UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE Dipartimento di Scienze della Vita CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE Relazione Finale EMPATIA E NEURONI SPECCHIO. UN’ANALISI SUI PROCESSI NEURALI COINVOLTI NELLA COGNIZIONE EMOTIVA INTERPERSONALE. Laureando: Nigrin Gregorio Docente di riferimento: Dott. Scaini Denis ANNO ACCADEMICO 2013/2014 “Le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, ma comprese”. BARUCH SPINOZA INDICE 1 Introduzione. .....................................................................................................................4 2 L’empatia e il ruolo del MNS.. ........................................................................................7 3 Presentazione Esperimento..............................................................................................8 4 5 3.1 Metodi..........................................................................................................................8 3.2 Compiti. .......................................................................................................................9 Risultati.. ..........................................................................................................................11 4.1 Dati Comportamentali.............................................................................................11 4.2 Dati fMRI. .................................................................................................................12 Discussione. ......................................................................................................................15 5.1 La percezione emotiva nel sé e nell’altro: meccanismi neurali coinvolti...........15 5.2 Sguardo diretto confrontato con sguardo distolto. ..............................................20 5.3 Espressioni facciali impaurite confrontate a quelle arrabbiate..........................21 6 Conclusioni. .....................................................................................................................21 7 Bibliografia. .....................................................................................................................25 1 Introduzione. Negli ultimi vent’anni, nell’ambito delle neuroscienze e delle scienze cognitive, è emerso un notevole interesse verso le funzioni di una particolare classe di neuroni somato-sensoriali, che possiedono la singolare caratteristica di attivarsi sia durante il compimento di un’azione da parte nostra, sia durante l’osservazione della stessa, compiuta da un’altra persona. In merito alle caratteristiche di questi processi d’attivazione, a questi neuroni è stato attribuito l’appellativo di “specchio” (Mirror Neurons). (Rizzolatti G.; Fadiga, L.; Gallese, V. & Fogassi, L., 1996); (Gallese,V.; Fadiga, L.; Fogassi, L. & Rizzolatti, G., 1996) La scoperta dei neuroni specchio è datata all’inizio degli anni ’90, grazie al lavoro di Giacomo Rizzolatti e collaboratori presso l’Università di Parma (di Pellegrino, Fadiga, Fogassi, Gallese & Rizzolatti, 1992). All’epoca i ricercatori stavano studiando la corteccia pre-motoria ventrale dei primati, costituita dalle aree F4 e F5. (Fig. 1) Era già stato osservato che, l’area F5, oltre a possedere svariate proprietà motorie (come ad esempio la codifica del tipo di conformazione che la mano deve adottare per eseguire un determinato atto), possiede anche proprietà visive. I neuroni specchio, furono identificati nella convessità corticale di F5, in seguito ad una registrazione, dove la scimmia non era legata a compiti fissi (di Pellegrino et al., 1992). Questi neuroni rispondevano, come affermato sopra, sia alla produzione sia alla semplice osservazione di un’azione. Dal punto di vista motorio non si differenziano dagli altri neuroni di F5 (neuroni canonici), poiché anch’essi si attivano selettivamente durante specifici atti motori (Rizzolatti G. & Sinigaglia C., 2006). Come accennato sopra, un’importante proprietà di questi neuroni riguarda le caratteristiche visive, riguardanti il compimento di atti. Essi si attivano durante l’osservazione di un’azione che comporti l’interazione tra effettore e oggetto (e.g., osservazione della scimmia degli atti dello sperimentatore che comportano un’interazione tra l’effettore, che può essere la mano o la bocca, e l’oggetto). 4 Inoltre gran parte dei neuroni specchio presenti in F5 possono essere raggruppati in classi differenti (e.g. neuroni specchio ”manipolare”; neuroni specchio ”afferrare” etc.) dato che sono in grado di rispondere all’osservazione di un solo determinato tipo di atto. Figura 1: Corteccia pre-motoria ventrale di un primate costituita dalle aree F4 e F5. Nelle scimmie, le proprietà funzionali di questi neuroni verterebbero nel riconoscimento e nella comprensione degli atti compiuti dagli altri, cioè la percezione di un significato (e.g. lo sperimentatore che prefigura la presa indirizzandola verso cibo), comprendendo quegli “eventi motori” nei termini di un determinato tipo di atto, caratterizzato da una specifica modalità di interazione con gli oggetti, di differenziare tale tipo da altri e di utilizzare queste informazioni in modo adattivo, in termini di risposta più appropriata. (di Pellegrino et al., 1992); (Rizzolatti G. & Sinigaglia C., 2006). Questo per quanto riguarda i primati, ma negli esseri umani? Sono stati fatti diversi studi che evidenziano la presenza dei neuroni specchio nell’uomo. Un primo indizio della presenza di questi neuroni si può trovare in un esperimento di Gastaut e Bert (1954), i quali monitorarono con un EEG (elettroencefalogramma) la variazione spontanea dell’attività elettrica corticale, in particolare, i ritmi α (che prevale quando i sistemi sensoriali sono inattivi) e μ (simile all’altro, ma predominante nelle regioni centrali.) Essi si desincronizzano durante le presentazioni di stimoli e durante lo svolgimento di un’azione in conformità a diverse frequenze d’onda. Si osservò una desincronizzazione del ritmo μ durante l’osservazione di azioni compiute da altri. 5 In seguito Altschuler et al. (1997), (2000);. Cochin et al. (1998), (1999), ripresero l’esperimento, raffinandone le metodologie, notando che il ritmo μ si bloccava sia durante l’esecuzione di movimento si durante la sua osservazione. In un altro esperimento, gli sperimentatori registrarono i MEP (potenziali motori evocati) attraverso la TMS (stimolazione magnetica transcranica), durante l’osservazione di gesti finalizzati a un obiettivo (transitivi), oppure insignificanti (intransitivi) (Fadiga, Fogassi, Pavesi & Rizzolatti, 1995). I risultati mostrarono che i MEP subivano un incremento sia durante il compimento di atti transitivi (afferrare un oggetto) sia durante il compimento di atti intransitivi (fini a se stessi). Inoltre dalla registrazione dei MEP risultò che il hMNS (sistema di neuroni specchio umano) riesce a codificare sia lo scopo del movimento, sia il suo decorso temporale. (Gangitano, Mottaghy & Pascul-Leone, 2001). Grazie a studi di anatomia comparata e brain imaging, venne inoltre evidenziato che, l’area 44 di Broadmann, rappresenta l’omologo umano dell’area F5 (Petrides & Pandya, 1997). Nell’uomo, inoltre, furono identificate altre aree che costituiscono il sistema dei neuroni specchio, come l’area premotoria (PM) e il lobo parietale inferiore (IPL), in seguito ad un esperimento che comprendeva guardare videoclip con un attore che compiva azioni transitive (mordere una mela, dare un calcio a un pallone etc.) e mimava le stesse (Buccino et al. 2001). Riassumendo, il sistema dei neuroni specchio nell’uomo possiede svariate caratteristiche in più rispetto a quello della scimmia, come rispondere ad atti transitivi e intransitivi, codificare scopo e decorso temporale del movimento, e infine rispondere ad atti semplicemente mimati senza bisogno d’interazione diretta con degli oggetti. Come accennato in precedenza, il ruolo principale di questo sistema di neuroni è legato al riuscire a comprendere le intenzioni altrui osservando le loro azioni. Lo scopo principale di questo elaborato è cercare di dimostrare il ruolo funzionale del MNS (sistema di neuroni specchio) nella comprensione delle intenzioni e degli stati d’animo (propri e altrui) nell’uomo. In particolare, utilizzando studi di neuroimaging funzionale, si cercherà di evidenziare i meccanismi anatomo-funzionali che sottendono il funzionamento dei processi cognitivoempatici presenti nel cervello umano, andando ad investigare il contributo del MNS nella cognizione emotiva interpersonale. 6 2 L’empatia e il ruolo del MNS. L’empatia nell’accezione comune del termine determina uno stato di condivisione e compartecipazione emotiva, da parte dell’osservatore, del vissuto dell’osservato. Sostanzialmente si tratta di capire come l’altro viva una particolare situazione mettendosi, in tutto e per tutto, nei suoi panni. Negli anni, nell’ambito psicologico, si concettualizzò l’empatia attribuendole due diverse nature: una di tipo affettivo (partecipazione/condivisione delle esperienze vissute dall’altro) e una di tipo cognitivo (capacità di comprendere il punto di vista dell’altro). La seconda classificazione, sostenente che la capacità empatica si caratterizza nella comprensione d’intenzioni e pensieri, nel riconoscimento di emozioni e nel riuscire a vedere la situazione secondo la prospettiva dell’altro osservato (Borke, 1971), è una visione particolarmente interessante da integrare allo studio che verrà in seguito presentato. È necessario dire che le due diverse dimensioni (cognitiva e affettiva), dell’empatia, sono tra loro co-occorrenti e decisive nel generare una risposta empatica (Albiero & Matricardi, 2006), tuttavia il paradigma sperimentale presentato in questa tesi, tiene conto unicamente della dimensione cognitiva, pertanto sarà l’unica presa in considerazione. In particolare, la teoria della mente (o Theory of Mind, o ToM), rappresenta uno degli aspetti dell’empatia cognitiva alla base della capacità di comprendere il punto di vista degli altri, che prende il nome di “perspective taking”. Il concetto di ToM rappresenta abilità meta-cognitive, riguardanti inferenze su credenze, intenzioni e desideri delle altre persone (Premack & Woodruff, 1978) e, in particolare, è importante nella distinzione tra intenzioni e pensieri propri rispetto a quelle/i altrui, cosa che più avanti risulterà essere un aspetto chiave dell’elaborato. Parlando dell’esperimento, gli autori (Shulte-Rüter, Markowitsch, Fink & Piefke, 2007), ipotizzarono che il MNS non è solamente coinvolto nella mera cognizione motoria (attivazione durante compiti di tipo imitativo) ma anche nella cognizione emotiva interpersonale (compiti che non richiedono atti imitativi). In particolare, gli autori si focalizzarono sulle differenze d’attivazione dei meccanismi neurali coinvolti, in un compito nel quale ai soggetti era richiesto di osservare su uno 7 schermo delle espressioni facciali esprimenti un’emozione, con diverso orientamento nello sguardo, e di focalizzarsi sulla propria risposta emotiva (Self-task) o valutare quella altrui (Other-task), il tutto misurato attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Gli autori si aspettavano un’attivazione sia delle regioni cerebrali a supporto della ToM, sia quelle associate al MNS. Inoltre si aspettavano che certe aree mostrassero una differente attivazione conseguentemente allo svolgimento dei due differenti compiti cognitivi, e che, in particolare, le aree sottendenti il MNS siano maggiormente coinvolte nella “Self-task”, mentre i meccanismi della ToM nella “Other-task”. 3 Presentazione Esperimento. Si andrà ora a presentare il lavoro di Shulte-Rüter, Markowitsch, Fink e Piefke, (2007): “Mirror Neuron and Theory of Mind Mechanisms Involved in Face-to-Face Interactions: A Functional Magnetic Resonance Imaging Approach to Empathy.” 3.1 Metodi. I partecipanti furono 26, 12 maschi e 14 femmine, età media 24,6 anni, destrimani, di lingua tedesca. I soggetti furono sottoposti ad analisi mediche riguardanti la loro storia clinica nel campo neurologico, psichiatrico, traumatologico, uso e abuso di sostanze etc. Per quanto riguarda le loro competenze cognitive, furono testati utilizzando strumenti neuropsicologici (e.g., test QI; attenzione selettiva; memoria di lavoro), e una scala in grado di controllare se possedevano una sufficiente abilità nell’esprimere a parole stati emotivi (TAS-26, una scala per l’alessitimia). Per quanto riguarda invece le abilità empatiche, furono loro somministrati questionari come il BEES (Balanced Emotional Empathy Scale), che permette di misurare la tendenza empatica, cioè il grado di propensione del rispondente a farsi coinvolgere e a vivere vicariamente le emozioni altrui. Inoltre fu utilizzata anche una sottoscala dell’IRI (Interpersonal Reactivity Index), Davis, (1980) detta ECS (Empathic Concern Scale). 8 I questionari furono somministrati per indagare su di una possibile relazione tra attivazioni neurali e gradi individuali d’abilità empatica. Per quanto riguarda gli stimoli, furono utilizzate 318 espressioni facciali generate da un particolare software (FaceGen 3.0) in grado di creare volti con diverse espressioni e diverse angolature, selezionate da 3 giudici da un pool di 1500 espressioni facciali, rappresentanti rabbia, paura, tristezza, felicità e neutralità. Ai partecipanti fu chiesto di indicare a quale categoria emotiva apparteneva ogni singola faccia. Dopo questa procedura furono selezionate 192 espressioni facciali per lo studio in fMRI (64 con espressione arrabbiata, 64 impaurita e 64 neutre, metà rappresentati volti maschili, metà femminili). Gli autori utilizzarono espressioni con valenza negativa data la difficoltà nel trovare due espressioni aventi valenze positive distinguibili tra loro, inoltre perché lo scambio tra espressioni con valenza negativa/positiva poteva essere motivo di confusione per il disegno sperimentale. Fu inoltre utilizzato il software statistico SPM2 per l’analisi dei dati di risonanza magnetica. 3.2 Compiti. Nella “Self-task” ai soggetti fu chiesto di concentrarsi sulle sensazioni che emergevano in loro stessi quando gli si presentava un’espressione facciale. Nella “Other-task”, invece, ai soggetti fu chiesto di concentrarsi sulle sensazioni che emergevano dall’espressione stimolo. Nello studio s’inserirono due ulteriori variabili, ovvero l’emozione manifestata dai volti (arrabbiata/impaurita) e la direzione del sguardo (diretto/distolto). L’ultima condizione, denominata “High Level Baseline task”, comprendeva un compito di determinazione del sesso e dell’età in base ai volti privi di valenza emotiva (neutri), anch’essi presentati con sguardo diretto e distolto. Come furono presentati gli stimoli? Ogni volto stimolo fu presentato per 2 secondi. Subito dopo una lista di 4 aggettivi (randomizzati da 4 serie di parole, generati dai partecipanti di un altro studio), appariva sullo schermo per 3 secondi. 9 Il compito dei soggetti era di scegliere le parole che meglio rappresentavano le emozioni nei due compiti. Nella “High Level Baseline Task” furono utilizzate le seguenti combinazioni di parole, anch’esse randomizzate: “Donna anziana”, “uomo anziano, “donna giovane”, “uomo giovane”. Durante lo studio in fMRI, per la scelta degli aggettivi, i soggetti utilizzavano 4 dita della mano destra su un comando con 4 pulsanti. Ogni blocco consisteva in serie da 4 tentativi preceduti da istruzione verbale dalla durata di 2,5 secondi. (Fig. 2) I partecipanti, inoltre, completarono sei blocchi di preparazione pre-scansione, che non comprendevano il set di stimoli presenti per l’esperimento in fMRI. Post-scansione i soggetti valutarono tutti i volti stimolo in base all’intensità delle emozioni provocate nella “Self” e nella “Other-task”, e completarono dei rapporti riguardanti la naturalezza dei volti stimolo e la difficoltà provata per tutte le condizioni. Figura 2. Paradigma sperimentale. (A) Decorso temporale nella presentazione degli stimoli. (B) Variabili sperimentali. Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy. "Journal of Cognitive Neuroscience". 19, 1358. 10 4 4.1 Risultati. Dati Comportamentali. Inizialmente vennero misurati i tempi di risposta durante la scansione mediante un’ANOVA 3 2, con le variabili “direzione dello sguardo” e “compito sperimentale”, la quale evidenziò un effetto principale significativo: i test post-hoc appaiati mostrarono che i soggetti rispondevano più velocemente nella condizione “High Level Baseline task”, rispetto a entrambi i compiti sperimentali. Un’ANOVA 2 2 2 con le variabili “direzione dello sguardo”, “compito sperimentale” e “emozione” mostrò che i tempi di reazione erano significativamente più veloci nella condizione “Other-task” che in quella “Self-task”. Le differenze nei tempi di reazione fra sguardo diretto distolto, come le condizioni di volti con espressione arrabbiata/impaurita risultarono non significative. In seguito furono analizzati i rapporti post-scansione, dove i confronti tra i gruppi di differenti stimoli (direzione sguardo; volti arrabbiati/tristi) non mostrarono differenze statisticamente significative per la valutazione della naturalezza dei volti. Si notarono differenze nella difficoltà del compito: la “Self-task” fu percepita come più difficile rispetto alla “Other-task” e la “High Level Baseline task”. Inoltre non ci furono differenze significative nelle valutazioni medie sulla naturalezza dei volti con espressione neutra e i volti con espressioni manifestanti emozioni. Furono poi analizzate le correlazioni tra la valutazione di difficoltà e i tempi di reazione. Le valutazioni individuali post-scansione riguardanti la difficoltà relata all’esecuzione dei tre compiti (Self, Other e High Level Baseline task) sono stati confrontati alla media dei tempi di reazione riguardanti la prestazione di ogni compito durante la scansione. Non ci furono correlazioni positive né nella “Self-task”, né nell’“Other-task”, e una correlazione inversa per la “High Level Baseline task”. Infine si analizzò la valutazione dei volti stimolo nella post-scansione. Le classificazioni medie dell’intensità dell’emozione per ogni volto stimolo vennero confrontate da due ANOVA 2 2 con le variabili “emozione” e “direzione dello sguardo”. 11 L’intensità delle emozioni provocate dai volti stimolo nei soggetti che eseguivano la “Selftask” sono stati valutati come significativamente superiori nello condizione di sguardo diretto vs. sguardo distolto. Le espressioni arrabbiate furono valutate con intensità emotiva più elevata rispetto a quelle impaurite nella “Self-task” ma non nell’”Other- task”. 4.2 Dati fMRI. Inizialmente gli autori monitorarono gli effetti comuni delle “Self/Other task” rispetto all’ “High Level Baseline task” (rilevati attraverso una “conjunction analysis”, o analisi combinata). Le aree con un’attivazione differenziale rilevante furono localizzate nel solco temporale superiore (STS) sinistro, la corteccia orbito-frontale laterale sinistra, la corteccia prefrontale mediale sinistra, il giro frontale mediale sinistro, l’area motoria presupplementare sinistra (pre-SMA) e il cervelletto destro. Ci furono inoltre delle attivazioni rilevanti nel STS destro, il giro frontale inferiore destro (BA 45) e il lobo temporale. (Fig. 3) Figura 3. Mappa statistica parametrica dimostrante l'attivazione di gruppo delle aree durante l'analisi combinata di "Self-task" e "Other-task" rispetto alla "High Level Baseline task". Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy. "Journal of Cognitive Neuroscience”. 19, 1361. Poi analizzarono l’effetto principale della “Self-task” rispetto alla “Other-task”. La scansione mostrò attivazioni significative differenziali bilaterali della giunzione temporo- parietale (TPJ), la corteccia prefrontale mediale, la corteccia cingolata posteriore, il giro frontale mediale, il giro frontale inferiore sinistro, l’area motoria supplementare e il cervelletto destro. (Fig. 4) 12 Il contrasto inverso (Other-task vs. Self-task) non mostrò attivazioni differenziali significative. Figura 4. Mappa statistica parametrica dimostrante l'attivazione di gruppo delle aree per il contrasto fra "Selftask" e "Other-task". Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy. "Journal of Cognitive Neuroscience".19, 1361. In seguito gli autori osservarono i cambiamenti riguardanti le condizioni di sguardo diretto confrontato allo sguardo distolto. Si verificò un’attivazione bilaterale del solco calcarino relativo all’effetto principale delle espressioni facciali con sguardo diretto all’osservatore rispetto a quello distolto. Per quanto concerne le condizioni riguardanti le espressioni impaurite confrontate con quelle arrabbiate, non furono notate attivazioni differenziali significative. Infine osservarono la covarianza dei punteggi riguardanti le capacità empatiche individuali e l’attivazione cerebrale locale. Il giro frontale inferiore (bilateralmente) e il solco temporale sinistro mostrarono una correlazione significativa con i punteggi rilevati nel questionario BEES (Mehrabian,1997). (Fig. 5) (Tab. 1) Le correlazioni fra l’ECS (Davis, 1983) e le attivazioni cerebrali furono meno pronunciate, ma comunque significative per il solco temporale sinistro e il giro frontale inferiore destro. Per estrarre le componenti neuro-funzionali implicate nei processi auto-attributivi di codifica facciale, ma non in quelli attributivi, il confronto tra “Self e Other task” fu “mascherato” esclusivamente dal contrasto di “Other e High Level Baseline task”. 13 Figura 5. Covarianza fra le abilità empatiche e l'attivazione dei neuroni specchio. (A) Incremento di attività neurale nelle regioni associate al MNS. (B) Correlazioni significative corrispondenti fra i punteggi individuali nel BEES e il livello di attivazione (mean parameter estimates) dei “peak voxels” delle regioni rappresentate. Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy. “Journal of Cognitive Neuroscience” 19, 1362. Tabella 1. Correlazioni fra l'attivazione dei neuroni specchio e i punteggi individuali d'empatia. BEES: Balanced Emotional Empathy Scale; ECS: Emotional Concern Scale; MNI coordinates: coordinate delle regioni cerebrali. Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy."Journal of Cognitive Neuroscience", 19, 1364. 14 5 Discussione. I risultati dimostrano che, l’attribuzione di emozioni a se stessi in risposta ad un volto stimolo, o l’attribuzione di emozioni diretta al volto stimolo, attivano aree cerebrali che sono coinvolte in processi emotivi, meccanismi specchio e aree riguardanti la ToM. 5.1 La percezione emotiva nel sé e nell’altro: meccanismi neurali coinvolti. Come si è visto dai risultati della scansione in fMRI, durante l’esecuzione dei compiti riguardanti il sé o l’altro (Self/Other task), comparati alla linea base (High Level Baseline task) attivarono il giro frontale inferiore bilateralmente, compresa l’area di Broca (BA 44/45) e il suo omologo nell’emisfero destro. Queste aree rappresentano le strutture anatomiche che sottendono il sistema dei neuroni specchio (MNS). La differente attivazione di queste aree durante il compito riguardante il se, rispetto al compito riguardante l’altro, indica che i neuroni specchio svolgono un importante ruolo nell’attribuire emozioni a se stessi durante i processi cognitivi empatici interpersonali. Le operazioni del sistema di neuroni specchio, quindi, potrebbero costituire le basi neurali della captazione, o risonanza, che un individuo sviluppa nell’osservare gli stati emotivi espressi da un altro individuo, affidandosi a una sorta di “mappatura inversa” delle rappresentazioni neurali sottostanti. Queste operazioni sono supportate anche da studi elettromiografici, dove si notò che i muscoli facciali implicati nella regolazione delle espressioni, si attivavano anche durante la sola osservazione passiva di volti che esprimevano un’emozione (Dimberg, Thunberg & Elmehed, 2000);(Dimberg & Thunberg, 1998). Secondo Iacoboni et al., 1999; 2001, la rappresentazione visiva dei movimenti osservati si forma inizialmente nel solco temporale superiore (STS) (area che risponde alla presentazione di movimenti biologici), trasmessa dalla corteccia parietale alle aree frontali inferiori, dove l’informazione visiva è trasdotta in un piano motorio. Quando un’azione è eseguita, l’attività nelle aree frontali è ritrasmessa al STS, che ritrasduce il piano motorio in una sorta di rappresentazione visiva “prevista”. 15 Il giro frontale inferiore potrebbe costituire, quindi, un’”interfaccia specchio”, avente un ruolo fondamentale nella capacità di imitare le azioni altrui. Questo meccanismo, inoltre, potrebbe essere anche coinvolto alla comunicazione sociale, specialmente in una situazione d’interazione “faccia a faccia”. In maniera simile alle azioni motorie, l’osservazione di emozioni espresse da un volto potrebbero venir “specchiate” nel cervello per aiutare l’osservatore a comprendere i significati sociali sottendenti la mimica facciale. In uno studio in fMRI queste ipotesi sono state confermate, mostrando l’attivazione del giro frontale inferiore durante compiti d’imitazione e osservazione passiva di volti (Dapretto et al., 2006). I risultati presenti nella discussione di quest’articolo confermano quelli di Dapretto e collaboratori. In particolare, in questo lavoro, gli autori si sono focalizzati in maniera accurata sulla scelta del paradigma sperimentale, che punta a porre l’accento sulla natura diadica della comunicazione interattiva, in modo da favorire l’attivazione delle aree cerebrali interessate nella verifica delle ipotesi. Anche se le possibilità di scelta dei soggetti per la valutazione dei volti erano più varie nel compito emotivo rispetto alla “High Level Baseline task”, è improbabile che le differenti attivazioni cerebrali osservate (ad esempio nella corteccia frontale inferiore) possano essere state attribuite alla crescente difficoltà del compito, risultante da un più elevato livello di sforzo nella lettura delle parole scelte nella condizione emotiva. La sessione d’addestramento precedente alla misurazione in fMRI permise in maniera più che sufficiente ai partecipanti di familiarizzare con le possibili opzioni di risposta presenti nelle diverse condizioni. Specifiche differenze “condizione-specifiche” nella variabilità delle parole-scelta non sono riconosciute responsabili nell’aver causato differenze nello sforzo di lettura, come ad esempio avrebbe potuto essere il caso, dell’inserimento di nuove parole per ogni prova. Inoltre, le valutazioni post-scansione sulla difficoltà del compito differirono significativamente fra la “Self” e la “Other-task” (dove la variabilità delle parole-scelta era paragonabile) ma non nella “Other” e nella “High Level Baseline task”. Tutto ciò è in accordo con la scoperta di tempi di reazione significativamente più lunghi nella condizione “Self” relativa all’“Other-task”. 16 I dati post-scansione e i tempi di reazione sono in accordo sul fatto che qualcosa di intrinseco alla condizione del “sé” rese il compito più difficile per i soggetti, rispetto alla condizione “altro”, è questo non è dovuto a variabili confondenti. Le richieste di riflessione sul sé e la distinzione fra sé e altro potrebbero aver causato un incremento nel livello di difficoltà, come riscontrato dai tempi di reazione più lunghi, e sulle valutazioni riguardanti la difficoltà che si fecero più elevate. Inoltre, le differenze di tempi di reazione tra i compiti emotivi e la “High Level Baseline task” sono propense a riflettere il lavoro di processi cognitivi supplementari, richiesti per la valutazione delle espressioni facciali che gli autori intendevano misurare. In più, i tempi di reazione e le valutazioni post-scansione della difficoltà del compito non erano correlati positivamente per nessuna delle condizioni incluse nell’esperimento, suggerendo che le differenze “condizione-specifiche” nelle prestazioni comportamentali sono attribuite alla manipolazione sperimentale controllata, piuttosto che a variabili confondenti. Oltretutto, la porzione del giro frontale inferiore e l’area motoria pre-supplementare, attivate dai compiti cognitivi ideati dagli autori, sono coinvolte anche in processi riguardanti l’elaborazione linguistica (Grezes & Decety, 2001); (Poldrack et al; 1999). È improbabile che le attivazioni in queste aree fossero collegate alla produzione di linguaggio in maniera intenzionale, poiché i partecipanti osservavano i volti stimolo in silenzio, e la lettura era presente in tutte le condizioni. Infine, la significativa covarianza nell’attivazione della corteccia frontale inferiore e le abilità empatiche individuali rende improbabile un coinvolgimento “linguaggio-dipendente” di questa regione, in quanto questa correlazione era presente anche nelle aree 44/45 dell’emisfero destro. Le regioni cerebrali coinvolte nei movimenti che si attivarono nell’esperimento includono la corteccia motoria supplementare (SMA) e il cervelletto. Il picco di massima attività della SMA è stato localizzato nella pre-SMA, una subregione che è implicata in maniera più marcata della SMA nelle funzioni cognitive. In particolare, le attivazioni della pre-SMA sono state collegate all’immaginazione di movimenti (motor imagery) e l’osservazione di movimenti aventi scopo imitativo (Grezes & Decety, 2001). 17 Altri studi dimostrano anche che la pre-SMA è coinvolta nella trasduzione di esperienze emotive in azioni motorie. La pre-SMA, nello studio, è coinvolta in seguito alla sua attivazione differenziale nella condizione auto-attributiva (Self-task), in processi cognitivi d’ordine superiore (come la ToM). Tutto questo dimostra e sostiene l’ipotesi dell’attivazione del hMNS durante l’esecuzione di compiti d’attribuzione emotiva osservando delle espressioni facciali. In particolare, la forte attivazione del hMNS durante la condizione auto-attributiva rispetto a quella attributiva, e la simultanea attivazione di aree coinvolte in processi cognitivi di ordine superiore, suggerisce lo specifico ruolo dei meccanismi specchio nel controllo cognitivo dell’auto-attribuzione delle emozioni. Discutiamo ora i punteggi individuali nell’empatia e l’attivazione cerebrale. I soggetti che nel test BEES ottennero un punteggio più elevato mostrarono un’attivazione più marcata nella corteccia frontale inferiore destra e sinistra, come nel solco temporale superiore. Questi risultati potrebbero riflettere la capacità inconscia di simulare le espressioni facciali internamente, collegandosi all’abilità di inferire i sentimenti solamente osservando i volti delle altre persone. Gli autori sostengono che questo è stato il primo studio a riportare l’attivazione della corteccia frontale inferiore alla presenza di compiti d’attribuzione emotiva nella totale assenza di qualsiasi tipo d’istruzione che prevedesse l’imitare in maniera conscia l’altrui mimica facciale, presente invece in altri studi (Dapretto et.al, 2006);( Leslie, Johnson-Frey & Grafton, 2004). Ancora una volta notiamo il marcato coinvolgimento del hMNS nella comunicazione emotiva interpersonale. Come fa il cervello a distinguere le emozioni riguardanti il sé e l’altro? In questo studio, gli autori osservarono differenti attivazioni auto-attributive nella corteccia prefrontale mediale (MPFC), ovvero un’area coinvolta nei processi cognitivi relativi alla teoria della mente (Gallagher & Frith, 2003), nella cognizione sociale (Ochsner et al. 2004) e diversi tipi di processi collegati alla percezione di sé (Kampe et.al, 2003);( Ruby & Decety, 2003);( Vogeley & Fink, 2003). 18 Prove mostrano che i giudizi socio-cognitivi appartengono alla corteccia prefrontale mediale dorsale (dMPFC), mentre i processi cognitivi attribuibili al sé e quelli emotivi apparterrebbero alla parte ventrale dalla MPFC (vMPFC). Nello studio gli autori mostrano che, le attivazioni legate al sé nella MPFC non risultavano solamente localizzate nella sua parte dorsale, ma che si estendevano anche nelle aree ventrali. Secondo alcuni ricercatori (Mitchell, Banaji & Machal, 2005) esisterebbe una doppia dissociazione tra parte ventrale e dorsale della MPFC. La parte ventrale risulterebbe maggiormente attiva nei giudizi correlati all’ “oggettivazione del sé” (differenza tra sé ed altro), rispetto alla parte dorsale. Riassumendo, gli autori, in accordo con lo studio dei ricercatori sopracitati, confermarono l’ipotesi sull’importanza della vMPFC nei processi emotivi e nei processi riguardanti il sé. Anatomicamente, inoltre, la vMPFC risulterebbe fortemente interconnessa con l’amigdala, lo striato ventrale e la corteccia orbito frontale, confermando il suo ruolo nei processi emotivi. Al contrario la dMPFC non possiede le interconnessioni menzionate, confermando l’ipotesi che la parte dorsale risulterebbe maggiormente implicata in compiti di tipo cognitivo. La memoria nella ricerca sembra avere ruolo importante. In particolare furono coinvolti i lobi temporali, implicati nella memoria episodica autobiografica per il recupero di stati emotivi, che permetterebbe di attribuire emozioni a se stessi o agli altri. (Piefke, Weiss, Markowitsch & Fink, 2003);(Fink et al., 1996). I lobi temporali sono altresì coinvolti nella capacità di ricordare volti e scene familiari (Sugiura, Shah, Zilles & Fink, 2005);(Nakamura et al., 2000). In aggiunta, sono inoltre implicati la corteccia cingolata posteriore (PCC) e il precuneus. La PCC sembra implicata in diverse tipologie di cognizione sociale, come ad esempio l’osservazione di scenari a sfondo sociale (Iacoboni et al., 2004), mentre il precuneus risulterebbe importante per processare delle informazioni relative al sé (Shah et al., 2001). Nello studio il ruolo di PCC/Precuneus venne confermato, in particolare nella cognizione relativa al sé. In questo studio MPFC, solco temporale superiore e giunzione temporo-parietale (STS/TPJ) e cortecce temporali basali si attivarono nell’analisi congiunta (Fig. 6), dimostrando che le 19 abilità connesse alla ToM sono importanti per la consapevolezza dell’empatia, in particolare negli aspetti prettamente cognitivi di quest’ultima. In particolare, discutiamo il ruolo della TPJ nell’espressione della ToM. Si pensa che le regioni della TPJ siano coinvolte nel “preprocessamento” di segnali sociali che assistono e sostengono la teoria della mente (Gallagher & Frith, 2003) o anche nella teoria della mente stessa, cioè sulla riflessione dei contenuti presenti nella mente delle altre persone (Saxe & Kanwisher, 2003). I dati presenti nell’articolo, mostrarono che, le due funzioni, riguardanti la teoria della mente sopracitata, potrebbero venir elicitate in diverse regioni della TPJ. In particolare le analisi congiunte nel compito legato al sé e all’altro mostrarono delle attivazioni in STS/TPJ in una regione implicata nel processare indizi sociali rilevanti (Frith & Frith, 2003). Una regione posteriore della TPJ si attivò durante l’auto-attribuzione di emozioni. Le regioni della TPJ, secondo gli autori, potrebbero essere una fonte di mediazione fra la nostra prospettiva, ovvero come vediamo le cose noi stessi e la prospettiva degli altri (role taking). Figura 6. Attivazione di gruppo delle aree durante l'analisi combinata di "Self- task" e "Other- task" rispetto alla "High Level Baseline task" nelle regioni associate alla ToM. (A) Solco temporale superiore dx; (B) Lobi temporali dx e sx; (C) Corteccia prefrontale mediale sx; (D) Solco temporale superiore sx. Da: Schulte-Rüther, M.; Markowitsch, H.J.; Fink, G.R.; Piefke, M. (2007). Mirror neuron and theory of mind mechanisms involved in face-to-face interactions: a functional magnetic resonance imaging approach to empathy. “Journal of Cognitive Neuroscience”, 19, 1367. 5.2 Sguardo diretto confrontato con sguardo distolto. I risultati mostrarono che, i volti con lo sguardo diretto all’osservatore aumentavano la risposta emotiva nella ”Self-task”, ma non attecchivano sull’intensità dell’emozione percepita nella “Other-task”. 20 Lo sguardo diretto sembra quindi influire sulle reazioni empatiche a livello comportamentale. L’effetto però non fu eguagliato da differenti attivazioni oltre a quelle nelle aree visive primarie. Gli autori osservarono differenti attivazioni nella condizione di sguardo diretto confrontato a quello distolto unicamente nella corteccia striata. 5.3 Espressioni facciali impaurite confrontate a quelle arrabbiate. Non si osservarono differenti attivazioni riguardanti i processi di codifica dei volti stimolo arrabbiati o impauriti. 6 Conclusioni. Con questo studio, come affermato alla sua presentazione, si è cercato di attribuire al sistema dei neuroni specchio, e alle aree che lo regolano, una partecipazione nella cognizione emotiva interpersonale, sostenendo l’attivazione di questi meccanismi anche senza la presenza di una particolare componente o istruzione motoria, come ad esempio, l’imitazione. I risultati confermano questa partecipazione, mostrando, inoltre l’esistenza di diverse regioni che fungerebbero da mediatrici nel “perspective taking” riguardante se stessi oppure gli altri, supportando, con le immagini in fMRI, le ipotesi sul ruolo dei meccanismi che regolano il costrutto di teoria della mente. Dopo la lettura di questo e di svariati altri articoli, ho notato che negli studi sull’empatia vengono utilizzati metodi simili fra loro, come la somministrazione di questionari (si veda il paradigma sperimentale presentato sopra, dove vennero somministrati il BEES e la sottoscala ECS presente nell’IRI), e la presentazione di stimoli su schermo, rappresentanti volti e situazioni aventi valenza emotiva. In particolare, mi sono chiesto se fosse possibile raffinare quest’ultima metodologia, utilizzando modi alternativi e teoricamente più “emotigeni” nell’ambito degli studi sull’empatia, e, più in generale, sulla macro categoria che la contiene, ovvero quella delle emozioni. 21 L’empatia è un costrutto molto studiato in psicologia, e svariati autori e autrici, si sono sforzati nel costruire dei test in grado di misurarlo. Si nota, tuttavia una certa difficoltà nella costruzione di questi strumenti, data la natura dinamica e multidimensionale di questo costrutto. Secondo Bishof-Köhler (citata in “Che cos’è l’empatia”, Albiero & Matricardi, 2006), l’empatia può essere definita da due punti di vista: quello fenomenologico, cioè l’esperienza di comprensione e condivisione emotiva con l’altro, e quello funzionale che opera una distinzione tra le emozioni relative al sé e all’altro. In particolare, secondo l’autrice, esistono due pattern di stimoli che elicitano l’empatia: Il comportamento espressivo dell’altro (come ad esempio le espressioni facciali). La situazione dell’altro, cioè la situazione in cui l’altro sta vivendo una particolare emozione. Inoltre esisterebbero anche dei meccanismi interni dinamici all’individuo che varierebbero in funzione di certe componenti: quella affettiva, quella socio-cognitiva (ad esempio il processo di “oggettivazione del sé”) e infine quella motivazionale (legata ad un contesto pro-sociale). Ora, notiamo che per elicitare l’empatia, secondo l’autrice, al comportamento espressivo dell’altro si unisce una componente situazionale. Come fare quindi a studiare i meccanismi di manifestazione empatica in un contesto situazionale? Feshbach e Roe (1968) elaborarono un test per valutare l’empatia espressa dai bambini di età scolare (6-7 anni), il FASTE (Feshbach Affective Situation Test for Empathy), che utilizza come strumenti delle storie figurate, presentate in diverso formato (audiocassette, testo scritto o diapositive), al termine delle quali il protagonista della storia presentata esprime un’emozione (paura, felicità, tristezza e rabbia). In seguito viene chiesto ai bambini, tramite un’intervista verbale, che emozione loro stessi provano nell’osservare l’emozione esperita dal protagonista della storia, e l’attribuzione di un’emozione a quest’ultimo. Questo test presenta svariati vantaggi (ad esempio maneggevolezza e applicabilità) ed è in grado di valutare le esperienze e vissuti interni dei bambini, oltre che operare un’analisi sulle conoscenze che essi possiedono riguardo l’empatia. 22 Hoffman (1982) mosse tuttavia alcune critiche ai tipi di test che presentano storie figurate, e una in particolare ha richiamato la mia attenzione: la valenza emotiva. L’autore, infatti, sostiene che gli stimoli presentati in questi test sono troppo artificiosi, essendo poco efficaci nel suscitare nell’osservatore una risposta emotiva vicaria. Come fare allora ad aumentare la valenza emotiva, e quindi migliorare lo studio dei processi empatici in un contesto situazionale controllabile in laboratorio? Recentemente in America, Palmer Luckey, interessato alla tecnologia riguardante gli HMD (Head Mounted Display) sviluppò un particolare device per videogiocatori che permise a questi di sperimentare un’esperienza videoludica unica basata sulla realtà virtuale, l’Oculus Rift. (Fig. 7) Quando ho letto la notizia e guardato dei video dove questo dispositivo viene messo alla prova, non ho potuto fare a meno di domandarmi se fosse possibile una sua applicazione in campo scientifico. Gli utilizzi sarebbero veramente molteplici, e applicabili in svariate discipline, in Figura 7. Oculus Rift. particolare nel campo neuroscientifico e psicologico. Come utilizzare questo dispositivo quindi, come risposta alla domanda di prima? Secondo me si potrebbe ideare un software con l’aiuto di un game designer che permetta di creare delle situazioni di vita quotidiana cariche di contenuto emotivo, degli stimoli situazionali che permettano di ridurre l’artificiosità dei test con storie figurate. Negli studi sulla misurazione dell’empatia vengono utilizzati anche degli indici psicofisiologici e le neuroimmagini. Gli indici psicofisiologici, in particolare, presentano svariati vantaggi, come: La loro potenziale libertà da bias, legati a presentazione di sé e desiderabilità sociale La registrazione di cambiamenti emotivi nel tempo In ambienti non coercitivi (con limitata immobilità coercitiva dovuta all’utilizzo di macchinari) questi indici rappresenterebbero un’utile evidenza (a livello di cambiamenti elettrofisiologici) a supporto della dichiarazione di esperienza emotiva provata per via vicaria, da parte di una persona. Si potrebbe quindi costruire un esperimento, nel quale si andrebbe a indagare l’intensità della risposta emotiva in particolari situazioni presentate con formati diversi: 23 Ad un gruppo di soggetti potrebbero venir presentate delle storie figurate tramite diapositive/monitor; Ad un altro gruppo si potrebbe presentare una situazione (creata ad hoc tramite software) tramite l’Oculus Rift; Il terzo gruppo potrebbe fungere da controllo eseguendo altri tipi di compiti. Per ogni condizione si misurerebbero le risposte psicofisiologiche dei soggetti, come ad esempio il battito cardiaco, sudorazione, diminuzione della resistenza elettrica somatica etc., al fine di misurare se effettivamente nella condizione di realtà virtuale potrebbe emergere una risposta emotiva più marcata rispetto alle altre condizioni. In seguito si potrebbe decidere se effettivamente la realtà virtuale rappresentasse una valida alternativa agli altri formati di presentazione. Ovviamente si dovrebbero analizzare anche le possibili variabili confondenti, come ad esempio: la consapevolezza della finzione nella realtà virtuale, e come questa influenzi la risposta empatica; la presenza di “motion sickness”, o “cinetosi”, ovvero la percezione, nel partecipante, di non corrispondenza tra il movimento percepito visivamente e quello percepito dal sistema vestibolare (potrebbe essere utile far compiere ai partecipanti un training preesperimento per accertarsi della presenza/non presenza del fenomeno); variabili ambientali (come, ad esempio, la presenza di limitata mobilità se s’intende utilizzare anche uno scanner fMRI) etc. Nonostante le molte domande riguardanti la validità di questo strumento che attendono ancora una risposta, sono convinto che in futuro rivestirà un ruolo importante in ambito scientifico, data la sua capacità di far lavorare in simultanea diversi canali sensoriali, il suo essere versatile, e la sua ergonomia (che sicuramente subirà degli upgrades in modo da ottimizzarla ancora di più). Tutto questo, nell’ambito di studi psicologici e neuropsicologici (come può essere un compito riguardante l’empatia), potrebbe rappresentare una costruttiva innovazione da affiancare alla metodologia classica. 24 7 Bibliografia. Albiero, P.; Matricardi G. (2006). Che cos’è l’empatia. Roma: Carocci Editore. Altschuler, E.L.; Vankov, A.; Wang, V.; Ramachandran, V.S.; Pineda, J.A. (1997). “Person see, person do: Human cortical electropyshiological correlates of monkeys see monkey do cell”. Society of Neuroscience Abstract. 719, 17. Altschuler, E.L.; Vankov, A.; Hubbard, E.M.; Roberts, E.; Ramachandran, V.S.; Pineda, J.A (2000). Mu wave blocking by observation of movements and its possible use as a tool to study theory of other minds. Society of Neuroscience Abstract. 68, 1. Borke, H. (1971). Interpersonal Perception of Young Children: Egocentrism or Empathy? In Developmental Psychology. 5, 263-69. Buccino, G.; Binfoski, F.; Fink, G.R.; Fadiga, L.; Fogassi, L.; Gallese, V.,…Freund H.J. 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