Antichità e Istituzioni Romane / Storia Romana I (a.a. 2018-2019) Introduzione alla storia di Roma (6) Il regno di Claudio Tabula Clesiana (CIL, V 5050 = ILS 206 = FIRA, I2 nr. 71; cfr. E. Migliario, Il territorio trentino nella storia europea, vol. I, L’età antica, Trento 2011, pp. 165-168) Durante il consolato di Marco Giunio Silano e Quinto Sulpicio Camerino (46 d.C.), alle idi di marzo, a Baia, nel pretorio, fu affisso l'editto di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico che è trascritto qui sotto. Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, pontefice massimo, durante la sua sesta potestà tribunizia, dopo la sua undicesima acclamazione a imperatore, padre della patria, console designato per la quarta volta, dice: poiché, fra le antiche controversie in corso già dai tempi di mio zio Tiberio Cesare, per dirimere le quali - a mia memoria, solo quelle che esistevano fra i Comensi e i Bergalei - egli aveva inviato Pinario Apollinare, e poiché costui, in un primo tempo per l'ostinata assenza di mio zio, in seguito anche sotto il principato di Gaio, trascurò - non certo da sciocco - di produrre una relazione su quanto non gli veniva richiesto; e poiché successivamente Camurio Statuto notificò a me che i terreni e le foreste sono per la maggior parte di mia personale proprietà: ho inviato sul posto Giulio Planta, mio amico e compagno, il quale, convocati i miei procuratori - sia quelli che stavano in altra regione, sia quelli in zona con la massima precisione condusse l'indagine e istruì la questione; per tutte le altre questioni, delego a lui di dirimere e di decidere, secondo le soluzioni a me prospettate nella relazione da lui prodotta. Per quanto riguarda la condizione degli Anauni, dei Sinduni e dei Tulliassi, una parte dei quali si dice che il denunciante abbia scoperto essere attribuita ai Tridentini, una parte nemmeno attribuita, anche se mi rendo conto che questa categoria di persone non fonda la cittadinanza romana su un'origine sufficientemente assodata, tuttavia, poiché si dice che ne siano stati in possesso per lungo periodo d'uso, e che si siano talmente fusi con i Tridentini da non poterne essere separati senza grave danno per lo splendido municipio, permetto che per mia concessione essi continuino a stare nella condizione giuridica che ritenevano di avere, e tanto più perché parecchi della loro condizione si dice prestino servizio perfino nel mio pretorio, e che alcuni addirittura siano stati ufficiali della truppa, e che certuni inseriti nelle decurie a Roma vi facciano i giudici. Accordo loro tale beneficio, con la conseguenza che qualunque negozio abbiano concluso o qualunque azione giudiziaria abbiano intrapreso come se fossero stati cittadini romani, o fra di loro o con i Tridentini o con altri, ordino che sia ratificato; e i nomi da cittadini romani che avevano preso in precedenza, concedo loro di mantenerli (trad. E. MIGLIARIO). Tac., Annales, XI 23-24 (48 d.C.) Nell’anno del consolato di Aulo Vitellio e Lucio Vipstano si discuteva dell’opportunità di aumentare il numero dei senatori e i notabili della Gallia Comata, che in precedenza avevano ottenuto trattati e la cittadinanza romana, rivendicavano il diritto di ottenere cariche a Roma. Vi erano parecchie e varie opinioni al riguardo e nel consiglio del princeps il dibattito era animato in entrambi i sensi: l’Italia – si diceva – non era così moribonda da non essere in grado di fornire nuovi senatori alla propria capitale [...] Claudio non si lasciò convincere da questi e da altri argomenti simili, ma subito li confutò e, convocato il senato, così parlò: «I miei antenati, il più antico dei quali Clauso di origine sabina fu accolto tanto nella cittadinanza romana quanto nel patriziato, mi esortano ad agire allo stesso modo nel governo dello stato, portando qui quanto di meglio vi sia altrove. So bene che i Giulii sono stati chiamati in senato da Alba, i Coruncanii da Camerio, i Porci da Tuscolo e, lasciando da parte l’antichità, altri ne vennero dall’Etruria, dalla Lucania e dall’Italia intera. L’Italia stessa ha di recente esteso i suoi confini fino alle Alpi, cosicché non solo individui, ma regioni e popoli interi si sono fusi con noi. Abbiamo goduto di una solida pace interna e della vittoria esterna quando i Transpadani sono stati accolti nella cittadinanza e noi con la scusa che le nostre legioni erano sparse per il mondo abbiamo aggiunto provinciali validissimi, risollevando le sorti di un impero in difficoltà. Dobbiamo forse pentirci del fatto che i Balbi siano giunti dalla Spagna e uomini non meno illustri dalla Gallia Narbonense? I loro discendenti sono qui e amano questa patria non meno di noi! Cos’altro causò la rovina di Ateniesi e Spartani, se non il fatto che, pur forti in guerra, trattavano i vinti come stranieri? Invece il nostro fondatore Romolo fu così saggio che, in più occasioni, vinse popoli ostili e li trasformò in cittadini nell’arco della stessa giornata. Alcuni nostri re erano stranieri, anche l’elezione alle magistrature di figli di liberti non è una pratica recente, come molti erroneamente credono, bensì comune nei tempi antichi. ‘Ma contro i Senoni abbiamo combattuto’, dite; e Volsci ed Equi non si sono mai schierati in battaglia contro di noi? ‘Siamo stati invasi dai Galli’; se è per questo, agli Etruschi abbiamo dato ostaggi e siamo passati sotto il giogo dei Sanniti. Tuttavia, se consideriamo tutte le nostre guerre, nessuna si è conclusa da meno tempo di quella contro i Galli: da allora la pace è stata continua e sicura. Si sono già assimilati a noi per usanze, cultura e parentele: lasciamo che ci portino anche il loro oro e le loro ricchezze, invece di tenerle separate! O padri coscritti, tutto quello che adesso ci sembra antichissimo una volta era nuovo: i magistrati plebei vennero dopo i patrizi, i Latini dopo i plebei, tutti gli altri popoli d’Italia dopo i Latini. Anche la presente innovazione invecchierà e ciò che ora giustifichiamo ricorrendo ai precedenti, diverrà un precedente» *Per la versione epigrafica del discorso di Claudio cfr. CIL, XIII 1668 = ILS 212 = FIRA, I2, nr. 43 Sen., Apocolokyntosis, 2, 2-3,3 Credo che si capirà di più se dirò: il mese era ottobre, il giorno il 13, l’ora non posso dirtela con precisione: più facilmente ci sarà accordo tra filosofi che tra orologi; e tuttavia era tra mezzogiorno e l’una […] Claudio cominciò a condurre fuori la sua anima, ma non riusciva a trovate l’uscita. Allora Mercurio, che si era sempre compiaciuto dell’intelletto di quello, prese in disparte una delle Parche e disse: “Perché, donna crudelissima, permetti che si tormenti un tale uomo? Non si riposerà mai, dopo essere stato così a lungo torturato? Sono sessantaquattro anni che lotta con la sua anima. Perché sei ostile a lui e allo Stato? Lascia che per una volta abbiano ragione gli astrologi, che da quando è principe ogni anno e ogni mese gli rendono gli onori funebri. E tuttavia non meraviglia il fatto che si sbaglino e che nessuno conosca la sua ultima ora, dato che nessuno lo ha mai considerato nato. Fa quello che bisogna fare: dagli la morte e lascia che uno migliore regni nella reggia liberata dalla sua presenza”. Ma Cloto: “Per Ercole – disse – avrei voluto accordargli ancora un poco di tempo da vivere, almeno finché non avesse concesso la cittadinanza a quei pochi che sono rimasti: infatti, si era posto come obiettivo di vedere togati tutti i Greci, i Galli, gli Spagnoli, i Britannici. Ma poiché è deciso che qualche straniero rimanga come semenza e tu così ordini, così sia”. Plin., Epist., VII, 29, 1-2 (la tomba di M. Antonius Pallas, procurator a rationibus di Claudio; cfr. anche ibid., VIII, 6, 1) C. Plinius Montano suo s(alutem). Ridebis, deinde indignaberis, deinde ridebis, si legeris, quod nisi legeris non potes credere. Est via Tiburtina intra primum lapidem — proxime adnotavi — monimentum Pallantis ita inscriptum: 'Huic senatus ob fidem pietatemque erga patronos ornamenta praetoria decrevit et sestertium centies quinquagies, cuius honore contentus fuit.' Gaio Plinio saluta il suo Montano. Riderai, poi ti indignerai, se leggerai ciò che se tu non lo leggessi non potresti credere. Sulla via Tiburtina, entro il primo miglio (or ora lo osserverai) c’è il monumento funebre di Pallante, con la seguente iscrizione: “ Per la sua fedeltà e devozione verso i patroni, a costui il senato conferì le insegne pretorie e quindici milioni di sesterzi, ma egli si accontentò del solo onore” [riferimento a senatusconsultum del 52 d,C.] cfr. Lex. Top. Urbis Romae – Suburbium, IV. 2006, p. 155, s.v. Pallantis Monumentum (Z. Mari)] CIL, XV, 7500 b = ILS 1666; cfr. Terme di Diocleziano: la collezione epigrafica, Milano 2012, p. 424, VI,76 (Roma, fistula da via IV Novembre) Narcissi Aug(usti) l(iberti) ab epistul(is) (scil. aqua). CIL, VI 920, cfr. 31203 e pp. 841, 3777 = 40416 (Roma, via del Corso, 51-52 d.C.) Ti(berio) Clau[dio Drusi f(ilio) Cai]s̲a̲r̲i ̲ / Augu[sto Germani]c̲o̲, / pontific[i maxim(o), trib(unicia) potes]t̲a̲t(̲ e) X̲ ̲̅I,̲ ̲̅ / co(n)s(uli) V̅ , im[p(eratori) XXII (?), cens(ori), patri pa]t̲r̲ia̲ ̲ i,̲ / senatus po[pulusque] R̲ o̲[manus, q]u̲ o̲d̲ / reges Brit[annorum] X̲ I ̲ d̲ [iebus paucis sine] / ulla iactur[a devicerit et regna eorum] / gentesque b[arbaras trans Oceanum sitas] /prìmus in dicị[onem populi Romani redegerit]. CIL, VI 40852 (Roma, via Flaminia 52, 49 d.C.) 〈:in vertice〉Pomerium //〈:in fronte〉 Ti(berius) Claudius Drusi f(ilius) Caisar / Aug(ustus) Germanicus, / pont(ifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) / V̅ I ̅I ̅I ̅I ̅, imp(erator) XVI, co(n)s(ul) I ̅I ̅I ̅I ̅, / censor, p(ater) p(atriae), / auctis populi Romani / finibus, pomerium ampliavit terminavitq(ue). //〈:in latere sinistro〉CXXXIX. Suet., Divus Claudius, 25,4 Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit. Nerone CIL, VI 40307 (Roma, piazza del Colosseo – scavo della Meta Sudans; 55-56 d.C.): 〈col. I〉Imp(eratori) Caisari Divi f(ilio) /Augusto, / pontifici maximo, co(n)s(uli) X̅ I ̅, / tribunicia potestat(e) XI. 〈col. II〉Neroni Claudio Divi / Claudii f(ilio), / Germanici Caisaris n(epoti), / Ti(beri) Caisaris Aug(usti) pron(epoti), / Divi Augusti abn(epoti), / Caisari Aug(usto) Germanico, pont(ifici) / max(imo), trib(unicia) potest(ate) I ̅I ̅, imp(eratori), co(n)s(uli). 〈col. III〉Ti(berio) Claudio Drusi f(ilio) / Caisari Augusto / Germanico, pontifici / maximo, tribunicia pot(estate), / imp(eratori), co(n)s(uli) I ̅I ̅. 〈col. IV〉Iuliae Au[gustae] / Agri[ppinae] / Germanic[i Caisaris f(iliae)] / divi Cla[udi uxori]. / <in una linea〉Aenatores, tubicines, liticines, cornicines {Romani}. /Romani. Tac., Annales, XV, 44, 2-5 (Nerone: l’incendio del 64 d.C. e le persecuzioni dei cristiani) Allora, per soffocare ogni diceria, Nerone spacciò per colpevoli e condannò a pene di crudeltà particolarmente ricercata quelli che il volgo, detestandoli per le loro infamie, chiamava cristiani. Derivavano il loro nome da Cristo, condannato al supplizio, sotto l'imperatore Tiberio, dal procuratore Ponzio Pilato. Momentaneamente soffocata, questa rovinosa superstizione proruppe di nuovo, non solo in Giudea, terra d'origine del flagello, ma anche a Roma, in cui convergono da ogni dove e trovano adepti le pratiche e le brutture più tremende. Furono dunque dapprima arrestati quanti si professavano cristiani; poi, su loro denuncia, venne condannata una quantità enorme di altri, non tanto per l'incendio, quanto per il loro odio contro il genere umano. Quanti andavano a morire subivano anche oltraggi, come venire coperti di pelli di animali selvatici ed essere sbranati dai cani, oppure crocefissi ed arsi vivi come torce, per servire, al calar della sera, da illuminazione notturna. Per tali spettacoli Nerone aveva aperto i suoi giardini e offriva giochi nel circo, mescolandosi alla plebe in veste d'auriga o mostrandosi ritto su un cocchio. Per cui, benché si trattasse di colpevoli, che avevano meritato punizioni così particolari, nasceva nei loro confronti anche la pietà, perché vittime sacrificate non al pubblico bene bensì alla crudeltà di uno solo. I Flavi Tac., Hist., I, 4, 2 Finis Neronis ut laetus primo gaudentium impetu fuerat, ita varios motus animorum non modo in urbe apud patres aut populum aut urbanum militem, sed omnis legiones ducesque conciverat, evulgato imperii arcano posse principem alibi quam Romae fieri La morte di Nerone, come era stata fonte di gioia con un iniziale impeto di coloro che si rallegravano, così aveva suscitato sentimenti diversi non solo a Roma tra i senatori o il popolo o le truppe di stanza in città, ma anche tra tutte le legioni e i comandanti, essendosi svelato il segreto dell’impero: che l’imperatore poteva essere creato anche fuori da Roma. Tac., Hist., I, 16 «Se l’immenso corpo dell’impero potesse reggersi e stare in equilibrio senza un reggente, sarebbe allora meglio che con me iniziasse una repubblica. Ma per come stanno le cose, abbiamo da tempo raggiunto la condizione che, adesso, la mia vecchiaia non può dare al popolo romano niente di meglio di un buon successore – e la tua giovinezza un buon princeps. Siamo passati da Tiberio, a Gaio e a Claudio quasi come l’eredità di un’unica famiglia; al posto della libertà avremo la possibilità di sceglierci ora il princeps. Esaurita la casata dei Giulio-Claudi, l’adozione sceglierà il migliore. Infatti, essere generato e nascere da un princeps è casuale e non c’è altro da dire, invece la facoltà di adottare è libera e, se vuoi scegliere, il consenso di tutti individua la persona. Teniamo ben presente Nerone, che orgoglioso di discendere da una lunga serie di Cesari, fu tirato giù dalle spalle del popolo non da Vindice con una provincia disarmata, non da me con una sola legione, ma dalla sua indole mostruosa, dalla sua stravaganza! Prima d’ora non esistevano precedenti di principes condannati. Noi, chiamati al potere dalla guerra e dal giudizio sul nostro valore, saremo oggetto d’invidia a prescindere dalle azioni onorevoli che faremo. Non temere se ci sono ancora due legioni in rivolta in un mondo scosso fin nelle sue fondamenta. Io stesso non sono arrivato al potere con sicurezza e quando si saprà della tua adozione smetterò di sembrare un uomo anziano, che è il mio unico ostacolo. I peggiori rimpiangeranno sempre Nerone: il mio e il tuo compito è evitare che i migliori facciano lo stesso. Ma non è più tempo di parlare ancora, avrò fatto il mio dovere se tu sarai una buona scelta. Il mezzo più utile e più rapido per distinguere il bene dal male è pensare a ciò che avresti o non avresti desiderato sotto un altro princeps. Infatti qui non c’è, come tra i popoli soggetti a un re, una casata di regnanti definita e un popolo intero di schiavi; tu sei chiamato a comandare su uomini che non tollerano una schiavitù completa ma non sanno essere del tutto liberi». Galba parlò a Pisone più o meno così, come se stesse per creare un princeps, mentre gli altri si rivolgevano a lui come se lo fosse già. Lex de imperio Vespasiani (CIL, VI 930, cfr. pp. 3070, 3777,4307, 4340 = ILS 244, Roma, 69-70 d.C.) ...o gli sia consentito stipulare trattati con chi vuole, così come fu consentito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Gli sia consentito convocare il senato, proporre mozioni, riferire, proporre senatoconsulti per relationem e per discessionem, così come fu consentito al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto, a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Quando una seduta del senato è indetta per sua volontà, autorità, ordine, mandato o in sua presenza, tutto quello che lì si decide abbia e mantenga valore legale (ius), come se la seduta del senato fosse stata indetta e svolta in ottemperanza a una legge (e lege). Qualunque candidato a una magistratura, potere, imperium, incarico che lui raccomanda al senato o al popolo romano, o al quale egli dà o promette il suo appoggio elettorale, ottenga una considerazione speciale (extra ordinem) nei comizi. Gli sia consentito spostare e allargare i confini del pomerium quando lo ritiene utile per lo stato, così come fu consentito a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Egli abbia il diritto e il potere di fare tutto quello che riterrà utile per lo stato e degno degli interessi divini, umani, pubblici e privati, così come era stato concesso al divino Augusto, a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. L’imperator Cesare Vespasiano sia sciolto dall’osservanza delle leggi e dei plebisciti dai quali erano formalmente dispensati il divino Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. All’imperator Cesare Vespasiano Augusto sia permesso fare tutto quello che il divino Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico ebbero l’opportunità di fare con leggi o plebisciti. Tutto quello che è stato fatto, compiuto, decretato e ordinato, prima di questa legge, dall’imperator Cesare Vespasiano Augusto o da chiunque su sua delega, sia ritenuto conforme al diritto come se fosse stato fatto su ordine del popolo o della plebe. SANZIONE: Se in conseguenza di questa legge qualcuno ha fatto o fa qualcosa di contrario a leggi, rogazioni, plebisciti, senatoconsulti, oppure se, in conseguenza di questa legge, non ottempera a una legge, rogazione, plebiscito, senatoconsulto, ciò non gli vada a detrimento, non debba per questo pagare alcunché al popolo, non vi siano processi o giudizi su questo, nessuno proceda contro di lui per questo CIL, VI 40454 a (Roma, Colosseo) CIL, VI 944 cfr. pp. 3070, 3777, 4308 = ILS 264; cfr. M.G. Granino Cecere, in BCAR, 118, 2017, pp. 229-235 (Roma, Circo Massimo, 81 d.C.) Senatus / populusq(ue) Romanus / Imp(eratori) Tito Caesari Divi Vespasiani f(ilio) Vespasian[o] Augusto / pontif(ici) max(imo), trib(unicia) pot(estate) X, imp(eratori) XVII, [c]o(n)s(uli) VIII, p(atri) p(atriae), principi suo / quod praeceptis patri[is] consiliisq(ue) et auspiciis gentem / Iudaeorum domuit et urbem Hierusolymam omnibus ante se ducibus / , regibus, gentibus aut frustra petitam aut omnino intemptatam delevit. Il senato e il popolo romano all’imperatore Tito Cesare Vespasiano Augusto, figlio del divo Vespasiano, pontefice massimo, nella decima potestà tribunizia, acclamato imperator per la diciassettesima volta, console per l’ottava volta, padre della patria, suo principe, perché secondo gli ordini e gli auspici del padre, soggiogò il popolo giudaico e distrusse la città di Gerusalemme, prima di lui o o invano assalita o addirittura completamente intoccata da tutti i generali, re, popoli. Plin., Nat. Hist., IIII, 4, 30 Metallis plumbi, ferri, aeris, argenti, auri tota ferme Hispania scatet, citerior et specularis lapidis, Baetica et minio. sunt et marmorum lapidicinae. Universae Hispaniae Vespasianus Imperator Augustus iactatum procellis rei publicae Latium tribuit. Quasi tutta la Spagna abbonda di miniere di piombo, ferro, rame, argento, oro; in particolare la Citeriore è ricca anche di pietra speculare; la Betica di minio. Vi sono anche cave di marmo. All’intera Spagna l’imperatore Vespasiano concesse il diritto latino, nel tempo in cui il Lazio era squassato dalle bufere della guerra civile. Suet., Domitianus, 23. Il popolo accolse con indifferenza la notizia della sua [di Domiziano] uccisione, i soldati invece con grande sdegno, e cercarono subito di divinizzarlo, pronti anche a vendicarlo, se non fossero venuti meno i comandanti; cosa che invero fecero poco dopo, chiedendo con insistenza la punizione dei responsabili del delitto. Il senato, al contrario, si rallegrò tanto che, dopo aver affollato la Curia, non poté trattenersi dal vilipendere a gara il defunto con le invettive più ingiuriose e violente, e anche dall’ordinare che fossero portate delle scale per staccare, seduta stante, gli scudi e i ritratti di Domiziano e abbatterli al suolo, e infine dal decretare che si eliminassero ovunque le tutte le iscrizioni e si cancellasse la sua memoria. Nerva e Traiano Tac., Agricola, 3,1 Ora finalmente ritorna l’animo; e sebbene al primo sorgere del suo regno subito felicissimo, Nerva Cesare abbia unito cose un tempo inconciliabili, principato e libertà, e Nerva Traiano accresca ogni giorno la felicità dei tempi, e la sicurezza pubblica non solo abbia creato speranze e desideri, ma anche la salda fiducia in quegli stessi desideri, tuttavia per la natura dell’infermità umana, i rimedi sono più lenti dei mali. CIL,V 5894 = ILS 298 (Ancona, porto, 114-115 d.C.) Plotinae / Aug(ustae), / coniugi Aug(usti). // Imp(eratori) Caesari, dìvì Nervae f(ilio), Nervae / Traiano Optimo Aug(usto) Germanic(o) / Dacico, pont(ifici) max(imo), tr(ibunicia) pot(estate) / X̅ V̅I ̅I ̅I ̅I ̅ , imp(eratori) I ̅X̅ , / co(n)s(uli) V̅ I ̅, p(atri) p(atriae), providentissimo principi. / Senatus p(opulus)q(ue) R(omanus), quod accessum / Italiae, hoc etiam addito ex pecunia sua / portu, tutiorem navigantibus reddiderit. // Divae / Marcianae / Aug(ustae), / sorori Aug(usti). Il porto di Ostia Cass. Dio, LXVIII, 5 Dopo che fu arrivato a Roma, realizzò molte opere per riformare l’assetto dello stato e per ingraziarsi gli uomini onesti; conferì un’inusuale attenzione agli affari pubblici, per esempio facendo molti doni alle città d’Italia per garantire l’allevamento dei fanciulli e ai cittadini benemeriti concesse molti favori. CIL, IX 1455 = ILS 6509 = FIRA, III, 117, vv. 1-4 (Ligures Baebiani [Circello], 101 d.C.) [Imp(eratore) Caes(are)] Nerva Traiano Aug(usto) G[ermanic]o IIII / [Q(uinto)] Articuleio Paeto [co(n)s(ulibus)] / [qui i(nfra) s(cripti) s(unt) ex praecepto Optim]i Maximiq(ue) principis obligarunt prae[dia ut ex em]pto Ligures Baebiani / [usuras semestres i(nfra) s(cripti) percipiant e]t ex indulgentia eius pueri puellaeq(ue) a[limenta a]ccipiant //… Fornice dell’arco di Traiano a Benevento: rilievo con rappresentazione dell’institutio alimentaria Gli Antonini SHA, Hadrianus, 22.8 Ab epistulis et a libellis primus equites Romanos habuit. Per primo ebbe dei cavalieri romani come segretari addetti alla corrispondenza e all’esame delle petizioni. Uffici centrali (a partire da Claudio) -a rationibus (cavaliere a partire da Traiano) -a censibus (cavaliere a partire da Adriano) -a commentariis (dall’età flavia) - a studiis (cavaliere a partire da Adriano) - a memoria (a partire da Adriano) - ab epistulis (cavaliere a partire da Traiano) - a libellis (cavaliere a partire da Adriano) - a cognitionibus - a declamationibus - a patrimonio SHA, Hadrianus, 22.13 Quattuor consulares per omnem Italiam iudices constituit. Nominò quattro ex consoli come giudici per tutta l’Italia. SHA., Marcus., 11.6 Datis iuridicis Italiae consuluit ad id exemplum, quo Hadrianus consulares viros reddere iura praeceperat Assegnati dei giudici (iuridici [di rango pretorio]) all’Italia provvide seguendo l’esempio di Adriano che aveva stabilito che ex consoli amministrassero la giustizia. SHA, Marcus, 11.8 Leges etiam addidit de vicensima hereditatum, de tutelis libertorum, de bonis maternis et item de filiorum successionibus pro parte materna, utque senatores peregrini quartam partem in Italia possiderent. Introdusse anche nuove leggi concernenti l’imposta sulle eredità [istituita da Augusto], la tutela dei liberti, i beni materni, e anche la successione dei figli nel possesso dell’eredità materna, e sull’obbligo dei senatori provinciali si investire ¼ del loro patrimonio fondiario in Italia Oros., Historiae contra paganos, VII, 13, 1-5 Nell’anno 867 dalla fondazione di Roma [117 d.C.], Adriano, figlio di una cugina di Traiano, ottenne il principato come dodicesimo Augusto, e regnò per ventun anni […] Con un’ultima strage ridusse all’obbedienza i Giudei che, inaspriti dal disordine provocato dai loro stessi crimini, si erano dati al saccheggio della provincia di Palestina, già loro possesso ; e vendicò i Cristiani che essi, guidata da Cocheba [Bar Kokhba], tormentavano perché non inclini ad appoggiarli contro i Romani ; dispose anche che a nessun Giudeo fosse permesso, e ai soli Cristiani consentito, di entrare in Gerusalemme, città che egli rimise in ottimo stato con la costruzione di nuove mura e che volle chiamata Elia (Aelia Capitolina) dal suo prenome. SHA, Antoninus, 2, 9-11 Rivestì la questura, dando prova di liberalità, la pretura, che esercitò con signorile larghezza, e infine il consolato, insieme a Catilio Severo [120 d.C.]. In tutti i periodi della sua vita, trascorsi libero da pubbliche incombenze, si ritirava assai di frequente in campagna, ma era assai ben conosciuto ovunque. Adriano lo elesse tra i quattro consolari a cui era affidato il governo dell’Italia, assegnandogli l’amministrazione di quella parte in cui egli aveva estesi possedimenti, così da garantire a un tempo prestigio e tranquillità di vita a un uomo così valente. CIL, XIV 2070 = ILS 6183 (base di statua onoraria, Lavinium) Divo Antonino Aug(usto) / senatus populusque Laurens, / quod privilegia eorum non modo / custodierit, sed etiam / ampliaverit, curatore / M. Annio Sabino Libone c(larissimo) v(iro), / curantibus Ti. Iulio Nepotiano / et P. Aemilio Egnatiano praet(oribis) // II q(uin)q(uennalibus) Laurentium / Lavinatium. Medaglione bronzeo di Antonino Pio (cfr. A. Chiappini, Scritti in memoria di Roberto Pretagostini, II, Roma 2009, pp. 907-913) SHA, Verus, 8, 1-3 Fuit eius fati, ut in eas provincias, per quas redit, Romam usque luem secum deferre videretur. Et nata fertur pestilentia in Babylonia, ubi de templo Apollinis ex arcula aurea, quam miles forte inciderat, spiritus pestilens evasit, atque inde Parthos orbemque complesse, et hoc non Lucii Veri vitio sed Cassii, a quo contra fidem Seleucia, quae ut amicos milites nostros receperat, expugnata est. Il suo destino volle che in tutte le province per cui passò tornando a Roma, egli apparisse quale portatore di pestilenza. In realtà si dice che la pestilenza abbia avuto origine in Babilonia, dove da un forziere d’oro del tempio di Apollo, che per avventura un soldato aveva forzato, sarebbe spirato fuori il germe appestante, che di lì diffuse il contagio fra i Parti e in tutto il mondo ; e questo non per colpa di Vero, ma di (Avidio) Cassio, che mancando di parola, espugnò Seleucia, città che aveva accolto come amici i nostri soldati. Amm. Marc., XXIII, 6, 24 Qua per duces Veri Caesaris, ut ante rettulimus, expulsata, avulsum sedibus simulacrum Comei Apollinis perlatumque Romam in aede Apollinis Palatini deorum antistites collocarunt. fertur autem quod post direptum hoc idem figmentum incensa civitate milites fanum scrutantes invenere foramen angustum, quo reserato, ut pretiosum aliquid invenirent, ex adyto quodam concluso a Chaldaeorum arcanis labes primordialis exiluit, quae insanabilium vi concepta morborum eiusdem Veri Marcique Antonini temporibus ab ipsis Persarum finibus ad usque Rhenum et Gallias cuncta contagiis polluebat et mortibus. Dopo che Seleucia fu espugnata dai generali di Vero Cesare (come abbiamo narrato in precedenza), la statua di Apollo Comeo (= Cumeo) fu tolta dalla sua sede e portata a Roma e i sacerdoti la collocarono nel tempio di Apollo Palatino. Si racconta che dopo il rapimento di questa statua, mentre la città era in fiamme, alcuni soldati, che rovistavano nel tempio trovarono un foro angusto e apertolo, sperando di trovare qualcosa di prezioso, da un recesso chiuso con formule magiche dei Caldei, balzò fuori una pestilenza primordiale che, prodotta dalla violenza di insanabili malattie, all’epoca dello stesso Vero e di Marco Antonino contaminò con contagi e morti tutto l’impero dagli stessi confini della Persia fino alla Gallia e al Reno. [Antologia delle fonti, II.V.1, T1] CIL, III 5567 cfr. p. 238,201 = ILLPRON, 1508 (Bedaium - Noricum, 182 d.C.) D(is) M(anibus). / Iul(ius) Victor, Martial(is) f(ilius), / ob(itus) an(norum) LV, / Bessa Iuvenis f(ilia) ux(or) ((obita)) an(norum) XLV, / Novella Essibni f(ilia) ob(ita) a(nnorum) XVIII, / Victorinus parentib(us) / et coniugi et Victorinae / fil(iae) fecit / qui per luem vita functi sunt Mamertino et Rufo co(n)s(ulibus) [= 182 d.C.], / et Aur(elio) Iustino fratri mil(iti) / leg(ionis) II Ital(icae) stipend(iorum) X ((obito)) a(nnorum) XXX. Agli Dèi Mani. Giulio Vittore, figlio di Marziale, morto all’età di 55 anni, la moglie Bessa, figlia di Iuvene, morta all’età di 45 anni, Novella, figlia di Essibne, morta all’età di 18. Vittorino fece (questo monumento) per i genitori, per la moglie e la figlia Vittorina, morti di peste nell’anno del consolato di Mamertino e Rufo e per il fratello Aurelio Giustino, soldato della II legione Italica, al suo decimo anno di milizia, morto all’età di 30 anni. SHA, Marcus, 13 Mentre era ancora in corso la guerra partica, scoppiò quella marcomannica […] Una volta tornato il fratello dopo un quinquennio [trascorso in Oriente] Marco affrontò l’argomento in senato, asserendo che per la guerra con i Germani erano necessari entrambi gli imperatori. E il timore per questa guerra marcomannica fu così grande, che (Marco) Antonino fece venire da ogni parte sacerdoti, fece compiere cerimonie religiose straniere, purificò la città di Roma in ogni modo; e ritardando la partenza per il fronte di guerra fece anche celebrare per sette giorni i banchetti degli dei secondo il rituale romano. Vi fu una pestilenza così virulenta che per portare via i cadaveri si usarono carri e carrozze. […] Amm. Marc., XXIX, 6, 1 Quadorum natio motu est excita repentino, parum nunc formidanda, sed inmensum quantum antehac bellatrix et potens, ut indicant properata quondam raptu proclivi, obsessaque ab isdem Marcomannisque Aquileia diu Opitergiumque excisum et cruenta conplura perceleri acta procinctu, vix resistente perruptis Alpibus Iuliis principe Pio, quem ante docuimus, Marco. La nazione dei Quadi si sollevò repentinamente e da loro e dai Marcomanni fu assediata a lungo Aquileia e fu rasa al suolo Oderzo, e molte altre spedizioni sanguinose furono compiute con rapidi assalti, tanto che a stento, varcate le Alpi Giulie, poté opporsi a loro l’imperatore Marco Pio, di cui abbiamo già parlato in precedenza. Cass. Dio, LXXII, 8 Così Marco Aurelio sottomise i Marcomanni e gli Iazigi, dopo molte lotte e pericoli. Gli capitò anche una grande guerra contro la popolazione chiamata dei Quadi e gli capitò la fortuna di vincerli inaspettatamente, o piuttosto la vittoria gli fu donata dal cielo. Infatti, mentre i Romani erano in pericolo durante la battaglia, il potere divino li salvò in modo del tutto inaspettato. I Quadi li avevano circondati in un luogo favorevole per loro e i Romani combatterono animosamente con gli scudi legati l’uno all’altro; allora i barbari sospesero la battaglia, pensando di prenderli facilmente per il caldo e la sete. Quindi, avendo chiuso i passaggi tutto intorno, li circondarono in modo che non potessero prendere acqua da nessuna parte; i barbari infatti erano molto superiori di numero. I Romani dunque erano in una situazione disastrosa per il caldo e le ferite, per il sole e la sete e così non potevano né combattere né ritirarsi, ma stavano schierati e ai loro posti, bruciati dal sole, quando improvvisamente si raccolsero molte nuvole e cadde una pioggia abbondante non senza interposizione divina. E vi è infatti una storia secondo la quale un certo Arnufis, un mago egiziano che accompagnava Marco Aurelio, avrebbe invocato alcuni demoni e in particolare Ermes, dio dell’aria, con degli incantesimi e in questo modo avrebbe attirato la pioggia. Inscriptiones Aquileiae, I, 234 Ἀρνοῦφις / ἱερογραμματεὺς / τῆς Αἰγύπτου καὶ /Τερέντ(ιος) Πρεῖσκος / Θεᾷ ∙ Ἐπιφανεῖ (“alla dea che si manifesta”). Roma, piazza Colonna, Colonna antonina (particolare del rilievo con “miracolo della pioggia)