PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO CAPITOLO 1: CONCETTI GENERALI RELATIVI ALLO SVILUPPO Lo sviluppo può essere definito come quel processo grazie al quale l’individuo passa da una condizione di fisiologica incompetenza funzionale, alla condizione di piena autonomia e competenza. Questo processo vede impegnate 2 forze: • Da un lato la forza genetico-biologica, dettata da specifici geni che si trovano nel patrimonio genetico dell’individuo. • Dall’altro c’è la forza delle spinte ambientali che incrementano, dirigono e correggono il percorso di crescita dettato dalle spinte genetico-biologiche. MODELLO INTERATTIVO Lo sviluppo viene a configurarsi come un processo articolato in 2 percorsi: da un lato si assiste all’emergere di nuove competenze e abilità e, dall’altro alla crescita psicologica della persona. Lo sviluppo viene a configurarsi come un sistema dinamico complesso, è un sistema in cui gli elementi che lo compongono si influenzano l’uno con l’altro. Fra i fattori chiamati in causa nel favorire lo sviluppo vanno considerati: le strutture anatomiche, le caratteristiche biologiche, le caratteristiche psicologiche, i fattori ambientali di natura fisica e relazionale. Questi fattori influenzano, favoriscono, ostacolano lo sviluppo nel suo complesso. COMPETENZE EMERGENTI Esistono diverse aree competenti a favorire lo sviluppo: • Area delle competenze motorie. Riguarda le competenze che permettono all’individuo di muoversi, toccare, agire nel e su l’ambiente. È nei primi 2-3 anni che si verifica una vera e propria esplosione di queste competenze. • Area delle competenze comunicative. Riguarda le competenze che consentono all’individuo di apprendere e utilizzare i codici di comunicazione. Il bambino progressivamente comprende il significato comunicativo di alcuni gesti e comincia a familiarizzare con alcuni suoni verbali. • Area delle competenze cognitive. Riguarda le competenze che permettono all’individuo di raccogliere le esperienze in sistemi di conoscenza, di rispondere alle situazioni nuove, di conoscere e capire il mondo. • Area delle competenze sociali. Riguarda le competenze che permettono all’individuo di comprendere e riflettere sui propri stati mentali, di comprendere e riflettere sugli stati mentali altrui, di comprendere e riflettere sulle leggi che regolano i rapporti interpersonali. L’individuo è un’unità somatopsichica inscindibile, in cui le diverse competenze si fondono e si confondono in una sintesi sempre originale. CRESCITA DELLA PERSONA Crescere in una prospettiva psicologica significa passare da una condizione di neonato ad una condizione di adulto. Questo percorso di crescita psicologica individua alcuni momenti particolarmente importanti a cui è sottoposto l’individuo che sta crescendo, e sono rappresentati da: presa di coscienza di se, presa di coscienza dell’altro, presa di coscienza delle regole che definiscono i rapporti interpersonali, capacità di fronteggiare le difficoltà. LE FASI DELLO SVILUPPO È possibile individuare dei periodi caratteristici che si susseguono nel corso dello sviluppo. Essi sono: • • • • L’infanzia. È il periodo che comprende i primi 2 anni di vita. L’età prescolare. È il periodo che va dai 3 ai 5 anni. La fanciullezza. È il periodo che va dai 6 ai 12 anni. L’adolescenza. È un periodo che va dai 13 anni ma non è ancora ben definito quando termina (circa 20 anni). CONTENUTI E OBIETTIVI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO La psicologia dello sviluppo è la disciplina che si occupa della crescita psicologica dell’individuo. Nel complesso, i principali obiettivi della disciplina sono: descrivere le trasformazioni che si verificano durante il lungo percorso di crescita della persona; individuare le forze che spingono queste trasformazioni e i meccanismi con cui esse si realizzano; capire gli elementi che rendono simili tutte le persone ma anche gli elementi che le rendono così diverse; ottimizzare lo sviluppo. CAPITOLO 2: IL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI ALLA COMPRENSIONE DELLO SVILUPPO Sigmund Freud elabora una teoria psicoanalitica secondo cui nell’organizzazione mentale nulla avviene per caso. Un evento psichico per quanto possa apparire privo di significato risulta invece legato ad eventi che lo hanno preceduto e lo spiegano. Ogni processo psichico può essere compreso secondo 3 punti di vista: 1. Il punto di vista topico, considera l’apparato psichico come un’organizzazione di diversi sistemi che, pur essendo tra loro sempre in relazione, assicurano rispettivamente funzioni differenti. 2. Il punto di vista dinamico, pone l’accento sull’esistenza di un gioco di forze in costante azione e interazione tra loro. 3. Il punto di vista economico. Sottolinea che ogni fenomeno psichico è sostenuto e regolato da una certa quantità di energia. STRUTTURA DELLA PERSONALITA’ SECONDO LA CONCEZIONE PSICOANALITICA La concezione psicoanalitica della personalità si incentra sull’interazione tra organismo e ambiente. Se ogni pulsione trova la sua origine nel substrato biologico, essa tuttavia tende a scaricarsi su di un oggetto appartenente al mondo esterno. La presenza di questo oggetto esterno meta delle pulsioni, rende pertanto le vicende riguardanti le pulsioni legate a quelle ambientali. Con l’ipotesi strutturale Freud descrive la personalità dell’individuo come costituita da 3 istanze psichiche: • L’ES: sta a rappresentare il polo pulsionale della personalità, che comprende tutto l’insieme delle energie pulsionali. I contenuti dell’ES appartengono totalmente alla sfera dell’inconscio. L’ES è un serbatoio di energia pulsionale che deve essere continuamente scaricata e soddisfatta. Secondo Freud al momento della nascita l’apparato psichico è costituito solo dall’ES, e a partire da questo si verrebbero a formare l’IO e il SUPERIO. • L’IO: rappresenta un istanza della personalità estremamente complessa ed articolata. Scopo dell’IO è quello di garantire il successo nel processo di adattamento, attraverso un lavoro di coordinazione e regolazione. L’IO svolge numerose attività, quali la regolazione dell’apparato motorio e percettivo, le funzioni di osservazione, di giudizio, di conoscenza, di memoria. L’IO anche se è deputato ad assicurare le funzioni di coscienza entra in conflitto con le opposte spinte dell’ES e del SUPERIO. Il conflitto rappresenta lo scontro fra 2 istanze diverse, una tende all’appagamento immediato delle pulsioni (ES) l’altra al loro contenimento (SUPERIO). Ogni volta che si costituisce un conflitto, l’IO mette in atti processi dinamici detti di difesa. I principali meccanismi di difesa sono: La rimozione: si tratta di un meccanismo con il quale vengono respinti o nascosti sentimenti particolarmente sgradevoli. La introiezione: è un processo attraverso cui il mondo esterno viene incorporato dall’individuo. Ad esempio il bambino per vincere la paura di un animale feroce, può nel gioco identificarsi con esso ed assumerne gli atteggiamenti. La proiezione: implica la tendenza ad attribuire i propri sentimenti e contenuti psichici spiacevoli ad altre persone. La negazione: è un meccanismo che consiste nella tendenza a ridurre l’ansia rifiutando il riconoscimento di realtà esterne spiacevoli. La formazione reattiva: con questo meccanismo il contenuto di un sentimento spiacevole viene respinto a livello inconscio e sostituito inconsapevolmente con quello opposto. La fissazione: consiste nell’arresto ad una delle fasi di sviluppo in quanto il passaggio alla successiva fase implica angoscia. La regressione: l’individuo attraverso questo meccanismo ritorna a fasi precedenti del suo sviluppo psicologico. Lo spostamento: consiste nel trasferire pulsioni mal tollerate verso motivazioni o fantasie accettabili a livello cosciente. La sublimazione: tramite tale meccanismo, le energie legate all’appagamento di un impulso profondo vengono distolte dall’impulso originario. Ad esempio se un soggetto ha degli eccessivi impulsi sessuali può scegliere di fare voto di castità. La razionalizzazione: tendenza a proporsi e a proporre ad altri inconsciamente una spiegazione eticamente e logicamente giustificata. Esempio è quello fornito dalla favola della volta e l’uva. L’intellettualizzazione: è un meccanismo particolarmente presente nei soggetti contratti ossessivi. Consiste nello spostare dal campo delle emozioni impulsi particolarmente penosi. • IL SUPER-IO: quando compiamo un azione o formuliamo un idea contemporaneamente viene espresso un giudizio interiore che può approvare o condannare l’azione: questa funzione è svolta dal SUPER-IO. Il SUPER-IO può essere identificato come la coscienza morale, vale a dire l’insieme di valori in base al quale l’individuo dirige il proprio comportamento e le proprie azioni. Secondo Freud, il SUPER-IO comincia a comparire intorno ai 4-5 anni. Il bambino inizia a mettere da parte il complesso di edipo interiorizzando i divieti che gli pongono i genitori. Il SUPER-IO svolge una funzione conscia e inconscia perché da un lato rappresenta i contenuti della coscienza, dall’altro si basa anche su pulsioni che rimangono inconsce. LO SVILUPPO PSICOSESSUALE La sessualità non comprende soltanto un istinto rappresentato da un eccitazione genitale, ma include una serie di attività e manifestazioni che derivano da zone corporee diverse da quelle genitali. Distinguiamo una sessualità infantile, che secondo Freud presenta 3 aspetti: 1. Le aree che rappresentano fonti di stimoli eccitatori non sono soltanto quelle genitali ma includono anche altre zone dette erogene. 2. Nell’infanzia esistono delle attività e delle relazioni che manifestano la sessualità. 3. La sessualità infantile è autoerotica, in quanto il bambino cerca il soddisfacimento non tanto attraverso il rapporto con un altro individuo ma attraverso la stimolazione di parti del proprio corpo. La pulsione sessuale, definita libido subisce nel corso dello sviluppo una serie di trasformazioni, assumendo manifestazioni diverse. Si alternano quindi fasi libidiche, in ognuna di esse si osserva il predominio di una specifica zona erogena, quale prevalente fonte di stimoli eccitatori. L’evoluzione della sessualità infantile è stata suddivisa in 3 periodi: 1. Periodo pregenitale che comprende: a) Fase orale: dalla nascita ad un anno circa di età. In questo periodo la zona bucco-faringea (labbra, bocca, lingua, guance, naso, faringe) costituisce la zona erogena più importante. Secondo Freud è rappresentato dalla suzione, ossia dal succhiare il latte dal seno materno. La suzione è un’attività riflessa innata ciò significa che non viene insegnata al bambino ma appena nasce è già in grado di praticarla. b) Fase anale: da 1 a 3 anni. In questa fase la zona uretro-anale e perianale diventano secondo Freud la zona erogena principale. Le sensazioni di piacere appaiono legate alla defecazione, alla minzione. Quando il bambino produce le feci è come se le donasse a sua madre, offrendogli qualcosa di proprio in segno di affetto. In questa fase il bambino avverte la paura di venire derubato dei contenuti del proprio corpo e di rimanere svuotato. c) La fase fallica: da 3 a 5 anni circa. Zona erogena principale è rappresentata dai genitali. In questa fase si istaura il complesso di Edipo attraverso una situazione triangolare tra madre, padre e figlio. Il bambino maschio istaura dei sentimenti di gelosia verso la madre e di aggressività verso il padre, poiché il bambino è come se fosse innamorato della madre. La bambina l’effetto contrario. Per quanto riguarda il bambino, il possesso del pene diventa fonte di orgoglio e di esibizione. I sentimenti di odio nei confronti del padre con il quale deve dividere l’affetto materno gli fanno temere che il padre gli possa privare quell’organo tanto stimato. Ad un certo punto però il bambino per paura cerca di reprimere i desideri verso la madre e comincia a vedere il padre come un modello ideale. Per la bambina invece comincia a nascere l’invidia per il pene, in questa fase la vagina viene ignorata e la zona erogena più importante è rappresentata dal clitoride. La bambina inoltre prova rabbia verso la mamma poiché non le ha fornito un pene. 2. Periodo di latenza dai 6 ai 7 anni fino alla pubertà. In questo periodo si ha una diminuzione dell’interesse sessuale. Gli interessi si indirizzano verso altre attività, come l’ambiente scolastico, gli amici ecc. 3. Periodo genitale: a partire dal periodo della pubertà, in questo periodo si intensificano gli impulsi sessuali. Il soggetto comincerà a sperimentare e a riaccendere tutti gli impulsi infantili che si erano placati. Le zone erogene principali diventano molteplici. CAPITOLO 3: COMPORTAMENTISMO E SVILUPPO Alla nascita la mente del bambino è una tabula rasa: presenta solo dei riflessi elementari innati (suzione) tutti gli altri comportamenti devono essere appresi. LO SVILUPPO E APPRENDIMENTO L’apprendimento è stato definito come il processo con cui si origina o si modifica un’attività reagendo ad una situazione incontrata. L’apprendimento comporta una modificazione stabile del comportamento, conseguente all’esperienza. Esistono diverse teorie per spiegare l’apprendimento, quella più diffusa è la teoria associazionista: secondo cui a partire da idee semplici queste si associano per formare delle idee più complesse. Un idea richiamerà un’altra idea se gli eventi che producono queste idee avvengono nello stesso momento, quindi le idee appaiono condizionate l’una dall’altra. APPRENDIMENTO PER CONDIZIONAMENTO CLASSICO Il fisiologo Pavlov si accorse che la secrezione salivare del cane si produceva ogni volta che gli veniva introdotto del cibo nella bocca. La risposta di produrre saliva quindi era immediata ed automatica e non presupponeva nessuna forma di apprendimento, venne perciò chiamata risposta incondizionata. Inoltre Pavlov continuò l’esperimento, prima di dare il pasto all’animale faceva suonare un campanello, dopo qualche tempo il cane cominciò a salivare già quando sentiva il campanello. Ciò dimostrò che l’associazione contigua di 2 stimoli fa si che uno dei due stimoli riesca ad evocare la risposta che precedentemente veniva evocata dall’altro stimolo. Se si utilizzano campanelli simili tra di loro la risposta è sempre la stessa (generalizzazione). Se però dopo aver suonato molte volte il campanello al cane non viene dato il cibo, la risposta si estinguerà (estinzione). Ovviamente anche nello sviluppo del bambino si opera un apprendimento per condizionamento classico, il bambino mette in atto degli stimoli associati a situazioni piacevoli, ad esempio quando un genitore mette al proprio bambino il giubbino il bambino capirà che deve uscire e quindi è felice, ogni volta quindi che metterà il giubbino avrà degli atteggiamenti di felicità. APPRENDIMENTO PER CONDIZIONAMENTO OPERANTE Questo secondo tipo di condizionamento, si fonda su un principio diverso, in base al quale il soggetto che deve apprendere mette prima in atto dei comportamenti di qualche tipo e poi li associa a delle azioni piacevoli. Ad esempio se viene messo un gatto affamato in gabbia, e al di fuori della gabbia verrà messo del cibo il gatto cercherà in tutti i modi di liberarsi magari con dei movimenti casuali. Quando però questo movimento casuale gli farà aprire la gabbia, il gatto se lo fisserà in mente perché assocerà quel movimento ad una cosa piacevole, cioè al cibo. In questo caso si parla di apprendimento per condizionamento operante. Sotto questo aspetto il risultato dell’azione può assumere 3 connotazioni funzionali: 1. Rinforzo positivo è rappresentato dall’esperienza di una ricompensa piacevole o positiva all’attuazione di uno specifico comportamento. 2. Rinforzo negativo consiste nell’esperienza piacevole che si verifica quando con una determinata azione si riesce a far cessare uno stimolo negativo. 3. La punizione si riferisce all’applicazione di uno stimolo avversativo nei confronti di un determinato comportamento. APPRENDIMENTO OSSERVATIVO O PER IMITAZIONE I bambini adottano abitualmente svariati comportamenti che hanno visto mettere in atto da altre persone. È evidente che l’apprendimento per imitazione non riguarda solo i comportamenti positivi, ma anche quelli negativi. Uno studioso che ha sottolineato attraverso una serie di studi questo tipo di apprendimento è Bandura. Inoltre Bandura ha dimostrato che se si riceve una ricompensa, una soddisfazione quando si effettua un certo tipo di comportamento, questo tipo di comportamento viene rafforzato. CAPITOLO 4 L’APPROCCIO COSTRUTTIVISTA LO SVILUPPO SECONDO JEAN PIAGET Piaget ha fornito molte notizie sullo sviluppo cognitivo e sulla psicologia dello sviluppo. Secondo Piaget lo sviluppo è un progressivo equilibrarsi, un passaggio continuo da uno stato di minore equilibrio a uno di equilibrio superiore, cercando di trovare un adattamento il più adeguato possibile alla realtà. Questi processi si basano su delle azioni che il bambino compie, compie queste azioni poiché ha un interesse. La tensione che spinge il soggetto ad agire per comprendere e per spiegare è presente in tutto l’arco della vita. Il tutto ha lo scopo di trovare un adattamento all’ambiente. Col tempo però i modi di comportarsi dell’individuo si modificano in rapporto all’età e al grado di maturazione. L’adattamento all’ambiente si realizza attraverso 2 processi: 1. L’assimilazione è il processo attraverso il quale l’individuo utilizza e incorpora gli stimoli esterni. 2. L’accomodamento è il processo messo in atto quando le risposte precedentemente apprese non risultano idonee alla situazione attuale. STRUTTURE VARIABILI L’adattamento all’ambiente si realizza grazie all’utilizzo di strutture mentali, Piaget ne distingue 3 tipi: 1. Schemi comportamentali o senso motori, 0-18 mesi. Ad esempio il succhiare, è uno schema comportamentale mediante il quale il bambino interagisce con l’ambiente. 2. Schemi simbolici, sono le strutture mentali che cominciano a comparire nel secondo anno di vita e che permettono al bambino di lavorare mentalmente sulle esperienze. Ad esempio un bambino di 2 anni può vedere un bambino effettuare una certa azione e ripeterla il giorno dopo. 3. Schemi operazionali, cominciano a comparire all’età di 7 anni e vengono definiti operazioni. Un operazione cognitiva è un attività mentale che l’individuo mette in atto per raggiungere una conclusione logica. GLI STATI DELLO SVILUPPO Gli stati definiti da Piaget sono i seguenti: • Lo stadio senso-motorio, va dalla nascita fino a 2 anni circa ed è caratterizzato da un’attività conoscitiva attraverso le esperienze sensoriali e motorie. Tale stadio si divide in 6 livelli: 1. I riflessi sono caratterizzati da semplici coordinazioni sensoriali e motorie, innate ed automatiche. 2. Reazioni circolari primarie, dal primo al quarto mese. I comportamenti automatici vengono sostituiti da movimenti più articolati e coordinati, sono le prime abitudini. 3. Reazioni circolari secondarie dai 4 agli 8 mesi. Il bambino in questo stadio scopre per caso che determinate azioni che compie sono in grado di determinare spettacoli interessanti. 4. Coordinamento degli schemi secondari. Tale stadio è caratterizzato dall’utilizzazione delle attività sensomotorie precedentemente raggiunte per finalizzarle al raggiungimento di un obiettivo. 5. Le reazioni circolari terziarie introducono il quinto stadio che inizia intorno ai 15 mesi. Il bambino sperimenta una serie di meccanismi e comincia ad utilizzare tutti gli schemi che precedentemente ha acquisito per ottenere nuovi effetti. 6. Le combinazioni mentali va dai 18 mesi ai 2 anni. Durante tale stadio il bambino organizza e consolida le acquisizioni precedenti trasformandole in strumenti per risolvere problemi. • Stadio pre-operatorio, parte dai 2 anni fino ai 7, è suddiviso in 2 sottostadi: 1. Periodo pre-concettuale che va dai 2 ai 4 anni ed è caratterizzato dallo sviluppo della funzione simbolica cioè di utilizzare segni e simboli. 2. Periodo intuitivo va dai 4 ai 7 anni. Il bambino è capace di accrescere le abilità mentali, riuscendo a classificare gli oggetti in base alla forma alla misura e al colore. Il bambino in questo periodo utilizza la funzione simbolica e acquista una serie di nuove competenze come: l’imitazione differita che consiste nella capacità del bambino di ripetere un gesto o un azione in momenti successivi; il gioco di finzione il bambino ripropone giocando alcune scene che ha osservato nella vita reale. Durante questo periodo il bambino è impegnato in un esplorazione continua dell’ambiente circostante, che gli consente di acquisire simboli nuovi per rappresentare gli oggetti e per arricchire il repertorio delle proprie conoscenze. Tali simboli mantengono un carattere egocentrico poiché il punto di vista del bambino è quello unico e fondamentale. L’egocentrismo influenza il pensiero del bambino, il giudizio sugli eventi è basato sulla sua percezione. Piaget definisce il pensiero del bambino in questo stadio transduttivo, indica la tendenza del bambino a credere che due eventi che si verificano nello stesso tempo sono uno la causa dell’altro. • Lo stadio operatorio concreto va dai 7 ai 12 anni. È il periodo in cui compaiono gli schemi operazionali, ossia azioni: capacità di agire, di operare, per raggiungere una conclusione logica. Il bambino in questo periodo diventa capace di tener conto di molteplici aspetti e raggiunge la consapevolezza del carattere reversibile delle azioni. • Lo stadio operatorio formale va dai 12 anni in poi, è caratterizzato da un nuovo modello di pensiero, il ragionamento ipotetico deduttivo. L’adolescente è in grado di compiere operazioni mentali indipendentemente dalla percezione, è in grado di formulare ipotesi e di individuare soluzioni. L’individuo avrà acquisito una serie di principi che regolano i campi più svariati tali da permettergli le relazioni con il mondo adulto. CAPITOLO 5: LE PRIME INTERAZIONI NEONATO-AMBIENTE L’individuo è costituito da un insieme di organi, i quali si organizzano in apparati. Il patrimonio genetico dell’individuo sin dalla nascita contiene tutte le informazioni necessarie per la crescita e lo sviluppo, definito patrimonio genetico. Il bambino nasce con la voglia di muoversi, di agire, di scoprire, quindi di interagire con l’ambiente. MOTIVAZIONI CONGENITE Le motivazioni che spingono il bambino ad agire sono suddivise in: • Motivazioni omeostatiche, innate. Ritrarre un arto in seguito ad uno stimolo doloroso, mangiare in risposta al senso di fame. Il neonato non ha la consapevolezza di questi stati, conosce solo una condizione di quiete quando magari è sazio, oppure una condizione di malessere quando magari ha fame. Tra i riflessi arcaici ossia innati ricordiamo: riflesso di suzione (il bambino sa succhiare la tettarella automaticamente), riflesso dei punti cardinali (se si stimola la cute periorale del neonato si ha la rotazione del capo verso il capo stimolato), riflesso di fuga (il bambino allontana la parte del corpo su cui viene applicato uno stimolo doloroso), riflesso alla luce (il bambino chiude gli occhi se viene stimolato con un intesa luce), riflesso di Galant (il bambino incurva il tronco in seguito a stimolazioni paravertebrali), riflesso di moro (se il bambino subisce una brusca modificazione della posizione del capo rispetto al tronco estende le braccia e comincia a piangere), riflesso di sobbalzo (il bambino in seguito ad un rumore intenso sobbalza), riflesso di prensione palmare (il bambino chiude a pugno la mano se gli viene stimolata la superficie palmare), riflesso della marcia automatica (se viene mantenuto il bambino in posizione eretta questo cerca di camminare), reazione globale di raddrizzamento (se si mantiene il bambino in modo verticale e si poggiano i piedi su un piano il bambino estende arti tronco e capo). • Motivazioni cognitive, rispondono al bisogno di conoscere e capire. Questo bisogno conoscitivo si manifesta attraverso una serie di comportamenti: curiosità, interesse, curiosità verso l’ambiente circostante. Se al bambino viene presentato uno stimolo nuovo egli avrà una reazione di allerta, seguirà manifestazioni di gioia se lo stimolo sarà positivo, una manifestazione di tristezza se lo stimolo sarà negativo. Se questo stimolo continua la risposta sarà sempre minore, poiché il bambino si abitua “fenomeno dell’abitudine”. Se però questo stimolo viene presentato con delle caratteristiche diverse nel bambino ricompare la reazione (disabitudine). Il neonato riconosce la voce della madre e la differenzia da quella di un estranea, sono attratti dalla musica, infastiditi dai rumori, preferiscono favole udite in utero rispetto ad altre. • Motivazioni sociali, che rispondono all’esigenza di entrare in uno scambio comunicativo con gli altri. Pur essendo interessato agli oggetti il bambino preferisce in particolare la voce umana o la visione di un volto. Anche se tutti i neonati presentano queste motivazioni, il modo con cui ciascun neonato le realizza è diverso. Infatti ogni bambino ha un modo di essere, di rispondere, di relazionarsi diverso dagli altri, ogni bambino ha il suo “temperamento”. MODELLO TRANSAZIONALE Le forze che spingono in processo di sviluppo di un individuo sono di 2 tipo: 1. Fattori biologici sono rappresentati dalle strutture anatomiche che ci permettono di realizzare il movimento, il linguaggio, grazie al patrimonio genetico. Parliamo di genotipo. 2. Fattori ambientali sono tutte quelle esperienze che derivano dal rapporto dell’individuo con l’ambiente in cui vive, ossia i rapporti con la madre, padre, famiglia, scuola ecc. in questo caso parliamo di ecotipo. L’ecotipo e il genotipo si influenzano a vicenda e danno vita ad un individuo con specifiche caratteristiche, parliamo in questo caso di fenotipo. Nelle prime fasi dello sviluppo il peso dei fattori biologici (genotipo) è massimo mentre è relativamente basso quello dei fattori ambientali (ecotipo), progressivamente i fattori ambientali cominciano ad assumere un ruolo più importante mentre i fattori biologici tendono a diminuire. Il neonato con il suo modo di essere, la sua fragilità influenza l’ambiente e lo modifica. Nelle fasi successive dello sviluppo le influenze reciproche dell’individuo sull’ambiente e dell’ambiente sull’individuo sono ancora più forti. Infatti l’ingresso di un fanciullo in un nuovo gruppo di classe può cambiare il suo modo di essere, di comportarsi, di rispondere. PARTE SECONDA LE COMPETENZE EMERGENTI CAPITOLO 6 LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE MOTORIE Con il termine di sviluppo motorio indichiamo quel processo grazie al quale il bambino acquisisce una serie di abilità motorie, che gli permettono di inserirsi e partecipare all’ambiente in cui vive. Nei primi 3 anni di vita il bambino passa da una completa incompetenza posturale al completo controllo dell’equilibrio, da una motricità caotica ad azioni motorie specifiche. LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE POSTURO-CINETICHE Il movimento rappresenta uno degli strumenti più efficaci che l’individuo ha per adattarsi all’ambiente in cui vive. Muoversi significa: correre, saltare, giocare, scrivere ecc. alla nascita il neonato non ha competenze posturo cinetiche infatti ha l’incapacità di controllare il capo, sono presenti solo alcuni automatismi arcaici, i quali vanno mano mano scomparendo per lasciare il posto ad una serie di competenze. Si parla di competenze statico posturali: • Il controllo del capo, all’età di circa 2 mesi il bambino acquisisce la capacità di controllare il capo. • Posizione seduta autonoma, a partire dai 6-7 mesi il bambino comincia a sviluppare la capacità di controllare il tronco. Questo gli permette di tenere la schiena sollevata e di mantenersi in posizione seduta senza l’aiuto delle mani. • Stazione eretta, intorno ai 10-12 mesi il bambino ha maturato la reazione di equilibrio che gli permettono di mantenere la posizione eretta. Oltre alle competenze statico posturali nel bambino evolvono anche le competenze DINAMICHE, nei quali si riferiscono ai passaggi posturali che il bambino riesce spontaneamente a compiere: • Partecipazione attiva alla modifica della postura, il bambino quando l’adulto cerca di tirarlo su per le mani comincia a partecipare in modo attivo. • Passaggi posturali, il bambino dopo aver acquisito la capacità di controllare il tronco riesce a passare autonomamente in posizione seduta. • Strisciamento-rotolamento, è la prima forma di locomozione utilizzata dal bambino. • Andatura quadrupedica, comincia a verificarsi verso i 9 mesi, il bambino si mantiene a carponi. • Deambulazione autonoma, a partire all’età di 14-15 mesi il bambino si lascia a camminare, raggiunge la capacità di deambulare autonomamente. LO SVILUPPO DELLE COMPETENZE MOTORIO PRASSICHE Queste competenze riguardano le funzione delle mani e si riferiscono alla capacità di effettuare compiti di precisione, come scrivere, avvitare, allacciarsi le scarpe. Gli aspetti che caratterizzano queste funzioni sono rappresentati da: • La coordinazione dinamica generale, grazie all’integrazione di diversi sistemi ossia il sistema osteo articolare, muscolare, nervoso. Se osserviamo un movimento semplice come ad esempio chinarsi per raccogliere un oggetto, se lo analizziamo in modo più approfondito ci rendiamo conto che è decisamente complesso. Appare semplice poiché queste operazioni complesse avvengono in maniera automatica, ossia vengono acquisite nel nostro sistema nervoso, come schema motorio, in modo che possono essere utilizzate ogni volta che ne abbiamo bisogno. Nel sistema nervoso sono pertanto presenti una serie di programmi di movimento nell’ambito dei quali il cervello decide quale è più appropriato in quella circostanza e lo manda in esecuzione. • Le prassie manuali, sono tutte una serie di movimenti coordinati delle mani che permettono di agire su un oggetto, sono: - Lo sviluppo della prensione. In epoca neonatale è presente il riflesso di prensione palmare che scompare verso i 2-3 mesi per lasciare spazio ad un movimento più preciso utilizzando il pollice in opposizione a tutte le altre dita dando un effetto di pinza. - Lo sviluppo delle azioni sull’oggetto e con l’oggetto. Parallelamente al perfezionamento della prensione il bambino comincia ad agire sull’oggetto in base ai suoi bisogni e in base alle sue conoscenze. - Le prassie grafo motorie il disegno rappresenta un attività particolarmente gradita dal bambino. Inizia col tracciare dei segni disordinati poiché non coordina i movimenti. Mano mano i segni diventano sempre più precisi e solo verso i 2-3 anni il bambino comincia ad attribuire ai segni prodotti un significato. • La lateralizzazione, il corpo umano possiede numerosi organi pari e simmetrici. Le mani costituiscono un eccezione poiché sono asimmetriche, questo è dovuto per dare una maggiore specializzazione dell’una sull’altra. Il nostro cervello presenta 2 emisferi: l’emisfero sinistro è la sede dei più importanti processi mentali, per questo è detto emisfero dominante. L’emisfero destro invece ha solo la funzione di elaborare le informazioni senso motorie. In realtà se è vero che un emisfero rappresenta la sede di alcune funzioni fondamentali come il linguaggio, è anche vero che l’emisfero controlaterale organizza e controlla altre funzioni altrettanto importanti. Esistono degli individui che preferiscono utilizzare la mano destra piuttosto che la sinistra oppure sono ambidestri. Chi utilizza la mano destra è detto destrimano, chi utilizza la mano sinistra è detto mancino. Anche se in realtà bisognerebbe osservare tutti una serie di movimenti che compie l’individuo per capire se è destrimano o mancino perché un individuo può preferire di utilizzare la mano destra per certi eventi e quella sinistra per altri. CAPITOLO 7 LO SVILUPPO COMUNICATIVO LINGUISTICO È quel processo in base al quale l’individuo acquisisce nel tempo i codici utili a comunicare con gli altri. I codici comunicativi sono: espressioni mimiche (sorridere, arricciare il naso), gesti (salutare con la mano), atteggiamenti posturali (assumere una posizione di difesa, di minacce), linguaggio (verbale, letto, scritto). Comunicare significa ricorrere ai suddetti codici con lo scopo di trasmettere a chi lo riceve un proprio bisogno, un emozione o un informazione. LA FASE PRE-VERBALE Nel descrivere lo sviluppo comunicativo linguistico vengono individuate due fasi: la fase pre-verbale e la fase verbale. Quella preverbale dura in genere fino ai 12 mesi, in questa fase vengono emergono le prime produzioni sonore e la comparsa dei gesti comunicativi. LE PRIME PRODUZIONI SONORE I suoni che il bambino progressivamente emette durante questa fase rappresentano un esercizio di preparazione a quello che sarà il linguaggio vero e proprio. A partire dalla sesta settimana il bambino comincia ad emettere dei vocalizzi (a, e) verso 6 mesi comincia a mettere insieme vocali e consonanti (ma, pa) per formare una specie di sillaba. Verso i 10-12 mesi il bambino comincia ad imitare i suoni che emettono i genitori (lallazione). LA COMPARSA DEI GESTI COMUNICATIVI Nonostante il bambino in questa fase non utilizza il linguaggio è capace comunque di comunicare attraverso una serie di segnalatori: il pianto, il sorriso ecc. il pianto esprime una situazione di malessere e può indicare diverse esigenze del bambino, che la madre precocemente impara a differenziare. Verso i 4 mesi il bambino arricchisce le sue capacità espressive, infatti comincia a tendere le braccia per essere preso in braccio. Verso gli 8-9 mesi comincia ad utilizzare un linguaggio gestuale. I gesti vengono divisi in 5 categorie: 1. Gesti emblematici: sono gesti intenzionali come ad esempio fare no muovendo il dito oppure salutare scuotendo la mano. 2. Gesti illustratori: sono gesti intenzionali che hanno la funzione di accompagnare il linguaggio verbale, come ad esempio passarsi la mano nei capelli parlando del pettine. 3. Gesti emozionali: sono gesti non intenzionali correlati ad uno stato d’animo come ad esempio corrugare la fronte quando si è arrabbiati. 4. Gesti regolatori: sono gesti non intenzionali che svolgono un importante funzione quando si sta conversando come ad esempio fare un gesto per interrompere la conversazione. 5. Gesti adattatori: sono gesti non intenzionali che servono per riequilibrare uno stato di tensione come ad esempio giocherellare con una penna per abbassare la tensione. FASE VERBALE Con la fase verbale che inizia verso i 10-12 mesi compare il linguaggio propriamente detto. Il linguaggio è una funzione complessa che si realizza nel tempo attraverso la maturazione e lo sviluppo di una serie di strutture: • Organi fono articolari: labbra, lingua, laringe, diaframma. • Apparato sensopercettivo (orecchio e vie uditive), per organizzare il linguaggio bisogna essere in grado di ricevere i messaggi sonori grazie all’orecchio. • Strutture encefaliche generiche che elaborano gli stimoli in ingresso e pianificano i programmi in uscita. • Strutture encefaliche specifiche fra cui l’area di Wernicke e l’area di Broca. L’encefalo partecipa all’organizzazione del linguaggio non solo con questi centri. Per riconoscere il significato di una frase non è sufficiente decifrare il messaggio ma bisogna anche accedere al proprio patrimonio di conoscenze. Tutto ciò che l’encefalo pensa ed organizza viene poi mandato in esecuzione mediante impulsi che, attraverso i nervi raggiungono le strutture dell’apparato fono articolatorio per favorire l’emissione di suoni. Mediante l’emissione di area dalla trachea lungo la laringe il flusso fa vibrare le corde vocali che producono una sonorità. LE COMPONENTI LINGUISTICHE La funzione linguistica si organizza su una serie di regole che il soggetto deve acquisire: riconoscere e gestire i suoni; attribuire un significato alle parole e alle frasi; riconoscere il significato sulla base di informazioni extra verbali come ad esempio la postura, i gesti. Fonologia: studia l’organizzazione e la funzione dei suoni. Si interessa di quei suoni al cui cambiamento corrisponde un cambiamento di significato. Queste unità vengono definite fonemi e sono la porzione più elementare della parola. MORFOLOGIA Il morfema è l’unità linguistica minima dotata di significato. SINTASSI La sintassi studia i criteri in base ai quali vanno associate le parole affinché formano una frase significativa. PRAGMATICA È quell’area della linguistica che studia gli aspetti extra verbali del linguaggio in rapporto ai differenti contesti e alle differenti situazioni (se ad esempio ci troviamo a tavola e dobbiamo chiedere del sale, se stiamo a casa nostra lo chiediamo in un modo, se stiamo al ristorante lo chiediamo in un modo diverso). LE TAPPE DEL LINGUAGGIO Le tappe che caratterizzano questa fase presentano notevoli differenze da bambino a bambino, questo è legato a diversi fattori. Intorno ai 10-12 mesi compaiono le prime parole, fino ai 16 mesi il bambino ha un vocabolario limitato, 5-10 parole. Verso i 18 mesi il vocabolario è costituito da 50 parole, all’età di 24 mesi arriva fino a 300 parole. Prima di riuscire ad associare più parole, il bambino utilizza singole parole per comunicare interi messaggi (linguaggio olofrastico). A partire dai 18 mesi il bambino comincia a mettere insieme 2 o più parole per formare delle frasi abbreviate (linguaggio telegrafico). A partire dai 24 mesi il bambino comincia ad utilizzare la grammatica, i plurali, il passato, le preposizioni. I bambini in questo periodo una volta appreso una regola relativa ad un morfema grammaticale tendono ad utilizzarla in tutte le frasi come ad esempio ho aprito la porta (linguaggio in età prescolare). Successivamente il bambino acquisisce sempre più padronanza delle regole (linguaggio in età scolare). LE TEORIE SULLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Il linguaggio rappresenta una delle maggiori caratteristiche del comportamento umano. È difficile risalire all’origine del linguaggio, sono state però suggerite 3 teorie: 1. Approccio ambientalista. Si pensa che l’acquisizione del linguaggio sia dovuta all’associazione tra stimolo e risposta. Skinner sostiene che il bambino è un organismo passivo e vuoto capace di rispondere a stimoli esterni. Secondo un’altra concezione proposta da Bandura è che tutto ciò che il bambino apprende è frutto dell’osservazione e dell’imitazione del comportamento dei grandi. Pare che l’ambiente possa influenzare enormemente lo sviluppo del linguaggio del bambino soprattutto l’esempio e i comportamenti delle madri. 2. Approccio innatista. Secondo Chomshy il linguaggio non si impara, ma si manifesta o emerge come parte del processo di maturazione, è quindi un meccanismo innato geneticamente conservato. Secondo Slobin i bambini non hanno una conoscenza innata del linguaggio, ma hanno un innata capacità di costruire il linguaggio legate ad una serie di abilità di base che il bambino possiede. 3. Approccio interazionista. Secondo questa teoria i bambini sono biologicamente preparati ad acquisire il linguaggio, non è un abilità innata ma un preadattamento ad interagire attivamente con l’ambiente. Questo preadattamento riconosce alla sua base il sistema nervoso centrale. Gli interazionisti rivalutano il ruolo dell’ambiente, infatti i bambini non riescono ad acquisire i concetti linguistici se non hanno possibilità di interagire con gli interlocutori e quindi con l’ambiente. CAPITOLO 8 LO SVILUPPO DEI PROCESSI DI APPRENDIMENTO L’apprendimento indica quel percorso grazie al quale l’individuo acquisisce nuove competenze, nuovi comportamenti, nuove conoscenze. I FATTORI IMPLICATI NELL’APPRENDIMENTO SONO: l’intelligenza; una serie di funzioni mentali di base (attenzione, memoria, percezione, processi di controllo); fattori extra cognitivi implicati nell’apprendimento (motivazione, autostima, ecc). L’INTELLIGENZA: è la capacità di acquisire abilità, la capacità di trarre profitto dall’esperienza, la capacità di condurre un ragionamento astratto, la capacità di adattarsi a situazioni mutevoli. Esistono dei test standardizzati che vengono utilizzati per misurare l’intelligenza. La prima scala di valutazione è quella elaborata da Binet e Simon, in base alle prove utilizzate viene valutata l’età mentale (EM) del soggetto. Il rapporto fra l’età mentale e l’età cronologica fornisce il quoziente intellettivo (QI= EM fratto EC per 100). Il QI esprime in forma quantitativa il potenziale cognitivo e presenta nell’ambito della popolazione una distribuzione continua. Secondo Cattell e Horn le capacità mentali possono essere suddivise in due importanti tipi di intelligenza: 1. Intelligenza fluida che è rappresentata da quelle abilità mentali che servono per risolvere i problemi astratti. È un tipo di intelligenza che non si insegna. 2. Intelligenza cristallizzata è costituita da quelle abilità che dipendono dalla conoscenza acquisita come risultato dell’apprendimento. Mentre l’intelligenza fluida aumenta solo nel corso dell’infanzia e dell’intelligenza, l’intelligenza cristallizzata, viceversa, aumenterebbe attraverso tutto il corso dell’esistenza. COME VENGONO ELABORATE LE INFORMAZIONI Il cervello secondo una metafora è visto come un computer. Il cervello riceve un informazione in ingresso, che vengono trasformate e codificate e paragonate alle informazioni già esistenti nella memoria a lungo termine. In seguito a questo confronto l’informazione viene riconosciuta dando luogo ad una specifica risposta. Il cervello viene investito continuamente da una serie di dati che arrivano grazie ai vari organi sensoriali, questi dati sono accolti in un registro sensoriale. Per fortuna il nostro sistema nervoso è dotato di un filtro, cioè non lascia passare tutti gli stimoli. Gli stimoli che riescono a passare sono di 2 tipi: 1. Gli stimoli prepotenti che sono quelli che si pongono di prepotenza all’attenzione (un boato, un clacson). 2. Gli stimoli importanti, passano perché hanno attinenza con il contesto (come ad esempio quando l’insegnante dice ai bambini di fare attenzione perché adesso faranno il dettato). L’informazione che entra nel registro sensoriale vi rimane per tempi brevissimi, e può subire due tipi di trattamento: o viene ignorata e perduta, oppure passa il filtro per essere sottoposta ad una successiva elaborazione. La seconda fase del processo di elaborazioni dell’informazione è la fase del riconoscimento: dove l’informazione viene analizzata, scomposta, trasformata. Tutti questi dati vengono confrontati con le informazioni depositate nel sistema nervoso centrale, informazioni che rappresentano tutte le passate esperienze. A questo punto segue una decisione e quindi una risposta. Per elaborare le informazioni esistono delle funzioni mentali di base: • L’attenzione, riconosce 3 componenti: l’attenzione selettiva che lascia passare solo i dati che interessano in un dato momento, l’attenzione divisa che è la capacità di spostare rapidamente l’interesse, l’attenzione sostenuta che è la capacità di mantenere attivo lo spazio di lavoro per tutto il tempo necessario al completamento del compito. • La memoria viene utilizzata per indicare che il sistema nervoso riesce a mantenere una traccia delle esperienze passate. Distinguiamo la memoria in: la memoria istantanea che soggiorna per brevissimo tempo e permette l’elaborazione del messaggio verbale mentre l’interlocutore va avanti nel discorso; memoria a breve termine serve per trattenere temporaneamente l’informazione come quando ad esempio si cerca un numero sull’elenco; memoria a lungo termine serve per conservare le informazioni e depositarle nel nostro sistema nervoso centrale; la memoria esplicita o dichiarativa è quella forma di memoria i cui contenuti possono essere verbalizzati e sottoposti ad elaborazione cosciente come ad esempio ricordare cosa ho mangiato ieri; la memoria procedurale è quella forma di memoria che comprende atti o comportamenti che si svolgono in maniera automatica come ad esempio andare in bicicletta. In tutti i test di memoria il bambino ha delle prestazioni inferiori a quelle dell’adulto. Quello che sicuramente è differente fra l’adulto e il bambino è la capacità di richiamare dal magazzino le esperienze passate. Inoltre il bambino a differenza dell’adulto non ha la meta memoria ossia la capacità di comprendere e riflettere su ogni aspetto del pensiero umano. È importante recuperare dalla nostra memoria i dati depositati, questo è possibile farlo quando ciò che apprendiamo di nuovo viene integrato in modo adeguato con le informazioni già presenti nella memoria a lungo termine. • La percezione può essere definita come il processo mediante il quale vengono estratte le informazioni dall’ambiente. Queste informazioni vengono colte grazie agli organi di senso e vengono poi convogliate come impulsi elettrici verso il cervello che interpreta questi messaggi. È importante chiarire che non è detto che tutti percepiamo le informazioni nello stesso modo. Quindi il mondo esterno non è sempre come noi lo vediamo, spesso non corrisponde ad una realtà oggettiva. Il bambino fin dalle prime fasi di sviluppo dimostra di possedere delle grandi capacità percettive come ad esempio riconoscere la voce della madre, preferirla a quella di un estranea, discriminare suoni ecc. con il procedere dello sviluppo le abilità percettive del bambino si arricchiscono progressivamente, il lattante a 4 mesi sembra capace di riconoscere i colori. In questo percorso il bambino giunge a importanti conquiste: l’identità del volto che gli permette di capire che uno stesso volto può assumere diverse configurazioni, ciascuna delle quali ha uno specifico significato, e la sua successiva competenza ad attribuire il significato a ciascuna di queste forme. Il bambino nei primi 4 mesi di vita mette in atto delle strategie di esplorazione per ricercare nuovi eventi: muove il capo e gli occhi per fare in modo di percepire i contorni e i confini di un determinato oggetto. I bambini piccoli danno degli sguardi casuali, i bambini più grandi effettuano un esplorazione sistematica e non casuale, hanno la capacità di estrarre dati sempre più rilevanti, fino a riuscire a individuare le caratteristiche che definiscono l’oggetto. Con il tempo il bambino acquisisce una costanza della forma degli oggetti e una costanza delle dimensioni nel senso che se il bambino immagina il pallone sa che è di una certa forma e di una certa dimensione. Esistono tutta una serie di processi di controllo che dirigono le attività da seguire in ciascuno stadio dell’elaborazione che modificano il flusso di informazioni, attivano il meccanismo di reiterazione, modificano le distorsioni dei canali sensoriali. I fattori extracognitivi rientrano nella sfera delle emozioni e possono incidere sull’apprendimento e nella capacità di far fronte alle difficoltà. PARTE TERZA LA CRESCITA PSICOLOGICA CAPITOLO 9 LA PRIMA INFANZIA Il processo di crescita psicologica della persona si realizza grazie ad uno scambio fra fattori genetici e fattori ambientali. I fattori genetici sono una serie di spinte interne all’individuo e si traducono in una maturazione e crescita del sistema nervoso e del corpo. Questa progressiva maturazione rende l’individuo più recettivo verso i fattori ambientali. Pare che i fattori genetici spingono ad una pulsione sociativa, il neonato nasce con una predisposizione innata ad agire ed interagire con l’altro. L’ATTACCAMENTO La prima persona con cui il bambino stabilisce un rapporto sociale è la madre, con la quale egli istaura un rapporto inscindibile che viene definito “relazione diadica”. Il bambino ha un attaccamento verso la madre e lo dimostra con dei comportamenti che vengono definiti di attaccamento. È necessario tenere distinti i concetti di attaccamento e i comportamenti di attaccamento: l’attaccamento è un legame affettivo con una figura specifica, generalmente la madre; i comportamenti di attaccamento sono quei comportamenti che ci fanno capire che c’è un attaccamento. Esistono diversi modelli interpretativi di tale attaccamento, tra cui: • Prospettiva psicoanalitica. Secondo Freud l’attaccamento del bambino alla madre è legato al fatto che essa è in grado di soddisfare i suoi bisogni alimentari: quindi l’amore del bambino verso la madre nasce dal fatto che la madre soddisfa il suo bisogno di cibo. • Prospettiva associazionistica. Secondo la teoria associazionistica il bambino si attacca alla madre in quanto l’associa a sentimenti piacevoli e a sensazioni favorevoli. • Prospettiva etologica. Valutando delle esperienze sugli animali si è visto che i bambini vengono al mondo con un bisogno innato di un rapporto di vicinanza con una figura privilegiata, indipendentemente dal fatto che questa riesca o meno a soddisfare i loro bisogni alimentari. Secondo la teoria di Bowlby la socializzazione è una motivazione primaria, i legami emotivi segnano delle funzioni basilari tra gli individui. Le caratteristiche fisiche e morfologiche che distinguono il piccolo dall’adulto attivano nei genitori dei meccanismi innati che li inducono ad occuparsi del bambino. Il neonato infatti possiede una grande varietà di espressioni facciali molto simili a quelle degli adulti, questi vengono definiti comportamenti di segnalazione e portano la madre ad avvicinarsi al bambino. Successivamente il bambino mette in atto altri tipi di comportamenti detti di avvicinamento come tendere le braccia, accarezzare, questo porta il bambino ad avvicinarsi alla madre. LE PRIME FASI DEL PROCESSO DI PRESA DI COSCIENZA DI SE Il bambino per acquisire coscienza di se come persona attraversa una lunga serie di fasi, che partono dal periodo neonatale. Il bambino fin dalla nascita possiede una spinta che lo porta a conoscere, capire, agire; tale spinta gli consente di raccogliere una serie di informazioni attraverso la vista, l’udito ecc. Tale informazioni vengono sistemate nella mente del bambino come esperienze utili per comprendere gli eventi successivi. È grazie all’arricchimento di queste strutture di conoscenza che il bambino comincia a differenziare le sensazioni che provengono dall’esterno da quelle che provengono dall’interno. La prima scoperta che il bambino fa è quella del corpo. Ciò avviene attraverso una scrupolosa investigazione delle parti del proprio corpo: si guarda le mani, le porta alla bocca, si tocca i piedi. L’esplorazione non si limita solo al proprio corpo ma anche alle parti del corpo di altri, il bambino fissa e tocca il volto della madre, del padre. Con il tempo il bambino acquisisce lo schema corporeo mettendo insieme tutte le parti del proprio corpo circa intorno agli 8-9 mesi, in questo modo il bambino localizza, riconosce gli stimoli in ingresso ed ha la consapevolezza della posizione del proprio corpo nello spazio. REAZIONE DI PRESTANZA Il bambino quando si guarda allo specchio e vede il suo corpo è entusiasta, poiché scompare una delle sue angosce, cioè la fantasia che il suo corpo si possa disgregare. Quello che il bambino scopre a quest’età (9 mesi) non è ancora se stesso poiché egli prende coscienza del corpo come un tutto unico ma non riesce ancora ad accedere all’autocoscienza del proprio corpo. Dopo che il bambino ha scoperto se stesso comincia ad effettuare dei gesti particolari su richiesta dei familiare come ad esempio battere le mani e lo fa per ricevere un approvazione cioè vuole piacere agli altri. IL RUOLO DELL’ALTRO NEL PERCORSO DI CRESCITA Il bambino quando scopre il volto dell’altro percepisce che è qualcosa simile a lui. Acquisisce così il concetto di identità, impara che esistono un insieme di dati percettivi (occhio, naso, bocca) i quali anche se possono avere forme diverse nel loro complesso rappresentano il volto umano. Inoltre il bambino impara che uno stesso volto può assumere delle configurazioni diverse ognuna delle quali ha un significato (rabbia, gioia, tristezza). Quindi il bambino impara a conoscere e a riflettere sugli stati mentali propri e altrui come le emozioni, i desideri, le credenze. Intorno ai 6 mesi il bambino assume lo sguardo referenziale, ossia guarda la madre per stabilire con essa una sintonizzazione emotiva quando magari si trova in situazioni nuove di sorpresa. Inoltre i bambini sono capaci di mettere in atto dei meccanismi per attirare l’attenzione degli adulti. LA RIVOLUZIONE SOCIOCOGNITIVA DEI 9 MESI L’età di 9 mesi rappresenta un punto nodale, infatti secondo Piaget: il bambino arriva all’acquisizione del concetto di permanenza dell’oggetto, riconosce un esistenza autonoma dell’oggetto. Secondo Spitz il bambino entra nello stadio dell’oggetto, deve quindi fare i conti con l’ansia di separazione e con la paura degli estranei, queste rappresentano le prime angosce infantili. La paura dell’estraneo è una reazione emotiva negativa che il bambino mette in atto quando compare una figura che non gli è familiare. Precedentemente invece il bambino tendeva ad andare con tutti. L’ansia di separazione invece è una reazione negativa che compare quando il bambino vede che la madre si allontana e quindi comincia a mettere in atto dei meccanismi di attaccamento. Si riconoscono diversi pattern di attaccamento definiti modelli operativi interni di attaccamento: • Attaccamento sicuro, il bambino si tranquillizza al ritorno della madre e riprende a giocare. Dimostra di avere fiducia della disponibilità del genitore che sarà sicuramente presente in caso di bisogno. • Attaccamento resistente, il bambino non si tranquillizza al ritorno della madre, ma rimane ansioso, ricercando il contatto fisico e quindi compare la paura di potersi poi separare dalla madre. • Attaccamento evitante, il bambino sembra non accorgersi dell’allontanamento della madre, mostrando quindi una completa sfiducia nella capacità del genitore di rispondere ai suoi bisogni di aiuto e protezione. • Attaccamento disorganizzato, il bambino appare bloccato, può stringersi alla madre poi si allontana mostrando pertanto delle reazioni ambivalenti e poco chiare. Durante i primi 3 anni di vita il pattern di attaccamento è strettamente dipendente dagli atteggiamenti dei genitori. CAPITOLO 10 L’ETA’ PRE-SCOLARE L’età pre-scolare si riferisce al periodo compreso fra i 2 e 5 anni. Nel corso di questi anni avvengono importanti modifiche nel modo di essere, di agire e di interagire. In particolare questo periodo è caratterizzato da 5 aspetti: 1. L’accesso alla autoconsapevolezza: a partire dai 9 mesi con la prima scoperta di se il bambino comincia ad effettuare comportamenti su richiesta dei familiari con lo scopo di ricevere la loro approvazione. In alcuni momenti il bambino comincia ad adottare dei comportamenti per attirare l’attenzione dei grandi. Verso i 2 anni il bambino può accedere alla fase di auto riconoscimento, non si limita più a riconoscere l’immagine di un corpo ma comincia a realizzare che quell’immagine che vede riflessa rappresenta l’involucro che lo contiene. Egli ha coscienza che questo corpo che vede ha una sua forma e un suo pensiero che gli appartengono, è l’autocoscienza. Il piacere di piacere comincia a essere sostituito dal ‘piacere di essere e quindi di proporsi per affermare la propria personalità. Anche se il bambino a quest’età tende ad attirare l’attenzione su di se con uno spiccato egocentrismo, comportandosi spesso in modo opposto alle richieste dei genitori, fase dell’oppositività. 2. I processi di identificazione primaria. Il superamento di questa conflittualità con i genitori è legato all’apertura a nuove esperienze sociali che il bambino compie. Il bambino avendo acquisito coscienza di se e coscienza dell’altro entra nel mondo della socializzazione. È chiaro però che il centro dell’universo infantile è costituito dalla madre, anche la figura paterna ricopre un ruolo fondamentale. L’importanza del padre si esplica in due direzioni: da una parte ha influenza diretta sul bambino, dall’altra agisce sul bambino tramite la madre. Inoltre il padre ha la funzione di interporsi nello stretto legame madre-bambino attenuando il carattere simbiotico. La disponibilità dei modelli di riferimento stabili e rassicuranti quali la madre e il padre rende possibili i processi di identificazione e di sicurezza del bambino. Il bambino si identifica nel genitore assimilandone la sua forza e la sua adeguatezza. Successivamente poi il bambino percepisce una maggiore somiglianza con il genitore dello stesso sesso e si identificherà pertanto in maniera più accentuata con esso. 3. L’apertura alle esperienze sociali con i pari: la presa di coscienza di se oltre a favorire nel bambino processi di identificazione comporta anche un progressivo abbandono di cure da parte del genitore, l’emergere di sentimenti di padronanza sul proprio corpo e un forte interesse verso l’ambiente circostante. Intorno ai due anni di età il bambino comincia ad essere molto più interessato ai rapporti con gli altri bambini, i contatti con gli altri sono fonti costante di stimoli sociali e cognitivi, dando al bambino la possibilità di imparare come si interagisce in situazioni sociali. Con l’entrata nel gruppo il bambino comincia a confrontarsi con i coetanei ricevendo ed elaborando una serie di dati. 4. La regolazione delle emozioni. Per comprendere l’emozione altrui vi è l’empatia, ossia una disposizione emotiva che ci permette di provare le emozioni di un’altra persona. Un tipico esempio di empatia si osserva quando il bambino vede la mamma piangere e così va ad abbracciarla. A partire da questa età i bambini sono in grado di provare i sentimenti piacevoli e spiacevoli degli altri cercando anche di confortarli. Dal secondo anno di vita però avvengono dei cambiamenti, cioè i bambini cominciano a identificare e discriminare le emozioni e a prevedere le conseguenze delle specifiche reazioni emotive. Nel processo di sviluppo delle emozioni è importante che il bambino impara a regolare le proprie emozioni. Questo è possibile farlo attraverso: lo sfogo, cioè il dare libera espressione al disagio; oppure con l’evitamento cioè il tirarsi fuori da situazioni che implicano disagio o ancora esternando l’avversione. 5. La comparsa della teoria della mente: una tappa decisiva nella presa di coscienza degli stati mentali è comprendere le credenze dell’altro, ossia avere la capacità: di capire che gli altri hanno delle loro convinzioni relativamente ad alcuni aspetti della realtà, di capire che quello che gli altri credono può essere falso, di capire che gli altri si comporteranno in rapporto a quello che loro credono. In effetti la nostra vita è imperniata nel capire perché gli altri si comportano in un certo modo, non bisogna considerare questo aspetto come un semplice gusto del pettegolezzo, infatti cercare di capire perché gli altri si comportano in un certo modo è una capacità che ci permette di vivere e sopravvivere. La teoria della mente riesce a dare un interpretazione logica alle intenzioni e alle emozioni degli altri. Pare che il bambino a partire dai 4 anni riesce a pensare con la testa degli altri, cioè a prevedere il comportamento degli altri. (storiella di Sally e Anne) vedi figura pag 193. CAPITOLO 11 L’ETA’ SCOLARE E L’ADOLESCENZA L’ETA’ SCOLARE A partire dai 7 anni il bambino descrive se stesso in modo articolato e completo. Va considerato però che gli attributi che utilizza il bambino li considera stabili e immutabili. Inoltre nella descrizione utilizza sempre dei termini di paragone, nella maggior parte dei casi si paragona ad altri bambini. E solo con l’adolescenza che il soggetto arriva ad una completa coscienza di se, raggiungendo l’identità di genere e l’autostima. IDENTITA’ DI GENERE Molto precocemente il bambino viene a confrontarsi con le caratteristiche del proprio sesso, deve chiarirsi che esistono due sessi: il maschile e il femminile e deve rendersi conto a quale sesso egli appartiene. Raggiunge così l’identità sessuale intorno ai 3 anni, cioè la capacità di capire a quale sesso appartiene. Verso i 4 anni raggiunge la stabilità del genere cioè la capacità di rendersi conto che il genere rimane tale per tutta la vita. Verso i 7 anni raggiunge il concetto di costanza del genere, cioè capisce che una persona conserva lo stesso genere nonostante i possibili cambiamenti esteriori. Successivamente il bambino dopo aver acquisito il concetto di identità sessuale impara a comprendere anche i ruoli sessuali, cioè come si comporta abitualmente un maschio o come si comporta abitualmente una femmina. Comprendere i ruoli sessuali significa aver acquisito il concetto di identità di genere. L’AUTOSTIMA Può essere definita come la valutazione delle qualità che l’individuo percepisce come proprie. Si tratta di un giudizio che il bambino da alle proprie capacità. Possedere un autostima alta significa avere sentimenti positivi circa le proprie qualità, possedere un autostima bassa significa avere una scarsa considerazione di se stessi. Il concetto di autostima è da attribuire a diverse competenze che i bambini possiedono: • Competenza cognitiva riguarda la capacità di apprendere, di ricordare, di capire. • Competenza sociale, capacità di riuscire a stabilire validi rapporti interpersonali. • Competenza fisica si riferisce alla capacità di riuscire a competere in maniera soddisfacente ad attività sportive. • Competenza generale di se riguarda le soddisfazioni per la propria persona. Un soggetto può manifestare queste varie competenze in maniera diversa, cioè essere più ferrato in una piuttosto che in un’altra. L’autostima dipende in larga misura dal modo in cui gli altri ci percepiscono e reagiscono al nostro comportamento, i messaggi però che ci arrivano dagli altri spesso vengono percepiti in maniera distorta. LA SICUREZZA I genitori costituiscono per il bambino delle figure importanti su cui modellarsi. L’assimilazione dei modelli familiari da luogo alle identificazioni primarie, successivamente tali processi si estendono anche in ambiti extra familiari (maestri, coetanei) dando vita così ad identificazioni secondarie. LA RIORGANIZZAZIONE DEL PENSIERO NEL FANCIULLO Durante la crescita psicologica si verificano dei periodi critici, detti punti nodali in cui l’equilibrio del soggetto è alterato e di conseguenza anche il suo comportamento. Uno dei punti nodali è il passaggio dai 7 ai 9 anni viene definito crisi logico morale. Tre elementi sono tipici di questo periodo: 1. Passaggio dal globalismo percettivo al pensiero astratto, il bambino passa dallo stadio intuitivo a quello riflessivo. In questo periodo il bambino giunge al concetto di morte come fatto irreversibile, lo applica agli esseri umani e conosce le circostanze che possono determinarla. 2. Passaggio da una morale imitativa ad un codice morale. Le regole che nella prima infanzia venivano imposte, verso i 7 anni cominciano non più a funzionare poiché il bambino si confronta con l’esterno e trova delle discordanze. 3. Il passaggio dal clan familiare al gruppo sociale. In questo periodo il bambino viene immesso nella società, c’è una tendenza ad entrare in relazione con i suoi simili e a vivere in comunità. Questa transizione di età rappresenta una burrasca psicologica che quasi nessuno supera senza un disagio emotivo anche passeggero, l’elemento che caratterizza tale crisi è rappresentato dal fatto che il ragazzo comincia a riflettere sugli avvenimenti senza però metabolizzare le scoperte effettuate (periodo della latenza). Il ragazzo di fronte alle nuove possibilità reagisce in modo ambivalente, da un lato è attratto, dall’altro ha paura di affrontarle. Se il bambino si presenta a quest’età si presenta con un disarmonico sviluppo affettivo intellettivo la crisi dei 7-9 anni diviene più accentuata e può presentare diversi disturbi del comportamento: aggressività verso i genitori e l’ambiente, crisi d’ira, timidezza grave, disinteresse, situazioni regressive (succhiarsi il dito, dondolamento) terrori notturni, anoressia, balbuzie, fobie. Una situazione tipica di questo periodo è la fobia scolare: si manifesta fra i 5-10 anni, i bambini al momento di andare a scuola presentano marcati segni di ansia, dolori addominali, cefalea. Tali sintomi mettono in allarme i genitori che pensano ad una malattia organica. Nella maggioranza dei casi la fobia scolare rappresenta l’espressione di un ansia di separazione. L’ADOLESCENZA L’immagine di se che il bambino costruisce con fatica durante queste fasi viene messa in crisi nella successiva fase adolescenziale. I rapidi cambiamenti hanno importanti ripercussioni psicologiche in quanto riportano un aumento degli impulsi libidici. Si continua a ricercare una propria identità personale che rende conflittuali i rapporti con se stesso e con l’ambiente. L’adolescenza comporta la ricapitolazione di tutti i principali problemi infantili, pertanto il superamento di tale crisi è legato in gran parte all’equilibrio anteriore di ciascuno. PARTE QUARTA FATTORI DI RISCHIO PSICOSOCIALE CAPITOLO 12 LE VARIAZIONI DELLA STRUTTURA FAMILIARE L’ADOZIONE Nell’immaginario l’adozione dovrebbe rappresentare un momento felice in cui il bambino trova affetto. La realtà è spesso molto diversa, il percorso dell’adozione è caratterizzato da problemi sia di tipo giuridico che psicologici: leggi complesse, con iter lunghi, storie traumatiche vissute dai bambini. Durante questo percorso esistono diversi punti critici: • C’è una persona che rinuncia al proprio figlio. • C’è un bambino che deve elaborare questa rinuncia. • Ci sono due persone che decidono di sottoporsi ad un giudizio di idoneità e che quindi vogliono occuparsi del bambino. L’adozione può essere definita come l’istituto giuridico grazie al quale soggetti non riconosciuti da parte di genitori naturali possono diventare figli legittimi di altri genitori. Per avviare il procedimento la coppia deve possedere la certificazione di un matrimonio in assenza di separazioni legali, un età che deve superare almeno di 18 e non di oltre 45 anni l’età di chi viene adottato. Viene inoltrata una domanda al tribunale dei minori, il giudice competente invia i coniugi ai servizi sociali, dove vengono sottoposti ad una serie di colloqui per la valutazione di idoneità. Al termine di questa fase la coppia riceve una relazione da consegnare in busta chiusa al tribunale dei minori, se è attestata un idoneità si cercherà di scegliere per la coppia il bambino più adatto. CONSIDERAZIONI SULLE DINAMICHE DELLA COPPIA ADOTTANTE E SUL BAMBINO ADOTTATO Nelle coppie sterili che decidono di adottare un bambino alcune caratteristiche non esplorate sono l’impotenza, la frigidità, matrimoni non consumati, si vengono così a creare dei percorsi emotivi molto particolari che attraversano fallimenti di inadeguatezza e colpa. Lo sconforto che ne deriva induce a comportamenti reattivi maniacali. Spesso i genitori sterili si aspettano un prodotto perfetto, che possa aiutarli a riparare la loro mancata capacità creativa. In realtà il bambino adottato che sa di essere stato rifiutato dai suoi genitori naturali ha difficoltà ad integrarsi anche perché devono adattarsi ad una situazione nuova e devono legarsi ai nuovi genitori per le prestazioni affettive che questi offrono e non per la somiglianza naturale. L’essere stati abbandonati dai genitori biologici spinge spesso il bambino adottivo a richiedere la conferma di essere gradito e molto spesso assumono atteggiamenti aggressivi come prova di accettazione. Da tutte le ricerche effettuate sulle adozioni è chiaro che i bambini adottati mostrano una maggiore vulnerabilità, pare che la situazione sia più semplice quando i bambini vengono adottati nei primi 6 mesi di vita. I bambini adottati presentano un disturbo reattivo dell’attaccamento, ossia la difficoltà di legarsi. IL DIVORIZIO Il divorzio oggi rappresenta una situazione abbastanza diffusa che ha un impatto psicologico sul bambino in base ad una serie di variabili, l’età in cui avviene, le relazioni che intraprende con i genitori, la presenza e disponibilità dei fratelli, la situazione finanziaria della famiglia. In realtà ciò che altera il comportamento dei bambini non è tanto la situazione di divorzio ma piuttosto la discordia con i genitori. La discordia può assumere diverse forme andando dal completo disinteresse di ciascun coniuge nel confronto dell’altro fino a situazioni di aperta conflittualità. Il periodo che segue il divorzio si caratterizza come una fase particolarmente critica sia per i genitori che per il bambino, in quanto entrambi devono adattarsi ad un nuovo sistema di vita. È chiaro che in una situazione di conflittualità il risentimento finisce per investire i figli che spesso vogliono sostituirsi al genitore mancante. Le conseguenze psicologiche che possono investire i bambini in seguito al divorzio sono diverse: disturbo del comportamento alimentare, disturbi d’ansia, insuccesso scolastico, disturbi dell’umore. Il divorzio e i cambiamenti che esso comporta impongono al bambino di rinunciare ad una serie di elementi di riferimento e di fronteggiare situazioni nuove e complicate. Ovviamente si può dire che se i genitori mantengono tra loro un rapporto amichevole e poco ostile e se i figli hanno contatti frequenti con entrambi, gli eventuali effetti negativi si riducono. In caso invece di conflitto familiare è utile che il bambino mantenga una buona relazione con almeno uno dei genitori. CAPITOLO 13 L’ABUSO INFANTILE Il fenomeno dell’abuso sui minori non è nuovo ma risale fin da epoche molto remote. Risulta utile operare una classificazione in base alle caratteristiche dell’atto abusante: • Atti intenzionali rappresentati da comportamenti attivi perpetrati ai danni del bambino. Possono essere di natura fisica (percosse) ma anche di natura emotiva (minacce). • Omissioni (neglect) mancato provvedimento alle esigenze del bambino. In base ad un’altra classificazione possiamo distinguere: • Maltrattamento definito come atti intenzionali o omissioni perpetrati ai danni di un bambino da parte di chi si prende cura di lui. • Violenza, atti intenzionali o omissioni perpetrati ai danni di un bambino tali da determinare gravi danni fisici o profondi traumi psicologici. L’ABUSO FISICO Numerosi studi hanno cercato di capire le cause dell’abuso, sono emersi 3 orientamenti: 1. L’atto abusante è un sintomo di quadri depressivi, schizofrenici ecc. 2. Abuso come conseguente di dinamiche intrapsichiche, problematiche e conflittuali. 3. Abuso come un comportamento appreso da altri. Tra gli abusi bisognerebbe valutare situazioni sociali espresse da povertà, emarginazione, isolamento sociale. Tutte queste ipotesi servono per stabilire dei nessi di causa ed effetto: ad esempio un genitore con particolari problemi psicologici per proteggere il figlio adotta degli atteggiamenti particolarmente permissivi; oppure un genitore sottoposto ad atti di abuso da piccolo, per reazione adotta atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del figlio. VULNERABILITA’ RELATIVA AL BAMBINI Alcune categorie di bambini risultano particolarmente a rischio di abuso: • Bambini con handicap fisici e gravi disabilità neurologiche. • Bambini iperattivi, capricciosi o inibiti. • Bambini con grave rischio anamnestico. È dimostrato che un handicap fisico o psichico si traduce in complesse problematiche genitoriali, i genitori sono disperati, angosciati e rassegnati. Pensano di non essere stati capaci di procreare figli belli e sani, non sempre riescono a superare questa angoscia e quindi possono attivare azioni violente nei confronti dei bambini. Nel caso invece di bambini iperattivi, spesso i genitori interpretano i comportamenti del bambino come sfida alla loro autorità e possono quindi rispondere con la violenza. In tutte queste dinamiche il bambino viene ad essere esposto a degli abusi poiché attiva involontariamente dei meccanismi violenti. VULNERABILITA’ DEL GENITORE Anche alcune categorie di genitori in qualche modo sono predisposti ad incorrere in atti abusanti, tra i quali: • Genitori che sono incapaci di accedere all’interiorità del bambino e quindi di comprendere le loro emozioni. • Genitori che hanno subito in età infantile abusi. L’essere stato oggetto di atto di abuso determina nel futuro genitore una serie di disturbi psicopatologici, che possono predisporlo a compiere sul proprio figlio atti abusanti. Se invece consideriamo delle particolari famiglie, come ad esempio: nuclei familiari isolati, assenza di uno dei genitori, numero elevato dei componenti, disagi economici, sottomissione di un genitore. È evidente che nell’ambito di tali situazioni si alterano i rapporti fra il bambino e il genitore e si può incorrere in atti di abuso. È chiaro però che nessuno dei fattori descritti precedentemente può essere considerato da solo la causa dell’atto abusante. LA TRASCURATEZZA Rientra nelle forme di abuso all’infanzia ed evidenzia una disattenzione nei confronti dei bisogni fisici ed evolutivi del bambino, distinguiamo: • Trascuratezza fisica, il genitore non provvede alle esigenze nutritive del bambino e all’igiene. • Trascuratezza nelle cure mediche, il genitore non provvede a sottoporre il bambino alle abituali cure preventive (vaccinazione). • Trascuratezza nella super visone, il genitore non provvede a controllare che il figlio stia attento e non subisca danni fisici. • Trascuratezza educativa, i genitori non si preoccupano di garantire l’inserimento del bambino nella scuola. • Trascuratezza emotiva, i genitori non mostrano attenzioni e affetto verso il bambino. L’ABUSO SESSUALE Una particolare forma di abuso è coinvolgere il bambino in attività sessuali inappropriate rispetto al suo livello di sviluppo. L’abuso indica lo sfruttamento sessuale da parte di un individuo maggiore del bambino, ne deriva che il bambino diventa vittima impotente in quanto non è in grado di elaborare emotivamente questa situazione. Distinguiamo diverse forme di abuso: • L’atto abusante è di natura sessuale: possono essere delle telefonate, la visione di materiale pornografico, oppure delle vere stimolazioni sessuali espresse attraverso la masturbazione o tramite rapporti incompleti o completi. L’80% dei casi vengono coinvolte bambine. Generalmente l’abusante è una figura di cui il bambino inizialmente si fida (un parente, un amico di famiglia). Quando l’abusante è un membro della famiglia viene a configurarsi un incesto. Nel caso l’abusante si configura come padre del bambino distinguiamo 2 situazioni: quella in cui il padre si sente vittima della sua stessa perversione, con atteggiamenti di tipo depressivo; quella in cui il padre giustifica il suo comportamento come un diritto di possesso sui propri figli. Spesso le madri sanno, ma fanno finta di non sapere, cercano di ignorare volutamente quanto accade intorno a loro, spesso perché sono anche esse vittime di abusi da parte del coniuge. CONSEGUENZE DEGLI ABUSI Le diverse forme di abuso possono causare nel soggetto abusato effetti a breve, medio, lungo termine. Effetti a brave e medio termine: • Effetti fisici vanno da graffi fino a gravi lesioni degli organi interni. In alcuni casi il risultato dell’abuso fisico può essere rappresentato dalla morte del bambino. La malnutrizione ad esempio può determinare difficoltà di crescita, la trascuratezza nelle cure mediche può facilitare l’insorgenza di infezioni. • Effetti sullo sviluppo cognitivo possono tradursi in ritardi del linguaggio, ritardo dell’apprendimento scolastico. • Effetti emotivi, l’abuso si traduce in una gravissima minaccia nei processi di sviluppo emotivo che si manifestano con ansia, perdita di interessi, ossessioni, disordini del linguaggio. Molto spesso queste manifestazioni si associano fra di loro dando dei disturbi complessi come: il disturbo reattivo dell’attaccamento dell’infanzia, il disturbo posttraumatico da stress, il disturbo acuto da stress, il disturbo dell’adattamento. Queste manifestazioni sono dovute all’alterazione di 3 aree critiche dello sviluppo, quali: • La sicurezza cioè quel sentimento che ci permette di fronteggiare situazioni nuove. Se il bambino cresce bene possiede questa sicurezza che gli consente di sentirsi audace nell’esplorare il mondo. Nel caso contrario il bambino vivrà con l’ansia di affrontare la realtà e cercherà di rimanere sempre legato ad una figura genitoriale, affinché il genitore possa aiutarlo nel momento di difficoltà. • Autocontrollo è la capacità di controllare l’impulsività, e di raggiungere quindi un equilibrio. Un bambino che ha subito abusi non riesce a raggiungere tale equilibrio attraversando fasi di estremo autocontrollo oppure di bassissimo autocontrollo. • L’autostima, intesa come la consapevolezza delle qualità che l’individuo possiede. Possedere un autostima alta significa avere sentimenti positivi circa la propria persona, ovviamente abusi sul bambino fanno si che si sviluppino in lui sentimenti di inadeguatezza e di colpa. Affetti a lungo termine: ovviamente tutte queste manifestazioni a breve e lungo termine hanno conseguenze anche a lungo termine, il bambino che è stato abusato e diventa adulto può mostrare disturbi di personalità, depressione maggiore, disturbi d’ansia. LA SINDROME DI MUNCHAUSEN PER PROCURA OPPURE (DISTURBO FITTIZZIO PER PROCURA) Tale sindrome si presenta attraverso la simulazione di segni o sintomi con lo scopo di assumere il ruolo di malato. Il soggetto descrive in modo particolare tutti i sintomi per ingannare il medico e per ottenere un ricovero ospedaliero. Questa sindrome può essere riversata dai genitori sui propri figli: la madre fa sottoporre il figlio a lunghe e rischiose indagini diagnostiche poiché pensa che il figlio sia malato. È capace addirittura per avvalorare la sua tesi di falsificare i referti. Ovviamente la madre è affetta da un disturbo di personalità e questo tipo di comportamento può causare dei danni nel bambino: sia fisici sia psicologici. Infatti il bambino si convince di essere malato, in altri casi invece il bambino sa di non essere malato ma per accontentare la madre diventa suo complice. CAPITOLO 14 LA MALATTIA CRONICA È stato osservato che ogni malattia fisica non colpisce solo il corpo ma anche la vita psichica del bambino e della famiglia. Particolarmente importante in questo senso sono le malattie croniche poiché indicano per il soggetto la fine dello stato di salute e il passaggio irreversibile nel mondo del patologico. La malattia cronica apporta nel bambino l’alterazione tra l’equilibrio del piacere e del dispiacere. In molti casi il bambino è costretto a cambiare le sue abitudini e a fare una serie di rinunce come giochi o a mangiare determinati cibi. Anche l’ambiente familiare si altera, i genitori sono angosciati per la malattia del proprio figlio. Il bambino subisce dei meccanismi di regressione, cioè deve delegare altre persone per la gestione del suo corpo, diventa dipendente dai genitori e dai medici. In alcuni casi il bambino attraversa anche una negazione, cioè si comporta come se non fosse malato, rifiuta la terapia e si mostra aggressivo. È importante l’età di insorgenza della malattia, via via che cresce il bambino confrontandosi con gli altri prende coscienza della propria diversità e tende a manifestare reazioni depressive. La disponibilità del medico può ridurre l’ansia dei genitori e può aiutarli a prendere coscienza della realtà e a regolare meglio le proprie emozioni, vengono fornite spiegazioni al bambino che possono sicuramente rassicurarlo. L’OSPEDALIZZAZIONE Il ricovero in ospedale anche se per periodo molto breve rappresenta per il bambino un esperienza sconvolgente, che determina delle reazioni emotive importanti. In ospedale il bambino viene affidato a persone non conosciute che ruotano intorno a lui, è costretto a modificare le sue abitudini quotidiane, è obbligato a separarsi dai genitori nel momento in cui ha più bisogno di protezione e aiuto. Un bambino che oltre ad essere malato fisicamente si ritrova ad affrontare queste situazioni che gli causano un alterazione psichica. Il periodo durante il quale il bambino presenta maggiore vulnerabilità è compreso tra i 7 mesi e i 3-4 anni, in quest’età infatti il bambino è completamente dipendente dalla madre, pertanto è utile che in queste circostanze le madri non abbandonano mai i bambini ricoverati, è importante inoltre creare in ospedale un ambiente piuttosto familiare. CAPITOLO 15 IL BULLISMO Il bullismo è una forma di oppressione estrema in cui c’è sempre una o più persone che fungono da persecutore ed una vittima. Uno studente ad esempio è oggetto di azioni bullistiche quando è vittima ripetutamente di azioni offensive messe in atto da uno o più compagni. Le azioni offensive possono essere: • Mediate dall’suo della parole. • Mediate attraverso uno scontro fisico e l’uso delle mani. • Mediate attraverso smorfie o gesti. • Mediate attraverso l’esclusione della vittima dal gruppo. Il bullismo può essere messo in atto da un singolo individuo detto bullo oppure da un gruppo di individui detto branco, la vittima può essere singola o un gruppo. Per poter parlare di bullismo è necessario che vi sia una figura più forte e una più debole. Il bullismo può essere diretto nei confronti della vittima oppure indiretto con tutti quei comportamenti che escludono la vittima dal gruppo. Diversi studi hanno dimostrato che circa il 15% della popolazione è stata coinvolta nel fenomeno del bullismo, sempre più spesso in Italia i mass media riportano notizie di bullismo all’interno delle scuole. Il fenomeno del bullismo è più frequente nella popolazione maschile che in quella femminile. Nei pochi casi di bullismo femminile prevalgono le forme di bullismo indiretto, ossia calunniare, alterare i rapporti di amicizia, sparlare. CARATTERISTICHE DELLA VITTIMA Le vittime spesso presentano dei tratti vulnerabili: sono obesi oppure molto magri, sono alti oppure troppo bassi, possono presentare delle piccole alterazioni del viso, del naso, delle orecchie. Possono essere soggetti fragili, emotivi e che quindi non riescono a fronteggiare tale situazione di bullismo. CARATTERISTICHE DEL BULLO I bulli presentano una forte aggressività verso i coetanei ma anche nei confronti dei genitori e degli insegnanti. Sono soggetti che non riescono a controllare i loro impulsi, hanno un alterazione dell’umore e passano dall’esaltazione sfrenata alla depressione. Queste alterazioni sono definite come disturbo della condotta e spesso mascherano uno stato di ansia e di insicurezza. CARATTERISTICHE DELLE FAMIGLIE Solitamente le famiglie delle vittime o dei bulli si rivolgono ai loro figli in modo molto permissivo oppure in modo molto aggressivo. I figli per imitazione dei genitori adottano anche essi dei comportamenti aggressivi o permissivi diventando di conseguenza bulli o vittime. EFFETTI A BREVE E LUNGO TERMINE Il fenomeno del bullismo ha delle ripercussioni e quindi degli effetti: tra gli effetti a breve termine ricordiamo le manifestazioni ansiose, la tachicardia, le cefalee; tra i disturbi a lungo termine invece riconosciamo disturbi di personalità, disturbi del comportamento alimentare, disturbi d’ansia.