SOSTENIBILITA’ ALIMENTARE La FAO ha cercato di dare una definizione di sostenibilità alimentare indicando come sostenibili tutti quegli stili alimentari che presentano un basso impatto ambientale e che garantiscono sicurezza alimentare e vita sana alle generazioni presenti e future. Un’alimentazione sostenibile è: rispettosa della biodiversità e dell’ecosistema culturalmente accettata perché eticamente corretta economicamente accessibile in quanto conveniente sana e sicura dal punto di vista nutrizionale Data la complessità di tale concetto risulta dunque evidente che mangiare sostenibile non significa solo acquistare cibo biologico e neppure trasformarsi dall’oggi al domani in vegani. La sostenibilità alimentare è un concetto complesso che ha a che fare non solo con le scelte dei consumatori ma anche con tutta la catena di produzione di un prodotto alimentare Un’alimentazione sostenibile implica un basso impatto ambientale: nel produrre un determinato alimento non devono esserci state emissioni inquinanti né dispendio energetico né tantomeno sofferenza animale o sfruttamento lavorativo. E’ purtroppo risaputo che l’agricoltura convenzionale negli anni ha fatto ricorso a un uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi, nonché a fasi di lavorazione di prodotti industriali che hanno determinato un elevato impatto ambientale. Inoltre gli allevamenti intensivi di bestiame, oltre a costituire dal punto di vista etico un’aberrazione per le condizioni di vita degli animali, comportano un consumo smodato di acqua, eccesive quantità di mangimi e generano un tasso elevato di emissioni di gas serra rilasciate in particolare dai bovini. Da queste considerazioni appare fondamentale che qualunque consumatore per perseguire un’alimentazione sostenibile deve essere consapevole di tutti i passaggi della filiera produttiva del cibo che acquista e consuma. Il cibo sostenibile è un prodotto che ha un basso impatto ambientale, con uno scarso consumo di suolo e acqua. Viene prodotto con ridotte emissioni di carbonio e azoto, è rispettoso della biodiversità e degli ecosistemi. È attento ai bisogni locali ed alla valorizzazione del territorio. È sano ed economicamente accessibile a tutti. Le buone regole da adottare per essere sostenibili quanto a cibo e alimentazione, potremmo semplificarle in tre consigli guida: consumare meno; sprecare meno; scegliere alimenti la cui produzione abbia un ridotto impatto ambientale. Consumare meno. Nel mondo 5,5 milioni bambini che muoiono di fame prima dei 5 anni perché non hanno accesso al cibo. O non mangiano in modo adeguato. Fanno parte di quei 820 milioni di individui che nel mondo non hanno cibo a sufficienza. Nel contempo, i bambini italiani sono tra i più grassi d’Europa con un tasso di obesità infantile del 21% tra i maschi e del 38% tra le femmine. Un vero e proprio paradosso per la terra dove è nata la dieta mediterranea, la migliore al mondo per la nostra salute, uno dei modelli alimentari maggiormente sostenibili. Purtroppo però seguiamo sempre meno questo stile alimentare, incoraggiati dalle promesse di diete iperproteiche, pasti sostitutivi, frullati e similari. Sprecare meno. Ogni mese gettiamo 3 kg di cibo pro capite nell’immondizia. 8,5 miliardi di euro buttati alle ortiche ogni anno. Pari allo 0,6% del PIL. E secondo il Ministero dell’Agricoltura il 50% degli sprechi avviene in casa. È ovvio come un’attenta gestione delle risorse, della lavorazione, degli scarti sia sinonimo di sensibilità ambientale e l’approccio corretto verso cui tendere. Scegliere alimenti a ridotto impatto ambientale. Secondo i consigli per un’alimentazione sostenibile del WWF, comprare prodotti del territorio aiuta l’economia locale e riduce l’impatto ambientale, perché si eliminano gli intermediari. Ma bisogna fare attenzione. Perché scegliere un prodotto a km 0 non equivale sempre a nutrirsi di un prodotto più rispettoso dell’ambiente. Se frutta e verdura non sono di stagione, l’energia necessaria per coltivarli nelle serre durante l’inverno è più ingente di quella impiegata nel trasporto dai paesi caldi. Attenzione anche con i pesci. Il loro consumo è consigliato in una corretta dieta, ma la scelta del tipo e della taglia di pesce può avere un impatto rilevante sull’ambiente. Pesci a rischio di estinzione, pesci non autoctoni, pesci molto sfruttati, pesci di taglia troppo piccola che rappresentano la popolazione giovane che garantisce il ripristino delle riserve di pesca. Senza dimenticare, che per la nostra salute, impatta anche la quantità di microplastiche che sta invadendo il mare e che ritroviamo nello stomaco dei pesci. E poi scegliere bio o non bio? C’è chi sostiene il biologico fortemente, indicando i prodotti bio come capaci di ridurre il più possibile l’impatto ambientale delle attività produttive, basandosi sul rispetto dei processi ecologici, delle risorse, suolo e acqua per primi, e della biodiversità ed eliminando l’uso di sostanze chimiche di sintesi. Ma c’è anche chi lo condanna, specie per la volontà del bio di erigersi ad unica metodologia di agricoltura valida, additando il fatto che il bio non usa pesticidi moderni, ma quelli di vecchia generazione, che non è che non inquinino; che il bio ha una produttività inferiore e per questo non è sostenibile sul piano ambientale, in quanto se fosse l’unica agricoltura possibile, si dovrebbero raddoppiare le terre coltivate con grande dispendio di quelle stesse risorse, suolo e acqua, il cui rispetto è invece un vanto per chi caldeggia il biologico. Uno dei motivi per cui si privilegia il bio è il pensiero che il biologico sia più salubre. Ma anche questa motivazione non è sempre veriitiera. Quindi no al bio? Neanche questa è la “sentenza” corretta. Meglio dire sì a prodotti realizzati con metodologie e risorse affidabili. Perché anche le verdure coltivate in casa, se c’è una falda acquifera corrotta ed inquinata, non sono né bio, nè salubri. La scelta più sostenibile è quindi quella di mangiare meno carne, ma di qualità. un regime alimentare basato su verdure e legumi e pochissime proteine animali. Perché entro il 2050 la popolazione aumenterà di due miliardi di persone. Gli allevamenti industriali non sono sostenibili. Deforestazione dilagante per far posto alla coltivazione dei mangimi o al bestiame, emissioni di metano delle mucche, allevamenti intensivi altamente inquinanti. Tra le soluzioni che si prospettano, oltre a tassare la carne rossa, nutrire le mucche ad alghe marine, anche consumare insetti o cibo stampato in 3D. Diventare vegani come risposta di sostenibilità? Messe a confronto, la dieta vegana è in grado di nutrire meno persone rispetto a diete vegetariane e onnivore. E non tutto ciò che è vegetale è sostenibile o etico. Pensiamo alla quinoa o all’avocado. Entrambi prodotti richiestissimi dall’Occidente, stanno sottraendo terreni ad altre colture, impoverendo i coltivatori locali che non possono più permettersi il primo per il rialzo del prezzo, divorando l’acqua e sottraendola al consumo della popolazione il secondo. Sostenibilità ambientale: le nostre colpe. L’agricoltura da sola è responsabile per il 30% dell’emissione di gas serra (GHG) provocata dall’uomo e per il 70% dello sfruttamento delle risorse idriche. Deforestiamo, sfruttiamo i terreni per coltivazione, allevamento, centri urbani. Consumiamo e sprechiamo acqua e siamo impattanti con il trasporto, l’imballaggio, i materiali scelti per il packaging. Tutta la filiera insomma contribuisce ad inquinare. E in uno scenario in cui la popolazione cresce in modo esponenziale produrre alimenti sostenibili, nutrienti e sufficienti, diventa inevitabilmente non più una scelta etica, ma una necessità. Improrogabile.