostazione a cui si è fatto cenno non
si può sicuramente prescindere per analizzare ciò che in questa sede ci interessa 49.
4. Una possibile lettura in senso evolutivo del termine “disposizione”
Ciò posto una interpretazione orientata in senso evolutivo della norma
di cui all’art. 21 TUR, che dia rilevanza piena alle espressioni dell’autonomia
negoziale, dovrebbe portare a ritenere che col termine disposizione possa
indicarsi una convenzione negoziale a struttura tanto semplice quanto complessa a prescindere dall’instrumentum.
L’art. 21 peraltro, contiene una regola per la tassazione di una molteplicità di disposizioni contenute nello stesso atto ribadendo, in tal modo, la distinzione, ai fini dell’individuazione del presupposto del tributo, tra instrumentum e gestum e riconoscendo la rilevanza di quest’ultimo 50.
Nello stesso senso parrebbe potersi leggere anche la norma di cui all’art.
22 in base alla quale, la convenzione negoziale assume rilevanza ancorché il
documento, costituente il veicolo per l’applicazione del tributo, ne riproduca solo gli elementi essenziali. Finalità della norma in questione non pare
quella di individuare un criterio per la interpretazione delle convenzioni (enunciata ed enunciante) portate alla registrazione per il tramite di un unico
documento e quindi per la loro qualificazione in senso unitario o plurimo
ma, anche in questa ipotesi, per sancire l’irrilevanza dell’unicità documentale
ai fini dell’applicazione del tributo 51.
49
Per il tributo di registro gli atti e i contratti rilevano per gli effetti che gli stessi appaiono idonei a realizzare ancorché solo potenziali e non necessariamente attuali. V. sul
punto FERLAZZO NATOLI, Il fatto rilevante nel diritto tributario. Contributo allo studio del
presupposto di fatto del tributo, in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 439 ss.
50
Si veda sul punto A. UCKMAR-V. UCKMAR, Registro (imposta di), in Noviss. Dig. it.,
XV, 1968, p. 54 secondo il quale «sempre per il principio che l’imposta di registro non colpisce il documento ma le convenzioni in esso contenute» l’art. 21 è funzionale a sancire la
rilevanza autonoma di disposizioni negoziali che potevano essere stipulate separatamente,
ovverosia contenute in documenti distinti.
51
Si ricorda che l’art. 22 – come l’art. 21 compreso nel Titolo III del TUR in cui sono
contenute le regole relative all’applicazione dell’imposta – si limita a prevedere che l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. La formulazione normativa non pare tuttavia potersi intendere nel senso di esimere l’interprete dalla verifica circa la possibilità che
atto enunciante e atto enunciato costituiscano una disposizione unica nel senso indicato
nel testo.
296
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
In altri termini, dalle norme in questione pare possibile trarre una regola
in base alla quale le convenzioni negoziali rimangono plurime, se tali possano considerarsi in base all’interpretazione della volontà negoziale, anche se
il veicolo per l’applicazione del tributo di registro è unico. Ma, anche luce delle considerazioni prima esposte, sembra più difficile desumere a contrario,
dalla formulazione normativa, che l’instrumentum costituisca sempre un vincolo insuperabile all’apprezzamento unitario del gestum. Si è affermato sul
punto che la difficoltà di dare diretta rilevanza ai fini impositivi al collegamento non deriva da un preteso principio di stretta inerenza del trattamento fiscale alle risultanze testuali del documento sottoposto a registrazione,
atteso che l’imposizione col tributo qui in considerazione di un unico gestum negoziale può ben conseguire alla registrazione di due (o più) documenti distinti 52.
Le difficoltà prima menzionate possono essere, allora, di ordine pratico
ed applicativo ma non insuperabili. In proposito occorre infatti osservare che,
a volte, sono le stesse disposizioni del TUR a chiarire le modalità di coordinamento ed i criteri di applicazione dell’imposta in relazione ad una pluralità di atti riferibili ad una medesima vicenda giuridica o di atti finalizzati a regolamentare in diversi momenti nel tempo gli interessi relativi ad una medesima operazione. Si pensi al contratto preliminare e al contratto definitivo 53, al contratto condizionato o alle norme che fanno riferimento, per la
determinazione della base imponibile degli atti solutori, non all’atto stesso,
ma al rapporto già sorto, ancorché l’estinzione dell’obbligazione avvenga
per effetto di un ulteriore atto negoziale non contestuale avente ad oggetto
un bene immobile 54. Ciò sta a significare che non sono del tutto avulsi dal
52
FEDELE, Il trasferimento dell’azienda profili di rilevanza fiscale, cit. il quale ritiene che
se l’esclusione dei criteri interpretativi extratestuali può forse trovare qualche giustificazione nelle modalità applicative dell’imposta (ma secondo argomentazioni che potrebbero attualmente considerarsi almeno in parte superate dalle nuove tecniche di acquisizione e registrazione degli atti), sembra difficile estendere tali giustificazioni all’interpretazione delle
norme che definiscono il presupposto del tributo.
53
Per cui è prevista la regola dell’imputazione al definitivo della tassazione anticipata in
ragione delle pattuizioni previste in sede di preliminare.
54
Si veda in proposito l’art. 43, comma 1, lett. e) del TUR il quale prevede che per gli
atti portanti assunzione di una obbligazione che non costituisce corrispettivo di altra prestazione o portanti estinzione di una precedente obbligazione, la base imponibile è costituita dall’ammontare dell’obbligazione assunta o estinta e, se questa ha per oggetto un bene diverso dal denaro, dal valore del bene alla data dell’atto. Si veda sul punto CTC dec.,
27 novembre 1989, n. 7064 in base alla quale la disposizione risulterebbe applicabile anche
Susanna Cannizzaro
297
sistema meccanismi attraverso i quali il tributo viene applicato in relazione e
conformemente alle risultanze di più atti, benché non si possa affermare che,
allo stato, la tassazione degli atti negoziali complessi possa risultare facilmente
attuabile 55-56.
nel caso di datio in solutum di un bene immobile. La Corte in proposito argomenta nel senso che «nulla osta a che le clausole medesime siano valutate nella loro effettiva potenzialità, per ricercare il concreto intento perseguito e ottenuto dalle parti, indipendentemente
dal nomen iuris prescelto e quindi consente di prendere in considerazione anche il collegamento fra più fatti negoziali, ove espressione di un disegno unitario, così da evidenziare
l’effettiva portata dell’atto da tassare».
55
In proposito non si può che richiamare l’orientamento assunto dalla Corte costituzionale e di recente ribadito nella sent. 11 febbraio 2015, n. 10 secondo il quale, la struttura del tributo deve necessariamente e coerentemente raccordarsi con il suo presupposto e
con la relativa ratio giustificatrice.
56
Diverse, invece, sono le considerazioni che è possibile effettuare nell’ipotesi di contestualità documentale degli atti collegati. In queste ipotesi, infatti, non parrebbero sussistere le difficoltà applicative prima menzionate. La circostanza per cui l’operazione è apprezzabile nel suo complesso poiché attuata tramite più negozi che emergono dallo stesso
contesto documentale rende infatti più agevole l’opera dell’interprete ai fini della tassazione della convenzione stessa che, per il tramite di un unico documento, sia portata alla registrazione. Si pensi alle ipotesi di cessioni quote, effettuate con unico atto, che sono considerate convenzioni autonome sotto il profilo dell’applicazione dell’imposta di registro ancorché, praticamente nella totalità dei casi, la giurisprudenza riconosca l’esistenza di un
collegamento tra le suddette convenzioni. Alla luce delle considerazioni svolte nel testo si
potrebbe, invece, giungere ad applicare una sola volta l’imposta valutando se il collegamento
esistente tra le convenzioni possa condurre all’apprezzamento di un’unica operazione. rende infatti più agevole l’opera dell’interprete ai fini della tassazione della convenzione stessa
che, per il tramite di un unico documento, sia portata alla registrazione.
298
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Andrea Carinci
PROFILI FISCALI DELLO SFRUTTAMENTO DEL DIRITTO
ALL’IMMAGINE DEGLI SPORTIVI
TAX ASPECTS OF THE EXPLOITATION
OF SPORTSPERSONS’ IMAGE RIGHTS
Abstract
Il trattamento fiscale del diritto di immagine degli sportivi è condizionato da
molteplici fattori. Se per regola generale è applicabile il regime di tassazione dei
redditi di lavoro dipendente, vi sono ipotesi in cui tornano applicabili altre categorie. Non mancano poi dubbi in merito al trattamento IVA. In ogni caso, si tratta di un regime non particolarmente incentivante, che ha spinto ad elaborare soluzioni tese a massimizzare il risparmio di imposta, fino ad ora contrastate fermamente dall’Agenzia e dalla giurisprudenza. L’avvento della nuova disciplina
sull’abuso del diritto sembra però poter offrire nuove chiavi di lettura del fenomeno.
Parole chiave: diritto di immagine, sportivi, imposta sul reddito, IVA, abuso del
diritto
The taxation of sportspersons’image rights depends on many factors. As general rule is
applicable the regime dedicated to income from employment. In any case, it is not a
favorable tax treatment; for this reason have been developed many strategies to obtain a tax reduction, which however, untill now, have been firmly countered by the tax
authorities and courts. The introduction of the new rule on the abuse of the law, however, seems to offer new solutions.
Keywords: image rights, sportsmen, income tax, VAT, abuse of law
300
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
SOMMARIO:
1. Inquadramento generale. – 2. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini
IRPEF. – 3. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IVA. – 4. Lo sfruttamento dell’immagine, tra legittimo risparmio d’imposta, interposizioni ed abuso del diritto.
1. Inquadramento generale
I diritti della personalità, nel cui ambito va ascritto il diritto all’immagine
dello sportivo, sono connotati, in via generale, dai caratteri della necessarietà, dell’imprescrittibilità, dell’assolutezza, della non patrimonialità e dell’indisponibilità 1.
L’esercizio del diritto all’immagine, segnatamente il suo sfruttamento economico 2, si compie mediante la stipulazione di accordi commerciali aventi
ad oggetto lo sfruttamento dell’immagine 3. Al riguardo, va evidenziato che
non esiste una disciplina dedicata allo sfruttamento del diritto all’immagine;
sicché, per l’effetto, la relativa regolazione rimane demandata interamente
all’autonomia contrattuale delle parti.
Con specifico riguardo allo sfruttamento dell’immagine degli sportivi, questo si può realizzare secondo due modalità distinte: a) mediante la conclusione
di un contratto “complesso”, volto a regolare tanto la prestazione sportiva
quanto lo sfruttamento dell’immagine dello sportivo; b) attraverso contratti
che hanno ad oggetto esclusivamente lo sfruttamento dell’immagine.
Va osservato, infatti, che la società sportiva non ha il diritto, automatico,
di utilizzare l’immagine relativa alle sue prestazioni senza il consenso dell’atleta 4. Ciò significa che vanno tenute distinte la prestazione sportiva, oggetto del contratto di lavoro subordinato od autonomo ex art. 3, L. 23 marzo 1981, n. 91, e l’immagine dell’atleta che la esegue. La società sportiva può
pertanto disporre dell’immagine dello sportivo se e nella misura in cui sia
1
TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2014, p. 123.
In effetti, ai sensi dell’art. 96, L. 22 aprile 1941, n. 633, il diritto all’immagine («i diritti relativi al ritratto») pare rilevare più per la sua dimensione economica che giuridica, dal
momento che si prevede che «il ritratto [rectius l’immagine] di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa»; v. TORRENTESCHLESINGER, op. cit., p. 136.
3
In questo senso, FACCI, Il diritto all’immagine dei calciatori, in Contr. e Impresa, 2014,
p. 1093.
4
FACCI, op. cit., p. 1093.
2
Andrea Carinci
301
intervenuto un accordo al riguardo tra le parti interessate, in ordine allo
sfruttamento da parte della società dell’immagine dello sportivo (ad esempio, mediante la concessione dell’immagine a terzi, quali gli sponsor, per fini
pubblicitari e promozionali).
Questo significa anche che lo sportivo conserva comunque il diritto di
sfruttare/utilizzare autonomamente la propria immagine mediante un contratto “distinto”, avente, quale specifico e puntuale oggetto, lo sfruttamento
della propria immagine per fini pubblicitari/promozionali non afferenti alle
prestazioni (sportive) rese in favore della società.
2. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IRPEF
Alle suddette modalità di sfruttamento del diritto all’immagine degli
sportivi corrisponde un peculiare e diverso trattamento fiscale ai fini IRPEF.
Il regime fiscale dello sfruttamento dell’immagine degli sportivi varia, difatti,
a seconda delle modalità con cui detto diritto è sfruttato.
Nell’ipotesi in cui il diritto all’immagine sia oggetto di un contratto “complesso”, comprensivo sia della prestazione sportiva che del diritto allo sfruttamento dell’immagine ad essa correlata, ai fini dell’inquadramento fiscale
occorre precisare innanzitutto la natura del rapporto tra atleta e società
sportiva. Questo perché solo da detto inquadramento diviene possibile individuare la categoria reddituale ex art. 6 TUIR cui ricondurre le somme percepite dall’atleta nell’ambito del suddetto rapporto, sebbene riferite allo sfruttamento dell’immagine.
2.1. Il rapporto di lavoro sportivo professionistico trova una propria ed
articolata disciplina nella L. 23 marzo 1981, n. 91. In particolare, qui si prevede (art. 3, L. n. 91/1981) che «la prestazione a titolo oneroso dell’atleta
costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato». Da detto inquadramento consegue che le somme percepite dallo sportivo a titolo di remunerazione dell’attività sportiva prestata a favore della società sportiva vanno ricondotte alla categoria dei redditi di lavoro dipendente ex art. 49 TUIR 5.
Ma non solo.
5
MATTESI, La tassazione degli atleti professionisti, in Il Fisco, 2011, p. 1655; MAGLIAROCENSI, Dubbi sulla tassazione dei redditi da sfruttamento d’immagine dei calciatori professionisti, in Corr. trib., 2010, p. 3993.
302
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Come noto, costituiscono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri 6. Ebbene, detta circostanza
ricorre sicuramente nei rapporti in argomento, dal momento che «nel contratto individuale [tra atleta e società sportiva] dovrà essere prevista la clausola contenente l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche
e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici» 7.
Come dinanzi anticipato, la predetta qualificazione impatta però anche
sul trattamento IRPEF dello sfruttamento dell’immagine dello sportivo.
Il reddito imponibile dei lavoratori dipendenti – e quindi anche degli
sportivi professionisti – si compone di tutte le somme in denaro o in natura
(c.d. fringe benefit), a qualunque titolo percepite in relazione al rapporto di
lavoro citato 8. È la c.d. regola dell’omnicomprensività, in forza della quale il
reddito di lavoro dipendente assume una latitudine estrema, tale da comprendere elementi reddituali con caratteri di eccezionalità (ad esempio le liberalità), all’unica condizione che siano comunque in relazione con il rapporto di lavoro 9.
La regola dell’omnicomprensività torna sicuramente applicabile ai nostri
fini, in quanto consente di comprendere anche i compensi percepiti dallo
sportivo per lo sfruttamento della propria immagine nell’ambito del suddetto rapporto di lavoro 10. Del resto, la remunerazione per lo sfruttamento dell’immagine collegata alla prestazione sportiva, soprattutto laddove inclusa
quale elemento del contratto complesso, costituisce indubitabilmente una
“componente” di reddito relativa al predetto rapporto; una componente che,
6
Si veda l’art. 49 TUIR.
Così, l’art. 4, L. 23 marzo 1981, n. 91.
8
Sul punto, MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, Contratti di immagine e canalizzazione della ricchezza ai fini tributari, in Dialoghi trib., 2014, p. 255. Si segnala che con
l’art. 1, comma 8, L. 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. legge di Stabilità 2016) il comma 4 bis
dell’art. 51 TUIR, ai sensi del quale «ai fini della determinazione dei valori di cui al comma 1, per gli atleti professionisti si considera altresì il costo dell’attività di assistenza sostenuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto
le prestazioni sportive degli atleti professionisti medesimi, nella misura del 15 per cento, al
netto delle somme versate dall’atleta professionista ai propri agenti per l’attività di assistenza nelle medesime trattative», è abrogato.
9
Si veda, per tutti, TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, Parte speciale, Torino, 2008,
p. 64.
10
MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993.
7
Andrea Carinci
303
come tale, deve essere ricondotta alla categoria dei redditi di lavoro dipendente.
Consegue da ciò che i compensi percepiti dallo sportivo a fronte della
cessione/sfruttamento del proprio diritto all’immagine rimangono attratti al
regime del reddito da lavoro dipendente, al pari della retribuzione corrisposta allo sportivo per la prestazione lavorativa resa in favore della società.
Le conseguenze di tale soluzione sono rilevanti.
Innanzitutto, perché l’assoggettamento dei compensi derivanti dallo
sfruttamento dell’immagine al regime fiscale previsto per i lavoratori dipendenti impone alla società sportiva di operare, ai sensi e per gli effetti dell’art.
23, D.P.R. n. 600/1973, la ritenuta a titolo d’acconto sulle predette somme 11.
Inoltre, perché per effetto della qualificazione reddituale quale reddito di
lavoro dipendente, diventano non deducibili i costi sostenuti per la produzione del reddito stesso: i redditi di lavoro dipendente, difatti, sono tassati al
lordo. Questo significa, con specifico riferimento allo sfruttamento del diritto all’immagine, che i costi e le spese sostenute dallo sportivo, come ad
esempio le spese di assistenza legale per la predisposizione e stipulazione del
contratto di cessione, non possono essere dedotte dal reddito imponibile.
2.2. A talune precise condizioni, la prestazione resa dall’atleta in favore
della società sportiva può costituire oggetto di contratto di lavoro autonomo. Ciò accade, segnatamente, quando: i) l’attività è svolta nell’ambito di
una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; ii) l’atleta non è contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; iii) la prestazione oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero
trenta giorni ogni anno 12.
Sebbene la natura del rapporto di lavoro sia diversa – non più lavoro dipendente bensì di lavoro autonomo – torna ugualmente in considerazione
la categoria dei redditi di lavoro dipendente. Ciò, segnatamente, in ragione
dell’assimilazione operata direttamente dalla legge. In particolare, ai sensi
dell’art. 15, L. n. 91/1981, si prevede che «ai redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo si applicano le disposizioni dell’art. 49, terzo comma, lettera a), del D.P.R. 29 settembre 1973,
11
12
Su queste posizioni, MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.
Così l’art. 3, comma 2, L. 23 marzo 1981, n. 91.
304
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n. 597, e successive modificazioni ed integrazioni» 13. Si compie, in definitiva, un’equiparazione ai fini della tassazione sul reddito, che trova conferma
nell’art. 53, comma 3, TUIR, dove si prevede che «per i redditi derivanti
dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo, di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, si applicano le disposizioni relative ai redditi
indicati alla lettera a) del comma 2».
Per l’effetto, i redditi che derivano da prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo debbono essere inquadrati, in forza dell’art. 53,
comma 2, lett. a), TUIR, tra i redditi derivanti da rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa e, conseguentemente, tra i redditi assimilati a quelli
di lavoro dipendente 14.
Ne consegue poi l’applicabilità delle regole dettate per i redditi di lavoro
dipendente; e questo, nonostante si tratti, propriamente, di proventi ritraibili
da rapporti di lavoro autonomo tra atleta e società sportiva. Con un’ulteriore
importante conseguenza, perché anche in questo caso i proventi derivanti
dallo sfruttamento del diritto all’immagine dell’atleta oggetto di un contratto
“complesso” saranno assoggettati alla disciplina dei redditi di lavoro dipendente, ancora una volta in ragione della regola dell’omnicomprensività.
L’applicazione delle regole dettate per i redditi da lavoro dipendente comporta poi che, anche in questo caso, la società sportiva sia tenuta ad operare
le ritenute, ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, D.P.R. n. 600/1973 15.
2.3. Se lo sfruttamento dell’immagine dello sportivo non è collegato al
rapporto di lavoro (dipendente o autonomo) tra atleta e società sportiva, il
reddito che se ne ritrae non integra una componente del reddito derivante
dalla prestazione sportiva (per quanto visto, di reddito di lavoro dipendente). Questo significa che i corrispettivi derivanti dallo sfruttamento dell’immagine dello sportivo, a talune condizioni, non sono più soggetti al trattamento previsto per i redditi di lavoro dipendente 16.
È questa l’ipotesi dei corrispettivi da sfruttamento dell’immagine che non
trovano titolo nelle prestazioni rese in favore della medesima società per cui
è resa la prestazione sportiva 17. In assenza di una ipotesi categoriale dedica13
Si veda, sempre, MATTESI, op. cit., p. 1655; MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993.
Così l’art. 50, comma 1, lett. c bis), TUIR.
15
MATTESI, op. cit., p. 1655; SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.
16
MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993.
17
Si osservino i rilievi di SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.
14
Andrea Carinci
305
ta, si deve ritenere che i proventi scaturenti dalla cessione/sfruttamento del
diritto all’immagine vadano ricondotti tra i redditi diversi; segnatamente,
nella formula residuale dettata dall’art. 67, lett. l), TUIR, per cui sono redditi di detta categoria quelli derivanti «dalla assunzione di obblighi di fare,
non fare o permettere» 18.
Questo comporta l’applicazione delle relative regole di categoria: tassazione al netto e per cassa dei proventi. Inoltre, i compensi sono soggetti a
ritenuta d’acconto ex art. 25, D.P.R. n. 600/1973 da parte della società cessionaria dei diritti 19.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, i compensi per la cessione del diritto di
immagine, seppur estranei al contratto avente ad oggetto la prestazione principale, andrebbero compresi nell’ambito dei redditi da lavoro autonomo 20;
ciò, in ragione del comma 1 quater, art. 54 TUIR. Ad avviso dell’Agenzia, infatti, la relazione ivi prescritta con l’attività («concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi
immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale») andrebbe traslata a quella con la fama del professionista, vista come conseguenza
diretta dell’attività. Detta soluzione – va osservato – è stata resa con riguardo
agli artisti, dove l’Agenzia ha potuto affermare, su detto assunto, che «tra gli
elementi immateriali riferibili all’attività artistica, di cui al richiamato co. 1quater, può essere compreso anche il diritto di sfruttamento dell’immagine
qualora questa, come nel caso dell’immagine di un artista, sia immediatamente riconducibile alla fama del personaggio, acquisita in relazione alle
esibizioni pubbliche» 21.
Sennonché, con riguardo agli sportivi, i cui i redditi sono sempre qualificati come redditi di lavoro dipendente o, al più, assimilati, tale soluzione non
appare praticabile. Indubbiamente, si potrebbe ritenere qui invocabile, con
un ragionamento similare, la regola dell’omincomprensività, per concludere
che lo sfruttamento dell’immagine, trovando comunque relazione con la prestazione di lavoro, debba essere assoggettato al medesimo trattamento, ossia alla tassazione per i redditi da lavoro dipendente. A ben vedere, però, la
regola dell’omnicomprensività prescrive una relazione con il singolo rapporto
18
Si veda l’art. 67, lett. l), TUIR.
Così l’art. 25, D.P.R. n. 600/1973, come modificato dall’art. 36, comma 24, D.L. 4
luglio 2006, n. 223 (c.d. decreto Visco-Bersani).
20
MAGLIARO-CENSI, op. cit., p. 3993.
21
Ris. Ag. Entrate 2 ottobre 2009, n. 255/E.
19
306
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di lavoro, nel cui ambito dovrebbe essere ascritto il compenso per lo sfruttamento dell’immagine: sennonché, la fama dello sportivo non trova necessariamente ragione nel singolo rapporto di lavoro con una data società, per
cui appare difficile invocare il principio di omnicomprensività.
La soluzione dei redditi diversi appare insomma la più convincente.
3. Il trattamento fiscale del diritto all’immagine degli sportivi ai fini IVA
Con riguardo alla rilevanza ai fini IVA della cessione dei diritti di sfruttamento dell’immagine degli sportivi occorre innanzitutto verificare la sussistenza del presupposto oggettivo e di quello soggettivo dell’imposta citata.
Sotto il profilo oggettivo, l’operazione di cessione dei diritti di sfruttamento dell’immagine dello sportivo integra una prestazione di servizi ex art.
3, n. 2, D.P.R. n. 633/1972 22. Non sembra porre dubbi, in questo senso, il
disposto dell’articolo citato, per cui «costituiscono, inoltre, prestazioni di
servizi, se effettuate verso corrispettivo [...] le cessioni, concessioni, licenze
e simili relative a diritti d’autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne,
nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti».
Maggiori questioni si pongono, però, sotto il profilo soggettivo.
Qui i problemi si pongono in ragione della predetta qualificazione operata ai fini reddituali dall’art. 15, L. n. 91/1981. Se, difatti, i redditi spettanti
agli sportivi in base ad un rapporto di lavoro autonomo sono considerati in
ogni caso come redditi da collaborazione coordinata e continuativa, diventa
inevitabile allora invocare qui l’applicazione, ai fini IVA, dell’art. 5, comma
2, D.P.R. n. 633/1972. Ai sensi di tale previsione, invero, «non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 [...] del testo unico delle imposte sui
redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,
n. 917, rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo» 23.
22
Così, STANCATI, L’Agenzia delle Entrate interviene sulla cessione dei diritti di immagine,
in Corr. trib., 2009, p. 3534; Ris. Ag. Entrate, 2 ottobre 2009, n. 255/E.
23
CONTRINO, Art. 5, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di Marongiu, tomo
Andrea Carinci
307
Due sono però gli ordini di problemi che si pongono.
Alla stregua della disciplina sopra richiamata, si sarebbe portati a ritenere
che la cessione del diritto all’immagine oggetto di un contratto “complesso”, comprensivo sia della prestazione sportiva – costituente un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa – che del diritto allo sfruttamento
dell’immagine ad essa correlata, sia assoggettata ad IVA se e nella misura in
cui la cessione del diritto suddetto sia resa da un soggetto che eserciti per
professione abituale altre attività di lavoro autonomo.
A ben vedere, tuttavia, occorre chiedersi se la qualificazione operata ai fini dell’imposta sui redditi dall’art. 15 citato possa operare anche ai fini IVA.
A rigore, in effetti, il predetto articolo non qualifica il rapporto, ma solo i
redditi, per cui non dovrebbe valere ai fini della verifica della realizzazione
del presupposto oggettivo IVA. Ciò per dire che se il rapporto è di lavoro
autonomo, al di là della qualificazione reddituale dei proventi, il trattamento
IVA dovrebbe essere quello delle prestazioni rese da esercenti attività di lavoro autonomo.
Questo, a ben vedere, sia con riferimento alla prestazione sportiva sia
con riguardo, evidentemente, allo sfruttamento del diritto di immagine.
Ad ogni modo, poi, è chiaro che lo sfruttamento del diritto di immagine
è in grado, soprattutto laddove non rientri nel rapporto principale avente ad
oggetto la prestazione sportiva, di realizzare in via autonoma una forma di
sfruttamento economico di un bene, idoneo ad integrare di per sé il presupposto soggettivo IVA.
La cessione da parte dell’atleta professionista del proprio diritto all’immagine può essere infatti svolta in modo abituale. Detta cessione – benché
unica – può in effetti integrare un’attività economica abituale «in considerazione della sua rilevanza economica e della complessità delle operazioni in
cui si articola, implicanti la necessità del compimento di una serie coordinata di atti economici» 24.
Con un’ulteriore implicazione.
IV, Padova, secondo il quale «in base a una normativa speciale (l. n. 91/81) le prestazioni
rese dagli sportivi professionisti (atleti, allenatori, direttori tecnici, ecc.) a favore delle società sportive sono inquadrate nell’ambito del lavoro subordinato (art. 4, l. cit.), che ricadrebbero in principio nell’art. 5 in esame, è previsto l’espresso inquadramento tra le collaborazioni coordinate e continuative se sono verificate certe condizioni, con la conseguenza che, in tale caso, e solo in tale caso, di essere comunque escluse dal campo Iva ai sensi
del 2° co. dell’art. 5».
24
Ris. Ag. Entrate, 11 ottobre 2007, n. 286/E.
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DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
Se l’operazione di cessione del diritto allo sfruttamento all’immagine dello sportivo può integrare di per sé sola – in presenza delle circostanza descritte – un’attività abituale di lavoro autonomo, può accadere che, indipendentemente dal valore ai fini IVA della qualificazione operata dall’art. 15, L. n.
91/1981, anche la prestazione sportiva diventi soggetta ai fini IVA; e ciò,
segnatamente, in forza del citato art. 5, D.P.R. n. 633/1972. Questo per dire
che, se l’attività di sfruttamento dell’immagine fa assumere la soggettività
IVA, si compie l’assoggettamento ad IVA tanto dell’operazione di cessione
del diritto all’immagine quanto delle prestazioni sportive principali oggetto
del rapporto di collaborazione coordinata continuativa tra atleta e società
sportiva. Ciò, ancora, indipendentemente dalla previsione di cui all’art. 15,
L. n. 91/1981.
In merito alla base imponibile, infine, questa del caso è costituita dal corrispettivo di cessione. Laddove la contropartita non sia integrata da un corrispettivo in denaro, l’imposta andrà applicata in base al valore normale della
prestazione (art. 13, comma 2, lett. d), D.P.R. n. 633/1972): ciò significa, a
rigore, che occorre assumere il valore normale che nel mercato ha il diritto di
sfruttamento dell’immagine di uno sportivo avente la medesima notorietà 25.
4. Lo sfruttamento dell’immagine, tra legittimo risparmio d’imposta, interposizioni ed abuso del diritto
Lo sfruttamento del diritto all’immagine dello sportivo si realizza attraverso uno schema piuttosto semplice, che coinvolge due soggetti: il titolare
del diritto ovvero il cedente/l’atleta e l’acquirente, ossia colui che sfrutterà il
diritto dell’immagine altrui.
Come osservato in precedenza, in questo caso il quantum corrisposto
dall’acquirente al titolare del diritto concorre a formare il reddito complessivo di quest’ultimo sulla base delle regole della categoria reddituale di riferimento. Al contempo, per l’acquirente la medesima somma rappresenta un
costo, come tale deducibile dal reddito imponibile in presenza dei necessari
requisiti di cui all’art. 109 TUIR: certezza, inerenza e competenza.
Si possono però configurare modelli negoziali più articolati.
Può accadere, così, che la remunerazione dello sfruttamento del diritto
all’immagine si realizzi nelle forme della partecipazione agli utili dello spor25
Ris. Ag. Entrate, 2 ottobre 2009, n. 255/E.
Andrea Carinci
309
tivo ad una società “sponsor”, residente o non residente nel territorio dello
Stato 26, di cui l’atleta è socio ed a cui cede il diritto allo sfruttamento economico della propria immagine.
Si verifica qui il coinvolgimento di tre soggetti: a) lo sportivo; b) la società “sponsor”, prima cessionaria del diritto allo sfruttamento dell’immagine
dello sportivo; c) il soggetto (ad es. la società sportiva) cessionaria finale del
diritto.
Accade così che:
a) lo sportivo cede il proprio diritto all’immagine ad una società “sponsor”, realizzando un reddito diverso ex art. 67, lett. l), TUIR;
b) la società “sponsor” provvede allo sfruttamento dell’immagine dello
sportivo, realizzando un ricavo d’impresa;
c) il soggetto finale che acquista il diritto dell’immagine dello sportivo
dalla società “sponsor” sostiene un costo deducibile dal proprio reddito imponibile;
d) la società “sponsor” distribuisce l’eventuale dividendo allo sportivo in
funzione della partecipazione da esso detenuta;
In questo caso, con ogni evidenza, il reddito conseguito dallo sportivo
non integrerà reddito di lavoro dipendente bensì di partecipazione (a seconda della forma assunta dalla società) 27.
Ebbene, su questo schema negoziale si sono appuntate le censure tanto
dell’Amministrazione Finanziaria quanto della giurisprudenza di legittimità 28.
Ad avviso della Suprema Corte, in particolare, lo schema dinanzi tratteggiato integrerebbe un’interposizione fittizia soggettiva, tale per cui lo sportivo sarebbe l’effettivo possessore del reddito derivante dallo sfruttamento
del diritto all’immagine, mentre la società “sponsor” rimarrebbe il semplice titolare apparente del reddito. I redditi conseguiti dalla società “sponsor” con
lo sfruttamento dell’immagine, al di là dell’imputazione formale, andrebbero pertanto imputati direttamente allo sportivo.
Ma non solo.
Lo schema – sempre secondo la Corte – potrebbe integrare altresì una
simulazione oggettiva; ciò, in particolare, laddove la cessione dei diritti venisse impiegata «come schermo per giustificare i passaggi di denaro relativi
26
In questo senso cfr. SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.
MATTESI, op. cit., p. 1655.
28
Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737.
27
310
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
al pagamento di una parte del compenso dovuto all’atleta» 29. In altri termini, quando le somme pattuite per lo sfruttamento realizzano “una ben mascherata” integrazione del pagamento della retribuzione dello sportivo (questo, segnatamente nei casi in cui l’ultimo cessionario del diritto è la società
sportiva presso cui il professionista presta la propria attività) 30.
Le conseguenze di una siffatta ricostruzione sono molteplici.
Da una parte, il recupero da parte dell’Amministrazione Finanziaria nei
confronti dello sportivo del reddito conseguito dalla società “sponsor”, rideterminato secondo le regole della categoria reddituale di effettiva appartenenza (redditi di lavoro dipendente).
Dall’altra, le sanzioni amministrative per la dichiarazione infedele.
Infine, in capo al cessionario ultimo dei diritti – per ipotesi la società sportiva – si può configurare l’eventualità di un recupero per le ritenute omesse.
Se le somme corrisposte dalla società sportiva alla società “sponsor” vanno
riqualificate come integrazioni della retribuzione/compenso dello sportivo,
ciò significa che la stessa società sportiva avrebbe dovuto operare le ritenute
d’acconto sulle predette somme 31. Con conseguente applicazione anche della
sanzione amministrativa prevista dall’art. 14, D.Lgs. n. 471/1997 sulla violazione dell’obbligo di esecuzione di ritenute alla fonte.
Sennonché, occorre oggi domandarsi se una siffatta ricostruzione sia ancora attuale o se, di contro, non debba essere rivista alla stregua della riforma
dell’istituto dell’abuso del diritto, come attuata con l’inserimento del nuovo
art. 10 bis nello Statuto dei diritti del contribuente ad opera del D.Lgs. n.
218/2015 32.
Diversi argomenti inducono in questa direzione.
Innanzitutto, andrebbe sgombrato il campo da evidenti confusioni logiche ed argomentative: a ben vedere, come osservato in dottrina, la società
“sponsor” può reputarsi al più superflua, ma non certo interposta 33. Dal
29
Cass. n. 4737/2010, cit.
FALSITTA, L’interposizione fittizia e il dribbling al fisco, in Riv. dir. trib., 1996, II, p. 522.
31
Spetta al sostituto la verifica circa la sussistenza o meno dei presupposti per l’imponibilità degli emolumenti erogati e, quindi, per l’applicazione della ritenuta. Il sostituto è invero chiamato a compiere «un’attività di “accertamento” dell’obbligo del percettore del
reddito, perché il sorgere del suo obbligo di operare la ritenuta, suppone l’accertamento da
parte dello stesso sostituto della sussistenza dei presupposti di legge per effettuarla» (Cass.,
26 febbraio 2007, n. 4314).
32
CARINCI-DEOTTO, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 – Abuso del diritto ed effettiva utilità
della novella: Much ado about nothing?, in Il Fisco, 2015, p. 3107.
33
SAPORITO-LUPI, op. cit., p. 255.
30
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311
punto di vista sistematico, lo schema negoziale sopra descritto compie solo
una particolare forma di sfruttamento dell’immagine dello sportivo, giammai un’interposizione fittizia ex art. 37, D.P.R. n. 600/1973 34. Non vi è invero alcuna dissimulazione della realtà, della titolarità della fonte e dei flussi
di reddito. Del resto, ragionando diversamente, si dovrebbero ravvisare forme di interposizione fittizia in tutti i casi di attività economica svolta in forma societaria.
In secondo luogo, appare poi ed in ogni caso del tutto inconferente il richiamo operato dalla Suprema Corte all’abuso del diritto 35.
A ben vedere, non è ravvisabile qui un uso distorto di strumenti giuridici
idonei ad ottenere un indebito vantaggio fiscale in difetto di ragioni economicamente apprezzabili, ma semmai solo una diversa modalità di sfruttamento
del diritto all’immagine. Una modalità diversa, che, certamente, può determinare conseguenze fiscali diverse e più vantaggiose (correlate alla più agevole localizzazione, ovvero ad evitare le ritenute); sennonché, questo oggi
non è più sufficiente. Alla stregua della neo introdotta regola generale sull’abuso del diritto, di cui all’art. 10 bis, L. n. 212/2000, occorre infatti domandarsi se l’eventuale vantaggio ritratto in ragione di un particolare schema negoziale sia indebito o, piuttosto, rappresenti la mera consegua di una
peculiare conformazione del sistema, che tratta in modo fisiologicamente
differente lo sfruttamento diretto di un bene (qui l’immagine) da quello
mediato attraverso l’impiego dello strumento societario.
Perché, se così è, si deve allora riconoscere che lo sfruttamento dell’immagine per mezzo di una società risponda alla libertà, oggi espressamente
riconosciuta 36, di scegliere «tra operazioni comportanti un diverso carico
fiscale» 37. Con la nuova formula sull’abuso del diritto, difatti, è lo stesso Legislatore a valorizzare ed ammettere la possibilità per il contribuente di optare tra diverse operazioni consentite dal “sistema”, ancorché aventi un diverso carico fiscale. Questo, segnatamente, escludendo – o quantomeno limitando – la possibilità per l’Amministrazione Finanziaria di invocare l’abuso del diritto a fronte della riconosciuta «libertà di scelta del contribuen34
Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737; in dottrina, VIGNOLI-LUPI, Sfruttamento dell’immagine e flussi di ricchezza tra atleti, clubs, sponsors e managers, in Dialoghi trib., 2010, p. 295;
FALSITTA, op. cit., p. 522.
35
Ancora, Cass., 26 febbraio 2010, n. 4737.
36
Art. 10 bis, comma 4, L. 27 luglio 2000, n. 212.
37
Si veda l’art. 1, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.
312
DOTTRINA
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te tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti
un diverso carico fiscale» (art. 10 bis, comma 4).
Ciò appare tanto più vero laddove detta scelta organizzativa riesca altresì
a trovare una propria giustificazione nella molteplicità e varietà delle forme di
sfruttamento intraprese dall’atleta. In questi casi, infatti, mantenere un canale
(quello societario) unico, attraverso il quale poter avere una gestione unitaria
dello sfruttamento dell’immagine, può trovare giustificazioni in ragioni «di
ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento
strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente» (art. 10 bis, comma 3). Argomento, questo, che ulteriormente
esclude l’invocabilità della clausola generale sull’abuso del diritto.
Sul punto, occorrerà comunque attendere le prime esperienze giurisprudenziali. È evidente però che saranno proprio casi come quelli sopra ricordati a rappresentare il banco di prova dove verificare la portata innovativa dell’introduzione di una nozione generale di abuso del diritto 38.
38
In argomento, si consenta un rinvio a CARINCI-DEOTTO, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 –
Abuso del diritto ed effettiva utilità della novella: much ado about nothing?, in Il Fisco, 2015,
p. 3107.
Valerio Ficari
VIRTÙ E VIZI DELLA NUOVA DISCIPLINA
DELL’ABUSO E DELL’ELUSIONE TRIBUTARIA
EX ART. 10 BIS DELLA L. N. 212/2000
VIRTUES AND VICES OF THE NEW DISCIPLINE ON TAX
AVOIDANCE AND ABUSE OF LAW PROVIDED
BY EX ART. 10 BIS OF LAW N. 212/2000
Abstract
Il lavoro intende analizzare la rilevanza della recente introduzione dell’art. 10 bis
della L. n. 212/2000 a seguito del D.Lgs. n. 158/2015, indagando in quali termini le precedenti questioni applicative dell’esercizio del potere antielusione siano
state risolte e delineando le novità normative, tra le quali la previsione di elementi di garanzia procedimentale e processuale del contribuente e l’estensione del
nuovo potere a tutti i tributi.
Parole chiave: abuso, elusione, riforma, novità, applicazione
This work aims at analysing the relevance of the recent introduction of Art. 10-bis of
Law n. 212/2000 made by Legislative Decree n. 158/2015, by checking in which
terms the past issues concerning the enforcement of anti-avoidance power have been
resolved and highlighting the new rules, such as taxpayer’s procedural and trial safeguards and the extension of the new power to all types of taxes.
Keywords: abuse of tax law, tax avoidance, reform, new measures, application
SOMMARIO:
1. Introduzione. – 2. La rilevanza sistematica dell’inserimento delle novità all’interno dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000). – 3. L’ambito oggettivo non più limitato alle sole imposte sui redditi, a singole operazioni tipizzate e al “mondo” dell’impresa. – 4. La definizione di
operazione abusiva e gli indici esemplificativi di sostanza economica (coerenza, conformità a
314
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normali logiche di mercato, non marginalità), l’esclusione espressa della natura abusiva e la definizione di valide ragioni economiche extrafiscali. – 5. Il riconoscimento della libertà di scelta
del regime fiscale più vantaggioso come valida ragione economica. – 6. La natura indebita dei
vantaggi fiscali. – 7. Gli oneri motivazionali e probatori nel “gioco delle parti”. – 8. La non rilevabilità d’ufficio della natura abusiva. – 9. La distinzione fra abuso ed altre ipotesi (non inerenza, inesistenza, simulazione, antieconomicità, transfer pricing interno, interposizione, ecc.). –
10. L’abuso del diritto tributario e il “dover essere” tra il “civilistico” e il “tributario” e tra il “giuridico” e l’“economico”.
1. Introduzione
In quasi tutte le riforme tributarie settoriali è dato rinvenire sia mancate
modifiche auspicate e innovazioni asistematiche o inefficaci sia disposizioni
non equilibrate in quanto irragionevolmente recettizie di orientamenti giurisprudenziali fortemente criticati o di esigenze erariali tutelate in non modo
non proporzionale e ragionevole.
Nel caso che interessa ciò è particolarmente vero, nonostante un apprezzabile cambiamento di orientamento della Suprema Corte in tempi di poco
antecedenti alle novità normative di cui trattasi, espressivo di una matura
consapevolezza delle regole volte a delimitare le condotte sindacabili 1 ed a
un corretto riparto degli oneri probatori.
Il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, almeno ad una sua prima lettura, dovrebbe ricevere un giudizio di “sufficienza” anche in ragione degli effetti che
sembrano derivare dal combinato disposto delle norme cui riferire le novità
contenute nel neointrodotto art. 10 bis, L. n. 212/2000, le quali, per espressa previsione normativa, sono dotate di natura retroattiva riferendosi già alle
operazioni antecedenti all’entrata in vigore per le quali non sia stato già notificato un atto impositivo.
Si deve, peraltro, da subito notare che il testo introdotto ha una sua originalità muovendo non solo dalla precedente e assai problematica esperienza dell’art. 37 bis ma anche da quelle comunitarie; di entrambe, come si è osservato, ha recepito alcune parti o linee applicative escludendone, però, al1
Fra tutte si segnalano, anche per la diffusa e puntuale esposizione, Cass., sez. trib., 26
agosto 2015, n. 17175 (Pres. Piccininni, Rel. Olivieri); Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n.
439 (Pres. Bielli, Rel. Cirillo), Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 405 (Pres. Bielli, Rel. Olivieri) (che seguono Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 2558 (Pres. Bielli, Rel. Olivieri),
in Corr. trib., 2015, p. 735 ss. con nota di BEGHIN).
Valerio Ficari
315
cune che in passato avevano avuto grande risalto; in alcune ipotesi, peraltro,
talune (seppur rare) limitazioni temporali e condizioni di giustificazione potrebbero rivelarsi contrastanti con il principio di proporzionalità di origine
comunitaria 2.
2. La rilevanza sistematica dell’inserimento delle novità all’interno dello Statuto
del contribuente (L. n. 212/2000)
Un aspetto che avrà indubbie ricadute applicative è la scelta (non sappiamo se pienamente consapevole) di inserire la nuova disposizione con valenza a 360 gradi in seno alla L. n. 212/2000.
Dovendosene escludere la casualità 3, la scelta effettuata non potrà negare all’esperienza futura le conseguenze della circostanza che, ai sensi dell’art.
1, comma 1, L. n. 212/2000, (anche) l’art. 10 bis (al pari delle altre disposizioni contenute nella legge) sia attuativo «degli articoli 3, 23, 53 e 97 della
Costituzione» e, pertanto, espressivo di «principi generali dell’ordinamento tributario».
Si tratterebbe di un caso, il nostro, di norme attuative di principi sia costituzionali che enunciati (rectius: ribaditi?) in leggi generali, in esse rinvenienti il loro fondamento 4 e tali da doversi apprezzare per valutare l’esistenza di situazioni giuridiche rafforzate sia dell’Amministrazione finanziaria che
del contribuente.
L’avvenuta collocazione darebbe conto dell’esistenza di un potere, quello antiabuso/elusione che, se effettivamente espressione di un principio, andrebbe riconosciuto come esistente da sempre (ovvero immanente) e non,
invece, solo dall’entrata in vigore e per operazioni non ancora accertate; in
questo senso gli approdi della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di potere di sindacato anti-abuso del diritto tributario comunitario verrebbero ad estendersi a tutti i settori impositivi.
2
A riguardo su entrambi gli aspetti AMATUCCI, Profili procedimentali e criticità della
clausola generale antiabuso, in corso di pubblicazione; anche BORIA, Diritto tributario, Torino, 2016, p. 260 ss.
3
Del genere: le singole leggi tributarie sono di settore e, dunque, il c.d. Statuto del contribuente è l’unico contenitore non già ex ante specializzato.
4
V. FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I,
p. 878 ss.; per alcune osservazioni all’indomani del consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale favorevole ad un principio generale antielusivo FICARI, Clausola generale antielusiva, art. 3 della Costituzione e regole giurisprudenziali, in Rass. trib., 2009, p. 390 ss.
316
DOTTRINA
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Di conseguenza, a tale riconoscimento si accompagnerebbero tutte le misure di garanzia e tutela proprie delle norme statutarie.
In altro (ma non condividibile) senso i principi di cui all’art. 10 bis rilevanti in ragione del citato art. 1 dello Statuto subirebbero invece, un depotenziamento rispetto alla loro efficacia retroattiva rispetto all’entrata in vigore
della norma che li riconosce espressamente, qualora (come è probabile avvenga da parte degli uffici) ad essi venisse attribuito un contenuto innovativo 5; in ciò palesando, però, una intrinseca contraddizione con la stessa natura
di principi che mal si concilierebbe con l’entrata in vigore disposta dall’art.
1, comma 5, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, che, invece, presupporrebbe la natura innovativa la disposizione.
Di qui, sotto questo specifico aspetto della novella legislativa, un giudizio
di poca attenzione da parte del legislatore e il conseguente rischio che la limitazione temporale sia contestabile eccependo che le nuove disposizioni
siano applicabili, con valenza interpretativa, anche ad accertamenti già notificati e in processi già incardinati, non trattandosi di norme eccezionali 6.
3. L’ambito oggettivo non più limitato alle sole imposte sui redditi, a singole
operazioni tipizzate e al “mondo” dell’impresa
Un dato senza dubbio significativo che esprime la generalizzazione del
(nuovo) potere è l’applicazione dello stesso senza alcuna limitazione tipologica: il sindacato non si indirizza, più, infatti, alle sole specie impositive reddituali 7 ed a quelle proprie dell’imposizione armonizzata a livello comunitario.
L’unificazione concettuale 8 delle due figure in precedenza valutate in rap5
Sulla problematica si rinvia a FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria,
cit., p. 881 ss. ove l’approfondito e critico confronto con la giurisprudenza di legittimità
occupatasi della problematica di cui al testo.
6
Sui valori eccezionali o generali sottesi alla riconduzione del divieto di abuso/elusione tra i principi già prima della normazione delegata vedasi tra tutti LA ROSA, L’accertamento tributario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 505
ss.; GIOVANNINI, L’abuso del diritto nella legge delega fiscale, ivi, p. 231 ss. ma già in Il divieto
di abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento, in Rass. trib.,
2010, p. 982 ss.
7
Il dato è stato già riconosciuto dalla giurisprudenza: espressamente Cass., sez. pen., 7
ottobre 2015, n. 40272 (Pres. Squassoni, Rel. Scarcella), par. 10.
8
In quest’ultimo senso Cass. n. 40272/2015, cit., par. 14. Sul punto da ultimo GALLO,
La nuova frontiera dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1316 ss. per
la dettagliata esposizione diacronica.
Valerio Ficari
317
porto di genus a species 9 che escludeva l’esistenza fra elusione e abuso di una
relazione meramente sinonimica 10, diventa, a questo punto, tangibile.
L’abbandono, per il futuro, della necessaria tipizzazione delle operazioni
sindacabili 11 apre uno scenario dalla grande latitudine; si consideri, infatti,
lo spazio di sindacato che è offerto non solo dall’IVA ma anche da altri settori impositivi (es. l’imposta di registro, le altre imposte indirette sui trasferimenti ed i tributi locali 12) e che si potrà scoprire calando tale potere nel mondo delle attività professionali del contribuente e, quindi, delle diverse categorie reddituali IRPEF.
Si possono prospettare alcuni probabili scenari.
Senza dubbio la giurisprudenza comunitaria acquisterà un ruolo pari alla
sua dignità non potendo i suoi orientamenti essere disattesi dai giudizi nazionali anche di legittimità e dai singoli uffici.
In materia di imposta di registro, d’altro canto, si dovrebbe ritenere risolta
la questione (sollevata, peraltro, solo dalla giurisprudenza) se l’art. 20 TUR n.
131/1986 avesse natura (anche) antielusiva: con l’entrata in vigore dell’art.
10 bis, l’art. 20 ritorna a svolgere l’antico ruolo di norma sull’interpretazione
degli atti presentati per la registrazione 13 allontanando spettri di riqualifica9
Così Cass. n. 405/2015, cit. ma anche Cass., sez. trib., 19 dicembre 2014, n. 27087
(Pres. Piccininni, Rel. Olivieri), in GT-Riv. giur. trib., 2015, p. 322 ss. con nota di FANNIADDA; sulle possibili differenze tra gli altri LA ROSA, Abuso del diritto ed elusione fiscale: differenze e interferenze, in Dir. prat. trib., 2012, I, p. 577 ss.; VACCA, Abuso del diritto ed elusione fiscale, in Riv. dir. trib., 2008, I, p. 1079 ss.; per un quadro comparato ALTIERI, La codificazione di una clausola generale antielusiva: giungla o wild west?, in Rass. trib., 2014, p. 521 ss.
10
Per un’analisi del concetto in altri settori da ultimo v. ALPA, Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli Stati Membri,
in Contr. e impresa, 2015, p. 245, adde RUSSO, Profili storici e sistematici in tema di elusione ed
abuso del diritto in materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi, in Dir. prat. trib., 2016, I, p. 1 ss.
11
Ribadita da Cass., sez. trib., 25 novembre 2015, n. 24024 (Pres. Merone, Rel. Botta).
Più in generale sui problemi di efficacia temporale, TABET, Sull’efficacia temporale della
nuova disciplina dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2016, p. 111 ss.
12
Per un caso in tale senso (Cass., sez. trib., 30 novembre 2009, n. 25127 ma anche Cass.,
sez. trib., 29 ottobre 2010, n. 22129; Cass., sez. trib., 8 novembre 2013, n. 25170) vedi PURI,
Il debutto dell’abuso del diritto nel Cci, in Corr. trib., 2010, p. 381; SALVATI, Considerazioni in
tema di regime fiscale dei terreni pertinenziali, in Rass. trib., 2011, p. 721 ss. nonché FICARI, Il
pandemico principio dell’abuso del diritto raggiunge anche l’Ici!, in Boll. trib., 2010, p. 574 ss.
ove, però, si segnala la necessità di ben distinguere le condotte effettivamente elusive da quelle, probabilmente molto più frequenti, di simulazione assoluta o relativa; in tal senso anche
GIOVANARDI, L’abuso del diritto nei tributi locali, in corso di pubblicazione.
13
Da ultima MASTROIACOVO, La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, p. 31 ss.; ID., L’abuso del di-
318
DOTTRINA
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zione e sindacato spesso incontrati nell’esperienza senza, però, quelle garanzie
che la previgente disciplina dell’elusione offriva in ordine al contraddittorio.
4. La definizione di operazione abusiva e gli indici esemplificativi di sostanza
economica (coerenza, conformità a normali logiche di mercato, non marginalità), l’esclusione espressa della natura abusiva e la definizione di valide ragioni economiche extrafiscali
Un pregio dell’intervento normativo risiede nell’aver dato maggiore contenuto alla fattispecie normativa dell’elusione/abuso; muovendo da quanto
già espresso nel previgente art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, si sono esplicitati
alcuni elementi costitutivi del concetto di “abuso del diritto” quali, in particolare, la mancanza di sostanza economica e la presenza di valide ragioni economiche diverse da quelle di (legittimo) risparmio fiscale 14.
Evidente il concreto seguito dato dal legislatore alle indicazioni ritraibili
dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Raccomandazione della CE relativa
alla c.d. pianificazione fiscale aggressiva 15 sebbene il dettaglio che caratterizza quest’ultima, anche nell’esposizione analitica di esempi concreti, dovrebbe, almeno nell’auspicata corretta applicazione della novella, essere acquisito al dato normativo di riferimento.
Alla luce del nuovo testo, allora, sarebbe abusiva l’“operazione” priva di
sostanza economica in quanto, per un verso, non idonea «a produrre effetti
significativi diversi dai vantaggi fiscali» e, per l’altro, dotata di una serie di
caratteristiche indiziarie della mancanza della sostanza economica stessa.
Un inciso fondamentale attiene alla natura esemplificativa degli indici di
assenza di sostanza economica: lo si desume dall’“in particolare” del comma
2, lett. a), art. 10 bis, L. n. 212/2000.
L’assenza sarebbe, così, dimostrabile per opera degli uffici anche apprezzando altre caratteristiche fattuali le quali, però, in ogni caso dovranno esseritto o l’elusione d’imposta nell’imposta di registro e negli altri tributi indiretti, in corso di pubblicazione; si aggiunga BEGHIN, La tassazione differenziale e la non opponibilità al Fisco delle
operazioni abusive, in Riv. dir. trib., 2016, I, p. 295 ss.
14
Sulla necessità ante riforma di una soluzione all’indeterminatezza delle definizioni già
FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità, simulazione e riqualificazione,
in Riv. dir. trib., 2010, I, p. 1116 ss.
15
V. ZIZZO, La nuova nozione di abuso del diritto e le raccomandazioni della Commissione
europea, in Corr. trib., 2015, p. 4577 ss.
Valerio Ficari
319
re tali da provare che i motivi e gli effetti delle operazioni realizzate si riconducano esclusivamente o principalmente all’ottenimento di vantaggi fiscali 16.
a) La novella legislativa ammette un sindacato antiabusivo quando la qualificazione della singola operazione data dalle parti ai fini fiscali non sia coerente al fondamento giuridico del loro insieme 17 sebbene, nel menzionare
tale carattere, non ne dia una specifica nozione.
L’art. 10 bis riferisce tale qualità a un elemento, l’“operazione”, tradizionalmente noto nell’IVA e non anche negli altri settori impositivi.
Il legislatore richiede, almeno nella lettera verbis della disposizioni in
esame, che la coerenza debba essere accertata rispetto al “fondamento giuridico” non della singola operazione delle operazioni rispetto al “loro insieme”;
altrimenti detto: sarebbe l’insieme delle operazioni il parametro di riferimento per la dimostrazione della coerenza.
Ciò palesa una certa criticità risolvibile solo ipotizzando che il termine
“operazione” al fine del giudizio di fatto sulla coerenza possa essere inteso in
due diverse maniere fra loro non alternative: quella di singolo “atto” e, quindi, nell’accezione monistica propria dell’IVA; quella di insieme di atti fra loro collegati e, quindi, nell’accezione funzionale già nota all’art. 37 bis, D.P.R.
n. 600/1973.
b) Il secondo indice, aggiuntivo a quello dell’incoerenza, è la conformità
degli “strumenti giuridici” utilizzati “a normali logiche di mercato” 18.
Senza dubbio il riferimento alla normalità delle scelte dei comportamenti
degli operatori nel mercato è un dato apprezzabile in quanto richiama la componente comportamentale; questa dovrà essere valutata caso per caso, non
essendo né normalizzabile né insensibile a contingenti situazioni economiche, storiche, territoriali se non anche soggettive e proprie del singolo operatore destinatario del controllo.
Il riferimento agli “strumenti giuridici” utilizzati e alla loro adozione rispetto
a una normale logica di mercato dovrebbe essere riferito, alla stregua di quan16
Lo ricorda GALLO, op. cit., 1331.
In termini anticipatori di tale requisito Cass., sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 438
(Pres. Bielli, Rel. Cirillo), in Corr. trib., 2015, p. 899 con nota di BEGHIN.
18
Per un cenno a tale fattispecie già Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., parr.
7.11 e 7.12 anche nella valorizzazione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost.,
giungendo ad escludere un sindacato sull’opportunità ed ammettendolo solo per manifesta antieconomicità ed irrazionalità della scelta. In questo senso si potrebbe ritenere (così
anche RUSSO, op. cit., pp. 5 e 8) che il potere pubblico si basi sull’utilità sociale ex art. 41
Cost. delle diverse espressioni della libertà di iniziativa economica.
17
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to sopra osservato in ordine al termine “operazione”, sia ai singoli atti, fatti e
negozi o contratti – richiamandosi, così, il lessico del passato art. 37 bis o dell’attuale comma 2, lett. a), primo periodo dell’art. 10 bis – sia al complesso
unitario che discenderebbe dal loro collegamento funzionale anche in una
dimensione diacronica.
L’indice (di mancanza) di sostanza economica si strutturerebbe, invece,
a sua volta, in tre sotto parti: un carattere di normalità, la logica del comportamento e delle scelte, il mercato come parametro di riferimento 19.
L’aggettivo normale riferito alla logica comportamentale e di scelta si palesa tautologico e ripetitivo: sarebbe, infatti, un ossimoro ipotizzare una logica anormale; pertanto, si ritiene che la conformità di cui al disposto normativo possa essere ridotto alle sole “logiche di mercato”.
La prova dell’assenza di sostanza economica delle operazioni oggetto di
un controllo antiabuso gravante sugli uffici, necessariamente (e, si ritiene, finalmente) troverà, quindi, una base su aspetti non solo giuridici ma, invece,
economico/aziendali delle scelte del contribuente.
Gli “operatori del diritto” tradizionalmente poco usi all’indagine metagiuridica dovranno, quindi, cercare di cogliere gli interessi economici e le peculiarità di scelte a seconda dei possibili diversi mercati nonché delle patologie
e variabili caratterizzanti il mercato come luogo multiforme di scambio e
temporalmente mutevole nella normalità di scelte e valori 20 per una specifica realtà imprenditoriale 21.
Con le lenti della logica del mercato ben potranno avere sostanza economica e, quindi, effetti fiscali opponibili, ad es., le scelte di vendita sottoco19
Per la considerazione della crisi di imprese e delle sue conseguenze sulla gestione
come valida ragione economica si veda PURI, Riorganizzazione societaria nell’ambito della
crisi d’impresa ed elusione tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 867 ss.
20
Per alcuni approfondimenti su tale prospettiva si legga, da ultimo anche per riferimenti, FICARI, Le diverse dimensioni della corrispettività, onerosità, gratuità e liberalità nel diritto tributario dell’impresa, in Riv. dir. trib., 2014, I, p. 803 ss. ma anche in AA.VV., Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, a cura di Ficari-Mastroiacovo, Torino, 2014,
p. 1 ss.; sempre in questa opera v. anche i contributi di Gatt, Maspes, Cannizzaro, Denora,
Marchisio, Bernini e Maugeri.
Sul rapporto tra logiche e ragioni economiche v., tra gli altri, FRANSONI, Spunti in tema
di abuso del diritto e “intenzionalità” dell’azione, in Rass. trib., 2014, p. 403 ss. spec. par. 4.
21
In questo senso correttamente CTR Potenza, 14 dicembre 2015, n. 623 riconosce
una ragione economica extrafiscale valida nella vendita infragruppo nazionale di un immobile per evitare perdite della cedente oltre il limite consentito anche se la cessione non abbia
dato luogo a imponibile per la cedente ed abbia originato per la cessionaria un ingente
credito IVA.
Valerio Ficari
321
sto di beni merce, la vendita in blocco o la vendita di partecipazioni a nummo uno nei casi di accordi collaterali che facciano quotare il valore della partecipazione anche in ragione degli impegni contrattuali riguardanti sede dell’impresa, livello occupazionale, ecc.; più delicata pare la questione se l’analisi venisse riferita ad atti non di scambio ma dalla funzione riorganizzativa,
come quelli in cui si concretizzano le diverse operazioni societarie straordinarie conferimenti compresi.
Poiché la logica di mercato del mondo del “giuridico” ha in sé solo i diversi strumenti offerti ma non i motivi delle scelte che di questi costituiscono il presupposto, l’art. 10 bis richiederà l’acquisizione di nuove conoscenze
in ordine a quelle che si potrebbero definire le best o normal practices nei diversi mercati per specifici operatori in un puntuale momento storico e luogo; poiché nulla di tutto ciò è, ovviamente, esplicitato nelle disposizioni
normative necessario sarà il rinvio alle conoscenze acquisite nel settore dell’economia industriale ed aziendale cui appartengono i motivi delle scelte.
Un valido ausilio, a dire il vero, si rinviene nello stesso art. 10 bis laddove,
al comma 3, si esclude la natura abusiva (e, quindi, a contrario, si riconosce
la sostanza economica delle operazioni) in presenza di ragioni di «ordine
organizzativo o gestionale che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».
Nella descritta valorizzazione del dato metagiuridico si deve, però, rilevare come la novella non disciplina espressamente il c.d. interesse (dell’impresa) di gruppo.
A riguardo, però, si segnalano alcune condivisibili posizioni giurisprudenziali nelle quali la quotazione dei valori e scelte (apparentemente) non economiche sono state ritenute legittime e non sindacabili alla luce della particolare morfologia dell’impresa di gruppo e dei vantaggi compensativi relativi alle dinamiche interne ed esterne ad esso 22.
Più in particolare, le ragioni organizzative e gestionali proprie di un gruppo sono state apprezzate dalla Corte di Cassazione sotto il profilo dell’inerenza di costi volti, tra l’altro, a realizzare economie di scala infragruppo e
ottimizzazione delle singole competenze 23; tale segnale ben fa sperare sulla
concreta possibilità che la logica di mercato sia percepita nella dimensione
di un gruppo, anche sotto il fronte delle operazioni societarie straordinarie e
22
Si legga Cass., sez. trib., n. 27087/2014, cit., parr. II, 16 e II, 27.
Vedasi, per la rarità del caso, Cass., sez. trib., 20 maggio 2015, n. 10319 (Pres. Virgilio, Rel. Greco).
23
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di altri comportamenti che siano suscettibili di controllo sul fronte dell’abuso e dell’elusione tributaria.
c) Oltre alla coerenza e alla logica di mercato il legislatore riempie di significato il contenitore della mancanza di sostanza economica e, quindi, della non opponibilità dell’operazione ai fini fiscali con il riferimento anche alla
“non marginalità” delle ragioni extrafiscali.
Sebbene il lessico sia forse involuto, esso è interpretabile, in positivo, come principale, primario, prevalente anche se non esclusivo, essenziale e basilare, necessario.
In questi termini, allora, tale carattere esprimerebbe la circostanza che l’operazione, in assenza del vantaggio fiscale, non sarebbe stata compiuta 24.
Si potrebbe, in alternativa, anche ammettere che nella novità si sia scelta
una dimensione meno consistente o, meglio, più consistente della semplice
marginalità; superando il gioco di parole 25 parrebbe fondato ammettere che
la ragione non fiscale non debba necessariamente essere quella esclusiva e necessaria ma anche semplicemente facoltativa ma in concreto perseguita.
5. Il riconoscimento della libertà di scelta del regime fiscale più vantaggioso
come valida ragione economica
Un dato altrettanto positivo del nuovo testo normativo è l’esplicito riferimento contenuto nel comma 4 dell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 alla “libertà”
del contribuente «di scelta tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e
tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale» 26.
Si deve evidenziare da subito il riconoscimento di tale libertà come diritto sempre esistito nella dialettica tra contribuente e Fisco: lo si desume dall’incipit “Resta ferma” con la quale inizia il menzionato comma.
Si formalizza, allora, nel novellato testo legislativo un approdo interpretativo con il quale la Suprema Corte, in recenti occasioni, ha già offerto chia24
Così indicazioni in Cass. n. 40272/2015, cit., par. 14.
Che potrebbe continuare riconoscendo che il non freddo non necessariamente è il
caldo potendo essere anche il tiepido.
26
Sulle scelte opponibili quali espressione della libertà v. FEDELE, Assetti negoziali e “forme
d’impresa”, cit., p. 1094 ss.; conforme Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., parr.
7.5, 7.6 e 7.7 ove la Corte, richiamando gli orientamenti comunitari, legittima la scelta di
operazioni fiscalmente meno gravose e ne rifiuta il carattere di contrarietà alle norme, non
essendovi alcun obbligo nell’ordinamento tributario né di scegliere un regime fiscale più
oneroso né di conservarlo ove la stessa legge offra una diversa possibilità.
25
Valerio Ficari
323
rimenti 27: il sindacato deve essere effettuato non tra diverse operazioni volte a raggiungere lo stesso risultato con una fiscalità diversa ma in relazione ai
risultati ottenuti adottando formalmente una soluzione ma, in ragione di essi, svelando altra intenzione; libertà, quindi, senza dubbio riconosciuta ma
senza tentare di aggiungere un risultato economico che si sarebbe ottenuto
adottando altri strumenti giuridici 28.
Peraltro, con riguardo a scelte che consentano di godere di regimi fiscali
di natura propriamente agevolativa il sindacato andrebbe circoscritto alla sola
creazione delle condizioni oggettive (natura, forma, localizzazione).
In realtà, a meglio vedere, ciò è da escludersi in quanto la costruzione di
un concreto modello comportamentale in luogo di altri trova la sua ragione
essenziale proprio nelle astratte caratteristiche prescritte dalla norma agevolativa; ne conseguirebbe, allora, un spazio non per il sindacato antiabusivo ma
solo per quello volto ad accertare eventuali simulazioni o inesistenze.
In secondo luogo, il disposto del citato comma 4 è destinato ad assumere
grande valenza se rapportato alla natura che hanno tutte le disposizioni contenute nell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 in virtù di quella della legge che le
contiene: se, infatti, il contenuto di tutti gli articoli dello Statuto è, in qualche innegabile maniera, ritenuto ex lege espressivo di principi, nel caso che
interessa la libertà di cui al comma 4 dell’art. 10 bis nella declinazione che gli
si vorrà dare avrà una forza “oppositiva” assolutamente non trascurabile 29.
Da ultimo, alla luce di quanto esposto pare che la scelta del legislatore sia
stata quella di dare una equilibrata considerazione all’intento soggettivo e
volitivo nella perfezione della fattispecie: non a caso si è coerentemente esclusa la sanzionabilità penale delle fattispecie abusive; se così è, i diversi riferimenti normativi (alcuni presenti anche in passato) alla “direzione” dei
comportamenti ed alle “condotte” dei contribuenti nonché alla effettiva volontà di perseguire determinati effetti sia giuridici che economici quale ele27
Cass., sez. trib., n. 439/2015, cit., par. 8.2 e Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., par. 7.3.
Lo si legge molto chiaramente in Cass., 26 agosto 2015, n. 17175, cit., par. 7, in cui la
Suprema Corte richiede la ricerca della «causa concreta della operazione negoziale» controllata attraverso una comparazione di possibili diverse possibili scelte negoziali rispetto,
però, allo specifico risultato ottenuto dal comportamento in concreto adottato dovendosi
ammettere, in ipotesi, l’assenza di «una opzione alternativa tra schemi idonei a realizzare il
medesimo risultato economico».
29
Per la valenza interpretativa e non innovativa già MANZITTI-FANNI, La norma generale antiabuso nello schema di Decreto delegato: buono il testo ottima la relazione, in Corr. trib.,
2015, p. 1599 ss.
28
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mento di sostanza della validità delle ragioni economiche confermano la rilevanza delle diverse caratteristiche soggettive dell’azione oggetto del sindacato antiabusivo 30.
6. La natura indebita dei vantaggi fiscali
La sussistenza, allora, di una serie di condizioni nei termini sopra illustrati nonché la menzionata premessa secondo cui si ha abuso in assenza di una
violazione espressa di norme (e non solo della loro ratio) renderà accertabile e provabile la natura (in)debita dei vantaggi esclusivamente fiscali ottenuti dal contribuente.
Per meglio comprendere la natura indebita soccorre quella giurisprudenza che, anche di recente 31, ha chiarito come non sia da impedire il raggiungimento (anche) di vantaggi fiscali, soprattutto ove la scelta sia offerta dallo
stesso ordinamento, ma che sia indebitamente conseguito quel vantaggio fiscale ottenuto realizzando, con uno o più comportamenti, una causa concreta
diversa da quella caratteristica degli strumenti e istituti giuridici utilizzati 32.
Se così è, la non debenza del vantaggio fiscale sarà solo la conseguenza di
un comportamento concretizzatosi in “una o più operazioni” la cui mancanza di sostanza economica fosse previamente accertata alla luce di tutti gli elementi indiziari sopra richiamati; parimenti essa sarà indubbia se il vantaggio emergesse a seguito di una scelta tra operazioni omogenee e comparabili
e non, invece, quando tale carattere fosse assente 33.
Infine, la rilevanza di un siffatto carattere indebito del vantaggio tributario è, pur tuttavia, legato anche alla sua essenzialità cioè all’equilibro (o squilibrio nel caso dell’essenzialità) del primo con altri vantaggi altrettanto meritevoli di perseguimento e in concreto parimenti ponderabili ex post alla luce dei comportamenti e degli esiti raggiunti afferenti alla sfera sia imprenditoriale/economica che, anche, meramente personale.
30
Per l’irrilevanza, invece, di tale componente se non erriamo FRANSONI, Spunti in tema
di abuso del diritto e “intenzionalità” dell’azione, in Rass. trib., 2014, spec. p. 407 ss.
31
V. ancora Cass., sez. trib., 26 agosto 2015, n. 17175, cit.
32
Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., parr. 7.2, 7.3, 7.6, ma già Cass., sez. trib., 5 dicembre 2014, n. 25758 (Pres. Bielli, Rel. Olivieri).
33
Per FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1110 l’assenza di valide ragioni economiche è degradabile ad «indice di un’esigenza di maggior controllo» e non anche a
ragione di inopponibilità.
Valerio Ficari
325
7. Gli oneri motivazionali e probatori nel “gioco delle parti”
Alcune brevi riflessioni meritano gli aspetti della novella attinenti alla
motivazione dell’avviso e al riparto dell’onere probatorio a fronte di una procedura accertativa prevista come autonoma da eventuali altre che possano
interessare il contribuente per profili diversi da quelli attinenti all’abuso del
diritto 34.
La menzionata serie di elementi dimostrativi della presenza o assenza di
sostanza economica nonché gli apprezzabili riconoscimenti di rilevanza delle “normali logiche di mercato” all’interno della più generale libertà di scelta
renderanno senza ombra di dubbio ancora più importante stabilire il contenuto della necessaria motivazione dell’avviso di accertamento in ordine all’asserita esistenza di una fattispecie abusiva e all’irrilevanza dei chiarimenti
forniti dal contribuente a seguito della richiesta notificata dagli uffici.
Dall’articolato disposto normativo dell’art. 10 bis citato, in particolare dal
comma 9, discende anche un chiaro messaggio circa il problematico interrogativo, nell’accertamento dell’elusione/abuso del diritto tributario, del “chi
prova cosa” ovvero di come individuare il corretto riparto dell’onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Dalla lettura emergono alcune indicazioni.
a) Onere della prova in capo agli uffici, quali attori sostanziali, in ordine
alla sussistenza della natura abusiva 35 e del vantaggio fiscale ottenuto 36 con
particolare riguardo al collegamento negoziale, all’assenza di effetti significativi diversi da quelli fiscali, all’incoerenza con il fondamento giuridico dell’insieme delle operazioni realizzate, alla normalità nel caso di specie di una
logica di mercato ed alla non conformità ad essa del singolo comportamento.
b) Onere della prova in capo al contribuente, quale attore formale, in ordine sia all’esistenza delle condizioni e caratteristiche contestate dagli uffici
che, soprattutto, alle ragioni extrafiscali «anche di ordine organizzativo o
34
Non si dovrebbe, pertanto, intendere questa come una procedura di accertamento
parziale in senso tecnico in quanto i requisiti di cui all’art. 41 bis per le prove utilizzabili
non sono richiamati; l’unico dato comune tra l’art. 10 bis e l’art. 41 bis è l’incipit «Senza pregiudizio (...)» e null’altro.
35
Così già Cass., sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18354 (Pres. Piccininni, Rel. Bielli) e
Cass., sez. trib., n. 25758/2014, par. 7.13; da ultimo anche Cass., sez. trib., 20 maggio 2016,
n. 10458 (Pres. Di Amato, Rel. Di Iasi).
36
V. Cass., sez. trib., 25 novembre 2015, n. 24024 (Pres. Merone, Rel. Botta); Cass.,
sez. trib., 19 marzo 2014, n. 6415 (Pres. e Rel. Cicala).
326
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gestionale» rispondenti «a finalità di miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa o dell’attività professionale» la cui prova non sia stata già
fornita o non sia stata ben compresa nel contraddittorio.
8. La non rilevabilità d’ufficio della natura abusiva
Nel tentare (inconsapevolmente?) un riequilibrio tra le posizioni giuridiche delle diverse parti del rapporto giuridico tributario il legislatore della
novella inserisce un inciso al comma 9 dell’art. 10 bis, ai sensi del quale la
sussistenza della condotta abusiva non è (più) rilevabile d’ufficio 37.
Da un lato, la novità dell’intervento potrebbe non essere tale ove si richiamassero per argomenti identici a quelli sopra indicati in ordine alla natura di principi di taluni “valori” (quale la libertà di scelta di regimi tributari
opzionali o di operazioni con diversa fiscalità) che la stessa novella ha esplicitamente enunciato: se (anche) la non rilevabilità fosse un principio generale non solo la natura abusiva dovrebbe essere denunciata dall’Agenzia ma
ci si dovrebbe senza dubbio preoccupare dell’applicazione della novella ai
processi in corsi ogniqualvolta, invece, tale carattere sia stato rilevato d’ufficio in primo o in secondo grado e la questione sia stata già devoluta al giudice di grado superiore a quello incappato in tale rilevazione.
Dall’altro, però, uno spazio per la rilevabilità potrebbe sopravvivere ove il
giudice adito ritenesse sussistente una condotta abusiva/elusiva per ragioni
giuridiche diverse da quelle dedotte dagli uffici ma sulla base di fatti identici
a quelli accertati nelle fasi di merito e nell’avviso 38; in questi termini l’ipotesi
solcherebbe la scia degli orientamenti giurisprudenziali (non sempre condivisi in dottrina) che dalla ricostruzione dell’oggetto del processo tributario
in termini di impugnazione – merito fanno discendere un potere di rideterminazione giudiziale di valori imponibili tra quello dichiarato e quello accertato.
37
38
V. GALLO, op. cit., p. 1337.
Per tale possibilità Cass., sez. trib., n. 405/2015, cit., par. 1.3.
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9. La distinzione fra abuso ed altre ipotesi (non inerenza, inesistenza, simulazione, antieconomicità, transfer pricing interno, interposizione, ecc.)
L’art. 10 bis, L. n. 12/2000, infine, nel colorare la cornice della fattispecie
(elusione/abuso) in esame e il relativo potere amministrativo, si apprezza per
aver messo fine alla contestabile prassi sia della giurisprudenza (soprattutto)
di legittimità che di alcuni uffici di fondare poteri generalizzati di sindacato
dell’inerenza degli acquisiti, dei valori di trasferimento e di (an)economicità
delle scelte imprenditoriali 39 nonché di accertamento di ipotesi di interposizione fittizia ex art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 40 sul principio del
divieto di abuso e di elusione e non, invece, su diversi e puntuali riferimenti
normativi.
Il chiarimento si desume anche dal comma 12 della disposizione de qua il
quale sancisce la presenza di una o più operazioni abusive solo in assenza di
specifiche disposizioni tributarie sulla base delle quali si possano già disconoscere i vantaggi fiscali.
Di conseguenza, dovrebbe ritornare al suo uso proprio il potere di cui
all’art. 20 TUIR troppe volte etichettato come norma antielusiva ed antiabusiva 41, a dispetto della sua sostanza essenzialmente di riqualificazione giuridica e del valore spesso disconosciuto del contiguo art. 176, comma 3, TUIR
che esclude la rilevanza elusiva (ora abusiva) del conferimento di azienda in
continuità dei valori fiscali (o con imposizione sostitutiva) e successiva cessione delle partecipazioni in regime di pex.
Si segnala, peraltro, che preesistevano alla novella legislativa importanti
segnali di una necessaria distinzione tra normativa elusiva e normativa sul
39
La concorrenza di molte di queste diverse situazioni e ipotesi di sindacato sopra l’unico fondamento del principio dell’abuso è sostenuta, tra le altre, da Cass., sez. trib., 4 giugno 2014, n. 12502 (Pres. Di Iasi, Rel. Ferro).
40
Su interposizione, elusione e donazione v. Cass., sez. trib., 15 ottobre 2014, n. 21794
(Pres. Cappabianca, Rel. Federico).
41
Sulla netta differenza fra la normativa antielusiva ex art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1972 e
l’art. 20, T.U. n. 131/1986, v. Cass., sez. trib., 29 aprile 2015, n. 8655 (Pres. Di Blasi, Rel.
Terrusi) la quale, in ordine all’imposta di registro, esclude la prova di un intento elusivo/abusivo trattandosi l’art. 20 di una disposizione non avente natura antielusiva ma, invece,
volta a consentire agli uffici la ricostruzione dell’atto o dell’attività negoziale sulla base degli effetti giuridici concreti a prescindere dalla scelta negoziale formale.
V. da ultimi GALLO, op. cit., p. 1333 ss. e BEGHIN, Elusione fiscale e imposta di registro tra
interpretazione dei contratti e collegamento negoziale, in Corr. trib., 2015, p. 25 ss.; tra gli altri
per tutti vedi FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1112 ss. e GIRELLI, Auso
del diritto e imposta di registro, Torino, 2013, p. 61 ss. e p. 97 ss.
328
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transfer pricing per le loro diverse finalità e regole 42; l’apprezzamento della
distinzione potrebbe, però, risultare, nei fatti, inefficace se, a fronte del ruolo
fondante dell’art. 10 bis, le rettifiche sui prezzi di trasferimento infragruppo
nazionale non fossero più fondate sull’art. 9 TUIR 43 – attesa, appunto, la
sua natura non antielusiva ed abusiva 44 essendo tale la funzione del solo art.
10 bis – ma trovassero un più equilibrato e logico fondamento sulle regole
dell’accertamento induttivo.
In ogni caso, ove nella denegata ipotesi l’orientamento giurisprudenziale
continuasse a considerare sindacabili i prezzi di trasferimento infragruppo evocando poteri antiabuso ed antielusione, certo non si potrà negare l’applicazione degli oneri gravanti sugli uffici e le garanzia previste per il contribuente previsti dall’art. 10 bis anche per i procedimenti pendenti quale conseguenza del menzionato rapporto tra il contenuto della nuova disposizione ed i
principi della cui esistenza la stessa L. n. 212/2000 è sempre stata testimone.
Infine, merita di essere ricordato che, una volta rideterminati i confini
esatti delle diverse fattispecie, le questioni attinenti propriamente all’invalidità, simulazione e inesistenza saranno, ora, da ricondursi appieno alla cognizione del giudice tributario alla stregua di questioni da risolversi incidentalmente ex art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 45, forse anche d’ufficio.
10. L’abuso del diritto tributario e il “dover essere” tra il “civilistico” e il “tributario” e tra il “giuridico” e l’“economico”
Da quanto precede e dalla lettura dell’art. 10 bis, L. n. 212/2000 si nota
come l’ambito oggettivo normativo di sindacato nel nuovo mondo dell’abuso
del diritto (tributario questa volta) sviluppi il relativo potere amministrativo
(in termini sia di applicazione che di inibizione dello stesso) nei confronti
42
V. Cass., sez. trib., 19 dicembre 2014, n. 27087 (Pres. Piccininni, Rel. Olivier), cit.
Sulla cui natura non elusiva è unanime la dottrina; ben diversa è la normativa nell’IVA laddove l’art. 13, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 633/1972 attribuisce (anche) un criterio (e potere) di normalizzazione diverso dal riferimento al corrispettivo nelle operazioni
infragruppo qualora una delle parti sia un operatore IVA esente e, quindi, sia sottoposto
alle limitazioni della detrazione dell’iva sugli acquisti.
44
Ancora di recente affermata da Cass., sez. trib., 22 giugno 2015, n. 12844 (Pres. e
Rel. Cicala), in Riv. dir. trib., 2015, II, p. 159 ss. con note giustamente contrarie di Baggio,
La rettifica dei prezzi di trasferimento nei rapporti interni e di GRANDINETTI, Il rasoio di Occam e il transfer price interno.
45
Amplius in FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, cit., p. 1099 ss.
43
Valerio Ficari
329
non solo delle norme tributarie sostanziali ma anche di quelle appartenenti ad
altri settori giuridici (in specie quelle del diritto civile latu senso inteso); ma vi
è di più in quanto nella valutazione che è, ormai, tipica di tale accertamento
rientrano anche le buone prassi ed i principi dell’economia aziendale nonché
fenomeni ben conosciuti e rilevanti nel mondo dell’economica.
Procedendo per gradi, il legislatore assume abusiva una o più operazioni
che, pur nel rispetto della forma “delle norme fiscali”, sono in contrasto con
le loro «finalità o con i principi dell’ordinamento tributario».
Successivamente, però, si consente agli uffici il disconoscimento sulla base “delle norme e dei principi elusi” oppure il riscontro della «non coerenza
della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del
loro insieme».
In queste occasione è inteso espressamente che l’elusione di norme e principi e il fondamento giuridico delle singole operazioni debbano essere verificati e provati rispetto a “contesti” anche non tributari; in questi termini è
evidente che, ad esempio, la funzione economico-sociale dei contratti di impresa oppure la fisiologica natura interposta di una società, anche se unipersonale ed anche se conferitaria di beni e/o servizi da parte dell’unico socio
andrebbero valutate per come sono definite nella sede di provenienza.
La prospettiva più ampia è quella di dover accettare che la normalità delle scelte dal punto di vista economico/aziendale costituisca un parametro di
pari dignità nell’indagine sulla natura abusiva o meno dei comportamenti;
di ciò si ha piena conferma nella parte in cui, per la prima volta, si fa cenno
alle “normali logiche di mercato” quali argomento utilizzabile in sede probatoria (amministrativa, prima, e processuale, poi).
Il “mercato” (o, meglio, i mercati) diventa la vera cartina tornasole per
comprendere se gli “strumenti giuridici” offerti dal diritto comune (non dal
diritto tributario salvo ad essi si vogliano ricondurre gli “istituti” agevolativi
ed i regimi opzionali) siano stati utilizzati in modo conforme ad una normalità che, a questo punto, non può che essere anche extra-giuridica.
Il mondo del non necessariamente giuridico è evocato ancora quando, in
positivo, si esclude la natura abusiva di tutte quelle operazioni basate su «valide ragioni extrafiscali, non marginali».
Di nuovo l’extrafiscalità può assumere connotati sempre giuridici ma non
tributari così come non giuridici: le ragioni «anche di ordine organizzativo o
gestionale» e le «finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente» spingono l’indagine senza dubbio all’esterno del patrimonio cognitivo proprio del diritto tributario positivo, gravando le parti di oneri probatori più complessi ma ora meglio definiti.
330
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
Gavrilova Irina Alexandrovna-Makarova Olga Alexandrovna
LA FISCALITÀ NELLA FEDERAZIONE RUSSA:
FONDAMENTO E GIUSTIFICAZIONE ECONOMICA
DI IMPOSTE E TASSE
TAXATION IN THE RUSSIAN FEDERATION: ECONOMIC BASIS
AND ECONOMIC JUSTIFICATION OF TAXES AND FEES
Abstract
Il gettito fiscale è circa il 70% delle entrate statali nel mondo ed anche in Russia.
Lo Stato e le proprie agenzie sono interessate a far sì che il gettito fiscale risulti
perfettamente incanalato nel bilancio. Pertanto, essi fanno di tutto per minimizzare il nichilismo giuridico conseguente al mancato pagamento dei tributi. Allo
stesso momento, le agenzie statali devono introdurre tributi in stretta aderenza
ad un’efficiente normativa fiscale. Inoltre, esse non dovrebbero ignorare la natura di imposte a livello concettuale. L’articolo si focalizza sul principio della base
economica di tassazione, che è un importante principio in questo settore. Il suo
meccanismo viene analizzato in relazione alla giustificazione economica (di fattibilità) di regolamentazione giuridica di tasse e contributi. A titolo di esempio,
viene discussa l’imposta sul patrimonio, che è attualmente al centro del dibattito
pubblico.
Parole chiave: tributi, fondamento e giustificazione economica, disciplina giuridica, Stato, imposta patrimoniale
Tax revenue amounts to more than 70% of the total State revenue both globally
and in Russia. The State and its agencies are interested in the revenue being seamlessly channeled to the budget. Therefore, they struggle to minimize the legal nihilism resulting in failure to pay taxes. Meanwhile, State agencies must introduce taxes
in strict adherence to the effective tax legislation. Furthermore, they should not ignore the nature of taxes as a concept. The article is focused on the principle of the
economic basis of taxation, which is a major one in this sphere. Its mechanism is
analysed in relation to the economic justification (feasibility) of legal regulation of
332
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
taxes and fees. By way of illustration, we discuss the wealth tax, which is one of the
most publicly debated today.
Keywords: taxes, economic basis and economic justification, legal regulation, State,
wealth tax
SOMMARIO:
1. Theoretical grounds. – 2. How the economic basis of taxes works: Practical conclusions. –
3. Conclusions.
1. Theoretical grounds
The fundamentals of legislation on taxes and fees are contained in art. 3
of the Tax Code of the Russian Federation (Tax Code) 1. The principle of
economic basis of taxation is one of the special principles set forth in art. 3.
The legal doctrine also knows this principle, though applies a different name (“economic justification”).
The Tax Code provides that taxes and fees shall have an economic basis
and cannot be arbitrary (Cl. 3, art. 3). The economic basis means that every
tax shall apply to a certain taxable item, such as: transactions involving sale
of goods, fulfilment of work or supply of services; property; profit; income;
cost of goods sold, works fulfilled or services supplied; etc. The list is not
exhaustive and can include anything that can be measured in terms of cost,
quantity or physical parameters. In Russian law, a taxable item is a certain legal act that gives rise to an obligation to pay taxes. Such legal acts include
actions (e.g., transactions, sale of goods), events (e.g., donations), and statuses (ownership or other property rights). In terms of economic basis, the
law stipulates that any taxable item shall imply the availability of certain material assets, benefits, property gains, or a taxpayer’s business activity. L. Osterloh and A.T. Jobs argue that «… taxation must be linked to a taxpayer’s
solvency – i.e., ownership, possession or use of property. Thus, taxation is a
common burden that involves all residents in financing state goals, while the
1
The Tax Code of the Russian Federation (Part 1), Federal Law n. 146-FZ of 31 July
1998, Rossiyskaya Gazeta [Russian Newspaper] nn. 148-149 (6 June 1998).
Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova
333
degree of involvement depends on their earnings, property, and purchasing
power» 2.
According to the principle under consideration, taxes and fees must be
levied with due regard to the economic situation and feasibility. They must
conform with budget planning and the political objectives proclaimed.
Taxes and duties should be imposed after a comprehensive expert evaluation and statistical analysis of a state’s financial affairs. Importantly, the total amount of a state’s expenses (the state’s need to raise revenue) cannot
be the determining criterion. In other words, the budget deficit as such
(i.e., the lack of financial means) cannot be a sufficient economic basis for
taxes and fees, though it certainly exerts an impact on the entire architecture of a tax system 3.
In this respect, Ruling of the Supreme Court of the Russian Federation
dated 17 November 2004 on Case No. 9-G04-24 is of particular interest. The
Supreme Court ruled that Cl. 3, art. 3 of the Tax Code sets forth that taxes
and fees shall have an economic basis, not economic justification, and that
the Tax Code does not make it mandatory to include economic justification
to texts of tax laws 4. Furthermore, the rule on economic basis governs the
tax as such and does not apply to its particular elements. As noted by I. Zubanova, it is the principle of economic basis that «can be a defence line of
argument in commercial court disputes with taxing authorities» 5.
According to Yu. Krokhina, the principal of economic basis has two dimensions. First, taxes must be efficient – that is, the funds accumulated by
the government from each particular tax must exceed the tax authorities’administrative expenses (collection, management and control). Second, taxes
and their elements must take into consideration the macro- and microeco2
OSTERLOH-JOBS, Konstitutsionnye printsipy nalogov i sborov v FRG [Constitutional principles of taxes and fees in the Federal Republic of Germany], in Nalogovoe pravo v resheniyakh Konstitutsionnogo Suda Rossiyskoy Federatsii v 2003 [Tax law in decisions of Constitutional Court of the Russian Federation in 2003], Moscow, 2004, p. 99.
3
TEREKHINA, Pravovye printsipy nalogooblozheniya [Legal principles of taxation], in Finansovoe pravo [Finanacial law], n. 5, 2012, pp. 33-39.
4
Ruling n. 9-G04-24 of the Supreme Court of the Russian Federation of 17 November
2004.
5
ZUBAREVA, Printsip ekonomicheskogo osnovaniya nalogov – eto skrytoe oruzhie nalogoplatelshchika ili deklarativnaya norma [The principle of economic basis of taxes: A taxpayer’s secret weapon or a declarative statement], in Vash nalogovy advokat [Your tax attorney], n. 5, 2009.
334
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
nomic consequences for the state or particular industry (e.g., tax burden for
a manufacturer) as well as for a certain taxpayer 6.
Therefore, the principle of economic basis should be implemented so as
to ensure financing of state affairs at both federal and municipal levels 7.
Interestingly, tax law theorists often comment this principle to arrive at
opposite conclusions. Specifically, some scholars argue that «the economic
basis equals the economic justification (feasibility) of taxes and implies, first
and foremost, efficiency and self-repayment – that is, the state must raise
more funds under each particular tax that its spends on its administration
(collection, management and control)» 8.
Others believe that the economic basis is tightly connected to the notion
of tax sovereignty: «The requirement of an economic basis for any tax is intended to curb the so-called tax arbitrariness of the state – that is, when the
state imposes taxes based solely on fiscal considerations and aims to raise
revenue at any cost. The state’s need in financial resources does not, by itself, suffice for introducing a new tax or fee» 9.
According to A. Kozyrin and A. Yalbulganov, the concept of economic
basis must be directly linked to the concept of taxable items. D. Vinnitsky
argues that the principle of economic basis is characterized by the proportionate limitation of economic interests of private persons. In terms of fees
and charges, the principle ensures, inter alia, the adequacy of a fee or charge
compared to those services, rights or benefits obtained by a person in return 10.
6
KROKHINA, Printsip ekonomicheskoy obosnovannosti naloga v pravovykh pozitsiyakh
Konstitutsionnogo Suda RF [The principle of economic justification of taxes in legal opinions of the Constitutional Court of the Russian Federation], in Nalogoved [Tax Expert],
n. 7, 2004.
7
See: MAKAROVA, Ekonomicheskaya obosnovannost pravovogo regulirovaniya nalogov
[Economic justification of legal regulation of taxes], in Kapitalizm i svoboda: sbornik statey
[Capitalism and freedom: Collected works], ed. P.V. Usanov-D.V. Nefedov et al., St. Petersburg: Nestor-istoriya, 2014, pp. 206-225.
8
BOYTSOV-DOLGOVA-BOYTSOVA, Postateyny kommentariy k chasti pervoy Nalogovogo
kodeksa Rossiyskoy Federatsii [Paragraph-by-Paragraph Commentary to the Tax Code of the
Russian Federation], Moscow, GrossMedia, 2006.
9
KOZYRIN-YALBULGANOV (eds.), Kommentariy k Nalogovomu kodeksu Rossiyskoy Federatsii (ch. 2) (postateyny) [Commentary to the Tax Code of the Russian Federation (Part
1) (paragraph-by-paragraph)], accessed through KonsultantPlus legal database.
10
VINNITSKIY, Osnovnye problem teorii rossiyskogo nalogovogo prava [Major issues in the
theory of Russia’s tax law], Post-doctoral thesis, Ekaterinburg, 2003, p. 31.
Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova
335
A. Svistunov notes that Russia’s taxation policy has always ignored the
principles of economic theory. The entire history of taxation proves that the
amount of taxes collected has never been assessed against the real economic
and financial resources of direct manufacturers. The taxes and duties were
introduced and collected in the manner of pronounced imperative absolutism. Contrary to Western market-driven democracies, Russia’s authoritative state has traditionally determined the entire structure and development
of financial and economic policy 11. Regrettably, today the tradition persists,
and the legal rules are not underlain by economic analysis. The controversy
between lawyers and economists is not rare: the analysis of the same social
phenomena makes them draw conclusions running counter to each other.
F.A. Hayek argues that «nowhere is the baneful effect of the division into specialisms more evident than in the two oldest of these disciplines, economics and law. … the rules of just conduct which the lawyer studies serve
a kind of order of the character of which the lawyer is largely ignorant; and
… this order is studied chiefly by the economist who in turn is similarly ignorant of the character of the rules of conduct on which the order that he studies rests» 12. Lawyers ceased to understand the economic vocabulary, have
no knowledge of the fundamental principles of microeconomics, and do not
follow scholarly discussions in economics. In their turn, economists for
some time (at least until 1970s) lost interest in legal matters and regained it
only later. However, even the new institutional economics does not prevent
economists from not paying due attention to multiple important nuances,
which largely hinders the awareness about the economic dimension of the
legal issue in question 13.
11
SVISTUNOV, Problemy postroeniya nalogovoy politiki gosudarstva v protsesse evolyutsii
printsipov nalogooblozheniya [Problems of shaping the state’s taxation policy in the process
of evolution of taxation principles], in Istoriya gosudarstva i prava [History of state and
law], n. 8, 2006.
12
HAYEK, Pravo, zakonodatelstvo i svoboda: sovremennoe ponimanie liberalnykh printsipov i spravedlivosti i politiki [Law, Legislation and Liberty: A New Statement of the Liberal
Principles of Justice and Political Economy], Moscow, 2006, p. 23.
13
KARAPETOV-SAVELEV, Teoreticheskie, istoricheskie i politico-pravovye osnovaniya printsipa svobody dogovora i ego ogranicheniy [Theoretical, historical, political and legal grounds
of the freedom of contract and its limits], vol. 1 of Svoboda dogovora i ee predely [Freedom
of contract and its limits], Moscow, Statut, 2012.
336
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
2. How the economic basis of taxes works: Practical conclusions
Today taxpayers possess no effective leverage that would allow them to
influence the taxation system. However, that has not always been the case:
the history of taxation provides good examples of the opposite. The current
situation results from the state’s unwillingness to empower taxpayers and let
them impact decision-making in this sphere.
The fairness and justification of taxation have been the focus of scholarly
interest for a long time. There emerged a number of approaches in attempt
to ensure a fair taxation structure: a lump-sum tax that eventually proved inefficient (F. Quesnay, W. Petty, A.R.J. Turgot); a proportional tax that favours
more affluent classes (P.P. Leroy-Beaulieu, J. Locke, R. Stourm); a progressive tax that is most beneficial for poorer classes. The proportional tax structure is fairer and more efficient in terms of economics, but impedes solution
of social tasks faced by the state. The progressive tax, in its turn, is more
preferable in social terms, but undermines the economic incentives of taxpayers 14.
The possible introduction of a progressive rate for personal income tax is
an extremely topical issue in today’s Russia. The personal income tax is governed by Chapter 23 of the Tax Code. It was introduced in Russia in 2001
to replace a progressive tax rate. The current flat rate of 13% is quite attractive, since it simplifies payment of the tax and reduces administrative costs.
Obviously, the rise of personal income in a country entails the increase of
tax revenue in absolute terms, but not only. At some point, there also arises
the question of raising the tax rate itself. Currently, it is the progressive rate
that is used in most of developed economies. Importantly, the personal income tax is a major federal tax – it is a direct tax that is channelled to regional budgets in full. In terms of government revenue, it occupies the third place after VAT and the corporate tax.
The possible progressive rate of the personal income tax has been on Russia’s political, economic and social agenda since the very date the flat rate
was introduced in 2001 (Chapter 23 of the Tax Code). Back then, both the
decrease of the tax rate (from 30% down to 13%) and the rate’s flat value constituted an extremely important, not to say revolutionary, decision. Furthermore, the decision was viewed upon as quite controversial. However, it resulted in a dramatic increase of funds collected.
14
KROKHINA (ed.), Nalogovoe Pravo Rossii [Tax law of Russia], Moscow, 2011, p. 93.
Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova
337
Today many argue that it is unfair to apply the same 13% tax rate to any
income, big or small. However, we should ask ourselves what results a progressive tax might attain. Russia already experimented with a progressive tax
on personal income. This led to a surge in salaries undeclared to tax authorities – that is, with only part of the income being officially reported and the
other being illegally received in cash (“in envelopes”).
The return to the progressive rate is hardly desirable, because it cannot
be properly administered. Moreover, this will not eradicate the problem of
low wages: for certain groups, both the wages and the taxes will remain minimal. Eventually, this will endanger funding of pension schemes. Therefore, the progressive tax will not contribute to social justice.
The possible architecture of the progressive tax on personal income in
Russia should hinge on three major principles:
1. different approaches for different income levels;
2. income and excessive income should be distinguished;
3. tax brackets should be as small as possible.
Earned income (active income) includes income derived from employment, self-employment, business activity, creative work or any other personal activity of a taxpayer (e.g., salaries, payments under subcontracts, author’s
or patent royalties, etc.). For instance, Israel carried out a tax reform in early
2000s that aimed, inter alia, at directly cutting taxation of income derived
from employment. This was intended to give additional momentum to the
country’s economic activity.
Unearned income (passive income) includes income not linked to a taxpayer’s personal activity (dividends, interest on deposits, rental payments,
gifts, capital gains, lottery winnings, inherited property, expenses exceeding
income, etc.).
Should the adoption of the progressive tax on personal income become
inevitable, we need to contemplate what this tax should look like.
For the purposes of personal income tax, the tax base is calculated for the
entire income a taxpayer receives in money, in kind or as material benefit.
That is why the progressive rate should only be applied to passive income,
with the tax bracket being determined depending on the type of income (gift,
antiquities, property, vehicles, etc.). Meanwhile, the active income should
continue to be taxed at a flat rate of 13%. In this case, the tax brackets for progressive tax on passive income might be 15%, 17%, 19%, 20% and, for excessive income, 25-30%.
338
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
The term “excessive income” implies that it is incomparable to any standard level. The size of such income should be truly enormous and extraordinary. It also seems advisable to break down excessive income in several tax
brackets: 12-120, 120-360, and >360 million roubles per annum 15.
In practical terms, the proportional rate of 13% seems quite attractive,
because it simplified collection of the personal income tax and reduced administration cost 16.
However, progressive taxation is not always fair in social terms. Hence
the proposals to introduce the wealth tax in Russia. For instance, the State
Duma’s Budgeting and Tax Committee brought in Bill No. 66360-6 «On
amending art. 13, Part 1 of the Tax Code of the Russian Federation and
amending Part 2 of the Tax Code of the Russian Federation» in 2012, providing for a new federal tax on luxury items.
According to the bill, the wealth tax shall apply to both legal entities and
physical persons, including sole traders. The taxable items encompass movables (motor cars, aircrafts, helicopters, motor ships, yachts, sail boats, motor boats) and real estate (residential units, land plots). The list does not include property used by a taxpayer to conduct business activity.
Russia’s Ministry of Economic Development offered to impose the wealth
tax on real estate over 1000 square meters and motor cars with engine power
exceeding 200-250 hp. Elvira Nabiullina, former Minister for Economic Development and now Assistant to the President, explained: «[For the purpose of taxation], the area of different facilities owned by a person will not be
put together. For the wealth tax to apply, a person shall have one facility
over 1000 square meters» 17. Nonetheless, it seems wrong to assess financial
welfare of a person based exclusively on one taxable item which, for example,
might be owned by way of inheritance. The law should provide for a comprehensive assessment of a person’s assets. Furthermore, real estate can be
15
CHAYKOVSKAYA, Problemy nalogooblozheniya v rossiyskoy ekonomike (Po materialam
Vserrossiyskoy mezhvuzovskoy nauchno-prakticheskoy konferentsii) [Issues of taxation in Russia’s economy (based on Proceedings of National Intercollegiate Research Conference)],
in Vse dlya bukhgaltera (Accountant’s Toolbox), n. 4, 2011, pp. 7-15.
16
MAKAROVA, Aktualnye problemy nalogovogo prava v Rossii [Topical issues of tax law
in Russia], in Aktualnye problemy pravovogo regulirovaniya ekonomicheskoy deyatelnosti v
Rossii i Kitae [Topical issues of legal regulation of business activity in Russia and China],
St. Petersburg, 2012, pp. 235-242.
17
BARSEGYAN, Roskoshny nalog [The wealth tax], in EZH-Yurist [Lawyer E-Journal],
n. 23, 2012, p. 2.
Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova
339
more adequately valued not in square meters, but by total price of a facility,
because prices in Moscow and in provinces differ dramatically.
Any tax must repay itself – that is, the revenue raised must exceed the tax
authorities’administrative cost. However, there is a question: will the wealth
tax repay itself? One the one hand, the money paid by owners of luxury items
will be quite large and can much contribute to the state’s budget. On the other
hand, we should first ascertain the number of people in possession of luxury
items. Importantly, this number will depend on the notion of “luxury” we will
use as a guideline. If by luxury items we imply premium motor cars and other
extremely expensive property (e.g., villas, yachts, etc.), the number of taxpayers will be quite limited. Moreover, a disproportionately high tax rate will lead
to concealment of property and tax avoidance. In this event, affluent people
may flee the country, as is the case in France and some other EU states.
Meanwhile, a lower tax rate can hardly be truly beneficial for the budget.
Initially, the wealth tax was meant to be imposed on both luxury real estate
and expensive motor cars. However, the tax was eventually applied only to
luxury vehicles (those over 3 million roubles) 18. Effective 1 January 2014, certain motor cars will be taxed using surcharge (multiplier) set forth in Cl. 2,
art. 362 of the Tax Code.
In 2014, taxpayers were to pay surcharge only once per annum, while advance payments were calculated at the standard rate. In 2015, Cl. 2.1 of art.
362 was amended in a major way: legal entities shall now calculate advance
tax payments at the end of each reporting period as ¼ of product of tax base
and tax rate with the surcharge applied.
As early as first quarter of 2015, the advance payments for transport tax
began to be calculated under the following formula:
Tadv = 1/4  TB  TR  S, where:
Тadv – transport tax advance payment;
TB – tax base;
TR – tax rate;
S – “luxury” surcharge (multiplier coefficient).
In order to implement Cl. 2, art. 2 of the Tax Code, Russia’s Ministry of
Industry and Trade adopted a special instrument: Regulations on Determi18
Federal Law n. 214-FZ of 23 July 2013 “On amending art. 362 of Part 2 of the Tax
Code of the Russian Federation” (effective 1 January 2014), Rossiyskaya Gazeta [Russian
Newspaper], n. 161 (25 July 2013).
340
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
ning Average Cost of Passenger Vehicles for Transport Tax Purposes 19. Furthermore, the Ministry shall annually (not later than 1 March) upload the list
of passenger vehicles over 3 million roubles to its official web-site. The recent
list has been uploaded in 2015, and it is significantly larger than the last year’s
one. Currently, it includes 166 models costing 3 to 5 million roubles, 72 models costing 5 to 10 million, and 17 models of the most luxurious vehicles
over 15 million (in 2014, the total number of models was only 191) 20.
3. Conclusions
The analysis of all recent legislative trends characterizing Russia’s legal
system allows to make the following conclusion. The policymakers, regrettably, often confuse such concepts as “economic basis” and “economic justification” of taxes and fees. This confusion is vividly illustrated by the legislator’s specific focus on certain taxable items – in particular, “luxury items”.
Noteworthily, the concept of luxury can be extended to include a larger number of taxpayers, but there is a question: will not it create a burden on the
population that is simply too hard to shoulder? Expectedly, such an extended concept will not include first necessity goods. This is exactly the distinction drawn by Adam Smith in The Wealth of Nations – that is, the necessaries and luxuries of life. However, we should note that the commodity bundle in Russia is much more meagre than in many European states. Therefore, the concept of luxury might well include all goods purchased by those
slightly above the poverty line. Again, it cuts both ways: such approach might result in massive tax avoidance.
In conclusion, we find it appropriate to cite Prof. A. Blankenagel, an advocate of economically sound taxation: «a tax must not create economic obstacles and encourage inadequate expenses or production; nor must it encourage a loss or abandonment of public wealth» 21. That is, the state must
19
Order of the Ministry of Industry and Trade n. 316 of 28 February 2014 “On Adopting Regulations on Determining Average Cost of Passenger Vehicles for Purposes of Chapter 28 of the Tax Code of the Russian Federation”, Rossiyskaya Gazeta (Russian Newspaper), n. 80 [9 April 2014].
20
YAKOVENKO, Avansy po transportnomu nalogu: ‘roskoshnye’ nyuansy [Advance payments of the wealth tax: ‘Luxurious’ nuances], in Informatsionny byulleten Ekspress-bukhgalteriya [Express Accountancy Information Bulletin], n. 13, 2015, p. 15.
21
BLANKENAGEL, Ekonomicheskaya sushchnost naloga i ee pravovoe znachenie [Economic
nature of taxes and its legal meaning], Nalogovoe pravo v resheniyakh Konstitutsionnogo
Irina Alexandrovna Gavrilova, Olga Alexandrovna Makarova
341
exert the least possible influence on economy and people’s private life. This
was noted already by Frederic Bastiat: «We ought to be governed not according to the hidden intentions of the government but according to intentions that are known and approved. It is up to the cabinet to set out, propose, and take the initiative, up to us to judge it, accept or refuse it. But in
order to judge, we need knowledge. He who climbs onto the driving seat
and takes the reins is declaring by this very act that he knows or thinks he
knows the destination to be reached and the route that must be taken. At
the very least he should not keep destination and route a secret from the travellers when these travellers form the whole of a great nation. If there is no
plan, let him judge for himself what he must do. In all eras government calls
for an idea, and this is especially true today» 22.
Suda RF 2008 goda: po materialam VI nauchno-prakticheskoy konferentsii 17-18 aprelya
2009 goda [Tax law in decisions of Constitutional Court of the Russian Federation in 2008:
Proceedings of the 6th Research Conference 17-18 April 2009], S.G. Pepelyaev ed., Moscow,
2010.
22
BASTIAT, Protektsionism i kommunism [Protectionism and Communism], trans. Yu.A.
SHKOLENKO, Chelyabinsk, Sotsium, 2011, p. 283.
342
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
Francesco Montanari
IL DIBATTITO SUL SISTEMA TRIBUTARIO RUSSO:
PROSPETTIVE ITALIANA ED EUROPEA 1
THE DEBATE ON THE RUSSIAN TAX SYSTEM:
ITALIAN AND EUROPEAN PERSPECTIVES
Abstract
Il saggio, partendo da un precedente contributo sul sistema tributario della Federazione russa, si sofferma su talune tradizionali questioni relative ai rapporti tra
Diritto tributario ed economia. In particolare, le imposte sul reddito delle persone fisiche con aliquote proporzionali (c.d. flat tax) – previste dalla federazione
russa – hanno un fondamento fortemente ideologico e non solamente economico. Tuttavia, paiono maggiormente conformi ai valori europei i tributi progressivi.
Parole chiave: flat tax, capacità contributiva, progressività, imposta sul reddito
delle persone fisiche, diritto ed economia
This paper, starting by a previous article on the Russian Federation tax system, focus
on some traditional items concerning the relationships between tax law and economic
principles. Particularly, the personal income taxes with proportional rates (flat tax)
– provided by Russian federation – have an ideological reason and not only economic
one. However, progressive taxes are more in compliance with the European values.
Keywords: flat tax, ability to pay, progressivity, personal income tax, law and economics
SOMMARIO:
1. Premessa. – 2. Capacità contributiva, vincolo del pareggio di bilancio e progressività. – 3. Imposte patrimoniali, flat tax e impatto economico dei tributi. – 4. Conclusioni.
1
Contributo non soggetto a revisione esterna.
344
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
1. Premessa
Il fondamento economico dei tributi, inteso in senso lato, costituisce una
questione che, ciclicamente, interessa gli studiosi del diritto tributario 2 ed è,
da sempre, oggetto di analisi dei più illustri studiosi (giuristi ed economisti).
Il contributo che precede (Taxation in the Russian Federation: Economic
basis and economic justification of taxes and fees) dimostra che il dibattito è tutt’altro che sopito e che la tematica è estremamente ampia ed eterogenea (spaziando dalla capacità contributiva, alle imposte patrimoniali, sino alla flat
tax ed, in generale, all’impatto economico dei diversi modelli impositivi).
Questo saggio, infatti, se, da un lato, mostra taluni evidenti punti di contatto tra l’ordinamento tributario italiano e quello della Federazione Russa,
dall’altro, fa riferimento a modello culturali (non solamente giuridici, quindi) molto diversi da quello italiano ed in netta controtendenza rispetto a quelli della maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.
D’altro canto, anche all’interno di quest’ultima, specie in seguito al recente
allargamento 3, sussistono divergenti concezioni, di fondo, circa il ruolo della fiscalità 4 intesa, da un lato, come possibile fattore per lo sviluppo di valori
diversi dal puro mercato, dall’altro, come mero ostacolo alla concorrenza e,
quindi, alla neutralità degli scambi.
Evidenzia autorevole dottrina che molti dei nuovi Stati membri (che, per
molti versi – non fosse altro che per ragioni storiche e geografiche – sono
equiparabili alla federazione Russa) fanno leva su «modelli economici e so-
2
Prova ne sia anche la pubblicazione del recente contributo del Prof. GALLO, Il diritto e
l’economia. Costituzione, cittadini e partecipazione, in Rass. trib., 2016, p. 287, nonché in Contr.
e Impresa, 2016, p. 616. Per ampie considerazioni sistematiche v., ancora, GALLO, Le ragioni
del fisco, Bologna, 2011.
3
Per un’analisi approfondita di tali problematiche v., in particolare, MATTINA, La protezione dei diritti umani, in AA.VV., La sfida dell’allargamento, a cura di Mattina, Bologna,
2004, p. 145 ss.
4
Osserva BIASCO, I danni della concorrenza fiscale in Europa, in Rass. trib., 2015, p. 120 che
«nella imposizione diretta, la convergenza verso soluzioni comuni dei sistemi nazionali
consiste solo nell’imitazione di istituti introdotti in altri paesi europei, che i singoli paesi
scelgono qua e là in un bricolage discrezionale, visto che la varietà di soluzioni date altrove
rende difficile far riferimento a una costruzione da prendere come benchmark ... Persino sui
principi non vi è uniformità se consideriamo che il principio della progressività dell’imposta personale è disatteso in numerosi paesi che adottano una flat tax. E ciò fa pensare che
lo stesso modello sociale europeo stia diventando un’astrazione che attiene a un numero
limitato di paesi dell’Unione».
Francesco Montanari
345
ciali che pongono in secondo piano il benessere della loro popolazione rispetto alle finalità di accelerazione della crescita economica» 5.
Infatti, la scelta della Federazione Russa (ma, aggiungiamo noi, di molti
Stati dell’est europeo), è stata, fin dai primi anni 2000, quella di prevedere un
sistema fiscale estremamente “leggero” e con interventi pubblici ridotti al
minimo essenziale, con la finalità di incentivare la crescita economica a discapito, ovviamente, dello stato sociale e dell’uguaglianza sostanziale (v. infra).
Tuttavia, l’Unione Europea sembra muoversi proprio in una direzione
opposta 6 e le politiche sociali – inizialmente totalmente estranee alle competenze delle istituzioni europee – sono ritornate al centro dell’attenzione e
del dibattito.
2. Capacità contributiva, vincolo del pareggio di bilancio e progressività
Il codice tributario della federazione russa prevede taluni principi di carattere generale che presentano alcune caratteristiche comuni alla maggior
parte dei paesi europei.
Significativi punti di contatto tra il nostro ordinamento (ma anche, come
detto, di molti paesi dell’Unione) e quello della Federazione Russa riguardano, in particolare, taluni limiti alle forme di prelievo.
Emerge, infatti, che l’art. 3 del codice tributario – e non, quindi, della Costituzione – dispone che i tributi e le prestazioni imposte devono avere un
fondamento economico e non essere arbitrarie.
Appare scontato che l’ampia formulazione del testo normativo ha consentito agli interpreti di attribuire ai principi in esso contenuti una sostanziale
“poliedricità”.
È, in prima battuta, largamente condiviso che il suddetto “fondamento
economico” deve riguardare la posizione soggettiva del contribuente: quindi,
da un lato, il prelievo non può che colpire forme di ricchezza effettiva e concretamente misurabili, dall’altro, non sono ammissibili tassazioni arbitrarie.
5
CLARICH, Profili giuridici della sicurezza economica nell’età della crisi, in Giur. comm.,
2012, p. 357. Sul punto v., da ultimo, soprattutto con riferimento ai possibili conflitti tra diritti costituzionali e diritti UE, l’approfondita analisi di GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa.
I modelli sociali nazionali nello spazio giuridico europeo, Bologna, 2012, p. 169 ss., nonché di
PINELLI, I rapporti economico-sociali fra Costituzione e Trattati europei, in AA.VV., La Costituzione economica Italia-Europa, a cura di Pinelli-Treu, Quaderni Astrid, Bologna, 2010, p. 23 ss.
6
Per considerazioni relative alle politiche europee v. GALLO, Giustizia sociale e giustizia
fiscale nella prospettiva dell’Unificazione europea, in Dir. prat. trib., 2014, p. 10001.
346
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
In altri termini, utilizzando categorie a noi note, è ammissibile la tassazione
di atti, fatti, negozi e beni che esprimano una reale capacità economica e il
legislatore deve individuare i presupposti impositivi secondo un criterio di
ragionevolezza.
Appaiono evidenti le assonanze con il principio di capacità contributiva
in tutte le proprie diverse sfaccettature: sia, dunque, che si propenda per la
tradizionale concezione dello stesso come mera manifestazione di forza economica, sia che si ragioni in termini di criterio di distribuzione razionale del
prelievo 7.
Dalla dottrina russa, tuttavia, sembra che il suddetto “fondamento economico” dei tributi, come detto, abbia una portata ben più ampia e poliedrica nel senso che il legislatore dovrebbe valutare gli effetti micro e macroeconomici del prelievo: inoltre, il gettito dei singoli tributi dovrebbe essere
superiore al costo di “gestione” degli stessi. In altri termini, secondo tali linee
interpretative, sarebbe necessaria l’introduzione di prelievi “efficienti” e che,
dunque, tengano conto degli effetti dell’imposizione.
La critica che, tuttavia, viene mossa dagli autori al legislatore è proprio
quella di non tenere in debita considerazione i principi della dottrina economica: in generale, dunque, viene enfatizzata la tradizionale tensione tra economisti e giuristi “accusati”, questi ultimi, di avere scarse conoscenze delle
problematiche economiche 8.
Anche tale approccio – improntato, sostanzialmente, al contenimento della spesa – appare in linea con le politiche europee e nazionali, sempre più incentrate sull’equilibrio di bilancio 9. Si pensi al novellato art. 81 Cost. italiana ove è stato espressamente codificato, nel contesto del c.d. Fiscal Compact, il principio del “pareggio di bilancio” secondo cui «lo Stato assicura
7
Per le diverse ricostruzioni v., da ultimo, GIOVANNINI, Ripensare la capacità contributiva,
in Dir. prat. trib., 2016, I, p. 10015; STEVANATO, La giustificazione sociale dell’imposta. Tributi e
determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bologna, 2014; AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, a cura di Melis-Salvini, Padova, 2014.
8
Su tali profili v. l’autorevole saggio di CHIASSONI, Modelli economici e scienza del diritto: considerazioni introduttive, in Arsinterpretandi, 2014, p. 7.
9
Sul punto v., tra gli altri, BILANCIA, Note critiche sul cd. “Pareggio di Bilancio” retro, 2012,
p. 349; FRANSONI, Stato di diritto, diritti sociali, libertà economica e principio di capacità contributiva (anche alla luce del vincolo del pareggio di bilancio), in Riv. dir. trib., I, 2013, p. 1049;
CABRAS, Pareggio di bilancio, in AA.VV., Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma,
2013, p. 301. Per interessanti considerazioni, anche con riferimento alle diverse “funzioni”
della spesa pubblica v. anche, da ultimo, MURARO, Etica e spesa pubblica, in Neotera, n. 2,
2015, p. 55.
Francesco Montanari
347
l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle
fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico» e «ogni legge che
importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte».
La vera e macroscopica differenza, tuttavia, tra il modello di tassazione
della federazione russa e quello previsto dall’Italia (nonché, tendenzialmente, dagli altri principali paesi europei), è la totale mancanza di riferimenti alla “progressività” del sistema tributario 10: tanto più che, come si osserverà in
seguito (v. infra, par. III), l’imposta sul reddito delle persone fisiche è caratterizzata da un’unica aliquota proporzionale del 13%.
Da tale circostanza emerge, chiaramente, un’importante diversità sul piano economico-sociale e culturale, in quanto la progressività è, generalmente, considerata «il cardine dell’equità tributaria inteso come uguaglianza
nella redistribuzione verticale degli oneri e quindi, come strumento di riduzione delle differenze tra le situazioni di ciascun consociato» 11. Ciò a conferma del fatto che molti paesi antepongono la crescita economica rispetto
agli obiettivi tipici dello Stato sociale, in un’ottica diametralmente opposta
rispetto a quella italiana ed europea.
3. Imposte patrimoniali, flat tax e impatto economico dei tributi
Ciò che caratterizza in modo peculiare, come accennato, il sistema tributario della Federazione Russa è l’imposizione proporzionale sulle persone
fisiche (c.d. Flat tax) 12, introdotta, peraltro, anche da altri paesi dell’Est europeo 13.
10
Con specifico riferimento al profilo della progressività, GIOVANNINI, Il limite quantitativo all’imposizione nel principio costituzionale di progressività, in Rass. trib., 2015, p. 1340;
ID., Equità impositiva e progressività, in Dir. prat. trib., 2015, p. 10675; ID., Il re fisco è nudo,
Milano, 2016.
11
GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2013, p. 330.
Sulla valenza giuridica, oltre che ideologica, del principio di progressività v. anche MARONGIU, La concezione etica del tributo, in Neotera, n. 2, 2015, p. 17.
12
Su tali profili, oltre alla bibliografia già citata, v. ancora GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, cit., p. 321. Sullo specifico profilo della flat tax e sul dibattito che si è venuto a creare nel corso degli anni v., per tutti, SCHIAVOLIN, Flat tax, equa tassazione de reddito e principio di progressività, in Riv. dir. trib., 2006, I, p. 291. Per un approccio estremamente critico v., da ultimo, LUPI-SBROIAVACCA, Flat Tax tra esperienze poco indicative e utile
provocazione, in Dialoghi trib., 2015, p. 19.
13
Per un interessante excursus delle diverse teorie economiche relative alla flat tax, proprio con riferimento ai paesi dell’est europeo v. VILLANI, La flat tax, l’Europa e i paesi dell’Est,
348
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
Come è noto, la c.d. flat tax rappresenta una tematica “classica” (e, per
molti versi, politica) nell’ambito del dibattito tra progressività e proporzionalità dell’imposizione e, come si è evidenziato, «la reazione dei vecchi membri dell’Unione europea è stata di allarme e contrarietà» 14.
In estrema sintesi, nella dottrina economica i vantaggi dell’imposizione
proporzionale sulle persone fisiche vengono individuati in un aumento della base imponibile (con conseguente aumento del gettito) ed in una semplificazione con riferimento alla attuazione dei tributi (e, quindi, ad un abbattimento dei costi di gestione di questi ultimi). Anche dall’articolo che
precede emerge che l’introduzione, nella Federazione Russa, di una imposta proporzionale del 13% ha determinato un significativo aumento delle
entrate tributarie e che, pur essendo vivo il dibattito sul trade off tra proporzionalità e progressività, non sembrano esservi ragioni, dal punto di vista economico, per modificare l’attuale sistema. D’altro canto, come si è
posto in luce, «il movente più importante che ha indotto i governi dell’Est
europeo a decidere per primi per la riforma è stato, senza dubbio, l’esigenza
di ridurre il divario con l’occidente mirando a tassi di crescita del PIL stabili e sostenibili» 15.
Posto che, tuttavia, non paiono sussistere inequivocabili evidenze empiriche circa gli effetti diretti della flat tax sull’aumento del PIL e del gettito
nonché sulla diminuzione dell’elusione 16 e dell’evasione fiscale 17, ovviamente, la scelta dei diversi modelli impositivi 18 dipende da radicali scelte sociali
e culturali di fondo 19.
in Riv. dir. trib. int., 2011, p. 395. Sul punto v. MAKSIMOVSKA-VELJANOVSKI-PENDOVSKA-NESHOVSKA KJOSEVA, Open Door Tax Policy for Foreign Direct Investments in South Eastern Europe: Tax Incentives and Flat Tax in Action, in Intertax, 2015, p. 730. Con specifico riferimento alla riforma della Slovacchia v. l’approfondito lavoro, anche in chiave di impatto economico, di REMETA-PERRET, JAREŠ-BRYS, Moving Beyond the Flat Tax – Tax Policy Reform in the
Slovak Republic, OECD Taxation Working Paper, n. 22, 2015. Sulla flat tax v. anche OWENS,
Flat Taxes: Myths and Realities, in Bulletin for International Taxation, 2013, p. 679.
14
VILLANI, op. cit., p. 397.
15
VILLANI, op. cit., p. 395. Sulle esperienza negative, in termini di effetti sul rapporto tra
gettito fiscale e PIL v. LUPI-SBROIAVACCA, op. cit.
16
Sul punto, anche per l’ampia bibliografia ivi citata, SCHIAVOLIN, op. cit., p. 296.
17
Sulle ragioni della evasione e dell’elusione v. l’interessantissimo lavoro di ZUCMAN,
The hidden wealth of nations, Chicago, 2015.
18
Sull’impatto economico dei diversi livelli di tassazione v. KAPLOW, The theory of taxation
and public economics, Princeton, 2011; SALANIÈ, The economic of taxation, Cambridge, 2011.
19
Su tali profili v. i diversi ed interessanti contributi contenuti in AA.VV., Philosofical exploration of Justice and Taxation, a cura di Gaisbauer-Schweiger-Sedmak, Springer, 2015.
Francesco Montanari
349
Il limite dei modelli economici, individuato anche dalla dottrina, è proprio quello di essere dei modelli, spesso privi di risultanze di tipo empirico e,
comunque, troppo legati ad istanze puramente ideologiche. Peraltro, come
accennato, dalla letteratura economica emergono dati di segno diametralmente opposto rispetto all’entusiasmo manifestato dai fautori della flat tax. Si
è, infatti, osservato – a diversi anni dalla riforma – che, sulla base di risultanze tecnico-statistiche «the Russia’s flat tax reform was quite revolutionary because it involved a large country and because it affected many people, not only
the rich. But beyond the excitement Russia’s flat tax reform has generated, so far
very little solid evidence has been provided on its impact on tax evasion or real
economic activity» 20.
D’altro canto, anche la moderna dottrina economica è alla continua ricerca di modelli impositivi che tengano conto, sia degli effetti distorsivi dei
tributi, sia dei (ritenuti necessari) effetti redistributivi che devono “mitigare” una logica meramente egoistica e neo-liberista del prelievo fiscale 21.
Gli stessi studiosi di Law & Economics 22 – movimento di pensiero saldamente ancorato proprio a modelli “ultra liberisti” 23 – hanno recentemente
20
GORODNICHENKO-MARTINEZ VAZQUEZ-SABIRIANOVA PETER, Myth and Reality of Flat
Tax Reform: Micro Estimates of Tax Evasion Response and Welfare Effects in Russia, in Journal of Political Economy, 2009, p. 504.
21
Notevoli spunti nei modelli economici proposti da FARHI-WERNING, Estate Taxation
with Altruism Heterogenity, in The American Economic Review, 2013, p. 489. Interessanti
considerazioni “critiche” rispetto ai modelli tradizionali in MANKIW, Defending the one percent, in The Journal of Economic Perspectives, 2013, p. 21. Su tali profili v. lo stimolante lavoro di HOLMES-SUNSTEIN, The costs of rights: why liberty depends on taxes, New York, 1999,
tradotto in Italia nel 2000 per i tipi de Il Mulino. Sui diversi impatti della flat tax v., anche
GASTALDI-SALVEMINI, Una proposta per ridisegnare la curva delle aliquote marginali dell’imposta personale sul reddito, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, I, p. 3.
22
Tra i più rilevanti contributi teorici ci limitiamo a rinviare ai noti e classici contributi di
KAPLOW, Rules Versus Standards: An Economic Analysis, in Duke Law Journal, 1992, p. 557;
POSNER, Economic Analysis of Law, New York, 1998; WEISBACH, Formalism in the Tax Law, in
Chicago Law Review, 1999, p. 860. Per un’ampia disamina delle diverse scuole di pensiero v.,
nella dottrina italiana, A. AMATUCCI, Il contributo dell’Economic Analysis of Law alla metodologia del diritto tributario, in AA.VV., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, 2012, p. 17.
23
Sul punto v. l’autorevole ed efficace contributo di DENOZZA, Il modello dell’analisi economica del diritto: come si spiega il tanto successo di una tanto debole teoria?, in Arsinterpretandi,
2013, p. 43. Del medesimo autore, su tale tematica, Norme efficienti: l’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, 2002; ID., Diritto e potere in un mondo senza costi di transazione:
un saggio sulla funzione legittimante della normativa Coasiana, in Riv. dir. priv., 2009, p. 31;
ID., Norme, principi e clausole generali nel diritto commerciale: un’analisi funzionale, in Riv. crit.
dir. priv., 2011, p. 392 ss.
350
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riconosciuto i limiti insiti nell’analisi economica del diritto pura con riferimento al diritto tributario 24. La tradizionale “efficienza economica” viene
oggi, altresì, analizzata non più solamente in termini di minor “effetto distorsivo” ma anche di maggiori effetti redistributivi.
In buona sostanza, la dicotomia tra interventismo statale e liberismo – che
tanto influenza, ovviamente, anche il diritto tributario e le scelte dei legislatori – non può più essere netta ed inequivocabile.
Gli stessi autori del saggio che precede, pur esprimendo un giudizio sostanzialmente favorevole sulla Flat Tax, si pongono il problema delle possibili iniquità del sistema e, dunque, propendono per diversi “correttivi”
(maggiormente nella logica della progressività) e, soprattutto, per l’introduzione di apposite imposte patrimoniali 25 sui beni ritenuti di lusso, con ulteriori distinzioni tra redditi normali ed excessive income. D’altro canto, è noto
che sono ipotizzabili vari e variegati modelli impositivi che spaziano dalla
previsione di meccanismi di esenzione per fasce di reddito e di specifiche
deduzioni fino, per l’appunto, all’abbinamento alla flat tax di forme di prelievo patrimoniali.
Anche l’Italia non è stata (e non è), certamente, estranea al dibattito in
questione.
Basti pensare all’art. 3 della legge delega n. 80/2003 – il quale, notoriamente, non ha trovato attuazione – che aveva l’obiettivo «di ridurre a due le
aliquote dell’imposta sul reddito, rispettivamente fino al 23 per cento fino a
100.000 euro e al 33 per cento oltre tale importo».
Inoltre, negli ultimi anni, anche in ragione della dilagante crisi economica 26 che ha sensibilmente acuito le disuguaglianze sociali, si è riacceso, sia a
livello politico, sia dottrinale 27, un significativo dibattito circa l’opportunità
24
Sul punto v., per tutti, lo straordinario contributo di RASKOLNIKOV, Accepting the limits of tax law and economics, in Cornell Law Review, 2013, p. 523.
25
Sulla possibilità di introdurre tipologie di flat tax accompagnate a “robuste imposte
patrimoniali” v. GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, cit., p. 332.
26
Per interessanti considerazioni di carattere economico, anche con riferimento alla flat
tax v. BERNARDI, Economic crisis and taxation in Europe, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2011, I, p. 175.
27
Sul punto v., in particolare, GIOVANNINI, Il limite quantitativo all’imposizione nel principio costituzionale di progressività, in Rass. trib., 2015, p. 1340; LUPI-STEVANATO-CERMIGNANI, La patrimoniale: un dialogo sussidiario al di là degli slogan, in Dialoghi trib., 2015, p.
265; MARELLO, Diseguaglianza, consenso, visibilità: riflessioni sull’introduzione di un’imposta
generale sul patrimonio, in Rass. trib., 2014, p. 1069; GIOVANNINI, Imposizione patrimoniale
e capacità contributiva, in AA.VV., L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità
contributiva, a cura di Melis-Salvini, Padova, 2014, p. 270; MARINI, Le nuove imposte patri-
Francesco Montanari
351
di ricorrere a forme di imposizione patrimoniale e sui consumi di beni ritenuti “di lusso” 28. Tuttavia, gli interventi normativi sono stati contingenti,
“pulviscolari” ed asistematici.
4. Conclusioni
Come si è osservato chiaramente «l’imposizione progressiva produce un
effetto che altre forme di tassazione, ad iniziare dalla flat tax, non possono
produrre: l’effetto di togliere più che proporzionalmente a chi più ha, per distribuire, con le leggi di spesa, a chi meno ha» 29.
Quindi, al di là di tutti gli innegabili limiti che presenta l’imposizione progressiva 30, essa oggi pare l’unica forma di prelievo compatibile con i principi
ed i valori che caratterizzano il nostro ordinamento e quello europeo: in altri termini, pur essendo tante (e spesso fondate) le suggestioni che provengono dall’economia e dalla politica circa un modello di imposizione sul reddito delle persone fisiche meramente proporzionale, l’unica strada percorribile sembra quella di una sostanziale modifica del regime vigente. Non può,
infatti, essere abbandonato il brocardo – evocato da autorevole dottrina 31 –
«“aliquote di imposta più elevate per alti redditi”, a vantaggio dell’altro, tanto di moda e tanto più comodo, “dalle persone alle cose”».
La questione è, dunque, forse quella della rimodulazione delle aliquote,
del meccanismo delle detrazioni e delle deduzioni e, quindi, di una sostanziale modifica della base imponibile delle imposte sulle persone fisiche.
Peraltro, anche nel saggio che precede, gli autori, consci, come detto, della
moniali, in Treccani. Il Libro dell’anno del diritto, Roma, 2013; GALLO, Le ragioni del fisco,
Bologna, 2009; MARELLO, Contributo allo studio delle imposte patrimoniali, Torino, 2006. Da
ultimo, anche per ampie considerazioni di carattere sistematico, v. STEVANATO, La giustificazione sociale dell’imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Bologna, 2014.
28
Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al settore del “trasporto aereo privato”
nell’ambito del quale sono stati introdotti specifici tributi ma di scarsa rilevanza. Sul punto
sia concesso rinviare a MONTANARI, I contratti del trasporto aereo nel sistema tributario italiano, in AA.VV., I trasporti nel sistema tributario italiano ed europeo, a cura di Del FedericoVerrigni, Padova, 2015.
29
GIOVANNINI, Equità impositiva e progressività, cit., p. 10678.
30
Per taluni spunti su tale tematica v. DEL FEDERICO, La giustificazione etica e costituzionale dei tributi paracommutativi, in Neotera, n. 2, 2015, p. 47.
31
GALLO, Ancora in tema di uguaglianza tributaria, cit.
352
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eventualità di passare ad un sistema progressivo, propongono diversi modelli di tassazione maggiormente incentrati sulla equità e sulla uguaglianza sostanziale.
D’altro canto, anche la ricerca di forme di prelievo che tengano conto, sia
delle esigenze strettamente economiche, sia dei valori di solidarietà che caratterizzano i paesi europei può “stemperare” la tradizionale tensione tra economisti e giuristi.
Come scriveva Guido Calabresi, «if lawyer-economists do not make the mistake of claiming too much for what they are doing, and if they are willing to work
at defining and analyzing pretty good instruments leading toward the just society,
philosophers ought not be troubled» 32.
32
CALABRESI, About Law and Economics: A Letter to Ronald Dworkin, in Hofstra Law Review, 1980, p. 561.
Carlos María López Espadafor
REVISIÓN DE LOS PARÁMETROS ESENCIALES
DE LA SOBERANÍA FISCAL INTERNACIONAL
REVISIONE DEI PARAMETRI ESSENZIALI
DELLA SOVRANITÀ FISCALE INTERNAZIONALE
REVISING THE ESSENTIAL PARAMETERS
OF INTERNATIONAL TAX SOVEREIGNTY
Abstract
La evolución sufrida por la soberanía fiscal internacional hace necesario estudiar
la validez de las tradicionales normas generales del Derecho Internacional Tributario. Se debe analizar la vigencia de los principios tradicionales del Derecho Internacional Tributario, en atención a la importante evolución de éste. Se trata de
una disciplina internacional en constante evolución, pero que, sin embargo, nunca ha estado bien estructurada dogmáticamente, de ahí la especial importancia
del análisis de las cuestiones apuntadas.
Parole chiave: soberanía fiscal internacional, Derecho Internacional Tributario,
normas tradicionales, evolución, análisis
L’evoluzione subita dalla sovranità fiscale internazionale rende necessario studiare la validità delle regole tradizionali del diritto tributario internazionale. Occorre, quindi, analizzare l’idoneità e l’attualità dei principi tradizionali del diritto tributario internazionale, alla luce della propria importante evoluzione. Si tratta, infatti, di una disciplina internazionale in continua evoluzione, ma che non è mai
stata ben strutturata dal punto di vista dogmatico: da questi aspetti ne consegue
la particolare importanza dell’analisi delle summenzionate questioni.
Parole chiave: sovranità fiscale internazionale, diritto tributario internazionale,
regole tradizionali, evoluzione, analisi
354
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
The evolution undergone by the international tax sovereignty makes it necessary to
study the validity of the traditional rules of international tax law. It must be analysed
the validity of the traditional principles of international tax law, in view of its important evolution. It is an international discipline in constant evolution, but which has
never been well structured dogmatically: from these aspects it follows the particular
importance of analysis of the abovementioned issues.
Keywords: international fiscal sovereignty, international tax law, traditional rules,
evolution, analysis
SOMMARIO:
1. Visión global del fenómeno tributario internacional. – 2. Los textos normativos en materia
de fiscalidad internacional y los principios generales rectores de la misma. – 3. Estructura del
Derecho Internacional Tributario. – 4. Derecho Internacional Tributario versus Derecho Tributario Internacional. – 5. La soberanía. – 6. La posible toma en consideración de la idea de
justicia tributaria desde la perspectiva de las relaciones fiscales internacionales: la disciplina europea. – 7. Selección de los elementos más significativos de la fiscalidad internacional. – 8. Apunte
conclusivo.
1. Visión global del fenómeno tributario internacional
Ante una realidad social, internacional y jurídica como es el fenómeno
tributario internacional, resulta bastante complejo articular la disciplina a la
que sirve de objeto tal realidad.
La construcción de la fiscalidad internacional como subdisciplina dentro
del Derecho Tributario, en las últimas décadas, parece haberse realizado a
golpe de norma particular o cuestión concreta. Con el tiempo se ha ido perdiendo la preocupación por una visión “global” de todos los problemas del
Derecho Internacional Tributario. Más allá del Modelo de la OCDE de
convenio internacional para evitar la doble imposición en materia de impuestos sobre la renta y el patrimonio y prevenir el fraude fiscal – y el ya casi
olvidado Modelo, también de la OCDE, de convenio internacional para evitar la doble imposición en materia de impuestos sobre sucesiones y donaciones –, de la jurisprudencia en materia tributaria del Tribunal de Justicia de
la Unión Europea, de las grandes cuestiones de la armonización fiscal y así
de las principales directivas comunitarias en materia impositiva, a parte de
algún otro texto internacional, en ocasiones de la OCDE, por ejemplo tam-
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bién en materia de lucha contra el fraude, o en otros ámbitos de la Unión
Europea, sobre diversas cuestiones, no existe una preocupación por delimitar una construcción global y armónica de los grandes principios de la fiscalidad internacional y por la estructuración dogmática del Derecho Internacional Tributario.
Cuando no existían aún las Comunidades Europeas, luego Unión Europea, cuando no existían tantos convenios internacionales en materia tributaria, esencialmente desde inicios hasta mediados del siglo pasado, la doctrina
tributaria y la doctrina internacional se preocupaban en mayor medida por
buscar otros instrumentos de actuación y delimitación normativa internacional, que no podían ser otra cosa que la búsqueda de si existían principios
generales, normas generales o costumbres internacionales aplicables al Derecho Internacional Tributario. Se preocupaba la doctrina por la búsqueda
de un derecho Internacional General en materia tributaria.
Bien es cierto que la modernidad del sistema tributario de un Estado en
materia de fiscalidad internacional viene marcada por el número de convenios internacionales de carácter fiscal que firme dicho Estado, pero esto no
debe hacer desaparecer la preocupación por la búsqueda de si existen o no
principios generales de Derecho Internacional aplicables a los Estados en
materia tributaria, más allá de su consentimiento expreso, como reglas dejuelo esenciales en la Comunidad o Sociedad Internacional.
Existen algunos Estados con los que no ha funcionado la vía de los convenios internacionales, precisamente porque no firman tal tipo de convenios; son esencialmente los paraísos fiscales, que en gran medida se puede
decir que viven económicamente de eso, de estar aislados en materia fiscal,
de no firmar convenios en materia tributaria, de ser opacos fiscalmente, de
encubrir el fraude fiscal realizado en perjuicio de otros muchos Estados soberanos.
Digamos que en este campo, después de tantos años, la OCDE, la Unión
Europea, incluso la actuación de Estados Unidos, en cierto modo se puede
decir que ha fracasado y los paraísos fiscales siguen existiendo como tales en
perjuicio de otros Estados.
A veces, tales paraísos, son territorios sometidos a la soberanía de algún
Estado desarrollado, con lo que la evolución de los problemas en elación a
los mismos puede ser mucho más esperanzadora, por la presión a ejercer
sobre dicho Estado.
El problema puede estar en mayor medida en relación a aquellos territorios con soberanía propia como Estados, que sean paraísos fiscales, siempre
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que no estén sometidos o necesitados de una fuerte vinculación con otros
Estados que puedan ejercer una fáctica presión sobre ellos en tal sentido,
que ayude a acabar con su actuación como paraísos fiscales.
Pero precisamente en relación a tales “pequeños” paraísos fiscales que
tienen que defender su identidad como Estados soberanos, si en cierta medida la OCDE y la Unión Europea han fracasado en su propósito, quizás sea
ahora la oportunidad o momento de entrar en escena al efecto en mayor
medida para Naciones Unidas, que es la organización internacional – más
global – que precisamente se puede presentar como la mayor garante de su
identidad como Estados independientes.
Con ello, más que nunca, es necesaria la delimitación y estructuración clara de los principios generales del Derecho Internacional Tributario.
2. Los textos normativos en materia de fiscalidad internacional y los principios generales rectores de la misma
El tipo de texto normativo más frecuente dentro del Derecho Internacional Tributario aparece constituido, sin duda alguna, por los convenios bilaterales para evitar la doble imposición internacional en materia de impuestos
sobre la renta y el patrimonio y evitar el fraude fiscal, realizados siguiendo el
Modelo de la OCDE. Este tipo de convenios se ha impuesto en las relaciones fiscales internacionales entre cualquier clase de Estados, creándose una
gran red de convenios bilaterales, que otorga seguridad jurídica ante el fenómeno fiscal en las relaciones e inversiones económicas internacionales.
A pesar de que algunos otros organismos internacionales, especialmente
Naciones Unidas, han creado otro tipo de modelos de convenio bilateral para
evitar la doble imposición pensando en las relaciones entre países desarrollados y países en vías de desarrollo, tales modelos alternativos no han conseguido el desarrollo esperado. Al final, entre los países desarrollados y los
países en vías de desarrollo se terminan firmando también convenios bilaterales para evitar la doble imposición internacional siguiendo el Modelo de la
OCDE. Ello a pesar de que este Modelo está pensando en convenios entre
dos Estados con inversiones recíprocas; al final se terminan firmando también entre dos Estados de los que sólo uno exporta capital al otro, con el
consiguiente desequilibrio que esto conlleva. Tal situación sólo se puede
explicar tomando en consideración los efectos de la globalización.
Por ello, debemos fijarnos en las otras dos grandes ramas del Derecho In-
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ternacional Tributario, es decir, en el Derecho de la Unión Europea en materia tributaria y, especialmente, en el Derecho Internacional General en
esta misma materia. Este último debería revitalizarse para proteger los intereses de los Estados menos favorecidos en la negociación de convenios internacionales bilaterales.
El Derecho Internacional General estaría compuesto por principios generales y costumbres internacionales. Obviamente, su alcance es mucho menor que el de otras ramas del Derecho Internacional Tributario. Pero habría
que plantearse hasta qué punto el desarrollo de la globalización puede conseguir que algunas reglas en las relaciones tributarias internacionales se
conviertan en normas de Derecho Internacional General, más allá del consentimiento expreso de los Estados. De ahí la necesidad de redefinir el Derecho Internacional General en materia tributaria.
3. Estructura del Derecho Internacional Tributario
La contemplación de la incidencia del Derecho de origen internacional
en materia tributaria normalmente se realiza desde dos perspectivas distintas. De un lado, se encuentra la perspectiva del Derecho Internacional Convencional, es decir, la relativa a los convenios internacionales que afectan a
esta materia. De otro, nos encontramos con la del Derecho Comunitario
Europeo (o, actualmente, Derecho de la Unión Europea), donde, junto al
Derecho Comunitario originario, nos encontramos con el Derecho Comunitario derivado. El primero de estos dos, el Derecho Comunitario originario, está compuesto por Tratados, por lo que en su esencia podría encuadrarse dentro del Derecho Internacional Convencional; lo que sucede es
que estos acuerdos entre los Estados miembros de la Unión Europea tienen
un contenido de atribución competencial a ésta, que sitúa a tales Tratados a
un nivel que está muy por encima de los tradicionales convenios en materia
tributaria. Por otra parte, el Derecho Comunitario derivado está compuesto
por los actos normativos de las instituciones comunitarias. Al Derecho Comunitario, después del Tratado de Lisboa, resultaría más riguroso llamarlo
Derecho de la Unión Europea, pero la denominación de Derecho Comunitario ha calado de tal manera en la tradición jurídica que es difícil prescindir
de ella en la práctica.
El Derecho Internacional Convencional en materia tributaria se compone esencialmente de convenios para evitar la doble imposición internacio-
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nal, en casi su inmensa totalidad bilaterales. De todos modos, disposiciones
de naturaleza tributaria las podemos encontrar en otros tipos de convenios
internacionales, aun no estando dedicados esencialmente a la materia tributaria.
En el ámbito del Derecho Comunitario nos encontramos con distintos
campos de incidencia en materia tributaria: de un lado, nos encontramos
con el campo de la armonización fiscal comunitaria, que intenta aproximar
las legislaciones tributarias de los distintos Estados comunitarios en determinadas materias; de otro, nos encontramos con los recursos comunitarios
de naturaleza tributaria, como fuente de financiación comunitaria; por último, nos encontramos con la cooperación en la aplicación de los tributos
impuesta a los Estados miembros por las instituciones comunitarias. Este
tercer campo de incidencia del Derecho Comunitario, es decir, estos deberes de colaboración entre Administraciones tributarias a veces afectan a tributos propios comunitarios y en ocasiones a impuestos estatales armonizados, con lo cual en muchos casos esta labor de cooperación administrativa
podría quedar incluida en alguno de los dos ámbitos señalados anteriormente, o sea, en el de los recursos propios de naturaleza tributaria o en el de
la armonización fiscal. Pero esta actuación normativa de la Unión Europea
consistente en imponer a los Estados miembros un deber de colaborar entre
ellos para la aplicación de los tributos, a veces afecta también a impuestos
que ni son recursos propios de aquélla, ni son impuestos armonizados conforme a directivas comunitarias. En función de ello, en este caso ya estaríamos ante un tercer campo distinto de los anteriores, salvo que con ello entendamos que lo que se está realizando es una labor de armonización fiscal
en el plano formal, es decir, no en el plano de los elementos materiales o sustantivos de los impuestos, sino en el de su aplicación efectiva o formal.
Resulta lógico, por su importancia práctica, que la atención de la doctrina tributaria en relación al Derecho Internacional se haya centrado en los
dos ámbitos apuntados; de un lado, en los convenios internacionales para
evitar la doble imposición y, de otro, en la incidencia del Derecho Comunitario Europeo en materia tributaria. Pero en el esquema de fuentes del Derecho Internacional no debemos perder de vista la costumbre internacional
y los Principios Generales del Derecho, que conforman lo que se podría denominar el Derecho Internacional General, en cuanto normas aplicables a
cualquier Estado con independencia de la prestación o no de su consentimiento directo a las mismas, como normas consolidadas en el devenir y
formación de la Comunidad Internacional.
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Obviamente, en una materia como la tributaria, tan vinculada a la política económica de cada Estado, la incidencia del Derecho Internacional General es mucho menor que la del Derecho Internacional Convencional y
que la del Derecho Comunitario Europeo. Esto no quita que se le deba prestar cierta atención a la incidencia, aunque escasa en su extensión, pero no
en su importancia, que el Derecho Internacional General pueda tener en materia tributaria.
Ello se debe hacer desde dos perspectivas distintas. De un lado, intentando localizar si existe, aunque sea difícil de concretar, alguna norma de
Derecho Internacional General que afecte específicamente al ámbito tributario. De otro, analizando la forma en que algunas ideas y principios de Derecho Internacional General, aunque no específicamente tributarios, pueden afectar a la mecánica de aplicación impositiva, desde la contemplación
de los intereses de distintos Estados.
De todas maneras, todo lo expuesto no responde a compartimentos estancos o incomunicados, sino que la interrelación entre los distintos grupos o
tipos de normas es tan permeable e interdependiente como en el resto de
ramas del Ordenamiento jurídico. Fijémonos, por ejemplo, en los distintos
tipos de normas que se pueden distinguir dentro del Derecho Comunitario
Europeo en materia tributaria e intentemos aplicarlos al régimen fiscal de
los funcionarios y otros agentes de la Unión Europea. En el artículo 12 del
Protocolo sobre los privilegios e inmunidades de la Unión Europea, de 8 de
abril de 1965 – modificado por el Tratado de Lisboa –, se establece al mismo
tiempo la exención de los rendimientos obtenidos por aquéllos como consecuencia de su trabajo para las instituciones comunitarias y la sujeción de
tales rendimientos a un impuesto sobre los sueldos, salarios y emolumentos
de los funcionarios y otros agentes de la Unión Europea, de los que es beneficiaria ésta y que se recauda simplemente a través de retenciones sobre dichos rendimientos del trabajo, en función del montante anual que recibe el
funcionario y del número de hijos bajo su dependencia. De un lado, la exención referida evita la doble imposición que, de no existir este beneficio fiscal,
se daría entre los impuestos estatales sobre la renta y el citado impuesto
comunitario; la norma que establece esta exención en los impuestos estatales, aunque forma parte del Derecho Comunitario originario se parecería
más bien a las normas de armonización fiscal comunitaria, si bien estas últimas suelen ser de Derecho Comunitario derivado, es decir suelen derivar
de las instituciones comunitarias. De otro lado, la norma que establece el
citado impuesto comunitario se podría entender más bien comprendida en
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el bloque normativo de los recursos propios comunitarios, si bien no representa un elemento esencial en la financiación comunitaria – su existencia se
fundamenta en otras razones – y no aparece contemplado en las Decisiones
sobre el sistema de recursos propios comunitarios. De esta forma, se trataría
de un ejemplo de tema donde se interrelacionan los bloques normativos individualizados anteriormente.
4. Derecho Internacional Tributario versus Derecho Tributario Internacional
Señalaba Fedozzi que la experiencia demuestra que la partición del Derecho Internacional en base a las mismas categorías del Derecho interno ha
sido muy útil desde el punto de vista sistemático y sustancialmente fecunda
de incremento científico, lo que era presentado por este autor como legitimación de la división que hace dentro del Derecho Internacional, incluyendo el “Derecho internacional tributario” entre sus ramas 1.
Partiendo de la inexistencia de verdaderas relaciones tributarias entre
Estados en cuanto tales – o sea, en cuanto sujetos de Derecho Internacional
en el ejercicio de su personalidad internacional – y de la falta de carácter tributario en las contribuciones financieras de los Estados a las organizaciones
internacionales, llegaba Udina a la conclusión de que no se podía hablar de
la existencia de un verdadero y propio «derecho internacional tributario».
No obstante, para este autor no se podía prescindir de tal denominación y
así, según él, el concepto de Derecho Internacional Tributario podía ser entendido en sentido más amplio como comprensivo de las normas del Ordenamiento internacional que conciernen de un modo u otro al ejercicio del
Poder Tributario de los Estados, considerando las relaciones tributarias en
cuanto desarrolladas no entre los mismos Estados, sino entre cada Estado y
las personas físicas o jurídicas dependientes de éste y, así pues, solamente
como objeto indirecto y mediato de las normas internacionales. Destacaba
este autor que como distinto de éste se presenta el «derecho tributario internacional», constituido por las «normas tributarias internas relativas a las
relaciones con el extranjero» 2.
Pero Udina, en relación a la problemática de las normas internacionales
en materia tributaria, no se limitó a individualizar una rama del Derecho In1
2
FEDOZZI, Corso di Diritto Internazionale, I, Padova, 1931, pp. 37-38.
UDINA, Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949, pp. 16-31.
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ternacional llamada Derecho Internacional Tributario. Este autor también
propuso la creación de un “Tribunal fiscal internacional”, que tendría por
competencia conocer de las controversias entre Estados relativas a las normas internacionales en materia tributaria – y de las cuales puede conocer el
Tribunal Internacional de Justicia –, proponiendo, además, en la delimitación ideal de tal Tribunal fiscal internacional, la posibilidad de plantear recurso ante el mismo también por parte de los particulares 3.
Posteriormente, el mismo Udina, en relación a los tributos que las organizaciones internacionales exigen a sus funcionarios, afirmaba que en estos
casos «se puede ya hablar de un verdadero y propio derecho internacional
tributario, que implica una manifestación de potestad de imperio de carácter tributario, fundada sobre el derecho internacional, entre sujetos internacionales que se encuentran respectivamente en posición de superioridad y de dependencia» 4. En esta sede, este autor hablaba de una relación
entre «sujetos internacionales», pero debemos tener en cuenta que un funcionario de una organización internacional no tiene personalidad jurídica
internacional.
Más estricto se muestra en su planteamiento G. Tesauro, quien señala
que sólo si se pudiese reconocer la naturaleza tributaria de las contribuciones de los Estados a las organizaciones internacionales se podría correctamente hablar de Derecho Internacional Tributario y no en ningún otro caso. Tampoco para este autor el fenómeno de las contribuciones financieras
de los Estados miembros a las organizaciones internacionales presenta naturaleza tributaria 5.
Por otra parte, basándose en el dato de que las normas internacionales
influyen y condicionan el Derecho interno en materia tributaria y dado que
dentro del Derecho Internacional se forman particulares grupos de normas
convencionales, distinguiéndose propiamente cada uno de los cuales en base a los caracteres de la materia objeto de las normas del correspondiente
sector disciplinar de Derecho interno, sector en el que se integran las normas internas que derivan de las internacionales que pertenecen al grupo en
cuestión, señala Croxatto que se puede sostener la existencia de un sector
3
UDINA, Sulla creazione d'una Corte internazionale per le controversie in materia tributaria, in Riv. dir. fin. sc. fin., Parte I, 1949, p. 54 ss.
4
UDINA, Il trattamento tributario dei funzionari internazionali, in Gegenwartsprobleme
des internationalen Rechtes und der Rechtsphilosophie (Festschrift für Rudolf Laun zu seinem
siebzigsten Geburtstag), Hamburg, 1953, p. 284.
5
TESAURO, Il finanziamento delle organizzazioni internazionali, Napoli, 1969, p. 8.
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del Ordenamiento jurídico internacional al que referir la tradicional denominación de Derecho Internacional Tributario y que se caracteriza por los
aspectos peculiares de la actividad del Estado en esta materia, que es objeto
de las normas en él comprendidas 6.
De otro lado, Sampay hablaba de «Derecho Fiscal Internacional», incluyendo en el mismo tanto las normas internas como las normas internacionales en materia tributaria 7. Es también de destacar el planteamiento de
Bühler, quien hablaba de un Derecho Internacional Tributario en sentido
estricto, en el cual incluía normas de origen internacional, y de un Derecho
Internacional Tributario en sentido amplio, en el cual incluía tanto normas
de origen internacional como normas nacionales 8.
La distinción entre Derecho Internacional Tributario – normas internacionales – y Derecho Tributario Internacional – normas nacionales – ha sido
utilizada por la doctrina tributaria 9. El Derecho Internacional Tributario condiciona al Derecho Tributario Internacional. En el Ordenamiento jurídico
español, para que las normas de un tratado internacional se conviertan en
Derecho interno basta solamente una actividad administrativa de publicación en el Boletín Oficial del Estado del tratado ya ratificado. Así, el artículo
96.1 de la Constitución dispone que «los tratados internacionales válidamente celebrados, una vez publicados oficialmente en España, formarán
parte del ordenamiento interno». Una vez que el tratado internacional ha
pasado a formar parte del Ordenamiento español, adquiere en éste una posición de jerarquía normativa por encima de la ley, como se desprende de la
referencia que se hace en el mismo artículo 96.1 in fine a que las disposiciones de los tratados internacionales «sólo podrán ser derogadas, modificadas
6
CROXATTO, Le norme di Diritto internazionale tributario, in AA.VV., Studi in onore di
Enrico Allorio, II, Milano, 1989, pp. 2223-2224; y, del mismo autor, Diritto internazionale
tributario, in Dig. disc. priv., IV, 1989, p. 642.
7
SAMPAY, El Derecho Fiscal Internacional, La Plata-Buenos Aires, 1951, p. 91.
8
BUHLER, Principios de Derecho Internacional Tributario (Versión castellana de Cervera
Torrejón), Madrid, 1968, p. 5.
9
CARLI, Cooperazione internazionale tributaria, in Enc. giur. Treccani, IX, pp. 1 y 4-5;
FERREIRO LAPATZA, Curso de Derecho Financiero Español, Madrid, 1988, pp. 112-113; y
SAINZ DE BUJANDA, La interpretación de los Tratados internacionales para evitar la doble imposición, in Memoria de la Asociación Española de Derecho Financiero, 1960, pp. 92-93. Este
último autor citado, en otra de sus obras, hablaba del Derecho fiscal internacional, incluyendo
bajo esta denominación referencias a las normas nacionales y a las normas internacionales
en materia tributaria (Hacienda y Derecho, I, Instituto de Estudios Políticos, Madrid, 1975, p.
465 ss.).
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o suspendidas en la forma prevista en los propios tratados o de acuerdo con
las normas generales del Derecho internacional».
Entonces, si las normas de los tratados internacionales en materia tributaria se convierten en Derecho interno, debemos preguntarnos qué sentido
tiene mantener la distinción entre Derecho Internacional Tributario y Derecho Tributario Internacional. El calificativo de internacional del primero
encuentra su legitimación en el origen de la norma; aunque las normas de
los tratados internacionales se convierten en Derecho interno, su origen es
internacional, mientras que las normas de Derecho Tributario Internacional
tienen un origen interno. Y estas últimas encuentran la legitimación del calificativo de internacional en la naturaleza del ámbito sobre el que inciden.
Tal ámbito está constituido por la fiscalidad de las manifestaciones de riqueza transnacionales, que surgen con el tráfico internacional de mercancías, capitales y sujetos.
Pero no son las normas de los tratados internacionales y las normas de
Derecho Comunitario Europeo las únicas normas que integran el Derecho
Internacional. No debemos olvidar el Derecho Internacional General, compuesto, como hemos apuntado, por costumbres y Principios Generales. Las
normas del Derecho Internacional General no se integran en el Derecho interno en el modo en que lo hacen las normas de los tratados internacionales,
presentándose aquéllas solamente como un condicionante del Derecho nacional. Y aunque el Derecho Internacional General no tiene tanta importancia en la práctica en materia tributaria en comparación con la de los tratados internacionales, no se puede negar cierta influencia del mismo en esta
materia, presentándose, además, sus principios como la base esencial de la
territorialidad en sentido formal o eficacia espacial del tributo.
Por otra parte, reviste una extraordinaria importancia en materia tributaria el Derecho Comunitario Europeo. Éste tiene un claro origen internacional. El Derecho Comunitario originario nace del acuerdo o del tratado internacional, mientras el Derecho Comunitario derivado nace de los actos de
las instituciones comunitarias, que son órganos internacionales, órganos de
organizaciones internacionales. Pero también el Derecho Comunitario se
convierte en Derecho interno. Basta la publicación de los actos normativos
de las instituciones comunitarias en el Diario Oficial de la Unión Europea
para que se conviertan en Derecho interno, debiendo ser aplicados directamente por los órganos estatales. Dada la primacía del Derecho Comunitario
sobre el Derecho nacional, aquél constituye también un límite al legislador
tributario.
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El Derecho Comunitario Europeo no es como el Derecho Internacional
tradicional. De este último son solamente sujetos los Estados y las organizaciones internacionales, presentándose como los únicos verdaderos titulares de los derechos y obligaciones del Ordenamiento internacional tradicional. El Derecho Comunitario nace de instrumentos internacionales, pero
luego afecta directamente a los ciudadanos comunitarios, creando derechos
directamente en relación a éstos, sin necesidad, en principio 10, de una intervención normativa estatal. Son derechos del ciudadano comunitario frente a
su Estado, frente a los otros Estados comunitarios y frente a la propia Unión
Europea 11.
Entonces, el Derecho Comunitario Tributario ¿es Derecho Internacional
Tributario o Derecho Tributario Internacional? Su mencionado origen internacional nos lleva a incluirlo en el Derecho Internacional Tributario.
Muchísimas veces se habla de Derecho interno para hacer referencia al
Derecho de origen nacional en comparación u oposición con el Derecho
Comunitario. A nuestro entender, sería más correcto, en base a las observaciones realizadas supra, hablar de Derecho de origen interno para hacer referencia a aquél. Pero, de todos modos, en la práctica habitual, como deci10
Las directivas son el instrumento normativo fundamental para armonizar las legislaciones nacionales y, claro está, los ordenamientos tributarios internos de los Estados miembros. Aunque las directivas normalmente necesitan de normas de adaptación del Derecho interno para desplegar su plena eficacia en el mismo, no siempre debe ser así. Puede
suceder que, ante una directiva de armonización de los tributos nacionales, un Estado miembro no haya creado una norma de adaptación de su ordenamiento tributario a la directiva y que, sin embargo, ésta vea aplicado su contenido en el mismo, porque contenga una
norma paralela a otra contenida en un Tratado de Derecho Comunitario originario, consiguiéndose el objetivo perseguido por la directiva aplicando el contenido que se corresponde con el Tratado. Puede suceder también, ante la falta de tal norma interna y sin que
se dé la circunstancia anterior, que la directiva pueda tener eficacia directa porque exista
una disposición interna que entre en contradicción con la misma, consiguiéndose así dejar
sin efecto esa norma interna, en colisión con la norma comunitaria, y en la medida en que
la directiva sea idónea para definir derechos que los contribuyentes pueden alegar frente al
Estado. De esta forma lo ha reconocido el Tribunal de Justicia de la Unión Europea, por
ejemplo en su Sentencia de 19 de enero de 1982, Asunto 8/81, Sentencia que ha tenido un
gran predicamento en materia tributaria. Sobre la posible eficacia directa de las directivas
de armonización fiscal, véase CAYON GALIARDO-FALCON-TELLA-HUCHA CELADOR, La armonización fiscal en la Comunidad Económica Europea y el Sistema tributario español: Incidencia y convergencia, Madrid, 1990, pp. 668-672.
11
V. GARCIA DE ENTERRÌA, Las competencias y el funcionamiento del Tribunal de Justicia
de las Comunidades Europeas. Estudio analítico de los recursos, in Tratado de Derecho Comunitario Europeo, tomo I, Madrid, 1986, p. 700.
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mos, los términos “Derecho interno” son utilizados muchas veces para
hacer referencia de manera ágil al origen interno de las normas a las que se
alude.
De otro lado, podemos fijarnos en que los límites internacionales al Poder del Estado sobre su territorio en algunos casos son en el fondo supuestos de autolimitación del Poder del mismo Estado. Piénsese en los tratados
internacionales, que parten del consentimiento de los Estados. El Derecho
Comunitario derivado encuentra su fundamento en el Derecho Comunitario originario, compuesto, este último, por tratados y acuerdos internacionales. A ello hay que unir el dato de los actos normativos de Derecho Comunitario derivado que estén sometidos a su aprobación por unanimidad
en el Consejo, entre los que hay que destacar el núcleo esencial de la armonización fiscal comunitaria. Así, el Derecho Internacional Tributario en su
mayor parte representa en sustancia una autolimitación del Poder del Estado, dejando a salvo ciertos supuestos, como son los relativos a los límites
que proceden del Derecho Internacional General.
El Derecho Internacional Tributario podría ser considerado una rama
del Derecho Internacional Financiero 12, del mismo modo en que en el ámbito estatal el Derecho Tributario representa una rama del Derecho Financiero. En el Derecho Internacional Financiero sí se podría incluir la problemática jurídica de las contribuciones financieras de los Estados a las organizaciones internacionales. Éstas no se pueden incluir en el Derecho Internacional Tributario, dado que no tienen naturaleza tributaria, pero, en
cuanto elementos de la financiación de las organizaciones internacionales,
su regulación formaría parte del Derecho Internacional Financiero.
De otro lado, en función de la vigencia del principio de legalidad en materia tributaria y la reserva de ley en esta materia, como plasmación de aquel
principio, el Derecho Tributario está contenido principalmente en leyes. A
la luz de ello, tradicionalmente se ha apuntado la escasa eficacia práctica de
los Principios Generales del Derecho por sí mismos como fuente del Derecho Tributario, es decir, como principios que se puedan deducir de las distintas regulaciones, sin estar expresamente recogidos en la ley o consagrados en la Constitución, pues, en estos casos, se convierten en norma expresa
escrita y su valor no se da ya en cuanto tales principios, sino en función del
12
Este concepto lo podemos encontrar en SAINZ DE BUJANDA, Un esquema de Derecho
Internacional Financiero, Discurso de investidura como doctor honoris causa por la Universidad de Granada, Publicación de la Universidad de Granada, 1983.
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rango del texto normativo en que se recogen expresamente. También en
función de lo apuntado, se suele negar virtualidad a la costumbre dentro de
las fuentes del Derecho Tributario. Pues bien, en el ámbito del Derecho Internacional Tributario sí se puede encontrar cierta incidencia de la costumbre y de los Principios Generales del Derecho como fuentes del mismo 13, si
bien se trata de una incidencia bastante reducida, si la comparamos con la
amplitud, proliferación y desarrollo de otros tipos de fuentes del Derecho
Internacional. Obviamente, esto no justifica el olvido de tales costumbres y
Principios Generales del Derecho.
Con respecto al Derecho Internacional Tributario, las ramas que han sido más estudiadas son el Derecho Internacional Convencional, es decir,
aquella rama compuesta por convenios internacionales, y el Derecho Comunitario Europeo. Esto resulta lógico, si se tiene en cuenta que se trata de
los dos ámbitos normativos internacionales que mayor incidencia tienen en
la práctica limitando o condicionando el Poder Tributario de los Estados.
Pero junto a esas dos ramas del Derecho Internacional, también incide en
materia tributaria el Derecho Internacional General, si bien de una forma
mucho más reducida en la práctica que el Derecho Internacional Convencional y que el Derecho Comunitario Europeo. Quizás por ello el estudio de
aquella rama por la doctrina ha sido mucho menor que el de estas otras dos.
Pero la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributaria
es la más obvia y esencial, encontrándose en la base de la construcción de la
fiscalidad internacional. Esta incidencia se da sobre todo en relación a la eficacia de la ley tributaria en el espacio, si bien también puede tener algún alcance con respecto a la extensión de la ley. Por ello, creemos que no se debe
descuidar tanto, al contrario de lo que se ha venido haciendo por la doctrina, el estudio de la incidencia del Derecho Internacional General en materia
tributaria, debiendo fomentarse el desarrollo de los análisis relativos a éste
dentro del Derecho Internacional Tributario.
5. La soberanía
Ha habido autores que han definido y analizado la «soberanía fiscal»
desde la perspectiva del fenómeno tributario internacional. Es decir, han
13
Pensemos, por ejemplo, en el régimen fiscal de las misiones diplomáticas extranjeras
y del personal adscrito a las mismas.
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estudiado ese concepto a la vista de la confluencia de los Poderes Tributarios de diversos Estados sobre manifestaciones de riqueza que sobrepasan
los límites territoriales de éstos, entrando así en relación estas manifestaciones con los Poderes Tributarios de diversos Estados, y, de otro lado, tomando en consideración que los Estados buscan la cooperación de otros Estados para hacer efectivas sus pretensiones tributarias, dada la movilidad de
sus contribuyentes y de los patrimonios de éstos.
Señala Bühler que, en principio, la soberanía no tiene en el Derecho Tributario un significado distinto del que tiene en otras ramas del Ordenamiento jurídico, significado que consistiría en la facultad total y exclusiva de
un Estado para desarrollar, a través de la propia voluntad manifestada frente
al resto de los Estados, la competencia única que le asiste para realizar actos
legislativos, ejecutivos y judiciales dentro de su ámbito de poder territorial 14.
Señala Borrás Rodríguez que la manifestación de la soberanía que denomina
«soberanía fiscal» constituye «el poder de dictar un sistema de impuestos,
sea por vía legislativa o reglamentaria, que posea una autonomía técnica en
relación con los sistemas susceptibles de entrar en concurrencia con él, ejerciendo tal soberanía dentro de su ámbito de competencia territorial» 15.
Dentro de este ámbito, Garbarino 16 hace una detallada delimitación sistemática del problema de la soberanía. Su posición la expresa señalando
que allí donde se proceda a considerar la soberanía del Estado en materia
tributaria en un contexto internacional, es decir, en una situación de coexistencia de más Estados titulares de una soberanía originaria y, así pues, poseedores de un ilimitado Poder impositivo, es oportuno distinguir dos conceptos generales de los que se puedan desprender consideraciones de naturaleza más estrictamente tributaria: serían, de un lado, la soberanía entendida como Poder impositivo preeminente sobre cualquier otro Poder y que se
desenvuelve dentro del ámbito territorial del ordenamiento estatal; y, de
otro, la soberanía entendida como independencia del Estado, destinada a desenvolverse dentro del ámbito de la Comunidad internacional, compuesta
de más Estados soberanos, dotados de Poder impositivo originario. Señala
este autor que, mientras desde una perspectiva interna el Poder soberano de
14
Op. cit., p. 173.
BORRAS RODRIGUEZ, La doble imposición: Problemas jurídico-internacionales, Universidad de Barcelona, Secretariado de publicaciones, intercambio científico y extensión universitaria, Barcelona, 1971, p. 3. En la misma línea, véase GONZALEZ POVEDA, Tributación
de no residentes, Madrid, 1989, pp. 3 a 6.
16
GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, pp. 96 a 99.
15
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imposición implica una supremacía del sujeto activo titular de tal Poder (el
Estado) con respecto a los sujetos pasivos, desde una perspectiva externa e
internacional, por el contrario, no se puede dejar de destacar que los Poderes impositivos soberanos estatales conviven en un ordenamiento de tipo
paritario, cual es el ordenamiento internacional. Señala que en el contexto
exclusivamente interno y estatal las normas impositivas, a través de las cuales de despliega el Poder Tributario, traen su validez directamente del ordenamiento jurídico estatal que se configura como soberano, y que en el ámbito del ordenamiento internacional, por el contrario, no se reconoce ningún
Poder impositivo que se despliegue directamente sobre los Estados o sobre
los ciudadanos de éstos.
Continúa Garbarino su exposición señalando que mediante la adopción
de esta doble perspectiva de investigación, que procede de los fundamentos
de la soberanía de un Estado para llegar a las modalidades con que interaccionan las expresiones de la soberanía de más Estados, se reaniman dos
aspectos interconexos del problema que aquí se debate: la dimensión exclusivamente interna y la dimensión externa de la soberanía. Así, destaca este
autor que la soberanía del Estado – entendida en su aspecto de Poder Tributario soberano – bajo el perfil interno es el modo en el que se manifiesta
el carácter autoritario del ordenamiento interno del Estado en relación a los
sujetos a él sometidos, mientras, bajo el perfil externo la soberanía se inserta
en el ejercicio de una plena capacidad de Derecho Internacional del Estado
en materia impositiva en relación con los otros Estados.
En la base de la construcción de Garbarino se encuentra la consideración
de que la soberanía tributaria es una species del amplio genus constituido por
los poderes que son los atributos de la soberanía del Estado. En particular,
señala este autor que la soberanía se manifiesta en el poder del Estado para
perseguir una política fiscal nacional que se expresa mediante normas que
tienen por objeto presupuestos de hecho con elementos de extranjería. Añade que la soberanía es el fundamento sobre el que el Estado procede a desarrollar las relaciones fiscales con los otros Estados.
Destacaba Sainz De Bujanda que un Estado en Europa no puede jugar
un papel de protagonista en la Historia porque le falta el poder para hacerlo,
y le falta poder político, poder económico y poder militar; así, «ni sus fines
ni sus propios medios le permiten vivir con mínima autonomía» 17.
17
De esta forma se manifestaba SAINZ DE BUJANDA en el Prólogo a la obra de D. MARTÍNEZ MARTÍNEZ, El Sistema financiero de las Comunidades Europeas, Madrid, 1974, p. XII.
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369
Los Estados europeos han sentido la necesidad de proceder a una integración económica que camine hacia una más profunda integración política.
El proceso de integración europea recibió un gran impulso con el Tratado
de la Unión Europea, integración que se intentó reforzar con el fracasado
Proyecto de Tratado por el que se establece una Constitución para Europa
y, posteriormente, con el Tratado de Lisboa. La creación de las Comunidades Europeas supuso el nacimiento de un sistema de poderes cuyas relaciones con los Estados son diferentes de las que se dan con las organizaciones
internacionales de simple cooperación. La Unión Europea se presenta como organización de integración, y la presencia de este tipo de organización
altera de manera tal el poder que las organizaciones internacionales venían
ejerciendo sobre los Estados, que también la doctrina ha reconocido una influencia de este fenómeno en el concepto y concepción tradicionales de la
soberanía 18.
Por lo que respecta a la fiscalidad de la Unión Europea, Constantinesco
señalaba que toda armonización tributaria en las Comunidades Europeas
llevaba necesariamente a una limitación, por reducida que ésta sea, de la
«soberanía impositiva» de los Estados miembros, produciéndose así una
intervención en la libertad política de éstos 19. Pero aquí no debemos olvidar
la perspectiva general del fenómeno comunitario, y desde este punto de vista Adonnino destacaba cómo con la adhesión a las Comunidades (hoy es
más correcto hablar de Unión Europea) la soberanía de los Estados resulta
limitada en algunos sectores, pero lo es en virtud de un proceso de autolimitación, constitucionalmente legítimo 20.
Para Truyol Y Serra la soberanía no es algo constituido por un elemento
unitario que abarca e incluye todo; en concreto señala este autor la necesidad de superar la concepción que presenta la soberanía como monolítica,
destacando que ésta no es un poder omnímodo de decisión; la existencia de
18
Véase GIULIANI FONROUGE, Derecho Financiero, I, Buenos Aires, 1970, p. 282.
«La problemática tributaria de la Comunidad Económica Europea», in Hacienda Pública Española, n. 57, 1979, p. 164. Referencias a que la soberanía de los Estados se ve afectada por la armonización fiscal, se pueden encontrar también en ALBINANA GARCIA-QUINTANA, Sistema tributario español y comparado, Madrid, 1992, p. 927, y CASADO OLLERO,
Fundamento jurídico y límites de la armonización fiscal en el Tratado de la C.E.E., in Estudios
sobre armonización fiscal y Derecho presupuestario europeo, Granada, 1987, p. 60.
20
ADONNINO, Il principio di non discriminazione nei rapporti tributari fra Paesi membri
secondo le norme della CEE e la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità, in Riv.
dir. fin. sc. fin, n. 1, 1993, p. 65.
19
370
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un Derecho Internacional supone un concepto limitado de la soberanía, y el
aumento de la dependencia entre los pueblos hace que de hecho se vea reducido su alcance efectivo. Señala también la conveniencia de abandonar
los temores y mitos que se dan con respecto a la relación entre la soberanía
y la supranacionalidad; y así con las Comunidades Europeas los Estados,
más que ver limitadas sus soberanías, las ponían en común, delegando en el
poder de las Comunidades solamente las facultades necesarias para la eficaz
gestión de los asuntos comunes 21.
Fijándose en el paso de las concepciones tradicionales de la soberanía
como idea unitaria, no susceptible de limitaciones y tampoco de ser descompuesta, a una concepción que la ve como una suma de facultades susceptible
de ser dividida en sus diversos componentes, Abad Fernández destaca cómo
ello hace que se acepte la posibilidad de que el Estado pueda transferir alguna de sus facultades a una entidad supranacional; y señala este autor que
una de las parcelas de la soberanía es la del Poder Financiero 22.
Frente a lo discutida que es la validez del concepto de soberanía en relación al Poder Tributario en el plano interno, dicho concepto conserva una
determinada virtualidad en relación al fenómeno tributario internacional.
Está claro que la soberanía no se puede presentar hoy como el fundamento
directo del Poder Tributario. El pueblo, titular de la soberanía popular, aprueba la Constitución y en ésta establece cuáles son las condiciones y límites en
que los poderes del Estado pueden actuar en materia tributaria. Así pues, el
fundamento jurídico directo del Poder Tributario reside en la Constitución.
Pero en la delimitación del Estado como sujeto de Derecho Internacional, la soberanía se presenta como uno de sus elementos esenciales; esto sirve para definir los poderes del Estado sobre el territorio, excluyendo las intervenciones exteriores que podrían afectar a la vida independiente del Estado, y, así, también los actos que puedan tener carácter tributario. Pero también la soberanía, como elemento del Estado en cuanto sujeto de Derecho
Internacional, ha cambiado, no concibiéndose hoy como algo ilimitable e indivisible, sino pudiéndose distinguir dentro de ella una diversidad de competencias. Individualizadas éstas, el propio Estado puede decidir la atribución
del ejercicio de algunas de ellas a una entidad supranacional. Esto explica que
21
TRUYOL SERRA, La Integración Europea. Idea y realidad, Madrid, 1972, p. 66.
ABAD FERNANDEZ, El Poder Financiero de las Comunidades Europeas, en Estudios de
Derecho internacional público y privado en homenaje al Profesor Luis Sela Sampil, tomo I, Universidad de Oviedo, 1970, pp. 452-453.
22
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371
los Estados hayan podido atribuir a la Unión Europea el ejercicio de competencias derivadas de sus Constituciones y, de entre éstas, el ejercicio de competencias en materia tributaria. Esto rompe con las concepciones de la soberanía del Estado como algo indivisible.
Un elemento esencial del Estado es su soberanía, elemento también llamado hoy independencia. La soberanía supone que el Estado ejercita su actividad en las relaciones internacionales por su propio poder y no por el de
otro sujeto de Derecho Internacional, y por esto puede actuar directa e inmediatamente sobre todos los elementos que forman el Estado 23.
Señala Monaco que «la soberanía de los Estados no es otro que un concepto que corresponde a una situación de superioridad de los Estados mismos en relación a las sociedades humanas por ellos respectivamente controladas y dirigidas, y no a una posición de superioridad de los Estados respecto a otros Estados de la comunidad internacional» 24. De otro lado, destaca Garelli que «el ejercicio de la soberanía incluye la exclusividad del territorio sobre el cual ella se despliega»; para este autor «la territorialidad de
la soberanía» se presenta como «canon inconcuso de derecho, para asegurar la eficacia de las actuaciones de los particulares Estados» 25.
Ha puesto de manifiesto Díez de Velasco que la soberanía no se concibe
hoy como un todo indivisible; la soberanía se ve hoy día como un conjunto
de atribuciones y competencias. Y entre las competencias ejercitadas por el
Estado se pueden encontrar competencias de carácter territorial, que hacen
referencia a las cosas que se encuentran dentro de su territorio y a los hechos que en éste acaezcan, y competencias de carácter personal, que se refieren a las personas que habitan en territorio estatal, sean nacionales o extranjeros, o a personas determinadas, con independencia del hecho de que
se encuentren o no en el territorio del Estado 26.
Vinculado a la idea de soberanía, en cuanto al contenido del poder territorial del Estado 27, tal poder no se concreta en un derecho sobre el territo23
V. DIEZ DE VELASCO VALLEJO, Instituciones de Derecho Internacional Público, tomo I,
Madrid, 1988, p. 196.
24
MONACO, Limiti della sovranità dello Stato e organizzazione internazionale, in AA.VV.,
Studi di Diritto Costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Milano, 1952, p. 370.
25
GARELLI, Il Diritto Internazionale Tributario. Parte Generale. La Scienza della Finanza
Internazionale Tributaria, Torino, 1899, p. 14.
26
V. DIEZ DE VELASCO VALLEJO, op. cit., p. 299.
27
Nos guiamos aquí por la descripción que del mismo hace BISCARETTI DI RUFFIA, Territorio dello Stato, in Enc. dir., XLIV, 1992, pp. 336-337.
372
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rio, sino que se manifiesta como un aspecto o comportamiento del poder
general soberano del Estado mismo, que tiene por título un derecho sobre o
para un territorio, pero que no tiene por objeto el territorio mismo, en cuanto el poder general soberano del Estado se desarrolla frente a todos los sujetos y a todas las cosas que se encuentran sobre un territorio. El territorio,
pues, es objeto directo o indirecto del Derecho del Estado a él relativo, pero
al mismo tiempo se presenta como el ámbito de extensión del poder territorial, o sea, el espacio dentro del cual el mismo se ejercita establemente. El
poder territorial del Estado se comporta de modo diverso según que sea
considerado al interno del ordenamiento estatal, o bien desde la perspectiva
del ámbito internacional.
Desde la primera perspectiva señalada, debemos tener en cuenta el hecho de que el Estado, en su interior, en base a la soberanía que le es propia,
pueda ejercitar una plena autoridad sobre todas las personas y cosas que en
el mismo se encuentren, persiguiendo fines de interés general, lo que tiene
como consecuencia que las normas de los ordenamientos extranjeros puedan encontrar en el mismo eficacia sólo en cuanto una norma del ordenamiento estatal reenvíe a las mismas, atribuyendo, por regla general, la aplicación de éstas a órganos propios.
Tomando en consideración la distinción entre el poder sobre las personas y sobre las cosas, con referencia a las primeras el poder territorial soberano del Estado encuentra una clara manifestación en la sujeción del extranjero que se encuentre en su territorio a las leyes de tal Estado. De otro lado,
el Estado puede dar asilo a un extranjero en su territorio en los casos previstos por el Ordenamiento jurídico, sustrayéndolo así, en base a su propio poder soberano, a los poderes que corresponden a otro Estado sobre su persona. Por otra parte, el Estado, en el ejercicio de su poder territorial, puede también expulsar de su propio territorio a extranjeros o apátridas que no le resulten aceptables, o bien puede impedir que entren en su territorio.
Por otra parte, en cuanto a la actuación del poder territorial del Estado
sobre las cosas, tal poder consiente a éste establecer la disciplina jurídica de
las mismas y de las relaciones de que son objeto, así como disponer de las mismas en los casos y forma establecidos por su Ordenamiento jurídico, haciendo uso, por ejemplo, de procedimientos de expropiación, sin perjuicio de las
correspondientes indemnizaciones previstas por la ley. De otro lado, el
Estado puede igualmente impedir la entrada en su territorio de mercancías,
publicaciones y otro tipo de géneros procedentes del extranjero, basándose
en motivaciones de diversa índole, que pueden ir desde razones de tipo sanitario a motivos de orden público.
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373
En cuanto al contenido del poder territorial del Estado en el ámbito internacional, este poder se presenta como un poder natural al Estado, que
propiamente no deriva al mismo del Derecho Internacional, sino que se presenta más bien como un presupuesto de hecho, sobre cuya base todo Estado puede pretender que otros Estados se abstengan de penetrar y de actuar
en su territorio. Esto trae consigo, sin embargo, la consecuencia de que el
Estado mismo deviene responsable de todo cuanto suceda en su territorio.
Todo Estado como titular de un específico derecho a la propia soberanía
territorial en relación a los otros sujetos de Derecho Internacional, que se
plasma en el derecho a no ser impedido del ejercicio de sus poderes en su
propio territorio y a no sufrir mermas en tal ejercicio, dándose así el derecho
a la integridad y a la intangibilidad territorial del Estado, no pudiéndose dar
la injerencia de Estados extranjeros. Junto a esto se da el derecho del Estado
a repeler, con los medios de autotutela admitidos por el Derecho Internacional, todo acto de violación del propio territorio y de la propia soberanía
territorial, el llamado “ius excludendi alios”. De todo esto deriva una responsabilidad de Derecho Internacional para los Estados que violen el territorio
extranjero. La sanción, cuando se incurre en tal responsabilidad, viene constituida por los actos de autotutela a que puede recurrir el Estado que ve su
territorio violado o seriamente amenazado de violación, y por los otros medios de garantía de la soberanía territorial previstos en los tratados internacionales.
Si nos fijásemos en la composición del territorio del Estado, podríamos
ver cómo éste no se compone solamente de tierra firme, sino que existen además, junto a ésta, otros componentes. Además existen elementos territoriales de una más compleja calificación y condición jurídica. Entre estos elementos estaría la plataforma continental. Haciendo referencia a este elemento y a la vista de la Convención de Ginebra de 1958, Azcárraga ha señalado
que sobre ella el Estado al que corresponde no ejercita su «soberanía», sino
«derechos soberanos» a efectos de su explotación y de la utilización de sus
recursos naturales, derechos caracterizados por las notas de ser exclusivos,
independientes de su ocupación ficticia o efectiva y no existe necesidad ni
siquiera de proclamarlos 28. Por otra parte, estos derechos son denominados
en el artículo 77.1 de la Convención de Naciones Unidas sobre Derecho del
28
En base a esto, el Estado podrá ejercitar sobre la plataforma continental sus poderes
en materia tributaria AZCARRAGA, El concepto de plataforma continental ante el Derecho Tributario, in XX Semana de Estudios de Derecho Financiero, Relaciones Fiscales Internacionales, Madrid, 1973, pp. 780 a 783.
374
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Mar, de 10 de diciembre de 1982, «derechos de soberanía». De otro lado,
Hernández González destaca que entre la zona de plena soberanía y las zonas libres existen en el mar zonas sin soberanía plena, donde los Estados ejercitan diversas competencias 29.
Entre los diversos poderes del Estado encontramos el poder legislativo.
Así pues, debemos analizar cuál pueda ser la relación entre el poder legislativo y el poder soberano del Estado sobre el territorio.
El principio de territorialidad del Derecho encuentra sus orígenes conceptuales cuando se verifica – desde el final del siglo XII hasta la Paz de Westfalia en 1648 – el paso del Estado de asociación de personas al Estado institucional de superficie que señala el inicio de la era moderna. Este cambio
encuentra aplicación práctica cuando el territorio del Estado asume importancia como espacio independiente, señalando el alcance de la eficacia del
ordenamiento estatal, y junto a esto, cuando los teóricos del Estado tienen
como evidente que la existencia del Estado depende necesariamente de un
determinado territorio. En este proceso, el poder que primero se acumulaba
en el Papado y en el Imperio y luego en las señorías y en los municipios feudales, se concentra en los entes territoriales y autónomos que se presentarán
como lo que hoy conocemos como Estados. La autonomía de éstos adquiere una importancia tal en la teoría del Estado que hará que se presente como
elemento esencial de éste su soberanía territorial. La territorialidad de la ley
se presenta como una inmediata consecuencia de la fuerza con la que se ha
impuesto en la conciencia jurídica del Derecho europeo la idea de soberanía
territorial 30.
Pero el principio de territorialidad comenzará su mutación y también su
declive con el cambio en la concepción del Estado. Se desarrolló en el Derecho internacional privado la nueva concepción del Estado como Estadonación surgido con la Revolución francesa, que se manifiesta en la exaltación de la soberanía popular en oposición al precedente absolutismo monárquico. Así las leyes no encontrarán solamente el punto de conexión con
el Estado en la realización de un presupuesto de hecho en su territorio, sino
que se comenzará a distinguir también una pertenencia personal al Estado
de los sujetos, de manera que las leyes de éste puedan vincular a sus nacionales también por los hechos realizados en el extranjero. Con todo ello, el
29
V. HERNANDEZ GONZALEZ, El ámbito espacial de aplicación de los impuestos españoles
sobre el consumo, in Revista española de Derecho Financiero, n. 64, 1989, p. 532.
30
V. SACCHETTO, Territorialità (dir. trib.), in Enc. dir., XLIV, 1992, pp. 307 a 309.
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375
territorio continúa siendo base y elemento esencial del Estado. En esta evolución del principio de territorialidad, las dos fundamentales objeciones puestas a este principio son, de un lado, que la delimitación territorial del poder
normativo estatal no es un principio imperativo, en cuanto la disciplina jurídica de los hechos verificados en el extranjero no comporta necesariamente la violación del territorio extranjero y, de otro, que el concepto de “territorialidad” es tan indeterminado que es imposible derivar de él concretas
consecuencias jurídicas 31.
Pero, ¿el poder legislativo se puede considerar como una manifestación
del poder del Estado sobre el territorio? El presupuesto de hecho de las
normas jurídicas no siempre consiste en situaciones producidas en el territorio del Estado que crea la norma. Las leyes de un Estado se pueden aplicar, como sucede a través de las normas de conflicto de Derecho internacional privado, a hechos acaecidos en el extranjero pero vinculados con el Estado a través de un vínculo de nacionalidad de los sujetos intervinientes en la
correspondiente situación. Así encontramos casos de hechos producidos en
un Estado relativos a sujetos de otro Estado y que son regulados por la ley
de este último. Entonces, ¿estos casos implicarían que el poder de crear normas jurídicas no es una manifestación del poder territorial?
En relación a las normas jurídicas, en el Estado se pueden encontrar el
poder de su creación y el poder de su aplicación. Su aplicación se presenta,
sin duda, como una manifestación del poder soberano del Estado sobre su
territorio. Si un Estado aplica una decisión de poder en territorio extranjero,
en principio, estaría violando el Derecho Internacional. La aplicación de decisiones de poder en territorio extranjero sólo se puede dar en el marco de la
cooperación internacional entre Estados. El Estado en cuyo territorio se
aplica una medida de poder, ha tenido que aplicarla él mismo o haber dado
su consentimiento para su aplicación por órganos de otro Estado.
Si pensamos en el poder de creación normativa, y en relación a los casos
conflictivos mencionados supra, debemos tener presente que si un Estado decide, a través de sus normas de conflicto, que sus leyes se apliquen a sus nacionales por hechos acaecidos en el extranjero, lo está decidiendo en normas – las mencionadas normas de conflicto – a aplicar sobre el propio territorio (lex fori), que toman como presupuesto la existencia de un conflicto
de Derecho presentado ante sus órganos. Y cuando en base a las normas de
conflicto de un Estado se debe dar aplicación a los nacionales de otro Esta31
V. SACCHETTO, op. cit., pp. 309-310.
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do de la ley de su Estado aunque por hechos no acaecidos en el territorio de
éste, el fundamento de esta aplicación normativa se encuentra en el poder
del Estado en el que se aplica.
Además, cuando un Estado toma como presupuesto de hecho de normas
suyas que no sean de conflicto, sino normas materiales, hechos no acaecidos
en su territorio relativos a sus nacionales, está de todas formas estableciendo
en estas normas unas consecuencias jurídicas a aplicar sobre el propio territorio. Son normas en las que el presupuesto de hecho toma en consideración el elemento extranjero y que son creadas por el Estado pensando en su
aplicación en su territorio por sus órganos.
En el poder de crear normas no se puede pensar sin la existencia de un
Ordenamiento jurídico; en un Ordenamiento jurídico no se puede pensar
sin un Estado, porque las normas de los entes territoriales inferiores que se
forman dentro del territorio estatal se integran en el ordenamiento del Estado y los ordenamientos de las organizaciones supranacionales encuentran
aplicación en los Estados porque éstos han dado su consentimiento para ello; y un Estado no puede existir sin territorio, dado que éste es un elemento
esencial para ello. Y no se puede pensar en un Ordenamiento jurídico sin
pensar en la aplicación de sus normas, pensando solamente en la creación
de éstas, porque sería un sistema inservible en cuanto que no podría ser eficaz. Así, no se puede disociar tampoco el poder de creación normativa del
Estado de su poder sobre el territorio.
Señalaba Sainz De Bujanda que los casos en que un Estado pierde la soberanía sobre una parte de su territorio por un acuerdo internacional o por
simple ocupación material, son casos donde el Estado ocupante puede declarar la invalidez o la ineficacia de las leyes del precedente Estado 32. Esto
nos hace ver hasta qué punto el poder de creación normativa se une necesariamente al poder soberano del Estado sobre el territorio.
6. La posible toma en consideración de la idea de justicia tributaria desde la
perspectiva de las relaciones fiscales internacionales: la disciplina europea
Partiendo de una defensa de la evolución de la integración europea, la adhesión de un Estado a la Unión Europea no puede provocar nunca una merma en los derechos fundamentales de sus ciudadanos, pues ello supondría
32
V. SAINZ DE BUJANDA, Lecciones de Derecho Financiero, Madrid, 1990, p. 53.
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377
una involución en el Derecho, contraria a la evolución constitucional de los
Estados desarrollados y, así, de los Estados europeos. El ejercicio de competencias comunitarias al margen de las Constituciones nacionales o, si se
quiere, la supremacía del Derecho de la Unión Europea sobre éstas, nunca
debería menoscabar los derechos fundamentales, incluso en su contemplación más amplia. El mismo proceso de evolución normativa dentro de la Unión Europea, sea por vía de reconocimiento jurisprudencial, sea por vía de
sus textos de Derecho Originario, deja ver una tendencia en tal sentido, que
debe ser el criterio interpretativo inspirador de la resolución de cualquier
problema puntual al respecto.
Junto a ello, los derechos fundamentales alcanzan una dimensión europea y mundial, más allá de la Unión Europea y de las Constituciones nacionales, que nos sitúa en un terreno en el que sólo se puede ir hacia delante y
nunca hacia atrás. Además, no hacerlo así, situaría a las Constituciones nacionales en una posición no muy acorde con el alcance con que la cesión de
competencias a las instituciones de la Unión Europea se hace en el sentir o
intención de los “pueblos” de Europa. La, aunque debilitada, existencia todavía del elemento soberanía lo impediría. El propio elemento soberanía
podría ser todavía utilizado como criterio interpretativo al respecto, en atención al estado de evolución de la Comunidad Internacional y, más en concreto, del alcance de la integración europea.
Pero, no obstante, como decimos, la evolución en el reconocimiento de
los derechos fundamentales en la disciplina jurídica de la Unión Europea debería ir haciendo que vayan desapareciendo o siendo cada vez menos tales
problemas de colisión. Todo ello sin perjuicio de que la evolución en materia de derechos fundamentales es algo que nunca debe cesar, como nunca debe cesar la evolución del Derecho, abierta a las nuevas realidades.
Esta problemática se presentaría, pues, como un punto de partida esencial en la concreción de principios materiales de justicia tributaria a partir del
Derecho originario de la Unión Europea, que puedan servir de límite a la actuación normativa de las instituciones de ésta en materia de armonización
fiscal.
Bien es cierto que en los tiempos que corren en la Unión Europea, con
una importante crisis en la zona euro, con una delicada situación de la deuda soberana de un gran número de Estados y con un horizonte de necesaria
consolidación fiscal, buscando un déficit cero, no sería entendida como especialmente oportuna por los gobiernos de los Estados miembros cualquier medida que implicase un límite a la cuantía de los impuestos, armonizados o
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no, como garantía o respeto a los derechos de los contribuyentes europeos.
El principio de reducción del déficit público parece haber hecho olvidar los
demás principios en materia financiera y tributaria, especialmente aquellos
que actúen como garantía para el contribuyente. Pero se trata de principios
de base constitucional 33 y a los que, como hemos visto, se les puede encontrar incluso amparo en el Derecho originario de la Unión Europea, con lo
que necesariamente deben ser atendidos y respetados por los legisladores
nacionales y por las instituciones de la Unión. Sólo partiendo de la concreción de estas bases de respeto jurídico se podrá pensar en avanzar con seguridad y fundamento en un mayor desarrollo de la armonización fiscal.
Así pues, mientras que no existan unos límites claros dentro del Derecho
originario de la Unión Europea que puedan proteger a los contribuyentes,
no se podrá construir sólidamente el desarrollo de la armonización fiscal.
Esto sólo se podrá conseguir con una consagración expresa de los principios
materiales de justicia tributaria en los Tratados de la Unión Europea, en una
revisión de éstos, tan pretendida en materia financiera y tributaria a otros
efectos. Entre el Tratado de la Unión Europea y el Tratado de Funcionamiento de la Unión Europea, dadas las funciones de cada uno de estos Tratados, habría que plantearse cuál de ellos representaría la ubicación más adecuada para una deseable futura consagración de los principios materiales de
justicia tributaria, con proyección en materia de armonización fiscal y, como
no podría ser de otro modo, también en sede de recursos propios de la Unión
Europea. Teniendo en cuenta su contenido, bastaría con que tal consagración expresa de tales principios se realizase en el Tratado de Funcionamiento de la Unión Europea.
Lo que no puede resultar nunca aceptable es que en materia financiera y
tributaria el único principio al que se le dé virtualidad práctica desde las instituciones de la Unión Europea sea el principio de limitación del déficit,
cuando esto se haga en detrimento de los principios materiales de justicia
tributaria.
Bien es cierto que dentro de la disciplina jurídica de la Unión Europea no
existe una consagración expresa de los principios materiales de justicia tributaria y, así, dentro del Derecho originario de aquélla no encontramos una
contemplación directa del principio de capacidad económica, que pueda
33
Como ya ponía de manifiesto BOSELLO, Los principios constitucionales que inspiran la legislación tributaria de cada Estado miembro son sustancialmente los mismos (Costituzioni e tributi negli Stati della Comunità economica europea, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 2, 1959, p. 1513).
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servir de límite al Derecho derivado, dentro del que quedan comprendidas
las directivas de armonización fiscal. No obstante, de todos modos, no se
puede desconocer que la dimensión constitucional del principio de capacidad económica en materia tributaria encuentra una contemplación generalizada en los Estados miembros de la Unión Europea.
De forma similar a determinadas construcciones constitucionales en algunos Estados miembros, la delimitación de principios materiales de justicia tributaria se puede realizar en parte partiendo de la consagración del derecho fundamental a la propiedad, derecho también contemplado expresamente en la Carta de los derechos fundamentales de la Unión Europea.
Sin perjuicio de pronunciamientos anteriores del Tribunal de Justicia de
la Unión Europea, ya el Proyecto de Tratado por el que se quería establecer
una denominada Constitución para Europa y que fue sustituido por el Tratado de Lisboa – que sacó de su texto el contenido de la citada Carta –, señalaba en el apartado 1 de su artículo II-77 lo siguiente: «Toda persona tiene derecho a disfrutar de la propiedad de los bienes que haya adquirido legalmente, a usarlos, a disponer de ellos y a legarlos. Nadie puede ser privado
de su propiedad más que por causa de utilidad pública, en los casos y condiciones previstos en la ley y a cambio, en un tiempo razonable, de una justa
indemnización por su pérdida. El uso de los bienes podrá regularse por ley
en la medida que resulte necesario para el interés general».
De todas formas, un texto similar lo podemos encontrar contenido en el
apartado 1 del artículo 17 de la Carta de los derechos fundamentales de la
Unión Europea, tanto en su versión 2000/C 364/01, como en su versión
2007/C 303/01, proclamada solemnemente el 12 de diciembre de 2007, un
día antes de la firma del Tratado de Lisboa. De este modo, el contenido de
la Carta intentaba incorporarse al fallido texto de Constitución Europea. De
todas maneras, aunque no lo recoja ya expresamente, el Tratado de Lisboa
hace una remisión expresa a dicha Carta.
Por otra parte, en el quinto párrafo del Preámbulo de dicha Carta se
señala lo siguiente: «La presente Carta reafirma, dentro del respeto de las
competencias y misiones de la Unión, así como el principio de subsidiariedad, los derechos que emanan en particular, de las tradiciones constitucionales y las obligaciones internacionales comunes de los Estados miembros,
del Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de
las Libertades Fundamentales, las Cartas Sociales adoptadas por la Unión y
por el Consejo de Europa, así como de la jurisprudencia del Tribunal de Justicia de la Unión Europea y del Tribunal Europeo de Derechos Humanos».
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Así, más allá de la disciplina de la Unión Europea, es necesario destacar
que el Protocolo Adicional n. 1 al Convenio Europeo para la Protección de
los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales 34 establece en el
primer párrafo de su artículo 1 que «toda persona física o moral tiene derecho al respeto de sus bienes», disponiéndose a continuación de lo anterior
que «nadie podrá ser privado de su propiedad más que por causa de utilidad pública y en las condiciones previstas por la ley y los principios generales del Derecho Internacional». En el segundo párrafo de este mismo artículo se establece que «las disposiciones precedentes se entienden sin perjuicio del derecho que poseen los Estados de poner en vigor las leyes que
juzguen necesarias para la reglamentación del uso de los bienes de acuerdo
con el interés general o para garantizar el pago de los impuestos u otras contribuciones o de las multas». Este artículo 1 lleva por rúbrica “Protección de
la propiedad” 35. El hecho de que se hable en este precepto al mismo tiempo
de propiedad y de impuestos en modo alguno podría interpretarse en el
sentido de que estos últimos pudiesen anular a aquélla, pues ello iría en contra del propio reconocimiento de la protección de la propiedad privada 36.
Al mismo tiempo, es necesario destacar que el Tratado de la Unión Europea ya estableció en el apartado 1 de su artículo 6 que «la Unión se basa
en los principios de libertad, democracia, respeto de los derechos humanos
y de las libertades fundamentales y el Estado de Derecho, principios que
son comunes a los Estados miembros», disponiéndose en el apartado 2 de
este mismo artículo 6 que «la Unión respetará los derechos fundamentales
tal y como se garantizan en el Convenio Europeo para la Protección de los
Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales firmado en Roma el
4 de noviembre de 1950, y tal y como resultan de las tradiciones constitucionales comunes a los Estados miembros como principios generales del
Derecho comunitario». El apartado 8 del artículo 1 del Tratado de Lisboa
34
Convenio contemplado en el Tratado de Lisboa, como tendremos ocasión de comprobar.
35
Sobre el derecho de propiedad a la luz de este Convenio desde la perspectiva tributaria, véase PEREZ ROYO, El derecho de propiedad y la prohibición de discriminación en su disfrute como límites al poder tributario en el Convenio Europeo de Derechos Humanos, in Revista
española de Derecho Financiero, nn. 109-110, 2001, p. 23 ss.
36
Dentro de las Explicaciones sobre la Carta de los derechos fundamentales (2007/C
303/02), en el penúltimo párrafo de la explicación relativa al «derecho a la propiedad», se
señala que «este derecho tiene el mismo sentido y alcance que el garantizado en el CEDH,
no pudiendo sobrepasarse las limitaciones previstas en este último».
Carlos María López Espadafor
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por el que se modifica el Tratado de la Unión Europea y el Tratado constitutivo de la Comunidad Europea, firmado en Lisboa el 13 de diciembre de
2007, modificó el artículo 6 del Tratado de la Unión Europea. Tras dicha
modificación, en el párrafo primero del apartado 1 del artículo 6 del Tratado de la Unión Europea se pasó a establecer que «La Unión reconoce los
derechos, libertades y principios enunciados en la Carta de los Derechos
Fundamentales de la Unión Europea de 7 de diciembre de 2000, tal como
fue adoptada el 12 de diciembre de 2007 en Estrasburgo, la cual tendrá el
mismo valor jurídico que los Tratados». En el apartado 2 de esta nueva versión del artículo 6 se establece que «La Unión se adherirá al Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales. Esta adhesión no modificará las competencias de la Unión que
se definen en los Tratados». Por último, en el apartado 3 de esta nueva versión del artículo 6 del Tratado de la Unión Europea se establece que «Los
derechos fundamentales que garantiza el Convenio Europeo para la Protección de los Derechos Humanos y de las Libertades Fundamentales y los que
son fruto de las tradiciones constitucionales comunes a los Estados miembros formarán parte del Derecho de la Unión como principios generales».
En concreto, dentro de la problemática de los derechos fundamentales, en
relación al derecho de propiedad, se puede partir de la Sentencia del Tribunal
de Justicia de la Unión Europea de 13 de diciembre de 1979 (Asunto 44/79)
y posteriormente, entre otras, se puede destacar la Sentencia del mismo Tribunal de 10 de julio de 2003 (Asuntos acumulados C-20/00 y C-64/00). En
esta Sentencia se señala que «los derechos fundamentales forman parte de
los principios generales del Derecho cuyo respeto garantiza el Tribunal de
Justicia y que, para ello, este último se inspira en las tradiciones constitucionales comunes a los Estados miembros, así como en las indicaciones proporcionadas por los instrumentos internacionales relativos a la protección de los derechos humanos en los que los Estados miembros han cooperado o a los que
se han adherido», añadiendo que «dentro de este contexto, el CEDH reviste
un significado particular». Se destaca en esta Sentencia, entre los derechos
fundamentales así protegidos, el derecho de propiedad, señalándose en la misma que cabrían restricciones al ejercicio de los derechos fundamentales
siempre y cuando «no constituyan, teniendo en cuenta el objetivo perseguido, una intervención desmesurada e intolerable que lesione la propia esencia
de esos derechos».
Partiendo de esa consagración del derecho de propiedad en la disciplina
jurídica de la Unión Europea, se puede realizar un desarrollo interpretativo
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de los principios materiales de justicia tributaria necesariamente también en
sede de armonización fiscal en la Unión, que pueden ir desde el necesario respeto al principio de capacidad económica, a la prohibición de confiscatoriedad en materia tributaria.
Pues bien, si en la delimitación de los principios materiales de justicia
tributaria a nivel internacional partimos de la disciplina de los derechos fundamentales y éstos tienen una proyección mundial, más allá de la proyección europea, partir de la construcción propuesta en relación a la Unión Europea puede representar un interesante punto de partida en la dimensión internacional del fenómeno tributario en el contexto de la globalización.
7. Selección de los elementos más significativos de la fiscalidad internacional
Dada la evolución del fenómeno tributario internacional, fruto del desarrollo del comercio y tráfico transnacionales, es necesario replantearse la virtualidad actual de la idea de soberanía en materia tributaria. Se ha discutido
mucho sobre la validez del concepto de soberanía con respecto al Poder Tributario en el plano interno, habiéndose relativizado este concepto. Está claro que la soberanía no se puede presentar hoy como el fundamento directo
del Poder Tributario. El pueblo, titular de la soberanía popular, aprueba la
Constitución, y, así, en ésta establece cuáles son las condiciones y límites dentro de los cuales los poderes del Estado pueden actuar en materia tributaria.
Así pues, el fundamento jurídico del Poder Tributario reside en la Constitución. Pero, en el plano internacional, en la consideración del Estado como
sujeto de Derecho Internacional, la soberanía se presenta como uno de sus
elementos esenciales. Esto sirve para definir los poderes del Estado sobre el
territorio y sobre los sujetos vinculados al mismo, excluyendo las intervenciones extranjeras que pudiesen afectar a la vida independiente del Estado y,
así también, los actos que puedan tener carácter tributario.
También la soberanía como elemento del Estado en cuanto sujeto de
Derecho Internacional ha cambiado, no siendo concebida ya como algo ilimitable e indivisible, sino pudiéndose distinguir en su interior una diversidad de competencias. Individualizadas éstas, el Estado puede decidir la atribución del ejercicio de algunas de ellas a una entidad supranacional. Esto
explica el porqué de que los Estados hayan podido atribuir a la Unión Europea el ejercicio de competencias derivadas de sus Constituciones, y, así, entre éstas, el ejercicio de competencias en materia tributaria. Esto rompe con
las concepciones de la soberanía del Estado como algo indivisible.
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En el Estado se pueden distinguir el poder de creación de las normas jurídicas y el poder de aplicación de las mismas. La aplicación de las normas
jurídicas se presenta, sin lugar a dudas, como una manifestación del poder
del Estado sobre su territorio. Un Estado podría adoptar una medida coactiva solamente sobre su propio territorio. Si un Estado aplicase una decisión
expresión de poder en territorio extranjero, en principio, violaría el Derecho
Internacional. La aplicación de decisiones expresión de poder sobre territorio extranjero se puede realizar solamente en el marco de la cooperación internacional entre Estados. El Estado en cuyo territorio se aplique una medida de poder, ha debido aplicarla él mismo o haber dado su consentimiento
para su aplicación por órganos de otro Estado.
Acerca del interrogante de si el poder de crear normas jurídicas represente o no una manifestación del poder territorial, y teniendo en cuenta ciertos
casos problemáticos que podrían hacer pensar en una respuesta negativa a
tal pregunta, debemos tener presente que si un Estado decide a través de sus
normas de conflicto que sus leyes se apliquen a sus ciudadanos por hechos
acaecidos en el extranjero, lo está decidiendo a través de normas – las mencionadas normas de conflicto – a aplicar sobre su propio territorio, que tienen como presupuesto la existencia de un conflicto de Derecho presentado
ante sus órganos. Y cuando en base a las normas de conflicto de un Estado
se debe aplicar a los nacionales de otro Estado la ley de éste aunque por hechos no acaecidos en el territorio del mismo, el fundamento de esta aplicación normativa se encuentra en el poder del Estado en el que se aplica. No
obstante, el ámbito de las normas de conflicto no abarca al Derecho Tributario, pero nos fijamos en las mismas, desde una perspectiva de contemplación general de la mecánica del Ordenamiento jurídico. Además, cuando un
Estado toma como presupuesto de hecho de normas suyas que no sean de
conflicto, sino normas materiales, hechos no acaecidos en su territorio relativos a sus nacionales, está, de todas formas, estableciendo en estas normas
consecuencias jurídicas a aplicar sobre su propio territorio. Son normas en
las que el presupuesto de hecho toma en consideración el elemento extranjero y que son creadas por el Estado pensando en su aplicación en su propio
territorio por parte de sus órganos.
No se puede pensar en el poder de crear normas jurídicas sin considerar
la existencia de un ordenamiento jurídico; no se puede pensar en un ordenamiento jurídico sin un Estado, teniendo en cuenta que las normas de los
entes territoriales menores que se forman dentro del territorio estatal se integran en el ordenamiento del Estado y que los ordenamientos de las organizaciones supranacionales encuentran aplicación en los Estados porque
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éstos han dado su propio consentimiento a la adhesión a las mismas en tales
términos; y un Estado no puede existir sin territorio, visto que éste es uno
de sus elementos esenciales. Y no se puede pensar en un ordenamiento jurídico sin pensar en la aplicación de sus normas, pensando solamente en la
creación de éstas, porque sería un sistema inservible, en cuanto no podría
ser eficaz. Así, no se puede tampoco desvincular el poder de creación normativa del Estado del poder de éste sobre su territorio.
Para la existencia de un tributo es necesario que éste sea creado por un
ente que tenga el poder para ello. Pero después, para hacerlo efectivo son
necesarios órganos de la Administración que tengan las potestades para gestionarlo y recaudarlo. Es este doble aspecto de la vida del tributo – su creación normativa y su aplicación – lo que nos sirve para delimitar el contenido
del Poder Tributario.
Hoy se someten a tributación manifestaciones de riqueza no situadas en
el territorio del Estado; estas manifestaciones corresponden a sujetos residentes en el territorio del Estado impositor, caso en el que ya encontramos
una conexión del sujeto con el territorio basada en la misma residencia, o
bien, y más raramente, a sus nacionales aunque no sean allí residentes; bien
es cierto que en este último caso la conexión del sujeto con el territorio no
es igual a la de un residente. El nacional tiene sin duda una relación personal
con el Estado, pero tiene también una conexión potencial con su territorio,
en cuanto tiene la posibilidad, en principio, de reintegrarse en el mismo
cuando quiera; y tiene una relación potencial con los servicios públicos que
en el territorio se prestan o que tienen en éste su base. Y tiene también un
interés en la existencia de su Estado y también, por tanto, en su territorio.
Es, pues, lógico que se le pueda obligar a contribuir a la financiación de los
servicios públicos conectados con el territorio de su Estado. Es cierto que,
en este caso, de importancia marginal sin duda en los ordenamientos tributarios contemporáneos, el nacional tiene una relación eminentemente personal con el Estado, pero no se puede considerar del todo extraño con respecto al territorio de su Estado. Así, este caso de escasa eficacia práctica, no
nos puede hacer pensar que el poder de creación normativa tributaria no
tenga ninguna conexión con el poder del Estado sobre el territorio. Esta conexión existe siempre, aunque en mayor o menor medida, y aquí debemos
tener en cuenta las consideraciones hechas supra, hablando del Derecho en
general. Piénsese en el hecho de que un Estado crea un tributo con la finalidad de hacerlo eficaz, y esta eficacia, en principio, se circunscribe a su territorio, teniendo así el poder de hacer efectivas las leyes tributarias un claro
fundamento en el poder del Estado sobre el territorio.
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Así pues, el poder normativo tributario del Estado tiene un vínculo con
su territorio en base a una serie de razones: en primer lugar, porque los puntos de conexión con el Poder Tributario del Estado se presentan, en general,
como puntos de conexión – objetivos o subjetivos – con el territorio de éste,
teniendo normalmente carácter territorial y no puramente personal; en segundo lugar, porque los gastos públicos, a cuya financiación van destinados
los tributos – que en base a un deber de solidaridad tributaria deben pagar
los contribuyentes –, se realizan en relación con servicios públicos que se
prestan fundamentalmente en territorio estatal, y con respecto a los cuales
los nacionales, aunque residentes en el extranjero, tendrían al menos una relación potencial, como potencial y libre es, en principio, su relación con el
territorio mismo de su propio Estado; y, por último, porque la racionalidad
del ordenamiento jurídico-tributario exige que exista una coherencia entre
el Poder de establecer tributos y el Poder de hacer efectiva la pretensión tributaria, teniendo este último como límite el territorio nacional.
Las normas tributarias nacen para que se haga efectivo su contenido. El
Estado, por sí solo, puede hacer efectivo de manera coactiva el contenido de
sus normas solamente sobre su propio territorio. Un poder de creación normativa sin un correlativo poder de aplicación coactiva de las normas se convertiría en un poder inútil. Así, el poder de creación normativa tributaria no
se puede considerar desvinculado del territorio estatal.
Ante los planteamientos doctrinales sobre la utilización del concepto de
territorialidad en Derecho Tributario, nosotros proponemos el uso de este
concepto en materia tributaria en un doble sentido: de un lado, en sentido
material y, del otro, en sentido formal. En el primer sentido citado la territorialidad se referiría a la delimitación de los puntos de conexión con el territorio del Estado impositor de las manifestaciones de riqueza sometidas a
gravamen, esto es, del vínculo territorial que la norma tributaria prevé de la
materia imponible. Bajo este sentido de la territorialidad, quedaría comprendida la problemática de la diversidad de los puntos de conexión con el
territorio, sus límites jurídicos y las consideraciones metajurídicas que inciden en su elección normativa. Son éstas todas cuestiones que se refieren al
ámbito de la creación normativa. De otro lado, se puede hablar de la territorialidad en sentido formal para hacer referencia a los problemas que derivan
del hecho de que sobre el territorio de un Estado rige solamente su ley y no
la de otro Estado, si no es a través de un mecanismo que encuentre su fundamento en el consentimiento del Estado titular del territorio. Con todo ello, quedarían comprendidos en la misma los problemas que derivan de la
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limitación que conlleva que un Estado pueda hacer efectivos sus propios actos de imperio para la aplicación de sus leyes tributarias solamente sobre su
propio territorio y no sobre el de otro Estado si no existe el consentimiento
de este último. Son, todos éstos, problemas que podrían incluirse en la territorialidad en sentido formal, problemas que encuentran el común denominador de afectar a la eficacia de la ley en el territorio, mientras la llamada extensión de la ley tributaria se movería en sede de territorialidad en sentido
material del tributo.
En la discusión acerca del hecho de si, dentro del fenómeno tributario, la
característica de la territorialidad deba ser referida al tributo, a la ley tributaria o bien al Poder Tributario, debemos tener en cuenta, en la dialéctica tributo versus ley tributaria, que el tributo es un instituto jurídico, en cuanto
creado por la ley, y que su vida es la vida de lo que dispone la ley tributaria.
Por ello, no encontramos en general gran problema en hacer referencia a la
territorialidad como atributo del tributo o de la ley tributaria.Y con respecto
al Poder Tributario, debemos recordar el doble aspecto que en su análisis ha
señalado la doctrina. De un lado, el plano del Poder legislativo en materia
tributaria entraría plenamente en campo de territorialidad en sentido material, y al mismo se le aplicarían los posibles límites que puedan existir en sede de extensión de la ley tributaria en el espacio, y que así condicionarían los
vínculos con el territorio presentes en la ley. Una vez realizada la creación
normativa, en el planteamiento de los puntos de conexión existentes está
claro que ante el Derecho positivo vigente, al cuestionarse lo que existe en
una ley, no se deben olvidar los posibles límites al trabajo del legislador. Se
podrá hablar de territorialidad para hacer referencia a un aspecto o a otro,
según donde se fije nuestra mirada en ese momento, pero serán aspectos íntimamente vinculados, también en su consideración territorial. De otro lado, la evolución del concepto de Poder Tributario nos ha mostrado el aspecto del Poder para hacer efectivas las pretensiones tributarias del Estado; y
en el desarrollo de este Poder por los órganos estatales, las limitaciones territoriales a las potestades de éstos encuentran su sede en el campo de la territorialidad en sentido formal. Todo ello nos muestra cómo se pueda hablar
de territorialidad, con respecto al fenómeno tributario, para hacer referencia
al tributo, a la ley tributaria y al Poder Tributario.
La solución al interrogante sobre si se deba admitir o no la residencia
dentro del concepto de territorialidad encuentra, en primer lugar, la necesidad de determinar si se pueda hablar de territorialidad con respecto al sujeto pasivo o a cualquier otro elemento subjetivo. Desde una perspectiva am-
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plia del concepto de territorialidad, no se presentaría ningún impedimento a
tal admisión. Pero debemos recordar sobre todo que podríamos movernos
no solamente en sede de sujeto pasivo, sino también en sede de elemento
subjetivo del hecho imponible. Y si hoy la nacionalidad tuviese cierta relevancia como punto de conexión en Derecho Tributario, por contraposición
a la misma, destacaría todavía más el aspecto territorial de la residencia. Pero aunque la residencia se puede considerar como una cualidad o condición
de la persona, no existe la menor duda de que la residencia se define en relación al territorio. Por ello el concepto de residencia no puede ser separado
del concepto de territorialidad en Derecho Tributario. Otra cosa es el hecho
de que los criterios de conexión con el territorio que toma en consideración
la ley tributaria son varios y distintos – y así, en primer lugar, se debe distinguir entre objetivos y subjetivos –, como varias y distintas se presentan las
consecuencias jurídico-tributarias en cada caso.
De otro lado, la residencia se presenta en los sistemas tributarios contemporáneos como un punto de conexión que tiene una relevancia esencial en
el gravamen sobre las rentas mundiales del sujeto pasivo, y sobre su patrimonio universal, en los sistemas donde existe un impuesto general sobre el
patrimonio. Pero no solamente en materia de imposición directa tiene importancia la residencia, pudiendo tener también alguna incidencia en sede
de impuestos indirectos.
La territorialidad en sentido material del tributo viene determinada por
la conexión del hecho imponible y del sujeto pasivo con el territorio, conexión que además influye o puede influir en los elementos para la cuantificación de la deuda tributaria.
Además de la influencia que los factores territoriales pueden tener en
materia de hecho imponible, de sujeto pasivo y sobre los elementos para la
cuantificación de la deuda tributaria, tales factores pueden tener también influencia en la articulación jurídica del procedimiento de aplicación de los
tributos.
Si los factores territoriales que rodean al tributo influyen en los elementos esenciales de éste, es lógico que también las características del tributo se
vean afectadas por tales factores territoriales, dado que propiamente tales
características derivan de cómo sean aquellos elementos.
Teóricamente, el Poder legislativo del Estado puede encontrar en relación a la extensión de la ley tributaria en el espacio una serie de límites, límites que podrían consistir en la obligatoriedad de adoptar el criterio de la
territorialidad en la imposición de ciertas manifestaciones de riqueza o en el
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deber de seguir tal criterio en un cierto sentido o bien en una cierta medida,
condicionando así la delimitación de los puntos de conexión de la norma tributaria. Entre tales límites, se deben distinguir los de Derecho Internacional
General, los de Derecho Internacional Convencional, los de Derecho de la
Unión Europea y los de Derecho Constitucional.
Existen en los convenios internacionales para evitar la doble imposición
posibles pruebas expresas de la inexistencia de normas de Derecho Internacional General que delimiten con carácter general deberes en materia de territorialidad en sentido material del tributo. Cuando estos convenios hacen
referencia expresa a las normas de Derecho Internacional General en materia
de tributación de los diplomáticos, muestran así el reconocimiento de la existencia de normas de aquél tipo en relación a la tributación de estos sujetos,
pero no con respecto a la globalidad del fenómeno tributario internacional.
Así, al menos se da la prueba de la no aceptación por parte de los Estados de
la existencia de una norma de Derecho Internacional General que prohíba la
doble imposición internacional.
El dato de que en el artículo 31 de la Constitución española se diga simplemente “todos”, sin más especificaciones, nos hace pensar que pueden ser
titulares del deber previsto en este artículo tanto los nacionales como los extranjeros. Los nacionales están vinculados con el Estado por un vínculo de
solidaridad política, pero también por un vínculo de solidaridad económica
y de solidaridad social; los extranjeros, por el contrario, pueden estar vinculados al Estado solamente por el vínculo de solidaridad económica y social.
Visto esto, se debe entender que el mencionado artículo 31 debe ser interpretado en el sentido de que en relación con la tributación de los extranjeros se debe dar un vínculo económico con el territorio español valorable en
términos de capacidad contributiva. Sin embargo, aunque existe un deber
de solidaridad política de los nacionales con el Estado, esto no quita que el
legislador tributario pueda escoger la opción de prescindir del punto de conexión nacionalidad, en base a razones de equidad y efectividad de la norma.
Los Estados no pueden actuar sin autorización en territorio extranjero.
Un Estado, por sí mismo, a través de sus propios funcionarios no puede hacer valer su Derecho fuera de sus fronteras, porque éstas delimitan el ámbito
de su soberanía territorial. Esto constituye un principio de Derecho Internacional General. Cuando no se respeta esta norma se produce una violación de la soberanía de otro Estado y, así, un ilícito internacional.
En principio, los órganos de un Estado no pueden ejercitar sus potestades tributarias en el territorio de otro Estado. Así, tales órganos no pueden
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hacer efectivo el Poder Tributario de su Estado fuera de las fronteras territoriales de éste, lo que encontraría una excepción en los casos en que se dé
el consentimiento del Estado a la actuación de órganos extranjeros sobre su
propio territorio. Esta imposibilidad de actuación tributaria de los Estados
en territorio ajeno, con la consiguiente imposibilidad para un Estado de aplicar por sí solo sus normas tributarias en territorio extranjero y así hacer
allí efectivas sus pretensiones tributarias, ha hecho necesarios mecanismos
internacionales de cooperación entre Estados, especialmente en materia de
intercambio de información y en materia de recaudación.
Aunque un Estado no puede ejercitar su poder de imperio en el territorio
de otro Estado sin el consentimiento de éste, debemos tener en cuenta que
cosa distinta es la posibilidad de una organización internacional de ejercitar
su poder en el territorio de los Estados miembros, en base a la atribución de
competencias realizada por éstos a la organización. Y esto sucede en el caso
de la Unión Europea.
En aquellos casos en los que un Estado procede a recaudar el crédito tributario de otro Estado, no se produce propiamente una aplicación de Derecho Tributario extranjero. Cuando las autoridades tributarias de un Estado
proceden a la recaudación de un crédito tributario extranjero, no realizan
una actividad de declaración del Derecho extranjero, sino que solamente analizan si la petición de cooperación formulada por el Estado extranjero respeta los requisitos previstos en el correspondiente tratado o texto normativo
internacional, que serán requisitos de forma y de competencia. El crédito tributario extranjero tiene en estos casos para el Estado que coopera el carácter
de mero hecho jurídico, que adquiere relevancia jurídica porque existe una
norma que le confiere efectos jurídicos en el ordenamiento; se trata de la contenida en el correspondiente convenio internacional, y que, como hemos visto, se convierte en Derecho interno o la contenida en el correspondiente texto normativo de Derecho Comunitario derivado, teniendo el Derecho Comunitario, en principio, efecto directo en los ordenamientos nacionales. Debemos tener en cuenta que las autoridades fiscales de tal Estado no realizan la
liquidación del crédito tributario extranjero. La citada actuación del operador
jurídico tributario es distinta, pues, de la que realizan los órganos judiciales
cuando aplican las normas de Derecho Internacional Privado; las normas de
conflicto bilaterales de esta rama del Derecho, hacen que se apliquen normas
jurídicas extranjeras. El caso de la recaudación de créditos tributarios extranjeros es, como hemos visto, completamente distinto. De todas formas, con tal
recaudación, el Estado titular del crédito tributario ve como éste sea hecho
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efectivo en territorio extranjero. Pero esto no implica que se pueda decir que
ha sido verdaderamente aplicado el Derecho Tributario extranjero.
Los límites analizados en materia de territorialidad en sentido formal del
tributo han hecho que los Estados hayan debido establecer entre ellos mecanismos de cooperación en la aplicación de los tributos. Estas formas de cooperación no representan propiamente excepciones a tales límites de la territorialidad del tributo en sentido formal, sino mecanismos para superar estos
límites, porque aquí, en estas acciones de cooperación, aunque se realicen tales actividades para favorecer la pretensión tributaria de un Estado extranjero,
el Poder Tributario que se ejercita es el del Estado en que se actúa, porque
son los órganos de este Estado los que ejercitan sus potestades y no, en principio, órganos del Estado extranjero. Así se ayudará a conseguir que la pretensión tributaria del Estado extranjero se haga efectiva y que se cumpla lo dispuesto por las leyes tributarias dictadas en base al Poder Tributario de ese
Estado extranjero. Aquí un Estado, en base a su Poder Tributario, encarga a
sus órganos el ejercicio de sus propias potestades en el desarrollo de las actuaciones para la cooperación, pero esto no significa que un Estado ejercite su
Poder Tributario en territorio extranjero. En síntesis, un Estado actúa sobre
su propio territorio para ayudar a otro, o sea, que no actúa el Estado extranjero, sino el Estado del territorio donde se desarrollan los actos de cooperación.
Cuando existen mecanismos de cooperación internacional en materia de territorialidad en sentido formal, esto no implica que el ejercicio del Poder Tributario de un Estado pueda sobrepasar los límites del territorio del mismo y
violar el territorio de otro Estado, sino que significa solamente que existe un
mecanismo de cooperación internacional para superar los problemas que derivan del límite general en materia de territorialidad en sentido formal estudiado. Así pues, cuando se ejecutan o ponen en práctica los mecanismos de
cooperación en materia de territorialidad en sentido formal, el Poder Tributario estatal que se actúa es el del Estado cuyos órganos actúan, o sea, el del
Estado al que se pide la cooperación y no el del Estado que la pide, Estado,
este último, que es titular de la pretensión tributaria. Todo esto puede encontrar una excepción en los casos en que se permite que opere en territorio nacional un funcionario público tributario de un Estado extranjero, aunque sea
sólo para realizar notificaciones con efectos públicos o inspecciones. Pero, de
todas formas, también en estos casos debe existir una intervención del Estado
en cuyo territorio se realizan tales actos, en cuanto este Estado debe haber
dado su consentimiento a tales actuaciones o a quedar vinculado por las correspondientes normas en que se prevén.
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No existe un principio o norma de Derecho Internacional General que
prohíba que un Estado coopere con otro en la aplicación de los tributos de
este otro, y que realice con este fin actos en su propio territorio. Esto se demuestra con los ejemplos existentes de cooperación entre Estados en este
ámbito. Tales ejemplos demuestran que los Estados no se sienten obligados
por tal hipotética norma de Derecho Internacional General, norma que no
existe. Además, sería contrario al estado actual de evolución del Derecho Internacional y de la Sociedad Internacional considerar cerradas, por el propio
Derecho Internacional, vías a la cooperación internacional entre Estados.
A nuestro entender, no existe tampoco un principio de Derecho Internacional General o una costumbre internacional que obliguen a los Estados a
cooperar en la aplicación y recaudación de los tributos extranjeros. Si existiese tal norma no serían necesarios los convenios internacionales y otros
textos internacionales – piénsese en los textos normativos de Derecho Comunitario derivado – que establecen mecanismos de cooperación en esta materia. Pero se podría también pensar que tales convenios internacionales nacen para dar seguridad jurídica en esta materia, codificando una costumbre
internacional que ya existiese en la misma. Pero en la comparación de estos
dos argumentos distintos y vista la fuerte caracterización territorial del Derecho Tributario que hemos encontrado en este trabajo, no se puede afirmar
que los Estados se sientan obligados por tal hipotética costumbre internacional. Y todavía más, un Estado no podría aceptar siempre los actos tributarios de otro Estado sin cuestionarse ciertos aspectos relativos a los mismos.
Así, un Estado debería tener libertad para juzgar y decidir en base a sus propios principios constitucionales y en base a las perspectivas de política socio-económica vigentes en el mismo en el momento en que se debiera ejecutar el crédito tributario extranjero, dado que corresponde a tal Estado determinar los límites en materia de ejecución, sobre todo cuando el montante de
ésta debiese ser entregado a un Estado extranjero. Somos, pues, de la opinión
de que los Estados deben ser considerados libres – y por tanto no vinculados
por un deber de Derecho Internacional General – para desarrollar o no tal
cooperación, excepto en el caso en que exista una norma de Derecho Internacional Convencional o de Derecho Comunitario Europeo que imponga
tal deber. De todas formas, debemos reconocer que tal cooperación es muy
conveniente, deseable y conforme con el espíritu de cooperación que debe
darse en la Sociedad Internacional. Y el hecho de que los Estados no estén
obligados a cooperar en esta materia no quita, obviamente, que puedan hacerlo y que sea conveniente que lo hagan. De ahí la necesidad de fortalecer y
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aumentar los mecanismos de cooperación internacional en materia tributaria. La lucha contra el fraude tributario internacional a través de los paraísos
fiscales en cierta medida no ha alcanzado las expectativas que habían generado los instrumentos puestos en marcha por la Unión Europea y la OCDE.
Incluso, ante tal dinámica, tampoco parece que el Convenio multilateral de
asistencia administrativa en materia fiscal pueda resolver considerablemente el problema, a pesar de las expectativas que también ha generado. Ahora
bien, el que no se pueda mantener jurídicamente en puridad de conceptos
que exista un principio de Derecho Internacional General que obligue a los
Estados a cooperar en materia tributaria cuando no exista convenio internacional al efecto, no quiere decir que a nivel global o mundial pudiesen establecerse desde Naciones Unidas unas líneas de actuación que obligasen en
tal sentido, pensando esencialmente en los Estados que sn paraísos fiscales,
de tal forma que la actuación de los mismos pueda ser considerada contraria
al sentir y parecer de dicha organización internacional global, con las consecuencias que ello puede conllevar.
Dada la vigencia del principio de legalidad en materia tributaria y la reserva de ley en esta materia, como plasmación de aquel principio, el Derecho Tributario está contenido principalmente en leyes. A la luz de ello, tradicionalmente se ha apuntado la escasa eficacia práctica de los Principios
Generales del Derecho por sí mismos como fuente del Derecho Tributario,
es decir, como principios que se puedan deducir de las distintas regulaciones, sin estar expresamente recogidos en la ley o consagrados en la Constitución, pues, en estos casos, se convierten en norma expresa escrita y su valor no se da ya en cuanto tales principios, sino en función del rango del texto
normativo en que se recogen expresamente. También en función de lo apuntado, se suele negar virtualidad a la costumbre dentro de las fuentes del Derecho Tributario. Pues bien, en el ámbito del Derecho Internacional Tributario sí se puede encontrar cierta incidencia de la costumbre y de los Principios Generales del Derecho como fuentes del mismo, si bien se trata de una
incidencia bastante reducida, si la comparamos con la amplitud, proliferación y desarrollo de otros tipos de fuentes del Derecho Internacional. Obviamente, esto no justifica el olvido de tales costumbres y Principios Generales del Derecho.
En relación al Derecho Internacional Tributario, las ramas que han sido
más estudiadas son el Derecho Internacional Convencional, es decir, aquella rama compuesta por convenios internacionales, y el Derecho de la Unión
Europea. Esto resulta lógico, si se tiene en cuenta que se trata de los dos ám-
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bitos normativos internacionales que mayor incidencia tienen en la práctica
limitando o condicionando el Poder tributario de los Estados. Pero junto a
esas dos ramas del Derecho Internacional, también incide en materia tributaria el Derecho Internacional General, si bien, de una forma mucho más
reducida en la práctica que el Derecho Internacional Convencional y que el
Derecho de la Unión Europea. Quizás por ello el estudio de aquella rama
por la doctrina ha sido mucho menor que el de estas otras dos. Pero la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributaria es la más
obvia y esencial, encontrándose en la base de la construcción de la fiscalidad
internacional. Esta incidencia se da sobre todo en relación a la eficacia de la
ley tributaria en el espacio, si bien también puede tener algún alcance con
respecto a la extensión de la ley. Por ello, creemos que no se debe descuidar
tanto, al contrario de lo que se ha venido haciendo por la doctrina, el estudio de la incidencia del Derecho Internacional General en materia tributaria, debiendo fomentarse el desarrollo de los análisis relativos a éste dentro
del Derecho Internacional Tributario. Digamos que las normas del Derecho
Internacional General en materia tributaria representarían los parámetros
jurídicos esenciales que debe respetar la globalización fiscal y deberíamos
comenzar a plantearnos hasta qué punto se debería avanzar en la toma en
consideración de la idea de justicia tributaria desde la perspectiva de las relaciones fiscales internacionales, tomando como germen la disciplina europea.
8. Apunte conclusivo
En el sentido expuesto, la doctrina italiana tradicionalmente ha tenido
una especial capacidad para afrontar la conceptualización de la fenomenología tributaria internacional, aplicando la tradición de los grandes pensadores del Derecho Tributario. Ahora bien, con la sobredimensión que ha alcanzado la fiscalidad internacional, ni incluso la doctrina italiana ha sabido
mantener el nivel de sus pioneros en la construcción dogmática del Derecho Internacional Tributario, sin perjuicio de, no obstante, haber seguido
surgiendo en Italia importantes obras de la misma en este ámbito temático.
Es como si cuando una estructura estaba ya muy avanzada, antes d e terminarla la atención doctrinal se hubiese dedicado a rellenar simplemente los
elementos más visibles de esa estructura aún incompleta. Llega el momento,
pues, de retomar esas grandes líneas que abrió la doctrina italiana del Derecho Internacional Tributario en su momento.
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Llegados a este punto habría que replantearse si ha llegado el momento
de intentar retomar la posible virtualidad de los principios generales del Derecho Internacional en su proyección tributaria y redimensionar el sentido
de los mismos.
Y no sólo en relación a los principios generales del Derecho Internacional Tributario, en su dimensión de delimitador del alcance territorial del
poder y de las potestades tributarias y de los problemas conectados a los mismos, sino incluso más allá del derecho Internacional, a nivel de Derecho
Constitucional Tributario, la doctrina italiana prestó especial atención a los
principios constitucionales de justicia tributaria en relación a la no residencia versus la residencia y a la extranjería versus la nacionalidad, lo cual puede
ser muy clarificador igualmente en relación no sólo al alcance del poder del
Estado frente a otros Estados, sino también al poder del estado en relación a
los sujetos vinculados o conectados al mismo de muy distinta forma y en muy
distinto grado; en relación a los distintos tipos de contribuyentes, el alcance
del poder tributario en relación a los mismos, no se debe analizar sólo desde
la perspectiva del Derecho Internacional Tributario, sino también desde la
perspectiva del Derecho Constitucional Tributario. Y, por ejemplo, con un
análisis en profundidad desde las perspectivas apuntadas, seguramente tendríamos que terminar considerando que el poder tributario del Estado ante
el traslado de la residencia a un paraíso fiscal, no sólo se podría dar en relación a los sujetos de nacionalidad española, tal y como sucede actualmente,
sino que incluso, ni desde la perspectiva del Derecho Internacional, ni desde
la perspectiva del Derecho Constitucional, habría inconveniente en que se
pudiese establecer también en relación a los extranjeros que han residido en
España y, así, en función de ello han estado integrados en nuestra sociedad,
con la consiguiente responsabilidad social tributaria que ello conlleva y de la
que uno no puede prescindir en el momento en que le interese; otra cosa
distinta será la mayor o menor dificultad para hacerlo efectivo.
Por ello, el análisis de todos esos posibles límites existentes o inexistentes
desde la perspectiva del Derecho Internacional o Constitucional Tributario
nos puede dar la pauta y los parámetros de hasta dónde se podrían ampliar
nuestras leyes tributarias actuales para actuar más rigurosamente contra el
fraude fiscal; decimos rigurosamente, no sólo en el sentido de mayor intensidad, sino también en el sentido de un mayor rigor jurídico.
Pasquale Pistone
LA PIANIFICAZIONE FISCALE AGGRESSIVA
E LE CATEGORIE CONCETTUALI
DEL DIRITTO TRIBUTARIO GLOBALE
AGGRESSIVE TAX PLANNING AND THE NEW CONCEPTUAL
CATEGORY OF GLOBAL TAX LAW
Abstract
La pianificazione fiscale aggressiva è una categoria concettuale del diritto tributario globale e consiste nello sfruttamento delle disparità transnazionali tra gli ordinamenti tributari, al fine di conseguire vantaggi d’imposta che gli Stati non
avrebbero altrimenti inteso concedere. Questo articolo delinea i tre elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva, differenziando questo fenomeno
da quelli affini, come in particolare l’abuso e l’elusione fiscale. Analizza, inoltre, il
contrasto globale alla pianificazione fiscale aggressiva attraverso il coordinamento fiscale internazionale realizzato sotto l’egida dell’OCSE, tenendo presenti gli
obblighi di rispetto del diritto dell’Unione Europea ed evidenziando possibili
profili di incompatibilità che potrebbero riguardare sia gli Stati membri dell’Unione Europea, sia la Commissione Europea in relazione a misure di soft law e
proposte di integrazione positiva in materia tributaria nel mercato interno.
Parole chiave: pianificazione fiscale aggressiva, elusione fiscale, progetto BEPS,
trasparenza fiscale globale, diritto tributario dell’Unione Europea.
Aggressive tax planning is a new conceptual category of global tax law. It consists in
the exploitation of cross-border disparities across tax systems with a view to achieving
tax advantages that States would otherwise not have meant to give. This article outlines the three main elements of international tax planning and differentiates this from
similar phenomena, such as in particular abuse and tax avoidance. Furthermore, it
analyses the global fight against international tax planning through international tax
coordination under the aegis of OECD, taking into account the obligations to comply
with the primacy of European Union law and highlighting possible forms of incompa-
396
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
tibility concerning EU Member States and the EU Commission in respect of soft law
measures and proposals for positive tax integration in the internal market.
Keywords: aggressive tax planning, tax avoidance, BEPS project, global tax transparency, European tax law
SOMMARIO:
1. Il coordinamento fiscale internazionale e la creazione del diritto tributario globale. – 2. Gli
elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva. – 2.1. Introduzione ai tre elementi
essenziali. – 2.2. Il primo elemento – lo sfruttamento delle disparità per trarre un vantaggio fiscale. – 2.3. Il secondo elemento – l’“effetto disallineamento”. – 2.4. Il terzo elemento – la doppia non imposizione involontaria. – 2.4.1. La doppia non imposizione involontaria in base alle
norme interne e convenzionali. – 2.4.2. La doppia non imposizione oggetto di coordinamento
in presenza di clausole di tax sparing e matching credit. – 2.4.3. La doppia non imposizione involontaria e le norme del diritto dell’Unione Europea. – 2.4.4. Ulteriori fattispecie di doppia non
imposizione involontaria. – 3. Pianificazione fiscale aggressiva, pratiche abusive ed elusione fiscale. – 3.1. I rapporti concettuali tra i fenomeni. – 3.2. Pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale: il treaty shopping. – 4. La pianificazione fiscale aggressiva nell’ottica di una lettura
globale dei principi costituzionali in materia tributaria. – 4.1. La pianificazione fiscale aggressiva e il pluralismo costituzionale. – 4.2. L’impatto della pianificazione fiscale aggressiva sul concorso al sostegno della spesa pubblica. – 4.3. La fonte dell’obbligo della pianificazione fiscale aggressiva e l’essenza della sovranità tributaria. – 4.4. L’interpretazione e l’applicazione delle norme
tributarie nel contesto del coordinamento fiscale internazionale. – 5. Conclusioni.
1. Il coordinamento fiscale internazionale e la creazione del diritto tributario
globale
Negli ultimi anni la notevole accelerazione del coordinamento internazionale in materia tributaria sta radicalmente trasformando la sostanza della
sovranità tributaria nazionale, pur mantenendone inalterata la forma.
I due principali vettori di questa trasformazione sono i progetti di trasparenza fiscale globale 1 e di lotta all’erosione della base imponibile e allo spo1
Questa iniziativa è meglio nota come Global Tax Transparency ed è gestita dal Global
Forum on Fiscal Transparency (GFFT), un organismo finalizzato all’attuazione e monitoraggio dell’effettività dello standard internazionale di trasparenza fiscale e scambio di informazioni tra autorità tributarie. A questo organismo partecipano attualmente 126 Paesi
in condizioni di parità.
Pasquale Pistone
397
stamento degli utili (anche noto come progetto BEPS) 2. Nell’ambito di questi due progetti sta emergendo una nuova dimensione giuridica sovranazionale 3 per l’esercizio della sovranità tributaria, di cui l’Organizzazione per la
Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE) ha assunto la responsabilità
tecnica per effetto del mandato politico del G20 4.
L’attuazione di questi progetti nel diritto tributario sta creando, di fatto,
un nuovo ordine giuridico, che possiamo definire con il termine di diritto
tributario globale. Il diritto tributario globale è un’espressione di quel diritto
globale, di cui la dottrina giuridica ha già da qualche tempo identificato l’esistenza 5. L’aggettivo globale non deve implicare a nostro avviso una sola rilevanza nelle situazioni internazionali, ma un’aspirazione al coordinamento
delle dimensioni giuridiche positive assunte dalle norme tributarie. Preso atto
dell’insufficienza di un approccio isolato ai problemi globali 6, si realizza quindi in questo contesto la ricerca di un diritto comune, che consenta di realizzare, per il tramite di un approccio di coordinamento a livello globale, la piena
aderenza del prelievo fiscale agli obiettivi di equità e una tassazione in conformità alle manifestazioni di forza economica 7.
È opportuno configurare le dinamiche del diritto tributario globale in un
sistema complesso che opera su due livelli e articola in tre fasi il processo di
produzione normativa.
Il primo livello (livello superiore) consiste in un insieme di norme comuni ispirate alle migliori pratiche e in grado di offrire soluzioni coerenti ai
2
Questo appunto il significato in italiano dell’acronimo BEPS, che nell’originale inglese
equivale a Base Erosion (and) Profit Shifting.
3
Il termine “sovranazionale” esprime in questo contesto la vocazione a creare un diritto
comune, non necessariamente legato ad una dimensione positiva, come quella del diritto
dell’Unione Europea.
4
Pur essendo il G20 privo di una propria legittimità da un punto di vista giuridico, esercita un ruolo de facto preponderante a livello internazionale, grazie all’influenza degli Stati
che vi aderiscono e che contribuiscono a produrre oltre l’80% del prodotto interno lordo a
livello mondiale.
5
V. ad esempio CASSESE, Il diritto globale, Torino, 2009.
6
Fra i tanti autori che hanno raggiunto queste conclusioni, v. ROIN, Taxation without Coordination, in Chicago Public Law and Legal Theory, Working Paper n. 20, in http://papers.ssrn.
com/paper.taf?astract_id=302141, che a p. 16 sottolinea l’insufficienza di soluzioni isolate ai
problemi globali in materia tributaria.
7
Sugli aspetti economici della globalizzazione e le problematiche che emergono ai fini impositivi, v. IMF, Fiscal Affairs Department, Globalization: Threats or Opportunity (IMF Publications, 2000), consultabile in https://www.imf.org/external/np/exr/ib/2000/041200to.htm (accessed 9 November 2015).
398
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problemi tributari emergenti a livello internazionale, in ottemperanza del
cosiddetto holistic approach. Il secondo livello (livello inferiore o positivo
nazionale) attua tali soluzioni all’interno dei singoli sistemi tributari nazionali, apportando gli adeguamenti necessari al fine di essere conforme al diverso contesto.
Le tre fasi del processo di produzione normativa hanno inizio con l’identificazione e lo studio del problema globale. Questa prima fase si svolge in seno a organizzazioni internazionali e con il coinvolgimento di esperti tributari internazionali, autorità tributarie e rappresentanti della società
civile.
La seconda fase di tale processo consiste nella predisposizione, in via di
soft law, dello schema tecnico meglio in grado di reagire al problema di erosione della base imponibile a livello internazionale e culmina nella produzione delle norme comuni, che abbiamo testé definito di livello superiore.
La terza e ultima fase fornisce a tali norme una dimensione giuridica positiva e vincolante all’interno dei singoli sistemi tributari; ciò avviene spesso
per effetto di un volontario adeguamento da parte del legislatore nazionale,
generalmente apportando solo quelle modifiche allo schema comune che si
rendono necessarie in ragione di specifiche esigenze del contesto positivo 8.
Tuttavia, le recenti proposte del pacchetto antiabuso della Commissione
Europea dimostrano la concreta possibilità che si addivenga all’emanazione
di diritto sovranazionale secondario dell’Unione Europea in relazione all’attuazione di sei misure del progetto BEPS 9.
L’attuazione della terza fase impiega altresì strumenti giuridici internazionali, come ad esempio le convenzioni tra Stati. In tali casi non vi è dubbio
che tale fenomeno determini – a partire da quel momento – la produzione
di diritto internazionale pattizio, che vincola la sovranità tributaria nazionale in conformità al ben noto principio pacta sunt servanda 10.
Si deve invece escludere allo stato attuale che il diritto tributario globale
possa (ancora) configurarsi come espressione di diritto internazionale consuetudinario. Manca, infatti, un sufficiente grado di diuturnitas, ma soprat8
V. AMATUCCI, L’adeguamento dell’ordinamento tributario nazionale alle linee guida dell’OCSE e UE in materia di lotta alla pianificazione fiscale aggressiva, in Riv. trim. dir. trib., n.
4, 2015, I, p. 3 ss.
9
In particolare si tratta delle misure relative alle azioni 2, 3, 4, 5, 6 e 8-10. V. COM
(2016) 26 def., pp. 3 e 6 ss.
10
Questo principio di diritto internazionale pattizio è stato codificato all’art. 26 della
Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati.
Pasquale Pistone
399
tutto è assente la opinio iuris ac necessitatis 11. Sono invece altre le ragioni per
cui le soluzioni raggiunte nell’ambito dei progetti BEPS e di trasparenza fiscale globale si stanno facendo spazio. In particolare, la crisi economica e
finanziaria internazionale ha accentuato la percezione che l’erosione della
base imponibile e lo spostamento degli utili verso ordinamenti con una più
favorevole imposizione fiscale possa far mancare agli Stati le risorse sufficienti per il sostentamento della propria spesa pubblica 12. Pertanto, gli Stati
si stanno facendo parte attiva nel recepire all’interno dei propri ordinamenti
le soluzioni elaborate dai progetti BEPS e di trasparenza fiscale, percependole come il frutto della riflessione sulle migliori pratiche volte a contrastare
tali fenomeni.
Purtuttavia, sembra opportuno rilevare che la strada verso la formazione
del diritto consuetudinario internazionale in materia tributaria è stata intrapresa con maggiore decisione per quanto concerne la cooperazione amministrativa tra autorità fiscali. In tal ambito può formarsi dunque un fronte di
avanguardia di un diritto tributario globale a geometria variabile.
Sulla base della presupposizione, a nostro avviso fondata, che entrambi i
progetti di coordinamento fiscale internazionale predispongano soluzioni
adeguate a fronteggiare il suddetto fenomeno, il diritto tributario globale realizza una sorta di “armistizio fiscale globale”, che mira a bloccare una concorrenza fiscale internazionale senza regole, indirizzando i sistemi tributari verso
uno standard globale di concorrenza fiscale internazionale trasparente.
Queste riflessioni analizzano i limiti entro cui il diritto tributario globale
ammette lo sfruttamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari dei
singoli Stati al fine di trarre il vantaggio di una riduzione del carico fiscale o
di una doppia non imposizione 13, che la normativa nazionale o convenzio11
PISTONE, Coordinating the Action of Regional and Global Players During the Shift from Bilateralism to Multilateralism in International Tax Law, in WTJ, n. 1, 2014, p. 5, cui, per i profili
relativi alla formazione della consuetudine come fonte del diritto internazionale, adde LEPARD, Customary International Law. A New Theory with Practical Applications, Cambridge,
2010, p. 285 ss., che analizza con specifico riferimento il caso dei prezzi di trasferimento.
12
V. AVI-YONAH, Globalization, Tax Competition, and the Fiscal Crisis of the Welfare State, in Harvard Law Review, n. 7, 2000, p. 1573 ss.
13
Il termine doppia non imposizione è divenuto di uso comune nella prassi tributaria
internazionale LANG, Avoidance of Double Non-Taxation, Schriftenreihe zum Internationalen
Steuerrecht, 26, Vienna, 2003) come fenomeno opposto a quello della doppia imposizione,
e identifica quelle forme di conflitto negativo di imposizione tra due Stati che altrimenti
potrebbero ricollegare la materia imponibile alla loro potestà tributaria. Pertanto, tale terminologia verrà utilizzata anche in questo scritto, nonostante il fatto che le suddette forme
400
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nale applicabile non ha inteso concedere 14.
Questa forma di risparmio fiscale, meglio nota come pianificazione fiscale aggressiva, è tuttora circondata da una notevole incertezza giuridica 15.
L’incertezza riguarda in particolare le sue caratteristiche e gli elementi essenziali, ma anche i rapporti con i tradizionali istituti del diritto tributario,
fra cui specialmente l’abuso e l’elusione fiscale, che a nostro giudizio rappresentano fenomeni diversi dalla pianificazione fiscale aggressiva 16.
Prove di questa incertezza giuridica sono rinvenibili tanto a livello giurisprudenziale 17, quanto della Raccomandazione del 6 dicembre 2012 18 della
Commissione Europea, cui si deve far risalire la confusione concettuale che
caratterizza il successivo operato della Commissione stessa, fra cui da ultimo va inserito anche il pacchetto di misure di attuazione del progetto BEPS
nell’Unione Europea 19.
L’approfondimento sistematico della pianificazione fiscale aggressiva, oggetto di questo lavoro, si propone di contribuire al superamento di questa incertezza giuridica, stimolando il dibattito dottrinale ad adeguare le categorie
concettuali alla luce degli sviluppi del diritto tributario globale 20 e inquadradi conflitto negativo di imposizione determinino, in sostanza, la non imposizione a livello
internazionale.
14
A questo riguardo la terminologia utilizzata dall’OCSE è in inglese “unintended double non-taxation” e in francese “double non-imposition involontaire”.
15
V. DOURADO, Aggressive Tax Planning in EU Law and in the Light of BEPS: The EC
Recommendation on Aggressive Tax Planning and BEPS Actions 2 and 6, in Intertax, n. 1,
2015, p. 43.
16
Questa conclusione può comprendersi tenendo conto della diversità dei rispettivi elementi essenziali, come si avrà modo di indicare nel prosieguo di questo studio ai parr. 3 e
4. Diversamente, secondo DOURADO, op. cit., p. 44 la pianificazione fiscale aggressiva è un
concetto che ricomprende al suo interno sia la pianificazione fiscale, sia la elusione fiscale
(«aggressive tax planning is currently an umbrella concept to both international tax planning
and tax avoidance»).
17
Anche la Corte di Cassazione italiana ha utilizzato di recente la locuzione pianificazione fiscale aggressiva, sia pure all’interno di una sentenza in tema di CFC (che a nostro giudizio riguarda quindi un fenomeno di elusione fiscale). V. Cass., 16 dicembre 2015, n. 25281.
18
Su tali aspetti v. amplius infra, par. 3.4.4.
19
COM (2016) 23, 24, 25 e 26 del 28 gennaio 2016.
20
Questa esigenza era avvertita in modo latente già all’inizio di questo millennio da
GRAETZ, Taxing International Income: Inadequate Principles, Outdated Concepts, and Unsatisfactory Policies, in 26 Brooklyn Journal of International Law, 2001, che a p. 301 ss. già si
poneva il problema dell’equità fiscale per le imprese multinazionali, tenendo conto il modo in cui queste riuscivano a sottrarsi legittimamente all’imposizione per effetto della pianificazione fiscale internazionale.
Pasquale Pistone
401
re l’obbligo di contribuire alla spesa pubblica all’interno di una visione che
tenga conto dell’interazione tra i sistemi tributari quanto all’esercizio della
sovranità tributaria 21.
Questa visione – e, più in generale, il concetto di diritto tributario globale – potrebbe apparire a un giurista positivo come una categoria di per sé
evanescente e metagiuridica. Essa è, però, la più recente manifestazione del
diritto vivente in materia tributaria, che non si realizza a livello interpretativo, ma con la produzione indotta di nuove norme per l’adeguamento ai c.d.
standards internazionali di contrasto ai fenomeni globali, quale appunto
quello della pianificazione fiscale aggressiva. Come tale, deve costituire oggetto di studio, onde consentire di analizzare le possibili scelte del legislatore nazionale e configurarle in ragione del rapporto con quell’esigenza sovranazionale di emanare norme efficaci a livello globale.
Si tratta di un’esigenza imperante nella realtà attuale, tenuto conto del
bisogno di assicurare per questa via che i grandi capitali internazionali forniscano risorse finanziarie sufficienti all’esercizio delle funzioni dello Stato,
evitando che l’economia aperta e i limiti giuridici imposti all’esercizio della
sovranità statale dall’appartenenza all’Unione Europea spezzino il collegamento fra il luogo di creazione della ricchezza economica e la corrispondente potestà impositiva.
L’analisi della pianificazione fiscale aggressiva terrà quindi conto dell’esigenza di stabilirne con chiarezza le relazioni con le categorie concettuali del
diritto tributario, ma anche di coordinare il risultato di tale indagine con i
principi impositivi – in particolare con quello della capacità contributiva –
con l’essenza della sovranità e con lo studio delle fonti del diritto tributario
globale.
2. Gli elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva
2.1. Introduzione ai tre elementi essenziali
In precedenza, la pianificazione fiscale aggressiva è stata definita come lo
sfruttamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari dei singoli Stati, al
21
AMATUCCI, op. cit., pp. 5-6 sottolinea come la priorità per la fiscalità internazionale si
sia spostata nel corso degli ultimi anni dalla ricerca dell’efficienza e neutralità fiscale internazionale verso quella dell’effettiva imposizione delle fattispecie transnazionali e del contrasto all’erosione fiscale che in tale contesto si determina.
402
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fine di trarre il vantaggio di una riduzione del carico fiscale altrimenti non
spettante.
Questa definizione riflette la percezione dei limiti al risparmio d’imposta
in relazione alle fattispecie reddituali transnazionali che si è sviluppata nell’ambito del coordinamento fiscale internazionale operato dall’OCSE con i
progetti BEPS e di trasparenza fiscale globale.
Pertanto, si ritiene che tre siano gli elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva nell’ottica del diritto tributario globale, ossia i) lo sfruttamento delle disparità tra sistema diversi con la finalità di trarre un vantaggio fiscale, ii) il disallineamento tra la produzione della ricchezza e il potere
statuale d’imposizione e iii) la sussistenza di una doppia non imposizione
che gli Stati non hanno inteso concedere.
A nostro giudizio, è necessaria la contemporanea sussistenza di tutti e tre i
requisiti sopra indicati perché una fattispecie di risparmio d’imposta a livello
transnazionale possa essere qualificata come pianificazione fiscale aggressiva.
2.2. Il primo elemento – lo sfruttamento delle disparità per trarre un vantaggio
fiscale
Il primo elemento essenziale alla delimitazione di questa fattispecie deve
quindi rinvenirsi nel fatto di conseguire un vantaggio fiscale per effetto della
combinazione del trattamento fiscale applicabile alla medesima fattispecie
in due o più Paesi.
Questo elemento è fondamentale per comprendere le ragioni della frequente inefficacia delle norme antielusione nei confronti delle varie forme
di pianificazione fiscale aggressiva, giacché la frizione tra forma e sostanza in
essa insita non si risolve nell’aggiramento di una specifica fattispecie impositiva, né nell’indebito ottenimento dei vantaggi di una norma di agevolazione.
Ciò può essere ancor più chiaro analizzando uno degli schemi di pianificazione fiscale aggressiva più frequentemente utilizzati dalle imprese multinazionali.
La società madre, residente in uno Stato membro dell’Unione Europea
(o in uno Stato terzo) conclude un accordo di ripartizione dei costi e concede i diritti di sfruttamento della proprietà intellettuale ad una prima società costituita in Irlanda, ma non residente fiscalmente in tale Paese, essendone la direzione e controllo effettuata dall’estero, generalmente da un Paese
che non applica una tassazione sugli utili societari. La suddetta società irlandese concede a sua volta i propri diritti a una seconda società irlandese,
questa volta residente ai fini fiscali in Irlanda, contro il pagamento di royalties.
Pasquale Pistone
403
Nel caso in cui la società madre sia incorporata negli Stati Uniti, essa può
evitare l’applicazione della normativa CFC (Subpart F legislation) utilizzando la normativa check-the-box e optando per la tassazione in base al principio
di trasparenza. Così facendo, le due società irlandesi vengono considerate ai
fini della normativa federale statunitense come un’unica società e di conseguenza le operazioni tra loro diventano fiscalmente neutrali in tale Paese e il
c.d. passive income, ossia quello derivante da attività finanziarie, viene unito a
quello proveniente da altre fonti, consentendo di evitare l’applicazione della
normativa CFC.
Le royalties pagate dalla società madre alla seconda società irlandese sono tassabili all’aliquota ordinaria irlandese (12,5%), ma su una base imponibile ridotta per effetto della deducibilità dal reddito d’impresa delle royalties che quest’ultima società irlandese è tenuta a pagare alla prima società
irlandese. Questo tipo di pianificazione fiscale aggressiva è meglio noto come doppio irlandese, o double Irish 22.
L’imposizione del reddito in capo alla seconda società irlandese può essere ulteriormente ridotta, nella misura in cui allo schema di pianificazione
fiscale aggressiva si aggiunga il c.d. sandwich olandese. In tale caso, il reddito
della seconda società irlandese viene abbattuto per effetto dei costi inerenti
alla produzione del reddito d’impresa che vengono pagati ad una società
olandese, controllata dalla prima società irlandese e alla quale in ultima
istanza il reddito fluisce sotto forma di dividendi o royalties, senza l’applicazione di una ritenuta irlandese in entrata per effetto dell’art. 8.3 o dell’art. 11
della Convenzione bilaterale Irlanda-Olanda 23, né di altra imposizione reddituale in Irlanda, non essendo tale società residente ai fini fiscali in tale ultimo Paese.
In questo complesso schema, nella misura in cui le parti si siano premurate di stabilire valide ragioni economiche per la funzione svolta da ciascuna
22
Con riferimento alla struttura di pianificazione fiscale internazionale utilizzata da alcune multinazionali, v. CIPOLLINA, I redditi ‘nomadi’ delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. e sc. fin., 2014, I, pp. 48-51; KLEINBARD, Through a Latte,
Darkly: Starbuck’s Stateless Income Planning, in Legal Studies Research Paper Series, n. 13-10,
15 luglio 2013. TING, iTax – Apple’s International Tax Structure and the Double Non-Taxation Issue, in British Tax Review, 1, 2014. Sulle possibili prospettive di riforma dei sistemi
tributari al fine di contrastare queste pratiche, adde FUEST et al., Profit Shifting and “Aggressive” Tax Planning by Multinational Firms: Issues and Options for Reform, in World Tax
Journal, n. 3, 2013.
23
V. Convenzione per evitare la doppia imposizione e prevenire l’evasione fiscale tra il
Regno dei Paesi Bassi e il Governo Irlandese, firmata all’Aja l’11 febbraio 1969.
404
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società, né le singole operazioni, né lo schema nel suo complesso possono
essere considerate manifestazioni di elusione fiscale internazionale.
Infatti, ogni società residente nell’Unione Europea ha il diritto di costituire altre società per lo svolgimento effettivo di attività economiche. Inoltre, il criterio di collegamento utilizzato dal diritto tributario irlandese di fonte
interna 24 presuppone la direzione effettiva e il controllo delle società sul territorio irlandese ai fini dell’imposizione su base mondiale del reddito di tali
soggetti. Infine, l’operazione nel suo complesso non ha carattere circolare e
consente di ottimizzare la gestione dei proventi derivanti dallo sfruttamento
dei diritti di proprietà intellettuale con l’impiego di soggetti operanti all’interno dell’Unione Europea. In ragione di tali caratteristiche, alla luce dell’interpretazione delle libertà fondamentali dell’Unione Europea 25, non riteniamo che – nell’ipotesi in cui la società madre fosse residente di uno Stato
membro dell’Unione Europea – sarebbe giustificata un’applicazione a tale
schema né delle clausole generali anti-abuso negli ordinamenti tributari che
le prevedono, né di quelle speciali di tipo CFC legislation, giacché produrrebbero effetti sproporzionati e non conformi all’esigenza di tutelare l’esercizio del diritto di stabilimento nel mercato interno.
Questo è soltanto uno dei complessi schemi di pianificazione fiscale aggressiva attraverso cui le imprese multinazionali hanno eroso la sovranità
tributaria di molti Stati, spostando materia imponibile verso giurisdizioni con
minore pressione fiscale. Esso dimostra una debolezza strutturale dei sistemi tributari verso le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva, poiché ciascuno Stato è finora intervenuto solo per arginare le pratiche in grado di ledere le proprie entrate tributarie. Inoltre, prova la tolleranza dei sistemi tributari di alcuni Paesi nei confronti degli schemi di pianificazione fiscale aggressiva, la cui competitività potrebbe essere rafforzata con l’impiego di
strutture situate in tali Paesi, attraendo in questo modo ulteriori entrate fiscali. In alcuni casi l’azione intrapresa dalla Commissione Europea dimostra
che a suo giudizio quest’ultimo atteggiamento è degenerato in vere e proprie
violazioni del divieto di aiuti di Stato, nella misura in cui la struttura del sistema tributario fosse in grado di determinare sistematicamente l’effetto di vantaggio selettivo per quei soggetti che operano in ambito transnazionale 26.
24
Tale criterio è conforme agli standards utilizzati dalle convenzioni internazionali per
risolvere i casi di doppia residenza in base al luogo di direzione effettiva delle società.
25
V. in particolare CGUE, sent. 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes and Cadbury
Schweppes Overseas (C-196/04, in Racc., 2006, pp. I-7995) ECLI:EU:C:2006:544.
26
Questo è ad esempio il caso del regime fiscale di Gibilterra, ritenuto incompatibile con
Pasquale Pistone
405
Il primo elemento palesa quindi un rapporto di tipo causale tra l’effetto
del risparmio d’imposta e lo sfruttamento a livello transnazionale della disparità tra i sistemi tributari.
A questo punto ci si deve chiedere se sia necessario che il contrasto alla
pianificazione fiscale aggressiva tenga conto dell’elemento intenzionale in
capo a quei soggetti che traggono vantaggio dallo sfruttamento delle disparità in ambito transnazionale.
La risposta a tale quesito deve – a nostro giudizio – essere negativa. Infatti, la reazione degli ordinamenti tributari alla pianificazione fiscale aggressiva si colloca in quella radicale riforma all’esercizio della sovranità tributaria
nazionale che si è in precedenza analizzata nel contesto dello sviluppo del
diritto tributario globale e che si propone l’obiettivo di realizzare un coordinamento fiscale internazionale a livello mondiale. In tale contesto importa
che gli Stati tengano conto delle conseguenze prodotte dalla propria normativa tributaria in ambito internazionale e, ad esempio, applichino misure di
sgravio alla doppia imposizione internazionale solo quando questa effettivamente si verifica.
Rispetto all’obiettivo di evitare che lo sfruttamento delle disparità tributarie in ambito transnazionale consenta di ottenere risultati di doppia non
imposizione che gli Stati non avrebbero inteso concedere, rimane quindi in
secondo piano ogni finalità che il contribuente può aver inteso conseguire e,
di conseguenza, devono rimanere sullo sfondo anche i possibili profili relativi all’intenzionalità del comportamento del contribuente.
Importa invece la natura necessariamente transnazionale delle fattispecie
di pianificazione fiscale aggressiva e il fatto che il loro mancato contrasto da
parte degli ordinamenti tributari determina, di fatto, un vantaggio nei confronti di quei soggetti che svolgono la loro attività a cavallo delle frontiere
rispetto a quanti operano sotto la sovranità tributaria di un unico Stato.
L’analisi del primo elemento fin qui prospettata non consente però di
tracciare una linea di demarcazione precisa tra le fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva e le restanti situazioni in cui è possibile conseguire un
risparmio d’imposta in ambito transnazionale. Né deve ritenersi che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva implichi – d’ora in poi – che gli
Stati non siano più disposti a tollerare quelle forme di risparmio d’imposta
che si realizzano in ambito transnazionale.
il divieto di aiuti di Stato in CGUE, Commissione e Regno di Spagna contro Governo di
Gibilterra e Regno Unito, cit.
406
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Per rispondere a tali quesiti è dunque necessario tenere conto degli altri
elementi essenziali della nuova categoria concettuale della pianificazione fiscale aggressiva.
2.3. Il secondo elemento – l’“effetto disallineamento”
Il secondo elemento, anch’esso di carattere oggettivo, che potrebbe essere denominato come “effetto disallineamento”, caratterizza la pianificazione
fiscale aggressiva come quel fenomeno in cui il risparmio d’imposta implica
l’erosione della base imponibile e/o lo spostamento degli utili d’impresa verso un(o Stato con) regime fiscale privilegiato, così da generare un disallineamento tra il luogo di produzione della ricchezza e lo Stato in cui vengono
pagate le imposte corrispondenti.
Per effetto di questo fenomeno, all’erosione della sovranità tributaria di
uno Stato, corrisponde in alcuni casi un aumento delle entrate fiscali di un altro Stato, derivanti da fatti che quest’ultimo altrimenti non potrebbe ricollegare alla propria sovranità tributaria 27.
Entrambe le manifestazioni dell’effetto disallineamento sono chiaramente identificabili nell’esempio del “doppio irlandese” in precedenza prospettato. Inoltre, le varie azioni del progetto BEPS forniscono numerosi altri esempi di manifestazione dell’effetto disallineamento, unitamente a soluzioni
che consentono agli Stati di prevenire la doppia non-imposizione, preservando il legame tra il luogo di creazione della ricchezza e l’esercizio della sovranità impositiva.
Di seguito, sono indicati due di questi esempi, in cui l’effetto disallineamento si presenta alternativamente nell’ambito di pratiche che erodono la
base imponibile e spostano gli utili verso la sovranità di un altro Stato.
Il primo esempio è tratto dall’azione 2 del progetto BEPS e riguarda un
caso di erosione della base imponibile provocato dalle c.d. fattispecie ibride,
quelle cioè che possono avere una diversa qualificazione ai fini fiscali in ciascun ordinamento. In tale contesto è possibile cumulare il vantaggio della deduzione nello Stato del soggetto pagatore (qualificandosi ivi la fattispecie come componente negativo del reddito d’impresa), con la esenzione del corrispondente componente positivo nello Stato del soggetto percettore, grazie
27
Questo effetto non si produce però in modo meccanico. Infatti, lo sfruttamento delle
disparità transnazionali può anche risolversi in soli vantaggi per le imprese, senza che il carico fiscale aumenti in alcuno Stato.
Pasquale Pistone
407
alla qualificazione fiscale della stessa fattispecie ai fini di norme volte a prevenire la doppia imposizione economica: è il caso, ad esempio delle modifiche di recente apportate con l’art. 4, comma 1, lett. a) alla Direttiva madrefiglia dell’Unione Europea sulla tassazione dei dividendi. Similmente, l’esistenza di diverse condizioni per l’imputazione dei componenti negativi di
reddito – anche in presenza di regimi fiscali di gruppo e delle opzioni ammesse in tale contesto – è in grado di erodere la base imponibile in due Stati
a fronte di un unico pagamento, nella misura in cui la contemporanea deduzione dello stesso cespite sia ammessa in tali Stati in capo allo stesso o a diversi soggetti per effetto del suddetto problema di qualificazione fiscale.
L’analisi del secondo esempio dimostra che la produzione dell’effetto disallineamento non consegue alla sola applicabilità di un regime fiscale più
favorevole rispetto a quello ordinario. Piuttosto, essa dipende da alcune condizioni in base alle quali il suddetto regime fiscale più favorevole trova applicazione.
Esaminiamo quindi tale situazione in una prima fattispecie in cui l’effetto
disallineamento si produce in seguito allo spostamento degli utili e a una seconda fattispecie in cui invece tale risultato non avviene.
La prima fattispecie attiene all’applicazione di regimi di tipo IP box, che,
fino all’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS 28, hanno consentito di
tassare ad aliquota preferenziale anche il risultato di attività di ricerca e sviluppo terziarizzate – anche sul territorio di altri Stati – per effetto di schemi
di outsourcing. Pertanto, in special modo le imprese multinazionali hanno
utilizzato il meccanismo dei pagamenti di diritti per lo sfruttamento di beni
immateriali far fluire i propri utili verso i Paesi che applicano tali regimi fiscali privilegiati senza determinare forme di aggiramento delle fattispecie impositive.
In questo schema, lo spostamento degli utili è ulteriormente facilitato dall’utilizzo di prezzi di trasferimento che hanno nascosto possibili forme di elusione ed evasione fiscale, approfittando anche delle carenze strutturali nel
funzionamento dell’assistenza fiscale mutua tra gli Stati e delle difficoltà nella precisa determinazione delle condizioni arm’s length. Queste ultime pratiche hanno generato nel corso degli ultimi anni una notevole crescita del
contenzioso a livello tanto italiano, come mondiale (come dimostrano i nu28
Nonostante l’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS, un accordo raggiunto in
sede di Consiglio dell’Unione Europea salvaguarda l’applicazione dei regimi esistenti in diversi Stati membri fino al 2021.
408
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merosi tentativi dell’amministrazione finanziaria di utilizzare le specifiche norme antielusione esistenti nei vari ordinamenti tributari).
Questa situazione è, per sua natura, diversa dall’ipotesi in cui il risparmio
fiscale consegue all’applicazione di un regime fiscale più favorevole per lo
svolgimento di attività nello stesso Stato che concede il suddetto trattamento. In tale caso, infatti, il risparmio fiscale non deriva dallo sfruttamento della disparità, ma piuttosto alla realizzazione di un’attività nello Stato che applica il trattamento fiscale più favorevole; come in un normale caso d’incentivo fiscale, la giustificazione di simile trattamento va rinvenuta a livello costituzionale nella meritevolezza delle finalità extrafiscali su cui si fonda l’esigenza di applicare un diverso trattamento rispetto a quello ordinario in deroga al principio di eguaglianza.
La prassi degli ultimi anni – in special modo a proposito dei regimi fiscali
privilegiati per le attività di ricerca e sviluppo – mostra come la linea di demarcazione tra le due ipotesi sia, a volte, sottile. Infatti, può accadere che la
finalità extrafiscale sia di per sé astrattamente meritevole, ma che il modo in
cui è concretamente strutturata la fattispecie astratta di incentivazione ne
consenta l’applicazione anche a fattispecie concrete che non sono in grado
di realizzare il fine extrafiscale, o senza verificare l’effettivo svolgimento dell’attività meritevole di incentivazione. In questo senso, gli incentivi per le attività di ricerca e sviluppo, concessi da alcuni sistemi tributari di Stati membri
dell’Unione Europea prima dell’intervento dell’azione 5 del progetto BEPS,
hanno trovato applicazione anche quando le attività di ricerca e sviluppo
venivano svolte da altri soggetti, o per il solo fatto che l’applicazione del regime era stata richiesta 29.
2.4. Il terzo elemento – la doppia non imposizione involontaria
2.4.1. La doppia non imposizione involontaria in base alle norme interne e convenzionali
Veniamo ora ad analizzare il terzo e ultimo elemento essenziale della pianificazione fiscale aggressiva, ossia il fatto che il risparmio d’imposta risultante
dallo sfruttamento delle disparità esistenti non sia qualificabile come forma di
29
DANON, La refonte de la fiscalité internationale des entreprises, in IFF Forum für Steuerrecht, 2014, p. 26 critica questo tipo di misure, sottolineando anche gli effetti di possibile
violazione del principio costituzionale di uguaglianza del trattamento nella misura in cui una
giustificazione sia fondata su un obiettivo che non è in grado di raggiungere.
Pasquale Pistone
409
doppia non imposizione che gli Stati abbiano specificamente inteso di permettere. In questo senso, questo terzo elemento viene anche comunemente
definito come “doppia non imposizione involontaria”, senza che la suddetta
espressione implichi una ricostruzione degli aspetti soggettivi relativi alla
pianificazione fiscale aggressiva attuata dal contribuente.
La concreta interpretazione di questo elemento è resa difficoltosa dalla
diversità di forme che i risultati della pianificazione fiscale aggressiva possono assumere, ma anche dalla necessità di inquadrare tale attività ermeneutica in un contesto che presuppone la contemporanea sussistenza degli altri
due requisiti. In tal modo si evitano quei risultati di sistematica “compensazione” della minore imposizione estera, che sarebbero incompatibili con la
posizione assunta dalla Corte di Giustizia Europea in tema di libertà fondamentali; determinerebbero altresì effetti indiretti di protezionismo fiscale, i quali appaiono di dubbia compatibilità anche con il diritto dell’organizzazione mondiale del commercio e il divieto di sussidi all’esportazione a esso riconducibile 30.
Per le considerazioni svolte sul secondo elemento, non vi è doppia non
imposizione involontaria per il solo fatto che un sistema tributario riduca il
carico fiscale a seguito dell’applicazione di un incentivo fiscale.
Ci si chiede però cosa accada nelle ipotesi in cui l’incentivo integra gli
estremi dei primi due elementi in precedenza indicati, ossia quando si combina con lo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale e consente
di ottenere un risparmio d’imposta per effetto del disallineamento tra il luogo di produzione della ricchezza e Paese che realizza l’assoggettamento a
imposizione.
In tali ipotesi, come – più in generale – in tutte quelle in cui si realizzano
le suddette condizioni, è necessario verificare se il risparmio d’imposta possa rappresentare una conseguenza che gli Stati non abbiano inteso tollerare.
Ai fini di una corretta impostazione del problema occorre rilevare che, in
linea di principio, gli Stati delimitano la sfera entro cui esercitano la propria
potestà impositiva per il tramite di norme di diritto interno e convenzionale,
generalmente volte a contrastare il fenomeno della doppia imposizione internazionale. In particolare, i limiti all’imposizione delle varie forme di reddito sono stabiliti con entrambi i tipi di norme, mentre la disciplina dei cor30
Questa conclusione potrebbe ricavarsi sulla base della considerazione che la compensazione del minore carico fiscale fosse in grado di incidere sulla competitività dei prodotti.
V. sul punto BRAUNER, International Trade and Tax Agreements May Be Coordinated, But
Not Reconciled, in 25 Virginia Tax Review, n. 251, 2005, p. 278 ss.
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rispondenti obblighi di deduzione dei componenti negativi viene lasciata alla normativa interna.
In linea di principio, non riteniamo che questa situazione possa determinarsi quando gli Stati accettino, all’interno della Convenzione internazionale, di utilizzare il metodo del credito d’imposta con la modalità di tax sparing
o matching credit, senza quindi compensare la minore imposizione nello Stato
della fonte rispetto a quella ordinaria applicabile in tale Paese. Su tali aspetti,
che riguardano casi in cui la doppia non imposizione può essere frutto di coordinamento, si ritornerà con maggiore approfondimento nel prosieguo di
questo studio 31.
Queste situazioni sono diverse da quelle in cui lo sgravio della doppia
imposizione trovi applicazione in base al metodo dell’esenzione e gli Stati,
in via unilaterale o convenzionale, decidano di sostituire questo metodo con
quello del credito d’imposta al fine di ridurre l’impatto nello Stato di residenza della minore imposizione scontata nello Stato della fonte, evitando così
ogni risultato di doppia non imposizione involontaria. Ciò può concretamente realizzarsi con il ricorso alle clausole di tipo switchover,. Quest’obiettivo è conseguito anche con l’impiego di clausole di tipo subject-to-tax, che
operano la sostituzione del metodo di sgravio ogniqualvolta non vi sia stato
un assoggettamento effettivo all’imposizione reddituale nello Stato della fonte. Entrambe le ipotesi sono espressamente menzionate tra le soluzioni indicate dal progetto BEPS per risolvere i casi di pianificazione fiscale aggressiva 32. Riteniamo che questo tipo di clausole, specialmente nella misura in
cui trovino applicazione in via unilaterale, possa produrre effetti di compensazione della minore imposizione nello Stato della fonte, in grado di renderle potenzialmente incompatibili con i principi del diritto dell’Unione Europea. Pertanto, tenendo anche conto dell’approfondimento che sarà svolto
nel prosieguo di questo studio 33, si rimane perplessi in merito alla loro applicazione nell’ambito della Direttiva europea anti-BEPS di recente proposta 34.
Occorre poi rilevare, già in questa sede, gli ulteriori problemi che l’applicazione unilaterale di queste clausole può determinare nella misura in cui
una Convenzione bilaterale attribuisca potestà tributaria esclusiva a uno Stato
31
In particolare, v. il par. 3.4.2.
Si consideri ad esempio la reazione alle fattispecie ibride indicata dall’azione 2 del
progetto BEPS.
33
Questi aspetti saranno oggetto di approfondimento nel par. 6.
34
Si veda COM (2016) 26 def. del 28 gennaio 2016.
32
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411
contraente per prevenire i casi di doppia imposizione giuridica internazionale. In tali casi, sebbene il progetto BEPS indichi che il contrasto alla pianificazione fiscale internazionale debba poter avvenire per il tramite della normativa di fonte interna, è in linea di principio discutibile l’applicazione in via
unilaterale di clausole di tipo switchover o subject-to-tax. Ovviamente nulla
osta a che le parti contraenti le includano nella Convenzione, anche grazie
ad un apposito protocollo, così da assicurare la coerenza del regime fiscale
transnazionale con gli obiettivi del progetto BEPS.
2.4.2. La doppia non imposizione oggetto di coordinamento in presenza di clausole di tax sparing e matching credit
Le convenzioni possono intervenire in modo da accettare la doppia non
imposizione come uno dei possibili effetti del coordinamento che le stesse
realizzando, prevenendo cioè ogni reazione dello Stato della residenza a forme di minore imposizione nello Stato della fonte. Ciò accade quando siano
utilizzate le forme di credito cedolare per le imposte estere, comunemente
note con i termini di matching credit e tax sparing.
Entrambe le fattispecie condividono l’elemento comune di obbligare lo
Stato della residenza a concedere uno sgravio della doppia imposizione utilizzando il metodo del credito non in funzione delle imposte effettivamente
pagate nello Stato della fonte, ma di importi predeterminati, ancorché non
effettivamente sborsati. Nel caso del matching credit la misura è adottata con
la finalità di incentivare da un punto di vista fiscale l’investimento nello Stato della fonte, mentre in quello del tax sparing il credito viene articolato in
modo da garantire allo Stato della fonte il diritto a mantenere inalterati sul
piano internazionale gli effetti della propria politica fiscale. In questo senso
il tax sparing evita che la minore imposizione scontata nello Stato della fonte in ragione di finalità meritevoli di incentivazione sia compensata per effetto della concessione di un minor credito d’imposta nello Stato della residenza.
La presenza di una clausola di tax sparing all’interno di una Convenzione
riflette l’intenzione delle parti contraenti di preservare il diritto dello Stato
della fonte ad applicare una minore imposizione anche quando ciò implichi
forme di doppia non imposizione volontaria, determinando in questo modo
una tendenziale incompatibilità strutturale tra questa clausola e quelle di tipo subject-to-tax 35. Inoltre, ciò rende più difficile delimitare l’ambito entro il
35
Se, infatti, gli Stati contraenti accettano che la minore imposizione nello Stato della
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quale possono trovare applicazione le clausole di tipo switchover verso il credito ordinario. Conclusioni analoghe possono raggiungersi riguardo ai rapporti con il matching credit, tenendo in debita considerazione le specifiche
caratteristiche della ratio di incoraggiare lo sviluppo economico.
Tuttavia, a ben guardare, riteniamo che il diritto a preservare gli effetti
della doppia non imposizione volontaria connesso con l’applicazione di queste clausole convenzionali non escluda che possano verificarsi fattispecie di
doppia non imposizione involontaria.
A questo riguardo occorre anzitutto ricordare che le convenzioni internazionali generalmente comprendono nel proprio ambito di applicazione i
soli fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale. Pertanto, quando la doppia non imposizione internazionale scaturisca dal trattamento dell’erogazione del reddito in capo a due soggetti diversi, come nel caso delle
fattispecie ibride contemplate nell’azione 2 del progetto BEPS, non sorgerebbero ostacoli a che lo Stato del soggetto percettore applichi una misura
difensiva del tipo prospettato dall’OCSE nel proprio rapporto.
Veniamo ora ai casi in cui lo Stato della fonte concede un incentivo fiscale, anche un’esenzione, non esercitando la potestà tributaria ad esso spettante in base alla Convenzione, di fatto prevenendo la doppia imposizione
giuridica internazionale. In tale contesto, se il quadro normativo prova l’intenzione di almeno uno Stato di contrastare il fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva, ad esempio per il tramite di clausole di tipo subject-totax o switchover nella propria normativa interna, occorrerà verificare se il risparmio d’imposta nella fattispecie concreta consegua allo sfruttamento di
disparità transnazionali e presenti un effetto disallineamento. In altre parole,
occorrerà valutare nei fatti se la non imposizione integri gli estremi del terzo
elemento della pianificazione fiscale aggressiva e, in caso affermativo, consentire – in tutto o in parte – allo Stato di reagire al fenomeno di pianificazione fiscale aggressiva secondo modalità non dissimili da quelle che altrimenti troverebbero applicazione. In nessun caso comunque l’applicazione
di questa reazione deve consentire al suddetto Stato di intaccare le fattispecie di doppia non imposizione volontaria in conformità alla formulazione
della clausola contenuta nel trattato.
Riteniamo pertanto che la tendenziale incompatibilità delle clausole di
tipo subject-to-tax e switchover con quelle di tax sparing e matching credit
fonte non debba essere compensata nello Stato della residenza, quest’ultimo non può avanzare una pretesa a compensare le minori imposte dello Stato della fonte con l’applicazione
del metodo del credito ordinario.
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413
debba servire per stabilire una linea di demarcazione a livello interpretativo
tra le fattispecie di doppia non imposizione volontaria e involontaria, non
ostando alla possibilità che gli Stati includano nelle proprie convenzioni internazionali clausole di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.
Del resto, la ratio delle clausole di tax sparing è di preservare al livello internazionale gli effetti della politica fiscale dello Stato della fonte senza interferenze da parte dell’altro Stato contraente. Di certo, questo meritevole
obiettivo non può essere interpretato in modo da aprire una falla nel coordinamento fiscale internazionale con cui si contrasta la pianificazione fiscale
aggressiva a livello globale.
Pertanto, riteniamo che almeno gli Stati che hanno assicurato un sostegno politico al progetto BEPS in seno al G20 avrebbero il diritto di agire in
via unilaterale sulla base della normativa interna. Nel caso in cui l’altro Stato
contraente ritenesse che l’applicazione di queste misure rappresentasse una
forma di treaty override in violazione del principio pacta sunt servanda, esso
potrebbe a nostro giudizio avere una ragione per denunciare la Convenzione internazionale.
2.4.3. La doppia non imposizione involontaria e le norme del diritto dell’Unione
Europea
Quando la normativa interna e/o convenzionale non prevede clausole
del tipo indicato nel precedente paragrafo, si deve ritenere che il vantaggio
fiscale ricavato dallo sfruttamento delle disparità tra i due Stati, anche in presenza di un effetto disallineamento, ancorché non esplicitamente previsto
dalla normativa di due Stati 36, non sia qualificabile come forma di doppia
non imposizione involontaria, tranne nei casi in cui tale qualificazione sia
altrimenti ricavabile sulla base della normativa esistente.
Questo può essere ad esempio il caso in cui la fattispecie concreta integri,
nel contempo o in alternativa, i presupposti per essere qualificata come forma di elusione fiscale o altra ipotesi più grave di risparmio fiscale in ambito
transnazionale vietato dalla normativa tributaria.
Inoltre, la volontà degli Stati di non tollerare questo fenomeno può altre36
Infatti, di fronte alla communis opinio – diffusa sia negli ordinamenti tributari sia dei
Paesi di tradizione europeo continentale, sia di quelli di common law – secondo la quale i
contribuenti hanno diritto a minimizzare il proprio carico fiscale, ogni limitazione a tale diritto deve risultare da apposite norme giuridiche, in quanto, altrimenti, sarebbe violato il principio di legalità negli ordinamenti tributari dei Paesi di tradizione europeo-continentale e
si andrebbe contro lo spirito e il principio della rule of law nei sistemi di common law.
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sì ricavarsi in base alle norme di diritto sovranazionale dell’Unione Europea,
come nel caso in cui rappresenti una forma di aiuto di Stato. Un esempio di
questo tipo può rinvenirsi nella fattispecie oggetto della sentenza Gibilterra,
in cui il risparmio d’imposta ha determinato una forma di doppia non imposizione incompatibile con la protezione della libera concorrenza all’interno
dell’Unione Europea 37.
Le modifiche apportate nel 2014 alla Direttiva madre-figlia sulla tassazione dei dividendi intersocietari all’interno dell’Unione Europea, che gli Stati membri hanno dovuto trasporre entro il 31 dicembre 2015 38, forniscono
un ulteriore interessante esempio di mancata tolleranza della c.d. doppia non
imposizione involontaria. L’ambito entro il quale la doppia non imposizione
deve intendersi non tollerata merita di essere ulteriormente approfondito,
che viene effettuato di seguito.
In particolare, la modifica apportata dell’art. 4, comma 1, lett. a) consente l’impiego del metodo dell’esenzione per lo sgravio della doppia imposizione economica in capo alla società madre solo a condizione che gli utili
non siano deducibili dalla società figlia, consentendo invece alla suddetta società madre di tassare i dividendi in entrata in misura corrispondente alla deducibilità degli stessi come utili in capo alla società figlia. Con questa norma
l’ordinamento europeo ha recepito, direttamente a livello sovranazionale, la
misura difensiva indicata dall’OCSE contro quelle forme di pianificazione
fiscale aggressiva che realizzano una doppia non imposizione nelle fattispecie
ibride (per effetto della combinazione della deduzione nello Stato del soggetto pagatore con la non imposizione nello Stato del soggetto percettore).
Colpisce però che l’ulteriore modifica apportata alla Direttiva nel 2015 39
per introdurre all’art. 1, comma 2 un obbligo di contrasto all’elusione ed al
successivo comma 3 una definizione di quest’ultimo fenomeno non contenga alcun riferimento alla pianificazione fiscale aggressiva, nemmeno nel comma 4, in cui fa salvo il diritto degli Stati membri di applicare le proprie disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale,
la frode fiscale o l’abuso.
37
Altre situazioni di questo tipo sono rinvenibili all’interno delle sei fattispecie di rulings fiscali – già richiamate in precedenza in questo scritto – in cui la Commissione Europea ritiene che sussista un problema di aiuti di Stato in materia fiscale.
38
V. Direttiva 2014/86/UE dell’8 luglio 2014, in G.U.U.E., 25 luglio 2014, L 219, p. 40 s.
39
V. Direttiva 2015/121/UE del 27 gennaio 2015, in G.U.U.E., 28 gennaio 2015, L 21,
p. 1 ss., il cui termine temporale di trasposizione era fissato al 31 dicembre 2015.
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415
La definizione di abuso contenuta nel comma 3 risulta a nostro avviso
difficilmente applicabile alle fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva.
Infatti, essa si riferisce a una costruzione o serie di costruzioni non genuine e
qualifica come tali quelle che non sono state poste in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica. Invece, ogni schema di
pianificazione fiscale aggressiva non è in sé privo di valide ragioni commerciali, ma consegue vantaggi ulteriori di natura fiscale per effetto dello sfruttamento delle disparità esistenti tra i sistemi tributari di due o più Stati.
Siccome il contesto dell’art. 1 della Direttiva implica che il termine abuso
debba essere interpretato in modo da ricomprendere al suo interno fattispecie analoghe a quelle definite nei commi precedenti e dunque come sinonimo di elusione fiscale nella qualificazione da attribuire nel diritto dell’Unione Europea all’ambito di applicazione di questa Direttiva, è quindi inevitabile concludere che questa Direttiva integra gli estremi del terzo elemento della
pianificazione fiscale aggressiva solamente nei casi che rientrano nell’ambito
di applicazione dell’art. 4, comma 1 lett. a). Si tratta, cioè, delle fattispecie
ibride, caratterizzate dalla combinazione degli effetti di deduzione nello Stato della società figlia con l’esenzione ai sensi della Direttiva nello Stato della
società madre.
2.4.4. Ulteriori fattispecie di doppia non imposizione involontaria
Analizziamo ora le questioni riguardanti il terzo elemento della pianificazione fiscale aggressiva nei restanti casi in precedenza indicati. In tali casi l’intenzione di non tollerare la doppia non imposizione viene manifestata in
modo incoerente a livello bilaterale, così come in via irrituale e informale,
all’interno di fonti giuridiche secondarie, o di norme prive di una propria
natura giuridica. Quest’ultimo è il caso della soft law, che all’interno dell’Unione Europea include anche le situazioni in cui la manifestazione di volontà è formulata all’interno di atti dotati di efficacia non vincolante, come ad
esempio nel caso della raccomandazione della Commissione Europea.
Una situazione di possibile incoerenza si riscontra spesso quando uno
Stato (di solito quello che subisce gli effetti di erosione causati dalla pianificazione fiscale aggressiva) non tollera lo sfruttamento di una disparità fiscale transnazionale, mentre un altro Stato (ad esempio, quello la cui legislazione nazionale funge da veicolo per lo sfruttamento della suddetta disparità) conferma – anche per il tramite di rulings – la validità della fattispecie di
risparmio d’imposta, generando il legittimo affidamento del contribuente.
In tali situazioni – che potrebbero rinvenirsi nel caso in cui vi fosse una norma
416
DOTTRINA
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interna di tipo subject-to-tax o switchover – deve ritenersi che le misure del
primo Stato siano decisive ai fini del riscontro della sussistenza del terzo elemento. Ovviamente a questo risultato si potrà giungere solo nella misura in
cui sussistano anche i primi due elementi in precedenza indicati, giacché altrimenti ci si potrebbe piuttosto trovare di fronte a ipotesi di altra natura, ivi
comprese quelle di elusione fiscale o anche di legittimo risparmio d’imposta. Peraltro, in presenza di un effetto di disallineamento (che costituisce il
secondo elemento essenziale della pianificazione fiscale aggressiva) sembra
– allo stato attuale – difficile ipotizzare situazioni in cui possa giustificarsi il
legittimo affidamento del contribuente.
Esistono poi numerose situazioni in cui gli Stati dichiarano di non tollerare
una forma di risparmio d’imposta ottenuta per il tramite dello sfruttamento
delle disparità in ambito transnazionale. A nostro giudizio l’effetto-annuncio
è di per sé privo di effetti, almeno fino a quando non si traduce in modifiche
nella legislazione o sia recepito a livello dell’interpretazione giudiziale.
Sembra opportuno raggiungere conclusioni analoghe anche nei casi in
cui siano emanate risoluzioni ministeriali, circolari o strumenti interpretativi
con effetti vincolanti nei confronti delle autorità fiscali, che propongano interpretazioni difformi rispetto a quanto ricavabile sulla base della formulazione della norma. A questo riguardo, appare particolarmente importante
rilevare che la linea di demarcazione tra la pianificazione fiscale aggressiva e
l’elusione fiscale è circondata da un velo di incertezza, che non giova affatto
all’economia e alla protezione effettiva dei diritti dei contribuenti.
Questa incertezza è a nostro giudizio principalmente dovuta al fatto che
gli Stati stanno tuttora realizzando le differenze tra le due figure; ciò in un
contesto di progressivo rafforzamento del coordinamento fiscale internazionale, che li vede irrigidire la propria reazione alle forme di risparmio d’imposta nel contesto internazionale.
Un ulteriore esempio di questa incertezza lo si può trovare nella normativa non vincolante emanata dalla Commissione Europea (la raccomandazione del dicembre 2012), con cui la pianificazione la pianificazione fiscale
aggressiva è stata definita come quel fenomeno che consente di «sfruttare a
proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale o le disparità esistenti fra due o più sistemi fiscali al fine di ridurre l’ammontare dell’imposta
dovuta» 40. In quella raccomandazione la Commissione ha constatato le dif40
V. Commissione UE, Raccomandazione 6 dicembre 2012, C(2012) 8806 def., Secondo considerando.
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417
ficoltà per gli Stati membri dell’Unione Europea nel lottare contro di essa 41,
per poi invitarli, in forza dell’art. 4, comma 1 a introdurre norme generali
antiabuso per contrastare le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva che
non rientrano tra quelle considerate dalla raccomandazione.
Questa raccomandazione è ovviamente di per sé priva di effetti vincolanti
nell’ordinamento giuridico sovranazionale dell’Unione Europea e mera espressione di soft law. Tuttavia, essa ha introdotto un elemento di confusione sulle categorie concettuali del diritto tributario globale, poiché unifica
due fenomeni in sé diversi e produce in questo modo effetti negativi sia per
il legittimo affidamento dei contribuenti, sia per le possibili ripercussioni su
ulteriori misure che la Commissione Europea può ritenere di intraprendere
per rendere più incisiva la propria azione 42.
3. Pianificazione fiscale aggressiva, pratiche abusive ed elusione fiscale
3.1. I rapporti concettuali tra i fenomeni
Dopo aver analizzato gli elementi essenziali della pianificazione fiscale aggressiva, è ora opportuno delimitare con maggiore precisione l’ambito entro
il quale si realizza questa forma di risparmio d’imposta. In questo modo ci si
propone di fornire spunti per possibili soluzioni all’incertezza giuridica attualmente esistente quanto ai rapporti tra questa nuova categoria concettuale e le altre forme di risparmio d’imposta non tollerate all’interno dei singoli sistemi tributari.
In particolare, l’incertezza giuridica emerge nel tracciare la linea di demarcazione rispetto alle forme di aggiramento della fattispecie impositiva o
d’indebito ottenimento dei vantaggi di una norma agevolativa, generalmente
considerate pratiche abusive, che determinano il fenomeno dell’elusione fiscale 43.
41
V. Commissione UE, Raccomandazione, cit., Terzo considerando.
Questo potrebbe essere il caso di una Direttiva anti-BEPS, di cui hanno fatto richiesta il 28 novembre 2015 i Ministri dell’Economia e delle Finanze tedesco, francese e italiano.
V. http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/Letter_to_P._Moscovici_BEPS_in_the_EU_-_
11282014.pdf.
43
Non si ritiene necessario approfondire in questa sede il dibattito sulle possibili differenze tra abuso del diritto ed elusione fiscale, sui cui aspetti concettuali si è avuto modo di
pronunciarsi più volte sin da PISTONE, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995. Basta
invece ricordare che l’essenza del fenomeno dell’elusione fiscale viene colta secondo sfu42
418
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Alcune misure del progetto BEPS – come ad esempio quelle concernenti
le azioni 3 e 6 – si riferiscono alle pratiche abusive che realizzano il fenomeno di elusione fiscale (ma non contengono alcun riferimento alla pianificazione fiscale aggressiva); altre – cioè quelle riguardanti le azioni 2, 4 e 5 – si
riferiscono alla pianificazione fiscale aggressiva (ma non alle pratiche abusive e al correlato fenomeno dell’elusione fiscale). È allora opportuno approfondire i due principali elementi comuni e le due principali diversità tra queste due categorie concettuali, per meglio inquadrarne il rapporto, anche alla
luce dei recenti sviluppi che questo scritto analizza nella prospettiva del diritto tributario globale.
Il primo elemento comune è rappresentato dal fatto che entrambe le ipotesi determinano una forma di risparmio d’imposta non tollerata dall’ordinamento tributario. Entrambe condividono questo elemento anche con i
fenomeni di evasione e frode fiscale, che tuttavia presentano elementi assolutamente peculiari, basandosi sul mancato pagamento di un’imposta dovuta a fronte della realizzazione del presupposto d’imposta, che non saranno
oggetto di approfondimento in questa sede.
Un secondo elemento comune è rappresentato dal fatto che sia la pianificazione fiscale aggressiva, sia l’elusione fiscale scaturiscono da un problema di frizione tra forma e sostanza.
Tuttavia, tale elemento consente – nel contempo – anche di cogliere la
prima diversità, ricollegabile al fatto che il risparmio d’imposta assume caratteristiche diverse nella pianificazione fiscale aggressiva rispetto a quanto
accade nel caso dell’elusione fiscale. In particolare, nel caso dell’elusione fimature diverse a seconda della tecnica mediante la quale ciascun ordinamento determina i
limiti entro cui tollerare quelle fattispecie di risparmio d’imposta che risultano all’interno dell’ordinamento stesso per effetto della tensione fra forma della fattispecie astratta e sostanza
della fattispecie concreta. Nel contesto dell’ordinamento tributario italiano questi problemi
possono ora essere affrontati nell’ambito della clausola generale antiabuso introdotta dal
D.Lgs. n. 128/2015 all’interno del nuovo art. 10 bis, L. n. 212/2000, meglio nota come Statuto dei diritti del contribuente. Sembra opportuno ritenere che le diverse dimensioni positive
assunte dal fenomeno dell’elusione fiscale vadano ricomprese all’interno di un’unica nozione
a livello dell’Unione Europea, così da limitare gli effetti di alterazione della concorrenza nel
mercato interno che altrimenti si determinano. Tuttavia, occorre rilevare che questo risultato
non riflette allo stato attuale l’orientamento consolidato da parte della Corte di Giustizia, che
nella sent. 29 marzo 2012, causa C-417/10, 3M Italia, par. 31, ECLI:EU:C:2012:184 ha preso una posizione distinta da quella relativa alle imposte armonizzate, come l’IVA – su cui v.
21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, par. 74, ECR 2006, pp. I-1609, ECLI:EU:C:
2006:121 – negando che l’ordinamento dell’Unione Europea richieda un contrasto alle pratiche abusive anche al di fuori dell’ambito in cui trova applicazione.
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scale, tanto in ambito nazionale, quanto internazionale, la frizione tra forma
e sostanza mira a conseguire il risparmio d’imposta nello stesso Stato in cui
si realizza. Diversamente, nella pianificazione fiscale aggressiva il risparmio
d’imposta scaturisce in un contesto di disparità tra ordinamenti tributari e
dunque per effetto del diverso trattamento fiscale che questi applicano alla
fattispecie transnazionale, che in alcuni casi può anche determinare l’erosione della sovranità di altri Stati. In questo senso il risparmio d’imposta nella
pianificazione fiscale aggressiva è il frutto delle diverse forme che la medesima sostanza può assumere nei diversi ordinamenti tributari.
Ne consegue che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva presuppone per sua stessa natura un coordinamento a livello internazionale, onde
assicurare una reazione coerente sul piano internazionale al trattamento fiscale applicabile in due o più Stati.
È poi possibile cogliere un’ulteriore differenza tra i due fenomeni. Nel
caso dell’elusione fiscale la rilevanza dell’elemento intenzionale – ancorché
nella forma oggettiva in cui esso si traduce – può assumere un proprio rilievo
come elemento essenziale, in quanto occorre dimostrare l’esistenza dell’aggiramento della norma altrimenti applicabile. Nel caso della pianificazione
fiscale aggressiva l’elemento intenzionale non rileva, poiché il vantaggio fiscale deriva dallo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale in modo da produrre l’“effetto disallineamento” tra produzione della ricchezza ed
esercizio della sovranità impositiva.
Questa seconda differenza rileva, in particolare all’interno dell’Unione
Europea.
Occorre, infatti, considerare che il contrasto alle pratiche abusive nel diritto dell’Unione Europea stabilisce requisiti ben più stringenti rispetto a
quelli in uso comune nei sistemi tributari in altri Paesi del mondo. In particolare, tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale consolidato della
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, due limiti sono imposti: l’uno, dal
primato del diritto dell’Unione Europea su quello degli Stati membri; l’altro, dalla necessità di rispettare il principio di proporzionalità. Questo implica che le giustificazioni alle limitazioni all’esercizio delle libertà fondamentali presuppongono il riscontro – nei fatti – di una pratica abusiva e una reazione, da parte dello Stato, che non ecceda i limiti strettamente necessari a
rimuovere gli effetti della manifestazione abusiva. Se così non fosse, la giustificazione – teoricamente meritevole – del contrasto alle pratiche abusive, finirebbe per pregiudicare l’esercizio dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione
Europea in relazione a situazioni non abusive, nonché l’effettività del primato
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del diritto dell’Unione Europea su quello degli Stati membri(ciò in quanto
gli Stati membri mantengono in linea di principio l’esercizio della sovranità
a livello nazionale).
Pertanto si deve escludere che la necessità di contrastare le pratiche abusive possa giustificare (in termini di compatibilità con il diritto dell’Unione
Europea) misure che producono effetti deterrenti delle pratiche abusive e
trovano applicazione in modo automatico o quasi automatico (anche per il
mezzo di strumenti presuntivi), cioè a prescindere dal riscontro a livello fattuale della natura abusiva di ogni singola pratica, e, più in generale, dal contrasto del mero rischio di pratiche abusive. In tutti questi casi, infatti, l’applicazione della giustificazione antiabuso produrrebbe effetti sproporzionati.
Diversamente, il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva nell’ordinamento dell’Unione Europea rileva – a nostro giudizio – quale espressione
della necessità di preservare «l’equilibrata ripartizione del potere impositivo», che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea considera un possibile
motivo di giustificazione 44. Infatti, se l’obiettivo della suddetta giustificazione sta nell’esigenza di evitare l’erosione della base imponibile di uno Stato,
quest’elemento è comune con quanto i sistemi tributari ora si propongono
di fare in via di coordinamento fiscale internazionale rispetto ai problemi emergenti nell’ambito della nuova categoria concettuale della pianificazione
fiscale aggressiva 45.
L’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in materia
di imposte dirette conferma questa intuizione. Infatti, anche se spesso la suddetta giustificazione è stata esaminata all’interno di contesti in cui essa interagisce con altre giustificazioni, fra cui anche quella relativa all’esigenza di
contrastare le pratiche abusive 46, è innegabile che la Corte avverta il bisogno
di concepirla in modo separato da quest’ultima, richiedendo uno standard
44
Si vedano le sentenze della CGUE, 18 luglio 2007, causa C-231/05, Oy AA, in Racc.,
2007, pp. I-6373, ECLI:EU:C:2007:439, e 21 gennaio 2010, causa C-311/08, Société de Gestion Industrielle (SGI) contre État belge, in Racc., 2010, pp. I-487, ECLI:EU:C:2010:26; 25
febbraio 2010, causa C-337/08, X Holding BV v. Staatssecretaris van Financien, in Racc., 2010,
pp. I-1215, ECLI:EU:C:2010:89.
45
Peraltro, non si può escludere che l’esigenza di tutelare l’equilibrata ripartizione del
potere impositivo, fornita dalla Corte di Giustizia Europea, possa essere più ristretta e non
coincidente con quella emergente dall’esigenza di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva. Tuttavia, se anche così fosse, quest’ultima categoria potrebbe determinare una corrispondente espansione di quella in uso alla Corte.
46
Ci riferiamo ad es. alla sentenza CGUE, sent. 13 dicembre 2005, causa C-446/03,
Marks & Spencer, in Racc., 2005, pp. I-10837) ECLI:EU:C:2005:763.
Pasquale Pistone
421
diverso. Peraltro, riteniamo che mentre la giustificazione del contrasto alle
pratiche abusive rappresenti la manifestazione – in materia tributaria – del
più generale problema dei limiti del diritto dell’Unione Europea, quella relativa al mantenimento dell’equilibrata ripartizione del potere impositivo rappresenta un fattore giustificativo sui generis proprio della materia tributaria,
o, quantomeno, di tutti quei settori giuridici in cui il primato del diritto sovranazionale si sforza di rispettare il mantenimento delle prerogative al livello nazionale (come appunto accade in relazione alla ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati).
La conclusione che i due fenomeni della pianificazione fiscale aggressiva
e dell’elusione fiscale rappresentino due diverse forme di risparmio d’imposta non tollerate dagli ordinamenti non significa che essi non possano coesistere all’interno di schemi di pianificazione fiscale internazionale o che non
possano almeno parzialmente sovrapporsi, anche nelle manifestazioni che
assumono nella prassi internazionale. È in tali casi che è concretamente possibile che le norme o tecniche volte a contrastare l’elusione fiscale e le pratiche abusive contrastino anche la pianificazione fiscale aggressiva 47.
Un caso di sovrapposizione è dato ad esempio dalle doppie deduzioni fiscali per le fattispecie ibride. La Corte di Giustizia ha esaminato questo tema nella propria giurisprudenza fiscale sul trattamento delle perdite nei gruppi societari sin dal noto caso Marks & Spencer 48 (anche in un contesto in cui
le stesse possono rilevare ai fini dell’elusione fiscale). Riteniamo però che
una sovrapposizione tra i due fenomeni possa avvenire anche nei casi dei
regimi IP box non in linea con il criterio del collegamento modificato (modified nexus approach), visto che in tale contesto si spostano gli utili e si erode la base imponibile con lo sfruttamento delle disparità, ma si determina
altresì una situazione in cui alcune società percepiscono reddito a fronte di
funzioni che non sono in grado di svolgere. Pertanto, seguendo i criteri ammessi dall’orientamento consolidato della Corte di Giustizia in tema di elu47
In questo senso, pur se (per le ragioni indicate in precedenza in questo studio nel par.
3.4.4) riteniamo non condivisibile l’impostazione teorica delle categorie concettuali oggetto della Raccomandazione della Commissione Europea EU 8806 del 6 dicembre 2012,
cit., che accomuna pianificazione fiscale aggressiva e elusione fiscale, è quantomeno possibile condividere, con tale documento, la conclusione che l’impiego di norme antiabuso
possa in alcuni casi produrre effetti di contrasto anche alle pratiche di pianificazione fiscale
aggressiva.
48
CGUE, sent. 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C-446/03, in Racc., 2005, pp. I10837) ECLI:EU:C:2005:763.
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sione fiscale 49, sarebbe ammissibile applicare in questi contesti anche la giustificazione fondata sull’esigenza di contrastare le pratiche abusive.
In questi e altri casi è poi possibile che lo stesso schema di pianificazione
fiscale internazionale contenga fenomeni qualificabili come pianificazione
fiscale aggressiva e altri, espressioni di pratiche abusive. Così ad esempio in
tema di prezzi di trasferimento il mancato rispetto del criterio dell’arm’s
length può integrare i presupposti di entrambi i fenomeni di risparmio d’imposta, determinando l’insorgenza di una pratica abusiva per alcuni aspetti e
di forme di pianificazione fiscale aggressiva per altri. In entrambi i casi, l’analisi della fattispecie dovrà tenere conto del criterio interpretativo fornito
dalla Corte di Giustizia Europea nei casi SGI 50 e Thin Cap GLO 51, secondo
cui non vi può essere una pratica abusiva quando un’operazione tra società
dello stesso gruppo rispetta questo standard 52.
3.2. Pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale: il treaty shopping
Facciamo ora riferimento all’esempio concreto dell’abuso delle convenzioni internazionali (meglio noto come treaty shopping e disciplinato dall’azione 6 del progetto BEPS), evidenziando le ragioni per cui, a nostro giudizio, questa fattispecie non può determinare una situazione di pianificazione
fiscale aggressiva.
In questo tipo di pratica abusiva, l’elusione fiscale mira a impedire allo
Stato della fonte di applicare la ritenuta all’aliquota che sarebbe applicabile
in base alla Convenzione di tale Paese con lo Stato di residenza. A tal fine, in
luogo del pagamento diretto del reddito al soggetto nel suo Stato di residenza, il suddetto reddito viene prima corrisposto a un soggetto da questi
controllato e residente in un terzo Stato, la cui Convenzione con lo Stato
della fonte prevede l’applicazione di una minore ritenuta alla fonte, e poi da
49
CGUE, sent. 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes and Cadbury Schweppes Overseas (C-196/04, in Racc., 2006, pp. I-7995) ECLI:EU:C:2006:544, par. 67.
50
CGUE, sent. 21 gennaio 2010, SGI (C-311/08, in Racc., 2010, pp. I-487) ECLI:EU:
C:2010:26, parr. 68-72.
51
V. CGUE, sent. 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C524/04, in Racc., 2007, pp. I-2107) ECLI:EU:C:2007:161, par. 71 ss.
52
In linea con le precauzioni da seguire al livello interpretativo al fine di riscontrare l’applicazione della giustificazione in funzione antiabuso, riteniamo che tale affermazione non
debba di per sé implicare che la pratica abusiva esista automaticamente quando non si rispetta tale criterio e che, tuttavia, in alcuni casi le fattispecie di prezzi di trasferimento possano determinare un problema di contrasto con la pianificazione fiscale aggressiva.
Pasquale Pistone
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questi inoltrato al soggetto cui il reddito stesso è destinato, spesso senza alcun ulteriore aggravio d’imposta, sotto forma di pagamento di dividendi.
Nonostante la diversità tra le convenzioni internazionali dello Stato della
fonte sia all’origine della convenienza a realizzare il treaty shopping, i vantaggi in termini di risparmio d’imposta non derivano in questo caso dallo sfruttamento delle diversità tra le suddette convenzioni, ma dalla minore ritenuta
prelevata nello Stato della fonte. Pertanto, per quanto il treaty shopping sia di
frequente un obiettivo degli schemi di pianificazione fiscale internazionale,
esso non rappresenta di per sé una forma di pianificazione fiscale aggressiva.
Per consentire allo Stato della fonte di contrastare efficacemente questa
pratica abusiva, l’azione 6 del progetto BEPS prevede l’impiego di clausole
generali antiabuso, come nel caso del cosiddetto test delle ragioni determinanti (noto anche come principal purpose test), o la modifica delle convenzioni, introducendo nelle stesse apposite clausole antiabuso, tra le quali la
clausola di limitazione dei benefici (nota anche come limitation-on-benefits
clause). Tale clausola, secondo diverse modalità, fa venire meno la convenienza della triangolazione ai fini dell’elusione, limitando il diritto all’applicazione della Convenzione con lo Stato della fonte per i soggetti che, pur
essendo residenti nell’altro Stato contraente, sono controllati da soggetti residenti in Stati terzi.
Il treaty shopping e le clausole di limitazione dei benefici sollevano vari
problemi nell’ordinamento dell’Unione Europea, che è opportuno analizzare in questa sede al fine di sottolineare che una efficace lotta all’elusione fiscale internazionale deve svolgersi nel rispetto del diritto sovranazionale
dell’Unione Europea.
In primo luogo, nell’Unione Europea la Direttiva madre-figlia è stata finora spesso utilizzata per far fluire i dividendi al destinatario finale del reddito anche nei casi di treaty shopping. Ciò è reso possibile anche dal fatto che
– diversamente dalla previsione della condizione del beneficiario effettivo,
contenuta nel Modello OCSE sin dal 1977 – la Direttiva madre-figlia stabilisce un divieto incondizionato di ritenute in uscita.
In altri termini, fino alle modifiche apportate nel 2015, l’art. 1.2 della Direttiva madre-figlia prevedeva la facoltà, ma non l’obbligo, per gli Stati membri dell’Unione Europea, di applicare la propria normativa antiabuso per
contrastare le pratiche abusive. Peraltro, anche in quegli Stati membri dotati
di clausole generali antiabuso nel proprio diritto interno, di tecniche equivalenti a livello interpretativo, o di clausole di limitazione dei benefici nelle
proprie convenzioni internazionali, non si è mai giunti a considerare questo
424
DOTTRINA
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impiego della Direttiva come una forma di pratica abusiva. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che la ratio della Direttiva è stata quella di eliminare
ogni prelievo alla fonte sui flussi intersocietari di dividendi nell’Unione Europea, applicando una normativa in generale più favorevole rispetto a quella
prevista dalle convenzioni internazionali. Del resto, non deve dimenticarsi
che secondo l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea non si può parlare di abusivo esercizio del diritto di stabilimento quando la società controllata, costituita in uno Stato membro diverso da
quello in cui ha sede la propria controllante (o società madre), svolge un’attività economica ed è dotata di personale, locali e attrezzature in grado di
consentire l’esercizio di tale attività.
Pertanto, si può affermare, che almeno nella prospettiva del diritto dell’Unione Europea è dubbio che ai fini della qualificazione di una fattispecie
di treaty shopping come pratica abusiva sia sufficiente la sola triangolazione
del flusso reddituale con l’intervento di una società controllata residente in
uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono rispettivamente il soggetto pagatore e la società madre (ultima destinataria del reddito). Per il diritto dell’Unione Europea è invece necessario provare la natura abusiva della
fattispecie concreta alla luce dei parametri specificamente forniti dalla Corte
di Giustizia dell’Unione Europea, conformi al principio di proporzionalità.
Non riteniamo peraltro che le modifiche apportate alla Direttiva madrefiglia tra il 2014-2015 53 possano mutare questo inquadramento; ciò anche
se l’azione 6 del progetto BEPS qualifica il treaty shopping come pratica abusiva e suggerisce l’adozione di specifiche misure di contrasto, fra cui le clausole generali antiabuso e quelle di limitazione dei benefici. Del resto, la validità di queste conclusioni è indirettamente confermata dai dubbi sulla compatibilità delle clausole LoB con il diritto di stabilimento 54, espressi dalla
53
In particolare, ci si riferisce in questo caso all’inserimento della clausola anti-abuso
all’art. 1.2 della Direttiva madre-figlia.
54
Peraltro, si è già avuto modo di esprimere in altra sede che le clausole di limitazione
dei benefici si trasformano nella fonte di un ostacolo procedurale o sostanziale al diritto di
stabilimento, in quanto aggravano l’esercizio del diritto di stabilimento secondario. Sul punto v. PISTONE, Limitation-on-benefits clauses are clearly different from most-favoured-nation
clauses: Test claimants in Class IV of the ACT Group Litigation, in British Tax Review, n. 4,
2007, pp. 363-365. In altra sede si è poi avuto modo di approfondire la questione anche al
fine di delineare possibili soluzioni alternative, che riteniamo potrebbero essere adottate in
via di integrazione positiva da parte degli Stati membri dell’Unione Europea. V. PISTONEJULIEN-CANNAS, Can the Derivative Benefits Provision and the Competent Authority Discretionary Relief Provision render the OECD-proposed LoB Clause Compatible with EU Funda-
Pasquale Pistone
425
Commissione Europea nel parere motivato notificato ai Paesi Bassi il 19
novembre 2015 55 subito dopo le conclusioni del vertice del G20 di Antalya.
È auspicabile dunque supporre che la continuazione di questa procedura
davanti alla Corte di Giustizia Europea consentirà a quest’ultima, interprete
unico del diritto dell’Unione Europea, di pronunciarsi su questi aspetti, affermando il primato del diritto dell’Unione Europea sull’esercizio della sovranità tributaria da parte degli Stati membri anche in relazione alle fattispecie di elusione fiscale nel contesto post-BEPS.
Il rispetto delle categorie e dei principi del diritto sovranazionale si impone su tutto il territorio dell’Unione Europea e pertanto il contrasto dell’elusione fiscale non può risolversi in un ostacolo sproporzionato, di natura
sostanziale o procedurale, all’esercizio del diritto di stabilimento, quale a
nostro giudizio è in taluni casi la clausola di limitazione dei benefici; né tantomeno esso può subordinare gli obiettivi della Direttiva madre-figlia alla
necessità di contrastare l’abuso delle convenzioni internazionali, visto che
queste rimangono applicabili all’interno dell’Unione Europea solo quando
determinino un trattamento di maggior favore.
4. La pianificazione fiscale aggressiva nell’ottica di una lettura globale dei
principi costituzionali in materia tributaria
4.1. La pianificazione fiscale aggressiva e il pluralismo costituzionale
Ci proponiamo ora di analizzare la pianificazione fiscale aggressiva nel
prisma dei principi costituzionali, con particolare attenzione all’impatto che
tali principi sono in grado di determinare su questo fenomeno e sulle misure
che i sistemi tributari si preparano ad adottare in attuazione di quel coordinamento fiscale internazionale previsto dal progetto BEPS.
mental Freedoms?, in LANG-PISTONE-RUST-SCHUCH-STARINGER-STORCK, Base Erosion and
Profit Shifting (BEPS): The Proposals To Revise the OECD Model Convention, Vienna, 2016.
DEBELVA-SCORNOS-VAN DEN BERGHEN-VAN BRABAND, LOB Clauses and EU-Law Compatibility: A Debate Revived by BEPS?, in Intertax, n. 3, 2015, p. 132 ss., in particolare a p.
141, ritengono invece possibile che queste clausole siano compatibili con il diritto dell’Unione Europea in presenza di uno sgravio discrezionale (discretionary relief limitation-onbenefits clauses) che non prevedesse alcun aggravio procedurale per i contribuenti.
55
http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-15-6006_it.htm. Sul punto v. HERZFELD,
EU Strikes Down Treaty LOB Provision – What It Means, posted on January 4, 2016, in
http://www.taxnotes.com/imp/18149911, pp. 1-7.
426
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In linea con la prospettiva del diritto tributario globale che caratterizza
questo studio, anche l’analisi dei suddetti profili andrà al di là della configurazione positiva dei principi all’interno dei singoli ordinamenti, seguendo le
dinamiche del cosiddetto pluralismo costituzionale, con particolare attenzione per quelle che il suddetto fenomeno manifesta all’interno dell’Unione
Europea anche grazie alle elaborazioni dottrinali 56. Il pluralismo costituzionale offre, infatti, uno schema concettuale in grado di consentire lo sviluppo
di un nucleo di valori fondamentali comuni a più Stati, all’interno del quale,
poi, ciascun legislatore, tenuto conto delle rispettive norme costituzionali
positive, potrà esercitare la propria potestà in materia tributaria. Per questa
sua capacità, il pluralismo costituzionale si presta all’analisi del diritto tributario globale e del coordinamento fiscale internazionale che si sta sviluppando sulla base dei risultati del progetto BEPS e di quello di trasparenza
fiscale internazionale. Le conseguenze del pluralismo costituzionale saranno
poi applicate in questo scritto ai profili di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea.
In questa sede ci si propone di analizzare in particolare tre aspetti, ossia:
i) quelli di natura sostanziale, relativi all’impatto della pianificazione fiscale
aggressiva sul carico fiscale, ii) quelli attinenti alle fonti dell’obbligo di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e, infine, iii) quelli relativi all’interpretazione e all’applicazione delle norme tributarie nel contesto del coordinamento fiscale globale in funzione di contrasto alla pianificazione fiscale
aggressiva.
4.2. L’impatto della pianificazione fiscale aggressiva sul concorso al sostegno della spesa pubblica
In linea di principio riteniamo che la pianificazione fiscale aggressiva implichi anzitutto un problema di equità e un’alterazione del concorso al sostegno della spesa pubblica, sia all’interno del sistema tributario nazionale,
sia nei rapporti tra Stati 57.
Infatti, determinando effetti di erosione della materia imponibile, essa ri56
V. POIARES MADURO, Contrapunctual Law: Europe’s Constitutional Pluralism in Action, in WALKER (ed.), Sovereignty in Transition, Oxford, 2003, p. 501 ss., e ID., Europe and
the Constitution: What if This Is As Good As It Gets?, in WEILER-WIND (eds.), European Constitutionalism Beyond the State, Cambridge, 2003, p. 74 ss.
57
DE WILDE, Some Thoughts on Fair Allocation of Corporate Tax in a Globalizing Economy, in Intertax, n. 5, 2010, p. 281 ss.
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427
duce il gettito tributario di uno Stato, obbligandolo così a incrementare il
prelievo sugli altri soggetti che manifestano capacità contributiva ricollegabile alla sovranità tributaria di tale Stato 58. Per tali ragioni possiamo affermare agevolmente che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva si
giustifichi da un punto di vista costituzionale sulla base delle stesse esigenze
su cui si fonda il contrasto all’elusione fiscale.
La pianificazione fiscale aggressiva determina però un ulteriore fenomeno, opposto a quello testé descritto, per effetto del quale la maggiore competitività del sistema tributario di uno Stato consente a quest’ultimo di attrarre maggiori entrate sotto la propria sovranità tributaria. Non ci si propone di esaminare in questa sede gli aspetti economici di tale fenomeno.
Nella prospettiva di analisi del pluralismo costituzionale si vuole, invece, fare luce sui limiti entro i quali debba essere consentito al legislatore di uno
Stato di predisporre misure che determinano l’effetto di accrescere la competitività del proprio sistema tributario anche a scapito della sovranità di
quello di altri Paesi.
Se analizzassimo i principi costituzionali positivi di uno Stato in un’ottica
isolata, senza cioè tenere presenti le ripercussioni che si determinano sul
piano internazionale, la risposta potrebbe essere che quanto maggiore è
l’attrazione alla sovranità tributaria per effetto delle misure poste in essere dal
legislatore nazionale, tanto migliori sono le sue scelte, ferma restando, ovviamente, la necessità di ricollegare l’obbligo del pagamento dei tributi a fatti che siano ragionevole espressione di una forza economica.
Riteniamo, però, che questa impostazione non sia in grado di cogliere
l’essenza della pianificazione fiscale aggressiva; anzi, che essa abbia alimentato, negli ultimi anni, una sorta di tolleranza verso questo fenomeno finendo quasi per giustificarlo anche per via di una superficiale lettura del concetto di concorrenza e dell’interesse individuale di ciascuno Stato a reperire risorse per la gestione della propria spesa pubblica.
Le perplessità in merito a questa impostazione aumentano ove si considerino gli effetti negativi provocati all’interno dell’Unione Europea dal progressivo allargamento dei criteri di collegamento all’imposizione 59 al fine di
58
Tale punto è stato già percepito nella dottrina tributaria italiana da AMATUCCI, op.
cit., p. 9.
59
Chiari esempi di questo tipo sono stati gli ampliamenti dei concetti di residenza fiscale, le exit taxes, l’applicazione di norme sulle società controllate estere anche alle partecipazioni detenute da soci privi del requisito del controllo.
428
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massimizzare l’ambito entro cui si esercita la sovranità tributaria di uno Stato. Infatti, pur contribuendo a incrementare il numero delle situazioni in cui
sorge la pretesa tributaria di uno Stato, questo fenomeno ha sistematicamente
aumentato anche il numero delle situazioni in cui possono determinarsi conflitti positivi di imposizione, complicando l’esercizio delle libertà fondamentali all’interno dell’Unione Europea. In alcuni casi la doppia imposizione
giuridica derivante dall’ampliamento dei criteri di collegamento all’imposizione è stata considerata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non
risolvibile a livello interpretativo, in quanto emergente dalle disparità esistenti tra i vari sistemi nazionali 60.
Alla luce di queste considerazioni riteniamo che, da un punto di vista
metodologico, l’impiego di un’analisi isolata della compatibilità costituzionale sia di scarsa utilità ogniqualvolta sia necessario verificare gli effetti delle
scelte del legislatore sul piano internazionale o affrontare problemi, come
quello della pianificazione fiscale aggressiva, la cui soluzione richiede un coordinamento tra le sovranità statali.
In particolare, nel caso della pianificazione fiscale aggressiva è possibile
che gli interessi dell’operatore economico che si propone di trarre vantaggi
dallo sfruttamento delle disparità tra diversi ordinamenti nazionali, e lo Stato, che lo attrae alla sua sovranità, convergano, nella misura in cui il primo
riduce il proprio carico fiscale e il secondo aumenta il proprio gettito tributario. Questo è chiaramente accaduto nel caso del sistema tributario gibilterriano censurato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per la sistematica produzione di vantaggi selettivi a favore di quanti operano in ambito
transnazionale. Grazie a questo tipo di manovre i contribuenti di Gibilterra
hanno potuto sopportare un carico tributario inferiore e le imprese hanno
goduto di una competitività maggiore sul piano internazionale. Questo fenomeno è solo una delle tante situazioni in cui occorre analizzare le scelte
del legislatore in un’ottica più ampia di quella nazionale.
Le conclusioni del progetto BEPS e l’esigenza avvertita a livello globale,
di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva provano che i risultati di
questi taciti accordi ai danni dell’interesse erariale di un altro Stato non pos60
CGUE, 14 novembre 2006, causa C-513/04, Mark Kerckhaert and Bernadette Morres
v. Stato Belga, in Racc., 2006, pp. I-10967, ECLI:EU:C:2006:713; 12 febbraio 2009, causa
C-67/08, Margarete Block v. Finanzamt Kaufbeuren, in Racc., 2009, pp. I-883, ECLI:EU:
C:2009:92; CGUE, 16 luglio 2009, causa C-128/08, Jacques Damseaux v Stato Belga, in
Racc., 2009, pp. I-6823, ECLI:EU:C:2009:471.
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429
sano ormai giustificarsi nel quadro costituzionale entro cui il legislatore può
esercitare la potestà normativa.
Si auspica che ulteriori elementi utili alla ricostruzione di questi profili
pervengano nell’ambito delle risposte che la Corte di Giustizia Europea potrà fornire in merito ai casi dei rulings fiscali, che simbolicamente riflettono
gli effetti di questa convergenza di interessi – tra le finanze di alcuni Stati
membri e la competitività di alcune aziende operanti a livello globale – in un
periodo di crisi mondiale che ha portato molti operatori sull’orlo della bancarotta.
Del resto le conclusioni raggiunte su questo punto valgono, a maggior
ragione, nei casi in cui l’effetto dello sfruttamento delle disparità ha causato
vantaggi alle sole imprese multinazionali, consentendo a queste ultime di alterare significativamente il concorso alla spesa pubblica in ciascuno dei Paesi in cui hanno operato – come, ad esempio, quando, a fronte di un unico
pagamento, un soggetto ottiene due deduzioni in Stati diversi.
La concorrenza fiscale internazionale non è di per sé un fenomeno dannoso, ma può diventare tale, e dobbiamo ritenere che ciò accada sempre nei
casi di pianificazione fiscale aggressiva.
Pertanto, a nostro avviso l’esigenza di contrastare gli effetti delle pratiche
di pianificazione fiscale aggressiva va, d’ora in poi, intesa come un limite imposto dal diritto tributario globale all’attività normativa del legislatore; ciò,
al fine di realizzare un sistema di controlimiti tra le sovranità tributarie dei
vari Stati e perseguire obiettivi di giustizia a livello sia nazionale, sia internazionale. In particolare, il suddetto controlimite opera a livello nazionale come strumento di equità verticale e orizzontale; mentre, a livello internazionale, evita che la pianificazione fiscale aggressiva alteri il concorso alle spese
pubbliche del singolo, riducendo, così, il prelievo sulla concreta manifestazione di forza economica realizzata da alcuni contribuenti, e, corrispondentemente aumentando il carico fiscale gravante sugli altri, e producendo effetti di alterazione anche in altri sistemi tributari e più in generale nei rapporti tra gli Stati. Pur essendo consapevoli del fatto che questa esigenza manca, allo stato, di una sua manifestazione positiva all’interno di precetti costituzionali, riteniamo che essa sia intrinseca a quell’esercizio coerente della
sovranità tributaria in ambito internazionale, che costituisce il presupposto
del nuovo coordinamento tributario internazionale che gli Stati si stanno
impegnando a realizzare assorbendo all’interno dei propri sistemi le norme
del progetto BEPS.
In quest’ottica si giustifica quindi altresì la necessità di una lettura coor-
430
DOTTRINA
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dinata del carico fiscale a livello internazionale e di verificare la sussistenza
dei presupposti per l’applicazione di una norma (quale, ad esempio, quelle
sullo sgravio della doppia imposizione economica) anche a livello internazionale, se necessario, e – comunque – tenendo conto degli effetti transnazionali ricollegabili all’applicazione delle singole norme tributarie.
Inoltre, nella medesima ottica si giustifica anche un’interpretazione coordinata a livello internazionale di quelle norme tributarie che presentano possibili effetti di pianificazione fiscale aggressiva e l’impiego di risorse per consentire l’assistenza mutua tra amministrazioni fiscali.
4.3. La fonte dell’obbligo della pianificazione fiscale aggressiva e l’essenza della
sovranità tributaria
Veniamo ora a trattare il secondo punto in precedenza indicato, quello
cioè relativo alla fonte giuridica dell’obbligo di contrastare la pianificazione
fiscale aggressiva. Ovviamente, la fonte in senso formale di tale obbligo non
può che essere la legge. Questa conclusione s’impone in forza del valore preminente del principio di legalità nella gran parte degli ordinamenti tributari
europeo-continentali, ma anche dei Paesi di diversa tradizione giuridica, che
con i primi condividono l’esigenza di assicurare la certezza delle situazioni
giuridiche come elemento cardine del sistema tributario.
Da un punto di vista sostanziale non può però negarsi che – con alcune
limitate eccezioni 61 – il contenuto delle leggi di contrasto alla pianificazione
fiscale aggressiva, che sono state approvate o sono in corso di approvazione
da parte dei Parlamenti nazionali, non sia il frutto di un regolare dibattito in
sede parlamentare.
Queste leggi attuano – piuttosto – una sorta di adeguamento della normativa nazionale al cosiddetto “standard fiscale internazionale concordato”
(internationally agreed tax standard), anche definito con il termine di “prassi
fiscale accettata a livello internazionale” (internationally accepted tax practice) 62. Il rilievo di questo fenomeno si sviluppa in una dimensione non giuri61
Si veda ad esempio il caso degli USA e del rifiuto di adottare alcune misure del progetto BEPS all´interno del proprio ordinamento federale. Fra questi vi è ad esempio lo
strumento multilaterale previsto nell’azione 15 del progetto BEPS.
62
L’utilizzo della formula «internationally agreed tax standard» si radica essenzialmente
nel lavoro dell’OCSE (anche tramite il Global Forum) nell’ambito dello scambio di informazioni. In origine si parlava più specificamente di «international standard of transparency
and exchange of information». Tuttavia, l’OCSE passa poi a riferirsi allo stesso come «in-
Pasquale Pistone
431
dica grazie al sostegno politico fornito dal G20 a questa iniziativa, sostegno
che tiene conto dell’avvertita esigenza di adottare una risposta globale a un
problema globale, e della consapevolezza della validità tecnica degli strumenti
predisposti in seno all’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (OCSE) e al forum globale di trasparenza fiscale.
In tale ottica non vi è dubbio che il progetto BEPS e quello di trasparenza fiscale globale siano da considerare come la fonte di importanti condizionamenti esterni al contenuto e alla sostanza della sovranità tributaria nazionale in ambito internazionale.
La mancanza di un sufficiente dibattito e di una piena consapevolezza da
parte della comunità nazionale di uno Stato potrebbe quindi generare rischi
di legittimità sul piano costituzionale 63. Questi condizionamenti attengono
però ad obiettivi di politica fiscale internazionale particolarmente importanti, che non possono più essere conseguiti in via unilaterale o per effetto di
un puzzle multiforme di azioni bilaterali da parte di ciascuno Stato (secondo il cosiddetto piecemeal approach). È infatti proprio questo tipo di approccio ad aver predisposto un terreno fertile per la pianificazione fiscale aggressiva e lo sfruttamento delle disparità tributarie in ambito internazionale.
La necessità per la sovranità tributaria nazionale di trovare una propria
dimensione giuridica nella transizione verso le dinamiche globali presenta
problematiche che attengono invece al grado di rappresentazione nelle sedi
internazionali presso le quali si fissano gli standards internazionali; ciò che
si sta verificando anche in molte altre branche del diritto che si stanno graternationally agreed tax standard», facendo forse in qualche modo presagire una prospettiva
più ampia, poi estrinsecatasi nel progetto BEPS. Nel 2011 l’OCSE si definisce come «market leader(s) in developing tax standards and guidelines» (v. OCSE, Current Tax Agenda,
2011, p. 74). Spunti interessanti sul ruolo dell’OCSE come organizzazione tributaria internazionale in pectore si possono trovare in CHRISTIANS, Taxation in a Time of Crisis: Policy
Leadership from the OECD to the G20, in Northwestern Journal of Law and Social Policy, n.
5, 2010, pp. 45. A nostro giudizio, i fatti relativi agli sviluppi verificatisi nel corso degli ultimi anni dimostrano, per un verso, la necessità di un esercizio coordinato della sovranità
tributaria a livello internazionale e, per altro, verso l’importanza assunta dall’OCSE in tale
contesto. Quest’ultimo rilievo non fa venire meno la necessità di consentire che il coordinamento tributario internazionale si sviluppi in modo da riflettere la legittimità dei contesti internazionali in cui lo stesso si realizza. V. a questo riguardo I. MOSQUERA, Legitimacy
and the Making of International Tax Law: The Challenges of Multilateralism, in World Tax
Journal, n. 3, 2015, IBFD Online Journals.
63
A questo riguardo si tenga conto in particolare della seconda delle tre dimensioni del
costituzionalismo indicate da POIARES MADURO, in AVBELJ-KOMÁREK (a cura di), Four Visions of Constitutional Pluralism, in EUI, Working Paper Law n. 21, 2008, p. 5.
432
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
dualmente spostando verso le logiche del diritto globale e del multilateralismo, come ad esempio anche il diritto ambientale 64.
In quest’ottica occorre quindi sottolineare che tanto il contrasto al surriscaldamento del nostro pianeta, come la necessità del coordinamento fiscale globale rappresentano espressioni di un problema simile da un punto di
vista strutturale, la cui soluzione può essere efficace solo se attuata a livello
globale 65.
A tali condizioni, e nella misura in cui siano salvaguardati almeno gli
aspetti formali del principio di legalità, l’esistenza di condizionamenti sostanziali alla sovranità tributaria rappresenta pertanto un risultato inerente
alle nuove esigenze cui il prelievo tributario deve fare fronte in un’economia
globalizzata. Tuttavia, non si possono sottacere i rischi di violazione dei
principi costituzionali che si possono determinare per una comunità nazionale nella misura in cui l’obbligazione di realizzare il coordinamento fiscale
internazionale porti alla passiva adozione dei risultati del lavoro dei comitati
tecnici che hanno predisposto le misure nell’ambito del progetto BEPS e di
quello di trasparenza fiscale.
Tali rischi non vengono meno per effetto del solo fatto che ai gruppi di
lavoro da cui sono scaturite queste misure hanno partecipato anche organizzazioni non governative, internazionali o altri organismi privati. In conformità con i valori del costituzionalismo, in precedenza indicati, rileva invece la trasparenza e la partecipazione dei rappresentanti degli Stati in seno
a questi gruppi di lavoro, così come la possibilità di manifestare critiche e
contribuire a modificare quegli aspetti che non sono compatibili con i valori
fondamentali di una determinata comunità nazionale. In questo modo, è possibile a ciascuna comunità nazionale rappresentata esercitare, almeno in forma lata, una partecipazione alle misure che produrranno effetti vincolanti in
seguito alla promulgazione delle conseguenti leggi nazionali.
Ancora una volta può essere utile esaminare la questione in relazione a
un esempio concreto. In particolare, può essere utile prendere in considerazione i profili relativi alle obbligazioni di comunicazione di dati, che il progetto BEPS impone alle imprese multinazionali, al fine di assicurare un efficace controllo da parte delle autorità tributarie nazionali e prevenire rischi
di pianificazione fiscale aggressiva ed elusione fiscale.
64
Si veda AA.VV., Trattato di diritto dell’ambiente. Principi generali, a cura di Dell’AnnoPicozza, Padova, 2012.
65
In materia ambientale, si permetta di richiamare a questo riguardo, BILBAO ESTRADAPISTONE, Global CO2 Taxes, in Intertax, n. 1, 2013, pp. 2-14.
Pasquale Pistone
433
La tutela della confidenzialità dei dati e delle informazioni, anche in relazione alle imprese, rappresenta un valore di pluralismo costituzionale particolarmente importante per alcuni Paesi, come ad esempio Austria, Belgio,
Lussemburgo, Svizzera e Uruguay, ma anche rilevante per i primi tre nella
prospettiva della Carta Europea dei Diritti Fondamentali 66 e per i primi quattro in quella della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. In quest’ottica la partecipazione dei rappresentanti di questi Paesi è dunque uno strumento importante per assicurare il rispetto dei valori del pluralismo costituzionale. Questo però non si è verificato nel caso del progetto di trasparenza
fiscale globale, almeno nella sua fase iniziale, determinando così effetti di
possibile violazione dei profili costituzionali in questi Paesi, che hanno così
dovuto adeguarsi alle istanze imposte nei loro confronti dal resto del mondo.
Il rischio di violazioni dei principi costituzionali, derivante dalla imposizione dei risultati dell’azione dei comitati tecnici, rappresenta un problema
generale ricollegabile alla necessità di predisporre soluzioni a problemi di
estrema complessità, quali quelli relativi al coordinamento fiscale globale.
In tale contesto è importante evitare forme di tecnocrazia, per loro natura non conformi ai valori universalmente riconosciuti della democrazia e a
quelli imposti dalla sostanza del principio di legalità. Va, però, evitato altresì
il rischio di un fenomeno che potremmo definire come colonialismo giuridico in materia tributaria. L’essenza di tale fenomeno sta nel pericolo che
alcuni Stati impongano ad altri quelle soluzioni che meglio rispondano ai
loro interessi di politica fiscale internazionale, giustificandole – almeno formalmente – sulla base di ragioni meritevoli, come quella del contrasto alla
pianificazione fiscale aggressiva.
Queste considerazioni ci consentono di affermare che i valori espressi dal
pluralismo costituzionale stabiliscono un limite all’applicazione dei risultati
del progetto BEPS e di quello di trasparenza fiscale nei Paesi che non abbiano avuto modo di rappresentare la propria posizione nella elaborazione di
tali progetti 67. Il problema si pone, in particolare, per l’applicazione dei risultati del progetto BEPS nei Paesi in via di sviluppo, specialmente nella misura in cui il suddetto progetto possa incidere sul diritto di questi Paesi ad
applicare norme di incentivazione per sostenere il proprio sviluppo econo66
V. in particolare l’art. 8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Questi temi sono analizzati con attenzione da MOSQUERA, Legitimacy and the Making
of International Tax Law: The Challenges of Multilateralism, in World Tax Journal, n. 3, 2015,
IBFD Online Journals.
67
434
DOTTRINA
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mico. Pertanto, sarà opportuno stabilire un dialogo con questi Paesi nelle
sedi internazionali adeguate, fra cui, in particolare, la task force dell’OCSE
sull’imposizione e lo sviluppo (Task Force on Tax and Development), per adeguare gli opportuni correttivi al progetto BEPS, sia a livello di normativa interna, sia di quella convenzionale, perché risulti adeguato anche alle diverse
realtà di questi Paesi.
4.4. L’interpretazione e l’applicazione delle norme tributarie nel contesto del
coordinamento fiscale internazionale
Non riteniamo che ai fini dell’interpretazione delle norme tributarie che
attuano il progetto BEPS all’interno dei singoli sistemi tributari si debba riconoscere ai rapporti finali del medesimo progetto un valore maggiore di
quello che può essere ricavato dalla ponderazione a livello tecnico del loro
contenuto. Quei rapporti spiegano il modo in cui si attuano le pratiche di
pianificazione fiscale aggressiva, gli effetti negativi che le stesse determinano
e prospettano soluzioni che gli Stati adottano. Non sono, però, lavori preparatori in senso stretto, ma solo studi tecnici di carattere preliminare.
In quest’ottica, affermare che una determinata interpretazione sia conforme al rapporto BEPS è un argomento di pregio puramente tecnico in sede
interpretativa, ma non impone al singolo Stato un vincolo giuridico di adeguamento.
Una diversa conclusione potrebbe soltanto raggiungersi nella misura in
cui i contenuti del rapporto BEPS fossero esplicitamente accettati dal legislatore nazionale, ovvero imposta a livello interpretativo per effetto di sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che attribuissero alle
suddette fonti un valore giuridico vincolante (in forza del primato del diritto dell’Unione Europea su quello degli Stati membri) 68.
Al di là di questi casi, l’esigenza di interpretare le norme di contrasto alla
pianificazione fiscale aggressiva in modo internazionalmente coerente rappresenta comunque a nostro giudizio un importante elemento, affinché lo
sviluppo del diritto tributario globale possa conseguire gli obiettivi che gli
Stati si sono prefissati nel momento in cui hanno accettato di realizzare il
68
È noto che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha riconosciuto al Modello OCSE
un valore dichiarativo della prassi internazionalmente riconosciuta. V. fra i tanti CGUE, sent.
14 febbraio 1995, Finanzamt Köln-Altstadt/Schumacker (C-279/93, in Racc., 1995, pp. I-225)
ECLI:EU:C:1995:31, par. 32; sent. 12 maggio 1998, Gilly/Directeur des services fiscaux du BasRhin (C-336/96, in Racc., 1998, pp. I-2793) ECLI:EU:C:1998:221, par. 31.
Pasquale Pistone
435
coordinamento fiscale internazionale. Questa esigenza di coerenza va intesa
sia nel senso di sviluppare una comune interpretazione tra gli Stati, sia in
quello di tenere conto del modo in cui le norme di due Stati interagiscono,
onde assicurare che la coerenza del trattamento fiscale transnazionale realizzi il proprio obiettivo di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.
In tale ottica si determinano due importanti corollari ai fini dell’interpretazione e applicazione della norma a livello transnazionale.
In primo luogo, la coerenza può in alcuni casi condizionare il contenuto
di una norma, ponendo, come ad esempio accade nel caso delle fattispecie
ibride, un obbligo di adeguamento alla qualificazione ai fini fiscali prospettata dall’ordinamento di un altro Stato. In tali casi non vi è a nostro giudizio
alcuna violazione del principio di legalità del tributo, in quanto la presupposizione del principio del mutuo riconoscimento, applicabile in questo contesto, è insita nell’obbligo assunto da uno Stato di contrastare la pianificazione fiscale internazionale. Né si può ritenere che occorra alcuna alterazione nei rapporti tra due o più ordinamenti tributari, tenuto anche conto della
possibilità di raggiungere un equilibrio a livello di reciprocità internazionale.
In secondo luogo, per effetto della suddetta coerenza, uno Stato può essere obbligato a concedere o non concedere un determinato trattamento
fiscale, come ad esempio una deduzione o esenzione, tenuto conto di ciò
che è accaduto nell’altro Stato coinvolto. In questo modo, infatti, è possibile
evitare che dallo sfruttamento delle disparità a livello transnazionale possa
conseguire un effetto di doppia non imposizione involontaria.
Tale adeguamento conseguente alla necessità di preservare la coerenza
nel trattamento fiscale transnazionale di una determinata fattispecie potrebbe a sua volta determinare un trattamento diverso rispetto alle fattispecie
puramente interne. In tale contesto ci si potrebbe chiedere se si verifica una
violazione del principio di eguaglianza davanti alla legge, e del principio di
capacità contributiva, inteso nell’accezione più ampia che allo stesso viene riconosciuta in norme quali l’art. 53 della Costituzione italiana ovvero, in misura minore, di quello di capacidad económica dell’art. 31 della Costituzione
spagnola.
Tuttavia, il diverso modo in cui si atteggia il collegamento all’imposizione nei confronti di queste fattispecie giustifica altresì la loro diversità rispetto alle fattispecie interne e l’esigenza di preservarne l’uniformità di trattamento in sede transnazionale, sì da evitare che lo sfruttamento delle disparità consenta di ottenere vantaggi fiscali che i due Stati altrimenti non avevano inteso concedere.
436
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Implicitamente si determina in questo modo un condizionamento al contenuto del principio di capacità contributiva, che può giustificare la riduzione o aumento del prelievo fiscale in uno Stato in funzione dell’avvenuto o
mancato pagamento in un altro Stato. A prima vista questo fenomeno potrebbe sembrare nuovo, ma in realtà esso è già noto alla gran parte degli ordinamenti. Infatti, l’esigenza di contrastare i fenomeni di doppia imposizione internazionale giustifica l’esenzione o il credito per le imposte estere – rispettivamente, non esercitando la potestà impositiva sul reddito di fonte estera, o riducendo il prelievo nello Stato di residenza in misura corrispondente ai tributi pagati a titolo definitivo nello Stato della fonte. Se, dunque,
ciò accade per il fenomeno della doppia imposizione internazionale, non si
vedono ragioni per cui non possa accadere anche per il suo opposto, ossia
per i casi di doppia non imposizione internazionale, a maggior ragione in presenza di un obiettivo di coordinamento fiscale internazionale che rappresenta
oggetto di un accordo specificamente assunto dal legislatore nazionale per
l’effettivo contrasto alla pianificazione fiscale internazionale.
5. Conclusioni
La pianificazione fiscale aggressiva è un nuovo fenomeno giuridico in
materia tributaria, che si presenta esclusivamente in ambito transnazionale e
i cui elementi essenziali sono solo parzialmente coincidenti con quelle di altre forme di risparmio tributario non tollerato dagli ordinamenti giuridici.
In particolare, essa scaturisce dallo sfruttamento delle disparità fiscali tra i
singoli ordinamenti tributari e realizza un disallineamento tra la produzione
della ricchezza imponibile e l’esercizio della sovranità impositiva al fine di ottenere vantaggi fiscali che gli Stati non avrebbero altrimenti inteso concedere.
L’esigenza di un trattamento fiscale coerente a livello internazionale ha
spinto gli Stati a realizzare un coordinamento fiscale internazionale che non
ha precedenti nella storia del diritto tributario, nemmeno all’interno dell’Unione Europea. Questo contesto presuppone un ravvicinamento anche a livello interpretativo e applicativo nello studio delle relative categorie tributarie, anche a cavallo dei diversi ordinamenti e del pensiero dottrinale, e un
superamento delle diversità emergenti dal dato positivo dei suddetti ordinamenti; il tutto nell’ottica dello sviluppo di categorie concettuali di diritto
tributario globale, che poi vengono restituite ai singoli sistemi tributari ai fini dell’applicazione delle singole norme.
Pasquale Pistone
437
In questa nuova dimensione di coordinamento fiscale internazionale la
sfida per il diritto tributario globale è dunque quella di sviluppare categorie
giuridiche concettuali comuni ai vari ordinamenti tributari per opporre una
reazione a quei fenomeni, come la pianificazione fiscale aggressiva, che nel
corso degli ultimi anni hanno sottratto risorse finanziarie ingenti ai bilanci
degli Stati.
Lo studio di queste problematiche si presenta complesso, poiché presuppone il superamento della sola dimensione positiva delle norme di un singolo ordinamento tributario, tenendo conto del modo in cui le stesse possono
interagire con quelle degli altri sistemi nel perseguire l’obiettivo comune del
contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.
Riteniamo però che questa sfida per il diritto tributario globale sia l’unico
modo per salvaguardare l’essenza della sovranità tributaria degli Stati, assicurando l’equità del trattamento fiscale, la giusta ripartizione del carico tra i
contribuenti e il concorso di ciascuno al sostegno della spesa pubblica in ragione della propria effettiva forza economica, dunque della propria capacità
contributiva.
Quattro sono a nostro giudizio le sfide per il diritto tributario globale
nell’ambito del contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva.
In primo luogo, l’attuazione del progetto BEPS deve realizzarsi in modo
omogeneo a livello globale. Solo in questo modo è possibile conseguire quella coerenza transnazionale nel trattamento fiscale che giustifica il coordinamento delle sovranità tributarie a livello globale e che è indispensabile al fine della realizzazione dell’obiettivo finale dell’holistic approach. I principali
fattori di rischio in grado di impedire il raggiungimento di questo obiettivo
sono a nostro giudizio la notevole incertezza giuridica che tuttora circonda
l’attuazione di questo progetto e delle sue categorie, l’atteggiamento degli
Stati che cercano di mantenere vantaggi competitivi in modo non trasparente, e il tentativo di utilizzare le reazioni ai fenomeni di pianificazione fiscale
aggressiva ed elusione fiscale per perseguire in forma occulta obiettivi di protezionismo fiscale internazionale 69.
La seconda sfida è di contrastare la pianificazione fiscale aggressiva e attuare il progetto BEPS all’interno dell’Unione Europea nel pieno rispetto del
primato del diritto sovranazionale dell’Unione Europea e dei principi che
69
Su questi aspetti v. amplius PISTONE, BEPS, Capital Export Neutrality and the Risk of
Hidden Tax Protectionism. Selected Remarks from an EU Perspective, in DANON (ed.), BEPS:
The Outcome, Schulthess, Basilea, 2016.
438
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tale ordinamento giuridico esprime. Il primato del diritto dell’Unione Europea è fonte di obblighi giuridici vincolanti che gli Stati membri devono rispettare.
Purtuttavia, sono rinvenibili vari segnali, sia da parte degli Stati membri,
sia in seno alla Commissione Europea, di una sottovalutazione delle conseguenze che tale primato determina a livello interpretativo.
È incoraggiante la posizione presa dalla Commissione Europea in merito
alle clausole di limitazione di beneficio. È invece discutibile la confusione
concettuale che la Commissione Europea manifesta in merito alle diverse
forme di pianificazione fiscale aggressiva (che riguarda situazioni in cui emergono problemi di tutela dell’adeguata ripartizione della potestà impositiva)
ed elusione fiscale (che riguarda le pratiche abusive), nonché la tolleranza di
possibili reazioni sproporzionate con l’applicazione di misura in modo tale
da impedire nelle singole fattispecie il riscontro della natura genuina delle
stesse. I suddetti problemi sorgono in particolare per l’applicazione di misure compensative, quali la legislazione CFC e le clausole di tipo subject-to-tax
e switchover.
La terza sfida è quella della totale assenza della dimensione della protezione globale dei diritti del contribuente. Se i problemi globali richiedono
risposte globali, allora anche i problemi dei contribuenti e dell’effettiva e tempestiva difesa di questi diritti non possono rimanere confinati a livello nazionale. Come già affermato in altra sede 70, nel momento in cui i poteri delle amministrazioni tributarie si estendono al di là dei confini nazionali per
ricercare un approccio globale di contrasto alla pianificazione fiscale internazionale, è importante che vi sia altresì una dimensione globale dei diritti
dei contribuenti, che segua anch’essa standards minimi e migliori pratiche e
consenta a questi ultimi di ottenere giustizia in tempi ragionevoli e nel contempo di sorvegliare che gli standards stabiliti dalle autorità fiscali realizzino
un temperamento tra la tutela dell’interesse erariale e i diritti fondamentali
delle persone.
La quarta e ultima sfida è quella della legittimità globale del coordinamento fiscale internazionale. Si presenta per un verso rispetto ai Parlamenti
nazionali degli Stati che hanno partecipato a elaborarne le misure e per altro
verso, in modo molto più accentuato, per i restanti Stati. Mentre i primi si
trovano di fronte alla scelta di dare il loro sostegno nell’ambito del fenome70
V. BAKER-PISTONE, The Practical Protection of Taxpayers’Rights. General Report, IFA
Congress, vol. 100B, 2015, p. 21.
Pasquale Pistone
439
no di multilateralismo di cui il coordinamento fiscale internazionale è espressione, i secondi devono fronteggiare una nuova forma di colonialismo giuridico, che non può però privarli dell’essenza della propria sovranità e del diritto di rimanere padroni delle proprie scelte di politica e legislazione tributaria nel contesto internazionale.
È, questa, forse la più importante sfida per evitare che il pur desiderabile
contrasto globale alla pianificazione fiscale aggressiva finisca per rappresentare uno strumento con cui alcuni Stati impongono le loro dinamiche e politiche a tutto il resto del mondo, senza che vi sia una eguale partecipazione a
determinare il contenuto del nuovo ordine tributario globale.
440
DOTTRINA
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Gaetano Ragucci
L’ETICA DEL LEGISLATORE TRIBUTARIO
E LA CERTEZZA DEL DIRITTO *
THE ETHICS OF TAX LAW AND THE PRINCIPLE
OF LEGAL CERTAINTY
Abstract
Separata da implicazioni di carattere etico, la certezza del diritto riguarda soprattutto la vigenza, la durata e il significato della legge. Tuttavia, applicata agli esiti
dell’interpretazione, rivela nuove e più ampie implicazioni in tema di separazione
tra politica e diritto, e di efficacia della legge. Vengono quindi esaminati alcuni
orientamenti della giurisprudenza italiana che ne evidenziano la portata, a cui seguono osservazioni conclusive sugli strumenti che possono correggerne gli effetti
negativi.
Parole chiave: diritto, certezza, interpretazione, politica della legalità, efficienza
Separated from ethical implications, legal certainty regards, especially, the validity,
duration and meaning of law. Nevertheless, applied to the outcome of interpretation,
it reveals new and broader implications regarding the separation between politics and
law, and the effectiveness of legal provisions. The essay analyses certain approaches
followed by Italian tax courts that highlight the scope, followed by concluding remarks
on the measures that may correct the negative effects.
Keywords: law, certainty, interpretation, policy of legality, effectiveness
* Testo della relazione letta al Convegno “Etica fiscale e Fisco etico”, organizzato in occasione del XXXIII Congresso nazionale dell’ANTI – Associazione Nazionale dei Tributaristi Italiani, in Ancona il 9 ottobre 2015, con note aggiunte.
442
DOTTRINA
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SOMMARIO:
1. Premessa. – 2. Le opzioni teoriche. – 3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul
giudicato; le sentenze della Corte costituzionale che dispongono pro futuro. – 4. L’abuso del
diritto. – 5. Conclusioni.
1. Premessa
Il titolo della relazione che mi è stata affidata rende opportuno delimitarne, e, data l’ampiezza, meglio sarebbe dire limitarne, l’oggetto.
Si parla di etica, che intenderò non nel senso di comportamento abituale
bensì di scienza di tale comportamento, dunque come sinonimo di morale.
Si propone il binomio legge e diritto, che vorrei considerare dal comune
punto di vista dell’interpretazione.
Del resto, quando si pensa alla moralità della legge – e qui mi riferisco alla legge in senso formale, lasciando per ora da parte la trama di principi e valori di cui l’interpretazione si alimenta – occorre tenere presente che essa
soccombe all’obiettivo di un’azione amministrativa efficiente. Chi chiama
altri a obbedire al comando legale, lo assolve nello stesso tempo da ogni libero esame, e dalle responsabilità morali conseguenti. È come se lo Stato
prendesse su di sé le colpe per trasformarle in azione efficace, o, se non efficace, inevitabile 1. Né potrebbe essere altrimenti, perché se così non fosse la
“macchina” statale cesserebbe di funzionare.
Sposterò allora l’attenzione sul diritto, inteso come l’insieme di norme
coattive che è il prodotto dell’interpretazione. E partirò dall’idea che alla
domanda di giustizia a cui l’interprete cerca di rispondere è sempre presupposta una particolare concezione del fenomeno giuridico. Diversi sono i fondamenti che possono sostenerla – la natura dell’uomo, l’accordo o l’utilità
della maggioranza dei consociati – e a ciascuno di essi corrisponde un modello metodologico dell’interpretazione 2, nel quale il ruolo dell’etica può variare anche di molto.
Cercherò di indicare le principali opzioni teoriche che si offrono all’interprete, ma il punto che vorrei evidenziare subito è che vi sono concezioni
1
CHIAROMONTE, Lo stato senza ragione, in FEDELE (a cura di), Le verità inutili, Napoli,
2001, p. 49.
2
MODUGNO, Una lezione sulla metodologia giuridica, in http://host.uniroma3.it/centri/
crispel/UNA%20LEZIONE%20SULLA%20METODOLOGIA%20GIURIDICA.pdf, p. 1.
Gaetano Ragucci
443
nelle quali l’etica non ha un ruolo. Per esempio, quelle fondate sulla convinzione che, di fronte a un ordinamento che persegue fini di efficienza, l’individuo è a sua volta guidato dall’interesse personale, e non da un’idea di virtù
che la legge non riflette 3. Eppure non è detto che in queste concezioni la
certezza del diritto cessi di avere rilevanza, anzi. Si potrebbe allora cominciare con il dire che tra morale e certezza del diritto non c’è un legame logico necessario: ed è questo uno dei risultati a cui conduce la riflessione sul
tema che mi accingo a svolgere.
Ma il rapporto tra morale e certezza del diritto va precisato nell’ambito
della teoria dell’interpretazione, intesa come attribuzione di un significato
(la norma) a un enunciato legislativo. Perciò, occorre considerare che essa
non dipende solo dall’applicazione di tecniche appropriate, ma in un certo
modo anche dai dogmi e dai valori accolti dall’interprete. E può accadere
che la norma ricavata per via di interpretazione contrasti con un’idea di giustizia. Qui è la fonte di una tensione caratteristica, che è stata all’origine di
una significativa evoluzione del concetto di certezza del diritto 4. Anche questo aspetto merita di essere evidenziato, perché offre la chiave di uno dei fattori di crisi della teoria giuridica dell’imposta di fronte alla quale tutti ci misuriamo.
3
Con il processo di globalizzazione la dimensione etica del diritto tributario entra in
crisi. Da un lato, «lo slittamento della sovranità dello Stato ad una pluralità di entità territoriali ha determinato una profonda trasformazione della concezione etica del sistema tributario, in quanto rispetto a una pluralità di ordinamenti fiscali non è più possibile rilevare
la presenza di una o più forze materiali e politiche che siano in grado di imporsi in maniera
preponderante sulle scelte normative» (BORIA, Diritto tributario europeo, Milano, 2015, p.
23). Dall’altro, si osserva che: «... nonostante la globalizzazione, la crisi dell’imposta personale e la diffusa evasione, il tributo – se costruito secondo lo schema costituzionale sopra delineato, con riferimento a validi presupposti e se applicato con tecniche moderne ed
efficienti – rappresenta ancora uno dei più importanti strumenti di redistribuzione della
ricchezza e di riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, oltre che di stimolo della domanda, che gli stati hanno a disposizione senza dover necessariamente aumentare il
debito» (GALLO, La funzione del tributo ovvero l’etica delle tasse, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009,
p. 399 ss.). Efficienza dell’amministrazione e funzione redistributiva suppliscono al tramonto
del dovere di solidarietà, in cui si sostanzia la dimensione costituzionale del tributo.
4
Nella sua formulazione tradizionale (vi torneremo), certezza del diritto è certezza
della vigenza, della durata, della sufficienza e del significato della regola, con possibili corollari anche sulle qualità dei comportamenti regolati (ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, in Dir. econ., 1956, pp. 8-9 dell’estratto). L’accesso a fonti extralegali per risolvere
l’antinomia tra regola certa e regola giusta la riduce alla conoscibilità e prevedibilità del diritto soggettivo, fondato sulla norma generale (CORSALE, Il problema della certezza del diritto
in Italia dopo il 1950, in LOPEZ DE ONATE, La certezza del diritto, Milano, 1968, pp. 307-308).
444
DOTTRINA
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Dunque, per svolgere il tema proporrò (senza alcuna pretesa di completezza, e ben consapevole della sommarietà dei riferimenti a cui mi capiterà
di ricorrere) alcune riflessioni focalizzate sul diritto tributario. E mi limiterò
a indicare: a) le opzioni teoriche implicate dal tema della certezza; b) due
esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato tributario interno, e
le sentenze di accoglimento delle questioni di costituzionalità che dispongono pro futuro; c) il divieto di abuso. Seguiranno d) le conclusioni, dirette a
conferire per quanto possibile un senso compiuto a quanto mi accingo a illustrare.
2. Le opzioni teoriche
La teorizzazione della certezza come «specifica eticità del diritto» 5 risale alla fase degli studi seguita al doppio evento bellico che ha occupato la
prima metà del secolo scorso, ed è il risultato della proposta di restaurazione
per via legislativa del diritto di natura, come rimedio alle degenerazioni provocate dall’avvento dello Stato totalitario. La difficoltà, nell’attuale stato di
cose, di impostare il tema in questi termini è stata ben espressa nel saggio di
Massimo Corsale a commento dell’opera di Lopez de Oñate, che di quell’epoca fu tra le espressioni più note: «troppo decisivi sono ormai i risultati
che in più di mezzo secolo – l’osservazione risale agli ultimi anni ’60 – di critica al concettualismo e al positivismo legalistico sono stati raggiunti, per
non respingere la pretesa che la legge possa esaurire il campo delle fonti di
produzione giuridica» 6.
Il punto di svolta si è avuto con l’acquisizione che il nodo principale del
problema è il rapporto della regola di diritto non tanto con un ideale di giustizia, quanto piuttosto con il giudizio che si compie nel processo, inteso
come espressione culminante dell’esperienza giuridica. Con ciò, il problema
si è spostato sul piano dell’interpretazione, e sull’incidenza di elementi extralegali nella formazione del giudizio. Si è così fatta strada l’idea che la certezza del diritto sia recuperabile nella rispondenza della sentenza alla realtà
sociale, concepita come deposito di valori normativi, di attese e convinzioni
della coscienza comune, capaci di disciplinare l’apporto creativo dell’interprete. Quindi, essa non è più attributo della legge, ma coincide con la cono5
6
LOPEZ DE OÑATE, op. cit., p. 156 ss.
CORSALE, op. cit., p. 308.
Gaetano Ragucci
445
scibilità e prevedibilità del diritto della parte che lo invoca, che l’interpretazione opportunamente orientata è in grado di assicurare 7. Seguendo questa
via, si può anche arrivare a ridurre la certezza a valore “debole”, subordinato
a istanze sociali ed economiche sempre in grado di imporsi attraverso la composizione dei conflitti che si attua nel processo 8.
Immediata l’obiezione, non altrettanto l’individuazione di un’alternativa
appagante. È cioè subito evidente che codesta stabilità di riferimenti è il
prodotto – ricorro a espressioni dell’Allorio, che di quell’epoca fu testimone –
di un «ambiente socialmente e civilmente maturo», perché estraneo a diffuse avversioni al cambiamento, come a spinte al sovvertimento sociale 9.
Che così non fosse poteva forse temersi allora; oggi, il pensiero è a una società “liquida” esente da quelle tensioni, che vede aumentare si può dire
ogni giorno la propria capacità di azione, ma nello stesso tempo anche la propria fragilità a fronte di dinamiche che la sovrastano. Difficile attendersi da
questa realtà fondamentalmente instabile la promessa certezza della regola di
diritto. Quale, allora, la soluzione?
L’interrogativo è di quelli che non consentono risposte univoche. È perciò utile rievocare sia pure per sommi capi i principali approcci, tra i molti e
molto articolati che sono stati proposti. L’idea è che l’ordinamento assicuri la
certezza del diritto, pur declinata in termini di mera prevedibilità delle condotte dei decisori, quando produce effetti equivalenti a quelli prescritti dalla
dottrina che la riferisce alla regola giuridica. E che quando la qualità delle
leggi non assicuri questo risultato, sopperiscono la consapevolezza della dimensione politica dell’interpretazione giuridica, e l’opzione per un ordinamento giuridico efficiente.
a) Nella prospettiva alloriana, non è in discussione che il fondamento della
certezza del diritto stia nella struttura morale della società, nella quale il diritto è chiamato a operare 10. È però necessario che essa sia declinata a ogni
livello dell’esperienza giuridica, e perciò come certezza della vigenza della regola, attraverso il rifiuto di dottrine che legittimino la disapplicazione della
legge in nome di un principio di giustizia che non abbia trovato riconosci7
GIANFORMAGGIO, (voce) Certezza del diritto, in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., II, 1988,
p. 275; CORSALE, op. cit.
8
GROSSI, Sulla odierna “incertezza” del diritto, in Giust. civ., 2014, IV, p. 4 ss., ora in Ritorno al diritto, Bari, 2015, p. 85.
9
ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 10.
10
ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 11.
446
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RTDT - n. 2/2016
mento in essa; come certezza della durata della regola, attraverso l’espunzione dall’ordinamento di norme rigide, e di clausole di retroattività; infine,
come certezza della sufficienza e del significato della regola.
Quest’ultimo requisito implica una ferma censura delle tecniche di interpretazione funzionale, progressiva e correttiva 11, che sin dagli anni ’70 dello
scorso secolo si sono venute affermando sulla scia delle dottrine che concepiscono la certezza del diritto come rispondenza ai principi e valori accolti
dalla società 12. Oggi il problema si pone principalmente per l’interpretazione secundum constitutionem compiuta dal giudice comune.
Quando abbia a oggetto regole di rango diverso, v’è uno stretto legame tra
gli argomenti sistematico e teleologico 13, che l’opzione positivistica non rifiuta
a priori 14. Un’interpretazione di questo tipo è eseguita dalla Corte costituzionale nella fase accentrata del controllo di costituzionalità, al fine di conformare
il diritto vivente al vincolo costituzionale, o, in mancanza di diritto vivente, per
conformarvi indirizzi interpretativi in via di composizione. Ed è eseguita anche
dal giudice remittente nella fase diffusa del controllo, in cui egli valuta la non
manifesta infondatezza della questione, se ne è il caso anche in contrasto con il
diritto vivente. Il fatto è, però, che talvolta i giudici ricorrono all’interpretazione adeguatrice anche senza sollevare la questione di costituzionalità 15, ed è qui
11
ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., pp. 8-9. Per l’unificazione dei requisiti della certezza di sufficienza e significato della regola, che Allorio tiene distinti riferendoli (il primo) ai caratteri della regola, e (il secondo) alle tecniche di interpretazione:
LONGO, (voce) Certezza del diritto, in Noviss. dig. it., III, 1956, p. 126.
12
DENTI, Sistematica e post-sistematica nella evoluzione delle dottrine del processo, in
AA.VV., La sistematica giuridica. Storia, teoria e problemi attuali, Firenze, 1991, p. 85 ss.
13
VELLUZZI, Le preleggi e l’interpretazione. Un’introduzione critica, 2013, p. 49 ss.
14
L’argomento dogmatico non ha infatti una validità assoluta, nel senso che non legittima alcun esito interpretativo che ripugni al comune senso di giustizia. L’obiezione che viene
da una norma ingiusta va però risolta in primo luogo attraverso il ricorso alla ragione, mettendo in discussione i risultati delle precedenti ricerche, e facendoli progredire verso nuove e
più moderne acquisizioni. Se il tentativo fallisce, per individuare il rimedio è allora il caso di
risalire ai pertinenti principi sovraordinati (ALLORIO, Saggio introduttivo al Commentario del
codice di procedura civile, Torino, 1980, p. LXIX). Sull’interpretazione della legge tributaria:
ALLORIO, Diritto processuale tributario, 3, Torino, 1962, pp. 55-56. Sul rifiuto opposto da Allorio all’interpretazione funzionale, da ultimo: FALSITTA, Convergenze e divergenze fra Enrico
Allorio e Benvenuto Griziotti nella ricostruzione del fenomeno tributario, in RAGUCCI (a cura di),
Il Contributo di Enrico Allorio allo studio del diritto tributario, Atti del Convegno tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano il 12 giugno 2015, Milano, 2015, pp. 28-31.
15
«La necessità dell’interpretazione “adeguatrice” alla Costituzione deriva dalla funzione di parametro di legittimità costituzionale attribuito a tutte le norme costituzionali:
ogni risultato del processo interpretativo che appaia in contrasto con principi e norme diret-
Gaetano Ragucci
447
che l’opzione genera criticità sul versante della certezza del diritto.
In questi casi, l’interpretazione costituzionalmente orientata si espone a
critica per i dubbi che può generare sulla sufficienza e sul significato della
regola, e perché vanifica l’affidamento dei cittadini nella sicurezza delle posizioni giuridiche di vantaggio, che il diritto vivente riconosce e protegge 16.
Tanto più che la sentenza vale inter partes, e ha perciò un’incidenza indiretta
sull’azione dell’amministrazione finanziaria, che per fare valere le proprie ragioni non deve certo ricorrere al giudice. E che pertanto, nel dettare le regole a cui il contribuente deve attenersi, può adeguare la propria condotta ai
canoni di conformità costituzionale, o, a seconda dei casi, non adeguarla,
mentre per ottenere lo stesso risultato quello non ha altro mezzo che invocare la tutela giudiziaria.
Da qui viene, se ci si pensa, la diversa capacità di penetrazione dei precetti ricavati dalla giurisprudenza del c.d. divieto di abuso (che tutti ricordano
travolgente, e per certi versi persino incontrollata, sino alla sua recente codificazione) 17, rispetto per esempio al diritto del contraddittorio, di cui ancora si dibatte tra contrastanti indicazioni della giurisprudenza di legittimità,
malgrado goda di eguali, se non più stabili, fondamenti nel diritto costituzionale ed europeo.
b) In altra prospettiva, la certezza del diritto si presenta come un aspetto
della separazione tra politica e diritto, e ha fondamento nella legalità dell’amministrazione, e nell’autonomia della magistratura 18.
Il potere politico esercita sulla legge la sua facoltà di decisione, nel senso
che può abrogarla o modificarla, ma finché la lascia in vigore non ha modo
di controllarne l’applicazione. L’esigenza è, tuttavia, che i titolari di uffici pubblici non perseguano interessi particolari o arbitrari (e cioè conformi alle
convinzioni di chi li ricopre, più che alla legge). Perciò, il legislatore si limita
a emanare disposizioni di carattere generale, valide per un numero indefinito di casi futuri; specularmente, amministrazione e giudici non possono
produrre norme, perché già conoscono le fattispecie concrete. L’astensione
da tali condotte non è affidata alla morale, ma è imposta dal combinato eftamente derivabili dalle disposizioni costituzionali dovrebbe necessariamente essere dichiarato incostituzionale; un’elementare principio di economia nell’attività giuridica impone
dunque di scegliere l’interpretazione che “adegua” il risultato al parametro di legittimità»
(FEDELE, Il valore dei principi nella giurisprudenza tributaria, in Riv. dir. trib., 2013, I, p. 877 ss.).
16
Corte cost. n. 24/2009; Corte cost. n. 74/2008; Corte cost. n. 376/1995.
17
Art. 10 bis, L. n. 212/2000, introdotto dall’art. 1, D.Lgs. n. 128/2015.
18
CHELI, Lo Stato costituzionale. Radici e prospettive, Roma, 2006, p. 23 ss.
448
DOTTRINA
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fetto dei principi di legalità e di autonomia della magistratura, come detto 19.
Tuttavia, le carenze del processo di produzione legislativa hanno l’effetto
di attenuare la separazione tra politica e diritto. L’impegno per un miglioramento della qualità delle leggi può contenere questo fenomeno, ma l’impossibilità di un ordinamento giuridico linguisticamente univoco, privo di contraddizioni e di lacune, e sempre in armonia con i principi e valori della Costituzione, fa in modo che non esista norma giuridica che all’atto pratico
non sollevi dubbi, che il giudice è tenuto a risolvere. Viene, con ciò, meno la
neutralità politica del giudizio, perché sono sempre possibili interpretazioni
innovative o capaci di effetti che vanno al di là di quelli voluti dalla legge, e
capaci di incidere sulla soluzione di casi diversi da quello deciso.
Ciò non rende l’ordine giudiziario un potere politico, nella misura in cui
chi decide opera nell’ambito delimitato dalla legge, non persegue scopi propri, e non dipende dal consenso dei consociati 20. E, per quanto qui rileva,
priva di consistenza le critiche mosse alle interpretazioni giudiziali che pongono rimedio a un dettato legislativo carente, sotto il profilo del pregiudizio
alla separazione dei poteri. La critica, semmai, potrebbe investire il modo in
cui tale funzione si esplica, quando comporti un sacrificio dell’esigenza di
sicurezza e di stabilità dei rapporti giuridici, di cui il canone della certezza è
la sintesi 21.
c) La democrazia può anche apparire come un sistema di competizione
per dirigere il potere monopolistico dello Stato, di cui la Costituzione fissa
le regole 22. Un sistema in cui l’offerta degli attori politici incontra la doman-
19
GRIMM, (voce) Diritto e politica, in http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-e-politica
(Enciclopedia delle scienze sociali)/.
20
GRIMM, op. cit. Il riferimento al consenso dei consociati andrebbe precisato con l’individuazione della base di legittimazione, che non coincide necessariamente con il corpo
elettorale. Con ciò, il tema dell’autonomia dell’ordine giudiziario, e della connessa neutralità del giudizio, si complica, e non è questa la sede per svilupparlo.
21
La certezza è prevedibilità di una gamma delle conseguenze giuridiche di una determinata condotta, e in questo senso si presenta come una questione di grado (GOMETZ, Indici di certezza giuridica, in Dir. e quest. pubbl., 2012, p. 309 ss.), ma è certo che al di sotto di
una certa soglia implica costi maggiori dei vantaggi che la singola decisione può produrre.
È quindi in gioco l’efficienza dell’ordinamento, che per il diritto tributario è un obiettivo
essenziale, specie se lo si intende come strumento di redistribuzione (e non di dissipazione) della ricchezza.
22
NAPOLITANO, Analisi economica del diritto pubblico, in Dizionario di diritto pubblico,
diretto da Cassese, I, Milano, 2006, p. 302.
Gaetano Ragucci
449
da di protezione giuridica dei gruppi di interesse, e lo scambio è assicurato
da meccanismi costituzionali capaci di renderlo vincolante e stabile nel tempo. In questa logica, la certezza del diritto è indispensabile nell’ambito dei
diritti individuali, al di fuori del quale può entro certi limiti essere surrogata
da istituti di promozione della compliance, e cioè di accordi cooperativi tra i
soggetti interessati.
I diritti, invero, sono fattori di riduzione dei costi decisionali di una comunità di individui egoisti, che si propone di curare interessi collettivi. Lo si
osserva già sul piano legislativo, ove è evidente che se la Costituzione non
garantisse diritti inviolabili, i partecipanti al patto costituzionale dovrebbero
cautelarsi invocando la regola dell’unanimità su ogni singola legge, perché
solo così si proteggerebbero dal rischio di prevaricazioni. Ma lo stesso è per
le decisioni di ogni autorità (amministrativa e giudiziale) la cui attività si
esplichi secondo particolari procedure. In questa ottica i diritti agiscono come limiti alle decisioni, siano esse collettive e individuali, e sono strumento
del corretto funzionamento delle istituzioni 23.
Inoltre, nel “mercato delle leggi” le norme giuridiche sono efficienti nella
misura in cui realizzano gli obiettivi che perseguono, con il minimo dispendio di risorse. Una norma incerta è, allora, inefficiente perché lascia le parti
interessate nella convinzione di potere ottenere dal conflitto benefici maggiori dei costi del giudizio 24.
Da questo punto di vista è senz’altro vero che un recupero di efficienza si
può avere attraverso istituti di promozione della compliance, ma va tenuto
presente che questi non sono sempre neutrali rispetto alla funzionalità del sistema. Tale è per esempio l’istituto che consente di eliminare incertezze sul
significato e l’ambito di applicazione della legge (interpello) 25. Ma lo stesso
non si può dire per gli istituti che, a fronte di una regola obiettivamente incerta, rendono economicamente più vantaggioso l’accordo concedendo sconti
sulle sanzioni (adesione, reclamo, mediazione, conciliazione). Infatti, con la
23
NAPOLITANO, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, p. 134.
La situazione di incertezza del diritto determina, in relazione all’esercizio di poteri
unilaterali da parte di una pubblica amministrazione, un “gioco a informazione incompleta”, che amplia i margini di discrezionalità dell’amministrazione, spingendola ad adottare il
provvedimento che realizza il massimo vantaggio per l’interesse protetto: ZACCARIA, La
perdita di incertezza del diritto: riflessi sugli equilibri dell’economia e della finanza pubblica,
in http://hostweb3.ammin.uniss.it/documenti/LA_PERDITA_DELLA_CERTEZZA_ DEL_
DIRITTO.pdf, pp. 14-16.
25
VERSIGLIONI, L’interpello nel diritto tributario, Perugia, 2005, p. 45 ss.
24
450
DOTTRINA
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preclusione al giudizio viene meno un fattore di autocorrezione del sistema di
produzione normativa, che anche con il concorso di questi istituti viene abbandonato alla deriva del calcolo di convenienza 26.
Al termine di questa rapida rassegna non è evidentemente possibile scegliere l’una o l’altra delle dottrine rievocate, né accedere a una sintesi. Lo
impediscono la complessità e l’eterogeneità degli argomenti e delle questioni sottese, e in fondo anche la vastità del problema della certezza del diritto
in sé considerato.
Dirò solo che, sciolto il legame con l’etica, il problema della certezza vive
per così dire di vita propria, e, depurato dal sospetto che trovi fondamento
in premesse ideologiche 27, si converte nel problema della separazione tra
politica e diritto, nonché dell’efficienza delle leggi e della compliance tra parti che perseguono interessi contrapposti. Si tratta di profili non secondari,
vicini alla logica delle riforme a costo zero di cui in tempi di ristrettezze economiche tanto si parla. In questa prospettiva, liberi dai vincoli imposti da un
principio della separazione dei poteri rigidamente inteso, possiamo forse auspicare l’attuazione per via giudiziale di quella che, non potendosi identificare
con l’etica del legislatore, nell’attuale assetto delle istituzioni può invece coerentemente essere concepita come una «politica della legalità» 28.
In effetti, il senso di quanto sin qui detto è che nell’attuale stato della legislazione – di quella tributaria in particolare – la presenza di un sufficiente
grado di certezza del diritto non si può assumere a priori, ma dipende dagli
atteggiamenti dei consociati. Nel settore dell’ordinamento tributario, in cui
il coordinamento dell’agire comune è affidato a tecniche autoritative, a garantirne la regolarità, e perciò l’ordine e la stabilità sociali, deve concorrere
l’impegno dell’interprete a «valutare, dovunque possibile, le fattispecie concrete con norme generali preesistenti, anziché caso per caso» 29.
Il tema è allora la desiderabilità di quello che è stato definito un impegno
rigorista, che, a fronte della possibilità che la ricerca dell’interpretazione ot26
A questo livello di scambio, il calcolo di convenienza è in certa misura indipendente
dall’efficienza delle disposizioni applicate, ed è favorito da condizioni di certezza del diritto, che la codificazione è in grado di assicurare: NAPOLITANO, Analisi economica del diritto
pubblico, cit., p. 188 ss.
27
BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1961, p. 101 ss.
28
LUZZATI, La politica della legalità. Il ruolo del giurista nell’età contemporanea, Bologna,
2005, p. 105 ss., ove l’A. presenta quello che definisce l’“impegno normativistico” come
rimedio dell’incertezza del diritto.
29
LUZZATI, op. cit., p. 107.
Gaetano Ragucci
451
tima sia causa di discontinuità pregiudizievoli per la regolarità dell’agire sociale, si esprima anche in un self restraint dell’interprete (che non implica una
rinuncia al rilievo politico della sua funzione, sì una graduazione dei mezzi
in cui esso si esprime). E quando ciò non bastasse a giustificarlo, allora soccorre la possibilità di equi accordi cooperativi, a cui sarebbe però bene provvedere senza compromettere la controllabilità delle condotte delle parti dell’accordo, ampliando ove possibile la possibilità di un controllo giudiziale
sul loro contenuto 30.
3. Due esempi: la prevalenza del diritto europeo sul giudicato; le sentenze della Corte costituzionale che dispongono pro futuro
Ciò detto sulla dimensione teorica del problema della certezza del diritto, per conferire consistenza al discorso occorrerebbe dire come esso si sia
posto, e come sia stato poi risolto nella giurisprudenza tributaria. Anche qui
non potremo che limitarci a brevi spunti, funzionali alla illustrazione dei limiti che il valore della certezza incontra, quando viene a confronto con
istanze concorrenti.
a) Se ci si riferisce alla sentenza, l’esigenza della certezza della vigenza della
regola implica anche l’improponibilità di eccezioni contro il giudicato 31. È
tuttavia un fatto che negli ultimi anni l’intangibilità del giudicato è stata
messa in discussione quando contrasti con regole comunitarie imperative
sopravvenute.
La Corte di Giustizia ha sempre affermato che il diritto dell’Unione non
impone al giudice nazionale di disapplicare le norme interne che attribuiscono forza di giudicato a una sentenza, neppure quando ciò permetterebbe
di porre rimedio a una situazione di contrasto 32.
30
GIANFORMAGGIO, op. cit., pp. 277-278, la quale pone tra le condizioni della certezza,
assunta come prevedibilità dell’esito della decisione giuridica, la presenza di regole generali sull’argomentazione giuridica, che ne assicurino la controllabilità, e nello stesso tempo,
grazie alla sopravvivenza di un certo grado di discrezionalità, l’accettabilità sociale intesa
come conformità al senso comune di giustizia. Rispetto a esse, la precisione della tecnica legislativa, e il controllo democratico e/o gerarchico sugli organi decidenti fungono da metacondizione della certezza.
31
ALLORIO, La certezza del diritto dell’economia, cit., p. 8.
32
Corte Giustizia, sentt. 1° giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss; 16 marzo 2006,
in causa C-234/04 Kapferer; 6 ottobre 2009, in causa C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones; 22 dicembre 2010, in causa C-507/08, Commissione/Slovacchia.
452
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Fanno eccezione le decisioni in cui è stato stabilito che il diritto comunitario osta all’applicazione dell’art. 2909 c.c., nei limiti in cui esso impedisce
il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con esso 33; e quando
impedisce al giudice investito di una causa in materia di IVA di prendere in
considerazione le norme comunitarie in materia di abuso 34: da qui la necessità di una rimeditazione della regola dell’intangibilità del giudicato.
Si ritiene, in tale prospettiva, che quando il giudicato si scontra con una
sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale si verifica
una situazione simile all’introduzione di una legge di interpretazione 35. Si propone quindi di fare valere la dottrina dei controlimiti a fronte di una “interpretazione giudiziale” autentica del diritto europeo, parificabile a uno ius superveniens retroattivo. E se ne deduce che la sentenza della Corte è sottoposta ai
medesimi limiti che questo incontra nei rapporti con il giudicato nazionale 36.
Per la Corte costituzionale, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, il divieto di retroattività della legge non gode nell’ordinamento
dei tributi di tutela privilegiata, sicché il legislatore può emanare norme con
efficacia retroattiva, purché essa trovi adeguata giustificazione nell’esigenza
di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale 37.
Tuttavia, occorre che la retroattività non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti 38, e cioè con «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate
disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei
soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente
riservate al potere giudiziario» 39.
33
Corte Giustizia, sent. 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini.
Corte Giustizia, sent. 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Fall. Olympiclub.
35
CAPONI, Giudicato civile e diritto costituzionale: incontri e scontri, in Giur. it., 2009, p.
2838 ss.
36
DI SERI, Primauté del diritto comunitario e principio di intangibilità della res iudicata
nazionale: un difficile equilibrio, in Giur. it., 2009, p. 2846 ss.
37
Corte cost. n. 78/2012.
38
Corte cost. n. 93/2011 e n. 41/2011.
39
Corte cost. n. 78/2012 e Corte cost. n. 209/2010. Sulla base di tali principi, con sent.
n. 170/2013 la Corte costituzionale italiana ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 23, commi 37, ultimo periodo, e 40, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), conv., con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n.
111, nella parte in cui prevede l’applicazione retroattiva della regola che estende il privilegio previsto per i tributi alle relative sanzioni.
34
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453
Il fondamento della disciplina del giudicato segue le limitazioni che la giurisprudenza ha posto al potere del legislatore di disporre per il passato, ed è
perciò identificabile nei principi di ragionevolezza, eguaglianza, affidamento, indipendenza dei giudici, in una parola nella certezza del diritto 40.
La certezza connessa alla stabilità dei rapporti oggetto dell’accertamento
giudiziario ammette, dunque, deroghe che si aggiungono a quelle già previste dall’ordinamento nazionale (artt. 395, e 404 c.p.c.) 41, ma non cede a
fronte di una generica prevalenza dell’ordinamento europeo su quello nazionale 42. Anche i valori sottesi alle regole del diritto europeo riguardanti il
corretto funzionamento del mercato unico, e l’uniformità del prelievo sui
consumi vanno bilanciati con gli altri valori costituzionalmente protetti che
trovano la sintesi nel principio della certezza del diritto, pena la sua vanificazione 43.
b) Se la regola espressa dall’art. 136 Cost., per cui le norme dichiarate incostituzionali cessano di avere efficacia erga omnes dal giorno successivo alla
pubblicazione della sentenza di accoglimento, concorre alla disciplina dell’efficacia della legge nel tempo 44, allora le sentenze che la Corte costituzionale ha voluto disponessero solo pro futuro entrano in conflitto con l’esigenza della certezza della durata della legge.
È comunemente accettato che la Corte possa graduare gli effetti delle
proprie sentenze; ma se si abbandona il principio che quando una legge è
illegittima lo è dall’origine, la via è aperta a una serie illimitata di variazioni
sul tema.
Nella sent. n. 10/2015 è detto che la regola dell’efficacia retroattiva delle
sentenze della Corte non subisce solo i limiti imposti dalla presenza di “rap40
CAPONI, ibidem.
TESAURO, Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno
incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. it., 2008, p. 1029 ss.
42
Per l’impostazione del problema che si presenta nel processo amministrativo, nei termini di un bilanciamento tra autonomia processuale degli Stati membri e il primato del
diritto UE: FIGLIOLIA, L’intangibilità del giudicato amministrativo e il principio di autonomia
processuale degli Stati: il giudicato a formazione progressiva come soluzione di compromesso
tra il principio di certezza del diritto e l’effettività del diritto europeo, in Riv. it. dir. pubbl.
comp., 2015, p. 925 ss.
43
Su di una recente applicazione della disciplina del giudicato, in materia di recupero
di dazi doganali conseguente all’annullamento di certificati di importazione: BIAVATI, Disapplicazione del giudicato interno per effetto del diritto dell’Unione Europea?, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2014, p. 1567 ss.
44
AMATUCCI, L’efficacia nel tempo della norma tributaria, Milano, 2005, p. 204 ss.
41
454
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porti esauriti”, la cui tenuta è corollario della certezza del diritto 45. Infatti,
«ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità costituzionale
possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente sacrificati» 46.
Su tali presupposti la Corte ha, come noto, compiuto un bilanciamento
dei valori sottesi agli artt. 3 e 53 Cost., quali parametri che avevano condotto alla dichiarazione dell’illegittimità della c.d. Robin Tax, e per i commentatori implicitamente anche all’art. 24 Cost. 47, e al principio del pareggio di
bilancio ricavato dall’art. 81 Cost. 48.
Infatti, «l’impatto macroeconomico» delle restituzioni dei versamenti
eseguiti prima della dichiarazione di illegittimità della norma avrebbe causato uno squilibrio di bilancio di entità tale da rendere necessaria una manovra
finanziaria aggiuntiva. Ne sarebbe potuta derivare una «irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori economici che [potevano] avere invece beneficiato di una congiuntura favorevole», con pregiudizio delle esigenze di solidarietà ed eguaglianza incompatibile con gli
artt. 2 e 3 Cost.
A ciò si sarebbe aggiunta una disparità di trattamento rispetto agli operatori che avevano traslato l’onere del tributo sui consumatori finali, con pregiudizio degli artt. 3 e 53 Cost. Da qui, la limitazione degli effetti della sentenza di accoglimento solo per il futuro, ritenuta più adeguata a una garanzia della Costituzione intesa come un tutto unitario, tale da assicurare «una
tutela sistemica e non frazionata» di tutti i diritti e i principi coinvolti nella
decisione 49.
45
Corte cost. n. 49/1970; Corte cost. n. 26/1969; Corte cost. n. 58/1967; Corte cost.
n. 127/1966.
46
Corte cost. n. 10/2015, punto 7 del diritto. In senso critico si è però osservato: «il
problema del potere della Corte di “modulare” gli effetti nel tempo delle sue pronunce di
accoglimento non riguarda né i rapporti esauriti, che sono impropriamente indicati come
limiti alla retroattività, né le sentenze che accertano illegittimità sopraggiunte o future»
(TESAURO, Gli effetti nel tempo della dichiarazione di illegittimità di norme tributarie e il diritto al rimborso di una imposta dichiarata incostituzionale, in Rass. trib., 2015, p. 1096.
47
PINARDI, Effetti temporali e nesso di pregiudizialità in una decisione di accoglimento ex
nunc, in Giur. it., 2015, p. 1329 ss.
48
Sull’inadeguatezza della regola dell’equilibrio (non pareggio) di bilancio espressa
dall’art. 81 Cost., così come attuato nella L. n. 243/2012, a bilanciare i diritti garantiti dalla
costituzione, con gli effetti che la Corte ne ha ricavato nella sent. n. 10/2015: COCIANI,
L’horror vacui e l’irretroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2015, II, pp. 32-33.
49
Corte cost. n. 264/2012.
Gaetano Ragucci
455
Che, però, una legge incostituzionale possa conservare medio tempore validità in dipendenza da una ponderazione di valori compiuta dalla Corte, implica una involuzione del connotato della certezza della regola di diritto. A
questa stregua, se il gettito di un tributo incide significativamente sull’equilibrio del bilancio la Corte negherà la retroattività, e la concederà invece
per tributi incapaci di questo effetto. Inevitabile chiedersi in che modo
l’interprete potrà prevedere quale dei due regimi sia applicabile al caso che
lo riguarda 50.
Non è difficile riconoscere la linea di continuità che lega gli esempi che si
sono appena indicati. Essi segnalano i limiti e le modalità di compromissione della certezza del diritto sotto due profili che riguardano la vigenza e la
durata della legge.
Inoltre, rendono evidente che è ormai accettata la possibilità che l’esito
del bilanciamento faccia prevalere istanze che vengono dall’ordinamento
europeo, e che riguardano il corretto funzionamento del mercato unico
dal punto di vista della rimozione dei c.d. aiuti di stato, e del funzionamento dell’imposta comune sui consumi (abuso del diritto). E, con esse, istanze provenienti anche dal diritto interno, di equilibrio dei conti pubblici,
riconosciuto come garanzia dei diritti sociali tutelati da un sistema di welfare sostenibile. Ma è del pari evidente che quando il giudice accede a questo genere di valutazioni, la certezza del diritto è messa direttamente in discussione.
L’impressione è tuttavia che, se adeguatamente contestualizzati e circoscritti, i risultati a cui si è pervenuti imboccando queste vie non si prestano a
generalizzazioni in danno al valore della certezza, che in talune applicazioni
pratiche ne viene ridimensionato, ma certamente non espulso da un ordinamento che aspiri a conformarsi al modello di uno Stato di diritto.
50
Il problema segnalato nel testo è una parte del nodo centrale posto dalla sentenza
Corte cost. n. 10/2015, che consiste in questo: che «proiettando solo nel futuro gli effetti
della dichiarazione di incostituzionalità, la Corte ha implicitamente escluso che al legislatore spettassero quei compiti che, in questo genere di situazioni, le altre Corti, invece, necessariamente gli riconoscono» (FRANSONI, Il “dialogo fra le Corti”, e la graduazione degli
effetti delle sentenze sulla costituzionalità dei tributi: problemi e tecniche, in Rass. trib., 2015,
I, p. 1154.
456
DOTTRINA
RTDT - n. 2/2016
4. L’abuso del diritto
Non meno importante di quanto sin qui detto sulle esigenze di certezza
della regola, è la necessità di certezza del comportamento regolato, quindi della
posizione giuridica del soggetto passivo dell’imposta (sia essa da qualificare
come diritto soggettivo, o in altro modo, qui non importa precisare). Il punto è importante, perché può accadere che la certezza guadagnata sui versanti
appena esaminati della vigenza e della durata della legge, sia poi perduta su
quello delle posizioni giuridiche protette.
Assume a questo proposito un valore esemplare – una volta che si attribuisca alla norma una natura sostanziale e non procedimentale 51 – la nuova
disciplina dell’abuso del diritto, contenuta nell’art. 10 bis, L. n. 212/2000,
per la quale danno corpo all’abuso «una o più operazioni prive di sostanza
economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti» 52.
All’ovvia considerazione che con essa sono venuti meno molti problemi
generati dalla clausola di origine giurisprudenziale che la ha preceduta – e
così il problema dell’individuazione della base giuridica del divieto, e della
definizione del suo ambito di applicazione 53 – con parziale guadagno sul
versante della certezza del diritto 54, va tuttavia aggiunto che, ciò non ostante, la nuova disciplina lascia aperta una questione fondamentale.
Infatti, riferito al nesso tra abuso del diritto e giustificazione delle posizioni giuridiche di vantaggio, l’art. 10 bis dello Statuto implica la messa a sistema di una caratteristica che sinora era stata oggetto di discussione soprattutto al di fuori dell’ordinamento tributario. Alludo alla questione se le posizioni giuridiche di vantaggio siano attribuite da disposizioni normative per
uno o più scopi determinati, e cioè per soddisfare uno o più interessi dei
soggetti che ne sono titolari, oppure lo siano per sé stesse, come delimitazione dell’area dell’insindacabile autonomia del contribuente 55.
51
Se mai una distinzione di questo tipo abbia senso, posto che la bidimensionalità delle
norme rappresenta una costante della disciplina dei tributi.
52
Art. 10 bis, comma 1, L. n. 212/2000, introdotto dall’art. 1, D.Lgs. n. 128/2015.
53
BEGHIN, Elusione fiscale e principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013, p. 378 ss.
54
GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo regime del
c.d. adempimento collaborativo, in Dir. prat. trib., 2014, I, p. 948 ss.; e ID., La nuova frontiera
dell’abuso del diritto in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, p. 1315 ss.
55
VELLUZZI, Interpretazione e tributi. Tra dogmatica e prassi, in ALBERTINI-COMINELLIVELLUZZI (a cura di), Fisco, efficienza ed equità, Pisa, 2015, p. 278 ss.
Gaetano Ragucci
457
Da questo punto di vista l’art. 10 bis presuppone che, se la posizione di
vantaggio riconosciuta dalla legge tributaria non è esercitata per realizzare lo
scopo o gli scopi dell’attribuzione, gli effetti che produce possono essere disconosciuti. Infatti, il suo esercizio in maniera conforme alla formulazione
linguistica della norma che la riconosce può rivelarsi contrario al diritto oggettivo, perché non riconducibile alle ragioni dell’attribuzione.
Di fronte a simili eventualità, la capacità dell’enunciato normativo di indicare con sufficiente determinatezza le condotte che sono esercizio della
posizione di vantaggio viene meno. Di contro, intere classi di casi possono
essere sottratte alla disciplina positiva di diretto riferimento a opera di un
interprete qualificato (l’amministrazione; il giudice), per la presenza o l’assenza di uno o più elementi, in ragione di quella che si presenta come una
riduzione teleologica richiesta dall’ordinamento 56.
Al limite, la concezione della posizione giuridica del contribuente sottesa
all’art. 10 bis, L. n. 212/2000 potrebbe influenzare l’interpretazione di qualunque disposizione tributaria, imponendo all’interprete di colmare anche
l’eventuale scarto tra lettera e scopo della legge. V’è dunque il rischio di
un’abnorme dilatazione del concetto di abuso, per la ricorrenza di riduzioni
teleologiche tanto ampie da svuotare di contenuto immediatamente percepibile la posizione giuridica, pur formalmente attribuita dall’ordinamento.
Il risultato è all’apparenza paradossale, se si pensa che l’intervento del legislatore era stato invocato a rimedio della situazione di incertezza generata
dai caratteri della massima giurisprudenziale che lo ha preceduto 57. E, ciò
non di meno, si allinea con ben precise premesse indagate a livello di teoria
generale e di dottrina economica sull’ordine giuridico del mercato, trasferite
nel nostro settore in punto di elaborazione della nozione costituzionale di
tributo 58.
In prospettiva la posta in gioco è, anche qui, la certezza delle posizione
giuridiche di vantaggio del contribuente, e quindi dei comportamenti regolati, pur a fronte di discipline capaci di soddisfare lo stesso canone sotto ogni
altro profilo.
56
VELLUZZI, Interpretazione e tributi, cit., pp. 282-283.
La relazione tecnica allo schema di D.Lgs. n. 128/2015, che ha introdotto la disciplina dell’abuso, fissa infatti l’obiettivo «di conferire “maggiore” stabilità e certezza al sistema
fiscale».
58
GALLO, Nuove espressioni di capacità contributiva, in Rass. trib., 2015, p. 775 ss.
57
458
DOTTRINA
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5. Conclusioni
Per avviare a conclusione – se una conclusione è mai possibile – le considerazioni sin qui fatte su argomenti tanto vasti e articolati, occorrerebbe
esplicitare i parametri costituzionali ai quali l’interpretazione delle leggi tributarie si adegua, e delineare in modo coerente l’idea di tributo che vi è sottesa 59 – ma è compito che non si può affrontare in questa sede, e che neppure mi compete.
Opto per una conclusione meno impegnativa, e mi limito a proporre una
sommaria valutazione dei tre argomenti del giudicato, degli effetti delle sentenze della Corte costituzionale e dell’abuso, secondo i parametri dell’efficienza della regola, e della sua capacità di favorire accordi cooperativi tra le
parti del rapporto regolato. Ne emergeranno differenze forse utili per nuove
riflessioni.
a) La prima osservazione è che la cedevolezza del giudicato nazionale a
fronte di una sentenza resa dalla Corte di Giustizia in sede di rinvio pregiudiziale è neutrale rispetto al parametro valutativo dell’efficienza, perché le
materie nelle quali è stato ammesso (rimozione degli aiuti di stato; funzionamento dell’imposta comune sugli scambi; equilibrio dei conti pubblici)
riguardano la stabilità dell’assetto di istituzioni (nazionali e sovranazionali),
al cui interno l’accordo tra gli operatori è salvaguardato. Una volta equiparata la sentenza della Corte europea a una legge interpretativa sopravvenuta,
la resistenza del giudicato rappresenterebbe un costo, che ne pregiudica l’efficienza.
Guardata dal punto di vista della capacità di provocare accordi collaborativi, la regola della cedevolezza è pure neutrale, ma per ragioni diverse a seconda che la si applichi al giudicato nazionale interno o esterno: nel primo
caso, perché la sentenza della Corte si limita a inibirne determinati effetti,
lasciando intatto l’accertamento giudiziale, in relazione al quale l’accordo
collaborativo può manifestare una utilità residua; nel secondo, perché la sentenza della Corte è tra gli elementi che del calcolo dei costi e dei benefici della
promozione del giudizio in cui il giudicato è destinato a non valere, concorre
quindi all’apprezzamento dell’opportunità di concludere un accordo collaborativo.
Diverso il giudizio sugli altri due casi, che mi sembrano da valutare negativamente con riguardo a entrambi i parametri evocati.
59
VELLUZZI, Interpretazione e tributi, cit., p. 288.
Gaetano Ragucci
459
b) La disposizione contraria alla Costituzione è un esempio di regola inefficiente, perché capace di sollevare il più alto tasso di resistenza da parte degli operatori che sia dato immaginare. L’accordo che la ha prodotta non può
aspirare alla protezione dell’ordinamento, e il processo di espulsione è causa
di costi che sono a esclusivo danno della collettività. Che la legge conservi la
propria efficacia medio tempore, e cioè nel lasso di tempo che corre tra l’entrata in vigore e la sentenza della Corte che ne ha dichiarato l’illegittimità,
non elimina tali costi, ma li distribuisce secondo valutazioni di politica fiscale riservate al legislatore.
Sotto l’altro aspetto, tra le conseguenze della limitazione pro futuro degli
effetti delle sentenze di accoglimento v’è che queste non incidono nel procedimento in cui la questione è sorta, e ciò (oltre a essere una lesione del diritto della difesa, anzi proprio per questo) rappresenta un disincentivo al ricorso a rimedi giuridici per la correzione di una situazione di ingiustizia che
l’ordinamento non approva, con quali ricadute sull’affidamento del contribuente si può solo immaginare.
c) Quanto alla disciplina dell’abuso, occorre riconoscere che la riduzione
teleologica della regola attributiva della posizione giuridica di vantaggio non
è causa di inefficienza, nella misura in cui la sua interpretazione si fondi sull’argomento storico, e abbia perciò riguardo all’intenzione degli autori della
legge chiaramente espressa. Lo diviene, in presenza di interpretazioni di ordine sistematico o teleologico, che possono condurre allo svuotamento del
precetto di cui si assuma l’abuso, in favore dell’ampliamento delle possibilità
di arbitrio da parte dell’interprete.
Invece la sua capacità di favorire accordi cooperativi è inversamente proporzionale allo scarto tra l’elenco delle condotte comprese nella definizione
letterale della fattispecie, e l’elenco delle condotte che, oltre a ciò, soddisfano anche l’interesse che la regola si propone di tutelare. Come dire che, in situazioni limite, la massima efficienza può convertirsi nella minima compliance
tra le parti del rapporto regolato. Con questo genere di interventi si pongono le migliori premesse del fallimento della politica di collaborazione tra le
parti del rapporto tributario, e in prospettiva all’azione di contrasto della piaga dell’evasione.
Si tratta di aspetti che non pare utile trascurare, e che orientano l’interpretazione della legge verso un assetto connotato da una stabilità del dato
normativo, anche in un contesto in cui la perdita del legame con l’etica del
legislatore sia compensata da un’acquisita consapevolezza della peculiare dimensione politica ed economica del ruolo del giurista.
460
DOTTRINA
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GIURISPRUDENZA
SOMMARIO:
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna, con nota di
P. Batalocco, Note in tema di pericolosità fiscale dei finanziamenti infruttiferi “anomali” dei soci nelle società di capitali a ristretta base proprietaria
(Remarks on the fiscal dangerousness of shareholders’ “anomalous” interest-free
loans in capital companies with a narrow shareholder base)
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano, Rel. Manzon, con nota di M. Gambarati, In tema di confisca del profitto per reati
tributari commessi dal legale rappresentante della persona giuridica (On the
confiscation of the profit for tax crimes committed by the company’s legal representative)
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio, con nota di A.
Kostner, La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo grado in
cui è parte il concessionario della riscossione: l’intervento della Corte costituzionale (The territorial jurisdiction on tax disputes at first instance in which
the tax collection is part: the intervention of the constitutional Court)
462
GIURISPRUDENZA
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Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764 – Pres. Virgilio, Rel. Cigna
Finanziamenti infruttiferi “anomali” – Serie di elementi indiziali attestanti l’antieconomicità del comportamento del contribuente – Sussistono – Presunzioni
gravi, precise e concordanti – Sussistono – Accertamento analitico-induttivo –
Consegue – Disponibilità liquide dei soci emergenti dal prospetto dei redditi –
Non rilevano
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto non dimostrata l’infondatezza,
ai fini dell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973, dell’iter inferenziale seguito dall’Amministrazione sostanziantesi nel desumere da una serie di elementi indiziali attestanti l’antieconomicità della condotta del contribuente la fittizietà dei finanziamenti infruttiferi erogati dai soci, ritenuti un espediente contabile per dissimulare ricavi occulti.
La Suprema Corte ha, inter alia, rilevato che la dimostrazione, tramite il prospetto
dei redditi, di una ingente capacità di spesa dei soci non è di per sé sufficiente a dimostrare l’effettività di un finanziamento infruttifero, in quanto fatto solo potenzialmente
idoneo a giustificarlo.
(Omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La I. srl in liquidazione, esercente attività di “gestione di campeggi ed aree attrezzate
per roulottes”, ha impugnato dinanzi alla CTP di Roma gli avvisi di accertamento con i
quali era stata evidenziata, ai fini IRPEG ed ILOR, l’omessa contabilizzazione di ricavi
per il 1995 e per il 1996.
L’adita CTP ha accolto il ricorso.
Con sentenza depositata l’8-5-07 la CTR Lazio ha rigettato l’appello dell’Ufficio;
in particolare la CTR ha dapprima rilevato che l’accertamento in questione era fondato essenzialmente sulla supposta esistenza di un gruppo di società, nelle quali figuravano soggetti legati da vincoli di parentela (componenti la famiglia F.), che, tramite lo
strumento dei “finanziamenti infruttiferi dei soci” (dei quali non era stata data alcuna
giustificazione), mascheravano l’evasione fiscale conseguente ai ricavi in nero dell’insieme delle attività turistico-alberghiere dello stesso gruppo; ciò precisato, la CTR ha
poi ritenuto che dette supposizioni non erano suffragate da elementi concreti e riscontri tali da giustificare – D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) – l’impugnato
accertamento induttivo; nello specifico ha evidenziato:
che, in ordine all’ipotesi della sussistenza di gruppo di società riconducibili alla famiglia F., non era stato provato che tra le stesse società esistessero rapporti di parteci-
464
RTDT - n. 2/2016
GIURISPRUDENZA
pazione incrociata (o sopra ordinata) né commistioni di cariche sociali né sedi o uffici
in comune; al riguardo, in particolare, ha precisato che le società gestivano le strutture
ricettive in Regioni differenti e svolgevano attività parzialmente diverse e che la società
(F.) proprietaria delle strutture turistiche gestite dalla contribuente era partecipata
dalla famiglia F. solo in misura minoritaria;
che, in ordine ai riscontrati finanziamenti dei soci, era stato dimostrato, tramite il
prospetto dei redditi dagli stessi soci dichiarati negli anni 1993 e 1994, che la loro capacità di spesa era tale da poter giustificare quanto rilevato dai verbalizzanti a titolo di
finanziamento;
che, in ordine all’omessa registrazione e dichiarazione dei compensi percepiti, la
mancata registrazione in contabilità generale delle caparre ricevute dai clienti all’atto
della prenotazione del soggiorno rilevava solo quale irregolare tenuta della contabilità;
dette caparre, infatti, costituendo una partita debitoria nei confronti dei clienti (da
restituire o sottrarre), non potevano considerarsi reddito da recuperare a tassazione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato a cinque motivi ed illustrato anche da successiva memoria ex art. 378 c.p.c.; ha resistito la
contribuente, che ha proposto anche ricorso incidentale, affidato ad un motivo.
IN DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 –
omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, ha sostenuto che, nonostante in appello fossero state evidenziate numerose circostanze ed elementi dai quali desumere che i “finanziamenti infruttiferi dei soci” costituissero in realtà “ricavi in nero”, la CTR si era limitata a confutare solo alcuni di essi
(esistenza gruppo imprenditoriale; adeguatezza capacità economica dei soci finanziatori, mancata registrazione delle caparre), senza procedere ad una valutazione comparativa tra gli elementi addotti dalla contribuente e quelli proposti dall’Ufficio.
Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 –
omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio,
ha sostenuto che l’assunto della CTR circa l’inesistenza di un “gruppo” di società riconducibile alla famiglia F. era palesemente smentito dalle contrarie risultanze del p.v.c.
Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma
1, lett. d), ha sostenuto che la CTR aveva violato il criterio dell’onere probatorio, in
quanto, non ritenendo sufficiente la prova presuntiva richiesta dalla detta norma, aveva accollato all’Ufficio una prova piena dell’esistenza di attività non dichiarate; nello
specifico la CTR non aveva considerato che, a fronte di quanto evidenziato nel pvc (e,
in particolare, a fronte della registrazione – tra le entrate di cassa di tutte le società del
gruppo – di ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, con relativa restituzione effettuata in parte su c/c intestati ai soci e in parte in contanti, non-
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
465
ché della mancanza di prova dell’effettività degli apporti dei soci), gravava poi sul contribuente l’onere di indicare e provare la sussistenza di fatti idonei a giustificare l’antieconomicità del detto comportamento della contribuente.
Con il quarto motivo di ricorso l’Agenzia, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 –
omessa o insufficiente motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, ha sostenuto, in subordine, che la CTR non aveva motivato su alcune circostanze
del tutto autonome rispetto alla sussistenza del gruppo imprenditoriale ed alla mancata registrazione delle caparre; nello specifico, non aveva valutato il meccanismo di pagamento ai fornitori e l’utilizzo dei fondi cassa, elementi idonei di per sé ad avallare la
sussistenza di attività non dichiarate.
I primi tre motivi di ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto tra
loro connessi, sono fondati, con assorbimento del quarto, formulato solo in via subordinata.
Con riferimento, in primo luogo, all’affermata carenza di prova in ordine alla sussistenza di un “gruppo di società riconducibile alla famiglia F.”, la CTR ha ritenuto non
provati i supposti “rapporti di partecipazione incrociata o sopra ordinata” e le supposte “commistioni tra le cariche sociali”
(Omissis)
Con riferimento, poi, ai “finanziamenti infruttiferi dei soci”, ritenuti dall’Ufficio ricavi in nero, la CTR si è limitata a sostenere che era stato dimostrato, tramite il prospetto dei redditi, che la capacità di spesa dei soci negli anni 1993 e 1994 era tale da
poter giustificare quanto rilevato dai verbalizzanti a titolo di finanziamento; siffatta argomentazione appare assolutamente insufficiente, non potendosi di per sé desumere
l’effettività di un finanziamento infruttifero solo dalla affermata capacità di spesa (e quindi da un fatto solo potenzialmente idoneo allo stesso), non bastando la asserita disponibilità di liquidità a dimostrare l’effettività del finanziamento; tanto, in specie, considerando che, a fronte del fatto che tra le entrate di cassa di tutte le società del gruppo
erano registrate ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, non
era stata individuata alcuna prova concreta dell’effettività degli apporti e della provenienza delle somme versate.
(Omissis)
In conclusione, quindi, vanno accolti i primi tre motivi di ricorso principale, con
assorbimento del quarto; va, invece, rigettato il ricorso incidentale; per l’effetto va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio, per nuova valutazione alla CTR Lazio, diversa
composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente
giudizio di legittimità.
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GIURISPRUDENZA
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Note in tema di pericolosità fiscale
dei finanziamenti infruttiferi “anomali” dei soci nelle società
di capitali a ristretta base proprietaria
Remarks on the fiscal dangerousness of shareholders’ “anomalous”
interest-free loans in capital companies with a narrow shareholder base
Abstract
Il finanziamento infruttifero dei soci rappresenta una pratica a cui le società a ristretta base azionaria spesso ricorrono per sopperire a fasi transeunti di illiquidità. L’effettuazione di finanziamenti infruttiferi da parte dei soci può, tuttavia,
rappresentare per l’Amministrazione finanziaria un segnale di pericolosità fiscale
se vengono riscontrate delle anomalie. In particolare, l’Amministrazione, qualora
riscontri che tali finanziamenti costituiscono una condotta antieconomica (ad
esempio, perché ingenti e reiterati, a fronte di una gestione aziendale improduttiva) e che i soci non sono in grado di giustificarne la provenienza, anche alla luce
delle loro disponibilità, potrebbe ritenere inattendibile la contabilità e procedere
ad un accertamento induttivo, presumendo che i finanziamenti costituiscano, in
realtà, ricavi non dichiarati. L’Amministrazione potrebbe contestare, inoltre, una
distribuzione di utili occulti, dissimulata tramite la successiva restituzione dei finanziamenti. Nella sentenza che si annota, la Corte di Cassazione ha censurato
per vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e per vizio di violazione
di legge, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., le sentenze di merito con cui i Giudici
tributari non avevano riconosciuto validità ad un siffatto ragionamento inferenziale dell’Ufficio.
Parole chiave: presunzione, antieconomicità, finanziamenti infruttiferi “anomali”, ricavi non dichiarati, distribuzione occulta di utili
During periods of cash flow shortage, shareholders’ interest-free loans represent a very
common practice in companies with a narrow shareholder base. Interest-free loans
from shareholders may, nevertheless be interpreted by Tax Authorities as a practice of
tax evasion in presence of certain anomalies. In particular, should the Tax Authorities
find out that these loans are anti-economic (e.g. because significant and repeated, in
case of a unproductive business management) and that shareholders are not able to
justify their origin, also in the light of their assets, they may consider that the accounting books are unreliable and carry out a presumptive assessment, assuming that the
loans are de facto undeclared income. The Tax Authorities may also assess a hidden
profit distribution made through subsequent refund of the loans. In the commented
decision, the Italian Supreme Court argued a lack of reasoning, according to Art. 360,
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
467
para. 1, no. 5, a violation of law, according to Art. 360, para. 1, no. 3, criminal
procedural code, of the decisions issued by lower Tax Courts, which did not considered
valid a similar presumptive assessment made by the Tax Authorities.
Keywords: presumption, anti-economic behavior, “anomalous” interest-free loans,
undeclared income, hidden profit distribution
SOMMARIO:
1. Il caso di specie e il complesso iter accertativo seguito dall’Agenzia delle Entrate. – 2. I finanziamenti infruttiferi dei soci: tra esigenze di liquidità e intenti simulatori. – 3. La prova presuntiva della simulazione del finanziamento. – 3.1. L’antieconomicità dei finanziamenti infruttiferi.
Un’ulteriore sfumatura del concetto “standard” di antieconomicità? – 3.2. L’accertamento della fonte dei finanziamenti. – 4. La “riqualificazione” della restituzione dei finanziamenti in distribuzione di dividendi. Richiamo alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili nelle società a ristretta base proprietaria. – 5. Osservazioni conclusive.
1. Il caso di specie e il complesso iter accertativo seguito dall’Agenzia delle Entrate
La controversia posta all’attenzione del Supremo Collegio ha ad oggetto un accertamento analitico-induttivo a carico di una società a ristretta compagine sociale,
considerata dall’Amministrazione parte di un gruppo di società gestito da un medesimo nucleo familiare.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver rilevato l’esistenza di un gruppo
imprenditoriale, supponeva che gli ingenti finanziamenti infruttiferi risultanti dalle
scritture contabili di ognuna delle società «collegate», non derivassero dal patrimonio personale dei soci ma “mascherassero” i ricavi extracontabili conseguiti da alcune
delle citate società (tra cui la società destinataria della sentenza in commento) e che,
di conseguenza, la loro restituzione ai soci dissimulasse una distribuzione di dividendi occulti. A supporto della propria tesi, l’Amministrazione adduceva una complessa serie di elementi indiziali, tra i quali, in particolare, il fatto che tra le disponibilità numerarie di tutte le società del presunto gruppo erano riscontrabili notevoli importi a titolo di finanziamenti infruttiferi dei soci, i quali venivano in tempi brevi restituiti, in parte tramite un conto corrente bancario ed in parte in contanti – il che
denotava una condotta antieconomica del contribuente – e che la società in giudizio
non aveva fatturato compensi direttamente riconducibili all’attività svolta.
Tali elementi integravano, ad avviso dell’Agenzia, i requisiti di gravità, precisione e concordanza ed erano, pertanto, idonei a fondare un accertamento analitico-induttivo ai sensi art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale, tutta-
468
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
via, non aveva fornito valida dimostrazione né dell’effettività né della provenienza
dei finanziamenti.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, adita in appello dalla società,
annullava l’avviso di accertamento ritenendo che non poteva ritenersi provato il
collegamento tra tutte le società considerate parte di uno stesso gruppo, e che, con
specifico riferimento alla società in giudizio, la capacità di spesa dei soci era tale da
poter giustificare i finanziamenti infruttiferi mentre l’omessa registrazione e dichiarazione dei compensi percepiti rilevava soltanto come irregolare tenuta della
contabilità.
L’Agenzia delle Entrate ricorreva, quindi, dinanzi alla Suprema Corte, eccependo, inter alia, il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., atteso
che i Giudici tributari si sarebbero limitati a confutare soltanto alcuni dei molteplici
elementi evidenziati in appello (in particolare, l’esistenza di un gruppo imprenditoriale, l’adeguatezza della capacità economica dei soci finanziatori e la mancata iscrizione in contabilità dei compensi) ed il vizio di violazione e falsa applicazione degli
artt. 2697 c.c. e 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, in quanto i Giudici, non
ritenendo sufficiente la prova presuntiva ma richiedendo una prova diretta
dell’esistenza di attività non dichiarate, avrebbero violato il criterio dell’onere probatorio, come previsto in caso di accertamento analitico-induttivo. L’Agenzia, inoltre,
deduceva, in subordine, un vizio di motivazione relativamente al fatto che la Commissione non aveva motivato in relazione ad altre circostanze quali il «meccanismo
di pagamento ai fornitori» e «l’utilizzo del fondo cassa», le quali sarebbero state
idonee di per sé ad avallare la sussistenza di attività non dichiarate.
La Suprema Corte, accogliendo i sopra citati rilevi dell’Amministrazione, oltre
a non ritenere provata l’inesistenza del gruppo di società ha considerato insufficienti le argomentazioni della Commissione tributaria regionale, fondate sul fatto
che la capacità di spesa dei soci negli anni in contestazione fossero di entità tale da
giustificare i finanziamenti, «non potendosi di per sé desumere l’effettività di un
finanziamento infruttifero solo dalla affermata capacità di spesa (e quindi da un fatto
solo potenzialmente idoneo allo stesso), non bastando la asserita disponibilità di
liquidità a dimostrare l’effettività del finanziamento; tanto, in specie, considerando
che, a fronte del fatto che tra le entrate di cassa di tutte le società del gruppo erano
registrate ingenti somme riconducibili a “finanziamenti infruttiferi dei soci”, non
era stata individuata alcuna prova concreta dell’effettività degli apporti e della provenienza delle somme versate».
2. I finanziamenti infruttiferi dei soci: tra esigenze di liquidità e intenti simulatori
Nelle società di capitali, in particolar modo quelle a ristretta base proprietaria, è
prassi diffusa l’apporto da parte dei soci di mezzi finanziari a titolo di capitale di
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
469
debito, al fine di favorire il perseguimento dell’oggetto sociale ovvero la continuazione dell’attività in una situazione di sottocapitalizzazione 1. Il finanziamento del
socio rappresenta uno strumento flessibile per gestire la dotazione finanziaria dell’impresa e può favorire anche la soluzione di uno stato di crisi. Infatti, la possibilità
di ottenere il credito dai propri soci risulta più conveniente per la società con riferimento sia ai tempi sia ai costi dell’operazione, rispetto al ricorso al credito bancario 2.
L’apporto di mezzi finanziari da parte dei soci può assumere la forma di finanziamento infruttifero ovvero di un versamento effettuato da parte dei soci nei confronti della società a titolo di «mutuo senza interessi» 3, avente la finalità di sopperire a necessità finanziarie della società dovute a temporanea mancanza di liquidità. Tali finanziamenti, infatti, «sono diretti a consentire il superamento di fasi
(presumibilmente transeunti) di illiquidità finanziaria e quindi, generando un debito da restituzione, non arrecano alcun beneficio all’equilibrio patrimoniale della
società, poiché all’incremento delle disponibilità di cassa o alla diminuzione dei debiti verso terzi corrisponde un aumento almeno pari dell’indebitamento della società verso i soci» e si differenziano dalle operazioni a fondo perduto «comunque
denominate ... [le quali] ... hanno come scopo ed effetto quello di incrementare
patrimonialmente la società (mediante l’aumento dell’attivo o mediante l’abbattimento di perdite)» 4. La loro dimensione “fisiologica” si sostanzia nella «mera valutazione, in termini di opportunità finanziaria, di ricorrere all’indebitamento ... [in-
1
V. ABRIANI, Finanziamenti anomali dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, in AA.VV., Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da Benazzo-Cera-Patriarca, Torino, 2011, pp. 2-3, secondo cui: «La partecipazione “finanziaria” dei soci alle società di capitali non si
esaurisce nei soli conferimenti: è infatti fenomeno capillarmente diffuso in tutte le società di capitali il
ricorso a forme di interventi “anomali” di cui costituiscono espressione di punta la prassi, da un lato, dei
versamenti effettuati a copertura di perdite ... o in conto aumento di capitale e, dall’altro, dei finanziamenti dei soci. Si tratta per lo più di operazioni legate all’endemica sottocapitalizzazione nominale delle società e quindi praticate soprattutto in quelle medio-piccole: sottocapitalizzazione cui esse mirano a
sopperire, con modalità e in frangenti diversi, attraverso nuova liquidità, sul primo versante, ovvero
mediante una sorta di capitalizzazione, o ricapitalizzazione, sostanziale, sul secondo». Per un’analisi
dei riscontri sia civilistici che fiscali, v. FICARI, Il finanziamento della società: conferimenti, indebitamento
ed altri «strumenti», in FICARI-GIAMPAOLINO, Profili fallimentari e tributari, in Trattato delle società a
responsabilità limitata, diretto da Ibba-Marasà, VIII, Padova, 2012, p. 167 ss.
2
La giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’ammissibilità e la legittimità di finanziamenti in
forma di mutuo del socio alla società. V. Trib. Milano, 5 dicembre 1988, in Riv. dir. comm., 1990, II,
75 ss. Analogo riconoscimento discende implicitamente dall’assenza nel codice di una disposizione
che richieda alla società una dotazione patrimoniale adeguata rispetto all’attività indicata nell’oggetto sociale. Così, ASSONIME, Il finanziamento della società a responsabilità limitata, Circolare 17 luglio
2007, n. 40, p. 3.
3
GALGANO, Trattato di diritto civile2, IV, Padova, 2011, p. 514. V. TANTINI, I versamenti in conto
capitale tra conferimenti e prestiti, Milano, 1990, p. 2 ss.; FERRO-LUZZI, I versamenti in conto capitale, in
Giur. comm., 1981, II, p. 895 ss.
4
App. Roma, 17 agosto 2005, in Riv. not., 2007, p. 422.
470
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
terno] ... anziché nei confronti dei terzi, al fine di soddisfare le ordinarie esigenze di
liquidità che si manifestano nell’ambito di una gestione aziendale produttiva evitando l’aggravio degli interessi passivi sul risultato d’esercizio» 5. In tale contesto, i finanziamenti rappresentano per i soci non «una forma di investimento in vista di una
remunerazione sotto forma di interessi», bensì «un momento attuativo del rapporto sociale». Ciò in quanto «lo scopo precipuo che i soci perseguono con il finanziamento infruttifero non è, di solito, quello di un “impiego di capitale” per ritrarne
dei frutti: l’intendimento è invece quello di sovvenzionare la società partecipata, nella stessa logica dei “conferimenti atipici”, erogando somme che però si preferisce inquadrare nello schema del finanziamento (mutuo), e che potranno così essere più
facilmente restituite al socio non appena la società sarà in grado di farlo» 6.
Sussiste, tuttavia, anche una dimensione “patologica” di tali finanziamenti in
quanto il ricorso agli stessi potrebbe supportare condotte illecite, rappresentando
il veicolo formale per celare violazioni sia della normativa civile che della normativa tributaria. Ciò anche in considerazione della prassi, diffusa soprattutto nelle società a ristretta base azionaria, di non qualificare in maniera puntuale i versamenti
in denaro dei soci 7.
L’utilizzo di una terminologia equivoca 8 potrebbe, ad esempio, essere volto a
celare la reale natura degli apporti dei soci (effettuati a titolo di capitale di rischio
piuttosto che a titolo di credito). In simili situazioni di incertezza – spesso emerse
in sede fallimentare – la giurisprudenza è stata chiamata ad individuare la disciplina
applicabile agli apporti effettuati dai soci. Il rischio collegato all’aumento degli apporti da parte dei soci a titolo di capitale di debito è che la società venga a trovarsi in
una situazione di sottocapitalizzazione, comportando l’alterazione dell’equilibrio
5
Come, infatti, rilevato, «La scelta del finanziamento soci infruttifero risulterebbe “fisiologica”
ed ortodossa in termini contabili-aziendalistici ... se fosse riconducibile alla mera valutazione, in termini di opportunità finanziaria, di ricorrere all’indebitamento ... [interno] ... anziché nei confronti dei
terzi, al fine di soddisfare le ordinarie esigenze di liquidità che si manifestano nell’ambito di una gestione aziendale produttiva evitando l’aggravio degli interessi passivi sul risultato d’esercizio». Così,
AGENZIA DELLE ENTRATE, Risoluzione 24 ottobre 2002, n. 331/E.
6
Così, STEVANATO, Presunzione di fruttuosità dei mutui, indici di ricchezza e finanziamenti erogati
dai soci, in Dialoghi trib., 2010, p. 309.
7
V. RUBINO DE RITIS, I versamenti «non titolati» dei soci, in Giur. merito, 2010, p. 1021. Sul punto, FRANCARDO, Concorso tra soci finanziatori e terzi creditori della società in sede di liquidazione fallimentare (Nota a Trib. Chiavari, 19 aprile 1995), in Giur. comm., 1996, p. 421, ravvisa che nella prassi
delle società a ristretta base azionaria, non è sempre agevole identificare il regime giuridico degli
apporti dei soci, infatti, «soprattutto nelle società sottocapitalizzate e a ristretta base azionaria è
prassi diffusa da parte dei soci effettuare versamenti di somme di denaro nelle casse sociali al di fuori
di ogni schema giuridico tipico ... Si assiste in tal modo alla costituzione di disponibilità liquide anche molo ingenti, la cui natura contrattuale viene spesso volutamente lasciata non chiara».
8
BRODASCA, Copertura di perdite tramite versamenti in conto capitale. Commento a Trib. Genova
12 febbraio 2002, in Società, 2003, p. 619.
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
471
nella ripartizione dei rischi d’impresa tra soci e creditori. Sul punto, come noto, il
legislatore è intervenuto con l’art. 2467 c.c., al fine di contrastare l’eventuale intento
elusivo di coloro che celano sotto forma di crediti apporti di capitale di rischio e di
rafforzare la tutela dei creditori, scoraggiando altresì il fenomeno della sottocapitalizzazione societaria 9. In particolare, l’art. 2467 c.c., pur senza prevedere alcuna riqualificazione coattiva dell’apporto in capitale di rischio 10, dispone che il rimborso
del credito del socio che ha finanziato in modo anomalo la società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori non ugualmente postergati e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, deve essere restituito 11.
Potrebbe anche accadere che l’operazione di finanziamento non sia nella realtà
mai avvenuta e sia stata utilizzata unicamente per dare copertura formale ad una
gestione extracontabile degli utili da parte della società. In tal caso, l’assenza di chiarezza nella formulazione degli atti societari troverebbe giustificazione nell’illiceità
dell’operazione, con il formarsi di una falsa posta in bilancio là dove si voglia mascherare l’ingresso di c.d. “fondi al nero” (ad esempio, prestazioni pervenute alla
società senza fatturazione da parte di quest’ultima) con una generica quanto oscura voce “finanziamenti dei soci”. Come rilevato «attraverso la simulazione di un
contratto di mutuo, in realtà mai stipulato, si può far risultare una provenienza le9
Sul punto, v., per tutti, PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in AA.VV.,
Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, Torino, 2004. V. anche CAMPOBASSO,
Finanziamenti del socio, in Banca, borsa e tit. cred., 2008, I, p. 441.
10
In questo senso, ex multis, CAMPOBASSO, op. ult. cit., p. 450; poi anche in ID., Sub art. 2467. La
postergazione dei finanziamenti dei soci, in AA.VV., S.r.l. Commentario. Dedicato a Giuseppe B. Portale,
a cura di Dolmetta-Presti, Milano, 2011, p. 249; ZANARONE, Della società a responsabilità limitata, in
Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, p. 463 ss.;
CALDERAZZI, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, Milano, 2012, p. 32 ss. E già TANTINI, I
versamenti dei soci alla società, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, I,
Torino, 2004, p. 798; MAUGERI, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di
capitali, Milano, 2005, p. 260. Contra, Trib. Monza, 13 novembre 2003, in Società, 2004, p. 746 ss.,
con nota di COLAVOLPE, Sottocapitalizzazione «nominale» e «riqualificazione» forzata dei prestiti dei
soci alla società in apporti di «capitali di rischio». In relazione al problema della “riqualificazione”,
con ampio esame delle esperienze straniere, v. PORTALE, I «finanziamenti» dei soci nelle società di
capitali, in Banca, borsa e tit. cred., 2003, I, p. 663 ss., al quale si rimanda per ulteriori riferimenti.
11
In particolare, la disposizione citata effettua una distinzione tra due categorie di finanziamento: da una parte, quelli effettuati in situazioni fisiologiche, in cui tra le possibili alternative di finanziamento cui può accedere la società vi è il prestito dei soci; dall’altra parte, il finanziamento soci
che, in realtà, per la situazione in cui versa la società, assolve una funzione di sostegno patrimoniale
per la società, onde la causa del finanziamento è individuabile nel rapporto sociale, e non in un generico rapporto di rapporto di credito: solo questo finanziamento riceve il trattamento della postergazione, rispetto ad altri crediti di terzi creditori, nell’ambito di una procedura concorsuale o di una
liquidazione volontaria. Così Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Giur. it., 2007, p. 2500 ss., con nota di
CAGNASSO, Prime prese di posizione giurisprudenziali in tema di finanziamenti dei soci di società a responsabilità limitata. Sul punto, si rinvia all’ampia letteratura sviluppata in materia. Ex multis, ABRIANI, op. cit.; ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, 2006; MAUGERI, op. cit.
472
GIURISPRUDENZA
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gittima ad importi pervenuti alla società a seguito di operazioni “al nero”. Si possono, infatti, etichettare nelle scritture contabili i proventi gestiti in maniera extracontabile come “finanziamenti soci infruttiferi” solo per consentire il successivo prelevamento da parte dei soci e, dunque, una distribuzione “mascherata” di utili» 12.
Emblematica al riguardo si pone una risalente sentenza di merito, la quale ha affrontato il problema civilistico della qualificazione dei versamenti dei soci di una società a ristretta base azionaria 13. In particolare, il Tribunale confermava l’operato di
un Giudice delegato che, nell’ambito del processo di verificazione dei crediti di una
società fallita, aveva rilevato la non veridicità del bilancio e, così, aveva escluso dallo
stato del passivo un socio, che chiedeva la restituzione di un credito qualificato negli
atti sociali come finanziamento soci 14. La non attendibilità delle scritture contabili
derivava dal fatto che gli asseriti finanziamenti infruttiferi dei soci (appostati in bilancio come tali) sarebbero stati, in realtà, «utili non dichiarati, “neri”, che la società faceva riemergere nella contabilità sotto tale voce fittizia». Pertanto, i soci non avrebbero effettuato «alcun versamento nelle casse sociali, in quanto gli importi “etichettati”
come finanziamento soci infruttifero erano invece utili gestiti dalla società in maniera
extracontabile, di cui la società stessa non risulta abbia mai deliberato l’attribuzione ai
soci; si ... [sarebbe trattato] ... quindi di denaro che non è mai uscito dalle casse sociali
per entrare nel patrimonio personale dei soci e che per delibera assembleare dei soci
stessi è entrato invece a far parte, automaticamente, sia pure sotto la falsa dicitura del
finanziamento soci, del patrimonio netto della società con la conseguenza che il diritto dei soci sullo stesso è il medesimo che essi hanno sul capitale sociale». I soci
avrebbero dovuto provare «proprio in considerazione della non affidabilità dei bilanci e della contabilità della società fallita, ... la provenienza di tale denaro ... da un proprio conto personale e ciò a dimostrazione del fatto che non si trattava di utili di esercizio non ripartiti e gestiti extracontabilmente dalla società».
Una simile fattispecie esplica, come ovvio, conseguenze anche sul piano tributario ed è spesso rilevata dall’Amministrazione finanziaria: sussiste, infatti, una diffusa
prassi accertativa secondo la quale, nel caso vengano riscontrati nella contabilità
aziendale finanziamenti dei soci “anomali” – sia per l’ingente ammontare, sia per la
modalità (ad esempio, in contanti) e la tempistica di erogazione (ad esempio, in si12
RUBINO DE RITIS, op. cit., p. 1022.
Trib. Chiavari, 19 aprile 1995, in Giur. comm., 1996, II, p. 421 ss., con nota di FRANCARDO, op. cit.
14
In sede di opposizione, il Tribunale confermava l’esclusione, ritenendo anzitutto irrilevante la
qualificazione attribuita dai soci e dalla società ai versamenti effettuati a favore di quest’ultima ed inoltre perché dagli atti sociali non emergevano univoche indicazioni oggettive che consentissero di ricondurre i versamenti nell’ambito della disciplina del mutuo o, comunque, indizi circa la natura del negozio intercorso tra la società ed i soci stessi. E così, anche in assenza di una formale procedura di aumento o ricostituzione di capitale, il collegio ha ritenuto di qualificare la fattispecie come vero e proprio
investimento di rischio collegato alla intera soddisfazione dei creditori sociali ammessi al passivo.
13
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
473
stematica prossimità dei pagamenti aziendali, il che fa presumere che siano funzionali a ricostruire contabilmente il c.d. conto cassa 15) – ovvero in contrasto con reali
esigenze operative e di convenienza reddituale, l’Amministrazione procede con il
disconoscimento della qualificazione contabile dell’operazione (finanziamento infruttifero) deducendo una diversa natura della stessa (ricavo extracontabile).
Ne deriva che, nel caso in cui avvenga la successiva restituzione dei finanziamenti
infruttiferi ai soci, essa venga considerata un tramite per dissimulare una distribuzione di utili occulta, con possibili conseguenze accertative in capo alla società e ai soci.
Si tratta di una prassi che ha, in diverse occasioni, trovato riscontro nella giurisprudenza di legittimità, la quale, tuttavia, non è mai arrivata a concepire principi
di diritto al riguardo. La sentenza in commento si inserisce, dunque, in questo filone giurisprudenziale.
3. La prova presuntiva della simulazione del finanziamento
Come emerge dalla trattazione del caso di specie, l’Amministrazione contesta
la simulazione 16 dei finanziamenti infruttiferi nell’ambito della procedura accertativa analitico-induttiva.
15
Il “conto cassa” è un componente del libro mastro, sul quale vengono rilevate le entrate e le
uscite di denaro contante. Per sua natura il conto cassa non può essere rappresentato contabilmente
con un valore inferiore a zero: ciò significherebbe che si stanno sostenendo dei costi senza averne la
relativa possibilità materiale e, quindi, devono presumersi oggettivamente sospette le risorse utilizzate per far fronte ai pagamenti in quanto corrispondenti a ricavi occultati e non transitati dalla contabilità. Così, PAGANI, Irregolarità contabili e incongruenze desumibili dal conto cassa: implicazioni operative alla luce dei recenti sviluppi giurisprudenziali, in Il Fisco, 2012, p. 2924 ss. È, quindi, frequente
l’assunto secondo il quale «il finanziamento cosiddetto “per cassa” sia una pratica comune volta a
nascondere il classico fenomeno della cassa negativa che può avere origine da vendite in nero». Così CTP Sondrio, sez. II, 13 maggio 2013, n. 15, in Banca dati fisconline Commissioni tributarie. La giurisprudenza ha, infatti, in più occasioni ritenuto che «È ragionevole ritenere corretta la presunzione
adottata dall’Ufficio nel ritenere il saldo negativo di Cassa come indicatore della sussistenza di incassi in nero di pari importo, regolati in contanti, a fronte della regolare contabilizzazione dei costi».
V. Cass., sez. trib., 31 maggio 2011, n. 11988, in Riv. dir. trib., 2011, p. 386, con commento di BEGHIN, Reddito di impresa, cassa “in rosso” e ricavi “in nero”: la ferrea equazione sul quantum evaso non
basta a sostenere l’avviso di accertamento e in Il Fisco, 2011, p. 4028, con commento di TURIS, Saldi
negativi e rapporto fra costi e ricavi nell’ambito dell’accertamento. V. anche Cass., sez. trib., 5 ottobre
2012, n. 17004, in Banca dati De Jure.
16
Giurisprudenza e dottrina si sono spesso interrogate sul potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare la simulazione contrattuale, arrivando a ritenerlo una funzione connaturata al
suo potere di accertamento. V., per tutti, FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità,
simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, p. 1093 ss.; FALSITTA, L’interpretazione antielusiva
della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi
costituzionali, in AA.VV., Elusione ed abuso del diritto tributario, a cura di Maisto, Milano, 2009.
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Come noto, tale procedura consente all’Amministrazione finanziaria di provare, basandosi su presunzioni semplici qualificate, ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza 17, l’esistenza di una ricchezza non registrata in contabilità secondo il duplice compartimento degli elementi positivi omessi e degli
elementi negativi fittizi e, dunque, artatamente registrati. Da tale procedura accertativa può, quindi, derivare una qualifica di fittizietà delle passività dichiarate e,
quindi, la rilevazione della loro inesistenza ovvero della loro natura simulata 18.
Tale iter accertativo presuppone, in primo luogo, che la simulazione posta in
essere dal contribuente venga considerata uno strumento volto all’occultamento di
materia imponibile, in secondo luogo, che essa sia dimostrabile tramite un compendio presuntivo qualificato.
In merito alla qualificazione della simulazione, sul piano teorico, è pacifica la riconduzione della stessa al più ampio genus dell’evasione fiscale 19; va, tuttavia, rilevato come sussista un filone giurisprudenziale che riconduce la simulazione/fittizietà delle operazioni poste in essere dal contribuente nell’ambito dell’elusione fiscale 20. Si riscontra, quindi, una casistica giurisprudenziale nella quale vengono accomunati i due differenti fenomeni della simulazione e dell’elusione 21.
Sul piano probatorio, può rilevarsi come l’accertamento analitico-induttivo sia
17
L’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, in sostanza, non richiede necessariamente a
sostegno della rettifica “analitico-induttiva”, la presenza di una prova “rappresentativa” (e cioè un
giudizio di fatto basato su documenti e altri elementi simili), ma ritiene sufficiente la sussistenza di
una prova “presuntiva” e cioè il collegamento “argomentativo” di un evento ad un altro, da realizzare
attraverso le nozioni di senso comune, che permetta di fondare la pretesa rettificativa, purché la presunzione sia dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Così, ANELLO, La Cassazione
interviene ancora sulla sindacabilità dei comportamenti economici, in Corr. trib., 2002, p. 3547. Invero,
è proprio la subordinazione di tale forma di accertamento alla sussistenza di siffatte presunzioni che
consente all’accertamento analitico-induttivo di conciliare il principio di analiticità con l’attribuzione all’Amministrazione del potere di disattendere le risultanze delle scritture non sulla base di elementi certi e diretti, ma da dati ed elementi frutto di induzioni. Così, SALVATI, Riflessioni in tema di
antieconomicità e ragionevolezza nell’accertamento induttivo (Nota a Cass., 2 ottobre 2008, n. 24436),
in Rass. trib., 2009, p. 816.
18
GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C.,
in Il Fisco, 2013. «L’art. 39, comma 1, lett. d), ha di mira l’occultamento di entrate ovvero la simulazione di uscite». Così CTP Vicenza, sez. VI, 7 novembre 2008, n. 4, in Banca dati De Jure.
19
Sul punto, v. SALVINI, Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributario, in Rass. trib.,
2015, p. 548; LA ROSA, L’accertamento tributario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv.
dir. trib., 2014, p. 504; FRANSONI, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr.
trib., 2011, p. 15.
20
Tale filone è citato da FRANSONI, op. ult. cit., p. 15. Conforme a tale orientamento, ROSSI, Difetto di sostanza economica e scopo di lucro ed inopponibilità al fisco degli effetti di un’operazione negoziale
posta in essere a soli fini di elusione fiscale (Nota a Cass., 24 luglio 2002, n. 10802), in Dir. prat. trib., 2002,
II, p. 1395 ss. Per l’impostazione secondo cui la simulazione rappresenterebbe un fenomeno elusivo, v.
TABELLINI, L’elusione fiscale, Milano, 1988.
21
V. SALVINI, Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributario, cit., p. 548.
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
475
in linea con la normativa civilistica, la quale, in tema di simulazione, «contempla
espressamente la prova della finzione fornita dal terzo interessato (qual è anche
l’Amministrazione) a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti (arg. ex
artt. 1417 e 2729 cpv. c.c.)» 22. Una volta affermata la dimostrabilità della simulazione/inesistenza a mezzo di presunzioni (da parte dell’Ufficio), il nodo della questione si colloca proprio sul piano della sufficienza del compendio presuntivo addotto di caso in caso 23.
Nel caso di specie, come rilevato, l’Amministrazione disconosce la posta “finanziamenti infruttiferi”, ritenendola una posta di natura meramente contabile 24,
e, di conseguenza, deduce l’esistenza di maggiori ricavi in capo alla società. Il ragionamento presuntivo si basa su una serie complessa di elementi indiziali, tra i
quali assumono rilevanza fondamentale l’antieconomicità della condotta del contribuente e l’accertamento della fonte dei finanziamenti.
Si tratta di «indici rivelatori» tipici, i quali fondano, in fattispecie analoghe a
quelle del caso di specie, la presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi 25.
3.1. L’antieconomicità dei finanziamenti infruttiferi. Un’ulteriore sfumatura del
concetto “standard” di antieconomicità?
La presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi trova principale fondamento nell’antieconomicità della condotta del contribuente.
22
GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C.,
cit., p. 5180; ID., La simulazione dal diritto civile all’imposizione sui redditi, Padova, 2009, p. 1 ss.
23
GIULIANI, La prova presuntiva della simulazione assoluta alla luce di un recente arresto della S.C.,
cit., p. 5180.
24
Si tratta, come ovvio, di un’operazione di maquillage contabile nella quale l’illecito contabile non
si proietta nella sola dimensione dello stato patrimoniale, intaccando così il conto economico, così realizzandosi il presupposto per l’accertamento induttivo. Tale operazione è da ricondurre a quei casi in
cui le vicende degli elementi iscritti nello stato patrimoniale possano provocare un impatto sulla determinazione del reddito d’impresa, atteso che dall’accertamento scaturisce una sopravvenienza attiva.
Su tali questioni, v. BEGHIN, L’asserita “forza espansiva” dell’irregolarità dello stato patrimoniale quale presupposto per l’accertamento induttivo del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 2011, p. 646 ss.
25
V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, in Banca dati De Jure, secondo cui «In tema
di accertamento analitico-induttivo del reddito, l’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, dispone che l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile
anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti. In materia societaria, con riferimento specifico ai finanziamenti infruttiferi dei soci, sono stati elaborati alcuni indici rivelatori dell’inesistenza di tali passività, il cui accertamento legittima il recupero a tassazione di tali somme quali ricavi non contabilizzati. Tra essi rilevano, in via presuntiva, l’assenza di
una valida ragione giustificativa degli apporti dei soci, l’erogazione dei finanziamenti in sistematica
prossimità dei pagamenti aziendali, che si presume funzionale a ricostruire contabilmente il conto
cassa, l’accertamento della fonte dei conferimenti». Per una fattispecie nella quale sono presenti
tutti questi “indici rivelatori”, v. Cass., 5 luglio 2013, n. 16797 e la precedente sentenza di merito,
CTR Bari, sez. XV, 24 marzo 2010, n. 11, entrambe reperibili in Banca dati De Jure.
476
GIURISPRUDENZA
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Esso rappresenta un “rilievo tipico”, il quale è presente anche in altri arresti della giurisprudenza di legittimità aventi ad oggetto fattispecie analoghe a quelle del
caso in commento. In particolare, è stato posto a fondamento della presunzione di
fittizietà dei finanziamenti infruttiferi il fatto che i questi ultimi fossero «reiterati e
antieconomici» 26 ovvero fossero «al di fuori di ogni logica economica» 27; integrassero una «una inverosimile condotta sistematicamente antieconomica (di finanziamento a fondo perduto di una società formalmente senza utili)» 28 ovvero
un comportamento del contribuente antieconomico e irrazionale 29; determinassero l’«antieconomicità della gestione dell’impresa» 30. È, dunque, ricorrente nella
giurisprudenza di legittimità che ha avuto modo di pronunciarsi con riferimento a
fattispecie analoghe a quella della sentenza in commento valorizzare a fini presuntivi «l’assenza di una valida ragione giustificativa degli apporti dei soci, oggettivamente apprezzabile in riferimento alla situazione aziendale e alle peculiari esigenze
di liquidità che essa presenta (dovendo ritenersi anomalo il costante e cospicuo
ricorso ai medesimi)» 31.
Al fine di ben comprendere il ruolo svolto dal rilievo sull’antieconomicità 32 nel
caso di specie, risulta opportuna una breve disamina di tale concetto.
La «teoria degli atti antieconomici» 33 rappresenta un «costrutto esclusiva-
26
Cass., sez. trib., 28 novembre 2014, n. 25330, in Banca dati De Jure.
Cass., sez. trib., 12 marzo 2009, n. 5928, in Banca dati De Jure.
28
Cass., sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9132; Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24618, entrambe in Banca dati De Jure.
29
Cass., sez. trib., 12 marzo 2009, n. 5929, in Banca dati De Jure.
30
Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24621; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2004, n. 793. Per la
giurisprudenza di merito, v. CTR Lazio, sez. IV, 21 gennaio 2013, n. 4; CTR Puglia, sez. IX, 3 ottobre 2012, n. 942, tutte reperibili in Banca dati De Jure.
31
CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, cit.
32
Sul concetto di “economicità” contrapposto a quello di “antieconomicità”, v. FICARI, Reddito
di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, p. 181 ss.
33
In tema di antieconomicità, senza pretesa di esaustività, si citano, i seguenti contributi dottrinari, rimandando agli stessi per ulteriori riferimenti: FANTOZZI, Sindacabilità delle scelte imprenditoriali e funzione nomofilattica della Cassazione, in Riv. dir. trib., 2003, II, p. 554; BEGHIN, Atti di gestione
“anomali” o “antieconomici” e prova dell’afferenza del costo all’impresa, in Riv. dir. trib., 1996, I, p. 415;
ID., Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, in Corr. trib., 2009, p. 3626, ID., Il concetto di
"operazione antieconomica" tra relativismo e rettifica del reddito d'impresa: spunti di riflessione, in Boll.
trib., 2009, p. 1547; BALLANCIN, L’antieconomicità tra occultamento di capacità contributiva, elusione
fiscale ed il “dover essere” tributario, in Riv. dir. trib., 2012, p. 199; FICARI, Normalizzazione, elusione ed
interposizione: a quando “un’illuminata giurisprudenza”? (Nota a Cass. 15 settembre 2008, n. 23636),
in Riv. giur. trib., 2009, p. 67; FREGNI, Note in tema di deducibilità (dal reddito d’impresa) dei compensi
corrisposti agli amministratori di società, in Rass. trib., 2011, p. 847; GREGGI, Il requisito dell’obiettiva
economicità dell’attività d’impresa nell’accertamento “contabile induttivo” (Nota a Cass. 9 febbraio
2001, n. 1821), in Riv. dir. trib., 2001, II, p. 507, SALVATI, op. cit., p. 816 ss., SCALINCI, Rilevanza fiscale del corrispettivo contrattuale e accertamento contabile analitico-induttivo, in Riv. dir. trib., 2003, II, p.
27
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
477
mente di natura giurisprudenziale» 34 il quale, nella sua espressione più rigorosa 35,
assume fondamentalmente che il fatto stesso che un imprenditore commerciale, che
deve agire secondo i criteri di economicità per conseguire il massimo guadagno,
ponga in essere operazioni antieconomiche possa, di per sé, integrare, se non adeguatamente motivato da ragioni che, invece, lo rendono razionale e lo giustificano in
una prospettiva più ampia, quegli elementi indiziari che possono legittimare un accertamento tributario 36. In particolare, la formula «standard» 37, che soventemente
viene richiamata, prevede che gli Uffici finanziari, pur in costanza di una contabilità
ineccepibile dal punto di vista formale 38, siano legittimati, «in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, che il contribuente
non spieghi in alcun modo, ad esperire un accertamento del reddito ai sensi
dell’articolo 39, primo comma, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, il quale consente
di desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati o la inesistenza di passività dichiarate
anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti» 39, con
conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente 40.
504 ss. SCHIAVOLIN, Comportamento “antieconomico” dell’imprenditore e potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria, in Giur. imp., 2004, p. 254.
34
TARDINI, L’anti-economicità dei fatti di gestione aziendale: congruità, inerenza e valore normale, in Il
Fisco, 2012, p. 3428 ss., il quale fa riferimento alle numerose sentenze che valorizzano l’antieconomicità
del comportamento del contribuente a supporto della legittimità degli accertamenti effettuati a suo
carico.
35
FANTOZZI, op. cit., p. 556.
36
Cass., sez. trib., 14 gennaio 2003, n. 398, in Banca dati De Jure.
37
SALVATI, op. cit., p. 820.
38
La Suprema Corte ha, infatti, ritenuto possibile desumere l’inattendibilità della contabilità in
presenza di comportamenti economicamente ingiustificati. V., da ultimo, Cass., sez. trib., 15 maggio
2015, n. 9968 nonché, ex multis, Cass., sez. trib., 2008, n. 23635, Cass., sez. trib., 2008, n. 417, Cass.,
sez. trib., 2009, n. 13915 e Cass., sez. trib., 9 settembre 2005, n. 18038, tutte reperibili in Banca dati De
Jure. Nella sentenza n. 18038/2005 la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che «... non v’è
dubbio che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi della citata norma, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente
inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente, consentendo così all’Ufficio di dubitare della
veridicità delle risultanze di quella contabilità e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi, ma ciò sempre che quelle presunzioni effettivamente ricorrano e siano gravi,
precise e concordanti (Cass. 3.5.2002, n. 6337)». Sul punto, è stato rilevato come la regolarità della
tenuta delle scritture contabili non implica all’evidenza la certezza assoluta in ordine all’effettività
del reddito prodotto, avendo esclusivamente la funzione di documentare e serbare memoria di quanto
prodottosi nella sfera giuridica del contribuente, integrando un primo tassello per colmare l’inferiorità
conoscitiva dell’Amministrazione nell’attività di accertamento. Sul tema si rinvia a NUZZO, Procedure di
accertamento dei redditi determinati in base a scritture contabili, in Rass. trib., 1986, I, p. 167.
39
V., ex multis, Cass., 25 febbraio 2002, n. 7680; Cass., sez. trib., 2 ottobre 2008, n. 24436; Cass.,
sez. trib., 2 ottobre 2008, n. 23635, tutte reperibili in Banca dati De Jure.
40
Circa la sostanziale inversione dell’onere della prova in caso di comportamento «assoluta-
478
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
L’analisi del relativo filone giurisprudenziale, evidenzia come il rilievo sull’antieconomicità si concretizzi, nella maggior parte dei casi, in una «valutazione di
congruità» dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, la quale fa
ritenere legittima la correzione di queste ultime «anche se non ricorrono irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducibilità» 41.
Viene, quindi, in evidenza la differenza tra una “qualifica di fittizietà”, oggetto
del caso di specie, e una “valutazione di congruità” della posta contabile contestata,
propria dell’antieconomicità “maggioritaria”: alla base della prima vi è una simulazione assoluta dell’operazione contestata, mentre la seconda presuppone, come prior
logico-fattuale, quantomeno l’esistenza, la realità nel senso di effettività del sostenimento di un costo o di un ricavo a fronte di operazioni concretamente poste in essere, di poi eventualmente sindacabili sotto il profilo dell’ascrivibilità all’attività
d’impresa 42 ovvero dell’abnormità rispetto a valori predeterminati.
mente contrario ai canoni dell’economia», v. Cass., sez. trib., 15 maggio 2015, n. 9968, Cass., sez.
trib., 14 giugno 2013, n. 14941 e negli stessi termini, Cass., sez. trib., 20 marzo 2013, n. 6918; Cass.,
sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23597; Cass., sez. trib., 9 novembre 2012, n. 19550; Cass., sez. trib.,
22 febbraio 2012, n. 2613, tutte reperibili in Banca dati De Jure. A tal riguardo, BEGHIN, Reddito
d’impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3630, sostiene che «Le contestazioni sull’antieconomicità non modificano affatto lo schema ordinario di distribuzione dell’onere della prova. Spetta
conseguentemente al Fisco, il quale intenda far leva su tale elemento per muovere una contestazione, dimostrare che il valore normale di un bene o di un servizio, non importa se acquistato, ceduto o
erogato, si discosta significativamente dal corrispettivo dichiarato nei contratti e trasfuso, poi, nelle
scritture contabili». Nello stesso senso, BALLANCIN, op. cit., pp. 207 e 209, Il quale evidenzia come
«la partizione ... dell’onere della prova tra contribuente e amministrazione finanziaria ... risulti possedere una portata meramente indicativa, in quanto non fa altro che identificare il punto di partenza
di un processo dialettico dai decorsi imprevedibili».
41
Cass., sez. trib., 3 agosto 2001, n. 10650, in Banca dati fisconline.
42
Rileva BEGHIN, Note critiche a proposito dell’asserita doppia declinazione della regola dell’inerenza (“inerenza intrinseca” versus “inerenza estrinseca”), in Riv. dir. trib., 2012, p. 408, che «quando ci si
muove sul piano dell’inerenza, non si mette in discussione l’esistenza di una determinata spesa o di
un determinato esborso: se così fosse, infatti, il problema dell’applicazione della citata regola nemmeno dovrebbe porsi, in difetto, appunto, di un componente sul quale calarla. Si ragiona, invece, sul
collegamento tra tale spesa o tale esborso e l’attività dalla quale scaturiscono i proventi fiscalmente
rilevanti ... al concetto di inerenza è legata l’idea di un “giudizio”: un giudizio che riguarda non tanto
l’esistenza del fatto economico ..., bensì la sua connotazione di fatto suscettibile di essere incardinato nell’attività, vale a dire incapsulato nel programma al quale l’imprenditore abbia dato (o stia per
dare) attuazione». Sul punto, v. anche FICARI, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, cit., p.
197, il quale rileva come «in sede di sindacato delle scelte imprenditoriali, non sembra che l’Amministrazione finanziaria possa addurre la non economicità come prova dell’inesistenza sia soggettiva
che oggettiva dell’impresa né dell’esistenza di compensi dissimulati o di costi inesistenti né, tantomeno, la non inerenza del costo. Nell’indagare il ruolo della non economicità di un atto occorre distinguere se questa possa condizionare l’inerenza dell’atto stesso al programma imprenditoriale o,
invece, come pare, la sola congruità del costo a regole di normale gestione imprenditoriale. Il ricorso
al ragionamento presuntivo può, dunque, permettere di indagare un profilo solo quantitativo del comportamento imprenditoriale. In assenza, però, di una normativa che normalizzi la traduzione quantita-
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
479
Nel caso di specie, il rilievo sull’antieconomicità non sembra tener conto di tale
“accezione maggioritaria” del concetto di antieconomicità ma intende riferirsi ad
una serie di comportamenti del contribuente – in particolare, la costante effettuazione di ingenti finanziamenti infruttiferi da parte dei soci e la successiva restituzione, in tempi brevi, agli stessi soci principalmente per cassa – non giustificabili dal
punto di vista economico, quasi sembrando voler richiamare, secondo un’interpretazione estensiva dell’(ormai abrogato) art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, un potere amministrativo di disconoscimento degli effetti fiscali per assenza di valide ragioni economiche 43. Tuttavia, nel caso di specie, si è nell’ambito di un accertamento presuntivo e di una condotta evasiva; sembra, pertanto, che il rilievo possa leggersi nel senso che, nel caso di specie, l’assenza di valide ragioni economiche (id est
l’antieconomicità) nel comportamento del contribuente sia tale da integrare una
presunzione grave, precisa e concordante ai fini della dimostrazione del carattere
fittizio dei finanziamenti. La Suprema Corte avallando tale rilievo, ha, infatti, ritenuto corretta l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente considerandolo, pertanto, gravato della dimostrazione dell’effettività degli apporti 44.
L’“originale” sfumatura del concetto di antieconomicità – id est l’antieconomicità dei finanziamenti infruttiferi – che emerge dalla sentenza in commento sembra potersi ricondurre al fatto che, come evidenziato in dottrina, la stessa espressione “antieconomicità”, la quale, peraltro, non è definita dal legislatore tributario 45, è, invero, per la sua stessa consistenza, capace di adattarsi a situazioni molto
diverse 46: «se, infatti, si guarda all’antieconomicità attraverso la lente della “credibilità” dell’operazione e del possibile nascondimento al Fisco di materia impotiva di talune componenti reddituali, la non economicità di un atto può essere confutata con le caratteristiche della precisione, gravità e concordanza di una presunzione al fine di dimostrare non
l’assenza di funzionalità ma l’effettiva percezione del ricavo o del sostenimento del costo».
43
Peraltro, non sono mancate pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno considerato l’irrazionalità del comportamento del contribuente in chiave antielusiva. Né dà conto BALLANCIN,
op. cit., p. 210. Si ricorda, peraltro, come il principio di antieconomicità è stato in origine introdotto
facendo riferimento all’art. 37 bis, D.P.R. n. 600/1973, spesso invocando tale disposizione al di fuori
del suo contesto tradizionale di applicazione. V. Cass., sez. trib., 9 febbraio 2001, n. 1821, in Riv. dir.
trib., 2001, p. 505, con nota di GREGGI, Il requisito dell’obiettiva economicità dell’attività d’impresa
nell’accertamento “contabile induttivo”, in Rass. trib., 2011, p. 211 ss., con nota di LUPI, Equivoci in tema di sindacato del fisco sull’economicità della gestione aziendale. V. anche Cass., sez. trib., 24 luglio 2002,
n. 10802, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 1395 ss., con nota di ROSSI, Difetto di sostanza economica e scopo
di lucro ed inopponibilità al fisco degli effetti di un’operazione negoziale posta in essere a soli fini di elusione
fiscale; Cass., sez. trib., 15 settembre 2008, n. 23636, in Riv. giur. trib., 2009, p. 63 ss., con nota di FICARI,
Normalizzazione, elusione ed interposizione: a quando un’«illuminata giurisprudenza»?
44
In questi termini, v. soprattutto Cass., sez. trib., 28 novembre 2014, n. 25330.
45
BALLANCIN, op. cit., p. 203.
46
BEGHIN, Reddito d’impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3627, il quale lo definisce un
concetto “caleidoscopico”. V. anche SALVATI, op. cit., p. 820, la quale lo definisce «un concetto mobile, elastico soggetto ad interpretazioni di diverso genere».
480
GIURISPRUDENZA
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nibile, si scopre che le sue declinazioni possono essere numerose» 47. Ad ogni
modo, è importante sottolineare come tale «relativismo» del concetto di operazioni antieconomiche comporti che la contestazione di fattispecie di evasione incentrate sulla antieconomicità imponga già in capo alla stessa Amministrazione
finanziaria di procedere caso per caso al fine di stabilire se ci si trovi di fronte ad
un illecito fiscale ovvero a passaggi fisiologici per il raggiungimento degli obiettivi
aziendali 48.
Il ragionamento inferenziale condotto nel caso di specie deve, infatti, essere
strettamente ricondotto al contesto di riferimento, ovvero al contesto di una società a ristretta base familiare, nella quale è lecito presumere una identità di interessi
tra soci e società.
Tuttavia, pur ribadendo lo stretto collegamento al caso di specie, la sentenza
in commento sembra potersi inserire nel solco di quelle pronunce giurisprudenziali che si sono occupate del rapporto tra antieconomicità e simulazione 49, considerando la prima in termini strumentali rispetto alla prova della seconda, e sembra, pertanto, rappresentare il giusto contesto per richiamare quanto osservato
dalla dottrina in relazione al concetto di antieconomicità ovvero il fatto che essa
possa «costituire (elemento di) prova di ... simulazione ...» 50 ovvero «rappresentare un primo elemento per contestar[e] ... la credibilità ... [di un’operazione] ... e
per immaginare che, dietro a un certo involucro formale, possa nascondersi un
po’ di evasione» 51 o, ancora, che possa concretizzarsi «nell’utilizzazione, da parte
dell’Ufficio, di circostanze note, dichiarate, per presumerne altre, che il contribuente cerca di tenere nascoste; nessuno vuole ovviamente tassare l’imprenditore
per il mero fatto di esser stato poco accorto, ma la spiegazione più probabile
dell’apparente poca accortezza è invece la non veridicità dei dati dichiarati, per la
presenza di ricavi non contabilizzati» 52.
47
BEGHIN, Il concetto di “operazione antieconomica” tra relativismo e rettifica del reddito d’impresa:
spunti di riflessione, cit., p. 1547 ss. L’A. prosegue affermando che l’antieconomicità può riferirsi ora a
taluni atti, ora a un’unica operazione, ora all’intera attività esercitata dall’imprenditore, incardinandosi in una gamma amplissima di fattispecie. Conforme MARELLO, Involuzione del principio di inerenza?, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, I, p. 7, secondo cui: «Nella ambigua categoria delle operazioni “antieconomiche” vengono inclusi usualmente tutti quegli atti che appaiono prima facie privi di alcune
caratteristiche ritenute usuali negli atti effettuati nell’esercizio di impresa. Si tratterebbe, quindi, di negozi che non lasciano immediatamente scorgere un “interesse patrimoniale” dell’impresa al compimento degli stessi».
48
BEGHIN, Il concetto di “operazione antieconomica” tra relativismo e rettifica del reddito d'impresa:
spunti di riflessione, cit., p. 1547 ss.
49
V. BALLANCIN, op. cit., p. 206.
50
FANTOZZI, op. cit., p. 556.
51
BEGHIN, Reddito di impresa ed economicità delle operazioni, cit., p. 3626.
52
LUPI, L’oggetto economico delle imposte nella giurisprudenza sull’antieconomicità, in Corr. trib.,
2009, p. 261.
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
481
3.2. L’accertamento della fonte dei finanziamenti
Dalle righe precedenti, sembra potersi trarre la considerazione che condotte
evasive quali quella descritta nel caso di specie siano fondamentalmente prerogativa delle società a ristretta base societaria 53.
Come noto, nei confronti di tali società, l’Amministrazione finanziaria spesso
ricorre a procedure accertative ad hoc 54 ovvero estende i suoi poteri di indagine nei
confronti dei soci, in virtù delle rilevate caratteristiche di tali società, nelle quali è
lecito presumere una corrispondenza o sovrapposizione tra l’area degli interessi
facenti capo ai soci come privati e quelli che essi possono perseguire come soggetti
investiti della disponibilità funzionale dei patrimoni delle società partecipate 55.
Come rilevato, in tali enti «forma giuridica» e «sostanza dei rapporti sociali»
non corrispondono: la perfetta alterità che garantisce la forma di società di capitali
è, infatti, tradita da una situazione di immedesimazione tra soci e società 56. Costituiscono indici tipici di questa perfetta immedesimazione tra soci e società le circostanza che in esse si sovrappongano le figure di soci ed amministratori, che que53
Per un inquadramento di tali società alla luce della disciplina civilistica e tributaria, v. i contributi
di IBBA, Le “piccole” società nel diritto commerciale, FICARI, L’imposizione per “trasparenza” delle “piccole”
società di capitali, e FEDELE Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, in AA.VV., Studi in tema di
forma societaria, servizi pubblici locali, circolazione della ricchezza imprenditoriale, a cura di Cossu, Torino, 2007, p. 1 ss. In particolare, FEDELE, op. ult. cit., p. 5, dopo aver rilevato come «mentre nella disciplina civilistica possono individuarsi criteri di differenziazione delle società di capitale con rilevanza
dimensionale ed a valenza generale, soprattutto con riguardo al rapporto fra attività complessivamente
svolta, struttura organizzativa della società e rilevanza dell’attività di lavoro prestata dai soci, in materia
tributaria, pur non mancando parametri ed elementi distintivi che determinano diversi regimi e modalità applicative dei vari tributi, è difficile ricondurli a criteri unitari, ad una logica complessiva della discriminazione “dimensionale” delle società», cita tra i più rilevanti fattori di diversificazione nel trattamento fiscale basati su profili dimensionali: il volume d’affari, il rapporto tra struttura organizzativa e
lavoro nella società, il numero dei soci e la “misura” delle partecipazioni degli stessi.
54
Sul punto, TASSANI, L’accertamento tributario e le PMI. Riflessi procedimentali della ristretta base
proprietaria, in Piccola Impresa, n. 3, 2008, p. 119, secondo cui «nell’attuale sistema tributario, le
PMI non godono ... di trattamenti di particolare favore né a livello di determinazione dell’imposta
né nel procedimento di accertamento tributario ... A ben vedere, anzi, proprio i metodi accertativi
maggiormente “penalizzanti” per il contribuente, perché basati su presunzioni a favore del Fisco,
quali per esempio gli studi di settore, sono tradizionalmente rivolti ad imprese di dimensioni non
grandi. In questo quadro si inserisce anche l’esperienza giurisprudenziale che, soprattutto in relazione alle società a “ristretta base societaria” ed alle imprese individuali, ha legittimato il ricorso, da
parte dell’Amministrazione finanziaria, di ulteriori metodi presuntivi ... [come la] ... presunzione di
distribuzione di utili per le società di capitali a ristretta base proprietaria ... [e la] ... utilizzabilità, per
l’accertamento nei confronti delle società e delle imprese a base “ristretta”, dei conti bancari intestati
a soggetti terzi ma legati, da vincoli familiari o societari, alla stessa società o impresa».
55
ZIZZO, Reddito delle persone giuridiche (imposta sul), in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 635 e in Dig.
disc. priv., sez. comm., 1996, p. 222; SACCHETTO, L’imposta sul reddito delle persone giuridiche, in
AA.VV., Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Padova, 2001, p. 104.
56
RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, Padova, 2012, p. 19.
482
GIURISPRUDENZA
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sti ultimi siano dotati dei più ampi poteri decisionali e siano di fatto sottratti ai
controlli degli altri soci ai quali possono essere legati da vincoli familiari o personali. Ciò fa sì che in questi enti, i quali assumono in genere la forma di società a responsabilità limitata, risulti assolutamente centrale la figura dei soci che si qualificano come soci-imprenditori (ovverosia soci interessati all’attività ed alla gestione
della società) 57 piuttosto che come soci-finanziatori o soci-risparmiatori (ovverosia soci interessati solo alla remunerazione del loro investimento) 58.
Si comprende, quindi, come spesso, nell’ambito di procedure accertative a carico di dette società, l’Amministrazione decida di estendere le indagini anche alla
sfera reddituale dei soci.
Tale estensione di indagine risulta di fondamentale importanza in fattispecie
come quella trattata nella sentenza in commento: rileva, infatti, quale indice presuntivo anche l’accertamento della fonte dei finanziamenti 59. Al tempo stesso, l’indicazione della fonte dei finanziamenti rappresenta la principale prova contraria che il
contribuente può addurre per dedurre l’effettività dei finanziamenti 60.
La giurisprudenza ha valorizzato tale indice rivelatore anche indipendentemente dal rilievo sull’antieconomicità, soprattutto nei casi in cui i finanziamenti venivano effettuati in contanti 61.
57
Nelle società a responsabilità limitata la compagine sociale è di regola ristretta, formata da soci
imprenditori e non meri investitori, e spesso legata da vincoli familiari. Ciò si riflette ad esempio
sulle norme in tema di organizzazione interna, nel redigere le quali il legislatore si è mosso dalla
convinzione che la società a responsabilità limitata sia formata principalmente da soci imprenditori,
portatori di un interesse partecipativo al governo della società ed in grado di cogliere il significato e
di rappresentarsi le conseguenze delle clausole apposte: questo approccio, percepibile in modo trasversale nella struttura del tipo sociale, è particolarmente evidente nella disciplina dei processi decisionali. Sul punto, v. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc.,
2003, pp. 68 e 83, Il quale giustifica il maggior margine di autonomia concesso ai soci delle s.r.l. al
riguardo, rispetto ai soci di una spa, sulla base della circostanza che la compagine sociale è in tal caso
«formata esclusivamente da soci imprenditori, capaci come tali di autotutelarsi in quanto in grado
di cogliere tutte le conseguenze delle clausole che sottoscrivono».
58
RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, cit., p. 19.
59
V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n. 59, cit.
60
Per contro, qualora l’Amministrazione riscontri l’esistenza di disponibilità finanziarie dei soci
tali da giustificare i finanziamenti potrebbe procedere con un accertamento sintetico ai sensi dell’art.
38, D.P.R. n. 600/1973. A tal proposito, si ricorda che tra «gli elementi e circostanze di fatto certi»
richiesti dall’art. 38, D.P.R. n. 600/1973 per la legittimazione della determinazione sintetica del
reddito complessivo del contribuente, la giurisprudenza ha individuato il finanziamento delle proprie imprese da parte di un contribuente che dichiarava modesti redditi. In tale circostanza, l’Amministrazione finanziaria aveva accertato maggiori redditi in capo al socio quale conseguenza di continui e ingenti versamenti effettuati in contante a favore della società partecipata, ancorché dalle dichiarazioni dei redditi del socio stesso emergessero redditi di modesta entità. V. Cass., sez. V, 30
gennaio 2007, n. 1908, in Banca dati De Jure.
61
V. CTR Torino, sez. XXXVI, 15 luglio 2013, n. 140, in Banca dati De Jure, nella quale i Giudici
hanno confermato la riqualificazione di finanziamenti infruttiferi effettuati in contanti in ricavi ex-
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
483
In particolare, la Suprema Corte si è trovata a doversi pronunciare con riferimento al caso di un considerevole aumento di capitale sociale realizzato, tramite
ripetuti ed ingenti finanziamenti infruttiferi, dai soci di una società a base familiare,
risultati poi essere «fiscalmente nullatenenti» 62. L’Amministrazione aveva proceduto ad un accertamento induttivo fondandolo, oltre che su rilevate irregolarità
contabili, sull’esiguità dei redditi dichiarati dai soci «assolutamente inidonei a motivare ... gli ingenti conferimenti fatti alla società, comprensibili solo nel caso che
derivino da redditi di impresa occultati». Tale presunzione, valutata unitamente
alle diffuse irregolarità contabili riscontrate nella gestione della società, anziché sfociare nell’istituto dell’accertamento sintetico in capo ai soci, aveva, quindi, determinato tout court una rettifica induttiva dell’utile societario, considerando la stessa
«spendibilità» dei soci, non altrimenti giustificata, effetto indiziario (fatto noto)
dell’occultamento di una parte dell’utile d’esercizio 63.
Ad avviso della Corte di Cassazione, la presunzione dell’Ufficio rappresentava
«una presunzione, sia pure semplice, che imponeva ai contribuenti di dare conto,
in qualche modo, della provenienza del denaro oggetto dell’aumento di capitale».
L’esiguità dei redditi dichiarati dai soci poteva, quindi, ad avviso della Cassazione,
rappresentare elemento idoneo a legittimare il ricorso ad una ricostruzione induttiva del risultato d’esercizio, costituendo un valido indizio per presumere che l’ingente conferimento in denaro nascondesse un «occultamento fiscale di redditi societari poi tradotti in aumento di capitale», senza bisogno del previo esperimento
di un accertamento sintetico, dal momento che «la fattispecie in esame riguarda[va] unicamente il reddito societario ed i fatti che hanno dato vita alla presunzione ... [erano] ... strettamente inerenti alla gestione societaria» 64.
In questo caso, quindi, la presunzione avrebbe potuto essere superata mediante
la produzione di valide prove attestanti una diversa provenienza delle somme conferite, proprio in considerazione del fatto che l’assenza di significativi redditi dichiarati dai soci costituiva la circostanza posta alla base del percorso logico-deduttivo seguito nell’accertamento fiscale 65.
Anche in fattispecie analoghe a quelle del caso in commento, l’accertamento
tracontabili, effettuata dall’Agenzia delle Entrate, in quanto i finanziamenti non erano singolarmente riconducibili ad alcun socio; la società, infatti, non era stata in grado di ricondurre sulla base della
documentazione disponibile le specifiche somme ai singoli soci e, pertanto, non aveva addotto nessuna prova contraria alla presunzione di fittizietà dei finanziamenti.
62
Cass., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24531, in Banca dati De Jure.
63
IORIO, Cass. n. 24531 del 26 novembre 2007: i finanziamenti infruttiferi alla società possono essere
sintomatici di maggiori ricavi, in Il Fisco, 2007, p. 6022.
64
La Suprema Corte ha definito “ultronea” la sentenza di secondo grado nella parte in cui veniva
eccepita la necessaria preventiva rettifica del reddito dei soci mediante accertamento sintetico, dal
momento che «la fattispecie in esame riguarda unicamente il reddito societario ed i fatti che hanno
dato vita alla presunzione sono strettamente inerenti alla gestione societaria».
65
IORIO, op. cit., p. 6022.
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della fonte dei finanziamenti assume notevole importanza ai fini della presunzione di
fittizietà dei finanziamenti. È risultato, infatti, fondamentale, in termini di prova
contraria, che il contribuente dia «conto in modo adeguato delle consistenze patrimoniali» 66, soprattutto se dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi emergono
importi non congruenti con i finanziamenti 67.
4. La “riqualificazione” della restituzione dei finanziamenti in distribuzione di
dividendi. Richiamo alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili nelle società a ristretta base proprietaria
In merito alla nozione di dividendo accolta dal legislatore tributario, autorevole
dottrina ha avuto modo di osservare come quest’ultimo farebbe riferimento ad una
«nozione sostanziale» in luogo di quella «formale civilistica» 68.
Simile assunto risulterebbe avvalorato dal dato normativo, nello specifico dall’art. 47, comma 1, TUIR, il quale non ricorre alla nozione di dividendo ma a quella di «utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione». L’ampia
latitudine semantica di tale disposizione agevolerebbe forme di interpretazione estensiva orientate ad un approccio “sostanzialistico” alla tassazione dei dividendi
formatisi al di fuori degli ordinari schemi civilistici 69. Infatti, come rilevato, tale formula normativa, la quale dimostrerebbe una indifferenza da parte del legislatore in
ordine allo strumento giuridico-formale di acquisizione del reddito da parte del socio, avrebbe indotto la prassi e la giurisprudenza ad assumere un approccio spiccatamente sostanzialistico con riguardo alla distribuzione “occulta” di utili ai soci, volto a prescindere da quei requisiti formali che contraddistinguono la distribuzione
dei dividendi sul piano civilistico 70.
66
V. Cass., sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9132, cit.
Si noti, come nel caso di specie, la Suprema Corte, ribaltando il giudizio di merito, ha assunto
un orientamento favorevole all’Amministrazione ritenendo come la capacità di spesa dei soci (risultante dal prospetto dei redditi) non fosse ex se in grado di avversare la presunzione di fittizietà dei
finanziamenti, in quanto l’asserita disponibilità di liquidità rappresenterebbe soltanto un fatto «potenzialmente idoneo» a dimostrare l’effettività del finanziamento. Contra Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18935, in Banca dati De Jure.
68
La diversità tra la nozione fiscale di dividendo e la nozione civilistica è stata rilevata da FALSITTA, (voce) Utili e dividendi (imposizione sui), in Enc. giur., XXXVII, 1994, p. 1, secondo il quale, ai fini
civilistici, i dividendi «devono essere prelevati da utili realmente conseguiti, risultare dal bilancio
regolarmente approvato, e la loro distribuzione deve essere espressamente deliberata dall’assemblea». Sul piano fiscale, invece, «a questa configurazione civilistica, che può qualificarsi “formale”,
del concetto di dividendo, il diritto tributario sostituisce una nozione sostanziale dello stesso».
69
Così, MELIS, La nozione di «dividendo» tra normativa tributaria ed evoluzione del diritto delle
società, in Dir. prat. trib., 2013, p. 1044.
70
Così, MICHELUTTI, Dividendi e distribuzioni atipiche ai soci, in AA.VV., La tassazione dei dividendi intersocietari, a cura di Maisto, Milano, 2011, p. 112.
67
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
485
Una nozione sostanziale di dividendo sembra emergere anche in fattispecie
analoghe a quella oggetto della sentenza in commento. In tali casi 71, dalla presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi discende, infatti, anche la “riqualificazione” della restituzione dei finanziamenti in una distribuzione di dividendi 72. Al
riguardo, va rilevato come l’Amministrazione abbia considerato tale “fase successiva” della condotta evasiva come un modo per «eludere» la ritenuta d’acconto sui
dividendi, pro tempore vigente quasi a voler estendere anche a tali casi l’applicazione della «tecnica antielusiva consistente nel riqualificare i negozi giuridici elusivi
in modo da far emergere, al di là dell’apparenza formale ed esteriore, il vero affare ed
il vero negozio posto in essere dalle parti» 73. La Corte di Cassazione, tuttavia, non si
è espressa su tale valutazione, non effettuando nel decisum nessun riferimento ad essa 74.
Un altro caso nel quale rileva una nozione sostanziale di dividendo può intravedersi nella «presunzione giurisprudenziale» 75 di distribuzione ai soci degli utili
extracontabili accertati in capo alle società a ristretta base proprietaria.
Sussiste, infatti, un consolidato filone della giurisprudenza di legittimità 76, non
trascurato in letteratura 77, il quale legittima, ai fini accertativi, il ragionamento pre71
V. Cass., 23 aprile 2014, n. 9132, cit.; Cass., sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24618, cit.; Cass.,
sez. trib., 19 novembre 2014, n. 24619, in Banca dati De Jure.
72
V. CTR Roma, sez. I, 4 novembre 2004, n. 140, in Banca dati De Jure.
73
TESAURO, Istituzioni di diritto tributario8, Torino, 2003, p. 251. Va, in effetti, rilevato come
l’ipotesi di distribuzione di dividendi occulti si sovrappone in taluni casi alle ipotesi di riqualificazione ai fini fiscali di altri proventi in dividendi, in virtù di norme espresse o in applicazione di
norme o principi antielusivi. Con riguardo alla riqualificazione in virtù di principi antielusivi, si vedano ad esempio i casi di operazioni antieconomiche tra società e socio (c.d. deemed dividends)
ovvero si pensi al rapporto tra distribuzione di riserve di capitale e distribuzione di riserve di utili.
Su tali temi, v. MELIS, op. cit., p. 1043 ss., il quale opera un’ampia disamina dei casi di riqualificazione dei dividendi.
74
Peraltro, nel vigore dell’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente dovrebbe ritenersi
scongiurato il ricorso fungibile a schemi giuridici in realtà tra loro incompatibili, come abuso del diritto/elusione e simulazione. Sul punto, v., ex multis, BASILAVECCHIA, L’art. 10-bis dello Statuto: “the day
after”, in Riv. giur. trib., 2016, p. 5. V. anche BARTOLAZZI MENCHETTI, Sulla distinzione tra abuso del diritto e simulazione in una recente sentenza della Corte di Cassazione, in Dir. prat. trib., 2012, p. 957 ss.
75
Così la definisce CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società
di capitali “a ristretta base proprietaria”, in Rass. trib., 2013, p. 1113.
76
La Suprema Corte ha, in diverse occasioni, ritenuto come tale orientamento costituisca ius receptum nella giurisprudenza di legittimità. V., da ultimo, Cass., sez. civ., 12 febbraio 2015, n. 2778, in
Banca dati De Jure. Ad avviso di CONTRINO, op. ult. cit., p. 1113, tale orientamento «può dirsi ormai
un caso di “presunzione giurisprudenziale”, ossia di un orientamento consolidato dalla giurisprudenza che ritiene accertata una determinata fattispecie in presenza di qualche altro elemento o fatto
indiziario».
77
Trai contributi più recenti, v. MARCHESELLI, La presunzione di distribuzione degli utili societari
delle c.d. società a ristretta base, tra induzioni ragionevoli e abnormità istruttorie (Nota a Comm. trib. reg.
Lombardia, sez. XIII, 26 agosto 2015, n. 3670), in Riv. giur. trib., 2016, p. 86; CONTRINO, Ancora sulla
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suntivo secondo cui in presenza di utili non contabilizzati e accertati in capo a società a ristretta base societaria (o familiare), può ritenersi che essi siano stati
«clandestinamente» 78 distribuiti ai soci, in quanto in grado di agevolmente determinare tale distribuzione, stante la complicità che ordinariamente avvince i membri di una compagine societaria ristretta ovvero a base familiare 79. La Suprema
Corte ha avuto modo di ritenere come tale «presunzione di distribuzione» sia in
possesso dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, necessari affinché essa
possa legittimamente essere utilizzata nell’accertamento tributario, proprio in quanto la specificità del caso concreto, ovvero la particolare composizione della società
(id est la ristretta base azionaria della società, compreso il più delle volte il suo carattere familiare), è tale da provare, in mancanza di elementi contrari offerti dal
contribuente, l’avvenuta percezione degli utili “occulti” da parte dei soci 80. Ne deriva
che spetterà al contribuente (e quindi, ai singoli soci) dimostrare che gli utili non
presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit.,
p. 1113; ID., Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili
(Nota a Comm. trib. prov., Reggio Emilia, sez. III, 22 aprile 2014, n. 186), in Riv. giur. trib., 2014, p.
701, PERRONE, Perché non convince la presunzione di distribuzione di utili “occulti” nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, in Riv. dir. trib., 2014, p. 575; RASI, La tassazione per trasparenza
delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo; ID.,
La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione
ed il problema della qualificazione del reddito, in questa Rivista, 2013, p. 119; MULEO, Alcune perplessità
in ordine a recenti orientamenti in tema di imputazione ai soci di maggiori utili accertati in capo a società a
ristretta base sociale (Nota a Cass. 29 gennaio 2008, n. 1906), in Riv. giur. trib., 2008, p. 712; FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, in Corr. trib., 2008, p. 1050; BENAZZI, La ristrettezza della base sociale legittima l’accertamento basato su criteri presuntivi, in Corr. trib., 2008,
p. 212. Tra i contributi meno recenti, si cita, senza pretesa di esaustività, BEGHIN, L’occulta distribuzione dei
dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, in Riv. giur. trib., 2004, p. 431; CERIANA, Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione degli utili, in Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1451; PICCARDO, Sul valore meramente indiziario della ristretta
base azionaria ai fini della prova della distribuzione ai soci di maggior reddito accertato a carico della società, in
Dir. prat. trib., 2004, II, p. 1109; ID., Ancora in tema di presunzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico
di una società di capitali a ristretta base azionaria, in Dir. prat. trib., 1998, II, p. 26; DELLA VALLE, Presunzione
di riparto di utili occulti nelle società a ristretta base societaria (Nota a Comm. trib. centr., sez. VII, 27 ottobre
1990, n. 7027), in Società, 1991, p. 826.
78
Il termine è ripreso da MARCHESELLI, op. cit., p. 91.
79
È principio ricorrente quello secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel
caso di una società a ristretta compagine societaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo a differenza di una società di persone una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della complicità che normalmente avvince un gruppo così composto –
la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci». V., ex multis, Cass., sez.
trib., 15 febbraio 2008, n. 3896, in Banca dati De Jure. In alcune occasioni, la Suprema Corte, anziché
ricorrere al termine “complicità”, che potrebbe sottendere analogie con la sfera dell’illeceità, si è espressa nei termini di “maggiore conoscibilità degli affari societari”. V. Cass., 15 febbraio 2008, n. 3896. Sottolinea la scarsa logicità del riferimento alla complicità, BENAZZI, op. cit., p. 212.
80
Così, Cass., sez. civ., 20 giugno 1994, n. 10059, in Banca dati De Jure.
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
487
sono stati percepiti, in quanto rimasti nel patrimonio della società ovvero in quanto percepiti da altri soggetti specificatamente individuati, in mancanza l’evasione
d’imposta sarà accertata 81.
Tale filone, coerentemente con la prassi dell’Amministrazione finanziaria, non
è univoco 82 nel determinare gli effetti conseguenti all’applicazione di tale “presunzione di distribuzione”. In particolare, la corrente maggioritaria di tale orientamento, fa conseguire all’applicazione di tale presunzione l’imputazione pro quota ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società, facendo riferimento al
regime della trasparenza “in senso stretto” 83 e, per tal via, qualificando il maggior
reddito ascritto ai soci quale reddito di partecipazione. Secondo la corrente minoritaria, invece, gli utili presuntivamente distribuiti dovrebbero essere prima tassati
in capo alla società secondo le regole ordinarie e, poi, in capo ai soci come redditi
di capitale 84.
La presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in ca-
81
TASSANI, op. cit., p. 120.
Dà contezza della mancanza univocità degli effetti dell’applicazione della presunzione in esame, RASI, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, cit., p. 40, nt. 22. Con specifico riferimento alla prassi dell’Amministrazione finanziaria, v. PAGANI, Accertamenti su società di capitali a ristretta base societaria. Quali conseguenze per i soci?, in Il Fisco, 2010, p. 4287. Per una critica alla qualificazione come imputazione per
trasparenza del ribaltamento ai soci degli utili in nero accertati in capo alle società di capitali a ristretta
base proprietaria, v. RASI, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria:
l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, cit., p. 132 ss., secondo
cui «Benché il ricorso in via diretta alla trasparenza abbia l’effetto pratico di definire in via immediata la posizione tributaria del socio, il suo utilizzo non convince e, ad avviso di chi scrive, per contrastare i fenomeni evasivi connessi agli utili extracontabili sarebbe preferibile qualificare il reddito in
esame come reddito di capitale». Sul punto, anche LOVECCHIO, La diabolica prova contraria alla presunta distribuzione di utili nelle società a ristretta base sociale, in Il Fisco, 2014, p. 1947, il quale ritiene
che «Non vi possono essere dubbi sul fatto che il reddito accertato nei confronti del socio appartenga alla categoria dei redditi di capitale e non certo ai redditi d’impresa, sub specie di redditi imputati per trasparenza ... Ne deriva che gli stessi devono essere sempre determinati tenendo conto
della quota esente da Irpef».
83
La Suprema Corte ha, in particolare, riconosciuto come gli utili o proventi prodotti e accertati
nei confronti di società di capitali a ristretta base azionaria, e dalle stesse non contabilizzati, siano direttamente riconducibili ai soci e accertabili in capo ad essi, legittimando un’applicazione in via endoprocedimentale della trasparenza fiscale, con un effetto di tassazione automatica/imputazione in capo ai
soci del maggior reddito accertato in capo alla loro partecipata, in proporzione alle rispettive quote di
partecipazione. Tale esito del procedimento induttivo in questione è stato spesso definito dalla dottrina come “trasparenza per presunzione”. Su tale concetto, v. RASI, La “trasparenza per presunzione” delle
società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione
del reddito, cit., p. 120. Sul tema, in generale, v. SALVINI, La tassazione per trasparenza, in Rass. trib.,
2003, p. 1504.
84
Cass., sez. trib., 14 maggio 2007, n. 10982; Cass., sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20851; Cass., sez.
trib., 5 maggio 2003, n. 6780, tutte reperibili in Banca dati De Jure. Contra Circolare ministeriale, 3 aprile
1968, n. 52, in merito alla quale si esprime in termini critici FALSITTA, Utili e dividendi, cit., p. 3.
82
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po alle società a ristretta base proprietaria risulta ancora un argomento fortemente
dibattuto, non riscontrando ampi consensi né nella giurisprudenza di merito 85 né,
tantomeno, nella dottrina.
Tra i punti maggiormente contestati vi è, in primis, il fatto che si tratterebbe di
una presunzione doppia e, quindi, illegittima 86, atteso che i maggiori utili accertati
in capo alla società attraverso un accertamento di tipo analitico-induttivo o induttivo puro, non costituirebbero un fatto noto, dal quale far discendere, attraverso
un ragionamento logico-presuntivo, il fatto ignoto della distribuzione ai soci di
maggiori utili, ma sarebbero già, di per sé, un fatto ignoto, in quanto conclusione
di un percorso presuntivo 87. La Suprema Corte ha, in diverse occasioni, rigettato
tale censura, sostenendo che «il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei
maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti di una società», ma dalla
ristrettezza della base sociale e dal «vincolo di solidarietà e di reciproco controllo
dei soci» 88.
Ciò, tuttavia, non è risultato sufficiente a determinare l’unanimità di opinioni
sul punto, atteso che non viene, in generale, condivisa la natura qualificata della
presunzione, il che comporta che essa non possa ex se fondare la pretesa distribuzione di utili ai soci, dovendo necessariamente essere corroborata da ulteriori elementi probatori 89. La dottrina ha, a tal proposito, rilevato come tale meccanismo
85
Si tratta di una querelle giurisprudenziale molto risalente nel tempo, per una compiuta trattazione
della quale, v. PICCARDO, Ancora in tema di presunzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico di una
società di capitali a ristretta base azionaria, cit., p. 28 ss.; RASI, La tassazione per trasparenza delle società
di capitali a ristretta base proprietaria. Profili ricostruttivi di un modello impositivo, cit., p. 37 ss.
86
In quanto violerebbe il principio di diritto per cui praesumptum de praesumpto non admittitur.
In tema, v., per tutti, CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005.
87
Come rinvenibile dalla giurisprudenza, il motivo di ricorso sicuramente più riproposto concerne l’asserita violazione del divieto di doppia presunzione. Si soffermano su tale aspetto, ex multis,
FICARI, Presunzione di assegnazione di utili extrabilancio ai soci e imputazione di costi fittizi, cit., 1053;
DELLA VALLE, op. cit., 826; PICCARDO, Ancora in tema, cit., 32; BENAZZI, op. cit., 213; ROMANO, Ricavi neri, costi inesistenti e presunzioni di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base
azionaria, in Il Fisco, 1991, p. 2055.
88
L’orientamento, pressoché unanime, è espresso in numerose pronunce, tra cui si ricorda:
Cass., 16 maggio 2002, n. 7174. Nello stesso senso, Cass. n. 2390/2000 e, più recentemente, Cass.,
15 febbraio 2008, n. 3896; Cass., 29 gennaio 2008, n. 1906; Cass., 11 ottobre 2007, n. 21415, tutte
reperibili in Banca dati De Jure. Secondo l’orientamento meno garantista, si renderebbe ammissibile
accertare maggiori redditi di capitale in capo al socio e decidere la questione in sede giurisdizionale
(pur se provvisoriamente) anche nel caso in cui l’esistenza di “extrautili” costituisce un fatto non
ancora definitivamente accertato.
89
Uno degli argomenti apportati in tal senso dalla dottrina si basa sul fatto che, a differenza delle
società di persone, per le società di capitali l’imposizione in capo al socio degli utili societari si fonda
sul principio di cassa; risulterebbe, pertanto, necessario che la presunzione in questione sia idonea a
dimostrare in modo univoco l’effettiva percezione dei dividendi. V., ex multis, VOGLINO, Ancora su
alcuni persistenti “luoghi comuni” in tema di presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati
nelle società a ristretta base azionaria o familiare (Nota a Cass., sez. I civ., 10 marzo 1992, n. 2870), in
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
489
presuntivo potrebbe assumere il «rango di “prova completa” ex art. 2729 c.c.» e,
quindi, «essere conforme al sistema» se la ristretta base sociale fosse affiancata da
altri «fatti-indice», quali, ad esempio, l’analisi dei movimenti bancari dei soci 90.
Ancora, con riferimento agli effetti dell’applicazione della presunzione, è stato ravvisato il pericolo di una doppia imposizione sugli utili 91.
Boll. trib., 1993, p. 1404, secondo cui, la presunzione di distribuzione in caso di società a ristretta
base familiare non sarebbe illogica di per sé, ma dovrebbe essere supportata da altri elementi per
arrivare a quella gravità, precisione e concordanza, in mancanza della quale il contribuente si troverebbe nell’impossibilità di esercitare un’efficace difesa; BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi
nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, cit., p. 434. In questi termini, di recente, CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di
utili occulti nelle società di capitali “a ristretta base proprietaria”, cit., p. 1116, secondo cui «Vi è, dunque, una “distanza” logica, che va colmata, tra l’esistenza di utili non dichiarati e la loro effettiva distribuzione (parziale o totale) ai soci: è necessaria la prova, anche presuntiva, dell’effettiva percezione da parte del socio del maggior utile occulto della società, essendo la ristrettezza della compagine
sociale, in mancanza di altri attendibili elementi probatori, insufficiente a far ritenere che, con maggiore probabilità rispetto ad altre ipotesi possibili, i maggiori utili accertati alla società siano stati
effettivamente ripartiti tra i soci». In senso concorde, MARCHESELLI, op. cit. Anche la giurisprudenza
di merito maggioritaria si esprime in tal senso. V., di recente, CTP Reggio Emilia, sez. III, 22 aprile
2014, n. 186, in Riv. giur. trib., 2014, p. 700, con nota di CONTRINO, Ristretta base sociale e prova mediante presunzione semplice della distribuzione occulta di utili, ivi, p. 701, il quale cita, condividendolo,
l’assunto dei Giudici di merito secondo il quale «[...] la ristretta base partecipativa societaria può, sì,
costituire l’incipit di un iter accertativo che, però, acquisisce una sua concretezza e valenza, solo se
supportato da altri elementi indiziari “concretamente” rilevanti: insomma, di per sé, la ristrettezza
della base partecipativa societaria non può essere qualificata quale presunzione grave, precisa e concordante».
90
V. CONTRINO, Ancora sulla presunzione di distribuzione di utili occulti nelle società di capitali
“a ristretta base proprietaria”, cit., p. 1116; ID., Ristretta base sociale e prova mediante presunzione
semplice della distribuzione occulta di utili, cit., p. 703, il quale, nello specifico, sostiene che sussisterebbe in capo all’Ufficio l’onere di «attivarsi per ricercare “fatti-indice” di erogazioni derivate
e consequenziali della fonte principale, il bilancio societario, quale possibile provenienza di mezzi
per l’instaurazione di ulteriori sintomatiche fonti, quali, ad esempio, conti bancari/postali o di
altro genere dei soci con movimenti, nel periodo di imposta accertato o nei successivi, ricollegabili per entità agli utili extra-contabili accertati ai soci stessi; eventuali acquisti immobiliari, nelle
stesse circostanze temporali; operazioni finanziarie (acquisto di titoli, di fondi comuni, di partecipazioni in altre società, ecc.); polizze per rendite vitalizie o pensionistiche; tenore di vita (abitazioni; disponibilità di personale domestico; soggiorni all’estero; viaggi; crociere; automobili di
lusso, ecc.)». In senso conforme, MARCHESELLI, op. cit., p. 88 e già BEGHIN, L’occulta distribuzione
dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e
prova per presunzioni, cit., p. 435, il quale, a titolo meramente orientativo e con riferimento alla
sentenza analizzata, sostiene come «un controllo bancario in capo alla società avrebbe potuto
opportunamente rilevare la diminuzione di disponibilità in testa all’ente partecipato, magari confermata attraverso un controllo parallelo in capo ai soci, dal quale avrebbe potuto emergere, a sua
volta, un incremento delle rispettive disponibilità. Ciò avrebbe consentito, non solo di selezionare meglio i soggetti da accertare (non già “tutti” i soci, bensì i soli soci incapaci di giustificare
l’incremento dei propri conti bancari), ma anche di offrire elementi in ordine al periodo d’imposta al quale imputare i suddetti redditi di capitale».
91
Ciò è stato ravvisato, con riferimento al meccanismo previsto dalla corrente minoritaria di tale
490
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
Alla luce delle suesposte considerazioni, sembra possibile ipotizzare un confronto tra la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria e la presunzione di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi (e
di conseguente distribuzione di utili extracontabili ai soci).
Può, in primo luogo, rilevarsi come entrambe trovino fondamentale applicazione nel contesto di società di capitali a ristretta base societaria, confermando la tendenza della giurisprudenza di legittimità ad avallare specifici iter presuntivi strettamente correlati al tale forma societaria.
In secondo luogo, entrambi i meccanismi presuntivi traggono una correlazione tra accertamento di utili extracontabili in capo alla società e distribuzione di
dividendi ai soci 92. Entrambe, infatti, condividono una nozione sostanziale di dividendo, proponendosi di contrastare il fenomeno della distribuzione di utili occulti. Ciò comporterebbe una equiparazione anche sul piano degli effetti: da entrambi i meccanismi presuntivi, potrebbe, infatti, conseguire il recupero a tassazione degli utili extracontabili in capo alla società secondo le regole ordinarie e il
successivo e distinto intervento nei confronti dei soci per i maggiori dividendi
presuntivamente ottenuti in relazione ai ricavi non dichiarati dalla società (quali
redditi di capitale).
Tuttavia, sembrerebbe che la presunzione operi nei due casi secondo diverse
direzioni: nell’un caso si presume che gli utili extracontabili della società siano stati
distribuiti ai soci, nell’altro che la disponibilità finanziaria dei soci provenga dalla
società e, quindi, faccia presumere una distribuzione occulta di utili.
orientamento, secondo la quale il maggior reddito accertato in capo alla società si trasformerebbe in
maggiore reddito in capo al socio e non con riferimento alla corrente maggioritaria (trasparenza “in
senso stretto”), nel qual caso la società rimarrebbe detassata ed il socio, a sua volta, colpito, a prescindere dalla distribuzione degli utili. Sul punto, v. BEGHIN, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali a «ristretta base» tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, cit., p. 434; FEDELE, Le “piccole” società di capitali nel diritto tributario, cit., p. 9, RASI, La “trasparenza per presunzione” delle società a ristretta base proprietaria: l’attendibilità della presunzione ed il problema della qualificazione del reddito, cit., p. 132 ss. Tale doppia imposizione che si verrebbe a creare è
stata ricondotta al novero delle c.d. “sanzioni improprie”. V. sul punto, GALLONE, Presunzione di distribuzione extra-bilancio di utili nelle società di capitali a ristretta base: in quale misura i maggiori utili accertati possono formare oggetto di tassazione in capo al socio, in Il Fisco, 1995, p. 5047 ss.; ROMANO, op.
cit., p. 2053 ss. Su tale tema, v. FREGNI, Appunti in tema di doppia imposizione interna, in Riv. dir. fin.
sc. fin., 1993, II, p. 14 ss.
92
Non a caso, l’Amministrazione finanziaria, in un caso simile a quello trattato dalla sentenza in
commento, aveva contestato la fittizietà dei finanziamenti infruttiferi proprio sulla base della presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base proprietaria. V.
Cass., sez. trib. 12 marzo 2009, n. 5928, cit.
Cass., sez. trib., 19 giugno 2015, n. 12764
491
5. Osservazioni conclusive
Come noto, i rapporti tra soci e società a ristretta base azionaria costituiscono
ormai da tempo oggetto di particolare attenzione da parte dell’Amministrazione
finanziaria in occasione di controlli e, quindi, di successivi accertamenti. La tendenza è quella di immedesimare sempre più nella fase del controllo, come in quella
del successivo accertamento, la società con i (pochi) soci, con la conseguenza che,
eventuali violazioni in capo all’una o agli altri, finiscono per avere effetti tanto sulla
società che sui soci. Ne consegue, spesso, l’utilizzo di iter logici ad hoc, poi confermati dalla Corte di Cassazione, come nel caso della presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria.
In tale contesto si pone la sentenza in commento, la quale affronta una problematica abbastanza peculiare nell’ambito dei citati rapporti tra società e soci ovvero
l’effettuazione di finanziamenti infruttiferi. L’iter presuntivo analizzato origina fondamentalmente dal comportamento antieconomico del contribuente, il quale si
esplica in una serie di atti privi di ogni logica economica (sostanziantesi fondamentalmente nel costante e cospicuo ricorso ai finanziamenti infruttiferi e nella loro successiva restituzione in tempi brevi). Da un simile contesto indiziale, l’Amministrazione ha più volte inferito l’inesistenza/simulazione della passività finanziamenti
infruttiferi, riqualificandola come ricavi extracontabili, nonché, di conseguenza,
l’inesistenza/simulazione della restituzione di tali finanziamenti, riqualificandola
come distribuzione di dividendi.
Tale meccanismo presuntivo “a catena” si propone, quindi, la finalità di contrastare la distribuzione di utili occulti in società a ristretta base azionaria, allineandosi, sotto questo punto di vista, alla presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria.
Esso, inoltre, evidenziando la possibile finalità evasiva dei finanziamenti dei soci, può essere valorizzato nel senso di rappresentare una esemplificazione della ratio che sta alla base della richiesta, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della
comunicazione dei dati relativi ai finanziamenti e alle capitalizzazioni dei soci (e
dei loro familiari) alle imprese 93.
Va ad ogni modo rilevato, come a differenza della presunzione di distribuzione
di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base azionaria, il meccanismo presuntivo in questione non può ritenersi una “presunzione giurisprudenziale” ma
soltanto una prassi dell’Amministrazione finanziaria che, in diverse occasioni, ha
ricevuto l’avallo della Suprema Corte. Dalle sentenze della Corte di Cassazione sul
tema (tra cui anche quella commentata), seppur sia possibile individuare una ri-
93
Sul punto, v. FERRANTI, Le comunicazioni dei finanziamenti alle imprese relative al 2013, in Il Fisco, 2014, p. 3715.
492
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
correnza di fatti-indice, rivelatori di fittizietà dei finanziamenti infruttiferi 94, non
può, infatti, trarsi il principio di diritto secondo cui i finanziamenti infruttiferi effettuati di una società di capitali a base familiare, apparentemente non fondati sul
piano della ragionevolezza economica e dei quali non sembra accertabile con certezza la provenienza 95, comportino la presunzione di occultamento di utili da parte della società.
Paola Batalocco
94
Valorizzata in sede di giurisprudenza di merito. V. CTR Bari, sez. XI, sent. 18 gennaio 2016, n.
59, cit.
95
Nella maggior parte dei casi, la Suprema Corte si è limitata rilevare che la sentenza di secondo
grado non è stata sufficientemente motivata dal Giudice, in quanto, tra l’altro, non sono state indicate ragioni sufficienti per attestare l’effettività dei finanziamenti, atteso che gli apporti di capitale in
questione, eseguiti nelle condizioni sopra esaminate, avrebbero richiesto giustificazioni più consistenti in merito alla provenienza delle relative somme.
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054 – Pres. Amoresano, Rel.
Manzon, P.M. Gaeta (diff.), Ric. P.P. (Avv. di Santo) – Annulla con rinvio Trib.
Foggia, 24 luglio 2015
Reati tributari – Omesso versamento IVA (art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000) – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente verso organi della
persona giuridica non estranea al reato
Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei
confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da loro commessi, quando
la misura cautelare reale preventiva può essere attuata direttamente nel patrimonio
dell’Ente rappresentato, quale percettore/detentore del profitto del reato fiscale (nella
specie trattasi del reato di omesso versamento IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000).
Omissis
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 24/07/2015 il Tribunale di Foggia rigettava la richiesta di
riesame proposta da P.P. avverso il decreto di sequestro preventivo del GIP presso il
Tribunale stesso in data 11/05/2015 avente ad oggetto beni dell’indagato.
Rilevava il Tribunale che, essendo sufficiente ai fini cautelari l’astratta configurabilità di un reato (nel caso di specie quello di cui al D.L. n. 74 del 2000, art. 10 ter, anno
di imposta 2011, Euro 340.429,00 IVA non versata), la mancata escussione preventiva
del patrimonio dell’Ente rappresentato dall’indagato (effettivo contribuente) non potevasi considerare condizione di validità del disposto sequestro. Soggiungeva che l’estraneità al reato del P. avrebbe dovuto essere oggetto del giudizio meritale, non potendosene comunque escludere il dolo. Infine affermava la non revocabilità del sequestro essendo finalizzato, ancorché “per equivalente”, alla confisca obbligatoria né la
sostituibilità dei beni sequestrati, stante il disposto dell’art. 324 c.p.p., comma 7.
2. Avverso tale decisione, tramite il difensore fiduciario, propone ricorso per cassazione il P. deducendo un unico motivo articolato in diversi profili di violazione dell’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter e art. 322
ter c.p.
2.1. Anzitutto censura l’ordinanza impugnata, affermando di non essere l’autore del
reato in quanto non firmatario della correlativa dichiarazione annuale IVA, a suo dire
non bastando a tal fine la qualifica rivestita di legale rappresentante pro tempore dell’Ente societario soggetto passivo di tale imposta. Il ricorrente si duole della non adeguatezza sul punto della motivazione del Tribunale, a suo dire limitatosi ad un rece-
494
RTDT - n. 2/2016
GIURISPRUDENZA
pimento acritico della tesi accusatoria, senza adeguata ponderazione dei contrari elementi addotti difensivamente.
2.2. Il P. poi lamenta la mancata preventiva escussione del patrimonio dell’Ente rappresentato, affermando la sequestrabilità del patrimonio dello stesso.
Omissis
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Il complesso motivo di ricorso proposto, pur essendo inammissibile per il profilo articolato in ordine agli aspetti inerenti il merito dell’imputazione provvisoria, pacificamente non sindacabili da questa Corte, risulta dirimentemente accoglibile per gli
altri profili dedotti.
1.2. Si deve rilevare in premessa che avverso le ordinanze emesse dal Tribunale in
sede di riesame ex art. 324 c.p.p., è prevista dall’art. 325, stesso codice, la possibilità del
ricorso per cassazione, ma soltanto per violazione di legge. Peraltro la giurisprudenza
consolidata di questa Corte ravvisa tale vizio anche nella mancanza assoluta di motivazione o per la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p. – che
impone la motivazione anche per le ordinanze – ma non la manifesta illogicità della
motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art. 606 c.p.p., lett. e) (cfr. Cass., S.U., n. 5876
del 28.1.2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710). Sempre le S.U. di questa
Corte hanno anche specificato che nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o
del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice
(sentenza n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, Rv. 25932).
Nel caso concreto la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta affetta dalle carenze suindicate e deve quindi affermarsi non conforme allo standard previsto dalle
norme processuali correlative ed in particolare da quella di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, apparendo tale radicale vizio motivazionale sussistente rispetto ad entrambi i
primi due profili della censura articolata dal ricorrente.
1.3. Ciò anzitutto deve essere rilevato rispetto al punto motivazionale inerente la
sussistenza del fumus commissi delicti.
Il Tribunale ha in merito evocato risalenti ed ormai superati precedenti giurisprudenziali di questa Corte, essendosene evoluto il correlativo indirizzo ermeneutico nel
senso che “Nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non
debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto,
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
495
ai fini dell’individuazione del ‘fumus commissi delicti’, non è sufficiente la mera ‘postulazione’ dell’esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice,
nella motivazione dell’ordinanza, deve rappresentare le concrete risultanze processuali
e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, che dimostra indiziariamente
la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura
cautelare reale” (così, ex multis, Cass., sezione quinta, n. 28515 del 21/05/2014, Ciampani e altri, Rv. 260921).
La difesa del P. aveva posto delle questioni in ordine alla ascrivibilità del reato fiscale de quo all’indagato/sequestrato. Si tratta di specifiche argomentazioni difensive,
concernenti i tempi e le modalità di assunzione da parte del P. del mandato rappresentativo dell’Unione Sportiva Foggia spa, il fatto che egli non abbia firmato la dichiarazione IVA relativa al 2011, l’assenza dell’elemento soggettivo. Su tali questioni il Tribunale del riesame foggiano non ha risposto (limitandosi alla mera presa d’atto della
tesi accusatoria ovvero adducendo una motivazione postergatoria e comunque meramente apparente) mentre, alla luce di detto orientamento della giurisprudenza di questa Corte, doveva farlo.
1.4. Ancor più inconsistente risulta essere la motivazione dell’ordinanza impugnata
sul secondo profilo dedotto dal ricorrente, incentrato sulla mancata previa escussione
del patrimonio della società rappresentata dall’indagato, limitandosi a citare un unico
precedente di legittimità, anch’esso ampiamente superato nell’evoluzione giurisprudenziale di questa Corte in tema di sequestro preventivo “diretto” e per “equivalente”.
Per vero, tuttavia nemmeno il ricorrente pone la questione nei suoi esatti termini
giuridici.
Non si tratta infatti di affermare un insussistente beneficium excussionis in favore
delle persone fisiche che, agendo quali rappresentanti legali di persone giuridiche, siano autori di reati fiscali del cui profitto si implementi il patrimonio degli Enti rappresentati, quanto piuttosto, ai fini della rispettiva operatività, di distinguere le due tipologie di sequestro preventivo previste dagli artt. 321 c.p.p., comma 2 bis, in riferimento
all’art. 322 ter c.p., commi 1 e 2, ossia, a detti fini, di distinguere tra sequestro preventivo “diretto” del profitto del reato fiscale e sequestro preventivo “per equivalente”.
In questo senso ha fatto definitiva chiarezza la sentenza delle S.U. penali di questa
Corte n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, sia in termini generali sia, per ciò che appunto rileva nel caso in oggetto, relativamente alla corretta consecuzione giuridico-procedimentale tra le due tipologie di sequestro finalizzato alla confisca.
Tale arresto nomofilattico in particolare (punto 2.10 del Considerato in diritto) ha
statuito che “È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella
disponibilità di tale persona giuridica”.
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente
496
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato
tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio”.
“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente
nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni
fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto
dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella
giuridica) non estranea al reato”.
“La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il
profitto di reato”.
Risulta dunque evidente che nel caso di specie tali principi di diritto siano stati violati, essendosi fatta applicazione erronea delle norme processuali e sostanziali evocate
dal ricorrente. Il Tribunale di Foggia infatti, come detto richiamando un precedente
nemmeno effettivamente pertinente, non ha minimamente considerato la possibilità,
pure concretamente prospettata dal ricorrente stesso, che la misura cautelare reale
preventiva potesse e possa essere attuata “direttamente” sul patrimonio dell’Ente rappresentato, quale percettore/detentore del profitto del reato fiscale ossia della somma
pari a quella non versata per l’Iva dovuta in relazione all’anno d’imposta 2011. Ma
questa carenza motivazionale è chiara conseguenza delle violazioni di legge che sono
state sopra rilevate.
2. In conclusione l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Foggia affinché, considerati i principi di diritto enunciati, proceda a nuovo riesame della misura cautelare in oggetto.
Omissis
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
497
In tema di confisca del profitto per reati tributari commessi
dal legale rappresentante della persona giuridica
On the confiscation of the profit for tax crimes committed
by the company’s legal representative
Abstract
Nelle ipotesi tipicamente ricorrenti in materia di reati tributari – come nel caso
di omesso versamento d’IVA previsto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 – la Sezione III della Cassazione è ormai protesa a ritenere possibile la confisca diretta
del profitto nei confronti della persona giuridica per reati commessi dal legale
rappresentante della stessa; confisca da intendere non già per equivalente bensì
in via diretta e, dunque, legittima, laddove avente ad oggetto beni fungibili come
le somme di denaro.
Premessi brevi cenni sul dato normativo sottostante alla pronuncia in esame si
cercherà di verificare l’operatività di tali enunciazioni anche a fronte del D.Lgs.
24 settembre 2015, n. 158, con il quale è stata riformata la disciplina dei reati tributari.
Infine, l’analisi si soffermerà su alcuni aspetti critici della confisca del reato fiscale,
alla luce della giurisprudenza convenzionale ed in prospettiva de jure condendo.
Parole chiave: reati finanziari e tributari, profitto del reato tributario, confisca
diretta, confisca per equivalente, riforma dei reati tributari
In the most frequent cases in the field of tax crimes – e.g. the case of omitted payment
of VAT provided by art. 10 ter of Legislative Decree no. 74/2000 – the Third Chamber of the Supreme Court strongly considers possible the direct confiscation of the profit towards the company in presence of crimes committed by its legal representative.
Such confiscation is not “for equivalent value”, but “direct”, being aimed at attaching
certain fungible goods such as sums of money.
After giving brief remarks on the legislation underlying the commented decision, we
will try to check the operability of such provisions also in the light of Legislative Decree
no. 158 of 24 September 2015, through which the entire discipline of tax crimes has
been reformed. Finally, the analysis will focus on certain critical aspects of confiscation
in presence of tax crimes, in the light of the case law of European Court of Human
Rights and in a de jure condendo perspective.
Keywords: financial and tax crimes, profit of the tax crime, direct confiscation, confiscation for equivalent value, reform of tax crimes
498
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
SOMMARIO:
1. Premessa. – 2. La decisione della Corte. – 3. Omesso versamento d’IVA e confisca del profitto: la riforma del sistema penale tributario. – 4. La ratio essendi della confisca per equivalente. –
5. Confisca del profitto: la giurisprudenza di legittimità. – 6. La confisca presso la persona giuridica. – 7. La posizione della Sezione III. – 8. Osservazioni conclusive.
1. Premessa
La pronuncia in commento si inserisce nel solco della controversa vicenda relativa alla distinzione tra sequestro diretto e sequestro per equivalente, aventi entrambi finalità di confisca. La tematica è da qualche anno a questa parte una tra le
più dibattute da dottrina e giurisprudenza, stanti le importanti ricadute anche e
soprattutto sul piano del diritto quotidianamente praticato nelle aule giudiziarie.
In particolare, i giudici della Sezione III di Cassazione hanno ricostruito i rapporti tra sequestro preventivo per equivalente nei confronti dell’indagato e sequestro sul patrimonio dell’Ente in tema di reati tributari.
La problematica non è di poco conto atteso che, nella maggior parte degli illeciti fiscali, la persona fisica-autore del reato non coincide con il reale beneficiario
dell’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, allorché il contribuente sia una
persona giuridica. In questi casi, infatti, l’Ente rappresentato dall’autore, pur essendo soggetto ontologicamente differente, incamera i benefici fiscali derivanti dalla
commissione dell’illecito.
La domanda che ne consegue, pertanto, è se, ed in quali circostanze, la divergenza soggettiva nello schema di commissione del reato testé delineato possa riflettersi sull’individuazione del soggetto su cui far ricadere gli effetti della misura cautelare reale finalizzata alla confisca del profitto.
2. La decisione della Corte
Con la pronuncia in esame i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso
dell’indagato – al quale è stato contestato il reato di omesso versamento d’IVA previsto dall’art. 10 ter, D.Lgs. n. 74/2000 (nella formulazione precedente alla recente
riforma dei reati tributati) – ritenendo “inconsistente” la motivazione addotta dal
Tribunale di Foggia per giustificare la mancata preventiva escussione del patrimonio della società rappresentata.
La Corte ha ravvisato una violazione di legge nell’erronea distinzione tra le due
tipologie di sequestro preventivo previste dall’art. 321, comma 2 bis, c.p.p. in riferimento all’art. 322 ter, commi 1 e 2, c.p. ossia tra sequestro preventivo “diretto”
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
499
del profitto del reato fiscale e sequestro preventivo “per equivalente”.
Per la Suprema Corte doveva essere considerata l’opportunità di attuare la misura cautelare reale preventiva “direttamente” sul patrimonio dell’Ente rappresentato, atteso che questi fosse percettore/detentore del profitto del reato fiscale, ossia della somma pari a quella non versata per l’IVA dovuta in relazione all’anno
d’imposta 2011.
Sulla base delle statuizioni enunciate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza Gubert 1, la Sezione III ha annullato l’ordinanza impugnata
rinviando al Tribunale affinché proceda a nuovo riesame della misura cautelare
reale.
3. Omesso versamento d’IVA e confisca del profitto: la riforma del sistema penale tributario
La complessità delle problematiche sottese al tema del sequestro finalizzato alla
confisca, nonché l’applicazione di tale misura ablativa a beni appartenenti non al
soggetto autore del reato, bensì ad un ulteriore e distinto soggetto giuridico che risulta destinatario dei proventi, rendono imprescindibile un inquadramento sistematico del dato normativo che ha interessato la pronuncia in rassegna, anche alla
luce della recente riforma del sistema penale tributario.
Come noto, il reato di omesso versamento d’IVA 2, previsto dall’art. 10 ter,
D.Lgs. n. 74/2000 3 si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in
base alla dichiarazione annuale 4, entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta dell’anno successivo.
La fattispecie è stata riscritta di recente con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158
e con ciò ha assunto una formulazione autonoma, non più costruita per relationem
rispetto al delitto di omesso versamento di ritenute dovute e certificate disciplinato dall’art. 10 bis. Va tuttavia precisato che, seppur nella sostanza la nuova ipotesi
1
V. Cass., sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561.
MARTINI, Reati in materia di finanze e tributi, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, a cura di
Grosso-Padovani-Pagliaro, XVII, Milano, 2010, p. 591; SOANA, Crisi di liquidità del contribuente e
omesso versamento di ritenute certificate e di Iva, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; SOANA, I reati
tributari3, Milano, 2013, p. 296; VALSECCHI, Omesso versamento delle ritenute certificate e dell’Iva (artt.
10 bis e 10 ter, D.lgs. 74/00) per insolvenza del contribuente, in www.dirittopenalecontemporaneo.it.
3
Per alcune considerazioni a prima lettura sulla nuova disciplina dei reati tributari si veda il
commento di PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, p. 28; PERRONE, La nuova
disciplina dei reati tributari: “luci” ed “ombre” di una riforma appena varata, in Riv. dir. trib., 2015, p. 61.
4
Per una disamina del sistema sanzionatorio tributario e dei suoi rapporti con il principio del ne
bis in idem in ambito CEDU, si ricordi PEPE, Sistema sanzionatorio tributario e ne bis in idem CEDU:
la dimensione antropologica di un (irriducibile?) conflitto, in Riv. dir. trib., 2015, p. 490.
2
500
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RTDT - n. 2/2016
appaia sostanzialmente equivalente alla precedente, non mancano alcuni elementi
di novità.
Per quel che qui interessa, merita attenzione l’innalzamento delle soglie di punibilità contemplate nell’art. 10 ter stante l’elevazione del limite minimo da euro
cinquantamila a euro duecentomila 5.
È stato dunque ridotto l’ambito di rilevanza penale della fattispecie, lasciando
residuare l’esclusiva operatività delle sanzioni amministrative per una cospicua parte di condotte illecite, in relazione alle quali il legislatore, evidentemente, ha ritenuto
che la tutela penale non sia necessaria 6. Insomma, una decisa depenalizzazione a
cui non si accompagna un aggravamento del trattamento sanzionatorio delle residue fattispecie criminose. A tal proposito, merita evidenziare che la riforma incide
non solo sui fatti di futura commissione, ma anche sotto il profilo dell’abolitio criminis delle passate omissioni 7.
In secondo luogo, la riforma ha introdotto nel corpus del D.Lgs. n. 74/2000, un
nuovo art. 12 bis, avente ad oggetto un’ipotesi di confisca obbligatoria, anche per
equivalente, del prezzo e/o del profitto del reato 8.
L’art. 12 bis, tuttavia, non costituisce una vera e propria novità poiché, ante riforma, l’applicazione della confisca obbligatoria ai reati tributari – e il relativo sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. – avveniva grazie al richiamo operato dall’ormai abrogato art. 1, comma 143, L. 24 dicembre 2007, n. 244, secondo il quale
«[n]ei casi di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10
quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322 ter
c.p.». Si tratta dunque di una ricognizione meramente sistematica, la quale ha fatto
5
Per la ritenuta incompatibilità di una tale soglia con la normativa europea che governa l’imposta sul valore aggiunto, v. l’ordinanza di rimessione della questione alla CGUE di Trib. Varese, 30
ottobre 2015, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, sulla quale si veda AMADEO, sub art. 13, in NOCERINO-PUTINATI (a cura di), La riforma dei reati tributari, Torino, 2015, p. 325.
6
Per i rapporti tra sanzione amministrativa e sanzione penale alla luce della giurisprudenza della
Corte EDU si rimanda a ALESSANDRI, Prime riflessioni sulla decisione della Corte Europea dei Diritto dell’Uomo riguardo alla disciplina italiana degli abusi di mercato, in Giur. comm., 2014, I, p. 855; FLICK,
Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in Rass. trib.,
2014, p. 939; FLICK-NAPOLEONI, Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario
morto?, in Società, 2014, p. 953; SANTORIELLO, La sentenza Ifil-Grande Stevens, la giurisprudenza comunitaria sul divieto di punire più volte la medesima condotta e le conseguenze sulla responsabilità da
reato degli enti collettivi, in Rivista 231, n. 4, 2014, p. 43; ZACCONE-ROMANO, Il concorso tra sanzioni
penali e sanzioni amministrative: le fattispecie di cui agli artt. 185 e 187 ter TUF alla luce di una recente
sentenza della Corte di Strasburgo, in Riv. dir. trib., 2014, p. 147.
7
Per una disamina degli effetti intertemporali prodotti dalla riforma delle soglie di punibilità si
rimanda a Trib. Udine, 1° febbraio 2016, con nota di FINOCCHIARO, Abolitio criminis e reati tributari
“sotto-soglia”: uno dei primi provvedimenti di revoca del giudice, in www.dirittopenalecontemporaneo.it,
19 febbraio 2016.
8
SANVITO, La nuova confisca obbligatoria in caso di reati tributari trova collocazione sistematica, in
Il Fisco, 2015, p. 3143; TASSANI, La “nuova” confisca tributaria, in Il Fisco, 2015, p. 4130.
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
501
fronte all’infelice collocazione che il Legislatore aveva precedentemente offerto
all’istituto. Non è invece stato toccato dalla novella il sequestro preventivo di cui
all’art. 321 c.p.p., il quale rimane strumento finalizzato a creare un vincolo di indisponibilità sulle cose oggetto di confisca nella fase delle indagini preliminari e comunque prima che si arrivi ad una condanna.
A sua volta, giova ricordare che l’art. 322 ter c.p. – che disciplina l’istituto della
confisca diretta e di valore per i reati contro la Pubblica Amministrazione – è stato
oggetto di importanti modifiche ad opera dell’art. 1, comma 75, lett. o), L. 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della
corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.
In particolare, la novella del 2012 ha esteso l’ambito di operatività della confisca per equivalente al “profitto” 9 del reato.
Il dettato letterale precedente aveva indotto la giurisprudenza ad escludere l’applicabilità della confisca di valore al “profitto”, con l’ulteriore conseguenza che il
modello per equivalente non poteva essere applicato a reati come la malversazione
a danno dello Stato o il peculato, fattispecie per le quali non era concettualmente
prevedibile un prezzo 10.
La preclusione era stata dedotta anche in considerazione dei profili afflittivi della confisca per equivalente e della conseguente esigenza di rispettare a pieno i canoni di stretta legalità 11.
4. La ratio essendi della confisca per equivalente
Come noto, la Suprema Corte, con la sentenza delle Sezioni Unite Lucci n.
31617/2015 12, ha affermato che la ratio essendi della confisca per equivalente sta
9
V. ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, in DOLCINI-PALIERO (a cura di),
Scritti in onore di Giorgio Marinucci, III, Milano, 2006, p. 2107; BOTTALICO, Confisca del profitto e responsabilità degli enti tra diritto ed economia: paradigmi a confronto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p.
1749; CARACCIOLI, Reati tributari e confisca per equivalente, in Riv. dir. trib., n. 3, 2012, p. 27; GRASSO,
sub art. 240, in Commentario sistematico del codice penale2, a cura di Romano-Grasso-Padovani, III,
Milano, 2011, p. 611 ss.; MAUGERI, La confisca per equivalente – ex art. 322-ter – tra obblighi di interpretazione conforme ed esigenze di razionalizzazione, nota a Cass. pen., sez. un., 25 giugno 2009, n. 38691,
in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 777; SANTORIELLO, Sul recente orientamento della Cassazione in tema
di sequestro preventivo nei reati tributari e sul valore delle presunzioni legali, nota a Cass., sez. III, n.
26746/2015, in Riv. dir. trib., n. 3, 2015, p. 53.
10
Cass., sez. un., 25 giugno 2009, n. 38691, Rv. 244189; Cass., sez. VI, 17 marzo 2010, n. 12819,
Rv. 226691.
11
V. ex plurimis Cass., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Rv. 255037; Cass., sez. III, 6 marzo
2014, n. 18311, Rv. 259103; Cass., sez. III, 27 marzo 2013 Rv. 256164; P. VENEZIANI, La punibilità.
Le conseguenze giuridiche del reato, in Trattato di Diritto penale, Parte generale, a cura di Grosso-Padovani-Pagliaro, II, Milano, 2014, p. 515.
12
V. Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617.
502
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
nell’impossibilità di procedere all’ablazione diretta della cosa che presenti un nesso
di derivazione qualificata con il reato. Solo qualora non si possa procedere alla misura diretta l’ordinamento rende applicabile uno strumento che “sterilizzi” sul piano patrimoniale il beneficio che l’autore del fatto ha tratto, attraverso una misura
ripristinatoria che incida direttamente sulle disponibilità dell’imputato, deprivandolo del tantundem sul piano monetario 13.
In altri termini, l’oggetto della confisca per equivalente non presenta alcun nesso di pertinenzialità con il reato, rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria 14.
Sulla tematica ha inciso particolarmente la giurisprudenza della Corte EDU 15,
la quale, a partire dallo storico caso Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, è chiara
e costante nell’enunciare i criteri di apprezzamento alla stregua dei quali delineare
la cosiddetta materia penale ai fini del riconoscimento delle corrispondenti garanzie tracciate dagli artt. 6 e 7 della Convenzione.
In primis, fondamentale è la qualificazione della misura da parte del diritto nazionale, nel senso che se lo Stato membro ha concepito una certa violazione come
di natura penale l’applicabilità dei princìpi garantistici è fuori discussione. Quando
invece la fattispecie è qualificata dal diritto interno come violazione di natura amministrativa entrano in gioco due ulteriori criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo. Da un lato, occorre verificare la natura di tale violazione, desunta in particolare
dal suo ambito applicativo e dagli scopi per i quali la sanzione è prevista 16. Dall’altro, occorre aver riguardo alla natura ed alla gravità delle conseguenze che l’or13
Per alcune considerazioni sul tema, CARACCIOLI, Reati tributari e confisca per equivalente,
cit., p. 27; CARACCIOLI, Reati tributari contestati a dirigenti di istituto bancario ed inapplicabilità della confisca per equivalente, in Riv. dir. trib., 2012, p. 57; GIANGRANDE, La confisca per equivalente nei
reati tributari: tra legalità ed effettività, in Dir. prat. trib., n. 1, 2013, p. 173; MONGILLO, Confisca
(per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 2015, p. 716; ROMANO, Confisca, Responsabilità degli Enti, reati tributari, in Riv. it. dir. e
proc. pen., 2015, p. 1674; RUGGIERO, Inquadramento dogmatico e questioni applicative della confisca
per equivalente in materia penal-tributaria, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2011, p. 886;. SANTORIELLO, Reati transanazionali, confisca per equivalente ed illeciti fiscali in una decisione della Corte di
cassazione, nota a Cass., sez. III, n. 11629/2011, in Riv. dir. trib., n. 3, 2011, p. 109; SOLDI, Rassegna
di giurisprudenza sul sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con particolare riferimento al concetto di “disponibilità” dei beni da parte dell’autore del reato: il caso Unicredit e altri, in
Riv. dir. trib., 2012, p. 787.
14
Si veda MANES, La “confisca senza condanna” al crocevia tra Roma e Strasburgo: il nodo della presunzione d’innocenza e MAZZACUVA, La confisca disposta in assenza di condanna viola l’art. 7 CEDU,
entrambi in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 5 novembre 2011.
15
Per il più recente orientamento della giurisprudenza convenzionale in tema di confisca urbanistica si rimanda a Corte EDU, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09; si vedano anche le
considerazioni svolte da Corte cost. n. 49/2015.
16
Si veda in particolare Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia; Corte EDU, 31 luglio 2007, Zaicevs c. Lettonia; Corte EDU, 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia.
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
503
dinamento fa scaturire dalla specifica violazione contestata 17.
Ora, come accennato, questi indicatori sono ormai condivisi dalla giurisprudenza
nazionale maggioritaria, la quale, soffermandosi sull’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai reati tributari, ha affermato che
la natura sanzionatoria di tale tipologia di provvedimento reale esclude l’applicabilità della regola dettata dall’art. 200 c.p. in forza della quale le misure di sicurezza
sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione 18. Tale posizione, peraltro, gode del conforto di autorevole dottrina, concorde nel rinvenire all’interno della misura un carattere “eminentemente afflittivo” 19.
In effetti, la confisca di valore è dotata di quel carattere repressivo, tipico della
sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. Essa è parametrata al prezzo
e/o profitto solo in termini quantitativi, atteso che l’ablazione va ad incidere direttamente sul patrimonio del reo, il quale in sé non presenta nessun elemento di
connessione con il reato.
5. Confisca del profitto: la giurisprudenza di legittimità
Ferme le considerazioni finora svolte, non può negarsi che per chiarire la corretta consecuzione logico procedimentale tra le due figure di confisca appaia imprescindibile delineare una definizione di profitto. In effetti, dottrina e giurisprudenza hanno accolto in certi casi nozioni alquanto ristrette, mentre in altri hanno
propeso per formule certamente più estensive.
Prima dell’arresto a Sezioni Unite Lucci, la giurisprudenza appariva alquanto
frastagliata, a maggior ragione nei casi in cui il profitto aveva ad oggetto una somma di denaro o altro bene fungibile. Interessante osservare che la questione si è notoriamente intrecciata con l’applicazione della confisca ai reati fiscali.
Secondo un primo orientamento la confisca di denaro dovrebbe sempre integrare una confisca di valore proprio perché la fungibilità del profitto porrebbe un
impedimento alla sua individuazione materiale. Di conseguenza, la misura cautelare preventiva non sarebbe subordinata alla verifica che le somme provengano dal
reato e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato atteso che il denaro
17
Si rimanda a Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi; Corte EDU, 9 febbraio 1995,
Welch c. Regno Unito; Corte EDU, 25 settembre 2008, Paraponiaris c. Grecia.
18
Cass., sez. II, 14 gennaio 2010, n. 6293, in Riv. dir. trib., 2010, p. 72; Corte cost., ord., 17 aprile
2009, n. 97, in Rass. trib., 2009, p. 863.
19
GAMBOGI, La riforma dei reati tributari. Commento al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158,
Milano, 2016, p. 350; MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali fra funzionalità e garantismo, Torino,
2001; ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, cit., p. 2103.
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oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al
profitto, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il bene da confiscare e l’illecito 20.
Un secondo filone giurisprudenziale ha ritenuto opportuno subordinare la qualificazione della confisca come diretta alla sussistenza del nesso di pertinenzialità
con i reati per i quali si procede 21. Pertanto, i proventi debbono identificarsi nel vantaggio di natura economica percepito oppure nel beneficio aggiunto di tipo patrimoniale. In entrambi i casi si tratta di derivazione diretta, dal punto di vista causale, rispetto all’azione attiva od omissiva posta in essere dal reo 22.
A titolo esemplificativo, occorrerebbe dimostrare che il profitto del reato sia
stato versato sullo specifico conto corrente oggetto di confisca, mentre qualora tale prova facesse difetto il provvedimento ablativo finirebbe per assumere i connotati dell’ablazione per equivalente.
Tuttavia, le Sezioni Unite Lucci hanno fatto proprio un terzo orientamento – tra
l’altro già enunciato dalle Sezioni Unite Gubert – secondo il quale, ove il profitto
od il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro – come nel caso di
omesso versamento IVA –, non è necessario verificare il nesso di pertinenzialità,
giacché dette somme, essendo ormai divenute di appartenenza del reo, perdono
qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica 23.
Secondo le Sezioni Unite il presupposto della confisca per equivalente è una res
riconducibile al prezzo e/o al profitto che mantenga una sua identificabilità una
volta entrata nel patrimonio del reo. Soltanto nella ipotesi in cui sia impossibile la
confisca di denaro sorge la eventualità di dar luogo ad una confisca per equivalente
degli altri beni di cui disponga l’imputato, giacché in tal caso si avrebbe quella cosiddetta novazione oggettiva, necessaria per poter procedere a confisca per valore.
A fortiori è stato osservato che la confisca di denaro integra in ogni caso una figura di confisca diretta 24, tanto per il prezzo che per il profitto, e, con riferimento a
quest’ultimo, sia che rappresenti una utilità monetariamente positiva, nel senso che
raffiguri un effettivo accrescimento patrimoniale, sia che rappresenti un mancato
20
Si vedano in particolare Cass., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 25877, Rv. 234851; Cass., sez. VI, 5
giugno 2007, n. 31692; Cass., sez. II, 29 aprile 2014, n. 21228.
21
Si vedano in particolare Cass., sez. un., 24 maggio 2004; Cass., sez. V, 26 gennaio 2010, n.
11288; Cass., sez. II, 28 aprile 2011, n. 19105.
22
Si veda, in particolare, Cass., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, in Riv. pen., 2008, p. 1000, la
quale ha enunciato il seguente principio di diritto «Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, disposto – ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, artt. 19 e 53 – nei confronti dell’ente collettivo, è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato
ed è concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico dell’ente».
23
Si veda Cass., sez. III, 6 ottobre 2011, n. 36293.
24
In argomento si segnala anche Cass., sez. VI, 14 giugno 2007, n. 30966.
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
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decremento, vale a dire un risparmio di spesa 25. Ciò che rileva è che le disponibilità
monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca diretta del relativo importo ovunque o presso chiunque custodito.
Orbene, in base a tali enunciazioni è stato dedotto che in tema di reati tributari
il profitto confiscabile è riconducibile ad un qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo a séguito dell’accertamento del debito tributario 26.
In effetti, nella fattispecie di omesso versamento IVA il profitto è costituito dalla somma di denaro che l’obbligato non ha versato all’Erario.
6. La confisca presso la persona giuridica
Connessa al tema appena esaminato è la problematica inerente la disciplina da
applicare nell’ipotesi in cui la condotta di evasione sia tenuta dall’amministratore – o
più in generale da un organo rappresentante – di Enti al fine di consentire a questi
soggetti giuridici di sfuggire all’imposizione fiscale. Nei casi de quibus l’illecito tributario è commesso da una persona fisica, ma i relativi proventi maturano in capo
alla persona giuridica in nome e per conto della quale il singolo ha posto in essere la
condotta delittuosa 27.
A fronte delle peculiarità appena ricordate parte della dottrina e della giurisprudenza ha sostenuto che in queste ipotesi sarebbe comunque possibile far ricorso
alla confisca di valore presso la persona giuridica nonostante l’autore del reato sia
soggetto ontologicamente differente. A sostegno della tesi si è dedotto che il reo, in
quanto amministratore della società, avrebbe comunque la disponibilità dei beni
dell’Ente rappresentato. In siffatte circostanze, i beni della persona giuridica rappresentata non apparterrebbero nemmeno ad un soggetto «estraneo al reato» 28.
25
V. Cass., sez. un., 26 giugno 2015, n. 31617, secondo le quali «qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la
disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare
natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca ed il reato».
26
Sul punto, ed in particolare in tema di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, v. Cass., sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374.
27
V. EUSEPI, Reati tributari, sequestro preventivo e fondo patrimoniale, nota a Cass., sez. III, n.
129/2014, in Riv. dir. trib., n. 2, 2014, p. 347; MAURO, Spunti problematici sulla confisca per equivalente (o di valore) nei reati fiscali, in Riv. trim. dir. trib., n. 2, p. 395; PERINI, Confisca per equivalente e disponibilità dei beni in capo all’autore del reato, in Arch. pen., 2012, p. 8; TASSANI, Confisca e recupero
dell’imposta evasa: profili procedimentali e processuali, in Rass. trib., n. 6, 2015, p. 1385.
28
In dottrina si veda in particolare DELLA RAGIONE, La confisca per equivalente dei beni dell’ente
per i reati tributari commessi dal legale rappresentante: in attesa delle Sezioni Unite, in www.dirittopenale
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GIURISPRUDENZA
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A questa impostazione si sono contrapposte diverse voci della dottrina e numerose pronunce della giurisprudenza, secondo le quali il primo orientamento trascura che il rapporto tra un Ente ed un suo organo, di per sé, non è suscettibile di fondare l’estensione della confisca per equivalente, che si basa su specifiche disposizioni di legge 29.
In effetti, l’appiglio normativo legittimante la confisca per equivalente presso
l’Ente rappresentato non è rinvenibile nemmeno nell’art. 19, D.Lgs. n. 231/2001 30
atteso che gli illeciti di natura fiscale non sono contemplati nella lista dei cosiddetti
reati presupposto prevista dagli artt. 24 ss. Applicare l’art. 19 ai reati tributari si
tradurrebbe in un’operazione analogica in malam partem, come tale non consentita in sede penale.
Per completezza si è aggiunto anche che la persona giuridica potrebbe promuovere un’azione civile nei confronti dell’amministratore che l’ha sottoposta a
responsabilità conseguente a fatto illecito.
In conclusione, è stato affermato che i beni dell’Ente potrebbero essere oggetto
di confisca per equivalente solo laddove venisse dimostrato che la persona giuridica fungeva da mero schermo fittizio 31.
Di recente, tuttavia, le Sezioni Unite Gubert non hanno accolto nessuna delle
due prospettive che si sono confrontate sul punto, adottando una posizione intermedia che, secondo diversi esponenti della dottrina 32, si presta a numerose critiche
contemporaneo.it; in giurisprudenza si rimanda a Cass., sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731, secondo la
quale «nel caso di reato commesso da una persona fisica le cui conseguenze patrimoniali si sono riverberate a favore della società in nome e nell’interesse della quale la persona fisica ha agito, il sequestro per equivalente a fini di successiva confisca del profitto illecito derivatone, laddove consentito,
può riguardare anche i beni della società, che non può considerarsi terza estranea al reato avendo
partecipato all’utilizzazione degli incrementi economici derivati da reato».
29
VANNINI, Il coinvolgimento dell’ente nell’illecito penale tributario in assenza del reato presupposto,
in Riv. giur. trib., 2011, p. 944.
30
In dottrina si veda MAZZA, Il caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell’ente non
è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a danno della società, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; in giurisprudenza di particolare interesse appare Cass., sez.
III, 19 settembre 2012, n. 1256, Rv. 254796.
31
V. DE MARCO, Brevi considerazioni sulla confisca per equivalente di beni societari, nota a Cass. sez.
IV, 13 maggio 2015, n. 19761, in Dir. prat. trib., n. 1, 2016, p. 334.
32
Si vedano in proposito le notazioni critiche di BORSARI, Reati tributari e confisca di beni societari. Ovvero, di un’occasione perduta dalle Sezioni Unite, in Società, 2014, p. 862; BRICCHETTI, Sì al sequestro preventivo per equivalente se la persona giuridica è uno “schermo fittizio”, in Guida dir., 2014, 15, p.
95; CARDONE-PONTIERI, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni della società per delitti
tributari commessi dal legale rappresentante, nota a Cass., sez. un. 10561/2014, in Riv. dir. trib., n. 3,
2014, p. 66; DELL’OSSO, Confisca diretta e confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica
per reati tributari commessi dal legale rappresentante: le Sezioni Unite innovano ma non convincono, in
Riv. trim. dir. pen. economia, 2014, p. 401; GIANGRANDE, Tìmeo dànaos et dona ferentes: le Sezioni
Unite della Cassazione in materia di confisca per equivalente, in Dir. prat. trib., 2014, p. 637; MUCCIARELLI-PALIERO, Le Sezioni Unite ed il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneuti-
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
507
tanto in riferimento al contenuto quanto in relazione alle argomentazioni svolte.
La pronuncia ha chiarito che «è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso
dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità della persona giuridica» e pertanto «non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da loro
commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di
altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato».
Tra le maglie delle enunciazioni si evince che le Sezioni Unite hanno fatto propria la tesi – richiamata in precedenza – secondo la quale in presenza di profitto
avente ad oggetto un bene fungibile la confisca è da considerarsi sempre diretta ed
al contempo non deve verificarsi il rapporto di pertinenzialità con il reato.
Di conseguenza, può essere sempre disposta la confisca del profitto del reato fiscale presso il patrimonio della persona giuridica rappresentata, stante il carattere
asseritamente diretto di detta misura. Anche la Suprema Corte afferma che in questi casi l’Ente deve intendersi soggetto non estraneo al reato.
In secondo luogo, dovendosi considerare la misura di natura diretta e non di
valore, ne deriva che tale operazione dev’essere disposta in via principale. Solo qualora il patrimonio dell’Ente rappresentato risulti incapiente si potrà disporre una
confisca per equivalente sul patrimonio del reo.
Va infine osservato che queste considerazioni delle Sezioni Unite mantengono
piena attualità anche alla luce dell’odierno quadro normativo, posto che, come si è
accennato, l’art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000 altro non è che una riallocazione sistematica della disciplina previgente.
7. La posizione della Sezione III
La pronuncia della Sezione III appare perfettamente in linea con i princìpi
enunciati dalle Sezioni Unite riguardo ai rapporti tra confisca diretta e per equivalente (o di valore).
I Supremi Giudici hanno chiarito come, sulla scorta della recente statuizione a
che, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; TRINCHERA, La sentenza delle Sezioni Unite in tema di confisca di beni societari e reati fiscali, 12 marzo 2014, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; VARRASO, Punti fermi, disorientamenti interpretativi e motivazioni “inespresse” delle Sezioni Unite in tema di sequestro a
fini di confisca e reati tributari, in Cass. pen., 2014, p. 2806.
508
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Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità sia orientata nel ritenere assolutamente possibile, nei confronti di una persona giuridica per reati commessi dal legale rappresentante della stessa, operare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca; sequestro da intendere non già per equivalente bensì in via diretta e, dunque,
legittimo, laddove avente ad oggetto beni fungibili come le somme di denaro 33.
Nelle ipotesi tipicamente ricorrenti in materia di illeciti tributari, come nel caso
di specie, accade che il provvedimento ablativo diretto non può essere disposto
avverso il patrimonio del reo, nel quale il profitto del reato non è mai entrato, perché la condotta criminosa produce il vantaggio – consistente nel mancato versamento dell’imposta – direttamente a favore dell’Ente. Tuttavia, secondo questo
filone giurisprudenziale la confisca diretta può essere applicata sui beni della persona giuridica che assume le vesti di soggetto non estraneo.
I giudici di legittimità hanno annullato la decisione del Tribunale del riesame
perché il sequestro per equivalente sul patrimonio dell’indagato poteva essere disposto solo ove non si potesse procedere al sequestro diretto del profitto derivante
dal reato detenuto dalla persona giuridica. Il Tribunale, invece, aveva avallato la
decisione del Gip di esperire il sequestro di valore sui beni dell’indagato, senza disporre la preventiva escussione del patrimonio dell’Ente rappresentato, presso il
quale era detenuto il profitto del reato tributario.
Nella circostanza, i giudici di merito avevano l’obbligo di disporre la misura
cautelare reale diretta del profitto del reato ovunque esso si trovasse. Solo se il sequestro diretto non fosse andato a “buon fine” sarebbe stato legittimo esperire il
sequestro per equivalente sul patrimonio dell’indagato.
La Cassazione rinnova l’obbligo del giudice di merito di verificare se nel caso
concreto possa essere esperita la confisca diretta del profitto – anche presso la persona giuridica rappresentata dall’autore del reato tributario – e quindi, implicitamente, ribadisce che la confisca per equivalente è istituto al quale ricorrere solo
quale extrema ratio 34.
33
Stesse considerazioni vengono svolte da E. FONTANA, Ritenute previdenziali: penale rilevanza tra
truffa ed indebita compensazione, in Dir. e giust., 2016, p. 29, il quale rileva come, «anche con la pronuncia in commento, prenda sempre maggior consistenza una concezione ampia di profitto del reato tributario, dovendosi comprendere nello stesso, come esplicitamente ricorda anche la sentenza della
Sezione III, non solo i beni appresi per effetto immediato e diretto dell’illecito, ma altresì ogni altra utilità che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, della attività criminosa. La conseguenza è l’assoggettabilità di tutti tali beni, non al sequestro per equivalente (il ricorso al quale, com’è noto, è limitato nei confronti delle persone giuridiche alle ipotesi di reati tributari commessi dall’organo dotato di
potere gestorio), bensì al sequestro effettivo immediato e diretto finalizzato alla confisca»; PELLICIOLI,
Sì al sequestro preventivo per equivalente, ma solo se il sequestro diretto è impossibile, in Dir. e giust.,
2016, p. 16.
34
MANES, L’ultimo imperativo della politica criminale: Nullum Crimen sine Confiscatione, in Riv.
it. dir. proc. pen., 2015, p. 1259.
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
509
8. Osservazioni conclusive
Si tratta di un tentativo di bilanciare la necessità di sottoporre ad ablazione i
proventi da reato tributario con le esigenze garantistiche sottese all’applicazione di
misure afflittive come la confisca di valore 35.
Tuttavia, gli snodi ermeneutici inaugurati dalla pronuncia a Sezioni Unite Gubert, ivi ripresi nella decisione in discorso, si espongono a numerose critiche se assunti a linee guida di risoluzione della generalità delle controversie attinenti l’applicazione della confisca del provento da reato. Ad opinione di chi scrive, i risvolti
che questo approccio rischia di sortire sul piano sistemico si scontrano ineludibilmente con il profilo delle garanzie penalistiche e dei canoni interpretativi ai quali il
giudice è vincolato.
In primis sembra essere commesso un errore concettuale nel momento in cui il
requisito della pertinenzialità del profitto – riguardante il legame eziologico di un
dato bene con il reato – viene confuso e sostituito con il diverso carattere della
fungibilità, attinente invece alla cosa in prospettiva statica.
In effetti, muovendo dall’errata sovrapposizione tra i due concetti, si giunge
all’arbitraria conclusione che ogni qual volta il profitto sia ricavato in denaro, la
confisca finisce per essere qualificata, sempre e comunque, di natura diretta, quando, invece, a tale esito dovrebbe approdarsi previo l’accertamento della sussistenza
del presupposto indefettibile della pertinenzialità con il reato, nesso che non può
essere dissolto con l’asserzione che nel caso di beni fungibili è sempre possibile la
confisca diretta.
Anche se la cosa è fungibile, rispetto ad essa è possibile riconoscerne l’eventuale legame eziologico di provenienza.
A ben vedere, affermando che il profitto fungibile è direttamente confiscabile
senza che debba essere verificato il nesso di pertinenzialità con il reato si corre il rischio di confiscare in via diretta ciò che invece è un tantundem 36. Sembrerebbe compiuta in via interpretativa una metamorfosi del modello di confisca di valore nella
35
V., in particolare, Corte EDU, 4 marzo 2014, n. 18640/10, Grande Stevens e altri c. Italia; Corte EDU, 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, n. 17475/09; Corte EDU, 20 gennaio 2009, Sud Fondi
s.r.l. ed altri c. Italia, n. 75909/01; Corte EDU, 11 giugno 2009, Dubus S.a. c. Francia, n. 5242/04; Corte
EDU, 27 giugno 2002, Butler c. Regno Unito, n. 41661/98; Corte EDU, Zaicevs c. Lettonia, n.
65022/01; Corte EDU, Ezeh e Connors c. Regno Unito, nn. 39665/98 e 40086/98; Corte EDU, 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania; Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi.
36
Considerazioni critiche vengono svolte da MUCCIARELLI-PALIERO, op. cit., p. 2, secondo i quali
«forzando il valore semantico dei lemmi vantaggio e profitto, la doverosa tipizzazione del profitto
confiscabile smarrisce, nel dictum della Corte, i suoi tratti connotativi per trasfigurarsi in un “vantaggio” dai contorni indistinti e dal perimetro evanescente da comprendere anche – in termini negativi –
qualunque risparmio di spesa, nozione quest’ultima estesa fino ad accogliere il contro valore delle
sanzioni pecuniarie in ipotesi applicabili».
510
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
forma diretta; un rischioso “gioco d’etichette” che in passato la giurisprudenza
convenzionale non ha esitato a censurare.
Tale effetto distorsivo pare ancor più evidente se si considera quella variante di
vantaggio economico rappresentata dal “risparmio di spesa”, tipica dei reati tributari. In questi casi appare indubbio che, esprimendo il risparmio un’accezione negativa, la sua inclusione nei possibili significati di profitto possa avvenire solo in
termini di equivalenza e non invece di identità.
In effetti, prima della sentenza Gubert, la giurisprudenza di legittimità aveva
giustamente affermato che «È indispensabile che il profitto, per essere tipico, corrisponda ad un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione
patrimoniale del suo beneficiario per effetto del reato» 37. Nondimeno, in sede di
commento alla pronuncia delle Sezioni Unite, parte della dottrina ha criticamente
obiettato che «il risparmio è per così dire unità di misura, cui si attaglia quindi la
confisca per equivalente» 38.
Aggiungasi che l’abbandono della tipicizzazione del concetto di profitto rischia
di sortire nel contesto penale tributario effetti negativi, in quanto, oltre a rendere
vano il fondamentale requisito della pertinenzialità, finisce per innescare una duplicazione del carico afflittivo nei confronti del contribuente.
Giova infatti osservare che il profitto da risparmio di imposta coincide con il
credito che lo Stato vanta a prescindere dalla fattispecie di reato che ne ha determinato, quantomeno provvisoriamente, la mancata riscossione. Ciò nonostante, il
credito erariale mantiene autonomia rispetto alla sua valorizzazione in sede penale,
finendo la stessa somma per essere riscossa una volta in quanto onere tributario e
un’altra quale profitto confiscabile 39.
Del resto, nonostante il comma 2 del nuovo art. 12 bis, D.Lgs. n. 74/2000 preveda che la confisca non operi per la parte che il contribuente si impegna a versare
all’erario, anche in presenza di sequestro, il diverso accertamento, tributario e penale, dell’evasione fiscale, rischia di creare ugualmente situazioni di forte criticità
ove il processo penale si concluda con la quantificazione dell’evasione in misura superiore al quantum versato 40. Malgrado alcuni recenti arresti giurisprudenziali abbiano coerentemente convenuto che la finalità della confisca non può certo risol37
Cass., sez. V, 28 novembre 2013, n. 10265.
BORSARI, op. cit., p. 874.
39
Sul tema, recentemente, GIOVANNINI, Identità di oggetto dell’obbligazione d’imposta e della confisca
e della confisca nei reati d’evasione, in Rass. trib., 2014, p. 1255 ss.; MARELLO, Evanescenza del principio di
specialità e dissoluzione del doppio binario: le ragioni per una riforma del sistema punitivo penale tributario,
in Riv. dir. trib., n. 1, 2013, p. 269; PISTOLESI, Crisi e prospettive del “doppio binario” nei rapporti tra processo e procedimento tributario e giudizio penale, in Riv. dir. trib., n. 1, 2014, p. 29 ss.; TABET, Collegamento
tra fattispecie tributaria e fattispecie penale: riflessioni processuali, in Rass. trib., 2015, p. 303.
40
CAVALLINI, Osservazioni di “prima lettura” allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; TASSANI, Confisca e recupero dell’imposta evasa, cit., p. 1385.
38
Cass. pen., sez. III, 19 novembre 2015, n. 50054
511
versi in una sorta di duplicazione sanzionatoria 41, in questi casi, l’estinzione del
debito tributario non farebbe venir meno i presupposti della confisca, a meno che
la determinazione della misura dell’importo confiscabile non possa eccedere l’importo definito tra erario e contribuente.
Sotto altro versante, perplessità non lievi suscita la conseguenza che, in casi
analoghi a quello in questione, la persona giuridica subisce una misura sostanzialmente afflittiva – tramite un’interpretazione estensiva del profitto confiscabile in
presenza di un reato tributario commesso dall’organo rappresentante – benché sia
assente un dato normativo che ne legittimi l’operatività.
Orbene, a parere di chi scrive, la problematica non si porrebbe allorché il legislatore introducesse i reati tributari nel novero dei delitti che fungono da presupposto per
la responsabilità da reato degli Enti collettivi disciplinata dal D.Lgs n. 231/2001 42.
Come ben noto, infatti, l’art. 19 prevede la confisca diretta obbligatoria del profitto e
la relativa confisca per equivalente quale sanzione da applicare all’Ente.
In tal modo potrebbero essere scongiurate interpretazioni analogiche in malam
partem come quelle adottate dalla giurisprudenza di legittimità per far fronte alla
manifesta irrazionalità del sistema sanzionatorio tributario.
Del resto, tale innovazione legislativa è stata più volte proposta, da ultimo in
sede di commento alla recente riforma dei reati tributari, laddove numerosi esponenti della dottrina hanno sottolineato criticamente come non sia stata colta l’occasione per introdurre tale previsione 43.
Senonché, simili prospettive de jure condendo renderebbero indispensabile un coordinamento sistematico tra le sanzioni amministrative tributarie già previste nei confronti della persona giuridica, e quelle para-penalistiche eventualmente introdotte per
la medesima violazione fiscale penalmente rilevante, stante la necessità di rispettare il
principio di ne bis in idem sancito dall’art. 4, Protocollo n. 7 integrativo della CEDU.
Matteo Gambarati
41
AMATO, Il pagamento rateale non blocca la misura ma riduce l’importo, nota a Cass., sez. III, 14
gennaio 2016, n. 5728, in Guida dir., 2016, p. 10.
42
Per un commento dell’intera normativa, DE VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008; GAREGNANI, Etica d’impresa e responsabilità da reato, Milano, 2008; GUERRINI, La
responsabilità da reato degli enti, Milano, 2006; PASCULLI, La responsabilità “da reato” degli enti collettivi nell’ordinamento italiano, Bari, 2005; RIVERDITI, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e specialprevenzione, Napoli, 2009; RUGGIERO, Contributo allo studio della capacità penale, Torino, 2007; SANTI, La responsabilità delle società e degli enti, Milano, 2004.
43
Per l’opinione di chi ritiene opportuna detta innovazione legislativa si rimanda a ALAGNA, I reati
tributari ed il regime della responsabilità da reato degli enti, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2012, p. 397;
IELO, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. Enti, 2007, pp. 3, 9; PERINI, La riforma dei reati tributari, in Dir. pen. proc., 2016, p. 30; PERINI, Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione degli illeciti fiscali, in Riv. resp. amm. Enti, n. 2, 2006, p.
79; per chi invece rinviene motivi ostativi si veda CARACCIOLI, Reati tributari e responsabilità degli enti,
in Riv. resp. amm. Enti, n. 1, 2007, p. 155.
512
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44 – Pres. Criscuolo, Rel. Coraggio
Commissioni tributarie provinciali – Competenza territoriale – Giudizi contro i
concessionari del servizio di riscossione – Circoscrizione diversa dagli enti locali
concedenti – Art. 4, D.Lgs. n. 546/1992 – Illegittimità costituzionale
È costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 nella parte
in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali siano competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede
nella loro circoscrizione, anche nell’ipotesi in cui tale sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(Omissis)
1. – La Commissione tributaria provinciale di Cremona, con due ordinanze di
identico tenore, emesse in data 10 novembre 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del
servizio riscossione che hanno sede nella loro circoscrizione anche nel caso in cui tale
sede appartenga ad una circoscrizione diversa da quella degli enti locali concedenti.
(Omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con due ordinanze di identico contenuto la Commissione tributaria provinciale di Cremona ha sollevato, per violazione degli artt. 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 (rectius: art. 4, comma 1) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui prevede che le commissioni tributarie provinciali sono competenti per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione che hanno sede nella
loro circoscrizione anche nel caso in cui tale sede ricada in una circoscrizione diversa
da quella in cui ricade la sede dell’ente locale concedente.
(Omissis)
514
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
A parere del giudice rimettente la norma censurata violerebbe l’art. 24 Cost., in
quanto, nell’ipotesi in cui il concessionario abbia sede in un luogo significativamente
distante da quello in cui ha sede l’ente impositore, il contribuente si vedrebbe costretto a
instaurare un giudizio in un luogo lontano da quello ove è ubicato l’immobile censito
dall’ente impositore.
(Omissis)
La frattura del rapporto territoriale tra ente pubblico e contribuente produrrebbe,
altresì, la violazione dell’art. 97 Cost. in quanto, consentendo che a giudicare la controversia tra i due soggetti sia la commissione tributaria nella cui circoscrizione ha sede il
concessionario “scelto” dall’ente medesimo, attribuirebbe alla pubblica amministrazione
il potere di gestire il proprio rapporto con gli amministrati in maniera iniqua ed arbitraria, così stravolgendo il corretto rapporto istituzionale che deve intercorrere tra cittadino e pubblica amministrazione.
2. – Ad avviso della difesa dello Stato, le questioni sollevate sarebbero inammissibili e infondate.
2.1. – Sotto il primo profilo, la denunciata violazione dell’art. 24 Cost. sarebbe presentata “in via del tutto eventuale ... ipotizzata solo come ‘un caso’ possibile, e al limite
‘non eccezionale’”, mentre la censura relativa all’art. 97 Cost., per come prospettata dal
rimettente, avrebbe ad oggetto non già il criterio di competenza territoriale delineato
dalla norma censurata, ma la possibilità, riconosciuta dal legislatore a Province e Comuni, di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei propri tributi: atterrebbe cioè
non “... alla competenza ‘processuale’ ma a quella ‘amministrativa’”.
2.2. – Quanto al secondo profilo, i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Commissione tributaria provinciale di Cremona in ordine all’art. 24 Cost. sarebbero infondati in quanto la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale non escluderebbe
che possano essere posti a carico della parte istante determinati oneri purché gli stessi
siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.
La violazione dell’art. 97 Cost., poi, sarebbe esclusa in quanto la scelta del concessionario del servizio non sarebbe affatto “arbitraria”, posto che, a norma dell’art. 52, comma 5, lett. b), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale
sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della
disciplina dei tributi locali), essa dovrebbe avvenire “nel rispetto della normativa Europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali”.
(Omissis)
4. – Va, innanzitutto, segnalato che, dopo l’emissione delle due ordinanze di rimessione, è intervenuto un parziale mutamento della disposizione censurata.
(Omissis)
La versione derivante dalla sostituzione del censurato comma 1 operata dall’art. 9,
comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
515
disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), vigente a decorrere
dal 1° gennaio 2016, fa, invece, riferimento alle controversie proposte nei confronti “degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui
all’articolo 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446”.
La norma sopravvenuta non trova applicazione nei giudizi a quibus perché, ai sensi
dell’art. 5 del codice di procedura civile, la competenza si incardina al momento della
domanda.
Oggetto del giudizio di costituzionalità rimane, quindi, la norma originariamente
censurata.
5. – In via preliminare, vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità formulate
dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.1. – Contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la prospettazione della
commissione tributaria provinciale non è correlata ad un mero “caso” ipotizzato come
possibile, posto che le problematiche lamentate sono una fisiologica ricaduta della
norma, ovvero “un effetto collegato alla struttura della norma censurata” (ordinanza n.
66 del 2014). Oggetto della censura, quindi, non è “un inconveniente di fatto legato
alle particolari modalità di svolgimento del giudizio a quo” (ordinanza n. 66 del 2014)
o comunque alle “asserite difficoltà non discendenti in via diretta ed immediata dalla
norma censurata” (sentenza n. 216 del 2013).
5.2. – Analogamente infondati sono i profili di inammissibilità eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato con riferimento alla censura relativa all’art. 97 Cost.
Il giudice rimettente, infatti, non critica la mancanza in sé di vincoli spaziali e geografici nell’individuazione del terzo cui affidare l’attività di accertamento e riscossione,
ma si duole unicamente della circostanza che la competenza territoriale delle commissioni tributarie provinciali venga determinata in base alla sede di tale soggetto.
6. – Nel merito, la censura di cui all’art. 97 Cost. non è fondata per inconferenza
del parametro evocato.
Per costante orientamento di questa Corte, infatti, “il principio del buon andamento è riferibile all’amministrazione della giustizia soltanto per quanto attiene all’organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, e non anche in rapporto all’esercizio
della funzione giurisdizionale (ex plurimis, sentenza n. 10 del 2013; ordinanze n. 66 del
2014, n. 243 del 2013 e n. 84 del 2011)”, alla quale, per converso, evidentemente si
riferisce la norma processuale censurata.
7. – Fondata, invece, è la censura relativa all’art. 24 Cost.
7.1. – La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del
2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze
n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010).
Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina,
che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga
516
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004).
In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che “tale
precetto costituzionale ‘non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti ... purché non vengano
imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o
estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale’ (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, v. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza n. 99 del 2000)” (ordinanza n. 386 del 2004).
7.2. – Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo
della competenza che concretizza “quella condizione di ‘sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione’ suscettibile ‘di
integrare la violazione del citato parametro costituzionale’ (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)” (ordinanza n. 417 del 2007).
Difatti, poiché l’ente locale non incontra alcuna limitazione di carattere geograficospaziale nell’individuazione del terzo cui affidare il servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi, lo “spostamento” richiesto al contribuente che voglia esercitare il proprio diritto di azione, garantito dal parametro evocato, è potenzialmente idoneo a costituire una condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di
azione” (sentenze n. 117 del 2012, n. 30 del 2011, n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006) o
comunque a “rendere ‘oltremodo difficoltosa’ la tutela giurisdizionale” (sentenza n.
237 del 2007; ordinanze n. 382 e n. 213 del 2005).
7.3. – A questo proposito, lo stesso legislatore, all’art. 52, comma 5, lett. c), del
D.Lgs. n. 446 del 1997, ha precisato che l’individuazione, da parte dell’ente locale, del
concessionario del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate (determinante ai fini del radicamento della competenza) “non deve comportare oneri
aggiuntivi per il contribuente”.
Ebbene, il fatto che il contribuente debba farsi carico di uno “spostamento” geografico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa integra un considerevole onere a suo carico.
Questo onere, già di per sé ingiustificato, diviene tanto più rilevante in relazione ai
valori fiscali normalmente in gioco, che potrebbero essere – come in concreto sono nella
specie – di modesta entità, e quindi tali da rendere non conveniente un’azione da esercitarsi in una sede lontana.
8. – Quanto alla individuazione del criterio alternativo di competenza, essa non comporta un’operazione manipolativa esorbitante dai poteri di questa Corte, in quanto non
deve essere operata una scelta tra più soluzioni, tutte praticabili perché non costituzionalmente obbligate (sentenza n. 87 del 2013; ordinanze n. 176, n. 156 del 2013 e n.
248 del 2012).
Difatti, il rapporto esistente tra l’ente locale e il soggetto cui è affidato il servizio di
accertamento e riscossione comporta che, ferma la plurisoggettività del rapporto, il se-
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
517
condo costituisca una longa manus del primo, con la conseguente imputazione dell’atto di accertamento e riscossione a quest’ultimo.
(Omissis)
9. – Va, pertanto, dichiarata – in accoglimento della sollevata questione − l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, con riferimento
all’art. 24 Cost., nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella
nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente.
10. − Deve essere, infine, preso in considerazione l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n.
546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma
1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015.
Infatti, “l’apprezzamento di questa Corte, ai sensi dell’art. 27 della L. 11 marzo
1953, n. 87, non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del
processo principale, ma cade invece sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità
costituzionali (sentenza n. 214 del 2010)” (sentenza n. 37 del 2015).
In applicazione del citato art. 27, quindi, trattandosi di disposizione sostitutiva
contenente disposizioni analoghe in contrasto coi principi affermati nella odierna decisione (sentenze n. 82 del 2013, n. 70 del 1996 e n. 422 del 1995), deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n.
156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti
dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446 del 1997 è competente la
commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno
sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della L. 30 dicembre 1991, n. 413), nel testo vigente anteriormente alla sua sostituzione ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a e
b, della L. 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui prevede che per le controversie
proposte nei confronti dei concessionari del servizio di riscossione è competente la
commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari stessi hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale concedente;
518
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
2) dichiara, in applicazione dell’art. 27 della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nel testo vigente a seguito della
sostituzione operata dall’art. 9, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 156 del 2015, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti
nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta
regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.
(Omissis)
La competenza territoriale nelle liti tributarie di primo grado
in cui è parte il concessionario della riscossione:
l’intervento della Corte costituzionale *
The territorial jurisdiction on tax dispute in first instance in which
the tax collector is part: the intervention of the constitutional Court
Abstract
In nome della violazione del diritto di difesa, con la Pronuncia 3 marzo 2016, n.
44 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4,
D.Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui stabiliva (precedentemente alla riforma attuata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) che, per le controversie proposte nei
confronti dei concessionari del servizio di riscossione, fosse competente la
commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i concessionari avevano la propria sede. E, con riferimento al testo del citato art. 4 attualmente vigente, i Giudici della Consulta hanno censurato la parte della disposizione in cui
è attribuita alla commissione tributaria provinciale, nella cui circoscrizione han* Lavoro svolto nell’ambito del progetto di ricerca SIR, dal titolo Estimated tax assessments and
presumptive taxation: A comparative analysis, coordinato dal dott. Nicola Sartori.
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
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no sede i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, la competenza per le controversie proposte nei confronti di detti soggetti.
Parole chiave: diritto di difesa, competenza territoriale, Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, tutela del contribuente
In the name of the violation of the right of defence, the Constitutional Court – with
decision no. 44 of 3 March 2016 – declared the constitutional illegitimacy of art. 4 of
Legislative Decree no. 546/1992 in the part in which it established (prior to the reform implemented by Legislative Decree no. 156 of 24 September 2015) that, for litigation brought against tax collectors, the Tax Court of first instance in which they
have their seat shall be considered competent. With reference to the text of the abovementioned art. 4 currently in force, the constitutional judges have censored the part of
the provision in which it attributed to the Tax Court of first instance – in whose circumscription the subjects inscribed to the professional register referred to in art. 53 of
Legislative Decree no. 446/1997 have their seat – the competence for litigation brought against such subjects.
Keywords: right of defence, territorial jurisdiction, European Convention on Human Rights, Charter of Fundamental Rights of the European Union, protection of the taxpayer
SOMMARIO:
1. Premessa. La vicenda sottoposta all’esame della Corte costituzionale. – 2. La competenza territoriale in materia tributaria nei giudizi di primo grado nel confronto con il sistema processualcivilistico. – 3. La mancata integrazione di tutele tra norme interne e CEDU: un’occasione perduta.
1. Premessa. La vicenda sottoposta all’esame della Corte costituzionale
Il caso in esame trae origine dall’impugnazione presso la Commissione tributaria provinciale di Cremona, da parte di due contribuenti (in due giudizi autonomi),
di taluni avvisi di accertamento emessi dalla società di riscossione Area riscossioni
spa, con sede in Mondovì (Cuneo), in materia di Ici per gli anni 2008, 2009 e 2010,
in relazione ad immobili siti nella circoscrizione di Cremona.
In entrambi i giudizi la società di riscossione ha, sin da subito, eccepito la carenza
di competenza territoriale per violazione dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, ai
sensi del quale i contribuenti avrebbero dovuto instaurare i giudizi dinanzi alla
Commissione tributaria provinciale di Cuneo, nella cui circoscrizione aveva (ed ha)
sede la società Area riscossioni spa.
I Giudici remittenti (Commissione tributaria provinciale di Cremona) hanno
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sollevato la questione di costituzionalità del richiamato art. 4, comma 1, D.Lgs. n.
546/1992 con specifico riferimento alla violazione degli artt. 24 e 97 Cost.
In particolare, i giudici hanno sostenuto che l’individuazione della competenza
in ragione della sede del concessionario avrebbe determinato un vulnus al diritto di
difesa dei contribuenti ex art. 24 Cost. ed, altresì, la compromissione dei corretti
rapporti che devono intercorrere, ai sensi dell’art. 97 Cost., tra la Pubblica Amministrazione ed i cittadini.
Rispetto a tale posizione si è fatta valere la ferrea opposizione del Presidente del
Consiglio dei Ministri, difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha ritenuto insussistenti le denunciate violazioni degli artt. 24 e 97 Cost.
La prima (i.e. violazione dell’art. 24 Cost.) in quanto la garanzia costituzionale
della tutela giurisdizionale non esclude oneri a carico dei contribuenti se giustificati da esigenze di ordine generale ovvero da finalità superiori di giustizia.
La seconda censura (i.e. violazione dell’art. 97 Cost.) in virtù del fatto che, così
come formulata, avrebbe ad oggetto non il criterio di competenza territoriale
quanto la facoltà di affidare a terzi le attività di accertamento e di riscossione dei
tributi; facoltà, quest’ultima, consentita invece ai sensi dell’art. 52, comma 5, lett.
c), D.Lgs n. 446/1997.
Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale (riuniti i giudizi) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 (con
riferimento al testo vigente anteriormente alle modifiche intervenute ad opera dell’art. 9, comma 1, lett. b), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) nella parte in cui stabiliva che, per le controversie proposte nei confronti dei concessionari del servizio
di riscossione, fosse competente la commissione tributaria provinciale nella cui
circoscrizione i concessionari avevano la propria sede.
I Giudici della Consulta hanno, altresì, censurato l’attuale testo dell’art. 4, comma 1, della legge processual-tributaria nella parte in cui attribuisce alla commissione tributaria provinciale, nella cui circoscrizione hanno sede i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. n. 446/1997, la competenza per le controversie proposte nei confronti di detti soggetti. Ciò alla luce dell’avvenuta violazione dell’art.
24 Cost. che, come noto, tutela e garantisce il diritto di difesa.
Al contrario, è stata ritenuta non fondata, per inconferenza del parametro evocato, la censura di cui all’art. 97 Cost.
In particolare, i Giudici delle leggi hanno sottolineato come il principio di buon
andamento sia riferibile all’amministrazione della giustizia in relazione all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici giudiziari e non anche, più strettamente,
all’esercizio della funzione giurisdizionale, alla quale si riferisce il contestato art. 4,
D.Lgs. n. 546/1992 1.
1
V., in senso conforme, Corte cost., 23 gennaio 2013, n. 10; Id., 21 ottobre 2013, n. 243; Id., 1°
aprile 2014, n. 66, tutte in Banca dati fisconline.
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
521
2. La competenza territoriale in materia tributaria nei giudizi di primo grado
nel confronto con il sistema processual-civilistico
Ai sensi del censurato art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, la competenza 2 in materia
tributaria – interpretata talvolta come presupposto processuale 3 ed altre volte come presupposto per la trattazione e l’emanazione della pronuncia di merito 4 – era
determinata esclusivamente in base alla sede dei soggetti (Ente impositore, Agente
della riscossione e/o soggetti equiparati) che avevano emanato l’atto impugnato,
2
Sul tema della competenza in materia processual-civilistica, v., ex multis, CHIOVENDA, Saggi di
diritto processuale civile, II, Napoli, 1930, passim; ID., Principi di diritto processuale civile, Roma, 1965,
p. 483 ss.; GIONFRIDA, (voce) Competenza civile, in Enc. dir., VIII, 1961; CARNELUTTI, Istituzioni del
processo civile italiano5, I, Roma, 1956; ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979; MAFFEZZONI, Regolamento di competenza e processo tributario, in Boll. trib., 1984, p. 59 ss.; ACONE-SANTULLI,
(voce) Competenza, II, Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, VII, 1988; LEVONI, Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ., III, 1988; VIANELLO, Competenza nel diritto processuale civile, in Dig. civ., Agg., I, 2000; MANDRIOLI, Diritto processuale civile19, II, Torino, 2007; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile. Principi7, a cura di Colesanti-Merlin-Ricci, Milano, 2007, p. 81 ss.;
RONCO, I mutamenti nel sistema della competenza, in Giur. it., n. 6, 2009, pp. 1570-1574; PICARDI,
Manuale del processo civile, Milano, 2010, p. 81 ss.; AGNINO, Consumatore e competenza per territorio:
si rafforza la tutela nei confronti del professionista, in Corr. giur., n. 6, 2009; CARBONE, Controversie
aventi ad oggetto strumenti finanziari e foro del consumatore, in Corr. giur., 2012; CONTE, In tema di
competenze territoriali speciali nel procedimento monitorio, in Corr. giur., fasc. 8-9, 2015, pp. 11361140. Con specifico riferimento al tema della competenza in materia processual-tributaria, ex multis,
v., E. ALLORIO, Diritto processuale tributario5, Torino, 1969, passim; F. TESAURO, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, p. 62 ss.; ID., Manuale del processo tributario, Torino, 2016, p. 43 ss.;
MOSCHETTI, La disciplina del ricorso nel novellato processo tributario, in Riv. dir. trib., 1993; BASILAVECCHIA, Considerazioni in tema di (apparente) incompetenza territoriale e di (oggettiva) carenza di
legittimazione passiva nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 59 ss.; ID., Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2009, p. 63 ss.; GIOVANNINI, Competenza
ed incompetenza territoriale delle Commissioni tributarie, in Dir. prat. trib., 1997, I, p. 59 ss.; GLENDI, Il
nuovo regime dell’incompetenza delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 1997, p. 336 ss.; ID., La
competenza delle Commissioni tributarie, ivi, 2001, n. 15, p. 1113 ss.; ID., «Inderogabilità» e «inosservanza» delle regole sulla competenza, ivi, 2001, n. 21, p. 1565 ss.; ID., Differenze e aspetti comuni per
giurisdizione e competenza, ivi, 2001, p. 810 ss.; ID., Quando due commissioni provinciali sono competenti per lo stesso procedimento, in GT-Riv. giur. trib., n. 10, 2008, p. 902 ss.; DELLA VALLE, La competenza, in AA.VV., Il processo tributario. Giur. sist. dir. trib., a cura di F. Tesauro, Torino, 1999, p. 77
ss.; TURCHI, La commissione territorialmente competente nelle liti contro atti emanati da società concessionarie del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali, in Fin. loc., 2005, p. 11 ss.; GIANONCELLI, La competenza nel processo tributario, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, a
cura di F. Tesauro, Torino, 2011, p. 57 ss.; RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2013, p. 59 ss.
3
V. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 483 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto
processuale civile, I, Milano, 1980.
4
V., ex multis, ATTARDI, Sulla traslazione del processo dal giudice incompetente a quello competente,
in Riv. dir. proc., 1951, VI, p. 152 ss.; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile6, I, Torino, 1987, p.
186 ss. Ciò alla luce del testo normativo di cui all’art. 50 c.p.c., che trova la sua norma corrispondente nel codice del processo tributario all’art. 5. Sul punto, v. DELLA VALLE, La competenza, in AA.VV.,
Il processo tributario, cit., p. 79.
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indipendentemente dai luoghi in cui si realizzava la materia imponibile o il contribuente deteneva il proprio domicilio 5.
Difatti, il comma 1 della norma sopra richiamata, come modificato dall’art. 9,
comma 1, lett. b), c) e d), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 prevedeva che le commissioni tributarie provinciali fossero competenti per le controversie proposte nei
confronti degli enti impositori, degli agenti della riscossione e dei soggetti iscritti
all’albo di cui all’art. 53, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, aventi sede nella loro
circoscrizione.
In altri termini, come condivisibilmente rilevato, era vigente in materia tributaria 6 uno schema molto semplice per il quale «dall’atto impugnato si risale all’ufficio o all’ente che lo ha emanato, e, in base alla sede di quest’ultimo, si determina
(...) il giudice competente per territorio 7».
Ebbene, al contrario di quel che avviene in ambito processual-civilistico, in materia tributaria non apparivano (e non appaiono tuttora) valorizzati altri criteri idonei a garantire maggiore tutela alle parti.
Invero, nel processo civile si rinvengono i criteri del valore economico dell’oggetto della causa, ossia della domanda (previsto dall’art. 10 e s.s. c.p.c. 8) ed il criterio
della materia (ex art. 9 c.p.c.), basato sulla natura del rapporto giuridico controverso.
Il criterio della competenza per valore è ritenuto di natura generale e, quindi,
operante ove non vi siano regole speciali che dispongano l’attribuzione della competenza in base alla materia; criterio, quest’ultimo, prevalente rispetto a quello fondato sul valore 9.
I criteri del valore e della materia si affiancano al criterio basato sul territorio di
cui agli artt. 18-30 bis c.p.c., che rappresenta la connessione spaziale rintracciabile
tra l’ufficio giudiziario e la controversia instaurata.
Non solo. In ambito processual-civilistico, all’interno della competenza per territorio si distinguono il foro generale 10 (di natura personale 11, che coincide per le
5
V. LA ROSA, Principi di diritto tributario, Torino, 2012, p. 433.
Ciò sin dall’art. 2, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636.
7
Così: BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., p. 63.
8
In particolare, gli artt. dall’11 al 17 c.p.c. si occupano della determinazione del valore nelle cause rispettivamente riferite a quote di obbligazione tra più parti, a rapporti obbligatori, locazioni e
divisioni, a prestazioni alimentari e rendite, a somme di denaro e beni mobili, a beni immobili, all’esecuzione forzata.
9
V. ACONE-SANTULLI, op. cit., p. 5.
10
Per foro generale deve intendersi «il tribunale avanti a cui un cittadino può essere chiamato a rispondere in ogni causa che non sia espressamente deferita ad altro foro»: così CHIOVENDA, Principi di
diritto processuale civile, cit., p. 535. Il foro speciale è, invece, «il tribunale avanti al quale il convenuto è
chiamato a rispondere solo in determinate cause ad esso foro attribuite (...) o per la natura della causa
(...); o per convenzione (...); o per un fatto processuale (...); o per altri fatti (...)»: così, ancora, CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 535. Sul tema, v. anche ACONE-SANTULLI, op. cit., p. 32.
11
V. CHIOVENDA, Principi di diritto processuale civile, cit., p. 539.
6
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
523
persone fisiche nel luogo in cui il convenuto 12 detiene la propria residenza o domicilio ai sensi dell’art. 18 c.p.c. e per le persone giuridiche ove è localizzata la sede
ovvero dove la persona giuridica ha uno stabilimento e/o un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda ex art. 19 c.p.c. 13) ed i fori
speciali.
Questi ultimi, che valgono soltanto in ipotesi tassativamente individuate dal
Legislatore ex artt. 20-30 bis c.p.c., possono derogare alle previsioni dettate per
l’individuazione del foro generale al fine di garantire una maggiore tutela alle
parti.
Così, solo per fare qualche esempio, per le cause ereditarie il foro competente è
quello in cui avviene l’apertura della successione 14; per le controversie inerenti ai
rapporti obbligatori il luogo in cui è sorta ovvero deve essere eseguita l’obbligazione 15; per le cause in materia di diritti reali immobiliari il luogo in cui si trova l’immobile 16 e per quelle relative alle opposizioni all’esecuzione il giudice del luogo dell’esecuzione, salva diversa previsione ex art. 480 c.p.c., comma 3 17.
Senza considerare che, al contrario del processo tributario – per il quale ai sensi
dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, la competenza è espressamente ritenuta
inderogabile – è fatta salva la possibilità di derogare alla competenza per territorio
sulla base di un accordo, in forma scritta e riferito ad uno o più affari determinati,
che sia intervenuto tra le parti, seppur nel rispetto delle limitazioni previste dall’art.
28 c.p.c. 18.
Dalla breve ricognizione delle norme sulla competenza nel processo civile, appare evidente come nel processo tributario risultasse (precedentemente alla censura) piuttosto semplice l’individuazione del giudice competente, in ragione dell’unicità del criterio territoriale normativamente prestabilito 19.
12
Tra le parti (attore e convenuto) il legislatore ha, in via generale, avvantaggiato, ai fini dell’individuazione del foro generale, il soggetto convenuto: v., sul punto, GIONFRIDA, op. cit., p. 70 ss.;
ANDRIOLI, op. cit., p. 188.
13
V. GIONFRIDA, op. cit., p. 81 ss.; ANDRIOLI, op. cit.
14
Così art. 22 c.p.c.
15
Così art. 20 c.p.c.
16
Così art. 21 c.p.c.
17
Così art. 27 c.p.c., comma 1.
18
Ci si riferisce alle ipotesi di cui ai commi 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70 c.p.c. (controversie in cui è
previsto l’intervento del pubblico ministero ed, in specie, le cause proponibili dallo stesso, le cause
matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi, le cause riguardanti lo stato e
la capacità delle persone ed, infine, negli altri casi previsti dalla legge); ai casi di esecuzione forzata
e di opposizione alla stessa, ai procedimenti cautelari, possessori e quelli in Camera di Consiglio e
per ogni altra ipotesi in cui l’inderogabilità sia prevista espressamente in forza di una disposizione
di legge.
19
V. GLENDI, La competenza delle Commissioni tributarie, in Corr. trib., 2001, p. 1113 ss.
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A maggior ragione se si pensa che, tra l’altro, l’art. 19, comma 2, D.Lgs. n.
546/1992 stabilisce espressamente che gli atti impugnati debbano contenere l’indicazione della Commissione tributaria competente.
Tale previsione, che deve essere letta in combinato disposto con l’art. 7, comma 2, L. n. 212/2000 (c.d. Statuto dei Diritti del contribuente) 20, come opportunamente sottolineato 21 è da ricondurre al bilanciamento tra il dovere d’informazione, cui è sottoposta l’Amministrazione Finanziaria, e le preclusioni previste dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 22.
Tuttavia, è altrettanto evidente, da una parte, come nel processo civile sia garantita una maggiore tutela alle parti ai fini dell’instaurazione del giudizio, dal momento che sussistono diversi criteri di ripartizione della competenza ed, all’interno
del parametro basato sul territorio, anche la possibilità di derogare al foro generale
sulla base dei fori speciali individuati dal legislatore, al fine di garantire al meglio gli
interessi delle parti in causa. E dall’altra parte, come la normativa sul processo tributario fosse (anteriormente alla censura) assai pregiudizievole per il contribuente, essendo attribuita in via generale, al citato art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, la competenza delle controversie rientranti nella giurisdizione tributaria – sempre ed in ogni
caso – all’organo giudicante di primo grado nella cui circoscrizione aveva sede l’Ente
ovvero il concessionario della riscossione (e/o i soggetti equiparati) che avevano
emesso l’atto impugnato.
Con la conseguenza che, nel rispetto delle regole dettate dal citato art. 4 del decreto sul processo tributario, in caso di impugnazione (come nel caso vagliato dalla Corte costituzionale) di un atto emesso da una società di riscossione con sede in
altra provincia o addirittura altra regione rispetto a quella dell’organo concedente
e, quindi, del contribuente, quest’ultimo avrebbe dovuto sopportare l’onere (gravoso ed ingiustificato) di instaurare il giudizio nella circoscrizione in cui aveva sede la società di riscossione, a nulla rilevando la sede dell’Ente impositore (organo
concedente) ovvero, in caso di imposte e/o tributi riferiti ad immobili, la localizzazione di questi ultimi.
Ebbene, tale soluzione normativa – come comprensibilmente evidenziato nella
sentenza in commento – appariva assai penalizzante per il contribuente alla luce
dell’insacrificabile diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
20
Il comma 2 dell’art. 7 dello Statuto, come noto, prevede che: «gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare: (…) le modalità, il
termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili».
21
V. RAGUCCI, Gli atti impugnabili ed i motivi del ricorso, in AA.VV., Codice commentato del processo tributario, cit., p. 332.
22
È bene precisare che si tratta di una norma “imperfetta”. Difatti, laddove non sia rispettato il
contenuto previsto in quanto forma di ausilio per il contribuente, l’atto sarà affetto da una mera irregolarità e, pertanto, non sarà dichiarato invalido. V., sul punto, MULEO, Il nuovo processo tributario,
Rimini, 1996, p. 89.
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525
Invero, seppure – come già chiarito dalla stessa Corte costituzionale in precedenti pronunce 23 – «tale precetto costituzionale non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi
effetti (…)», in ogni caso è evidente come sia necessario che «non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o
estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività
processuale».
Ed è palese come lo spostamento geografico per il contribuente, necessario ai
sensi dell’art. 4 per poter contestare in via giurisdizionale l’atto notificatogli, avrebbe rappresentato un onere considerevole ed ingiustificato, che avrebbe assunto
maggiore rilevanza in virtù dei valori fiscali normalmente in gioco, di modesta entità, specie con riguardo ai tributi locali per le persone fisiche e, quindi, tali da non
rendere conveniente un’azione giudiziale da esercitare in una sede lontana.
Peraltro, vero è che l’ente locale è legittimato ad individuare liberamente la società di riscossione ai fini dell’affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei propri tributi ex art. 52, D.Lgs. n. 446/1997, ma è altrettanto vero che, ai
sensi comma 5, lett. c), del medesimo art. 52, tale affidamento non può e non deve
comportare oneri aggiuntivi per il contribuente 24.
Appare, dunque, certamente condivisibile la censura di costituzionalità fatta
propria dai Giudici della Consulta con la sentenza in commento 25.
In particolare, la pronuncia in esame ha chiarito come l’individuazione del criterio alternativo, da applicare in sostituzione del testo normativo ritenuto illegittimo, sia naturale ed automatica 26: la competenza deve essere attribuita al giudice del
luogo nella cui circoscrizione ha sede l’organo concedente.
23
Così: Corte cost., 20 aprile 1977, n. 63; Id., 10 novembre 1999, n. 427; Id., ord., 13 aprile 2000,
n. 99; Id., ord., 14 dicembre 2004, n. 386, nonché la stessa sentenza commentata (Corte cost., 3 marzo
2016, n. 44), tutte in Banca dati fisconline. Inoltre, in altre pronunce, i giudici delle leggi hanno rilevato
che, seppur è attribuita discrezionalità al legislatore con riferimento agli istituti processuali, e quindi
anche in relazione alla competenza, è fatto salvo dall’ordinamento interno il limite invalicabile del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione: si vedano, sul punto, Corte cost., 10 novembre 2004, n.
335; Id., 28 ottobre 2014, n. 243; Id., 27 febbraio 2015, n. 23, tutte in Banca dati fisconline.
24
V. LOVECCHIO, La riscossione dei tributi locali, in AA.VV., La riscossione dei tributi, a cura di Basilavecchia-Cannizzaro-Carinci, Milano, 2011, p. 85 ss.
25
V., tra i primi commenti della pronuncia, CERIONI, Parziale incostituzionalità della disposizione
che regola la competenza nel processo tributario, in Corr. trib., n. 17, 2016, p. 1295 ss.; CONIGLIARO, La
competenza territoriale delle Commissioni tributarie viaggia nella direzione del contribuente, in Il Fisco,
n. 19, 2016, p. 1 ss.; FRONTICELLI BALDELLI, Illegittimità costituzionale della norma sulla competenza
territoriale nelle liti in cui è parte l’agente di riscossione, ivi, n. 14, 2016, p. 1 ss.
26
Tale conclusione era stata suggerita, già da qualche tempo, da BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela, cit., pp. 64-65. Infatti, l’autore aveva sottolineato come, potendosi presentare
conseguenze significative sfavorevoli per il contribuente nei casi in cui la legittimazione passiva competa a soggetti incaricati della riscossione, sarebbe stato auspicabile applicare il criterio dell’individuazione della competenza territoriale dell’organo giudicante alla luce della sede dell’ufficio delegante.
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È stato quindi privilegiato – ai fini della determinazione dell’organo giudicante
competente in relazione ad atti emessi da società di riscossione, il cui potere impositivo è riconducibile ad enti locali – il criterio della sede dell’Ente impositore (il
Comune nel caso di specie).
Ciò alla luce del rapporto esistente tra ente concedente e società terza cui vengono affidate le attività di accertamento e di riscossione ed, in specie, della circostanza che la titolarità del credito è sempre riconducibile all’Ente impositore e solo
l’attività concreta di accertamento e di riscossione è di fatto esercitata dall’Agente
di riscossione, ovvero dai soggetti ad essa equiparati 27.
Pertanto, ferma restando la plurisoggettività del rapporto e l’indipendenza dei
due soggetti 28, è innegabile come la società di riscossione rappresenti una longa manus dell’ente locale e che sia giusto, alla luce del diritto di difesa ex art. 24 Cost., far
prevalere il rapporto sostanziale intercorrente tra contribuente ed Ente impositore.
Peraltro, la soluzione adottata dalla Corte costituzionale appare in sintonia con
la già citata norma processual-civilistica speciale, l’art. 20 c.p.c., che riserva – seppure in via facoltativa – la competenza per le cause aventi ad oggetto diritti di obbligazione al giudice del luogo in cui la medesima obbligazione dedotta in giudizio
è sorta.
Difatti, in materia tributaria (con specifico riferimento ad ipotesi come quella
in esame) il luogo in cui l’obbligazione sorge può ritenersi coincidente con il luogo
in cui ha sede l’ente locale che ha dato in concessione alla società terza le attività di
accertamento e/o riscossione, e pertanto, con il luogo in cui si trovano i beni immobili oggetto di tassazione ai fini dell’imposta comunale sugli immobili.
Né, è possibile negare l’esistenza di tratti comuni tra l’obbligazione tributaria 29
e quella civilistica, dal momento che – ancorché quest’ultima rientri nel novero
27
V. INGRAO, La tutela della riscossione dei crediti tributari, Bari, 2012.
Sulla circostanza che, come assai noto, Ente impositore e agente della riscossione (e soggetti
ad essa equiparati) devono essere considerati soggetti differenti, v, ex multis, CARINCI, Autonomia e
indipendenza del procedimento di iscrizione a ruolo rispetto alla formazione della cartella di pagamento,
in GT-Riv. giur. trib., n. 11, 2011, p. 971 ss.; RAGUCCI, Gli atti impugnabili e i motivi di ricorso, in
AA.VV., Codice commentato del processo tributario, cit., p. 303 ss.; SCHIAVOLIN, “Art. 19”, in Commentario breve alle leggi del processo tributario, a cura di Consolo-Glendi, Padova, 2005, p. 195 ss.; GIOVANNINI, Gli atti impugnabili, in AA.VV., Il processo tributario, cit., p. 394 ss.
29
In generale, sul tema dell’obbligazione tributaria, v., ex multis, BERLIRI, Appunti sul rapporto
giuridico d’imposta e sull’obbligazione tributaria, in Giur. imp., 1954, III, p. 509 ss.; GIANNINI, Le obbligazioni pubbliche, Roma, 1964, passim; FEDELE, Il presupposto del tributo nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, in Giur. cost., 1967, II, p. 971 ss.; MICHELI-TREMONTI, (voce) Obbligazioni (dir. trib.),
in Enc. dir., 1979, XXIX, p. 409 ss.; MICHELI, Corso di diritto tributario, Torino, 1989, p. 161 ss.; RUSSO, L’obbligazione tributaria, in AA.VV., Trattato di diritto tributario, a cura di Amatucci, II, Padova,
1994, p. 4 ss.; BATISTONI FERRARA,(voce) Obbligazioni nel diritto tributario, in Dig. disc. priv. sez. comm.,
1994, p. 296 ss.; FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, p. 52 ss.; FALSITTA, (voce)
Obbligazione tributaria, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da Cassese, Milano, 2006, IV, p. 3837.
28
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
527
delle obbligazioni pubblicistiche 30 e le attività inerenti all’accertamento ed alla riscossione dei tributi siano di natura pubblicistica – è rinvenibile una comune matrice che lega l’obbligazione tributaria a quella civilistica 31.
Ciò in quanto, l’obbligazione tributaria, che rinviene una propria disciplina nel
diritto tributario, seppur «è un’obbligazione di diritto pubblico (…), quando la
disciplina tributaria presenta delle lacune, l’interprete può colmarle ricorrendo alle
norme del codice civile 32».
Pertanto, vero è che l’obbligazione tributaria non può essere considerata un’obbligazione civilistica tout court dal momento che, in tal caso, tutte le norme di diritto civile si applicherebbero direttamente al sistema tributario e, quindi, la legge tributaria diventerebbe una norma speciale rispetto a quella generale, rappresentata
dal diritto privato 33. Ma è altrettanto vero che l’obbligazione tributaria, partendo
dalla medesima matrice dell’obbligazione civile 34, pur avendo assunto caratteristiche di natura pubblicistica, «non si differenzia né concettualmente, né strutturalmente dall’obbligazione del diritto privato, disciplinata nel codice civile» 35.
3. La mancata integrazione di tutele tra norme interne e CEDU: un’occasione
perduta
Con la sentenza in commento i Giudici hanno compiuto un revirement con riferimento all’approccio metodologico precedentemente adoperato in altre pronunce 36,
30
Sulle obbligazioni pubbliche, di cui quella tributaria rappresenta una specie, v. ex multis, GIANLe obbligazioni pubbliche, Roma, 1964, p. 73 ss.; BARETTONI ARLERI, Obbligazioni pubbliche, in
Enc. dir., XXIX, 1979, p. 383 ss.
31
Cosi: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario12, Parte generale, Torino, 2016, p. 101; MICHELI-TREMONTI, op. cit., p. 409 ss.; FREGNI, op. cit., p. 52 ss.; seppur con qualche perplessità in ordine
alla totale corrispondenza tra obbligazione tributaria ed obbligazione civile, si veda FANTOZZI, Premesse per una teoria della successione nel procedimento tributario, in AA.VV., Studi sul procedimento amministrativo tributario, Milano, 1971, p. 98 ss.
32
Così: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., p. 101.
33
V., ancora, FREGNI, op. cit., p. 13 ss.
34
Per un inquadramento generale in tema di obbligazione civilistica, v., per tutti, TONDO, Commentario teorico-pratico al codice civile, Libro IV, Delle obbligazioni, Obbligazioni in generale, adempimento e mora del creditore art. 1173-1217, Roma, 1970, passim; RESCIGNO, (voce) Obbligazioni (dir.
priv.) a) nozioni generali, in Enc. dir., XXIX, 1979, p. 194 ss.; NATOLI, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Milano, 1974, passim; BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di Iudica-Zatti, Milano, 1991, p. 12 ss.; BIANCA, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1993, passim;
GAZZONI, Obbligazioni e contratti14, Napoli, 2009, passim.
35
Così: F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, cit., p. 101. In senso conforme, v. FREGNI, op.
cit., p. 13 ss.
36
Corte cost., 25 luglio 2011, n. 245; Id., 23 febbraio 2012, n. 31; Id., 21 giugno 2013, n. 154;
Id., 4 luglio 2013, n. 170; Id., 18 luglio 2013, n. 202, tutte in Banca dati fisconline.
NINI,
528
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
teso a fondare l’illegittimità di talune disposizioni su una sorta di doppia motivazione, ossia sulla base dei precetti costituzionali e delle corrispondenti norme sovranazionali.
Il bilanciamento di tutele tra i diritti convenzionali, tutelati da norme interposte e dunque di rango sub-costituzionale 37 (il riferimento è alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), e quelli di matrice propriamente costituzionale ha
affondato le radici nell’obiettivo di assicurare sempre la massima espansione delle
garanzie, nonché nel proposito di sottolineare la sostanziale intercambiabilità delle
tutele interne ed esterne che si trovano in rapporto di integrazione reciproca 38.
Ciò dal momento che la CEDU non può mai essere causa di una diminuzione
di tutela rispetto a quella già predisposta dall’ordinamento interno, dovendo semmai porsi come ampliamento delle garanzie previste a livello domestico 39.
Ne consegue che la richiamata doppia motivazione, posta dai giudici a base di
varie precedenti pronunce, ha inteso rafforzare il rispetto di principi fondamentali
del nostro ordinamento.
Nel caso di specie, la Corte ha presumibilmente ritenuto assorbito il motivo
inerente alla violazione della norma esterna (art. 6 CEDU) dall’incostituzionalità
dichiarabile già per contrasto con l’art. 24 Cost.
37
Alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, comunemente denominata CEDU, come
noto, la Corte costituzionale attribuisce uno status intermedio e dunque un rango a metà tra la Costituzione e la norma ordinaria. In proposito, si vedano, ex multis: BARTOLE-DE SENA-ZAGREBELSKY,
Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2012, p. 29 ss.; CALVANO,
La Corte Costituzionale e la CEDU nella sentenza n. 348/2007: Orgoglio e pregiudizio?, in Giur. it.,
marzo 2008, p. 573 ss.; CONFORTI, La Corte costituzionale e gli obblighi internazionali dello Stato in
tema di espropriazione, ivi, 2008, p. 565 ss.; B. RANDAZZO, La CEDU e l’art. 117 della Costituzione.
L’indennità di esproprio per le aree edificabili e il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva, in
Giorn. dir. amm., n. 1, 2008, p. 25 ss.; AA.VV., Il rango interno della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo secondo la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, a cura di Sciso, Roma, 2008.
In giurisprudenza, v. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 347; Id., 24 ottobre 2007, n. 348, tutte in Banca
dati fisconline. Nello stesso senso si sono, poi, mosse altre emblematiche pronunce: Corte cost., 26
novembre 2009, n. 311; Id., 4 dicembre 2009, n. 317; Id., 26 novembre 2009, n. 311; Id., 7 aprile
2011, n. 113; Id., 4 luglio 2013, n. 170, Id., 15 marzo 2015, n. 37; Id., 5 giugno 2015, n. 97; ID., 15
luglio 2015, n. 157, tutte in Banca dati fisconline. Alla luce della qualificazione della CEDU alla stregua di una norma interposta all’interno della teoria delle fonti, nel caso di antinomia tra una norma
interna ed una norma della Convenzione, il giudice nazionale è tenuto ad attuare un’interpretazione
“adeguatrice” rispetto al contenuto della CEDU e, laddove ciò non fosse possibile, a sollevare la
questione di costituzionalità della norma dinanzi alla Corte costituzionale per violazione del comma
1 dell’art. 117 Cost., come modificato dalla nota riforma del 2001.
38
V. Corte cost., 4 luglio 2013, n. 170; Id., 9 maggio 2013, n. 85, Id., 25 novembre 2012, n. 264;
Id., 23 gennaio 2013, n. 7, tutte in Banca dati fisconline. In dottrina, così LAMARQUE, Las relaciones
entre los ordenes nacional, supranacional e internacional en la tutela de los derechos, in La proteccion de
los derechos en un ordenamiento plural, Seminario italo-hispano-brasileno, Barcellona, 17 e 18 ottobre 2013.
39
Vedi Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317; Id., 28 novembre 2012, n. 264, entrambe in Banca
dati fisconline.
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
529
E d’altra parte non è nemmeno la prima volta 40 che i giudici delle leggi riconducono l’incostituzionalità di determinate disposizioni, per violazione del diritto
di difesa ovvero di altri precetti costituzionali, alla sola lesione della Costituzione.
Difatti, come sostenuto in dottrina, la Corte costituzionale, in relazione al trattamento riservato alla CEDU, oscilla da sempre tra “un polo d’ispirazione formaleastratta”, preoccupandosi di sottolineare lo status di norma interposta propria delle
norme convenzionali ed “un polo assiologico-sostanziale”, effettuando il bilanciamento dei valori costituzionali e di quelli esterni 41.
La scelta di motivare l’incostituzionalità anche in base alla violazione dell’art. 6
della CEDU avrebbe certamente risposto all’apprezzabile obiettivo, in un’ottica
orizzontale e circolare, dell’internazionalizzazione delle tutele 42.
Ed ancora, l’integrazione delle tutele avrebbe consentito il superamento del
principio della separazione delle competenze e, dunque, delle varie fonti; svalutando, ai fini del raggiungimento della finalità sostanziale del massimo grado di tutela
per il contribuente, la diversa posizione assunta formalmente dalla Costituzione e
dalla CEDU all’interno della gerarchia delle fonti 43.
Ciò detto, è ovvio che i giudici aditi (Commissione tributaria provinciale di
Cremona), in alternativa alla remissione degli atti ai Giudici della Consulta, avrebbero probabilmente potuto procedere direttamente alla disapplicazione della norma interna, ossia dell’art. 4, D.Lgs. n. 546/1992, per contrasto con l’art. 47 della
Carta Europea dei Diritti Fondamentali, conosciuta più comunemente come Carta di Nizza-Strasburgo la quale, come noto, trova diretta applicazione nell’ordinamento italiano 44.
40
Così, ex multis, Corte cost., 26 marzo 2015, n. 48; Id., 25 marzo 2015, n. 45; Id., 3 marzo 2015,
n. 25; Id., 3 marzo 2015, n. 28; ID., 27 febbraio 2015, n. 23; Id., 22 gennaio 2015, n. 1; Id., 29 maggio
2013, n. 103; Id., 9 luglio 2009, n. 206; ID., 8 maggio 2007, n. 156; Id., 22 novembre 2000, n. 525,
tutte in Banca dati fisconline.
41
V. RUGGIERI, Ancora in temi di rapporti tra Cedu e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche,
in Pol. dir., 2008, p. 443 ss.; ID., Sistema integrato di fonti e sistema integrato di interpretazioni, nella
prospettiva di un’Europa unita, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. XIV. Studi dell’anno
2010, Torino, 2011, p. 207 ss.
42
V. RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema, Relazione all’incontro di studio su “La giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma,
28 febbraio-2 marzo 2007, p. 5 ss.
43
È stata evidenziata, in proposito, la necessità di superare la c.d. “crosta delle forme”: così COSTANZO-MEZZETTI-RUGGIERI, Lineamenti di diritto costituzionale dell’unione europea, Torino, 2010, p. 283.
44
Sul punto, è bene precisare che l’art. 6, par. 1, del TUE ha riconosciuto alla Carta di NizzaStrasburgo il medesimo valore giuridico dei Trattati, consentendo così di affermarne in modo indiscusso la diretta applicabilità all’interno dell’ordinamento nazionale e, dunque, nel sistema tributario, ovviamente secondo il principio di attribuzione ex art. 5 TUE e nel rispetto dell’art. 51 della
stessa Carta. In altri termini, la Carta Europea dei Diritti Fondamentali, alla luce della sua collocazione nel sistema dei trattati e poiché sottoscritta ed adottata dalle istituzioni europee e dagli stati
530
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
La tutela offerta da tale Carta – fermo restando il richiamo implicito che l’art.
47 della Carta effettua, nel comma 1, all’art. 13 CEDU e, nella seconda parte del
testo, all’art. 6, par. 1, della medesima Convenzione – è evidentemente più ampia
ed estesa rispetto a quella garantita dalla CEDU, come si evince, tra l’altro, da alcune importanti pronunce della Corte di Giustizia 45.
Ed inoltre, seppur la lettera della norma interna, ossia l’art. 24 Cost., ha una
portata più estesa rispetto alla disposizione comunitaria, a ben vedere, dietro il contenuto apparentemente esiguo dell’art. 47 della Carta, si cela una maggiore protezione accordata agli individui.
In specie, proprio la concisione che caratterizza la disposizione comunitaria
consente di rendere elastica la nozione di “tutela piena ed effettiva”, nella prospettiva di ampliare la portata del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.
Tuttavia, l’operatività della Carta, al pari delle fonti comunitarie primarie ed al
contrario dei trattati internazionali di natura pattizia, soggiace al vincolo del criterio di riparto di competenze in applicazione del principio di attribuzione ex art. 5
TUE 46.
Inoltre, la disapplicazione di una norma riguarda soltanto il caso concreto e, pertanto, non avrebbe condotto alla risoluzione, in via definitiva, del problema dell’eventuale carenza di tutela derivante dall’art. 4, cui si è invece addivenuti con la
decisione in commento.
Difatti, nel caso in cui l’organo giudicante avesse concluso per la disapplicazione della norma interna per contrasto con l’art. 47 della Carta di Nizza-Strasburgo,
membri, condivide lo status forte appartenente alle norme comunitarie, facendone parte a pieno
titolo, pur limitandosi ad essere efficace per le sole materie di competenza dell’Unione Europea. Né,
peraltro, la circostanza che la Carta di Nizza presenti un nomen iuris diverso dai Trattati può rappresentare una giustificazione all’esclusione della Carta dal sistema dei trattati europei e, dunque, dalle
fonti primarie. V., sul tema, ex multis, MULEO, Le garanzie nel corso dell’attività ispettiva, il leading case
Ravon e la tenuta della teoria della tutela differita nel processo tributario italiano, in AA.VV., Convenzione europea dei diritti dell’uomo e giustizia tributaria italiana, a cura di Bilancia-Califano-Del Federico-Puoti, Torino, 2014, p. 153 ss.; SCALA, “L’emergere” della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Giur. it., n. 2, 2002; FRAGOLA, Osservazioni
sul trattato di Lisbona tra Costituzione europea e processo di “decostituzionalizzazione”, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, n. 1, 2008, p. 217; G. TESAURO, Un testo di revisione stilato a
tempo di record che sacrifica partecipazione e valori condivisi, in Guida dir., n. 6, 2007, p. 10 ss.; ZILLER,
Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007, p. 135 ss.; ROLLI, La disapplicazione giurisdizionale dell’atto
amministrativo. Tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, Roma, 2005, p. 112 ss.
45
V. Corte di Giustizia UE, 15 maggio 1986, causa n. 222/84, Johnston; Id., causa 15 ottobre
1987, causa n. 222/86, Heylens; Id., 3 dicembre 1992, causa C-97/91, Borelli. V. RUGGIERI, Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle
fonti in sistema, Relazione all’incontro di studio su La giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 28 febbraio-2 marzo 2007,
p. 10, nt. 34.
46
V., BARTOLE-DE SENA-ZAGREBELSKY, op. cit., Introduzione, pp. 10-11.
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
531
la disposizione disapplicata avrebbe perso la propria efficacia rispetto al caso concreto, ma avrebbe continuato a produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano.
Infine, lo strumento della disapplicazione di una norma per contrasto con una
norma comunitaria rappresenta una mera facoltà e non, dunque, un dovere per il
giudice domestico.
Pertanto, avrebbero potuto manifestarsi trattamenti differenti per casi simili
e/o uguali, in quanto i giudici comuni competenti avrebbero potuto risolvere casi
analoghi in modo differente, con la conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sinora svolte, pur ritenendo apprezzabile la scelta dei giudici remittenti (CTP di Cremona) di sollevare la questione di costituzionalità con riferimento all’art. 4 della legge sul processo tributario, in un’ottica di integrazione e di massimizzazione delle tutele sarebbe stata certamente apprezzata la valorizzazione della CEDU, come parametro interposto per
vagliare la legittimità costituzionale delle norme interne 47.
Invero, interpretando la Convenzione alla stregua di un Trattato internazionale
(avente, dunque, natura pattizia) e considerati i descritti limiti connessi allo strumento della disapplicazione per contrasto con le fonti comunitarie, la valorizzazione della CEDU rappresenta un percorso assai fecondo per garantire una tutela
piena ed effettiva del contribuente nelle fasi di attuazione del prelievo fiscale.
E, dunque, sotto tale profilo la Convenzione riesce probabilmente ad offrire un
maggiore livello di garanzie rispetto a quello derivante dall’applicazione diretta della
Carta Europea dei Diritti Fondamentali.
Alessandra Kostner
47
Ciò proprio alla luce del carattere di norma interposta attribuito alla Convenzione e, conseguentemente, della maggiore resistenza rispetto a quella tipica delle norme ordinarie.
532
GIURISPRUDENZA
RTDT - n. 2/2016
Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44
Finito di stampare nel mese di ottobre 2016
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533
534
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RTDT - n. 2/2016
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