Corso di Laurea in Educazione Professionale L’educazione intergenerazionale. L’efficacia delle pratiche intergenerazionali tra anziani non autosufficienti e bambini in età infantile. Tesi di laurea di: Francesca ROGNONI Matr. Relatore: Prof.ssa. Correlatore: Dott.ssa. Anno Accademico 2016-2017 INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 3 1. ANZIANI E BAMBINI: SOGGETTI DELL’EDUCAZIONE INTERGENERAZIONALE .. 8 1.1 L’età senile .......................................................................................................................... 8 1.1.1 Il ruolo dell’anziano nel sistema familiare ................................................................. 10 1.1.2 Il ruolo dell’anziano nel III millennio ........................................................................ 13 1.1.3 La demenza in età senile ............................................................................................ 16 1.1.4 Assistenza sociosanitaria e servizi per anziani ........................................................... 19 1.2 La prima infanzia .............................................................................................................. 23 1.2.1 Il bambino nella società moderna............................................................................... 26 1.2.2 I contesti educativi: l’importanza dell’ambiente nell’asilo nido ................................ 30 1.3 Bambini e anziani: persone in relazione............................................................................ 32 1.3.1 Nonni e nipoti: un incontro speciale........................................................................... 35 2. L’APPRENDIMENTO PERMANENTE LUNGO L’ARCO DELLA VITA ........................ 38 2.1 Il mantenimento delle funzioni intellettive ....................................................................... 38 2.2 Modelli di apprendimento permanente.............................................................................. 41 2.2.1 Apprendimento lungo l’arco della vita: “Lifelong learning” ..................................... 42 2.2.2 Prospettiva dello Sviluppo lungo l’arco della vita: “Life-Span Perspective”............. 44 2.3 Politiche di invecchiamento attivo ed educazione permanente ......................................... 47 2.4 L’educatore professionale nel lavoro con gli anziani ........................................................ 51 3. L’EDUCAZIONE INTERGENERAZIONALE COME PRASSI EDUCATIVA .................. 54 3.1. Il dialogo intergenerazionale ............................................................................................ 54 3.2 L’approccio intergenerazionale ......................................................................................... 56 3.3 Costruire una relazione autentica ...................................................................................... 60 3.4 Principali modelli di riferimento ....................................................................................... 62 3.5 Principali teorie di riferimento .......................................................................................... 66 4. DUE GENERAZIONI CHE SI INCONTRANO ............................................................................ 72 4.1 La nascita delle esperienze intergenerazionali .................................................................. 72 4.1.1 I primi progetti in Italia .............................................................................................. 73 4.2 Lo scenario europeo: Il Progetto “TOY” .......................................................................... 75 4.2.1 I progetti pilota realizzati nei paesi europei ........................................................ 77 4.3 Gli effetti delle pratiche intergenerazionali ....................................................................... 81 1 5. IL PROGETTO “UN NUOVO PASSO NELL’INTERGENERAZIONALITÁ” ....................... 86 5.1 La Fondazione Opera Immacolata Concezione (OIC) – ONLUS ..................................... 86 5.1.1. Il Centro Residenziale Nazareth di Padova ............................................................... 87 5.1.2 L’Asilo nido intergenerazionale “L’isola che non c’è”.............................................. 88 5.2 Il Progetto: “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità”................................................... 89 5.2.1. I programmi intergenerazionali della Fondazione ..................................................... 90 5.2.2 Analisi dei bisogni ...................................................................................................... 92 5.2.3. Obiettivi..................................................................................................................... 96 5.2.4 Metodologia d’intervento ........................................................................................... 97 5.2.5. Azioni ........................................................................................................................ 98 5.2.6 Programmazione mensile delle attività .................................................................... 101 5.2.7. Strumenti di valutazione......................................................................................... 103 5.2.8 Risultati e analisi dei dati ......................................................................................... 105 5.3. Verifica dell’efficacia del progetto................................................................................. 110 6. IPOTESI PROGETTUALE PER L’ANNO 2018 ................................................................ 111 6.1 “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità”: anno 2018 ................................................. 111 6.2 Considerazioni finali ....................................................................................................... 115 CONCLUSIONI ........................................................................................................................ 118 BIBLIOGRAFIA....................................................................................................................... 125 SITOGRAFIA ........................................................................................................................... 130 ALLEGATI ............................................................................................................................... 131 Allegato n. 1: Esame dello stato mentale (“Mini-Mental State Examination”, MMSE)....... 132 Allegato n. 2: Inventario neuropsichiatrico (“Neuropsychiatric Inventory”, NPI) ............... 136 Allegato n. 3: Test di fluenza verbale (fonemica, semantica) ............................................... 145 Allegato n. 4: Test delle matrici attentive ............................................................................. 149 Allegato n. 5: Griglia di controllo (“check-list”)................................................................... 153 Allegato n. 6: Intervista Educatrice Anziani ......................................................................... 154 Allegato n. 7: Intervista Educatrice Asilo Nido .................................................................... 155 2 INTRODUZIONE “Per dare significato alla nostra vita quando invecchiamo occorre costruire un ponte fra l’inizio e la fine, fra i primi stadi in cui la fondamentale virtù è la speranza e gli ultimi in cui il rischio è l’isolamento”. Erik Erikson Con questa citazione desidero introdurre la motivazione che mi ha condotto alla scelta dell’argomento del mio lavoro di tesi, relativo all’efficacia delle pratiche intergenerazionali tra anziani non autosufficienti e bambini in età infantile. In questi tre anni di formazione universitaria e di tirocinio ho avuto la possibilità di lavorare con diverse utenze sia in Italia sia all’estero. Giunta alla conclusione del mio percorso di laurea mi sono resa conto che non mi sono mai soffermata sufficientemente sulla concezione degli anziani come risorse per la società. La scelta di questo argomento è stata dettata dalla curiosità personale e dal desiderio di scoprire un tema che mi sembrava lontano da ciò che viene insegnato sui banchi scolatici: l’educazione intergenerazionale intesa come relazione, scambio, dialogo e reciprocità con l’altro, partecipazione e collaborazione tra soggetti appartenenti a generazioni diverse. Scopo di questo lavoro è approfondire il tema della relazione tra generazioni distanti, in particolare tra anziani non autosufficienti e bambini durante la prima infanzia. 3 Avvalendomi dei contributi di professionisti e studiosi che si occupano dell’argomento e della mia esperienza sul campo, ho cercato di analizzare i benefici che le pratiche di educazione intergenerazionale possono portare agli anziani non autosufficienti e ai bambini in età infantile. Per approfondire il tema, mi sono trasferita a Treviso a lavorare in un asilo nido intergenerazionale; da qui ho intrapreso un percorso di conoscenza e approfondimento delle pratiche intergenerazionali. Ho avuto la possibilità di svolgere il lavoro di tesi presso la Fondazione Opera Immacolata Concezione ONLUS di Padova, la quale da anni si impegna per promuovere la longevità e in particolare attiva progetti intergenerazionali tra anziani affetti da demenze e bambini in età infantile. Partecipando alla stesura del progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” e osservando le attività proposte agli anziani affetti da Alzheimer e ai bambini dell’asilo nido, sono oggi convinta dell’efficacia di questo intervento educativo. L’ipotesi pilota della tesi è che, mediante azioni di scambio intergenerazionale, si possano modificare gli stereotipi relativi alle diverse età della vita che emergono dall’immaginario sociale collettivo, sviluppare e valorizzare il potenziale formativo e generativo degli anziani affetti da Alzheimer e potenziare la competenza relazionale tra soggetti di età diversa. L’articolazione del lavoro ha previsto nel primo capitolo l’approfondimento teorico sulla vecchiaia e sulla prima infanzia. Come primo passo viene definito il concetto di invecchiamento inteso come la somma di tutti i cambiamenti psicologici e biologici che accompagnano ciascun individuo nell’arco della sua vita ed è caratterizzato dal passare degli anni, con ricadute sulla’ efficienza e sulla capacità di adattamento psico-fisico. Per ottenere una visione completa dell’età senile viene ripercorso il ruolo che l’anziano ricopre nel sistema famigliare, nella società moderna e viene focalizzata l’attenzione sugli anziani non autosufficienti, in particolare affetti da demenze riportando una breve spiegazione delle sindromi più diffuse. Inoltre sono stati analizzati i servizi rivolti agli anziani e l’assistenza sociosanitaria che essi ricevono in Italia. 4 Spostando l’attenzione sui bambini viene introdotto il concetto di prima infanzia, focalizzando l’analisi sull’apprendimento, il ruolo del bambino nella società moderna e l’importanza che ha l’ambiente nel contesto di asilo nido. Infine, partendo da ciò che è emerso nei paragrafi precedenti viene approfondito il concetto di relazione tra bambini e anziani. Nel secondo capitolo viene illustrata la nozione di apprendimento lungo l’arco della vita. Fino al ‘900 si è ritenuto che le funzioni intellettive dell’individuo deteriorassero con l’avanzare dell’età. Sulla base di questo pensiero non veniva considerato il tema dell’apprendimento permanente. Successivamente, grazie ai progressi compiuti dalle neuroscienze, è stato dimostrato che nelle aree corticali avvengono dei cambiamenti sostanziali ad ogni età e che l’apprendimento, il pensiero e l’azione, trasformano profondamente le strutture funzionali del cervello. Dall’analisi emerge che le connessioni sinaptiche si formano e si riformano per l’intero ciclo vitale, ma con una netta prevalenza gerarchica di quelle che si instaurano nei primi mesi e anni della nostra vita. Venne così messa in discussione la possibilità di apprendere anche nell’età senile, la necessità di superare l’idea che l’invecchiamento rappresenti una sorta di decadimento, disadattamento e perdita è stata messa in luce anche dalla psicologia dell’invecchiamento, a favore di un’immagine più positiva come forma di realizzazione di sé, riadattamento e risorsa. L’auspicio che ogni individuo possa continuare a imparare e a formarsi per tutto il ciclo della vita è stato oggetto di risoluzioni internazionali e conferenze negli ultimi anni, da parte di organizzazioni come l’OMS, l’ONU, l’UNESCO e la Comunità Europea; l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e dell’incontro fra le generazioni sono ormai temi ricorrenti nei documenti di questi organismi. Lo sviluppo umano diventa così un processo permanente, un continuum non lineare, contrassegnato dall’alternarsi di eventi e compiti caratterizzanti il susseguirsi delle fasi della vita tra continuità e discontinuità. In questo senso vengono approfonditi il concetto di “Lifelong learning”, e la prospettiva dello “Life-span Perspective”, i quali, costituiscono due riferimenti teoricometodologici importanti che riconoscono, legittimano e sostengono il bisogno di 5 favorire tutte le esperienze educativo-formative che accompagnano gli individui dalla nascita fino alla morte. Infine viene riportato un excursus storico sul tema dell’invecchiamento a partire dal 1948 fino ai giorni nostri, arrivando al ruolo ricoperto dall’educatore professionale nel lavoro con gli anziani. Il terzo capitolo è focalizzato sull’inquadramento della problematica in ambito sociale, viene dedicata particolare attenzione alle dinamiche relazionali fra le generazioni e alla necessità di costruire luoghi e tempi di incontro e dialogo tra anziani e bambini. Tratta il tema della relazione intergenerazionale sottolineando come il contatto tra persone di età diverse possa contribuire ad instillare valori utili alla creazione di una società coesa. Il capitolo continua approfondendo la tematica alla base dei rapporti intergenerazionali e che per questo necessita di essere concepita nel suo valore autentico: la relazione. Infine, vengono analizzati modelli e teorie di riferimento per promuovere l’apprendimento intergenerazionale realizzati in ambiti nazionali e intergenerazionali. In particolare, viene presentato un quadro teorico per la descrizione e l'analisi dell'apprendimento intergenerazionale. Il quarto capitolo riporta una serie di progetti e iniziative intergenerazionali realizzate in Italia e in Europa. Si descrivono le varie esperienze presentando la più lontana nel tempo, di cui si è trovata documentazione, fino ad arrivare alle più recenti. Particolare attenzione è rivolta ad un’iniziativa europea che ha promosso le attività intergenerazionali in diversi Paesi permettendo di diffondere la cultura intergenerazionale. Ogni iniziativa è presentata riportando l’anno di attuazione, il contesto, una breve descrizione del progetto messo in atto ed eventuali foto. Infine, vengono presentati gli effetti che le pratiche intergenerazionali hanno sul comportamento e sul benessere delle persone, attraverso contributi ed osservazioni realizzate da professionisti del settore. Il quinto capitolo è dedicato alla mia esperienza sul campo in particolare al progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” che ha avuto luogo presso la Residenza “Nazareth” di Padova e l’asilo nido “L’isola che non c’è”. Viene presentata la Fondazione Opera Immacolata Concezione ONLUS di Padova la quale comprende diverse tipologie di servizi, a disposizione di anziani e bambini, e che 6 realizza progetti ed esperienze intergenerazionali. Successivamente viene descritto l’asilo nido e la residenza anziani. Viene esposto il progetto intergenerazionale attivato nel 2017, declinandone finalità ed esiti. Nello specifico vengono analizzati i dati rilevati dai test di valutazione effettuati agli anziani affetti da Alzheimer all’inizio e alla conclusione del progetto. Dall’analisi dei risultati dei test di valutazione si potrà osservare l’efficacia che il progetto intergenerazionale ha avuto sull’andamento cognitivo degli anziani. Grande enfasi viene data anche all’analisi qualitativa effettuata dall’équipe sui bambini e sugli anziani, rilevata tramite interviste al gruppo educativo. L’ultimo capitolo presenta l’ipotesi progettuale per l’anno 2018 alla quale ho contribuito. Vengono riportate le modifiche e le riflessioni che, in collaborazione con l’équipe, sono state decise per il progetto che ha è stato avviato nel gennaio 2018. Infine, tramite l’osservazione sul campo, nella parte conclusiva del capitolo viene riportata una riflessione su quanto emerso durante la mia partecipazione alle attività intergenerazionali. Questo percorso mi ha fornito l’opportunità di …… 7 1. ANZIANI E BAMBINI: SOGGETTI DELL’EDUCAZIONE INTERGENERAZIONALE 1.1 L’età senile Ogni età della nostra vita ha la sua importanza, con i suoi drammi e le sue gioie, e abbiamo bisogno di sentirle tutte vive dentro di noi, nel nostro presente, per percepire l’originalità della nostra esistenza. (…) Invecchiare, cercando però di conservare gelosamente in se stessi ciascuna delle età della propria vita, è un modo di farne un tutto, una storia complessiva”1. L’invecchiamento viene definito come la somma di tutti i cambiamenti psicologici e biologici che accompagnano ciascun individuo nell’arco della sua vita ed è caratterizzato dal passare degli anni, con ricadute sulla efficienza e sulla capacità di adattamento psico-fisico. Da molto tempo si è alla ricerca della definizione dei parametri che permettono di individuare l’età senile e il suo inizio. Si può definire l’anziano in modo negativo, cioè colui che “non è più giovane” e, in generale, collocando questa fase al compimento dei sessantacinque anni. Il sistema economico della società occidentale ha fissato l’inizio della vecchiaia per “l’homo oeconomicus”, facendolo coincidere con la cessazione dell’attività lavorativa. Tuttavia, nella letteratura vengono riportate una vastità di classificazioni per definire e delineare l’età anziana, ma ciò conferma l’impossibilità di “imbrigliare” l’età della vecchiaia in definizioni statiche e obsolete e in delimitazioni anagrafiche. La collocazione anagrafica dell’età anziana non tiene in considerazione la “forte eterogeneità nel gruppo delle persone anziane”2, in quanto la vecchiaia non è tanto e solo una questione d’età, sebbene nel sistema sociale odierno regoli l’accesso ad alcuni diritti e doveri, o la loro perdita, ma oltrepassa le coordinate cronologiche dell’uomo, intrecciandosi con quelle biologiche, sociali, psicologiche, delle quali l’evoluzione lessicale rende conto. Tramma ritiene che l’utilizzo del pensionamento come indicatore convenzionale dell’inizio della vecchiaia sia attribuibile a “una lettura prevalentemente maschile del processo di invecchiamento, che ha fatto coincidere tout-court l’espulsione dal 1 2 D. QUINODOZ, Invecchiare. Una scoperta, Borla, Roma, 2009, p. 56. P.SCHOTSMANS, La terza età, Concilium, n. 3, 1991, p. 374. 8 processo produttivo con l’ingresso nel gruppo dei pensionati e quindi, appunto, con l’ingresso nella vecchiaia3”. Oltre al confine convenzionale tra l’età del lavoro e dall’inattività professionale, è interessante considerare i diversi tentativi di delimitare cronologicamente l’articolazione interna della vecchiaia attribuendo ad ogni sotto-articolazione una differente definizione. Dal punto di vista psico-fisico si tende a considerare un declino importante dai 75 anni in poi, per cui si predilige suddividere la vecchiaia in due fasce d’età: dai 65 ai 74 anni viene definita tarda “adultità” o prima vecchiaia, o età dei giovani anziani, o ancora terza età; dai 75 anni in poi è definita vecchiaia, età degli anziani, dei grandi vecchi, detta anche quarta età. A fronte del costante allungamento della vita dell’uomo, in aggiunta alle due suddivisioni precedenti, si evidenzia un'altra sotto-articolazione: dagli 85 ai 99 anni, la cosiddetta quinta età che comprende la popolazione degli ultraottantacinquenni/ultranovantenni (oldest old). Gli studiosi non concordano sempre su tali soglie cronologiche, ad esempio l’economista, P. Schotsmans (1991), distingue diversamente le tre fasce d’età proponendo la seguente ripartizione: dai 60 ai 69 anni, l’età degli anziani più giovani; dai 70 agli 84 anni, gli anziani del gruppo di mezzo. dagli 85 in poi, la fascia degli anziani di età molto avanzata. Oltre alle revisioni anagrafiche, aumenta l’attenzione scientifica su una ulteriore fascia d’età: dai 100 anni in poi, la fascia dei centenari e ultracentenari (overcentury) che lentamente sta crescendo. Ricorrere alla variabile anagrafica per definire la vecchiaia è un tentativo poco utile per spiegare questa età. Nemmeno etichettare con una definizione le sotto-articolazioni della vecchiaia aiuta ad avere un quadro più approfondito della condizione di chi vive questa fase della vita. Tuttavia, come afferma De Beni, questa distinzione è importante in quanto mette in risalto come l’età anziana sia caratterizzata più da differenze che da omogeneità. Tenere 3 S. TRAMMA, Inventare la vecchiaia, Meltemi, Roma, 2000, p. 21. 9 in considerazione le differenze aiuta a comprendere meglio i cambiamenti che avvengono con le età. Le distinzioni proposte, come già affermato, sono solo indicative della forte eterogeneità nel gruppo delle persone anziane. Considerare un insieme omogeneo quello costituito da persone che hanno un’età compresa tra i 65 e oltre i 100 anni comporta delle complessità interpretative. Le attuali dinamiche demografiche e sociali, il forte incremento della sopravvivenza, la migliore qualità della vita e l’aumento dell’aspettativa di vita, portano oggi alla coesistenza di diverse fasce di anzianità e alla creazione di uno spazio specifico per i grandi anziani denominato quarta età, arrivando poi a definire centenari coloro che hanno compiuto i 100 anni. L’abisso ermeneutico tra il modo di intendere la vecchiaia da parte delle generazioni antecedenti e quello odierno, è uno dei sintomi di tale trasformazione demografica e manifesta la necessità di definire strumenti innovativi per gestire questo fenomeno complesso. Oggi, infatti, non risulta più possibile considerare la condizione anziana facendo coincidere la prospettiva ontologica con quella biologica, analizzando cioè in modo riduzionistico la vecchiaia, a partire dai deficit, o dal costante e irreversibile degrado delle funzioni fisico-biologiche. È ormai acquisizione consolidata che la vecchiaia sia espressione di una biologia in un ambiente e che quest’ultimo sia nozione meta-biologica, nella quale influiscono dinamiche psicologiche, politiche, sociali e storico-culturali. Tuttavia le trasformazioni economico-sociali degli ultimi anni sollecitano a leggere e a interpretare in termini di produttività ed efficienza il rapporto degli individui con la società, accentuando il decadimento di ruolo delle persone anziane e circoscrivendone la presenza all’area dei ritmi rallentati, secondo gli stereotipi del progressivo disimpegno, o dell’agire solidaristico. 1.1.1 Il ruolo dell’anziano nel sistema familiare Fino a pochi decenni fa gli anziani vivevano nell’ambiente familiare, nelle società contadine e preindustriali. L’anziano aveva una funzione ben diversa da quella attuale: 10 egli era il depositario di una saggezza, di un sapere sedimentatosi durante tante generazioni succedutesi nell’abitazione. L’anziano era colui che rappresentava e manteneva l’unità della famiglia patriarcale, tipica della comunità contadina. Egli godeva del rispetto dei giovani e in generale dei famigliari e la sua parola aveva un enorme valore. Nell’epoca preindustriale, con ancora limitata industrializzazione, ad economia prevalentemente agricola, nella quale non vigeva il consumismo, veniva attribuita grande importanza all’esperienza della persona anziana. Essa “guidava” con autorevolezza la sua famiglia ed era un punto di riferimento imprescindibile per l’intera società, in quanto testimone e mentore della tradizione dei padri, radicato nella realtà e artefice del legame con le generazioni. L’esperienza era considerata come l’accumulo delle conoscenze in un’epoca non ancora caratterizzata dal rapido rinnovarsi del sapere e dalla diffusione in tempo reale di idee ed informazioni derivanti della tecnologia tipica della società odierna. In tale contesto gli anziani non rappresentavano un problema e non erano visti come soggetti deboli, ma valorizzati come parte integrante di un tessuto sociale che attribuiva loro un ruolo autorevole e una funzione non trascurabile. Oggi invece non vi è più la famiglia patriarcale tipica delle società contadine, ma bensì si privilegia la famiglia nucleare4, la quale vive fisicamente separata dal resto della parentela e in generale isolata dal resto della società. Ciò nonostante alcuni dati Istat (2003) indicano che le giovani coppie vivono prevalentemente nelle zone limitrofe ai genitori, circa metà delle giovani coppie con e senza figli vive nel raggio di un chilometro dalla madre di lui o di lei e che meno di un quarto risiede in un altro comune. Oggi l’anziano non vive più all’interno della propria famiglia, le persone autosufficienti vivono in case indipendenti, altri invece vengono accolti in case di riposo a differenza di una minoranza, privata del calore della famiglia e del sollievo di essere custoditi in una collettività riducendosi così ad avere vita solitaria. Quando le abitazioni dei figli sono distanti, gli anziani spesso rischiano di essere allontanati dalla stessa rete di relazioni. 4 In antropologia e sociologia è considerata la comunità riproduttiva composta da madre, padre e figli (questi ultimi in generale in numero ridotto). 11 L’allungamento della vita media, con la possibilità per molti di raggiungere un’età avanzata in condizione di buona salute, permette agli anziani di avere con la famiglia rapporti più ampi e prolungati nel tempo con maggiori opportunità e responsabilità. La famiglia è l’istituzione per eccellenza per formare le persone in una dimensione sociale insostituibile. In questa missione, i nonni possono essere fattore di sicurezza, equilibrio e respiro, non solo durante l’infanzia dei bambini, ma anche nell’età dell’adolescenza e giovinezza. Gli anziani possono svolgere nella famiglia una serie di compiti preziosi nel trasmettere i valori morali ed umani, con il loro bagaglio di esperienze, di comprensione e di maturità umana. Le ore dedicate alla cura da parte della persona anziana sono particolarmente numerose. In merito a questo aspetto, uno studio condotto nel 2010 dall’ Istituto Ricerche Economiche e Sociali (IRES) chiarisce che la dimensione quantitativa dell’aiuto informale e di cura fornito dagli anziani è assai rilevante. Si può affermare che in Italia la componente matura e anziana della popolazione da sola sostenga oltre la metà dell’aiuto gratuito rivolto a parenti, amici, vicini e persone non coabitanti in generale. Oltre 150 milioni di ore d’aiuto, ogni 4 settimane, sono in media offerte gratuitamente e in modo informale da persone di 55 anni o più. Inoltre, considerando le diverse tipologie e i destinatari degli aiuti, emerge che gli over 54 assolvono a circa l’80% delle ore di aiuto destinate all’assistenza dei bambini e un assai significativo 40% delle ore destinate all’assistenza di adulti, evidenziando un doppio carico di cura rivolto a bambini e ad altri adulti. Nelle situazioni di disagio e nella sofferenza, i longevi possono dare molto alla famiglia, possono aiutare ad affrontare il problema della morte. Nell’età senile può coesistere una crescita spirituale accompagnata però da un calare delle forze fisiche e l’integrazione di questi due aspetti può aiutare le giovani generazioni, in quanto oggi sono inserite in un contesto culturale e sociale che vede positivamente solo l’efficienza fisica, il benessere e la bellezza. Per poter acquisire un ruolo efficace, la famiglia ha il compito di sostenere la persona anziana a formarsi, mantenere la capacità di relazionarsi con le nuove generazioni, rimanere al passo coi tempi e avere un’idea positiva dell’età che sta vivendo, superando gli stereotipi negativi. 12 Poter compensare i ruoli perduti acquisendone dei nuovi, sviluppare la cultura, la curiosità per il sapere e gli interessi durevoli, fa sì che la vecchiaia rimanga un’età intensa della vita e che venga vissuta attivamente. La capacità e la possibilità di coltivare valori ed ideali, spirituali, solidaristici e politici permettono al longevo di elaborare progetti per il futuro e di mantenere un’attività creativa, fonte di autonomia e di benessere. 1.1.2 Il ruolo dell’anziano nel III millennio Le trasformazioni economico-sociali degli ultimi anni, sollecitano gli individui a leggere e a interpretare in termini di produttività ed efficienza, il loro rapporto con la società, accentuando il decadimento del ruolo degli anziani. Nella società odierna italiana la spinta competitiva ha con il tempo sostituito alla naturale lentezza, una convulsa velocità, così lo spazio riconosciuto agli anziani che vivono solo la velocità dell’invecchiamento è divenuto sempre più ridotto. Da quando l’accortezza non viene più considerata una virtù in grado di compensare la diminuzione della destrezza giovanile e da quando la saggezza ha cessato di essere considerata come un complemento della capacità, si è iniziato a percepire l’anziano come un problema e non più come una risorsa per la collettività. Tutto ciò ha portato alla nascita di stereotipi che, associando alla senescenza immagini problematiche di limitazione, malattia e deficit, hanno finito con il penalizzare la considerazione di cui i longevi hanno quasi sempre goduto nel passato e con il riconoscere loro ruoli incerti. “Questa situazione, di ampia portata sociale e culturale, tende a influenzare direttamente l’immaginario collettivo di questa fase vitale, rafforzando gli stereotipi a essa connessi e impedendo la diffusione di una comprensione realistica della condizione di vita della popolazione anziana”5. Sebbene la soluzione alle nuove necessità degli anziani non sia ancora stata trovata, ci si sta lentamente rendendo conto che, raggiunto ormai il traguardo di un’aspettativa di vita più lunga, la nuova sfida per la società e per il progresso in generale, sarà la qualità della vita e non la sua durata. 5 B. BASCHIERA, La dimensione formativa e generativa dello scambio intergenerazionale, Studium Educationis, Padova, 2011, p. 105. 13 Il problema dell’emarginazione della persona anziana si è sviluppato nel tempo, in quanto la vita media si è allungata ed i cittadini che hanno superato i 70 anni, se non gli 80 sono sempre più numerosi e si trovano ad affrontare da soli le molteplici carenze assistenziali, economiche, previdenziali ed affettive, che la nostra società non ha saputo sostenere. Gli anziani rischiano di perdere una collocazione stabile nella società e di essere “umiliati”, ossia di avere una svalutazione dell’identità e del modello di vita di cui l’anziano è testimone, al quale, spesso non si riconosce una valenza positiva e un legame con la comunità di cui egli è parte. Lo spazio entro il quale si gioca l’esistenza delle persone pensionate si sta riducendo dall’appartenere alla società “attiva” al privato. Spesso infatti, le caratteristiche dei centri abitati, la mercificazione di molti servizi, il costo della vita urbana e la precarietà che interessano in generale tutti i suoi abitanti, rendono più brusco il passaggio dalla condizione di “attività” a quelle di “dipendenza” favorendo la percezione nell’anziano di un distacco dall’ambiente esterno e dalla comunità. L’età della pensione non viene più vissuta come il tempo in cui realizzare qualche sogno, prendersi cura di sé e coltivare relazioni importanti, ma come il tempo della chiusura in casa, dell’isolamento o della costruzione di mondi paralleli in cui la persona viene intrappolata nella routine. La casa della persona anziana può diventare oggi il suo “rifugio”, in una società dinamica e frenetica che raramente considera i ritmi e le necessità degli anziani e che può essere sempre considerata un “nido vuoto”, in cui i figli e i nipoti non trascorrono molto tempo. Nel momento in cui l’anziano è sommerso da diverse difficoltà, la risposta è l’istituzionalizzazione e, quindi, l’allontanamento della persona dalla propria dimora abituale. “L’adattamento al nuovo contesto di vita pur rispondendo ai bisogni organici e vitali della persona, incide sul suo equilibrio interiore, spezzando la relazione tra l’anziano e il suo spazio di vita”6. Gli anziani ricoprono anche un ruolo di consumatore, spesso possono rimanere prigionieri delle logiche consumistiche, fino a credere che “la pienezza del fondamento 6 E. NEVE, La fragilità sociale della persona anziana: problemi e risposte, in Studi Zancan, n. 1, 2011, p. 65. 14 del consumo equivale alla pienezza della vita”7, oppure possono considerarsi consumatori “difettosi, per i quali il fatto di non poter comprare è doloroso e amaro stigma di una vita irrealizzata, della loro irrilevanza e incapacità”8. I pregiudizi e gli stereotipi possono condizionare la vita delle persone anziane. Inoltre, nella società moderna vengono attuati trattamenti differenziati basati sull’età. La valutazione negativa della vecchiaia alimenta le disuguaglianze e può arrivare a non riconoscere una valore sociale all’età senile provocando così esiti negativi per i singoli e non solo. “Essere vecchi non significa solo trovarsi più vicini alla morte -un terrore-, significa sapersi più indifesi, meno desiderabili, inutili ai fini della produttività: portatori di una sorta di vergogna sociale, quella di incarnare quanto di più letale esiste per l’immagine vigente di eterna bellezza e di sconfinata felicità”9. Nelle nuove generazioni si sta sottovalutando il concetto di sacrificio, inteso nel suo più nobile significato, a beneficio di un’etica e di una cultura edonistica, che mira in particolar modo a premiare il consumismo e la incommensurabile ricerca del piacere materiale. Il longevo potrebbe rappresentare la radice alla quale i giovani potrebbero aggrapparsi per leggere meglio il presente e prepararsi al futuro non dovendo, non dovendo quindi, “partire da zero” ma partire avvantaggiati alimentandosi dall’esperienza e dalla saggezza di chi li ha preceduti nel vivere. L’anziano, pur essendo consapevole della propria precarietà, riesce a rielaborare, grazie all’esperienza, tutto ciò che lo circonda, arrivando a dare un nuovo significato agli accadimenti. “Posso affermare con sicurezza di sapere che se nulla passasse non esisterebbe un passato; se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe un futuro, se nulla vi sarebbe un futuro, se nulla esistesse non vi sarebbe un presente”10. È proprio di questo aiuto che i giovani potrebbero usufruire ascoltando gli anziani. 7 Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 92. Ibidem. 9 F. STOPPA, La restituzione: perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 160. 10 S. AGOSTINO, Confessioni Sant’Agostino, Firenze, BUR, XI, 15.20, in Anima e tempo secondo Agostino, (a cura di) M. LAI, M. PANINI, G. SIRELLO, S. VALLERY, Savona, 2011. 8 15 Il vissuto in prima persona che sta alla base delle dinamiche educative tra l’anziano e le nuove generazioni, può essere visto come un ponte su un fiume che congiunge il passato al presente e permette il passaggio al futuro. “L’anziano staccandosi dalla quotidianità e dai rituali collettivi, si emancipa dall’inautenticità del contingente per ascendere alla dimensione originaria del proprio sé”11. L’anziano svolge un ruolo di “osservatore esterno”12 nella società odierna, trovandosi in una progressiva e lenta emarginazione, dolorosa e reale che è di origine interiore e deriva dal fatto che nessuno si pone in ascolto degli anziani. Questa situazione fa sì che essi non riescano a esprimere i loro sentimenti, restando imprigionati in un mondo dove l’ansia, la paura e la solitudine sono gli elementi predominanti di questa difficile condizione di vita. 1.1.3 La demenza in età senile Nell’età senile aumentano i casi di demenza. La percentuale complessiva di persone colpite, varia da popolazione a popolazione. “A titolo indicativo si può pensare al 5% di persone affette da demenza sopra i 65 anni e al 30% sopra gli 85. Le più diffuse sono il morbo di Alzheimer, la demenza arteriopatica e il morbo di Parkinson”13. La demenza è una sindrome cioè un insieme di sintomi che comporta l’alterazione progressiva di alcune funzioni: memoria, ragionamento, linguaggio, capacità di orientamento, svolgimento di compiti complessi, decadimento cognitivo e alterazioni della personalità e del comportamento. La demenza è una malattia degenerativa dell’encefalo, che insorge solitamente in età avanzata. Esistono numerosi tipi di demenze; le più frequenti sono: la malattia di Alzheimer, la malattia di Creutzfedt-Jakob, la malattia a corpi di Lewi, la malattia di Pick e la demenza vascolare. Si parla di demenza quando nel soggetto si verifica un lento e progressivo declino di più di una funzione cognitiva, il regresso dipende da una condizione organica cerebrale. Le 11 F. BOSSIO, Il ruolo educativo e generativo dell’anziano in famiglia nell’epoca della globalizzazione, Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 1, 2016, p .87. 12 Ibi, p. 89. 13 R. VIANELLO e I. C. MAMMARELLA, Psicologia delle disabilità. Una prospettiva Life Span, edizioni junior, Parma, 2016, p. 120. 16 condizioni cognitive deficitarie devono aver raggiunto una piena maturazione nella storia pregressa dell’individuo affetto da demenza. Nelle demenze una funzione cognitiva può essere offesa molto più delle altre (come la memoria nella demenza di Alzheimer). In concomitanza vi è un importante squilibrio anche di altre funzioni cognitive (l’orientamento, la prassia, la motivazione, il comportamento, ecc.). La persona non riscontra solo “deficit” cognitivi, ma ha difficoltà a relazionarsi in modo adeguato con l’ambiente, ad organizzare la gestione personale e la vita quotidiana. Le demenze più diffuse sono: La demenza di Alzheimer (AD): l’AD è la causa di demenza più diffusa nel mondo e rappresenta circa il 60% dei casi. E’ una malattia degenerativa progressiva del cervello caratterizzata dalla morte delle cellule cerebrali. La graduale degenerazione causa un restringimento e un’atrofia di alcune aree del cervello. La malattia colpisce le funzioni cognitive che servono soprattutto come strumenti per le funzioni gerarchicamente superiori. La memoria è parte attiva nello svolgimento di funzioni più complesse finalizzate al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal soggetto. La malattia si manifesta in maniera differente da persona a persona. I sintomi iniziali possono includere difficoltà nell’apprendere, pensare, identificare oggetti, comunicare, nel ricordare parole o concetti, nel ritrovare oggetti di uso quotidiano, o nel portare a termine compiti consueti. La persona può apparire confusa, avere comportamenti strani o inconsueti, sbalzi di umore (dall’apatia all’aggressività), presentare difficoltà di valutazione delle situazioni, trascurare l’igiene e il proprio aspetto, isolarsi da amici e familiari. Nel decorso della malattia di Alzheimer si opera una distinzione in 4 fasi: 1. Fase “reattiva” o “psichiatrica”: riguarda i primi mesi o anni in cui compaiono i primi sintomi di degenerazione cognitiva. In questa fase il soggetto riscontra i primi disturbi della memoria e la consapevolezza di questa difficoltà determina spesso reazioni di tipo ansioso o depressivo. Sono già presenti i segni e i sintomi che caratterizzano la seconda fase, ma 17 risultano essere molto difficili da cogliere, anche a causa del comportamento di tipo “mascherativo” del paziente. 2. Fase “neuropsicologica”: il graduale scadere delle funzioni cognitive è evidente. Si può distinguere una progressiva compromissione in cui la malattia colpisce progressivamente le differenti funzioni. In particolare vengono danneggiate la memoria episodica e le capacità visuo-spaziali. 3. Fase “neurologica”: viene considerata la fase pre-terminale della malattia e ha una durata all'incirca di dodici mesi. In questi mesi nel soggetto si possono rivelare manifestazioni di tipo acinetico-parkinsoniano, perdita del controllo sfinterico, marcia atassica con ipercinesia motoria e perdita completa dell’autosufficienza. 4. Fase “internistica”: è la fase terminale di questa sindrome ed è caratterizzata da un rapido decadimento delle funzioni vitali che assumono tutte le note di uno stato cachettico a rapida evoluzione. Sono molto frequenti episodi infettivi, soprattutto polmonari, che portano il paziente alla morte in breve tempo. La demenza vascolare o multi-infartuale (MID): è la seconda causa della demenza ed è associata a scompensi nell’irrorazione di sangue nel cervello che provocano lesioni. I sintomi di una demenza vascolare possono essere molto diversi a seconda dell’area del cervello colpita. Ad esempio possono insorgere difficoltà nell’equilibrio e di spostamento o movimento (deambulazione), difficoltà nella comunicazione, attenzione e ragionamento, sbalzi d’umore e depressione, debolezza, crisi epilettiche. A differenza della malattia di Alzheimer, i disturbi della memoria possono non essere il sintomo principale. La demenza frontotemporale (FTD): è un termine generico usato per indicare tutte quelle malattie degenerative che colpiscono i lobi cerebrali frontale e temporale. Essenzialmente esistono tre forme di demenza frontotemporale: 18 - la DFT in senso stretto, detta anche malattia di “Pick”, che provoca problemi comportamentali e disturbi della personalità; - la demenza semantica che causa deficit di riconoscimento e di comprensione del linguaggio; - l’afasia primaria progressiva che compromette la fluenza o la capacità di reperimento della parola. La DFT colpisce indistintamente uomini e donne e insorge per lo più tra i 45 e i 60 anni. I sintomi della demenza variano a seconda della zona della corteccia cerebrale interessata dal processo degenerativo. In quasi tutti i casi si manifestano alterazioni della personalità e del comportamento interpersonale. La demenza a corpi di “Lewy”: è una demenza che ha delle analogie con la malattia di Alzheimer e il morbo di Parkinson ed è caratterizzata dalla progressiva difficoltà di attenzione, problemi all’apparato motorio, allucinazioni ed episodi confusionali. Durante lo stadio iniziale la memoria è ancora ben conservata. Tuttavia nelle prime fasi della malattia si rivelano difficoltà nella programmazione, nell’organizzazione, nell’adattabilità e nella motivazione. Il decadimento cognitivo si manifesta fin dall’inizio, precedendo i disturbi di movimento. Ad oggi non vi è ancora un approccio terapeutico di tipo farmacologico efficace che possa curare le demenze, ma vi sono interventi palliativi e contenitivi dei disturbi della malattia. I trattamenti di tipo psicologico ed educativo agevolano il miglioramento e il mantenimento cognitivo, permettono ai pazienti di utilizzare le funzioni cognitive residue e di riconoscere le proprie emozioni. 1.1.4 Assistenza sociosanitaria e servizi per anziani L’integrazione sociosanitaria è divenuta negli ultimi anni un tema di grande importanza per quanto riguarda l’organizzazione delle politiche di Welfare in Italia. Questo tema ha una valenza strettamente collegata allo sviluppo di un approccio olistico del bisogno assistenziale. 19 La scelta di dar vita all’assistenza sociosanitaria ha lo scopo di creare un ponte di collaborazione tra i servizi sociali e quelli sanitari. Con il concetto di “integrazione sociosanitaria” si fa riferimento a: “un insieme di pratiche, strumenti, culture e competenze professionali che cerca di fare interagire il settore sanitario con quello sociale per il raggiungimento di scopi comuni”14. Il settore sanitario e il settore sociale, in Italia, si presentano come frammentati e differenti, a causa dei sistemi normativi e di Welfare regionali e locali esistenti. Si parla di integrazione tra “tuo cure e tuo care”. Tale integrazione nasce dall’ esigenza di contare su risposte sia sanitarie sia sociali. Per “to cure” si intende curare, fare quindi una diagnosi con l’obiettivo di stabilire un percorso terapeutico a livello medico. Quando invece si parla di “to care” si fa riferimento al prendersi cura, inteso come ascoltare, accogliere e conoscere non solo la persona in difficoltà, ma anche la famiglia. Questo processo di integrazione dei due aspetti nasce da bisogni recenti, tra cui lo sviluppo di malattie invalidanti e croniche come le demenze. Un ulteriore aspetto da considerare è relativo al cambiamento della struttura familiare. La famiglia infatti, nei tempi recenti, si è vista investita di maggiori impegni e responsabilità, che non permettono più di garantire un’assistenza informale “forte” come in passato. L’ospedale di riferimento del territorio non può far fronte alle molteplici richieste che la maggior parte delle volte non si limitano al solo aspetto sanitario ma anche sociale. La rete dei servizi sociosanitari ricopre un’importanza fondamentale, poiché evita un “intasamento” degli ospedali e fornisce risposte adeguate in sedi idonee. I bisogni dell’anziano sono vari e complessi e ciascuno ha diritto ad una risposta adeguata. Molta è la richiesta per assistenza e aiuto a soggetti affetti da demenza nell’età senile. I cambiamenti demografici che caratterizzano gli ultimi anni, hanno portato ad aumentare le richieste di assistenza di anziani con deficit cognitivi nel territorio nazionale. 14 G. BISSOLO e L. FAZZI, Costruire l’integrazione sociosanitaria, Carocci Faber, Roma, 2012, p. 15. 20 Ciò ha portato a generare un’evoluzione dei servizi sociosanitari atti ad offrire risposte ai bisogni espressi dalle persone affette da demenza ed alle loro famiglie. Tutti i servizi sul territorio hanno lo scopo di promuovere e migliorare la qualità della vita degli ospiti. I servizi rispondono in modo diverso a seconda dei casi, della persona malata e della famiglia. Si possiamo considerare tre modelli di intervento: modello “sostitutivo”15 : l’anziano con demenza non ha famiglia oppure la famiglia non è disponibile a fornire assistenza; modello “complementare”16 : modello in cui sia i servizi formali sia familiari intervengono ognuno con le proprie caratteristiche e competenze e si dimostrano ugualmente necessari per rispondere alle esigenze della persona malata; modello “supplementare”17: al “caregiver” viene dato un aiuto maggiore atto a ridurre il proprio carico di cura e lo stress. I principali servizi presenti sul territorio nazionale per le persone con una particolare forma di demenza: “Unità di Valutazione Geriatrica” (UVG): il servizio attraverso la valutazione multidimensionale geriatrica ha il compito di elaborare un piano terapeutico riabilitativo ed assistenziale individuale. Questo progetto si avvale della collaborazione dei servizi presenti nel territorio e dei familiari presenti nell’accudimento della persona malata. Uno degli scopi della UVG è quello di mantenere per più tempo possibile la persona nella propria abitazione per un miglioramento della qualità di vita; “Unità di Valutazione Alzheimer” (UVA): sono centri specializzati nella diagnosi e nella cura della malattia di Alzheimer. Le unità sono distribuite in modo omogeneo all’interno delle regioni e delle province autonome al fine di garantire la massima accessibilità a tutti i cittadini interessati; “Assistenza Domiciliare Integrata” (ADI): è un servizio costituito da una serie di interventi eseguiti a domicilio per i soggetti che necessitano di un’assistenza sociosanitaria continuativa, per poter garantire il più a lungo possibile la 15 P. MECOCCI, A. CHERUBINI e U. SENIN, Invecchiamento cerebrale, Critical Medicine Publishing Editore, Roma, 2002, p. 471. 16 Ibidem. 17 Ibidem. 21 permanenza nel proprio ambiente e riducendo il numero di ricoveri ospedalieri e le giornate di degenza; “Ospedalizzazione domiciliare” (OD): si intende l’insieme di prestazioni altamente specialistiche erogate a domicilio per la persona con demenza da parte di un équipe ospedaliera. Questo servizio rappresenta quindi un’alternativa all’ospedalizzazione in luoghi preposti; “Centro Diurno”: è una struttura protetta nella quale la persona trascorre alcune ore della giornata svolgendo attività di tipo educativo, occupazionale, di riattivazione psicosensoriale e funzionale. Il centro diurno può rappresentare un importante supporto sia per il “caregiver” sia per la persona affetta da una forma di demenza. Tale centro ha finalità sanitarie, sociali ed educative, ed è strutturato per accogliere persone che soffrono di una forma di demenza. Vi sono due tipologie di centri diurni: - Centri Diurni rivolti ad anziani in condizioni di autosufficienza o con un livello di autonomia ridotto a causa di problematiche di natura prevalentemente fisica; - Centri Diurni specifici rivolti ad anziani affetti da malattia di Alzheimer. È un servizio di accoglienza a carattere semi-residenziale rivolto ad anziani non autosufficienti, affetti da demenza di lieve e media intensità, che necessitano di assistenza o di riabilitazione e di potenziamento delle restanti capacità cognitive. “Residenza Sanitaria Assistenziale” (RSA): tale struttura sanitaria di carattere extra-ospedaliera ha lo scopo di fornire accoglienza, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente non autosufficienti. Le RSA si differenziano a seconda delle persone malate, della valenza assistenziale e del modello organizzativo. Si possono infatti distinguere in: - RSA di base: anziani non autosufficienti con limitazioni di autonomia di ogni tipo (fisiche, mentali e sociali) non assistibili a domicilio; - RSA di cura e recupero: persone affette da demenza che hanno la necessità di assistenza sanitaria e riabilitativa in modo continuativo. 22 “Case di Riposo”: è una struttura sociale residenziale a prevalente accoglienza alberghiera destinata ad ospitare temporaneamente o permanentemente anziani autosufficienti offrendo loro servizi collettivi di tipo residenziale, assistenziale, per la socializzazione e per l'esercizio fisico. Nei servizi rivolti agli anziani l’ambiente è studiato con particolare attenzione all’ utilizzo di spazi ed ausili, per agevolare l’autonomia della persona. Inoltre, viene data molta importanza alla partecipazione della famiglia nei progetti educativi e riabilitativi dell’ospite. 1.2 La prima infanzia Molti processi di sviluppo di tipo socio-affettivo, cognitivo, comunicativo e linguistico si originano nel primo anno di vita. Le prime esperienze con l’ambiente, mediate dalle figure di riferimento attivano le predisposizioni innate dell’infante e influenzano le sue strutture cerebrali e i futuri apprendimenti. I fattori ambientali ricoprono grande importanza fin dal periodo neonatale. “Il neonato possiede una predisposizione innata nell’interagire con altri individui”18, ma necessita di precoci esperienze di contatto con l’altro per realizzare le sue potenzialità. L’interazione con l’adulto e l’esposizione quotidiana agli stimoli sociali, supportate dallo sviluppo neurologico, permettono al bambino di divenire gradualmente un partner comunicativo attivo. In particolare “i cambiamenti che caratterizzano le transizione del secondo mese”19 rendono possibile il “coinvolgimento attivo del lattante nelle esperienze di comunicazione faccia a faccia con l’adulto”20 e permettono una prima esperienza “intersoggettiva centrata sullo scambio di emozioni ed affetti”21. Grazie a queste esperienze il lattante inizia a sentirsi una persona distinta e dotata di continuità e vissuti necessari alla costruzione del concetto di sé. Durante le interazioni l’apprendimento emotivo-sociale, l’adattamento all’ambiente e il futuro funzionamento dei bambini, sono influenzati dalla capacità del “caregiver” di 18 M. HECCHELE e L. MENEGHIN, Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa, Il Centro Infanzia Girotondo delle Età, Edizioni ETS, Pisa, 2016, p. 54. 19 Ibi, p. 55 20 Ibidem. 21 Ibidem. 23 adattarsi in modo responsivo alle espressioni del piccolo e dalla qualità degli stati affettivi condivisi con il bambino. Tra i 9 e 12 mesi emerge una nuova forma di intersoggettività caratterizzata dalla condivisione di attenzione, stati affettivi e intenzioni, in relazione al mondo esterno. Dal punto di vista motorio il bambino acquisisce la capacità di locomozione autonoma che gli permette di entrare maggiormente in relazione con il contesto. Egli sviluppa le capacità di coordinare l’attenzione con l’adulto sugli oggetti, seguendo con lo sguardo la posizione e manifesta la comprensione dell'altro come possessore di stati mentali che possono essere seguiti, condivisi e influenzati. L’utilizzo dei gesti è fondamentale in questo periodo vitale, il bambino inizia a muovere le mani per richiedere e condividere l’interesse verso un oggetto esterno. “Fin dal primo anno l’interazione adulto-bambino fornisce l’esposizione a un modello linguistico analizzabile; in particolare il linguaggio utilizzato dagli adulti di riferimento, semplificato, caratterizzato da enfasi prosodica, lentezza e ripetizioni facilita il bambino nella segmentazione del discorso e nell’organizzazione dei fonemi”22. Dopo i 6 mesi il bambino inizia ad esercitarsi con i suoni, inizia così la lallazione. Il piccolo impara a modulare il volume, l’intonazione e il ritmo. Questi schemi fonetici sono poi utilizzati nelle prime parole che vengono pronunciate circa a 12 mesi. All’interno “dell’approccio costruttivista”23 piagetiano (J. Piaget), i primi anni di vita sono caratterizzati dallo stadio senso motorio, durante il quale le strutture mentali sono schemi di azione e percezione riferiti al mondo fisico. Intorno agli 8-12 mesi nel bambino emerge la capacità di distingue il mezzo per ottenere un effetto ed il fine dell’azione stessa, dunque è in grado di utilizzare uno schema motorio acquisito come mezzo per raggiungere un obiettivo. Intorno al primo anno di vita si completa lo schema psicomotorio della deambulazione: il bambino è in grado di stare su due gambe senza appoggio e di camminare mantenendo l’equilibrio. La conquista dell’autonomia locomotoria influenza la relazione sia con gli oggetti presenti nell’ambiente sia con gli adulti. L’attività esplorativa si trasforma in sperimentazione attiva e i bambini procedono per prove ed errori attraverso reazioni 22 23 E. LONGOBARDI, Parlare ai bambini che imparano a parlare, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 57. E. GATTICO, Jean Piaget, Bruno Mondadori, Milano, 2001, p. 327. 24 circolari terziarie, variando sistematicamente gli schemi di azione per produrre gli effetti desiderati e comprendere meglio l’evento, scoprendo nuovi mezzi. Nei primi due anni di vita si sviluppa il legame di attaccamento tra il bambino e una o più persone che diventano le figure di riferimento, fonti di sicurezza e benessere per il piccolo. Questa figura rappresenta una base sicura per il bambino il quale con l’avanzare del tempo inizia la progressiva separazione. Il bambino nel momento in cui viene inserito nell’asilo nido istaura una relazione affettiva significativa con l’educatrice che “sostituisce” la figura materna, soprattutto se le risposte di accudimento e educative fornite sono adeguate ai bisogni del bambino. Oggi, tutti i ricercatori concordano nel sostenere che il legame di attaccamento non è esclusivo, ma che il bambino può istaurare questa relazione con più persone contemporaneamente. La relazione di attaccamento non è riferita necessariamente alla persona che nutre o che trascorre una quantità di tempo maggiore con il bambino, ma vi sono altri fattori rilevanti per lo sviluppo di questo legame, come ad esempio la qualità della relazione, la sensibilità delle risposte dell’adulto, il temperamento del bambino e la sua capacità di regolazione emotiva. In questi mesi il ritmo di acquisizione delle parole nuove è lento e graduale e la comunicazione gestuale, continua ad essere predominante fino ai 16-18 mesi. L’adulto in questo periodo acquisisce un ruolo fondamentale per lo sviluppo di queste capacità. Passati i 18 mesi il bambino normalmente raggiunge un buon equilibrio motorio; partecipa attivamente ad una serie di attività motorie più complesse come dondolarsi e arrampicarsi. Contemporaneamente il bambino sviluppa la “motricità fine e la coordinazione oculomotore”. Tra i 18-24 mesi emerge la capacità di rappresentare il mondo attraverso i simboli. In virtù dell’emergenza della funzione simbolica, le azioni compiute dal bambino vengono interiorizzate e iniziano ad essere rappresentate mentalmente nella ricerca di nuovi mezzi per raggiungere gli obiettivi. Il bambino è in grado di anticipare l’effetto delle sue azione attraverso un atto mentale. Emerge il gioco simbolico durante il quale il piccolo utilizza oggetti o azioni con una funzione differente da quella usuale. Questa modalità di conoscenza attraverso le rappresentazioni è favorita dagli eventi ripetitivi a cui il bambino partecipa quotidianamente (script). 25 La rappresentazione mentale di questi eventi, inizialmente rigida perché legata al ricordo di specifici episodi, facilita la comprensione di ciò che avviene e aiuta i bambini a partecipare con maggiore serenità. L’aspetto socio-emotivo dei vissuti, influenza l’efficacia degli “script” nel favorire i processi conoscitivi: maggiore è il coinvolgimento emotivo ed affettivo, maggiore sarà la capacità del bambino di rappresentare l’evento e di coglierne le caratteristiche in modo sempre più flessibile. La capacità di creare delle rappresentazioni mentali della realtà affiancata dalle emergenti competenze linguistiche e mnemoniche influenza anche l’evoluzione delle relazioni affettive. Infatti, dai 18 mesi il bambino inizia a comprendere ed adattarsi alle esigenze delle figure di attaccamento e ad istaurare una relazione bilanciata. Nella seconda e terza infanzia il bambino acquisirà sempre più abilità motorie, cognitive e comportamentali per integrarsi al meglio nel mondo che lo circonda. 1.2.1 Il bambino nella società moderna “Esisteva una dimensione «bambini» che intersecava quella degli adulti senza sovrapporsi, conservando una sua autonomia reale e mentale. Oggi invece i bambini crescono in un mondo di grandi dove non c’è più posto per loro”24. Oggi i bambini vivono nell’oasi protetta della famiglia (spesso composta da un solo figlio) circondati dai genitori, dai nonni, dagli zii e sempre più spesso anche dai bisnonni. L’attenzione materiale esagerata da “protagonista”, che la rete famigliare dà al bambino (elogi, vezzeggiamenti, ammirazione ecc.), fa sì che il piccolo cresca con la convinzione di essere raro, prezioso ed unico. Sempre più spesso i bambini che frequentano ancora l’asilo nido hanno le capacità di distinguere una serie di animali, conoscere le differenze tra i Power Ranger rosso, bianco e nero, sanno seguire le regole di alcuni giochi da tavolo, sanno utilizzare alcune tecnologie come il telecomando, il tablet, la consolle dei videogiochi e possiedono un vocabolario ampio e pertinente. Ma dietro a questo straordinario sviluppo intellettuale sempre più frequentemente, ne fa 24 S. VECHETTI FANZI, Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro, Mondadori, Milano, 2008, p. 27. 26 riscontro un equivalente sviluppo emotivo: “esperto a livello cognitivo, il bambino è spesso analfabeta a livello affettivo”25. Di analfabetismo emotivo parla anche Umberto Galimberti, uno dei più noti filosofi italiani, nonché professore ordinario all’Università Cà Foscari di Venezia: “se nei primi tre anni di vita i bambini non sono accuditi e ascoltati nel modo giusto, rischiano di diventare analfabeti emotivi, privi di orientamento”26. Galimberti spiega che i sentimenti non si tramandano di generazione in generazione geneticamente, con il DNA, ma si apprendono in famiglia. Spetta ai genitori trasferire ai propri figli gli strumenti adatti per costruirsi un bagaglio emotivo, che consente di instaurare legami e relazioni significative. I sentimenti infatti, spiega il filosofo, si apprendono e soltanto attraverso la costruzione di “mappe emotive”, cioè la dimensione emotiva, sentimentale di un individuo. Le “mappe emotive” si creano attraverso la cura che i bambini ricevono nei primi tre anni di vita e servono a sentire il mondo e a reagire agli eventi in modo proporzionato. Costruire le “mappe emotive” in questi primi tre anni significa passare dal semplice impulso, che è fisiologico e naturale, all'emozione, che è un passo evoluto rispetto all'impulso e "conosce la risonanza emotiva di quello che si compie e di quello che si vede"27. Infine si arriva al sentimento, che non è solo una questione emotiva ma anche cognitiva. In questo complesso percorso di crescita emotiva e di trasformazione i genitori svolgono un ruolo di primaria importanza perché devono fornire ai bambini tutti gli strumenti affinché si passi dall'impulso al sentimento. E il sentimento non è una dote naturale, ma si apprende. Si apprende con i genitori e attraverso la loro capacità di trasferire questi strumenti, ma si apprende anche grazie alla società nella quale il bambino prima e adolescente poi vive e cresce. Nelle nuove generazioni manca la consapevolezza del corpo, oggi sempre più spesso viene inteso non come un involucro da lavare, pettinare, profumare e abbigliare e non come interfaccia tra l’Io e il mondo, come potenziale fonte di esperienze. 25 Ibidem. U. Galimberti, La nostra società ad alto tasso di psicopatia non è adatta a fare figli, cit. da Wise Society for the Future, 2001. 27 Ibidem. 26 27 “La conoscenza del sé procede di pari passo la conoscenza del “non sé”, ma se quest’ultimo è nascosto, posto sotto vetro, se compare soltanto come un sistema di ombre in movimento dietro uno schermo, anche il corpo si smaterializza, diventando un’immagine fantasticata più che una potenzialità che si scopre man mano che si esercita e che si mette alla prova”28. Immerso dalle nuove tecnologie il bambino non sperimenta il suo corpo, fungendo da soggetto passivo e considerandosi onnipotente perché ipoteticamente in grado di saper fare tutto. Poter sperimentarsi e mettersi alla prova significa prendere coscienza di sé, scontrandosi con le difficoltà e riconoscere i propri limiti. Significa “rischiare”, ma i genitori di oggi sono sempre più protettivi verso i piccoli da non consentirgli questa liberà. Se prima i bambini giocavano, si sbucciavano le ginocchia, si strappavano i vestiti, si infangavano le scarpe, ora questi avvenimenti caratteristici dell’età infantile sono diventati sempre più rari. Questo “cambiamento è frutto dell’incapacità dei genitori di lasciare ai piccoli un margine di creatività e spontaneità, nel quale possono sperimentarsi senza l’esagerata sorveglianza degli adulti”29. “Non solo i nostri bambini non si sono mai arrampicati su un albero, non hanno mai saltato un fosso, calpestato una pozzanghera, tirato un sasso, scavalcato una staccionata, ma non escono da soli nemmeno nei paesi più piccoli”30. La società dinamica e spesso pericolosa li ha trasformati in “[…] piccoli prigionieri chiusi dal mattino alla sera in gabbie dorate – la casa, la scuola, la palestra, la piscinama pur sempre gabbie31”. Crescono diventando grandi senza aver avuto la possibilità di confrontarsi con i coetanei in contesti liberi, senza la continua sorveglianza degli adulti. La competenza sociale che i bambini acquisivano nel gruppo di coetanei, procedendo per prove ad errori, imitando i più dotati e attendendo di prendere il posto di chi, crescendo, si allontanava viene oggi insegnata dagli adulti. Ed è così che oggi i bambini crescono sempre più fragili: la “pelle dell’anima”, come quella del corpo, se non ha mai sopportato un attrito rimane fragile, sottile, facilmente irritabile, rischiando di lacerarsi al primo urto. 28 S. VECHETTI FANZI, Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro, op. cit., p. 28. Ibi, p. 29. 30 Ibidem. 31 Ibidem. 29 28 Oppure, in certi casi, l’incapacità di tollerare la frustrazione può trasformare l’aggressività subita in aggressività agita. Si parla di atti di bullismo che nessuno sa spiegare perché il bullo non è necessariamente un soggetto emancipato, svantaggiato, carente di cure e di affetto, anzi spesso è un bambino troppo amato, che essendo stato “iperprotetto”, non si è mai confrontato con la sua aggressività. Nella famiglia il linguaggio e la comunicazione scarseggia, vi è cosi difficoltà nell’interpretare e nel cogliere determinati comportamenti dei soggetti più giovani. Nell’ambito dell’educazione alla relazione i nonni possono essere molto importanti perché hanno più occasioni di osservare i bambini e i ragazzi dei genitori i quali lavorano. L’anziano avendo vissuto più liberamente l’infanzia e l’adolescenza, ha maturato una miglior competenza sociale, una sensibilità più avvertita nel cogliere le relazioni invisibili, quelle che sono sottese ai comportamenti palesi. Capita spesso che i giovani si confidino con gli anziani piuttosto che con i genitori perché li sentono più disponibili e indulgenti, più fiduciosi che le difficoltà scioglieranno da sole. I processi di trasformazione, che investono oggi la vita pubblica e privata, richiedono anche ai non adulti precoci e rapidi assestamenti e riassestamenti. Sullo sviluppo fisico e psichico dell’infanzia interferiscono eventi che ne mettono alla prova capacità e potenzialità. I bambini sviluppano una grande capacità di adattamento: cambiare casa, città, quartiere e nei casi di separazione famigliare, i piccoli accettano le situazioni con un grande realismo. Non bisogna però confondere questa capacità di adattamento con l’indifferenza. Anche se non è sempre visibile, i bambini soffrono la precarietà del loro nucleo famigliare. I problemi ai quali oggi va incontro la famiglia sono problemi di flessibilità intelligente nel fare i genitori, di equilibrio instabile nel loro agire e pensare, di esercizio aperto e problematico di ruolo che, invece, dalla tradizione viene consegnato come “naturale”. I figli su cui si agisce il lavoro dei genitori come educatori sono oggi, più che mai, “soggetti di consumo”32, proiettati su un universo di beni da prendere e consumare e su uno stile di vita radicato all’interno dell’avere. 32 CENTRO ITALIANO PER LA RICERCA STORICO-EDUCATIVA, Genitori e figli nell’età contemporanea. Relazioni in rapida trasformazione, (a cura di), F. CAMBI, E. CATARSI, Istituto degli Innocentri, Firenze, 2003, p. 16. 29 I beni materiali oggi sono utilizzati come mezzo per dimostrare e quando questi vengono a mancare già dalla preadolescenza si nega la famiglia, la si disconosce, la si separa da sé, vi si abita come estranei. Ma non tutto è cambiato, molti bisogni dei bambini sono semplici, immediati e, se si riesce a coglierli, si scopre che sono quelli di sempre, per quanto a volte rimangono inespressi, soffocati da un profluvio di desideri indotti, di richieste suggerite dalla pubblicità e alimentate dalla competizione sociale per cui i genitori non riescono ad accettare che i loro figli non abbiano tutto ciò che i loro amici possiedono. 1.2.2 I contesti educativi: l’importanza dell’ambiente nell’asilo nido E’ necessario che l’ambiente in cui vivono i bambini, per soddisfare i bisogni di scoperta e i processi psicologici sottostanti, offra una molteplicità di occasioni di incontro con nuovi oggetti e differenti per dimensione, materiali e forma. Per asilo nido si intende un servizio educativo e sociale di interesse pubblico che ha lo scopo di assicurare a ogni bambino, senza alcuna distinzione di sesso, cultura, etnia e religione, condizioni uguali per un armonico sviluppo psico-fisico. Gli asili nidi hanno lo scopo di offrire ai bambini un luogo di socializzazione e di stimolare delle loro potenzialità cognitive, affettive e sociali nella prospettiva del loro benessere e de loro armonico sviluppo. Nell’ambito della massima integrazione con gli altri servizi educativi sanitari e sociali rivolti alla prima infanzia, l’asilo nido favorisce la continuità educativa con la famiglia, l’ambiente sociale e gli altri servizi esistenti. Gli scopi educativi sono: favorire l'acquisizione di adeguati livelli di autonomia in relazione all'età e alle potenzialità del singolo; favorire modalità comunicative più strutturate; favorire un armonico sviluppo cognitivo, affettivo, emotivo, sociale e relazionale, oltre che fisico; favorire la relazione tra nido e famiglia per una continuità educativa fondamentale alla crescita del bambino. 30 Le strutture della prima infanzia sono organizzate secondo una differenziazione degli spazi per rispondere ai bisogni delle diverse età, ai ritmi di vita dei singoli bambini, alla percezione infantile dello spazio, alla necessità di riferimenti stabili e alle attività. Gli spazi sono un elemento molto importante, devono essere organizzati in modo adeguato per il bambino, per le educatrici e per i genitori. Lo spazio agevola il bambino ad esprimere le proprie potenzialità, competenze e curiosità. La dimensione estetica nella struttura è fondamentale per apprendere, conoscere e relazionarsi, per questo lo spazio diviene qualità pedagogica dello spazio educativo: lo spazio è costruttivo della formazione del pensiero; il linguaggio dello spazio è analogico e per questo molto condizionante. Il suo codice non è esplicato e viene percepito e interpretato fin dagli individui in tenera età; lo spazio viene percepito in modo diverso da ognuno; le qualità relazionali tra il soggetto ed il suo habitat si modificano e viceversa; nella prima infanzia si rivela un’innata sensibilità e competenza percettiva, polisemica e olistica verso lo spazio; l’età dei bambini e la loro postura fanno assumere grande rilevanza a superfici quali superfici e soffitti, in quanto trascorrono diverso tempo seduti, sdraiati e a carponi; il bambino deve sentirsi atteso e accolto, è cosi fondamentale pensare con attenzione agli spazi e agli oggetti da introdurre.33 All’interno del nido il bambino deve aver la possibilità di comunicare con gli altri, ma al tempo stesso di esplorare in autonomia l’ambiente circostante, deve sentirsi costruttore dei progetti che si realizzano e in grado di poter sviluppare la propria identità. All’educatore è necessario che lo l’ambiente permetta di sentirsi coadiuvato e integrato nel rapporto con i bambini e i genitori. Di fondamentale importanza è la presenza di uno spazio “per adulti” all’interno della struttura. Il genitore deve sentirsi accolto e a suo agio all’interno della struttura. 33 C. RINALDI, In dialogo con Reggio Emilia ascoltare, ricercare e apprendere, Reggio Children, Reggio Emilia, 2009, pp,103-111. 31 Oggi le famiglie richiedono luoghi sicuri e stimolanti, di possibile incontro con i pari o con professionisti esperti per discutere dell’importante mestiere dell’educare. L’elemento della cura viene accompagnato con quello dell’azione pedagogica-educativa e il nido non rappresenta più solo un luogo dove i bambini vengono protetti, ma soprattutto una struttura in cui: “godere con curiosità e spirito d’avventura di spazi, materiali, incontri, scontri, rete di relazioni. Bambini che meritano il pensiero e il rispetto degli adulti, la considerazione delle loro idee sul mondo, del loro modo di esprimersi, delle loro fantasie, delle amicizie, dei sentimenti: rispetto che si traduce in discussione, in riflessione nella regia di spazi, ambienti, materiali, possibilità. Bambini per i quali non si deve temere il distacco dalla famiglia, prima di tutto perché di distacco non si tratta, ma di arricchimento del rapporto all’interno di spazi e gruppi nuovi. Bambini che interagiscono, giocano, si esprimono, osservati con discrezione, stimolati dal contesto, protetti nella loro ricerca di socialità, di espressione, di autonomia, nella libertà e nell’ ordine. Bambini la cui attività e creatività viene stimolata, osservata, documentata, condivisa divenendo così memoria e cultura”34. Il bambino dunque come fulcro attorno al quale si struttura il nido e la famiglia come controparte diretta per un’azione combinata con la finalità di sviluppo a trecentosessanta gradi dell’infanzia. 1.3 Bambini e anziani: persone in relazione Nel linguaggio comune si utilizza il termine “persona” per indicare l’essere umano: bambino, giovane, adulto o anziano. Questo termine deriva direttamente dalla medesima parola latina: persona-ae, letteralmente traducibile in “maschera” e nel suo uso più antico era presente nel linguaggio teatrale, ad indicare la maschera che copriva tutto il volto dell’attore. Nelle antiche rappresentazioni teatrali l’utilizzo della maschera era fondamentale, in quanto essendo le donne escluse dalla recita, le parti femminili erano ricoperte da uomini i quali, mascherandosi, si calavano nel ruolo. Il teatro antico era giocato sui tipi ricorrenti (es. il saggio, il mercante, il marito, la moglie, il vecchio ecc.); la maschera assumeva quindi un’importante funzione che garantiva l’efficacia della comunicazione con il pubblico. 34 A. FORTUNATI, Il mestiere dell'educare. Bambini, educatori e genitori nei nidi e nei nuovi servizi per l'infanzia e la famiglia, Edizioni junior, Bologna, 1998, p. 73. 32 Collegata all’idea di persona vi è quella di “relazione”, volendo indicare che ogni individuo vive la sua realtà immerso nell’insieme dei molteplici legami che caratterizza fin dall’infanzia la vita di tutti. Quando pensiamo alla relazione tra bambini e anziani, come prima immagine vi è quella forma di relazione, molto funzionale, che è data dall’accudimento dei nipoti da parte dei nonni in quel lasso di tempo che va dal rientro della mamma dal lavoro, dal termine del periodo di congedo per la maternità, all’ingresso del bambino nel nido o, più tardi, alla scuola dell’infanzia. Questo tipo di relazione, nonostante la sua importanza, se è osservata dall’esterno non permette di capire la ragione profonda della vicinanza esistenziale tra nonni e nipoti, perché non dà la possibilità di spiegare che cosa provino, pensino e intuiscono interiormente i due protagonisti nel loro stare insieme. Ugualmente, si potrebbe affermare della pratica di far incontrare i bambini dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia con gli anziani dei diversi servizi presenti sul territorio. Per i bambini è un’occasione in più per giocare, ascoltare storie, imparare qualche nuova attività e apprendere nuove abilità e al tempo stesso analogamente gli anziani in relazione con i bambini rompono la monotonia, comunicano e trasmettono ai piccoli una buona parte della loro esperienza della vita. Tutto ciò è ricco di significato affettivo ed emotivo, ma queste motivazioni non sembrano essere in grado di esaurire il senso di questa relazione, forse perché le giustificazioni date si potrebbero pensare come la manifestazione visibile di una relazione il cui dinamismo più autentico avviene ad una profondità di consapevolezza che non di rado è vissuta senza che sia tematizzata, e senza che se ne avverta il bisogno o l’urgenza di tematizzarla. Grande importanza ricopre il “senso” che entrambi, anziani e bambini, vivono e ricavano nel momento in cui stanno insieme, gli uni accanto agli altri. Un senso che forse è identico nella sostanza, anche se appare diverso nella forma concreta in cui esso si articola: la ricerca del senso della propria vita. La psicologa americana Alison Gopnik, conosciuta a livello internazionale per i suoi studi sull’apprendimento infantile introduce nel testo “Il bambino filosofo. Come i bambini ci insegnano a dire la verità, amare e capire il senso della vita”. L’idea che 33 l’infanzia non sia un dato fra tanti, ma che sia comune a tutti gli esseri umani ed è proprio ciò che ci rende umani, caratterizza questo testo. Se il periodo infantile è comune a tutti noi, un anziano osservando attentamente un bambino e riflettendo sul significato di ciò che egli fa, può intravedere già presente in lui e nel suo modo di relazionarsi agli altri e alla realtà, la vita in tutto il suo arco esistenziale, nella logica profonda che è presente al fondo della sua vita di bambino come è presente nella propria di anziano. Una logica che si dispiegherà e prenderà forma lungo le successive età della vita. L’anziano non vede nel bambino solo il futuro che continuerà dopo la sua morte, ma lo vede anche paradossalmente come il suo passato, ossia come espressione di ciò che l’anziano ha già vissuto, compreso e superato, in relazione al quale ciò che lo attende ora è totalmente altro rispetto a tutto ciò che ha vissuto precedentemente. L’anziano può rivedere nel presente del bambino quello che lui stesso riconosce che è stato e continua ad essere realmente importante: la ricerca del senso della propria vita. In questo senso il bambino diventa l’insegnamento a continuare a cercare il senso dell’esistenza. Per il bambino, l’anziano, allo stesso modo, rappresenta anch’egli le tre dimensioni del tempo: passato, presente e futuro. L’anziano riproduce il passato lontano, che il bambino conosce soprattutto attraverso le narrazioni delle storie di cui l’anziano è depositario, ma allo stesso tempo è il presente perché è l’altro con cui condivide parte del suo tempo, con cui gioca e dal quale riceve le cure. Infine rappresenta il futuro, nel senso che l’anziano conferma o smentisce, con il suo modo di affrontare la parte conclusiva della sua vita, l’idea stessa del futuro. Se la persona anziana vive la sua età rimpiangendo continuamente il passato e mostrando rabbia, invidia e insofferenza verso coloro che sono giovani, non fa altro che testimoniare con i fatti che la vita umana ad un certo punto si ferma davanti ad un muro insuperabile: quello del tempo che scandisce l’età che avanza, in relazione al quale non resta altro che guardarsi indietro, rimpiangendo il passato che non esiste più, esattamente come ad un certo punto sembra non esistere più il futuro. Così facendo il bambino penserà, quando sarà in grado di farlo, di essere condannato ad un presente che non ha storia, perché, se non c’è futuro, non ha senso nemmeno il presente e ancor meno ne ha il passato. 34 Al contrario se l’anziano vive la sua anzianità con una prospettiva diversa, affrontando il problema più difficile dell’esistenza umana ossia “se esiste una vita oltre la morte”, allora il bambino potrà percepire che è il modo con cui dare risposta a questa domanda e che in questa fascia della vita non esisterà solo “presente a passato, ma anche realmente futuro35”. 1.3.1 Nonni e nipoti: un incontro speciale L’incontro tra anziani e bambini acquisisce la trasmissione di un senso molto profondo, il senso della vita e il modo in cui essa si può affrontare. Il luogo primario nel quale avviene l’incontro tra bambini e anziani è la famiglia; intesa come una sorta di catena generazionale, può essere un ambito facilitatore della trasmissione del patrimonio simbolico e valoriale tra le generazioni che si evidenzia socialmente nell’interesse e nella cura del futuro della società. Le persone anziane nel ruolo di nonni o di nonne, sono in grado di accudire e prendersi cura dei loro nipoti, non solo come coloro che possono occupare i tempi delle assenze dei genitori, ma soprattutto come coloro che possono proporsi come figure importanti, di riferimento, con un ruolo affettivo pregnante e con un ruolo di accompagnamento dei bambini tra le generazioni e entro la storia e le storie famigliari. L’accompagnamento è una sorta di dialogo intergenerazionale “che si esplicita nella confidenza reciproca, nel porsi come modello identificatorio, accanto alle numerose esperienze quotidiane condivise”36, in quanto i nonni sono una memoria storica, con la quale si crea nella famiglia una “comune e condivisa prospettiva di senso”37. I nonni rispondono positivamente alle necessità espresse dei loro figli di aiuto e collaborazione nell’assistere i nipoti; le ricerche evidenziano come i nonni di oggi siano diversi da quelli di ieri: più partecipi, godono di una miglior salute, più presenti. L’allungamento dell’arco di tempo di compresenza tra nonni e nipoti agevola le opportunità per costruire reti dense e di relazioni intergenerazionali significative. 35 M. GECCHELE, L. MENEGHIN, Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa, Il Centro Infanzia Girotondo delle Età, op. cit., p. 112. 36 M. GECCHELE, L’immagine dei nonni nei fanciulli e nei preadolescenti, Pensa Multimedia, Lecce, 2015, p. 172. 37 L. PATI, Il valore educativo delle relazioni tra le generazioni – coltivare legami tra nonni, figli e nipoti, Effattà, Torino, 2010, p. 88. 35 Cresce il numero dei nonni che assumono il ruolo di “caregivers” facendosi regolarmente carico della custodia dei nipoti. Nipoti e genitori beneficiano di una presenza, quella dei nonni, che permette ai nipoti di contare su affetto, cura, processi di socializzazione, trasmissione di un passato lontano ma che contribuisce a costruire l’identità dei piccolo. La presenza dei nonni permette ai genitori di “[…] non sacrificare (troppo) il lavoro, inteso come carriera o come necessità di reddito, di organizzare al meglio i propri tempi, di disporre di risorse preziose per far conciliare i tempi del lavoro, della famiglia, della cura e i tempi per sé”38. I nonni sono effettivi protagonisti della solidarietà famigliare ed intergenerazionale e sono anche coloro che, a titolo gratuito, arginano le mancanze del sistema di Welfare attraverso la presenza effettiva, ma soprattutto attraverso una presenza affettiva. Gli anziani oggi, sembrano esprimere alcune riserve sugli atteggiamenti attuali dei genitori, considerati sovente troppo permissivi. Dichiarano un certo allarme per le insidie di un mondo vissuto “on-line”. L’apporto educativo dei nonni può diventare espressione coerente di valori in una società “disorientata”, in cui sembrano scomparsi grandi progetti ispirati a chiare visioni del mondo e della vita e in cui dominano “disvalori” che spingono l’individuo alla soddisfazione immediata dei propri bisogni e a dimenticare doveri, responsabilità e solidarietà. Nella percezione del bambino la presenza dei nonni diviene fonte di tesori simbolicamente trasmessi. La vita perde la dimensione di un’attualità protratta all’infinito, laddove il presente acquista il valore di un frammento di una continuità temporale in cui la storia familiare colloca le proprie radici, che s’innescano lungo direttrici più ampie e si proiettano nella scia del futuro. Fungendo da “cuscinetto tra le generazioni”39, i nonni rendono i nipoti consapevoli del “susseguirsi delle generazioni stesse”40. 38 M. GECCHELE, L. MENEGHIN, Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa, Il Centro Infanzia Girotondo delle Età, op. cit., p. 128. 39 M. GECCHELE e G. DANZA, Nonni e nipoti: un rapporto educativo, Ist. Rezzara, Vicenza, 1993, p. 54. 40 Ibi, p. 171. 36 L’incontro speciale tra nonni e nipoti si traduce in un “continuum” temporale con valenza attiva e una specifica e unica “mansione di co-costruire insieme memorie storiche e trasmettere conoscenze e valori antichi”41. La memoria storica tramandata nei racconti dei nonni “è trama pregiata dell’ordito che intesse l’esistenza affettiva stessa del bambino e riempie di colore e di spessore il suo bisogno di continuità tra ieri, oggi e domani, il going on being”42. La memoria storica diviene narrazione, legata agli avvenimenti e ai luoghi del passato e tramette il senso della successione delle generazioni, definisce i ruoli dei membri della famiglia e agevola la condivisione di significati legati alla propria appartenenza. Emergono profonde identificazioni emozionali reciproche tra nonni e nipoti, dedicarsi del tempo, diventa un grande arricchimento, in una valenza emozionale vicendevole che, nella modalità di trasmissione, prevede che siano i nipoti ad adattarsi ai tempi e ai ritmi dei nonni. L’adattamento alla “lentezza” diventa una grande occasione per i bambini in quanto possono attivare un funzionamento auto/ego-centrato in una crescita esperienziale, che gli permetta di apprendere modalità evolute di funzionamento, empatiche ed eterocentrate. “L’essere umano apprende a essere se stesso nel rapporto con l’altro membro della famiglia attraverso l’identificazione e la scoperta dei propri limiti corporei ed esistenziali; attraverso la dipendenza e la ricerca della propria autonomia; attraverso la tensione tra antagonismo e gratitudine43”, i nonni fungono da promotori di questo apprendimento fondamentale per il piccolo. 41 Ibidem. M. GECCHELE e L. MENEGHIN, Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa, Il Centro Infanzia Girotondo delle Età, op. cit., p. 134. 43 C. MANCINA, Tra pubblico e privato: la scoperta dell’intimità, in C. MANCINA-M. RICCIARDI, Famiglia italiana. Vecchi miti e nuove realtà, Roma, Donzelli, 2012, p. 26. 42 37 2. L’APPRENDIMENTO PERMANENTE LUNGO L’ARCO DELLA VITA 2.1 Il mantenimento delle funzioni intellettive Fino all’inizio del 900’ si è ritenuto che le funzioni intellettive dell’individuo deteriorassero con l’avanzare dell’età, sulla base di questo pensiero non veniva considerato il tema dell’apprendimento permanente. Gli scienziati ritenevano, infatti, che le differenti aree del cervello umano fossero predefinite ed immutabili e che la produzione dei neuroni cessasse dopo l’età dello sviluppo, ad accezione delle strutture dedicate alla memoria, che si riteneva che restassero produttive anche in età adulta. Si credeva nella staticità e incapacità della crescita del cervello, condannandolo ad un lento ed inesorabile declino. La nozione di plasticità cioè la capacità del cervello, e più in generale, del sistema nervoso centrale, di modificare la propria organizzazione e il proprio funzionalmente era limitata al periodo critico cioè all’età della prima infanzia in cui il cervello è abituato ad apprendere nuove abilità con un minimo sforzo. Paragonando i risultati dei test di intelligenza di individui di 20-30 anni con quelli di soggetti più anziani, si era giunti alla conclusione che l’abbassamento delle funzioni cognitive connesse all’invecchiamento fosse ineluttabile. Questi studi longitudinali utilizzavano però domande adatte a soggetti giovani, senza tenere conto delle specificità legate all’età (rapidità di esecuzione, timore del giudizio, novità del compito etc.). Inoltre venivano paragonati individui di generazioni diverse e con un livello di istruzione molto differente, con vissuti dissimili, senza tenere in considerazione che “il funzionamento mentale delle persone è influenzato e modellato molto di più dall’epoca storica in cui si vive piuttosto che alla sola usura del tempo”44. Questo presupposto di declino cognitivo legato all’età venne messo in discussione grazie a studi longitudinali avviati negli anni Cinquanta: il “Seattle Longitudinal Study”45, ideato e guidato dallo psicologo K. W. Schaie e il “Baltimore Longitudinal Study”46. Questi studi sono stati condotti per parecchi decenni su un campione composto da circa 6000 persone. 44 O. DE LADOUCHETTE, Restar giovani è questione di testa, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 38. K. WARNER SCHAIE, Longitudinal Studies of Adult Psychological Development, New York, 1983. 46 N. W. SHOCK, R. C. GREULICK, R. ANDRES, D. ARENBERG, et al., Normal Human Aging: The Baltimore Longitudinal Study of Aging, Government Printing Office, Washington DC, 1984. 45 38 I risultati raccolti hanno dissestato la maggior parte delle idee preconcette sul divenire delle funzioni intellettive, dimostrando che: l’abbassamento delle prestazioni cognitive per un individuo in buona salute è insignificante fino ai 65 anni e resta moderato fino agli 80 anni; alcuni soggetti non presentano nessun declino cognitivo delle prestazioni mentali elevate in nessuna età; nell’invecchiamento vi è un declino del ricordo di eventi recenti; a partire dai 70 anni si osserva un abbassamento delle attitudini a memorizzare informazioni orali; il pensiero logico è meno efficace dopo i 70 anni solo per una parte degli individui. Da questa analisi emerge che non tutte le attitudini intellettive restano invariate con lo scorrere del tempo, ad esempio la concentrazione, l’attenzione, la capacità di astrazione, la rapidità mentale, la memoria, le principali componenti dell’intelligenza fluida, connesse all’assimilazione e all’utilizzazione di informazioni nuove, possono subire dei cambiamenti con l’età. Al contrario l’intelligenza cristallizzata (si riferisce ai prodotti dell’istruzione e della conoscenza acquisita e a fattori culturali, che formano il bagaglio di informazioni, di capacità e strategie cognitive acquisite applicando l’intelligenza fluida ai vari problemi nel corso della vita) ha una solida resistenza negli anni: soprattutto se stimolata con un invecchiamento attivo può continuare ad aumentare e può compensare anche il calo dell’intelligenza fluida. Se la vita è culturalmente ricca e stimolante, l’intelligenza cristallizzata continua ad aumentare, sia pure lentamente e può compensare il calo dell’intelligenza fluida. Se con il passare dell’età diminuisce la prontezza mentale, spesso l’esperienza supplisce alla maggiore lentezza con cui vengono utilizzate le informazioni. Questo sviluppo è influenzato da fattori ambientali, legati al tipo di contesto socioculturale nel quale si vive e da fattori individuali legati alla propria persona. Le persone anziane possono attingere dall’esperienza, da precedenti apprendimenti e dal “magazzino della memoria”, ciò di cui hanno bisogno per compensare una ridotta efficienza cognitiva. Le esperienze, le conoscenze e le competenze che ogni persona accumula nel corso della vita aumentano quello che viene denominato da alcuni studiosi lo “spazio 39 psicologico di libero movimento”, cioè l’insieme delle situazioni nelle quali un individuo può collocarsi o venirsi a trovare, avendo però la possibilità di dominare, di muoversi liberamente nel suo interno, di non venire ostacolato o travolto: un insieme di capacità, di possibilità, di conoscenze, di competenze, che le varie esperienze e le relazioni con le altre persone fanno aumentare. I progressi compiuti dalle neuroscienze a partire dal 900’ hanno dimostrato che nelle aree corticali avvengono dei cambiamenti sostanziali ad ogni età e che l’apprendimento, il pensiero e l’azione, trasformano profondamente le strutture funzionali del cervello. Alla nascita il nostro cervello e in particolare la corteccia celebrale, contengono le cellule nervose, i neuroni e nei primi quindici anni avvengono le connessioni sinaptiche (sinapsi) tra le stesse, secondo un piano prestabilito. Le connessioni sinaptiche si formano e si riformano per l’intero ciclo vitale, ma con una netta prevalenza gerarchica di quelle che si instaurano nei primi mesi e anni della nostra vita. L’organizzazione e la ridefinizione della rete sinaptica cerebrale e delle strutture ad essa correlate attraverso l’esperienza e la pratica, permette di scardinare stereotipi e pregiudizi, tuttora esistenti, fondati sull’assunto dell’ineducabilità degli anziani. La necessità di superare l’idea che l’invecchiamento rappresenti una sorta di decadimento, disadattamento e perdita è stata messa in luce anche dalla psicologia dell’invecchiamento, a favore di un’immagine più positiva come forma di realizzazione di sé, riadattamento e risorsa. L’invecchiamento non descrive un processo uniforme e omogeneo, ma ogni individuo si forma, secondo il proprio stile di pensiero e comportamento, in relazione al senso che ha e che viene a maturare dell’esistenza. L’auspicio che ogni individuo possa continuare a imparare e a formarsi per tutto il ciclo della vita è stato oggetto di risoluzioni internazionali e conferenze negli ultimi anni, da parte di organizzazioni come l’OMS, l’ONU, l’UNESCO e la Comunità Europea; l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e dell’incontro fra le generazioni sono ormai temi ricorrenti nei documenti di questi organismi. L’obiettivo ultimo è la creazione di ambienti di apprendimento atti a sviluppare competenze e la costruzione attiva di conoscenze; ambienti in cui siano proposte strategie e attività in grado di sfruttare i principi della neuroplasticità per migliorare le funzioni cognitive degli anziani; in questo modo l’educazione nella terza età può 40 rappresentare un’esperienza gratificante, efficace e significativa, soprattutto se vissuta assieme alle altre generazioni. 2.2 Modelli di apprendimento permanente Negli ultimi anni l’aumento dell’aspettativa di vita e la diminuzione della natalità ha portato a una “rivoluzione silenziosa” nella quale i rapporti quantitativi tra le generazioni stanno cambiando. Si tratta di un processo che ha risvolti non solo demografici, bensì anche economici, sociali, psicologici e spirituali. Questa situazione sta portando a considerare l’invecchiamento e la vecchiaia in modo differente dal passato, come un fenomeno inerente alla vita e alla società nel suo complesso, come un’opportunità piuttosto che come un peso e non solo come fenomeno relativo alle persone anziane. Questa idea non è ancora del tutto condivisa in quanto richiede un grande cambiamento nel modo di pensare, non condizionato dall’età, l’acquisizione di nuova forma mentale. Vanno quindi superati i pregiudizi sull’età della vecchiaia per approdare al secolo dei nonni e per dare un volto umano all’invecchiamento. Il decorso della vita non può più essere rappresentato come una curva “a campana”, suddiviso in preparazione, maturità e decadenza, con il declino irreversibile nell’età anziana. La vita può essere vista come una serie di stadi o cicli ai quali appartengono compiti diversi. Nell’ultima parte della vita si possono trovare sia l’integrità che la disperazione; “se l’anziano riesce ad accettare la propria identità e la propria storia di vita, può allora raggiungere la saggezza”47. L’invecchiamento diviene allora un processo soggettivo, non omogeneo, su ogni persona influiscono variabili individuali, l’ambiente socio culturale, economico, politico e il bagaglio esperienziale posseduto. Lo sviluppo umano è un processo permanente, un continuum non lineare, contrassegnato dall’alternarsi di eventi e compiti caratterizzanti il susseguirsi delle fasi della vita tra continuità e discontinuità. 47 E. H. ERIKSON, Infanzia e società, Armando Editore, Roma, 2008, p. 252. 41 In questo senso il concetto di “Apprendimento lungo l’arco della vita, Lifelong learning”, da un lato, e la prospettiva dello “Sviluppo lungo l’arco della vita, Life-span Perspective”, dall’altro, costituiscono due riferimenti teorico-metodologici importanti. 2.2.1 Apprendimento lungo l’arco della vita: “Lifelong learning” Il concetto di Apprendimento lungo l’arco della vita, “Lifelong learning” riconosce, legittima e sostiene il bisogno di favorire tutte le esperienze educativo-formative che accompagnano gli individui dalla nascita fino alla morte. In questa prospettiva il discente è il centro del processo di apprendimento, come protagonista attivo, capace di cogliere i propri fabbisogni e determinare i propri percorsi formativi. Il cuore di questo processo è costituito dal potenziale intrinseco dell’educazione e dall’apprendimento che permette alle persone di sviluppare le proprie possibilità e desideri. Allo stesso tempo, la società ricopre un ruolo importante, in quanto è il contesto nel quale si possono offrire occasioni formative a tutti i cittadini, di qualunque fascia di età, poiché un apprendimento lungo il corso della vita è possibile se ci sono ambiti, materiali, spazi e relazioni di educazione e formazione. L’UNESCO svolse un ruolo propulsivo fondante nell’elaborazione e diffusione del concetto di educazione permanente, attraverso le campagne di alfabetizzazione intraprese a partire dagli anni Cinquanta, con il fine di favorire l’integrazione sociale ed economica degli adulti analfabeti. A partire dagli anni Settanta, la visione di educazione dell’adulto centrata solo sull’alfabetizzazione fu superata per assumere una prospettiva più ampia, secondo cui si affermava l’importanza per l’uomo di prendere consapevolezza di se stesso e del proprio valere, in ogni momento della vita. Nel rapporto sull’educazione del 1996, redatto dalla Commissione internazionale per l’UNESCO, si afferma che pur riconoscendo che l’educazione permanete rimane ancora un’idea fondamentale alla fine del ventesimo secolo, è importante che essa vada oltre il semplice adattamento al lavoro, per diventare parte del concetto più ampio di un’educazione da proseguire per tutta la vita, vista come requisito primario per lo sviluppo armonioso e continuo dell’individuo. Attualmente il Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, elaborato nel 2000 dalla Commissione europea, rappresenta il documento istituzionale più autorevole 42 nel riconoscere la necessità di realizzare un sistema educativo-formativo che accompagni l’individuo lungo tutto l’arco della vita. Nel concetto di apprendimento lungo tutto l’arco della vita viene riconosciuta una valenza educativa anche ai contesti non formali dell’educazione. Gli ambiti formali dell’educazione, (scuole, università, centri formazione ecc.) non rappresentano i soli luoghi formativi riconosciuti come tali, ma assumono valore anche i contesti non formalmente educativi (luoghi di aggregazione, associazioni ecc.) e vengono promosse le sinergie fra tali ambiti, creando una continuità formativa territoriale nel panorama di una società attiva e di apprendimento. Si tratta di un sistema educativo decentrato, in cui “ovunque è centro”, di un sistema integrato, la cui struttura istituzionale o organizzativa è quella reticolare che permette ed esige la collaborazione e coordinazione fra più strutture48. Focalizzando l’attenzione all’apprendimento nella terza età, la prospettiva del Lifelong Learning, offre alcuni contributi fondamentali per permettere all’educazione e alla formazione che coinvolge un’utenza anziana di uscire dalla sfera del tempo libero e di trovare pieno riconoscimento e legittimità educativa: “il riconoscimento della valenza educativa dei contesti non formali e formali, ambienti privilegiati per l’attuarsi di interventi educativi ricolti ai soggetti non più giovani; la riflessione sull’importanza del processo più che del prodotto dell’apprendimento, che pare le porte a modelli e ad obiettivi educativi centrati sul soggetto, nella fattispecie sul soggetto anziano; l’affermazione di un modello di sviluppo continuo, pur nella discontinuità delle esperienze personali, che riconosce l’educabilità dell’anziano; l’educazione permanente come strumento di cittadinanza”49. Questa prospettiva, attribuisce all’educazione dei soggetti anziani una grande valenza, facendo perdere il carattere occasionale, discontinuo, volontaristico che molto spesso influenza i servizi a essi rivolti, considerando le occasioni formative imprescindibili, al pari di quelle rivolte ai giovani e agli adulti. 48 Commissione delle comunità europee, Documento di lavoro dei servizi della commissione, Memorandum sull’istituzione e la formazione permanente, Bruxelles, 30.10.2000, SEC. 2000, 1832. 49 E. LUPPI, Pedagogia e terza età, Carocci, Roma, 2008, p. 20. 43 Per seguire questa prospettiva è necessario valorizzare le esperienze già in atto, sostenerle, allargale e metterle in relazione fra loro, in modo che, in tutte le fasi della vita, ciascuno possa fruire di un ampio panorama di offerte educative e formative. La prospettiva del Lifelong learning si spinge oltre il riconoscimento dei contesti educativi per la terza età, valorizzando anche il dialogo tra luoghi formali e non formali dell’educazione, promuovendo scambi fra tutte le agenzie e i contesti dell’apprendimento e sostenendo la realizzazione di spazi di progettualità per avviare progetti di dialogo intergenerazionale. Implica una visione dell’apprendimento come un fenomeno che accompagna l’individuo lungo tutta la vita, in una continua dialettica tra individualità e collettività. Ogni individuo che apprende elabora e ricostruisce soggettivamente la propria esperienza di apprendimento e, contemporaneamente, instaura relazioni e scambi significativi negli ambiti in cui tale apprendimento è agito. L’apprendimento si realizza in contesti sociali, si rivolge all’individuo che lo elabora individualmente per poi manifestarlo o trasmetterlo negli stessi o in altri contesti. Punto fondamentale di questo approccio che valorizza la complessità e la flessibilità è la competenza chiave per l’educazione, da perseguire fin da piccoli: imparare ad imparare. 2.2.2 Prospettiva dello Sviluppo lungo l’arco della vita: “Life-Span Perspective” Ulteriore rilevante premessa per sostenere l’importanza e la possibilità di un’educazione che vada oltre i confini anagrafici è rappresentata dalla “Prospettiva dello Sviluppo lungo l’arco della vita, Life-Span Perspective”50. Questa prospettiva capovolge la visione tradizionale e adultocentrica51 dello sviluppo, vedendo lo sviluppo umano come un fenomeno che copre l’intero arco di vita di ciascun individuo. Secondo questa teoria nessuna età della vita ha il primato sulle altre, né esistono periodi che incidono maggiormente sul corso dello sviluppo; inoltre, mette in luce l’importanza di un complesso insieme di variabili nel determinare il corso dello sviluppo, fra cui: 50 B. BASCHIERA, E. DELUIGI e E. LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op. cit., p. 18. 51 Secondo tale concezione l’intero arco di vita di un individuo può essere descritto come una curva a campana, il cui apice rappresenta l’età adulta, come un compimento delle facoltà e delle potenzialità della persona, mentre l’infanzia è la curva ascendente, o fase preparatoria all’adultità, e la vecchiaia, la curva discendente, coincidente con il declino delle facoltà della vita adulta. 44 la variabilità interindividuale che caratterizza ciascun percorso evolutivo; la grande plasticità “intraindividuale” che determina lo sviluppo psicologico; le influenze dovute all’età, le influenze storiche e quelle non normative. Viene messa in luce l’importanza della variabilità interindividuale e della plasticità “intraindividuale” nel determinare il corso dello sviluppo e si inserisce una visione prossimale discontinua dello sviluppo, nella quale le acquisizioni di un soggetto non dipendono necessariamente da quelle delle fasi precedenti, ma possono prevedere dei cambiamenti innovativi. Nel determinare questa visione dello sviluppo come un fenomeno articolato, multiforme e non lineare e della terza età come una tappa della vita non statica né caratterizzata necessariamente dal declino hanno influito le teoria evolutive dell’arco della vita dallo psicologo K. Waener Schaie (Teoria degli stadi dello sviluppo) e dallo psicologo e psicanalista Erik Erikson (Teoria psicosociale dello sviluppo). Entrambi gli autori mettono in luce la continuità fra le fasi e i compiti che caratterizzano la vita dell’individuo, contribuendo a dare alla vecchiaia una valenza importante nello sviluppo umano. La teoria di K. Waener Schaie concentra la sua attenzione sugli aspetti cognitivi e sui ruoli sociali che caratterizzano le varie fasi della vita, secondo la quale tutta la vita è caratterizzata dall’acquisizione di precise abilità, competenze, conoscenze e ruoli funzionali allo svolgimento dei compiti connessi all’infanzia, all’adolescenza e all’età adulta. Secondo questa teoria la terza età è lo “stadio della reintegrazione”, caratterizzato dalla diminuzione della complessità e flessibilità cognitiva dell’individuo, ma accompagnato dall’aumento della capacità di adattarsi ai cambiamenti biologici. La teoria dello sviluppo della personalità di E. Erikson mette al centro di ciascuna fase della vita del soggetto precisi compiti di sviluppo da superare fronteggiando, di volta in vota, un conflitto interno ed esterno caratterizzato dalla contrapposizione di due tendenze opposte. Nella tappa della terza età il conflitto che la persona deve affrontare è quello tra integrità e disperazione; l’anziano in questa situazione è chiamato a ripercorrere i compiti di sviluppo che hanno caratterizzato l’intero percorso di vita, perseguendo la saggezza, intesa come virtù che consente l’accettazione della propria identità e della 45 propria storia di vita, integrandone tutti gli aspetti o eventi, sia positivi che negativi. La saggezza permette all’anziano di guardare con speranza e fiducia le generazioni future. Questi approcci e modelli permettono di concepire la vecchiaia in continuità con l’intero arco della vita dell’individuo, restituendo a questa età significati e valenze multiple. In questa ottica si valorizzano le occasioni di scambio e di dialogo fra le generazioni e si accorciano le distanze fra i vissuti degli individui nelle varie fasi delle vite di ciascuno. Secondo la “Life-Span Perspective”, lo sviluppo ha un’evoluzione dinamica e trasformativa nel corso della vita, esistono esperienze particolarmente significative per la vita del soggetto che imprimono svolte importanti nella crescita, spesso sono legate ai compiti di sviluppo o a fasi di transizione, ma non si può definire il momento in cui si presenteranno, né il loro impatto sulla persona. Lo sviluppo e la crescita umana possono essere compresi solo in relazione alle dinamiche culturali e sociali in cui si presentano, le scelte di vita e i momenti dello sviluppo individuale sono il risultato dei contesti, delle situazioni e della cultura di riferimento. La crescita avviene attraverso l’interazione con gli altri membri del gruppo di riferimento, grazie all’instaurarsi di relazioni significative, alla trasmissione di conoscenze e al modellamento di comportamenti. Questa visione spinge l’educazione ad accompagnare l’individuo lungo l’arco della vita. L’educazione, nel senso tradizionale del termine, accompagna l’individuo giovane nel superare i momenti significativi e i compiti di sviluppo, il quale, una volta anziano e adulto, continua a dover fronteggiare esperienze legate al cambiamento e alla crescita, conservando, anche se con caratteristiche diverse, il fabbisogno educativo che gli era riconosciuto e garantito nelle età precedenti. Il “Lifelong Learning” e la “Lifespan Perspective”, ci permettono di vedere lo sviluppo come un processo costante, dalle molteplici sfaccettature e l’educazione come un’esperienza vitale e continua nella vita dell’essere umano. Se la vita è caratterizzata da fasi e cicli, le distanze fra le generazioni si accorciano e il dialogo fra giovani e anziani può divenire un potente strumento per fronteggiare l’isolamento, la perdita di memoria della propria vita e della propria comunità e la disgregazione sociale. 46 In quest’ottica l’educazione intergenerazionale assume una valenza importante, per ciascun attore dei processi educativi e per la società, come spazio che promuove educazione alla cittadinanza, alla partecipazione e alla solidarietà fra i suoi membri. Queste visioni sono supportate anche dalla continua comprensione dei meccanismi del funzionamento e dell’evoluzione celebrale, che le neuroscienze hanno apportato e apportano. 2.3 Politiche di invecchiamento attivo ed educazione permanente La comunità internazionale, su iniziativa dell’Argentina nel 1948, ha affrontato per la prima volta, la questione dell’invecchiamento. L’argomento è stato riproposto a Malta nel 1969, consapevoli che la longevità stava diventando una delle sfide principali del ventesimo secolo, le Nazioni Unite, hanno convocato nel 1982 a Vienna la “Prima Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento”. Già da subito l’invecchiamento è stato considerato come una delle sfide prioritarie per le nazioni, in particolare per i Paesi sviluppati, che richiede ai governi di interrogarsi sulla loro capacità di affrontare il progressivo invecchiare della popolazione, sul ruolo e sugli specifici bisogni dell’anziano nel XXº secolo. In tale assemblea, si è riconosciuto quanto la persona in età avanzata, anziché un peso, rappresenti sempre più spesso una risorsa per l’intera società, in quanto depositaria d’informazioni, di tradizioni, di conoscenze e di valori spirituali utili alle giovani generazioni, ma allo stesso tempo, si rivela una persona bisognosa, più che in altre età, di essere sostenuta ed educata alla fiducia in se stessa e nelle proprie capacità e al senso di responsabilità comunitaria. Inoltre si sollecita ad inserire gli anziani nella scuola a contatto con i piccoli, permettendo alle persone anziane di assumere un ruolo di trasmissione, di conoscenze, di cultura e di valori spirituali. Nello stesso anno, “L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, ha approvato il Piano Internazionale di Azione dell’invecchiamento nella vita di ogni individuo, il quale espone sessantadue raccomandazioni riguardanti la situazione delle persone anziane. Il 1996 è stato proclamato “Anno europeo dell’istruzione e della formazione lungo tutto l’arco della vita”, il 1999, “Anno internazionale dell’anziano: verso una società per tutte le età”. 47 I governi sono stati sollecitati a valorizzare il ruolo delle persone anziane impegnandoli nella gestione di micro imprese, nella trasmissione di valori culturali alle altre generazioni, all’interno di istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nella fornitura di servizi di consulenza, a curarne lo sviluppo intellettuale, emotivo e l’indipendenza, ad alimentare i rapporti con le generazioni secondo un approccio che colga l’invecchiamento nel suo potenziale di crescita. La premessa fu “una società per tutte le età” che risponde alla necessità e alla capacità di ogni gruppo di età, promuove l’integrazione tra le diverse fasce di età, facilita la reciprocità multigenerazionale, riconosce i vari stadi o le fasi della vita dell’individuo ed è sensibile rispetto alle differenti capacità delle diverse generazioni. Per favorire l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva e lo sviluppo sociale della persona anziana, la Comunità europea nel 2006 ha emanato un documento intitolato “Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere”. Nel documento vengono formalmente dichiarati i vantaggi derivanti da un’ azione di sistema per l’educazione della persona adulta, “un incremento del livello generale delle competenze della popolazione adulta, ottenuto offrendo maggiori e migliori opportunità di apprendimento lungo tutto l’arco della vita adulta è importante sia per motivi di efficienza che per motivi di equità, tenuto conto delle sfide identificate precedentemente”52, ai fini dell’autorealizzazione e di un maggior benessere fisico e mentale della persona anziana. L’apprendimento permanente, raccomandato e sostenuto anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), incomincia a ricoprire un’importanza nel contesto delle politiche di invecchiamento attivo e viene promosso in contesti formali e non formali. Comincia ad imporsi il concetto di “Active Ageing” (invecchiamento attivo), che sposta il focus delle politiche sull’invecchiamento, dalle necessità ai diritti delle persone anziane, in primo luogo l’integrazione nel tessuto sociale di appartenenza. Nonostante gli orientamenti di organismi internazionali come l’ONU, l’UNESCO, l’OMS e l’Unione Europea che sollecitano a fare della questione dell’invecchiamento non un problema ma un’opportunità di sviluppo e crescita sociale e a considerare l’anziano non un inutile peso da emarginare dalla società bensì una risorsa attiva e 52 Commissione delle Comunità Europee, Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere, Bruxelle, 2006, p. 5. 48 produttiva da promuovere ed integrare nella vita quotidiana della cittadinanza, la situazione attuale della persona anziana resta ancora critica. Si attuano politiche sociali che prevedono interventi formativi efficaci ma ancora circoscritti e strategiche azioni culturali promotrici dell’invecchiamento attivo ma di natura occasionale e ancora poco diffuse. Questo rischia di allontanare la società dal cambiamento culturale necessario nei confronti dell’immagine sociale della persona anziana. Alcune ricerche riportano sovente un’immagine sociale della terza età ancora anacronistica e stereotipata, legata ai pregiudizi del passato, a una concezione di anziano inattivo e improduttivo. Nei documenti del 2010 emanati dall’UNESCO viene sottolineata questa insufficienza degli sforzi fatta dai vari Governi in tale ambito e riconfermano la necessità di offrire opportunità di istruzione e formazione continua, non solo per dotare gli anziani di nuovi saperi spendibili in ambito lavorativo, ma per dare risposta ai loro interessi e bisogni. L’apprendimento viene riconosciuto come un elemento strutturale nella vita degli individui e della collettività, un obiettivo sociale e personale, la cui realizzazione sembra sempre più interrelata ai concetti di educazione permanente e apprendimento intergenerazionale. Con l’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni nel 2012, la Commissione Europea e il Comitato Economico e Sociale Europeo indicano tra le azioni principali ai fini della promozione dell’”Active Ageing”: la realizzazione di campagne di sensibilizzazione nei confronti del potenziale degli anziani, con l’obiettivo di ottenere un loro maggiore riconoscimento e una loro partecipazione attiva nella società; la promozione di progetti europei per l’incontro e lo scambio di esperienze fra anziani provenienti da paesi diversi, all’interno di iniziative di educazione permanente; la messa in opera di progetti educativi intergenerazionali, come opportunità di apprendimento reciproco contro il pericolo di isolamento degli anziani, rilevato dal basso tasso di partecipazione ed interventi educativi e formativi formali e informali di molti paesi europei. Ad oggi sono un numero più elevato, in confronto al passato, i programmi e i progetti intergenerazionali approvati a livello europeo e nazionale, grazie ai quali si registra una partecipazione più significativa delle persone anziane nella società. Nonostante questo, 49 alcuni studiosi fanno emergere alcune evidenze: vi è una bassa partecipazione degli anziani, in rapporto a quella dei più giovani; una forte sotto rappresentazione di anziani stranieri; un calo evidente di partecipazione al compimento del settantesimo anno di età. Quest’ultimo dato si ritiene sia dovuto probabilmente a quattro barriere: ostacoli situazionali, ostacoli istituzionali, ostacoli informativi e ostacoli psicologici. Dobbiamo tenere presente che tuttavia, si tratta di esperienze ancora abbastanza isolate e limitate nel tempo, risultato della competenza delle organizzazioni e dei partenariati coinvolti. Anche se possiamo oggi notare alcune aperture alla dimensione educativa degli anziani pensionati, nella maggior parte dei casi, le azioni europee di “Lifelong Learing” si rivolgono a soggetti over 50 ancora in condizione lavorativa. Questo è dato dal fatto che la società consumistica voglia garantire quella produttività economica e quel risparmio al sistema pensionistico, sui quali puntano l’attenzione le politiche odierne, volte a gestire in modo sostenibili l’aumento della componente anziana nel sistema pubblico. I progressi compiuti dalle neuroscienze dimostrano quindi che l’apprendimento non è un’esclusiva riservata alle sole generazioni più giovani e alle persone con una mente in piena efficienza, ma che possa essere sviluppato in tutte le età della vita con uguale efficacia e che apprendere contribuisce sempre a incrementare la rigenerazione neuronale, allontanando gli effetti dell’invecchiamento. Grazie all’uso e alla stimolazione cerebrale, una persona anziana ha maggiori potenzialità di apprendere di quanto non si pensi normalmente; educare nell’età adulta significa, quindi, rendere manifesto l’enorme potenziale positivo di crescita di ogni persona, dando spazio alla realizzazione dell’ampia gamma delle sue intelligenze, emozioni e talenti. L’incontro tra la ricerca neuroscientifica e la ricerca nel campo dell’educazione degli adulti fa riflettere sulla possibilità di esplorare nuove forme di apprendimento per la promozione del “Lifelong Learning”, capaci di migliorare la plasticità cerebrale, e di limitare una formazione rigida, sostanzialmente tesa a stabilizzare in modo ripetitivo i processi di memorizzazione a lungo termine. 50 2.4 L’educatore professionale nel lavoro con gli anziani Con lo sviluppo della società moderna e la nascita di nuovi bisogni, l’educatore professionale ha adattato le proprie funzioni e i propri interventi ai nuovi cambiamenti. Oggi, accanto alle attività di animazione, ludiche, teatrali, laboratoriali ed occupazionali l’educatore è il professionista in grado di accogliere e soddisfare i bisogni di socializzazione e di relazione, di recupero della memoria e della storia individuale e familiare, di agevolare il mantenimento e il potenziamento della capacità e delle abilità cognitive ed espressive di persone parzialmente autosufficienti o non autosufficienti. Nelle strutture rivolte ad anziani, l’educatore spesso si occupa di introdurre l’ospite nel nuovo ambiente di vita, un luogo che racchiude ritmi e regole, ma anche grandi opportunità completamente nuove di sviluppo ma non sempre accettate o accettabili. Nel momento di accoglienza e di inserimento, l’educatore professionale contatta la persona e i famigliari nei colloqui iniziali, momenti molto delicati perché coincidono con un distacco dalla propria abitazione e dal nucleo dove si è passata una vita. Le competenze che l’educatore possiede sono fondamentali per far sentire la persona accolta, compresa e permettergli di intravedere un “nuova vita” per gli anni futuri, ricca di stimoli, significati e valori. Nelle strutture residenziali rivolte agli anziani le attività programmate dall’équipe educativa sono improntate a creare un clima familiare e accogliente per il soggetto, alla stimolazione cognitiva e creativa, alla valorizzazione di attitudini, saperi e capacità. L’ottica educativa è quella del mantenimento e del potenziamento, quando possibile, delle capacità residue, attraverso la progettazione e gestione di attività specifiche. Le attività sono legate alla vita quotidiana, attività laboratoriali e creative che mirano non solo a mantenere viva l’attenzione, la manualità, il gusto per il bello e l’utile, ma anche a proporre percorsi terapeutici che sono fondamentali per chi, come per esempio le persone affette dalla malattia di Alzheimer, sta perdendo parti di conoscenza e di vitalità. Le attività hanno anche una funzione di contenimento dell’ansia e di recupero della partecipazione ad una vita attiva, che spesso la pensione e/o la malattia hanno allontanato. E’ la potenza del fare, e del fare insieme, che ha una funzione terapeutico-riabilitativa molto importante, soprattutto perché fa leva sulla motivazione, sulla partecipazione, accrescendo l’autostima e il protagonismo della persona. 51 Visto il divario sempre più ampio che si sta creando tra le generazioni, l’educatore professionale propone attività che aiutano l’anziano a recuperare la propria biografia, che restituiscono senso alla propria esistenza, alle abilità e ai saperi di cui è portatore, con l’obiettivo di poter agevolare una trasmissione dell’esperienza alle nuove generazioni. Vengono attuati progetti intergenerazionali nei quali gli anziani incontrano le generazioni più giovani mirando così a accorciare le distanze che nella società odierna si stanno creando. La longevità viene quindi vissuta nei servizi educativi e nella residenza, non come un peso, un problema, ma come ricchezza di saperi e valori per la comunità, in un’ottica di crescita, di condivisione, di scambio, di cura e di apprendimento permanente. Assume particolare rilevanza sul piano educativo-riabilitativo, la gestione di persone con disturbi del comportamento: in queste situazioni l'educatore professionale propone attività finalizzate al mantenimento, al recupero o alla convivenza sostenibile con il disturbo stesso. Promuovere nella persona un recupero del contatto visivo, la modulazione del tono di voce, la predisposizione e l’uso di strumenti innovativi, fanno parte del bagaglio di conoscenze e di strumenti a disposizione per superare ostacoli e barriere che rendono difficile la vita quotidiana e la convivenza nella comunità. Non sempre la semplice riproposizione, il ripetersi di attività e di situazioni di vita con il continuo rimando al passato permette di assicurare un clima, un ambiente ed esperienze che sono utili alla persona, per vivere bene. Nella società attuale, all’anziano, per riciclarsi come vera risorsa del territorio e della comunità, per essere un protagonista attivo e non passivo nei servizi è richiesto un recupero del gap tecnologico e conoscitivo. Le nuove tecnologie, le strumentazioni, i linguaggi moderni non devono rappresentare una “lingua nuova e sconosciuta” per gli anziani, ma diventare una frontiera di conoscenza e di possibilità. Per raggiungere questo obiettivo i progetti intergenerazionali rappresentano le iniziative più efficaci nei quali i giovani possono aiutare gli anziani nel comprendere ed imparare ad usare le nuove tecnologie. 52 L’educatore professionale si impegna, nella relazione con l’anziano, a promuovere iniziative ed attività individuali e di gruppo anche in base agli obiettivi stabiliti nei Piani Assistenziali Individualizzati (PAI). La progettualità del PAI, ha uno sguardo sistemico rivolto alla complessità e alla multidimensionalità, si avvale dell’uso integrato di strumenti in grado di conoscere la rete materiale, umana, le caratteristiche del soggetto coinvolto (identità, genere, stadi/tempi/ritmi di sviluppo, integrità o deficit psico-fisici, status socio-economico, habitat territoriale, background culturale, provenienza antropologica) e le sue conoscenze, competenze e abilità, la sua disposizione emotiva-affettiva e il suo interesse. La definizione dei bisogni della persona viene perseguita attraverso la predisposizione di ambienti, contesti e “setting” di progettazione pedagogico-didattica, considerando che i bisogni dell’anziano non sono solo quelli manifestati o espressi spontaneamente, ma anche quelli latenti da far emergere, di cui è necessario tener conto insieme ai vincoli e alle risorse e, allo stesso tempo, promuovendo nuovi interessi, supportando e implementando, per quanto possibile ed etico, potenzialità residue. Le esperienze implementano il “coping” (capacità di adattamento attivo), la resilienza (capacità di resistere agli urti traumatici), l’agentività (capacità di essere trasformativi e/o agenti attivi del proprio cambiamento), l’empowerment (capacità di controllare attivamente la propria vita e consapevolezza critica del proprio ambiente di vita) e la cura del proprio piano fisico-motorio, cognitivo, emotivo-affettivo, socio-relazionale ed estetico. Sono strumento utile per lavorare anche a favore della percezione del tempo, dello spazio, delle relazioni, contribuendo al mantenimento, al potenziamento e alla costruzione delle immagini della realtà circostante con cui dare senso al presente e a un futuro prossimo facendo perno sul passato. I progetti prevedono l’uso dei sensi, della manipolazione e della produzione, parziale o totale, di artefatti materiali e simbolici, della partecipazione attiva, della revisione delle attività, tempi, spazi e relazioni (interni ed esterni; fra utenti e con le figure professionali e parentali; durevoli nel tempo) facendo perno anche sull’ironia e sull’autoironia. L’educatore ricopre una funzione di supporto nella gestione della vita quotidiana dei residenti e dei loro familiari. A tal fine spesso coordina la presenza e il servizio nelle 53 residenze sanitarie di operatori, volontari, lavoratori socialmente utili, che con la sua supervisione possono gestire attività sociali, creative, ricreative e culturali. Grande importanza è attribuita alla capacità dell’educatore di creare una rete sociale sul territorio, al fine di incrementare occasioni significative di vita, e il lavoro di empowerment con tutte le persone che gravitano attorno al residente. Accogliere, sostenere, informare e formare i famigliari, aiutarli a integrarsi nella comunità è una delle prime sfide dei professionisti. Nessuno può sostituirsi all’affetto della famiglia, per cui occuparsi del benessere del residente significa prendersi cura del benessere della sua famiglia. Nelle strutture il ruolo della famiglia è molto importante, i legami possono ricomporsi in forme nuove, trovare il loro spazio e ripensare ad una nuova fase di vita del proprio congiunto. Sostenere e rimotivare l’operare quotidiano delle diverse figure professionali che si prendono cura dell’ospite, è un ulteriore elemento importante per il raggiungimento del benessere. Talvolta la routine quotidiana, il lavoro logorante del servizio alla persona, prassi organizzative che rischiano di schiacciare la relazione piuttosto che agevolarla. L’educatore professionale, anche a prescindere da sue eventuali funzioni di coordinamento, può aiutare l’équipe multi professionale, in quanto esperto di relazione di sostegno, nella visione più generale e completa della persona che è sempre di più della somma dei propri bisogni. Infine favorire e incrementare i rapporti con i volontari, ma anche più in generale con la comunità d’appartenenza, significa prevenire il rischio sempre latente di voler “nascondere” la malattia, la non autosufficienza al mondo, valorizzare la ricchezza che una vita se pur indebolita e fragile porta con sé. 3. L’EDUCAZIONE INTERGENERAZIONALE COME PRASSI EDUCATIVA 3.1. Il dialogo intergenerazionale La convivenza di anziani e bambini ha rappresentato per secoli un fatto naturale nella fisiologia delle trame sociali, ma con il passaggio dalla società contadina a quella industriale sono nate nuove tipologie di relazioni tra le generazioni. Ciò ha portato ad una razionalizzazione dei ruoli e delle funzioni. 54 Uomini e donne sono sempre più spesso impegnati nel lavoro, ciò ha determinato la creazione di servizi di supporto per la custodia e l’accudimento dei bambini, in contemporanea la vita odierna ha accelerato i ritmi e diminuito gli spazi di incontro e di socializzazione tra gli individui. La civiltà occidentale ha radicato la propria organizzazione sulla segmentazione, gli individui sono sempre più lontani nonostante abbiano le medesime caratteristiche (bambini, adulti e anziani confinati in strutture specifiche). Questa organizzazione porta ad una drastica diminuzione della possibilità di ascoltarsi e si afferma la tendenza a lasciarsi gestire dai ruoli impersonali e dalle aspettative preconfezionate. Lentamente questi meccanismi incidono sui modi con cui i soggetti si presentano agli altri e influenzano le diverse identità che quotidianamente emergono nei vari contesti di vita. La civiltà odierna vive in un sistema modulare che prevede spazi diversi e una rigida delimitazione di tempi e di attività. Gli anziani sono sempre più isolati nelle case di riposo, centri di accoglienza residenziali e diurni. É necessario costruire spazi fisici e mentali di incontro tra le diverse generazioni, aumentare e migliorare il dialogo intergenerazionale come antidoto contro l’isolamento, l’esclusione sociale, la perdita di memoria e la disgregazione sociale. “L’educazione intergenerazionale riporta l’attenzione sulla realizzazione e sullo sviluppo del noi, della comunità, della cittadinanza come elementi da valorizzare e su cui fare forza per rilanciare una corresponsabilità democratica che metta in primo piano la necessità di accorgersi dell’altro da me, oltre a me, e di scoprirlo attraverso inter-azioni e cooperazioni volte al raggiungimento di obiettivi comuni”53. “L’odierna socialità incerta, frammentata, confusa conduce l’uomo verso una solitudine che non fa che ripiegarlo su se stesso, delimitandolo a interessi riguardanti la sfera privata, per cui non vale la pena e non c’è alcun interesse nell’impegnarsi al di fuori di sé e del raggiungimento dei propri scopi”54. 53 B. BASCHIERA, R. DELUIGI e E. LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op. cit., p. 62. 54 Ibidem. 55 Nell’incontro intergenerazionale con l’altro, le parti coinvolte devono essere disposte a mettersi in gioco, a ipotizzare soluzioni creative e strategie che allontanino dalla tentazione di condurre il proprio esistere verso un’autorealizzazione del proprio sé esclusiva ed escludente. 3.2 L’approccio intergenerazionale L’approccio intergenerazionale indica relazione, scambio, dialogo e reciprocità con l’altro, partecipazione e collaborazione dove non sempre gli anziani testimoniano e i giovani sperimentano. Il prefisso “inter” significa “tra” e chiama in causa molte sfaccettature: “inter” deve essere lo sguardo di chi mette in atto azioni educative, ossia deve avere la capacità di decentrarsi ma anche di riconnettere, in modo da cogliere e collegare complessità e specificità, del contesto e del singolo soggetto. lo stile “inter” è tipico dell'educazione stessa perché essa implica la necessaria connessione tra teoria e pratica, individuo e collettività, micro e macro; “inter”-culturale è l'approccio educativo nei confronti delle diversità in quanto vengono concepite come opportunità di incontro e scambio nel rispetto delle reciproche identità; nell'educazione intergenerazionale il prefisso “inter”, indica un intreccio di storie, esperienze e dialoghi ispirati “dalla convivialità […] e dalla normale comprensione reciproca”55. Utilizzare il prefisso “inter” significa trovarsi in un contesto in cui “co-abitano” delle differenze con le quali è necessario interagire in un'ottica di coesione e partecipazione. Vuol dire non solo una compresenza tra individui nello stesso contesto, bensì creare delle reti sociali in cui l’altro sia visibile nella sua integrità e in tal modo superare le immagini stereotipate delle varie generazioni. A questo proposito è necessario non attribuire in modo univoco il ruolo e le funzioni alle persone e alle generazioni. 55 E. MUSI, La danza delle stagioni. Fondamenti antropologici e pedagogici di un'insolita convivenza: l'esperienza del “Centro Anziani e Bambini insieme” di Piacenza, ETS, Pisa, 2012, p. 192. 56 I significati dell’esperienza appartengono a chi la vive, a chi la racconta, a chi la ricorda, assumendo in ogni persona varie forme e sfumature diverse che danno modo di riflettere con gli altri. L’approccio intergenerazionale è prima di tutto vedere l’altro, accorgersi della sua presenza ed esistenza, riconoscerlo con uno sguardo non giudicante che accetta le differenze. Compito dell’educazione intergenerazionale è facilitare l’incontro con l’altro, generare la curiosità, il desiderio di costruire percorsi comuni, di sentirsi parte della comunità e parteciparvi attivamente. L’educazione avviene in contesti formali o informali attraverso programmazioni finalizzate alla partecipazione attiva dei destinatari, con una progettualità aperta e volta ad accogliere tutte le istanze della complessità dell’esperienza. L’obiettivo è tracciare piste di lavoro rispondenti alle sfide che emergono nella quotidianità, dando vita così ad un continuo agire e ad una intenzionalità educativa. Ciò significa far emergere le caratteristiche e l’originalità dei singoli soggetti per trovare punti comuni su cui costruire una progettazione innovativa e non cristallizzata sulle fasce d'età. L’indebolimento dei contatti, dei rapporti e degli scambi tra persone di generazioni diverse causa oggi un allontanamento tra i soggetti. Per tali motivi non è sufficiente promuovere un consenso ideale e un cambiamento di mentalità, ma è necessario accrescere le condizioni di incontro reale tra i minori e gli anziani e favorire uno scambio reciproco attraverso il quale si possa sperimentare concretamente l’altro come valore e come risorsa. “È l’educazione stessa che ci insegna che è tra le opposizioni che si realizza l’equilibrio, nel giusto bilanciamento tra principio di libertà e principio di educabilità”56. Educare all’ascolto e alla reciprocità i bambini fin dalla prima infanzia, riunire i diversi servizi educativi e promuovere un invecchiamento attivo è l’inizio della creazione di una società nella quale due mondi distinti possono incontrarsi. L’incontro intergenerazionale può generare una diversa immagine della vecchiaia e far superare stereotipi e pregiudizi, diventando un inizio di educazione alla tolleranza, al 56 M. CORSI e S. ULIVIERI, Progetto Generazioni. Bambini e anziani: due stagioni della vita a confronto, ETS, Milano, 2012, p. 242. 57 rispetto, alla reciprocità e alla differenza, poiché le prime nozioni vengono direttamente incorporate nei circuiti nervosi centrali e restano scolpite e difficilmente si perdono. L’incontro costante tra anziani e bambini può migliorare la memoria a lungo termine e produrre forme implicite di riconoscimento, così da promuovere nel futuro dei bambini, una buona disposizione verso i longevi e la vecchiaia. “La relazione tra bambini e anziani si configura come “un nesso naturale” (imprinting infantile) perché essi imparano a stimarli e ad amarli e […] un fattore di non emarginazione e di partecipazione”57. Permettere agli anziani di partecipare a programmi intergenerazionali è necessario per aiutarli a vivere l’età senile senza sentirsi persone “inutili”. “I progetti sono volti a garantire una reciprocità fra cognitivo (conoscenze, competenze e abilità) e affettivo (motivazione e interesse), evidenziando la partecipazione a tutte le questioni di vita della collettività (con apertura al cambiamento anche per sventare eventuali isolamenti e difficoltà relazionali) e l’esigenza, permanente e ricorrente a vivere la vecchiaia come età diversa”58. Si tratta di permettere all’anziano di intendere la vecchiaia come età in cui convivono continuità e discontinuità fra i tempi del passato, del presente e del futuro. Egli utilizzerà il proprio patrimonio culturale, esistenziale e materiale per avviare uno scambio reciproco con le nuove generazioni. Le attività intergenerazionali prevedono spazi in cui l’apprendimento e lo scambio viene a configurarsi come esito di un’attività pratica sperimentata in laboratori di scrittura creativa, teatro, giochi, informatica, cucina, arte ecc. É importante progettare tempi e spazi che facilitino l’incontro e l’interazione, nei quali sia possibile imparare a nominare e contemplare modi diversi con cui tendere a ideali comuni, così da permettere ad ognuno un accesso ad una visione plurima dell’esperienza. Si tratta di azioni e iniziative in cui le relazioni tra soggetti non sono ispirate a fini utilitaristici o compassionevoli, ma alla convivialità, all’amicizia, al riconoscimento e alla comprensione reciproca, in cui ci siano ruoli simmetrici e un apprendimento condiviso tra i soggetti. 57 S. TRAMMA, Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, Guerini Studio, Milano, 1989, p. 46. 58 L. CERROCCHI e E.GILIBERTI, Educare “nella e alla” età senile. Processi e pratiche di alfabetizzazione digitale e di socializzazione intra- e – inter- generazionale, Edizioni Junior-Spaggiari, Parma, 2014, p. 36 58 Il risultato dell’incontro intergenerazionale può generare “empowerment”59 e resilienza60, cittadinanza attiva e solidarietà. L’educazione intergenerazionale viene così a rappresentare un processo sociale che si sostanzia di molte forme di relazione, di dipendenza, cooperazione, collaborazione, reciproca interdipendenza e che si declina, in contesti di apprendimento formale, non formale ed informale, secondo quattro direttrici fondamentali. Tali direttrici sono: educazione come socializzazione; educazione come cittadinanza attiva; educazione come aggiornamento culturale; educazione come “empowement”. In relazione all’educazione come socializzazione si fa riferimento ai progetti che prevedono “occasioni di apprendimento volte ad incrementare la qualità e la quantità delle relazioni sociali dei soggetti anziani per contrastare il rischio di isolamento ed emarginazione promuovendo la capacità delle persone di costruire e mantenere reti di comunicazione e di scambio”61 e che favoriscono occasioni di incontro tra le diverse generazioni. Si tratta di creare relazioni tra presente e passato, costruendo quel ponte intergenerazionale che coniuga memoria e progetto e permette di recuperare la dimensione temporale dell’esistenza umana. L’educatore deve agire sul contesto sociale di vita delle persone, mettendole in comunicazione, tramite un’attenta e studiata mediazione pedagogica. Con riferimento all’educazione alla cittadinanza attiva, “i percorsi formativi sviluppano competenze nella realizzazione di servizi di unità sociale, questioni di carattere ambientale, assistenziale e culturale”62. L’educatore deve dare priorità a quelle azioni di cura che, sostenendo lo sviluppo di competenze civiche, conducono le persone ad assumere una prospettiva non 59 Condizione per cui l’individuo accresce la capacità di perseguire i propri obiettivi e superare le situazioni problematiche, esercitando consapevolezza ed iniziativa, ai fini di un agire attivo. 60 Capacità degli individui di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e i possibili eventi negativi che si incontrano nella vita. 61 E. RISI, L’apprendimento contro l’invecchiamento. Le opportunità di formazione per gli anziani all’uso delle nuove tecnologie”, Quaderni Europei sul nuovo Welfare, n˚ 12, 2009, p. 1, 62 Ibidem. 59 egocentrica, a pensarsi e sentirsi inseriti in una pluralità fatta di volti, attitudini, capacità e linguaggi diversi. Il concetto di educazione come aggiornamento culturale si riferisce ai progetti volti a soddisfare il desiderio degli anziani di incrementare le conoscenze e competenze, avvicinandosi a temi e discipline non coltivate in passato. Il concetto di “empowerment” fa riferimento all’implementazione di condizioni e processi che permettono ad ogni soggetto di perseguire i propri obiettivi e superare le situazioni problematiche, esercitando consapevolezza ed iniziativa, ai fini di un agire educativo. 3.3 Costruire una relazione autentica Quando si parta di intergenerazionalità è necessario creare una relazione tra le diverse generazioni. La relazione è la base dell’educazione ed è necessario crearla in modo autentico per non relegare l’altro all’interno di categorie stereotipate, frutto di rapporti superficiali. Dare vita a relazioni autentiche significa mettersi in gioco ed abbandonare le maschere che si portano aprendosi così all’altro in modo sincero. “Per costruire una relazione autentica è necessario che ogni interlocutore possa esprimere se stesso ed assumere dentro di sé l’immagine dell’altro, riuscendo a riconoscerlo ed accettarlo in maniera il più possibile autentica, al di là di copioni e ruoli”63. L’ascolto è il cardine della relazione. Per ascoltare è necessario “che si produca in profondità il movimento che va da me all'altro, un atteggiamento di un io nei confronti di Altri […] che non sia una specie della relazione in generale”64. L’ascolto implica la necessità di sintonizzarsi con l’altro in modo empatico, non è un semplice atto uditivo. Ascoltare l’altro permette di completare la percezione e la conoscenza del sé. L’ascolto dell’altro permette di cambiare il proprio punto di vista e dunque di vederlo come uno dei molti possibili in un arricchimento di significati e di possibilità interpretative. 63 64 B. GRASELLI, Parlarsi per un nuovo ascolto, Armando Editore, Roma, 2007, p. 130. E. LÉVINAS, Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità, Jaca Book, Milano, 1980, p. 121. 60 Per favorire l'incontro autentico è necessario abituare lo sguardo a vedere l'altro nella sua interezza e a non “rinchiuderlo” in classificazioni riduttive, imposte dalla cultura dominante, che spesso divide la popolazione in bambini, anziani, disabili e stranieri. L'individuo è un mondo più complesso, non definibile da una semplice etichetta. La mente tende a semplificare il contesto che ci circonda se non la teniamo allenata a ricercare sempre la profondità e la complessità delle cose e delle persone. Creare una relazione autentica basata sull’ascolto, richiede di presentarsi all’altro in una posizione simmetrica. “Se mi sento superiore al diverso, non importa chi sia, mi rifiuto di ascoltarlo o di ascoltarla […] Se la struttura del mio pensiero è l'unica che considero giusta, irreprensibile, non posso ascoltare chi pensa o elabora il suo discorso in maniera diversa dalla mia”65. Ascoltare significa riflettere sul proprio sé e trovare lo spazio in cui far entrare l’altro e permettergli di raccontarsi. “Lo spazio dato al racconto di sé configura dunque come un dare senso al tempo rendendolo denso di significati, praticandone un uso non utilitaristico ed affrettato ma lento, pensoso e riflessivo”66. L'uomo non può prescindere dal “tu”, il dialogo e la relazione sono componenti ontologiche dell'essere umano. È nell'incontro con l'altro, con il diverso da sé che il soggetto impara a conoscere se stesso e le proprie sfumature. La relazione è legata alla dimensione di cura ed empatia. Per cura non si intende un semplice insieme di gesti dettati dalla preoccupazione e messi in atto per un dovere morale, ma richiede competenza e responsabilità ed implica un naturale desiderio di tensione verso l’altro. Il “prendersi cura dell’altro” in un approccio intergenerazionale nasce dalla piacevolezza dello stare insieme. L’empatia è un ulteriore elemento fondamentale nella relazione autentica. Relazionarsi in modo empatico significa mettersi in contatto in modo autentico con l’altro, in punta di piedi, senza prevaricarlo, per riconoscerlo e accettarlo ed “è anche la 65 P. FREIRE, Pedagogia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, Ega-Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2004, p. 96. 66 E. LÉVINAS, Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità, op, cit., p. 121. 61 base dell'esercizio del senso civico della condivisione, della comunità, della percezione e della considerazione che si vive con altri e anche per gli altri”67. Rapportarsi col diverso da sé favorisce lo sviluppo della mentalizzazione, processo legato all’empatia che permette di sondare le profondità dell’altro. “Il costrutto della mentalizzazione […] può essere inteso […] come la capacità di capire il comportamento, proprio e degli altri, in termini di stati mentali e di azioni che lo sottendono e, più in generale, come una fondamentale capacità umana intrinseca della regolazione degli affetti e delle relazioni sociali produttive”68. Mentalizzare permette di cogliere le sfumature più implicite dell’altro e di dare significato agli stati mentali propri e altrui sulla base di motivazioni e interazioni non necessariamente uguali alle proprie. In quest'ottica, la relazione intergenerazionale può essere considerata una sorta di palestra in cui ci si allena a sentire e percepire l'altro, istaurando una relazione autentica basata sull’ascolto, sull’empatia e sulla mentalizzazione. 3.4 Principali modelli di riferimento Un quadro teorico per la descrizione e l'analisi dell'apprendimento intergenerazionale, deve comprendere almeno tre dimensioni che specificano: il tipo di relazione intergenerazionale che forma il contesto per l'apprendimento; ciò che viene appreso come risultato dell'interazione intergenerazionale; come l'apprendimento è compiuto. “Brown e Ohsako (2003) hanno studiato alcuni progetti educativi intergenerazionali per comprendere l’approccio teorico e i modelli sottesi, focalizzando l’attenzione sulle interazioni tra generazioni di anziani e di giovani”69. Il tipo di relazione intergenerazionale che forma il contesto per l'apprendimento deve specificare la direzione dell'interazione. Sono emerse “quattro tipologie di interazioni intergenerazionali nominali suddivise in: tipo 1, adulti anziani come mentori o/e tutori di bambini e giovani; 67 V. BOFFO, La trasmissione trans-generazionale della cura educativa: dai nonni ai bambini, ETS, Pisa, 2012, p.141. 68 A. SLADE, Relazione genitoriale e funzione riflessiva. Teoria, clinica e intervento sociale, Astrolabio, Roma, 2010, p. 19. 69 B. BASCHIERA, R. DELUIGI e E. LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op. cit., p. 39. 62 tipo 2, bambini e giovani che aiutano gli anziani; tipo 3, almeno due gruppi generazionali che condividono esperienze di apprendimento e attività finalizzate allo sviluppo e all’incremento di abilità sociali; tipo 4, almeno due gruppi generazionali che imparano assieme nuovi argomenti o vivono eventi sociali rilevanti in contesti non formali e informali”70. Altri studiosi hanno preso in considerazione la “tassonomia”71 degli obiettivi educativi dello psicologo americano B.Bloom per classificare i domini entro cui avvengono le esperienze educative intergenerazionali. Sono emersi tre domini: “knowledge” (dominio cognitivo); “skills” (dominio psicomotorio); “attitudes” (dominio affettivo). Kaplan nel 2002 ha analizzato i programmi educativi realizzati tra anziani e bambini all’interno dei contesti scolastici, sostenendo che essi rappresentano veicoli sociali in grado di creare uno scambio propositivo e costante di risorse e di apprendimento. Lo studioso descrive la profondità dell’impegno intergenerazionale attraverso una scala a sette livelli, al cui apice è collocato il contatto intenso e intimo e ne definisce l’impatto sui partecipanti e le comunità. “La scala risulta così suddivisa: 1. conoscere l’altro gruppo di età, senza un contatto diretto; 2. vedere l’altro gruppo di età, a distanza; 3. i due gruppi si incontrano; 4. attività annuali o periodiche; 5. progetti dimostrativi ed esperienze prova; 6. programmi intergenerazionali in fase di realizzazione; 7. condivisione, supporto e comunicazione intergenerazionale”72. Dopo aver specificato il tipo di interazione e il risultato dell'apprendimento, il modello teorico deve anche specificare come l'apprendimento venga compiuto. 70 Ibid, p. 40. B. BLOOM, Taxonomy of Educational Objectives: The classification of educational goals, New York, 1956. 72 B. BASCHIERA, R. DELUIGI e E. LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op. cit., p. 40. 71 63 Emerge che l'apprendimento intergenerazionale interattivo si sviluppa in forma esperienziale perché avviene in modo informale, attraverso l'interazione tra i partecipanti. L’educatore statunitense D. Kolb nel 1984 propone un modello di apprendimento esperienziale per gli adulti. Questo modello analizza l'apprendimento esperienziale come un processo sociale che dura tutta la vita, una spirale mai conclusa, i cui anelli sono composti da “quattro diverse fasi in ogni ciclo: 1. esperienza concreta (CE): i discendenti si lasciano coinvolgere pienamente e apertamente in esperienze nuove; 2. osservazione riflessiva (RO): i discendenti riflettono sulle esperienze e le osservano da più prospettive differenti (meta-cognizione); 3. concettualizzazione astratta (AC): i discendenti integrano le osservazioni in teorie di riferimento logicamente valide; 4. sperimentazione attiva (AE): i discendenti testano l’ipotesi e le sue alternative attraverso l’azione”73. Cambridge e Simandiraki nel 2006 hanno impiegato i parametri derivanti dalle teorie precedentemente riportate per creare un modello utile a concettualizzare, in modo descrittivo e predittivo, le interazioni educative intergenerazionali, secondo diversi domini e stadi. Esso risulta formato da tre assi: 1. Tipo di interazione intergenerazionale (Kaplan, 2001). 2. Il dominio o i domini in cui l’apprendimento si svolge (Bloom,1956). 3. La fase del ciclo in cui l’apprendimento avviene (Kolb, 1984). 73 B. BASCHIERA, R. DELUIGI e E. LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op. cit., p. 41. 64 Fig. 1 - Modello di descrizione e analisi dell'apprendimento intergenerazionale. Dal modello impiegato per la descrizione e l’analisi dei progetti intergenerazionali ideato dagli studiosi Cambridge e Simandiraki riportato nella fig. 1, si possono delineare le tre direzioni alle quali ogni progetto intergenerazionale appartiene. Si evince ad esempio che l’esperienza educativa nell’ambito di un progetto in cui gli anziani imparano ad usare il mouse, grazie alle indicazioni di ragazzi giovani, possa essere concettualizzata come una interazione di tipo 2 (bambini e giovani che aiutano gli anziani), una esperienza concreta (CE) in ambito psicomotorio. Un ulteriore esempio può essere un progetto in cui i bambini imparano la lingua madre attraverso l’insegnamento da parte di persone anziane. Questa esperienza educativa può essere concettualizzata come una interazione di tipo 1 (adulti anziani come mentori o/e tutori di bambini e giovani), una sperimentazione attiva (AE), nel dominio cognitivo. 65 Questo modello di analisi può essere usato per descrivere e analizzare l'apprendimento osservato nelle interazioni intergenerazionali. Utilizzando questo quadro teorico di riferimento è possibile concettualizzare una varietà di interazioni intergenerazionali che portano ad un apprendimento esperienziale in diverse fasi. 3.5 Principali teorie di riferimento L’utilizzo della teoria, intesa come insieme coerente di affermazioni e ipotesi a spiegazione di un fenomeno, nella progettazione di interventi intergenerazionali, consente di formulare ipotesi, direzionare la verifica dei risultati ottenuti e interpretarne il significato. Il riferimento ad una o più teorie è fondamentale per comprendere come e se l’azione svolta sia stata efficace. Esaminando la letteratura è possibile rintracciare alcuni approcci teorici che fanno da sfondo ai progetti intergenerazionali: Teoria dell’identità sociale e delle rappresentazioni sociali: la prima teoria ideata dalla psicologo britannico Henri Tajfel, e la seconda rappresentata dallo psicologo e sociologo Serge Moscovici sono chiamate in causa per spiegare l’esistenza di pregiudizi e stereotipi dei giovani verso gli anziani e viceversa. In virtù dell’appartenenza ad un gruppo, infatti, si attribuiscono caratteristiche positive alla propria generazione di appartenenza e negative all’altra; questi tratti, positivi o negativi, vengono amplificati. Essi si attribuiscono caratteristiche in base alle aspettative sociali, accettando stereotipi e pregiudizi. In uno sforzo di semplificazione della realtà, per arrivare a rendere conosciuto lo sconosciuto, le persone si affidano alle rappresentazioni sociali: teorie che riuniscono valori, norme e credenze che nascono nella vita di tutti i giorni, attraverso le comunicazioni interpersonali e le interazioni. Il contrasto assume grande importanza nella teoria delle rappresentazioni sociali, “il contesto in cui viviamo trasmette, solo con la sua presenza e il suo spessore, una visione del mondo, che è la nostra e che è parziale, collocata appunto in un determinato momento storico e in una certa situazione sociale: noi assorbiamo questo modo di pensare, che orienta immediatamente il nostro agire, già solo 66 nel momento in cui in questo ambiente cresciamo, respiriamo il clima, ne assorbiamo le abitudini, pratichiamo i comportamenti implicitamente prescritti e ne rifiutiamo altri”74. Per superare questa visione riduttiva dell’altro, nel 1954 Gordon Allport formulò la celebre ipotesi del contatto. Secondo questo autore, il pregiudizio e la discriminazione nascono dalla mancanza di conoscenza tra membri di gruppi diversi. Se alle persone viene data l’opportunità di incontrare individui appartenenti ad una generazione diversa dalla propria esse possono scoprire che in fondo molti pregiudizi e stereotipi sono errati. Di conseguenza, possono migliorare i loro atteggiamenti e comportamenti nei confronti del “diverso”. Altri autori come Gordin Willar Allport e Thomas Pettigrew hanno evidenziato come porre a contatto gruppi sociali differenti, contribuisca a cambiare la percezione dei membri, riducendo i pregiudizi e favorendo una conoscenza più accurata. Attraverso il contatto, avvengono quattro processi: l’apprendimento sull’altro gruppo, il cambiamento del comportamento, si creano legami affettivi e il proprio gruppo viene nuovamente valutato. I progetti intergenerazionali mirano ad abbattere quelle che sono le rappresentazioni sociali di due generazioni lontane tra loro. I giovani e gli anziani possono scoprirsi, liberarsi da pregiudizi e stereotipi che influenzano spesso le relazioni intergenerazionali. Teoria del capitale sociale: l’autore, Fabio Pittamiglio, in riferimento alla teoria del capitale sociale ideata dal sociologo James Coleman, definisce il capitale sociale come l’insieme di risorse che l’individuo ha a disposizione in quanto inserito in una rete di relazioni. Tale capitale è frutto dall’interazione tra le persone perché è attraverso la relazione che si rendono disponibili risorse che consentono il raggiungimento di obiettivi altrimenti difficilmente ottenibili. Costituiscono capitale sociale solo le relazioni dove non vi è solo scambio, ma anche reciprocità e solidarietà tra i partecipanti la cui identità viene riconosciuta. 74 C. PALMIERI e G. PRADA, Non di sola relazione. Una cura del processo educativo, MIMESIS, Milano, 2008, p. 66. 67 Il ricercatore Ann-Kristin Bostrom ha studiato il tipo di capitale sociale generato da progetti di apprendimento intergenerazionale. Emerge che i giovani guardano agli adulti come modelli di ruolo ed entrambi fanno esperienza lavorando insieme per obiettivi comuni. Questo si traduce in capitale sociale sotto forma di fiducia, norme, struttura e relazioni, attraverso la rete di comunicazione tra partecipanti. La prospettiva dell’organizzazione sociale: la prospettiva dell’organizzazione sociale vede gli individui e le famiglie come riuniti in organizzazioni più ampie o comunità. In queste comunità i legami sociali influenzano il benessere individuale e della società attraverso norme, aspettative e affidabilità delle strutture e dei suoi membri. Sono programmi che puntano a sviluppare le competenze di una comunità attraverso la costruzione di infrastrutture e servizi. Questa impostazione è tipica dei programmi di condivisione intergenerazionale, in cui bambini, giovani e anziani prendono parte a servizi e progetti contemporaneamente nello stesso luogo e dove i partecipanti interagiscono durante attività intergenerazionali strutturate, così come attraverso incontri informali. I benefici includono miglioramenti della qualità della vita per entrambi, miglioramenti degli atteggiamenti tra i diversi gruppi di età, la costruzione di servizi alla comunità, opportunità per condividere risorse e crearne di nuove. Gli autori S. E. Jarrott e colleghi nell’articolo intitolato “Creating community capacity at a shared site intergenerational program: Like a barefoot climb up a mountain”, illustrano come la creazione di infrastrutture che rinforzino legami sia formali che informali tra generazioni, porti ad un aumento della capacità di creare una comunità attiva e partecipe. Secondo gli autori, l’applicazione di un modello basato sull’organizzazione sociale di comunità, permette ad un progetto intergenerazionale di costruire un capitale sociale e rafforzare la capacità della comunità, aumentando l’informazione, la reciprocità e la fiducia. La teoria dell’apprendimento situato: alla base dell’apprendimento intergenerazionale viene spesso richiamata la teoria dell’apprendimento situato, secondo la quale l’apprendimento è un processo dinamico che avviene in un 68 contesto in cui la persona apprende grazie alla sua partecipazione attiva, in interazione con gli altri membri del gruppo e all’ambiente circostante, e non rappresenta quindi una semplice trasmissione passiva di informazioni. Nell’educazione intergenerazionale i soggetti partecipanti apprendono insieme, attraverso lo svolgimento di attività in cui le azioni dei singoli hanno una ricaduta concreta su tutto il gruppo. La prospettiva dell’empowerment di comunità: i programmi intergenerazionali che portano avanti azioni di comunità sono spiegati dalla teoria dell’empowerment di comunità, ovvero un processo intenzionale, continuo, centrato sulla comunità locale, che comporta rispetto reciproco, riflessione critica, attività di cura e partecipazione di gruppo. Mediante questa esperienza le persone hanno la possibilità di avere più facilmente accesso alle risorse comunitarie, sviluppando le proprie risorse personali, accrescendo il controllo su di esse. Molti progetti di scambio intergenerazionale che si muovono in questa prospettiva, perseguono tale obiettivo. Teoria dello sviluppo: la teoria dello sviluppo di Erikson è spesso richiamata per spiegare il valore delle esperienze che i partecipanti di un progetto intergenerazionale svolgono. Nel descrivere gli stadi che l’individuo attraversa nel corso della vita, Erikson parla dello stadio della “generatività”, concetto che si contrappone a quello di “stagnazione” e “autoassorbimento”. Nello stadio della “generatività” la persona avverte il bisogno di sentirsi in connessione col futuro lasciando qualcosa. L’individuo desidera tramandare qualcosa che rimanga oltre sé, sentendosi utile per gli altri. I progetti intergenerazionali puntano a stimolare processi di invecchiamento attivo programmando azioni che consentano all’anziano di sentirsi ancora utile poiché in grado di trasmettere agli altri le proprie conoscenze e le esperienze di vita. Approcci umanistico-esistenziali: nell’ambito degli approcci umanisticoesistenziali è essenziale citare il modello psicosociale “Person-Centred Care” (PCC) elaborato da Tom Kitwood nel 1997. 69 Si parte dal principio secondo cui la persona con demenza è uguale a tutte le altre ed ha il diritto di essere accettata come avente gli stessi bisogni, degna di uguale considerazione e portatrice dello stesso diritto ad uno stato di benessere. Tale modello utilizza il concetto di “Personhood” (essere persona) come posizione o status che viene riconosciuto ad un essere umano dagli altri, nel contesto di una relazione e dell’essere sociale. Implica l’accordo all’altro di riconoscimento, rispetto e fiducia. Tale teoria viene tenuta in considerazione soprattutto nei progetti di scambio intergenerazionale che cercano di costruire ponti tra le età e superare le barriere cognitive, coinvolgendo anziani affetti da demenza e giovani. La prospettiva relazionale: la teoria relazionale–culturale, teorizzata da Jean Baker Miller nel 1976, inizialmente concentrata sullo sviluppo femminile, vede l’essere in relazione con l’altro come una motivazione umana fondamentale. La relazione è essenziale per lo sviluppo umano e l’individuo non può essere colto al di fuori delle relazioni in cui vive e del contesto in cui tali relazioni si sviluppano. Gli studiosi Tarrell Awe A. Portman, Jan R. Bartlett e Laurie A. Carlson nell’articolo “Relational Theory and Intergenerational Connectedness: A Qualitative Study”, utilizzano questa teoria per valutare gli effetti di un progetto in cui donne anziane e giovani hanno partecipato ad incontri basati sulla condivisione delle proprie esperienze di vita. Gli autori descrivono come tale condivisione intergenerazionale sia stata efficace per favorire la costruzione di relazioni, lo sviluppo di connessioni, l’empatia e la capacità di sviluppare ulteriori relazioni al di fuori del nucleo familiare. La teoria del Sé: nella teoria del Sé elaborata da George E. Mead nel 1934, il Sé origina dai processi di interazione reciproca, come fusione tra un “Me”, interiorizzazione degli atteggiamenti degli altri, e un “Io”, la risposta a tali atteggiamenti. Il Sé passato condiziona il Sé presente e grazie alla loro fusione è possibile anticipare una rappresentazione mentale del Sé futuro. Nella teorizzazione dei progetti di turismo intergenerazionale gli autori Albanese e Bocci nel libro “Intergenerazionalità e turismo. Aspetti psicosociali”, estendono tale triade temporale alla società: “il Sé passato è rappresentato dagli 70 anziani, il Sé presente è espresso dai giovani…; il Sé futuro è tracciato dall’incontro-scontro tra generazioni”75. La società ha un Sé passato rappresentato dagli anziani ed un Sé presente rappresentato dai giovani e l’integrazione tra i due, consente ad essa di proiettarsi nel futuro. La mancata integrazione può avere effetti negativi sull’identità della società stessa nel suo insieme. 75 A. ALBANESE e E, BOCCI, Intergenerazionalità e turismo. Aspetti psicosociali, Padova University Press, Padova, 2013, p. 28. 71 4. DUE GENERAZIONI CHE SI INCONTRANO 4.1 La nascita delle esperienze intergenerazionali La prima esperienza intergenerazionale della quale si hanno informazioni risale al 2001. Presso la casa di riposo Residence de l’Abbaye di Saint Maur, nelle vicinanze di Parigi, in Francia, venne attuato un progetto che coinvolse anziani e bambini. Fu costruito un asilo nido confinante la casa di riposo, così da creare la possibilità per i 110 anziani ospiti della casa di riposo di recarsi in ogni momento nei locali riservati all’asilo e incontrare 32 bambini. Il progetto venne sovvenzionato dai comuni di Saint Maur e Bonneuil. Nacque dal desiderio condiviso di realizzare uno spazio intergenerazionale, nel quale i più anziani si potevano sentire utili, trasmettendo le loro conoscenze e partecipando alla gioia della vita dei bambini. Il progetto pedagogico ha avuto la finalità di attenuare le differenze generazionali e di insegnare ai bambini a rispettare gli anziani, aiutandoli a superare la condizione di isolamento, nella quale spesso di trovano. “Nell’asilo-casa di riposo”, bambini e anziani si mescolavano senza problemi, dando vita ad autentici legami. I momenti di condivisione avvenivano quotidianamente. Gli anziani e i bambini condividevano pasti, partecipavano a laboratori manuali, di pasticceria, musicali, di lettura, organizzavano feste e gite sul territorio. Nel progetto era prevista la partecipazione delle famiglie e della cittadinanza ad eventi organizzati durante l’anno (mercatini di Natale, feste e serate a tema). Il progetto intergenerazionale ha permesso agli anziani di aumentare il loro senso di responsabilità, la loro autostima e di essere stimolati dalla creatività e vivacità dei bambini. I bambini hanno aumentato la capacità di relazionarsi con adulti, hanno appreso i valori e il rispetto che aiutano a contrastare l’indifferenza caratterizzante la società attuale crescendo con una visione diversa delle alterità, concependole non in modo negativo ne fuorivia. 72 Il centro è diventato fonte di ispirazione per progetti nati successivamente in altre zone d’Europa e da quindici anni continua la sua “mission”. 4.1.1 I primi progetti in Italia In Italia si sono diffusi progetti intergenerazionali che coinvolgono bambini e ragazzi di diverse età e anziani autosufficienti e non autosufficienti. Il primo progetto intitolato “N come Nido, N come Nonni” realizzato nel 2004 nel comune di Aosta è nato dalla cooperazione tra l’asilo nido comunale, il Centro Diurno per anziani, il Centro Polivalente e il Consorzio di cooperative sociali Trait d’Union. Il progetto aveva la finalità da un lato di incrementare le competenze relazionali dei bambini e dall’altro di responsabilizzare gli anziani, affidando loro un impegno da portare avanti con motivazione e responsabilità. I destinatari sono stati 8 anziani e un gruppo di bambini tra i 26 e i 36 mesi. Il progetto è stato svolto tra i mesi di dicembre e aprile e si è articolato in due fasi. La prima fase era di conoscenza, in cui i bambini hanno visitato i due centri e gli anziani si sono recati al nido per conoscere i piccoli e aiutarli a fare l’albero di Natale, la seconda fase operativa, in cui sono state svolte varie attività insieme a cadenza regolare. L’iniziativa si è conclusa con una festa in cui anziani e bambini si sono scambiati dei doni. Le finalità generali del progetto sono state: facilitare le capacità relazionali dei bambini; creare motivazione negli anziani, derivante dal dover affrontare un impegno stabile, rappresentato dagli incontri con i piccoli. Il gruppo educativo si è ritenuto soddisfatto dei benefici derivanti da questa iniziativa per entrambe le utenze. Si sono istaurati dei forti legami tra bambini e anziani, questi ultimi hanno rappresentato un punto di riferimento per molti piccoli, inoltre è stato evidenziato come gli ospiti dei centri per anziani attendessero con impazienza, ogni settimana, il momento di incontrare i piccoli. Nel 2007, il comune di Verona ha inaugurato il Centro Intergenerazionale Comunale “Casetta Maritati”. La struttura è aperta a bambini e ragazzi tra gli 0 e i 14 anni, ai genitori, agli anziani e alla comunità. 73 Il complesso strutturale è circondato da un parco giochi e al suo interno ospita ambienti che rispondono alle necessità dei diversi usufruttuari. Sono presenti stanze dedicate al gioco, sale nelle quali si svolgono le attività intergenerazionali e studi dedicati all’ascolto per i genitori, anziani e “caregivers”. Il servizio è gestito dalle cooperative sociali “Aribandus” e “Azalea” che progettano i laboratori e le attività da svolgere. Sono programmati, inoltre, incontri informativi per le famiglie riguardo a tematiche educative e di sostegno alla genitorialità. Un ulteriore esempio è il progetto avviato dal 2009 dalla Cooperativa Unicoop di Piacenza, la quale ha realizzato il “Centro Anziani e Bambini Insieme” (ABI). Rappresenta una delle prime esperienze europee di convivenza innovativa intergenerazionale. É un progetto Bandiera del Piano Strategico per Piacenza Vision 2020. “Nel 2010 ha ottenuto una menzione del Premio Amico della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri” 76. Nel Centro convivono una casa di riposo, un centro diurno per anziani e un asilo nido d’infanzia. Le due generazioni si incontrano e realizzano laboratori di cucina creativa, di lettura, di natura, condividono merende e pranzi, festeggiano compleanni e molto altro. L’équipe composta da educatori, operatori sociali e professionisti che hanno il compito di “porsi come veri e propri mediatori culturali, facilitando il dialogo, l’ascolto e l’interazione tra soggetti”77. L’équipe testimonia come il contatto con gli anziani porti i piccoli ad avere ritmi più lenti, facendo scoprire loro la tranquillità oltre che la capacità di avere una elevata concentrazione nei laboratori; essi, inoltre imparano a rispettare le diversità, potendo anche entrare in contatto con persone con disabilità. Gli anziani, come espresso nell’esempio precedente, acquisiscono una nuova responsabilità prendendosi cura dei piccoli e si sentono “vivi”. Il centro coinvolge anche le famiglie e il territorio circostante organizzando numerosi incontri con i cittadini. 76 http://www.cooperativaunicoop.it/documenti_collegati/CDS_nido_facsal_2017_2018. E. MUSI, La danza delle stagioni. Fondamenti antropologici e pedagogici di un'insolita convivenza: l'esperienza del “Centro Anziani e Bambini insieme” di Piacenza, op cit., p. 193. 77 74 In collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza sono stanti organizzati numerosi incontri e corsi di formazione riguardanti il tema dell’intergenerazionalità, attuando anche delle ricerche e collaborazioni con numerosi studiosi. Ad oggi i progetti di educazione intergenerazionale continuano a crescere in Italia e il tema è di grande interesse a livello internazionale. 4.2 Lo scenario europeo: Il Progetto “TOY” La cultura intergenerazionale negli ultimi anni si sta progressivamente diffondendo; un esempio è dato dal Progetto TOY, “Toghether Old and Young” il quale dimostra come queste iniziative siano condivise a livello europeo. L’obiettivo di voler creare una società unita, nel rispetto delle reciproche identità e all’insegna del dialogo se non è seguito da una vera progettazione e condivisione rischia di rimanere un’utopia. Il progetto TOY è la dimostrazione di un’Europa unita e collaborativa, la quale mette in primo piano i problemi sociali e si pone come centro promotore di buone pratiche. Il progetto è stato realizzato tra il 2012 e il 2014, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma di apprendimento permanente “Grundtvig Lifelong Learning Programme” ed è stato promosso dall’Internecional Child Development Initiative (ICDI) coinvolgendo nove organizzazioni partner in sette paesi europei, (Italia, Polonia, Belgio, Spagna, Portogallo, Irlanda e Slovenia). L’iniziativa si è articolata in diverse fasi: prima venne elaborato un lavoro di ricerca e, in seguito, la sperimentazione e l’analisi di alcune esperienze. Nel progetto intergenerazionale sono stati coinvolti cittadini oltre i 55 anni di età e bambini con età compresa tra gli 0 e gli 8 anni. Questa iniziativa fa riferimento all’approccio della Devianza Positiva, cioè una prospettiva “di risoluzione dei problemi, basata sull’ipotesi che le comunità hanno risorse inespresse o non utilizzate che si possono sfruttare per trovare soluzioni condivise ai problemi della società”78. Gli “obiettivi generali del progetto educativo furono: 78 analizzare le caratteristiche delle esperienze di intergenerazionalità positiva; www.toyproject.net. 75 confrontare approcci, modelli e strumenti europei all’intergenerazionalità; individuare linee guida per la progettazione e realizzazione di interventi che favoriscano l’incontro, il dialogo e la solidarietà fra le generazioni; promuovere esperienze educative che coinvolgono anziani e bambini sotto i nove anni in contesti di educazione non formale; realizzare e monitorare progetti pilota in cui vengano sviluppate metodologie educative innovative per l’intergenerazionalità tra i bambini più piccoli e gli anziani”79. Il progetto è stato suddiviso in cinque fasi: la prima fase vede una periodo di ricerca in cui è stata analizzata la letteratura accademica e la cosiddetta “grey literautre” (report di progetti, articolo di giornale, siti web, ecc.) a livello europeo, con lo scopo di individuare i benefici che il contratto intergenerazionale porta ad entrambe le generazioni. In riferimento a questa analisi sono stati individuati cinque principali obiettivi che descrivono le pratiche intergenerazionali: costruire nuove relazioni attraverso l’incontro; migliorare la coesione sociale; custodire e trasmettere il patrimonio storico e culturale; riconoscere il ruolo dei nonni; promuovere i processi di apprendimento di bambini e anziani. Durante la seconda fase si sono prese in esame attività che coinvolgevano bambini e anziani in spazi comunitari non formali come: biblioteche, asilo nido, giardini, case di riposo ed altre strutture. Sono stati effettuati 21 studi di caso di attività intergenerazionali nei sette paesi partecipanti al progetto. Sulla base degli studi di caso e dell’analisi della letteratura, in Italia, Olanda, Spagna, Portogallo e Polonia sono stati realizzati degli “workshop” ai quali hanno partecipato professionisti del settore (educatori, pedagogisti e psicologi) oltre a volontari e anziani. La formazione, della durata di tre o quattro giornate, ha coinvolto più di settanta operatori, i quali, al termine del percorso, hanno progettato interventi educativi 79 B.BASCHIERA, R.DELUIGI, E.LUPPI, Educazione intergenerazionale. Prospettive, progetti e metodologie didattico-formative per promuovere la solidarietà fra le generazioni, op cit., p. 177. 76 innovativi per promuovere la comunicazione, la relazione e la solidarietà tra le generazioni in contesti non formali nelle proprie comunità. Nella quarta fase sono stati messi in atto e monitorati dei progetti pilota che hanno coinvolto bambini in età compresa fra 0 e 8 anni ed anziani in cinque paesi europei. Infine la quinta fase vede la promozione di eventi e seminari durante i due anni di realizzazione del progetto in ogni paese. Professionisti dei settori dell’infanzia e della terza età in collaborazione con i rappresentati delle autorità locali, hanno partecipato e contribuito a questi eventi, con l’obiettivo ultimo di estendere la consapevolezza sull’importanza di queste iniziative e diffondere la cultura intergenerazionale. Come ultimo passo, si è tenuto nell’ottobre 2014, una conferenza internazionale nei Paesi Bassi a Leiden e il 9 dicembre il convegno finale in Italia a Merate. In queste occasioni sono stati valutati e analizzati i vari progetti attuati e le potenziali alleanze tra politiche sociali europee e politiche territoriali. Nella realizzazione delle attività, asili, scuole e strutture residenziali hanno aperto le loro porte ai cittadini di diverse età. “In totale sono stati coinvolti 589 bambini (16 dagli 0 ai 3 anni e 573 dai 4 agli 8 anni) e 163 anziani (88 dai 55 ai 65 anni e 75 con un’età maggiore di 75 anni), supportati da professionisti e volontari”80. Sono stati utilizzati report di progetto, osservazioni e questionari di soddisfazione come modalità e strumenti di valutazione. 4.2.1. I progetti pilota realizzati nei paesi europei - Italia: “Anziani e bambini insieme: i 5 sensi in gioco.” A Lecco è stato attivato tra i mesi di aprile e luglio 2014 un progetto intergenerazionale che ha coinvolto cinque bambini di età compresa fra i due e tre anni che frequentavano l’Asilo Nido Casa Vincenza e cinque anziani di più di 80 anni ospiti del Centro Diurno Laser. Bambini e anziani svolsero attività come giardinaggio, cucina, giochi sensoriali, pittura, attività motorie, ecc. Le attività hanno avuto luogo negli spazi interni ed esterni dell’asilo, con frequenza settimanale della durata di una ora. 80 http://www.toyproject.net. 77 Durante il percorso i laboratori sono stati monitorati dagli educatori e da un ricercatore del progetto TOY. - Italia: “Di Segni e Di Sogni. Centro Estivo Multigenerazionale.” Nell’estate 2014, a Paderno d’Adda (LC) presso la struttura residenziale per anziani venne programmato un centro estivo intergenerazionale. Hanno partecipato al progetto 25 anziani tra i 65 e i 93 anni e 57 bambini dai 3 ai 9 anni, i bambini hanno frequentato il centro ogni giorno dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 17.00. L’incontro consisteva nello svolgere attività ludico-ricreativa quali: pittura, mosaico, giochi d’acqua, giardinaggio, gioco del calcio, musica, cucito creativo, giochi da tavolo, lezioni d’inglese, nuoto, pranzi insieme e gite giornaliere (alla fattoria, al parco archeologico, al mercato, alla biblioteca). L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di promuovere le relazioni intergenerazionali, superare gli stereotipi e favorire la solidarietà tra generazioni. - Italia: “Mini ciclofficina.” A Roma ha preso avvio il progetto intergenerazionale che ha coinvolto classi terze della scuola primaria “Istituto Comprensivo Alberto Manzi”, l’Associazione di Promozione Sociale Tavola Rotonda e il Circolo Legambiente Mondi Possibili in collaborazione con NaturAmici. Al progetto hanno partecipato anziani volontari che insieme ai giovani realizzarono attività connesse all’uso della bicicletta. Questi incontri permisero ai bambini di imparare e diventare protagonisti della divulgazione e sensibilizzazione dell’importanza della mobilità sostenibile. - Spagna: El Ball dels moros i cristins de Lleida! (recuperaci d’un ball parlat) Questa iniziativa vede come protagonisti un gruppo di 36 anziani esperti di teatro e arte e un gruppo di bambini della ludoteca di Balàfia. 78 L’obiettivo di questo progetto fu quello di trasmettere alle generazioni più giovani la tradizionale danza tipica della città di Lleida, la quale combina coreografia e recitazione. Il gruppo di longevi ha illustrato ai bambini la danza tradizionale e insieme hanno creato una nuova versione della danza stessa, a partire dai contributi dei giovani. Un ulteriore gruppo di bambini e anziani si sono dedicati alla preparazione della scenografia e dei costumi. - Spagna: “Un salt en el temps” Un ulteriore progetto intergenerazionale organizzato dalla stessa ludoteca ha visto partecipare bambini e anziani in uno scambio di giochi antichi e moderni. Tra aprile e maggio 2014, 56 partecipanti dai 3 agli 82 anni, hanno visitato il Museo dei giochi tradizionali di Campo e hanno preso parte a laboratori di giochi antichi. Durante le attività gli anziani hanno insegnato ai bambini l’utilizzo dei giochi tradizionali e i bambini hanno mostrato agli anziani i giochi più moderni. L’obiettivo principale è stato lo scambio intergenerazionale, la riduzione degli stereotipi negativi legati all’età e il rispetto tra le generazioni. - Polonia: “Vecchie Tradizioni, Nuovi Apprendimenti.” In Polonia, a Janislawice, l’azione intergenerazionale si è focalizzata sulle tradizioni folcloristiche del paese. L’iniziativa venne promossa da un gruppo per lo sviluppo locale con l’obiettivo di creare relazioni e rafforzare i legami tra le generazioni. Gli incontri si sono svolti due volte al mese, da aprile ad agosto 2014, nei quali i bambini delle scuole materne ed 79 elementari, insieme ai loro nonni, hanno cucinato i dolci pasquali, decorato le uova e preparato le ghirlande floreali per i matrimoni. Infine è stato organizzato un grande evento il giorno del solstizio d’estate che ha coinvolto tutta la comunità. - Portogallo: “Ludoteca Intergeneracional.” In Portogallo, ad Aveiro, presso il “Centro comunitario da Paroquia São Pedro de Aradas”, nel quale vi sono servizi separati rivolti ad anziani (casa di cura, centro diurno e servizio domiciliare) e rivolti ai bambini (scuola materna, servizio pre-scuola e servizio generale) è stato avviato un progetto intergenerazionale. Al progetto hanno partecipato 15 anziani dai 76 ai 94 anni e 88 bambini con età compresa dai 3 ai 6 anni, questi ultimi settimanalmente hanno fatto visita agli anziani della casa di riposo per svolgere attività ludiche-creative insieme. Importante è stato l’impegno dei bambini nell’aiutare gli anziani ad utilizzare la nuova tecnologia, focalizzandosi sull’utilizzo dei tablet. I longevi hanno insegnato ai bambini diversi giochi tradizionali. - Portogallo: “Receitas recheadas com sorrisos” “Ricette e sorrisi” è il nome di un’iniziativa intergenerazionale promossa dal Centro Sociale de Azurva di Aveiro, un istituto composto da strutture e servizi rivolti alla prima infanzia e ad anziani. Durante le attività un gruppo composto da 45 bimbi da 3 a 6 anni e 8 anziane (tutte donne di età compresa tra i 63 e i 95 anni) hanno cucinato insieme e provato nuove ricette e nuovi sapori. 80 Le anziane hanno trascorso del tempo nell’asilo, occupandosi della preparazione delle loro ricette preferite insieme ai bambini e condividendo, durante i pasti dell’asilo, le pietanze preparate con un gruppo più ampio di bambini. Da questa attività è nato un libro di ricette proposte dalle partecipanti nel quale sono presenti anche disegni e storie di vita. - Olanda: “Giovani e anziani si incastrano come i pezzi di un puzzle” A Leiden venne attivato un progetto intergenerazionale partecipato al quale hanno bambini della scuola primaria, di età compresa fra i 7 e gli 8 anni, e anziani che frequentavano un centro sociale anziani. In questa iniziativa i bambini e gli anziani realizzarono insieme delle video interviste incociate centrate sugli interessi e gli hobbies di ciascuno. In base ai risultati emersi dalle interviste venne realizzato un puzzle in cui erano rappresentate tutte le attività preferite dei bambini e degli anziani. Il puzzle venne composta insieme dai bambini e anziani durante un evento finale. Questi esempi di progetti testimoniano come l’educazione intergenerazionale a livello europeo abbia preso piede con iniziative diverse, ma seguendo il fine ultimo di creare un ponte tra le diverse generazioni. 4.3 Gli effetti delle pratiche intergenerazionali Molte ricerche sui benefici delle pratiche intergenerazionali sono stante condotte in tutta Europa. I risultati permettono di valutare l’impatto psicologico e sulla salute delle persone che partecipano a queste iniziative. Nella gran parte dei casi il monitoraggio delle attività si è basato sull’utilizzo di strumenti qualitativi, quali protocolli e schede di osservazione, i quali hanno dato modo di riportare un’analisi dettagliata dello svolgimento delle attività. 81 In molti progetti l’equipe si è avvalsa di supporti tecnici, quali videocamere per registrare le interazioni tra anziani e bambini. Dalla letteratura riguardante l’educazione intergenerazionale emerge l’instaurarsi di legami all’insegna del calore, dell’affetto e sostegno reciproco tra i partecipanti. Consegue inoltre che tra i vantaggi principali di cui beneficiano i partecipanti, gli anziani, si sentono necessari e contribuenti alla comunità ed attraverso l’interazione approfondiscono la loro conoscenza verso le generazioni più giovani. I bambini ricevono maggiore cura e attenzione, aumentano l’autostima e la fiducia in se stessi e approfondiscono la conoscenza verso persone in età avanzata. I programmi rappresentano per entrambe le generazioni dei momenti di apprendimento reciproco. Consentono ai partecipati di migliorare le capacità comunicative, in particolare l’ascolto e la comprensione e di incrementare abilità sociali come il rispetto, l’altruismo e la condivisione. Newman (1997) e Kaplan (2002) sottolineano l’importanza dell'intergenerazionalità come pratica di apprendimento bidirezionale cioè adulti-bambini e viceversa. Focalizzandosi sulle persone anziane, numerosi studi hanno rivelato che i soggetti si sentano più felici di altri coetanei e si riscontrano miglioramenti sulla loro condizione sanitaria, inoltre si documenta una riduzione della sonnolenza da parte degli utenti. L’aumento dell’attività fisica, sociale e cognitiva ottenuta con la partecipazione ai programmi intergenerazionali, contribuisce a migliorare la salute per l’invecchiamento della popolazione e migliora l’apprendimento della generazione più giovane. Alcune ricerche indicano che le attività consentano agli anziani di sperimentare esperienze piacevoli, di migliorare la propria immagine e l’identità diminuendo la sensazione di inutilità nei confronti della società. I “benefici principalmente osservati sono: aumentata capacità di reagire alle avversità; miglioramento dell’umore e maggiore vitalità; maggiore autostima e motivazione; minore tendenza all’isolamento e alla solitudine; maggiori opportunità ad apprendere; maggiori relazioni amichevoli con persone di generazioni giovani; 82 aumentata partecipazione alla vita comunitaria, incremento delle competenze sociali”81. A livello psicologico e sanitario viene testimoniata una “riduzione della perdita di memoria, sintomi depressivi, sentimenti di solitudine, di isolamento, aumento della soddisfazione per la vita e una riduzione dello stress negli anziani”82. Alcuni studi hanno dimostrato come la lettura ad alta voce nelle attività intergenerazionali da parte di anziani affetti da demenza migliora la loro funzione frontale cognitiva e le attività basate sulla discussione per stimolare le abilità cognitive agevolano il mantenimento della memoria a persone affette da disabilità cognitiva lieve. Inoltre una ricerca condotta negli Stati Uniti ha evidenziato che, dopo quattro mesi di partecipazione ad attività intergenerazionali, gli anziani hanno dimostrato minori sintomi depressivi, diminuzione del tempo che dedicato alla visione televisiva, sviluppato “maggiori capacità di “problem solving” ed è stato osservato un miglioramento nei movimenti fisici dei soggetti”83. Gli studiosi hanno, inoltre, sottolineato lo sviluppo di qualità che favoriscono la resilienza come lo spirito d’iniziativa, la flessibilità, l’apertura verso l’altro e la creatività. Gli anziani si dimostrano bravi educatori e affettuosi “caregives”, riescono a relazionarsi in modo naturale e diretto con i bambini, grazie a conoscenze derivanti dalle loro esperienze nell’educazione dei figli e dei nipoti. Questi risultati rendono evidente l’importanza che i progetti intergenerazionali rivestono all’interno di strutture rivolte ad anziani e soprattutto ad anziani non autosufficienti o disabili. Risultati emersi dalle ricerche incentrate sui bambini rivelano un cambiamento positivo negli atteggiamenti e nella percezione nei confronti delle persone anziane in quanto aumentano l’empatia e il bagaglio di conoscenze sulla vecchiaia. 81 M. B. DONNA, A. HATTON-YEO, N. A. HENKIN, S. E. JARROTT, M. S. KAPLAN, A. MARTÍNEZ, S. NEWMAN, S. PINAZO, J. SÁEZ e A.P. C. WEINTRAUB, The benefits of intergenerational programmes. Intergenerational programmes: Towards a society for all ages, Social Studies Collection n°23, La Caixa, Barcelona, 2007, p. 72 82 https://envejecimientoactivo.wordpress.com/beneficios. 83 M. B. DONNA, A. HATTON-YEO, N. A. HENKIN, S. E. JARROTT, M. S. KAPLAN, A. MARTÍNEZ, S. Newman, S. Pinazo, J. Sáez e A.P. C. Weintraub, The benefits of intergenerational programmes. Intergenerational programmes: Towards a society for all ages, op. cit., p. 72. 83 Emergono miglioramenti rispetto a comportamenti pro-sociali quali la condivisione, l’attitudine positiva verso la scuola e un miglioramento delle capacità di negoziazione e relazionali. Fonti accademiche riportano risultati sul piano psicologico. Si nota come i soggetti evidenzino un incremento dell’autostima e una riduzione dell’ansia, inoltre viene segnalato un miglioramento nella qualità dei rapporti famigliari dei partecipanti. Nei giovani si riscontra una “riduzione dei comportamenti distruttivi a scuola, soprattutto durante le attività, in quanto tendono a comportarsi meglio in presenza del gruppo anziani”84. I programmi intergenerazionali hanno impatti anche sulla comunità. I benefici elencati da “MacCallum sono: rafforzamento del senso comunitario e la cultura della stessa; abbattimento delle barriere e degli stereotipi favorendo la coesione sociale; nascita e sviluppo di reti sociali interne alla comunità; diminuzione dello stress nelle relazioni parentali; creazione di modelli comportamentali positivi; promozione del volontariato”85. Tutte le ricerche sostengono e valorizzano l’importanza dei programmi intergenerazionali, soprattutto per la loro funzione sociale. Queste attività devono essere sfruttate per risolvere i problemi comunitari e rafforzare la collaborazione e la condivisione tra i cittadini. I contributi scientifici forniti da team di psicologi e professionisti, valorizzano queste pratiche dimostrando la loro efficacia e la loro valenza positiva, evidenziano inoltre i cambiamenti qualitativi che non coinvolgono solo i partecipanti, ma un ampio numero di persone (parenti, comunità etc.). In conclusione, la promozione della politica intergenerazionale consente di agire in modo diverso nei livelli della società, con obiettivi mirati a prevenire e mitigare i possibili conflitti e le distanze che vi sono tra le generazioni. 84 PARK A-LA, The Effects of Intergenerational Programmes on Children and Young People, International Journal of School and Cognitive Psychology n° 2, London, 2015, p. 2 85 S. Pinazo e M. Kaplan, The benefits of intergenerational programmes - Intergenerational programmes: Towards a society for all ages, p. 74. 84 L’interazione tra anziani e bambini/giovani è considerata una delle espressioni di innovazione sociale volte ad incentivare l’invecchiamento attivo. Il concetto di invecchiamento attivo è ampiamente discusso ed è un fenomeno in atto da decenni, ha preso forma del Primo Piano d’azione internazionale sull’invecchiamento, siglato dall’ONU a Vienna nel 1982. Il 1982 è stato proclamato l’Anno internazionale degli anziani con lo slogan “l’invecchiamento attivo fa la differenza”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’invecchiamento attivo è un processo per ottimizzare le opportunità per la salute, la partecipazione e la sicurezza, al fine di migliorare la qualità delle persone. L’obiettivo è favorire il passaggio da politiche basate sui bisogni dei soggetti anziani, considerati molto spesso nella società attuale come persone passive, a politiche che riconoscono ad ogni persona il diritto alla responsabilità, di avere un ruolo attivo e partecipativo nella comunità in ogni fase della loro vita, inclusa l’anzianità. Il 2012 è stato denominato Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale: tra i principali obiettivi contenuti nella proclamazione vi era l’invito ai responsabili politici e alle parti interessate ad intraprendere, ad ogni livello, azioni volte a migliorare la possibilità di invecchiare in modo attivo e a potenziare la solidarietà tra generazioni. Quanto detto evidenzia l’importanza dei programmi intergenerazionali come possibilità di promozione di relazioni interpersonali tra generazioni volte a favorire nell’anziano delle migliori condizioni cliniche. E’ importante considerare i programmi intergenerazionali utili non solo per l’impatto positivo sulle vite delle persone singole, bensì volti a raggiungere un obiettivo che ad oggi si ritiene complesso, cioè una comunità interconnessa attraverso il dialogo e l’educazione. 85 5. IL PROGETTO “UN NUOVO PASSO NELL’INTERGENERAZIONALITÁ” 5.1 La Fondazione Opera Immacolata Concezione (OIC) – ONLUS La Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus (OIC) è un’associazione che si occupa di tutelare e promuovere lo sviluppo della persona anziana tramite l’offerta di diversi servizi, distribuiti sul territorio nazionale. Nacque nel 1955 a Padova su iniziativa di Mons. Antonio Varotto e Nella Maria Berto, i quali costruirono una casa chiamata “Residenza di via Gustavo Modena” con stanze doppie e singole per accogliere un piccolo gruppo di domestiche non più in grado di svolgere i lavori domestici (a quel tempo ancora fisicamente assai pesanti, considerando la scarsa diffusione degli elettrometrici). L’obiettivo era di assicurare a questo gruppo un futuro diverso dall’inserimento negli ospizi di ricovero, allora unica possibilità per una vecchiaia fuori dalla famiglia. La vita all’interno della residenza era caratterizzata da un “approccio comunitario, scandito da momenti di riposo, di tempo libero, di attività lavorative, di volontariato, di spiritualità, sempre vissuto con una cultura dell’accoglienza insieme solidale e professionale, puntando specificatamente a valorizzare il patrimonio di esperienza delle ospiti”86. Da oltre mezzo secolo la Fondazione è al servizio dei più deboli e sostiene la longevità come risorsa di coesione sociale. Nel corso degli anni si è amplificata la sua complessità organizzativa, fin a divenire oggi una delle realtà più significative a livello europeo. Un grande mutamento avvenne nel 1995, quando l’OIC non si limitò più ad offrire alle persone anziane solo un eccellente supporto sociosanitario, ma si concentrò sull’obiettivo di recuperare l’emarginazione sociale, attivando nuovi processi di relazione, meccanismi funzionali a costruire una nuova “filiera di vita”. Venne costruito il “Complesso Polifunzionale Civitas Vitae” di Padova, rendendolo un vero e proprio “laboratorio sociale intergenerazionale”. Vennero progressivamente adeguati a questa filosofia tutti i centri residenziali e venne sviluppato un forte rapporto di collaborazione con le strutture sanitarie del territorio 86 E. BURATTIN, G. FABI, A. FERRO, G. DE RITA, E. GIUS, F. MAIETTA, G. MASNAA, M. MORGANTI, G. SCANAGATTA, S. ZAMAGNI, La risorsa longevità. Un approccio concreto e innovativo, Marsilio, Venezia, 2008, pag. 165. 86 veneto, con il comune obiettivo di trovare soluzioni adeguate e socialmente sostenibili alle nuove sfide proposte dal veloce mutamento demografico. Attualmente la Fondazione dispone di 10 centri sparsi nelle province di Padova, Vicenza e Treviso ed altri in acquisizione in Emilia, nelle Marche, in Toscana, ed in Calabria. Ogni residenza ha maturato negli anni una propria caratteristica funzionale, trovando poi sintesi finale nel “Complesso Polifunzionale Civitas Vitae” di Padova, che rappresenta oggi non solo la residenza più rilevante dal punto di vista delle dimensioni ma soprattutto di prototipo di riferimento per quanto riguarda la progettazione urbanistico-territoriale e l’applicazione della filosofia “filiera longevità”. La Fondazione basa la sua filosofia su sette principi fondamentali: Diritti della popolazione che invecchia; Eguaglianza e equità; Cittadinanza; Diritto di scelta; Tutela e rafforzamento dell’autonomia e delle competenze distintive; Partecipazione; Formazione permanente. In Veneto le strutture della Fondazione accolgono oltre 2200 anziani impiegando più di 1550 dipendenti di oltre 28 nazionalità. 5.1.1. Il Centro Residenziale Nazareth di Padova Il Centro Residenziale Nazareth è sorto nei primi anni Cinquanta a pochi chilometri dal centro storico di Padova, in via Nazareth. E’ composto da 9 ville immerse nel verde di un ampio parco frequentato anche dalle famiglie del quartiere. Contraddistinto da ampi spazi, alloggi confortevoli, nuovi e moderni, servizi a disposizione di ospiti e cittadini esterni, ha una capacità ricettiva di circa 500 posti letto destinati ad anziani autosufficienti e non autosufficienti. Via Nazareth è stata la sede storica devo l’OIC ha realizzato il primo villaggio residenziale per persone anziane. Un progetto che già all’epoca si contraddistinse per la capacità innovativa, tenuto conto che vi erano comitati per provvedere all’acquisto del 87 cibo, votazioni democratiche per intitolare a personalità significative le nuove costruzioni, disponibilità di biblioteche, sale giochi, biliardi, gite, escursioni, con una spinta partecipativa aggregante verso i familiari e i coniugi. L’obiettivo principale era quello di creare comunità e promuovere lo spirito di appartenenza. Rappresenta un centro all’avanguardia e pioneristico per l’epoca, guidato da Nella Berto e Mons. Antonio Varotto. Nel 2014 sono state sostituite le vecchie ville con una nuova struttura chiamata la “Casa dei Fondatori Berto- Varotto”, con una superficie di oltre 10 mila metri quadrati che può ospitare oltre a 140 persone, specialmente non autosufficienti. La struttura è dotata di stanze singole e doppie, fornite di tutti i confort di eccellenza che caratterizzano le residenze dell’OIC, ma anche di strumenti innovativi. L’introduzione della domotica e dell’informatica, permettono di agevolare sia la vita quotidiana degli ospiti sia il mantenimento della relazione sociale con i familiari e gli amici. Nella struttura ci sono anche degli ambulatori, primo esempio di medicina di gruppo integrata applicata in un centro residenziale. Il Centro adotta le logiche di “un “Civitas Vitae diffuso, cioè di un modello di infrastruttura di coesione sociale “a rete” che stimola la trasformazione della longevità in risorsa relazionale per la comunità. Un luogo che si pone ancora più l’obiettivo di rappresentare un punto di riferimento, rafforzando spirito di coesione e sensibilità di appartenenza.”87. 5.1.2 L’Asilo nido intergenerazionale “L’isola che non c’è” L’asilo nido “L’isola che non c’è” sorge all’interno della Civitas Vitae di Via Nazareth e collabora con l’OIC. Nasce 15 anni fa come Associazione e ha offerto per molti anni un servizio di Baby Parking in un periodo in cui non era necessaria una formazione specifica per potersi occupare dei bambini, ma era sufficiente avere uno spazio adatto ai piccoli e capacità educativi ed empatiche. Successivamente divenne un Servizio integrativo sperimentale per la prima infanzia (SISPI). 87 F. CAVALLARI, Viaggio nella cittadella della vita, Cleup, Padova, 2016, p. 25. 88 Poco dopo i genitori iniziarono a chiedere maggior disponibilità da parte del servizio nell’accogliere i bambini anche durante il pranzo e il sonno. Queste richieste portarono alla trasformazione dell’Isola che non c’è in un micro-nido. Prima in via Nazareth 53 e successivamente si è trasferito in via Nazareth 36, dopo aver intrapreso un rapporto di collaborazione con l’OIC. Oggi il micro-nido lavora a contatto con la struttura residenziale Nazareth e il territorio circostante, le finalità educative del servizio sono indirizzate a: favorire un sano ed armonico sviluppo psico-fisico; promuovere l’autonomia e l’autostima; educare alla socialità; educare alla consapevolezza ed al rispetto della diversità. 5.2 Il Progetto: “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” Il progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” ha avuto luogo presso l’asilo nido “L’isola che non c’è” di Padova. Il progetto si è svolto dal gennaio 2017 al luglio 2017 con l’obiettivo di creare e garantire uno spazio di incontro tra le vecchie e le nuove generazioni, anziani Ospiti Residenza “Nazareth” di Padova affetti da Alzheimer e bambini dell’asilo nido “L’isola che non c’è” di Padova. Attraverso il contatto diretto con i bambini, gli anziani affetti dalla malattia di Alzheimer, hanno avuto la possibilità di stimolare e rafforzare le loro funzioni cognitive, riducendo i disturbi di comportamento, rafforzando le funzioni sociali e identitarie e stimolando l’evocazione dei ricordi. I bambini, grazie al contatto diretto con gli anziani, appartenenti a una generazione lontana dalla loro, deboli e infermi, sono stati sensibilizzati all’accettazione del “diverso e fragile”. Inoltre, attraverso esercizi di stimolazione cognitiva, i bambini hanno avuto la possibilità di approfondire la loro conoscenza riguardo colori e orientamento. Bambini e anziani accompagnati dall’équipe educativa composta da una psicologa, una educatrice e una maestra, si sono presi per mano in un percorso ricco di emozioni, sorprese e divertimento, trasformando questo progetto in un’esperienza unica ed emozionante. 89 5.2.1. I programmi intergenerazionali della Fondazione In Italia, i cambiamenti sociali stanno influenzando le vite, le relazioni e le opportunità di apprendimento delle persone anziane e dei bambini più piccoli. Secondo il rapporto ISTAT (2017) gli individui con un’età superiore a 65 anni superano i 13,5 milioni di persone in Italia e rappresentano il 22,3% della popolazione totale. Quelli con un’età superiore agli 80 anni sono 4,1 milioni, cioè il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono circa 727 mila, cioè l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a circa 17 mila. Il numero di soggetti over 65 è destinato ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni. In particolare, le stime Eurostat prevedono che nel 2030 in Europa oltre un quarto della popolazione avrà più di 65 anni. Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2015 rileva che ci sono nel mondo 46,8 milioni di persone affette da un forma di demenza (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni. I nuovi casi di demenza sono ogni anno oltre 9,9 milioni, vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi. In Italia si stima che la demenza colpisca 1.241.000 persone (che diventeranno 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050). Senza dubbio l’aumento dell’aspettativa di vita rappresenta un successo, d’altro canto però il fenomeno di “ageing” ci pone di fronte una serie di sfide. Gli anziani rappresentano oggi una categoria ad incrementato rischio di isolamento sociale, a causa di problemi di salute, ridotto tono dell’umore e difficoltà di comunicazione. L’isolamento sociale nei soggetti anziani rappresenta una crescente preoccupazione, in quanto impatta negativamente sia sulla salute sia sul benessere dell’individuo. Tale condizione appare associata ad incrementati tassi di mortalità nei soggetti con più di 65 anni, nonché ad un aumentato rischio di ipertensione, declino cognitivo, depressione e suicidio. In Italia, i dati della rilevazione “Passi d’Argento” evidenziano come l’isolamento sociale colpisca quasi un anziano su dieci con età superiore a 65 anni e oltre il 12% nella fascia di età sopra i 75 anni. 90 Nel contempo, svariate ricerche hanno sottolineato come l’impegno in relazioni sociali risulti estremamente vantaggioso per la salute fisica e mentale dei soggetti anziani. Allo stesso tempo, i bambini crescono in famiglie più ristrette e hanno sempre meno opportunità di contatto con generazioni diverse. Inoltre, alcune ricerche, dimostrano che i bambini giocano sempre meno all’aperto, dove potrebbero incontrare cittadini senior. Causa della crescente separazione tra generazioni è anche la diffusione di istituzioni e spazi pensati per età omogenee, come asili nido, doposcuola e case di riposo. Questa separazione dei servizi rivolti alla comunità comporta la diminuzione delle opportunità di incontro e interazione tra le diverse generazioni, in particolare anziani e bambini in età infantile. Nella società odierna risulta allora necessario costruire spazi fisici e mentali di incontro tra le diverse generazioni, aumentare e migliorare il dialogo intergenerazionale come antidoto contro l’isolamento, l’esclusione sociale, la perdita di memoria e la disgregazione sociale. A tale proposito, negli anni si sono diffusi, a partire dagli USA, “Programmi Intergenerazionali” con lo scopo di creare dei legami tra diverse generazioni, al fine di ottenere benefici per tutti i gruppi partecipanti. “L’International Consortium for Intergenerational Programs” definisce questi programmi come strumenti sociali per creare continuativi scambi di risorse e apprendimento tra vecchie e nuove generazioni. I programmi intergenerazionali favoriscono, quindi, la comunicazione tra anziani e giovani o giovanissimi. Le esperienze internazionali hanno evidenziato potenziali vantaggi per entrambi i gruppi di età. Per “La Fondazione Opera Immacolata Concezione” l’anziano non è un essere umano al capolinea ma una preziosa risorsa, eventualmente racchiusa in un “contenitore” fragile. E proprio in quanto risorsa, l’anziano deve essere salvaguardato, creando contesti in cui possa vivere con pienezza, sviluppando relazioni tra persone, tra generazioni, tra ruoli, tra ambienti, generando così beneficio non sono per se stesso, ma per l’intera comunità. Sulla base di tali principi la Fondazione da anni si impegna per creare momenti, luoghi e spazi di incontro tra anziani autosufficienti e non autosufficienti e bambini dell’asilo nido, delle scuole materne e del territorio. 91 L’anziano affetto da demenza “rappresenta il modello estremo di una condizione critica, quella di chi è già per età in una parabola discendente e per di più perde la capacità di autogestirsi sia sul piano dei rapporti con le persone sia su quello somatico”88. La società odierna ha ancora molte incertezze e timori riguardo l’età anziana e in particolare una vecchiaia affetta da demenza. La “Fondazione Opera Immacolata Concezione” dedica la sua “mission” alla promozione della longevità come risorsa e non come “problema” all’interno della società. La vita quotidiana, i progetti, le attività e le iniziative promosse dalla fondazione mirano alla creazione di una comunità attiva, partecipe e coesa. Vengono coinvolti nelle iniziative non solo gli ospiti e le famiglie delle residenze, ma anche bambini, asili nidi, scuole, strutture del territorio e soprattutto gli abitanti dei diversi quartieri. La fondazione attraverso la realizzazione del progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” in collaborazione con l’asilo nido “L’isola che non c’è”, promuove il dialogo intergenerazionale tra anziani affetti da malattia di Alzheimer e bambini in età infantile. 5.2.2 Analisi dei bisogni Il progetto intergenerazionale “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” è rivolto ad anziani affetti da demenza. La demenza è una sindrome cioè un insieme di sintomi, che comporta l’alterazione progressiva di alcune funzioni: memoria, ragionamento, linguaggio, capacità di orientamento, svolgimento di compiti complessi, decadimento cognitivo e alterazioni della personalità e del comportamento. La demenza è una condizione degenerativa dell’encefalo, che insorge solitamente in età avanzata. Si parla di demenza quando nel soggetto si verifica un lento e progressivo declino di più di una funzione cognitiva e il declino dipende da una condizione organica cerebrale. Le 88 A. BAINCHETTI, T. METETIERI, M. TRABUCCHI, La demenza strumenti e metodi di valutazione, UTET, 2001, Marnate, p. 1. 92 condizioni cognitive deficitarie devono aver raggiunto una piena maturazione nella storia pregressa dell’individuò affetto da demenza. Nelle demenza una funzione cognitiva più essere colpita molto più delle altre (come la memoria nella demenza di Alzheimer). In concomitanza vi è un importante squilibrio anche di altre funzioni cognitive (l’orientamento, la prassia, la motivazione, il comportamento, ecc.). La persona non riscontra solo “deficit” cognitivi, ma ha difficoltà a relazionarsi in modo adeguato con l’ambiente, ad organizzare la gestione personale e la vita quotidiana. Esistono numerosi tipi di demenze; le più frequenti sono: la malattia di Alzheimer, la malattia di Creutzfedt-Jakob, la malattia a corpi di Lewi, la malattia di Pick e la demenza vascolare. La causa più comune di demenza è l'Alzheimer, che rappresentano ben il 70-80% di tutti i casi di demenza. E’ una malattia degenerativa progressiva del cervello caratterizzata dalla morte delle cellule cerebrali. La graduale degenerazione causa un restringimento e un’atrofia di alcune aree del cervello. La malattia colpisce le funzioni cognitive che servono soprattutto come strumenti per le funzioni gerarchicamente superiori. La memoria è parte attiva nello svolgimento di funzioni più complesse finalizzate al raggiungimento degli obiettivi prefissati dal soggetto. La malattia si manifesta in maniera differente da persona a persona. I sintomi iniziali possono includere difficoltà nell’apprendere, pensare, identificare oggetti, comunicare, nel ricordare parole o concetti, nel ritrovare oggetti di uso quotidiano, o nel portare a termine compiti consueti. La persona può apparire confusa, avere comportamenti strani o inconsueti, sbalzi di umore (dall’apatia all’aggressività), presentare difficoltà di valutazione delle situazioni, trascurare l’igiene e il proprio aspetto, isolarsi da amici e familiari. Ad oggi non vi è ancora un approccio terapeutico di tipo farmacologico efficiente che possa curare le demenze e in particolare la malattia di Alzheimer, ma vi sono interventi palliativi e contenitivi dei disturbi della patologia. I trattamenti di tipo psicologico ed educativo agevolano il miglioramento e il mantenimento cognitivo, permettono ai pazienti di utilizzare le funzioni cognitive residue e di riconoscere le loro emozioni. 93 Le emozioni non sono compromesse in tutte le demenze e permettono di applicare degli interventi educativi e riabilitativi. L’operatore motivando il paziente deve saper cogliere che cosa è emotivamente importante per lui e introdurre questo valore per finalizzare il comportamento del soggetto. La capacità motivazionale dell’équipe educativa è fondamentale per l’andamento delle attività svolte dai pazienti. “In certi ambienti i comportamenti emotivi e relativi alle relazioni sociali possono essere ipostimolanti, e può rendersi necessario fornire maggior occasioni per permettere ai pazienti di estrinsecare il proprio vissuto emotivo e attuare i comportamenti conseguenti e appropriati”89. Il progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” consente agli anziani affetti da Alzheimer di riabilitare le proprie funzioni, ma anche di interagire con generazioni diverse affinché la persona si possa sentire viva e felice, anche se cognitivamente compromessa. Avere un comportamento adeguato nelle relazioni sociali permette ai pazienti di ricevere un “feedback” dagli altri e di sentirsi adatto alla situazione ed accettato. Il paziente a contatto con i bambini può migliorare la percezione della propria identità che spesso viene compromessa a causa dell’ambiente. Vivere in una struttura spesso porta la persona alla perdita della propria identità, al sentirsi inutile verso la società e allo smarrimento del proprio Io. Stare a contatto con i bambini in un “setting” libero come quello dell’asilo nido, permette al soggetto di mettere in atto abilità preservate e sentirsi restituire una funzione nella società. I bambini oggi non hanno sempre la possibilità di stare a contatto con le diverse generazioni e in particolare di interagire con pazienti affetti da diversi tipi di demenza. L’incontro tra anziani e bambini permette ai piccoli di riconoscere ed accettare la diversità, di sperimentarsi, di incrementare le proprie conoscenze e di divertirsi. Quando si parla di intergenerazionalità si fa riferimento ad una relazione autentica basata sull’ascolto, sul dialogo e sull’empatia. 89 A. BAINCHETTI, T. METETIERI e M. TRABUCCHI, La demenza strumenti e metodi di valutazione, op. cit., p. 158. 94 Stare a contatto con anziani affetti da Alzheimer, permette ai bambini, fin dalla prima infanzia, di instaurare una “relazione autentica” ponendosi in ascolto dell’altro senza relegarlo all’interno di categorie stereotipate, frutto di rapporti superficiali. “Per costruire una relazione autentica è necessario che ogni interlocutore possa esprimere se stesso ed assumere dentro di sé l’immagine dell’altro, riuscendo a riconoscerlo ed accettarlo in maniera il più possibile autentica, al di là di copioni e ruoli”90. I bambini possono ascoltare e vedere l’anziano con uno sguardo non giudicante, condividendo con loro momenti, accompagnarli e farsi accompagnare in questo percorso di apprendimento e sperimentazione reciproca. I bisogni degli utenti anziani affetti da Alzheimer prevedono: - Miglioramento del benessere psicofisico; - Sviluppo della socializzazione; - Sviluppo della dimensione di responsabilità; - Potenziamento delle abilità cognitive residue; - Mantenimento e sviluppo dei rapporti sociali; - Diminuzione dei disturbi di comportamento; - Rafforzamento del senso di identità; - Aumento della consapevolezza e dell’evocazione di emozioni; - Rievocazione della memoria e sviluppo della stessa; - Rafforzare il legame con le nuove generazioni. I bisogni dei bambini in età infantile prevedono: - Sviluppo della socializzazione; - Mantenimento e sviluppo dei rapporti sociali; - Potenziamento della sensibilità verso l’anziano e la fragilità; - Potenziamento delle abilità cognitive (discriminazione, attenzione, memoria, orientamento spazio-temporale; comprensione, etc.); 90 B. GRASELLI, Parlarsi per un nuovo ascolto, Armando Editore, Roma, 2007, p. 130. 95 5.2.3. Obiettivi Gli obiettivi del progetto sono stati scelti dall’équipe professionale tenendo in considerazione le caratteristiche, i bisogni dei partecipanti, gli spazi e i tempi a disposizione. Sono stati differenziati gli obiettivi generali e specifici per le tipologie di utenze (anziani e bambini) ed è stato individuato un obiettivo comune. OBIETTIVI OSPITI DELLE RESIDENZE BAMBINI DELLA SCUOLA MATERNA Stimolare e riabilitare le funzioni cognitive. fragilità; Obiettivi generali Contenere i disturbi del comportamento. Obiettivi specifici Apprende nuove nozioni. Riconoscere le differenze. Promuovere l’accettazione delle Stimolare Stimolare differenze. alcune funzioni l’evocazione di Stimolare l’apprendimento dei colori primari. cognitive preservate. Rafforzare le funzioni sociali e identitarie. Sensibilizzare alla diversità e alla Stimolare l’apprendimento del senso di orientamento. emozioni. Obiettivo comune Stimolare la creazione di un dialogo significativo tra le due diverse generazioni. 96 5.2.4 Metodologia d’intervento I modelli teorici e i principi metodologici ai quali il progetto fa riferimento sono: Tecnica dell’osservazione partecipante: è una tecnica propria dell’approccio etnografico che prevede il coinvolgimento diretto dell’osservatore all’interno del campo relazionale osservato. L’osservatore partecipa alle azioni degli osservati. Durante le attività i membri dell’équipe educativa hanno assunto un ruolo di osservatori partecipanti. Ascolto attivo: viene inteso come la capacità di saper ascoltare con un elevato grado di attenzione e partecipazione comunicativa. Durante le attività il gruppo educativo presente ha incoraggiato i bambini e gli anziani ad ascoltare attivamente i contenuti trattati (nei limiti della loro età e delle patologie caratterizzanti gli anziani). Stimolazione della memoria autobiografica: Brewer (1986), ha parlato inizialmente di “memoria personale” e poi di “recollective memory”, arrivando a definire la memoria autobiografica come il processo di recupero di un evento personale e specifico del proprio passato. La memoria autobiografica, in quanto correlata ai ricordi che un individuo ha di se stesso, è connessa all’immagine di sé, all’autostima, ai fattori emotivi, all’autoriflessione e al proprio senso di efficacia. Senza tale funzione psicologica non può manifestarsi nel soggetto alcuna crescita individuale, né cognitiva, né emotiva, né relazionale, né dell’immagine del Sé. L’incontro tra bambini e anziani affetti da demenza si pensa possa stimolare in questi ultimi ricordi della propria vita passata, di eventi, di momenti importanti e di ruoli che essi hanno ricoperto nel loro ciclo vitale (padre, madre, nonna, nonno, figlio, figlia etc.). Uno degli obiettivi del progetto è stato quello di stimolare alcune funzioni cognitive preservate, in particolare la memoria, che viene colpita dalle diverse patologie di demenza. Le teorie di riferimento del progetto, descritte nel 3ˆ capitolo, sono le seguenti: Teoria del capitale sociale: per capitale sociale si intende l’insieme di risorse che l’individuo ha a disposizione in quanto inserito in una rete di relazioni. 97 Il capitale è frutto dall’interazione tra le persone in una relazione dove vi è scambio, reciprocità e solidarietà tra i partecipanti la cui identità viene riconosciuta. Le attività sono volte a creare delle relazioni autentiche, di reciprocità e di scambio tra i partecipanti. Bambini e anziani affetti da demenza si sono presi per mano aiutandosi reciprocamente durante gli esercizi di stimolazione cognitiva, sentendosi così riconosciuti gli uni dagli altri ed entrambi hanno fatto esperienza lavorando insieme per raggiungere obiettivi comuni. Questo si traduce in capitale sociale sotto forma di fiducia, norme, struttura e relazioni, attraverso la rete di comunicazione tra partecipanti. La teoria dell’apprendimento situato: l’apprendimento è un processo dinamico che avviene in un contesto in cui la persona apprende grazie alla sua partecipazione attiva, in interazione con gli altri membri del gruppo e all’ambiente circostante, e non rappresenta quindi una semplice trasmissione passiva di informazioni. Nel progetto i bambini e gli anziani con demenza hanno appreso insieme, attraverso lo svolgimento di attività in cui le azioni dei singoli hanno una ricaduta concreta su tutto il gruppo. Teoria dello sviluppo: nello stadio della “generatività” della teoria di Erikson, la persona avverte il bisogno di sentirsi in connessione col futuro lasciando qualcosa. L’individuo desidera tramandare qualcosa che rimanga oltre sé, sentendosi utile per gli altri. Gli incontri hanno consentito all’anziano di sentirsi ancora utile poiché in grado di trasmettere ai bambini piccole cose che suscitano nel soggetto una grande soddisfazione e grandi emozioni. 5.2.5. Azioni L’attività ha mirato al raggiungimento degli obiettivi sopra elencati. Gli incontri hanno avuto luogo all’interno dell’asilo nido “L’isola che non c’è” di Padova, in un ambiente idoneo all’accoglienza del numero totale del gruppo e alle caratteristiche dello stesso. 98 Il Gruppo di lavoro era composto dagli ospiti della Residenza “Nazareth” e da 15 bambini dell’asilo nido in età compresa tra i 2 e i 3 anni. All’inizio e al termine delle attività gli anziani partecipanti al progetto sono stati sottoposti a test di valutazione. L’attività ha avuto cadenza settimanale, il martedì dalle ore 10.00 e alle ore 11.00 circa. L’incontro è stato suddiviso nelle seguenti fasi: Accoglienza: durante questa fase gli ospiti e i bambini hanno avuto modo di salutarsi ed ambientarsi; Inizio degli esercizi di stimolazione cognitiva: durante questa fase l’educatrice e la maestra hanno coordinato i due esercizi di stimolazione cognitiva scelti per la giornata (esercizio di orientamento spaziale, memoria visiva e riconoscimento dei colori). Lettura della fiaba: in questo momento la maestra o l’educatrice hanno letto al gruppo la storia in programma tratta dal libro “Salvarsi con una fiaba” di Emanuela Pasin. Momento ludico: a fine percorso gli ospiti e i bambini hanno utilizzato il tempo rimanente attraverso spazi di gioco, dialogo, osservazione, etc. Saluti: prima del termine dell’attività tutti i partecipanti hanno avuto un momento per salutarsi. Gli esercizi di stimolazione cognitiva utilizzati durante gli incontri sono stati prodotti da un’applicazione chiamata “Lumosity” disponibile per apparecchi tecnologici. “Lumosity” è un programma di allenamento cognitivo composto da più esercizi suddivisi in livelli crescenti che stimolano diverse abilità mentali nella persona. Gli esercizi sono stati adattati al contesto e ai partecipanti dalla psicologa incaricata della supervisione del progetto. I due esercizi svolti hanno avuto il fine di allenare la memoria visiva e l’orientamento spaziale nei bambini e negli anziani e ad aumentare la socializzazione tra i partecipanti. Esercizio n˚1: Sono stati distribuiti sulla superficie della stanza dei cuscini di tre colori differenti (rosso, verde e giallo). Per ogni colore è stato formato un percorso intrecciato con i cuscini del colore diverso. 99 I partecipanti, a coppie, (un bambino e un anziano) avevano l’obiettivo di arrivare alla fine del percorso seguendo il colore assegnatoli. Lo scopo dell’esercizio è stato quello di stimolare l’orientamento spaziale negli anziani e nei bambini aiutandosi reciprocamente e al tempo stesso permettere ai piccoli di apprendere in modo divertente a nominare e riconoscere i colori. Esercizio n˚2: In questo esercizio i bambini hanno ricoperto un ruolo fondamentale. Cinque bambini sono stati disposti in fila di fronte agli anziani. Ogni bambino ha tenuto in mano un cartoncino colorato solo su un lato. Tre bambini avevano il cartoncino del colore “distrattore” (rosso) e due bambini del colore bersaglio (giallo). I bambini contemporaneamente hanno fatto vedere agli anziani il colore del cartoncino che possedevano e successivamente si sono girati di spalle coprendo il cartoncino. Gli anziani avevano il compito di indicare quali bambini avevano il cartoncino del colore bersaglio cioè il giallo. Questo esercizio ha avuto l’obiettivo di allenare la memoria visiva negli anziani affetti da demenza e contemporaneamente i bambini si sono divertiti e hanno imparato i colori. Lettura della fiaba: Il libro dal quale sono state scelte le letture giornaliere è “Salvarsi con una fiaba. Esperienza di terapia psicologica con i malati di Alzheimer” scritto da Emanuela Pasin. Tale lettura è stata scelta in quanto le fiabe sono frutto dell’immaginazione di anziani affetti da Alzheimer che hanno partecipato a sedute di “cura-creazione”. Emanuela Pasin neuropsicologa e psicoterapeuta, attraverso la lettura di tale libro mostra come l’Alzheimer, può essere affrontato e reso più tollerabile non soltanto avvalendosi di terapie farmacologiche, ma attraverso ciò che l’autrice definisce una “terapia di Anima”. Secondo l’autrice nonostante la malattia, l’anima dei malati di Alzhaimer “anche se decerebrata, continua a funzionare e a sentire, a emozionarsi, a comprendere, essa è teologica, tende sempre comunque verso un fine che è 100 quello dell’armonia e dell’equilibrio degli opposti”91. I partecipanti al progetto hanno potuto sentirsi compresi nelle letture di queste fiabe, hanno espresso così le loro emozioni. 5.2.6 Programmazione mensile delle attività Di seguito viene proposta la programmazione delle attività del progetto. Il progetto ha avuto luogo presso l’asilo nido “L’isola che non c’è”, sono stati effettuati 22 incontri totali. Nel mese di Gennaio e Febbraio gli anziani e i bambini si sono conosciuti e l’équipe educativa ha lavorato nella creazione di un gruppo interconnesso per poter ricavare benefici dal progetto. In questi mesi in ogni seduta è stato svolto un solo esercizio di stimolazione cognitiva e la lettura della fiaba in quanto il tempo rimante è stato dedicato al dialogo tra i partecipanti e all’osservazione del gruppo da parte dell’équipe. Successivamente nei mesi successivi gli incontri si sono svolti seguendo le fasi descritte nel paragrafo nˆ 5.2.5 nominato “Azioni”. Come si può osservare nel calendario, nel mese di gennaio e luglio gli anziani sono stati sottoposti ai test di valutazione scelti dall’équipe educativo. 91 E. PASIN, Salvarsi con una fiaba. Esperienza di terapia psicologica con i malati di Alzheimer, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., Roma, 2010, pag.13. 101 2017 GENNAIO LU MA ME GI 2 9 16 23 30 3 10 17 24 31 4 11 18 25 MARZO LU MA ME 1 6 7 8 13 14 15 20 21 22 27 28 29 5 12 19 26 VE SA 6 13 20 27 7 14 21 28 DO 1 8 15 22 29 GI 2 9 16 23 30 VE 3 10 17 24 31 SA 4 11 18 25 DO 5 12 19 26 GI 4 11 18 25 VE 5 12 19 26 SA 6 13 20 27 DO 7 14 21 28 LUGLIO LU MA ME GI VE SA DO 1 2 8 15 22 29 9 16 23 30 MAGGIO LU MA 1 2 8 9 15 16 22 23 29 30 3 10 17 24 31 4 11 18 25 ME 3 10 17 24 31 5 12 19 26 6 13 20 27 7 14 21 28 FEBBRAIO LU MA ME 1 6 7 8 13 14 15 20 21 22 27 28 GI 2 9 16 23 VE 3 10 17 24 SA 4 11 18 25 DO 5 12 19 26 APRILE LU MA ME GI VE 3 10 17 24 7 14 21 28 SA 1 8 15 22 29 DO 2 9 16 23 30 SA 3 10 17 24 DO 4 11 18 25 4 11 18 25 5 12 19 26 6 13 20 27 GIUGNO LU MA ME GI 1 5 6 7 8 12 13 14 15 19 20 21 22 26 27 28 29 Attività Test valutazione 102 di VE 2 9 16 23 30 5.2.7. Strumenti di valutazione Per la valutazione dell’intervento educativo sono stati utilizzati i seguenti strumenti: Esame dello stato mentale (“Mini-Mental State Examination”, MMSE): è il test utilizzato per la valutazione del declino cognitivo e rappresenta un rapido e sensibile strumento per la qualificazione delle abilità cognitive e delle loro modificazioni nel tempo, applicabile anche in forme gravi di deterioramento. La psicologa ha sottoposto gli ospiti al test, sia in un momento precedente al progetto sia alla fine dello stesso, con lo scopo di analizzare i risultati e valutare eventuali cambiamenti. I test è costituito da 11 “item” suddiviso in 5 sezioni che includono prove verbali e non verbali. Le prove verbali hanno un punteggio massimo di 24 punti e le prove non verbali di 6 punti (implicano l’esecuzione di ordini scritti e orali, la scrittura e la copia di un disegno). I risultati numerici emersi hanno un valore da 0 (deficit cognitivo grave) a un massimo di 30 (assenza di deficit cognitivo), il punteggio soglia è di 24 punti. (Allegato n.1) Inventario neuropsichiatrico (“Neuropsychiatric Inventory”, NPI): l’inventario permette allo specialista di valutare un’ampia gamma di comportamenti che si riscontrano nei soggetti affetti da demenza. L’obiettivo più importante del NPI è di facilitare la valutazione neuropsichiatrica rapida attraverso domande di screening, riducendo il tempo richiesto per fornire una caratterizzazione completa delle anomalie comportamentali manifestate dai pazienti. Comprende 12 sindromi comportamentali: deliri, allucinazioni, agitazione, depressione, ansia, euforia, apatia, disinibizioni, irritabilità, attività motoria aberrante, disturbi del comportamento notturno, disturbi del comportamento alimentare. Le informazioni sui sintomi comportamentali vengono fornite dalla persona vicina al soggetto (operatore o famigliare), le domande si riferiscono a variazioni insorte dopo l’esordio della malattia, nelle 4-6 settimane precedenti l’intervista. Dopo che sono state compilate le domande di “screening” e le domande specifiche per ciascuna sindrome, il “caregiver” è tenuto a valutare, qualora il disturbo analizzato sia presente, la frequenza (su una scala da 1 a 4) e la gravità (su una scala da 1 a 3) di ciascun sintomo. 103 Al fine di ricavare il punteggio totale per sindrome (punteggio massimo 12), si moltiplica per ogni scala individuale la frequenza per la gravità, in tutte le 12 sindromi neuropsichiatriche. Per ogni scala individuale viene preso in considerazione il valore più alto dato dal rapporto tra frequenza e gravità. Il punteggio totale (massimo 144) dell’intervento si ottiene sommando il valore massimo di ogni scala individuale. Viene anche valutato il disagio psicologico (su una scala da 0 a 5). Il risultato finale è dato dalla somma del valore ricavato da ogni singola sindrome comportamentale (punteggio massimo 60). (Allegato n. 2) Test di fluenza verbale: il test di fluenza verbale è uno degli strumenti volti a valutare l’ampiezza del magazzino lessicale, la capacità di accesso e l’organizzazione lessicale nei soggetti. Si osservano prestazioni abbastanza basse nei soggetti affetti dalla malattia di Alzheimer. Il test è suddiviso in due parti: - La prima parte relativa alla fluenza verbale per categorie fonemiche in cui viene chiesto al soggetto di dire tutte le parole che gli vengono in mente che cominciano con una specifica lettera. Sono validi nomi di cose, verbi, aggettivi, avverbi; - La seconda parte relativa alla fluenza verbale di categorie semantiche in cui viene chiesto al soggetto di dire tutte le parole che appartengono a una determinata categoria (animali, frutti, marche d’auto). Il soggetto ha a disposizione un minuto di tempo per ogni lettera o categoria. Il punteggio totale del test è dato dalla somma delle parole corrette fornite per ciascuna lettera o categoria. Il punteggio grezzo può essere confrontando con i valori medi e le deviazioni standard. Un ulteriore metodo di valutazione consiste nell’applicare al punteggio grezzo le correzioni, individuando così il punteggio equivalente. (Allegato n. 3) Test delle matrici attentive: il test viene somministrato al fine di valutare l’attenzione selettiva visiva nel soggetto. 104 Per l’esecuzione del test vengono mostrate al soggetto tre matrici, ciascuna di esse è costituita da 13 righe di 10 numeri da 0 a 9 ciascuna disposti in sequenza casuale. Il soggetto ha il compito di sbarrare tutti i numeri uguali a quelli stampati in cima alla matrice (“5” nella matrice n°1, “2-6” nella matrice n°2 e “1-4-9” nella matrice n°3). Le matrici vanno presentate dalla più semplice alla più difficile. Il tempo massimo per ogni matrice è di 45 secondi, ma si permette al soggetto di terminare il compito nel caso gli occorresse un tempo maggiore. Se il soggetto impiega un tempo inferiore a 45 secondi per completare la singola matrice è necessario indicare il tempo impiegato. Viene calcolato il numero totale di risposte esatte (range 0-60 complessivamente nelle tre matrici); il numero di falsi allarmi (range 0-270 complessivamente nelle tre matrici) e le omissioni (range 0-60). (Allegato n. 4) Osservazione: il gruppo educativo presente ha valutato gli effetti qualitativi dell’intervento sui bambini e sugli anziani partecipanti al progetto. Con l’utilizzo di queste tecniche l’équipe educativa ha avuto la possibilità di valutare l’efficacia dell’intervento. Di grande importanza è risultata essere la valutazione qualitativa cioè le riflessioni ricavate dal gruppo educativo presente, il quale utilizzando le nozioni teoriche e l’esperienza ha potuto valutare l’impatto del progetto sui bambini e sugli anziani. 5.2.8 Risultati e analisi dei dati Di seguito viene svolta l’analisi dei dati rilevati dai test di valutazione somministrati agli anziani affetti da Alzheimer prima dell’inizio del progetto, a Gennaio 2017 e al termine del progetto, a Luglio 2017. L’analisi dei dati è interpretativa e non ha una valenza scientifica. L’équipe educativa ha scelto gli utenti in base allo stadio della malattia di Alzheimer e alla loro capacità residue. Gli anziani coinvolti nel progetto erano 7, di sesso sia maschile che femminile, di età compresa tra i 78 e i 91 anni ospiti della residenza “Nazareth” di Padova. 105 Di seguito viene illustrata la tabella rappresentativa dei risultati dei test di valutazione dell’Esame dello stato mentale (MMSE) e dell’inventario Neuropsichiatrico (NPI e NPI CARE) (fig.1) C.L. 12/8/40 11/30 MMSE NPI TO T1 (Gennai (Lugli o 2017) o 2017) 11/30 2/144 G.Z. 16/11/31 14/30 13/30 6/144 1/144 3/60 1/60 M.M. 28/1/38 26/30 25/30 9/144 2/144 3/60 2/60 L.A. 2/3/27 6/30 6/30 33/144 6/144 14/60 4/60 T.S. 24/4/38 18/30 17/30 48/144 12/144 20/60 9/60 G.A. 17/10/28 18/30 20/30 18/144 2/144 6/60 2/60 B.L. 19/1/36 15/30 14/30 4/144 1/144 2/60 1/60 PAZIENT E DATA DI MMSE NASCIT T0 A (Gennai o 2017) NPI T1 NPI CARE (Lugli T0 o (Gennai 2017) o 2017) 0/144 2/60 NPI CARE T1 (Lugli o 2017) 0/60 Fig. 1: Esame dello Stato Mentale (MMSE) e Inventario Neuropsichiatrico (NPI) 106 Esame dello stato mentale (MMSE) 30 25 20 15 10 5 0 C.L G.Z M.M L.A MMSE-T0 (Gennaio 2018) T.S G.A B.L MMSE-T1 (Luglio 2018) I valori del test MMSE possono raggiungere al massimo 30 punti, maggiore è il punteggio ottenuto migliori sono le condizioni cognitive del paziente. Dall’analisi dei risultati si osserva che i punteggi ottenuti rimangono costanti o diminuiscono massimo di un punto, tranne un caso in cui il risultato è aumentato di due punti. Inventario Neuropsichiatrico (NPI) 60 50 40 30 20 10 0 C.L G.Z M.M L.A T.S G.A NPI - T0 (Gennaio 2017) NPI - T1 (Luglio 2017) NPI CARE - T0 (Gennaio 2017) NPI CATE - T1 (Luglio 2017) B.L Inventario Neuropsichiatrico (NPI): nel test i punteggi hanno un massimo di 144 e più il risultato è alto di maggior gravità risultano essere i disturbi di comportamento nel paziente. 107 Dall’analisi dei risultati si osserva che i valori ottenuti dai test somministrati dopo il progetto intergenerazionale diminuiscono di una notevole quantità. Inventario Neuropsichiatri disagio psichico (NPI CARE): i test hanno un massimo di 60 punti, più il risultato è alto maggiore è la compromissione psichica-comportamentale del paziente. Anche in questo caso possiamo osservare la diminuzione dei risultati ottenuti dopo la partecipazione al progetto. Di seguito viene illustrata la tabella rappresentativa dei risultati dei test valutativi di Fluenza Verbale e Semantica e del test delle Matrici attentive: Fluenza DATA DI verbale PAZIENTE NASCITA T0 (Gennaio 2017) Fluenza verbale T1 (Luglio 2017) Fluenza semantica T0 (Gennaio 2017) Fluenza semantica T1 (Luglio 2017) Matrici attentive T0 (Gennaio 2017) Matrici attentive T1 (Luglio 2017) C.L. 12/8/40 17 18 18 18 48/60 50/60 G.Z. 16/11/31 14 14 20 21 33/60 33/60 M.M. 28/1/38 28 27 19 19 37/60 38/60 L.A. 2/3/27 13 14 9 8 22/60 23/60 T.S. 24/4/38 21 23 23 22 48/60 49/60 G.A. 17/10/28 22 22 24 24 32/60 33/60 B.L. 19/1/36 12 12 10 10 38/60 38/60 Fig. 2: Test della Fluenza Verbale e Semantica e Test delle Matrici Attentive 108 Test di fluenza verbale 30 25 20 15 10 5 0 C.L G.Z M.M L.A T.S G.A B.L Fluenza verbale - T0 (Gennaio 2017) Fluenza verbale - T1 (Luglio 2017) Fluenza semantica - T0 (Gennaio 2017) Fluenza semantica - T1 (Luglio 2017) Test delle fluenze verbali: il punteggio totale del test è dato dalla somma delle parole corrette fornite per ciascuna lettera o categoria, maggiore è il punteggio migliore è stata la prestazione del paziente. Dall’analisi dei risultati possiamo osservare che i pazienti migliorano di circa 1 punto la prestazione del test alla fine del progetto. Test delle matrici attentive 60 50 40 30 20 10 0 C.L G.Z M.M L.A Attenzione selettiva - T0 (Gennaio 2017) T.S G.A B.L Attenzione selettiva - T1 (Luglio 2017) Test delle matrici attentive: il test h un massimo di 60 punti, più il risultato è alto maggiore è capacità selettiva del paziente. 109 Possiamo notare dall’analisi dei risultati un miglioramento nella prestazione dei pazienti a distanza di 6 mesi in concomitanza con la conclusione del progetto intergenerazionale. 5.3. Verifica dell’efficacia del progetto La quantificazione dei risultati è stata effettuata tramite la somministrazione all’inizio ed alla fine della sperimentazione di una breve batteria di test neuropsicologici composta da MMSE, fluenza verbale e semantica, attenzione selettiva, test NPI per la valutazione dei disturbi comportamentali. Oltre ai dati quantitativi, particolare importanza hanno avuto le osservazioni qualitative registrate da un educatore professionale quali il coinvolgimento emotivo dei pazienti, i loro giudizi verbali e le identificazioni proiettive successive agli incontri. L’esperienza ha avuto valore positivo anche per i bambini, sia tramite il gioco cognitivo stesso che permettendo loro una prima sperimentazione del concetto di “diversità”. Dal punto di vista cognitivo, i test hanno evidenziato una generale stabilità dei punteggi, che a causa della mancanza di un gruppo di controllo non permette di trarre valutazioni significative. Dal punto di vista dei disturbi comportamentali si è registrato invece un miglioramento sia della gravità che della frequenza degli stessi nonché un miglioramento dello stress percepito dai caregiver. L’équipe educativa si ritiene soddisfatta del percorso intergenerazionale. Il progetto intergenerazionale “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” svolto nel 2017 presso l’asilo nido “L’isola che non c’è” tra anziani affetti da Alzheimer e bambini sembra correlato con un più lento declino cognitivo e comportamentale del paziente. A seguito dell’efficacia del progetto l’équipe educativa ha deciso di dare continuità a tale esperienza, apportando modifiche e ipotesi di miglioramento al progetto avviato nel 2018 e In virtù dei risultati incoraggianti l’esperienza proseguirà all’interno di due altre sedi della Civitas vitae, introducendo dei gruppi di controllo. Per la stesura dell’ipotesi progettuale del 2018 sono stati tenuti in considerazione i fattori legati alla definizione di nuovi partecipanti al progetto (età, patologia, stadio della patologia, caratteristiche personali), alle caratteristiche dei nuovi bambini, agli spazi disponibili presso l’asilo nido, all’implementazione e diversificazione degli esercizi di stimolazione cognitiva. 110 6. IPOTESI PROGETTUALE PER L’ANNO 2018 6.1 “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità”: anno 2018 A gennaio 2018 presso l’asilo nido “L’isola che non c’è” è stato avviato il progetto intergenerazionale relativo all’anno 2018, concluso a luglio In collaborazione con l’équipe educativa, dopo aver analizzato i risultati ottenuti dal progetto del 2017, abbiamo ipotizzato il nuovo progetto, mantenendo alcuni requisiti e introducendo specifici cambiamenti per adattarlo ai nuovi partecipanti e al contesto. La nuova ipotesi progettuale prevede le seguenti modifiche: Obiettivi: viene introdotto un obiettivo specifico per gli ospiti della residenza: stimolare la rievocazione di momenti significativi della vita. Metodologia: i modelli teorici e principi metodologici ai quali il progetto del 2018 fa riferimento sono i medesimi del progetto già effettuato, con alcune integrazioni: - Tecnica della reminiscenza: la reminiscenza (rassegna di vita, rievocazione di momenti significativi) è un intervento psicoterapico-riabilitativo che trova il proprio supporto teorico nella teoria psicodinamica. Questa tecnica mira ad agevolare i pazienti affetti da demenza a ricordare e a rimettere insieme i momenti della loro esistenza, dandone una veste narrativa. Si tratta del richiamo verbale o silente di eventi di vita personale, i più remoti dei quali costituiscono lo spunto per stimolare le risorse mnesiche residue e per recuperare esperienze emotivamente piacevoli. Lo scopo è di aiutare i pazienti a mantenere la propria autostima e l’identità personale, anziché essere frustrati rispetto a ciò che non può più essere ricordato a causa della malattia. Questa tecnica favorisce le capacità relazionali e migliora l’umore del soggetto, facendo riferimento al ruolo positivo che assume il ricordo di esperienze passate. Il progetto intergenerazionale permette agli ospiti affetti da demenza di ricordare esperienze passate, di assumere un ruolo e di sentirsi utili per i bambini. Utilizzando i racconti di storie e fiabe si cerca di attivare la psiche dell’anziano a livello simbolico per contrastare la rapidità della 111 degenerazione delle cellule e per ricostruire un equilibrio psichico che riduce l’esperienza dolorosa, migliora lo stato mentale e la qualità di vita. Modello psicosociale “Person-Centred Care”: questo modello elaborato da - Tom Kitwood nel 1997, vede la persona con demenza uguale a tutte le altre e con il diritto di essere accettata come avente gli stessi bisogni, degna di uguale considerazione e portatrice dello stesso diritto ad uno stato di benessere. Il progetto dell’anno 2018 richiama questa teoria in quanto gli anziani affetti da Alzheimer vengono considerati come persone a 360°, come risorsa per la comunità ed in particolare per i piccoli dell’asilo nido. La - prospettiva dell’empowerment di comunità i programmi intergenerazionali che portano avanti azioni di comunità sono spiegati dalla teoria dell’empowerment di comunità, ovvero un processo intenzionale, continuo, centrato sulla comunità locale, che comporta rispetto reciproco, riflessione critica, attività di cura e partecipazione di gruppo. Grazie all’interazione costante tra anziani della residenza e i bambini si crea una relazione autentica basata sul rispetto, sulla cura e sulla partecipazione tra gli stessi. Azioni: nel progetto 2018 gli esercizi di stimolazione cognitiva svolti durante le attività sono stati modificati: - Esercizio 1: In questo esercizio gli anziani devono leggere il colore scritto su un foglio facendo attenzione a non dire il colore dei caratteri della scritta (Bisogna leggere ROSSO, anche se i caratteri sono stampati in nero). Successivamente quando viene mostrato un foglio con stampate 5 X di un colore specifico, i partecipanti sono chiamati a nominare il colore del carattere. L’esercizio si rifà al Test di Stroop, con l’obiettivo di stimolare l’attenzione degli anziani e nello stesso tempo agevolare l’apprendimento dei colori primari nei bambini. 112 - Esercizio 2: esercizio di fluenza verbale per categorie semantiche. In questo esercizio viene chiesto agli anziani e ai bambini di dire tutte le parole che appartengono a una determinata categoria (animali, fiori e frutti). L’esercizio è volto a valutare l’ampiezza del magazzino lessicale, la capacità di accesso e l’organizzazione lessicale nei soggetti. Inoltre i bambini possono apprendere nuove nozioni lessicali. - Lettura della fiaba: durante gli incontri la maestra leggerà delle fiabe per bambini che richiamano delle fasi e avvenimenti significativi della vita dell’essere umano (matrimonio, nascita, inizio della scuola, litigi ect.). I testi utilizzati fanno parte di collane di libri specializzate nella prima infanzia. Queste letture hanno la finalità di soddisfare l’obiettivo di stimolare e rievocare i momenti significativi della vita degli anziani (tecnica della reminiscenza). Programmazione mensile delle attività: gli incontri totali programmati sono 24. Nei mese di gennaio e febbraio le attività sono finalizzate alla creazione di relazioni autentiche tra i partecipanti, nei mesi successivi in ogni contro vengono svolti gli esercizi di stimolazione cognitiva e viene letta la fiaba programmata. Nel mese di gennaio e luglio vengono somministrati i test di valutazione agli anziani affetti da Alzheimer. 113 2018 GENNAIO FEBBRAIO LU MA ME GI VE SA DO 1 2 3 4 5 6 7 LU MA ME GI VE SA DO 1 2 3 4 8 9 10 11 12 13 14 5 6 7 8 9 10 11 15 16 17 18 19 20 21 12 13 14 15 16 17 18 22 23 24 25 26 27 28 19 20 21 22 23 24 25 29 30 31 26 27 28 LU MA ME LU MA ME VE SA DO MARZO APRILE GI VE SA DO 1 2 3 4 GI 1 5 6 7 8 9 10 11 2 3 4 5 6 7 8 12 13 14 15 16 17 18 9 10 11 12 13 14 15 19 20 21 22 23 24 25 16 17 18 19 20 21 22 26 27 28 29 30 31 23 24 25 26 27 28 29 LU MA ME GI VE SA DO 30 MAGGIO LU MA ME GI GIUGNO VE SA DO 1 2 3 4 5 6 1 2 3 7 8 9 10 11 12 13 4 5 6 7 8 9 10 14 15 16 17 18 19 20 11 12 13 14 15 16 17 21 22 23 24 25 26 27 18 19 20 21 22 23 24 28 29 30 31 25 26 27 28 29 30 LU MA ME GI VE SA 2 3 4 5 6 7 8 Attività 9 10 11 12 13 14 15 Test di valutazione 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 LUGLIO DO 1 LEGENDA Tecniche di valutazione: per il progetto del 2018 l’équipe educativa ha deciso di utilizzare le seguenti tecniche di valutazione: - Gruppo di controllo: per poter ricavare un’analisi dei risultati più significativa l’équipe educativa ha deciso di introdurre un gruppo di controllo. Tale gruppo è composto da ospiti non partecipanti al progetto appartenenti alla medesima struttura degli anziani partecipanti e con le 114 medesime caratteristiche. I test di valutazione vengono somministrati prima e dopo l’inizio del progetto. - Griglia di controllo (“check-list”): con il termine “check-list” si intende un elenco di comportamenti evidenziati a priori, più o meno approfondito, il quale serve da guida all’osservatore al fine di rilevarne, in modo ordinato e sistematico, la presenza e la frequenza in un determinato intervallo di tempo. Avvalendosi di una check-list elaborata dall’equipe professionale, la psicologa presente durante le attività e gli operatori che seguono il paziente al rientro in residenza, hanno la possibilità di segnalare la presenza o l’assenza di determinati comportamenti degli ospiti (allegato n. 5). - Test: gli anziani e il gruppo di controllo verranno sottoposti a due test di valutazione, anziché quattro: Esame dello stato mentale (“Mini-Mental State Examination”, MMSE) e Inventario neuropsichiatrico (“Neuropsychiatric Inventory”, NPI). Questo cambiamento è frutto della difficoltà di sottoporre un numero elevato di pazienti ai 4 test precedentemente utilizzati essendo presente anche il gruppo di controllo. Con l’analisi dei risultati dei due test si possono rilevare i cambiamenti dei dati nei pazienti partecipanti e non partecipanti al progetto, potendo così apportare delle riflessioni riguardo l’efficacia dello stesso. 6.2 Considerazioni finali È stato dimostrato che nei malati di Demenza la possibilità di provare emozioni e di riconoscerle intorno a Sé rimane inalterata a lungo, anche nelle fasi più avanzate della malattia. Sembra restare inalterata, in particolare, la sfera dell’affettività legata alle relazioni di accudimento parentale. Inoltre, si ritiene che più che da motivi cognitivi, la perdita di identità di questi malati dipenda in larga misura da implicazioni ambientali quali interventi generalizzati e impersonali e l’esposizione continua al giudizio da parte del personale clinico e dei “caregiver”. Il progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” ha sperimentato un innovativo approccio terapeutico tramite la stimolazione cognitiva bidirezionale tra pazienti affetti 115 da Demenza dei reparti protetti del “Civitas Vitae Nazareth” e bambini dell’asilo nido “L’Isola che non c’è”. Partecipando agli incontri ho osservato l’instaurarsi di relazioni autentiche tra i partecipanti, inoltre la disposizione del “setting” permette agli anziani un miglior ambientamento in quanto lo spazio è piccolo e colorato, gli ospiti sono seduti a semicerchio così da poter osservare i movimenti dei bambini e vicino a loro è presente l’educatrice. Assumendo il ruolo da osservatrice in struttura ho osservato l’incontro tra i bambini e gli anziani. I piccoli coinvolgono gli anziani, li salutano verbalmente esclamando “i nonni!” e alcuni si avvicinano per abbracciarli. Gli anziani in base alle loro capacità fisiche e cognitive interagiscono con i piccoli, aiutandosi a vicenda nel raggiungere gli obiettivi degli esercizi. Per ottenere un’analisi approfondita ho sottoposto alle educatrici dell’asilo nido e della residenza anziani un’intervista. (Allegato n. 6) Le domande sottoposte alle professioniste sono riferite in parte al progetto del 2017 e in parte al progetto del 2018, chiedendo in fine di parlare liberamente di questa esperienza. Dalle interviste emerge una grande soddisfazione del progetto tenuto nel 2017. Dall’analisi delle risposte le educatrici riferiscono di aver partecipato a tutti gli incontri, di aver rispettato al 90% la programmazione mensile delle attività, riportano l’adeguatezza del “setting” per il complimento delle attività e riferiscono che gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti. Emerge l’adeguatezza della metodologia e delle tecniche di valutazione, ma allo stesso tempo viene sottolineata la consapevolezza della necessità di apportare miglioramenti metodologici al progetto del 2018. I genitori dei bambini e i famigliari degli anziani risultano essere a conoscenza del progetto, quest’ultimi in base al loro interesse hanno ricevuto approfondimenti da parte dell’educatrice e della psicologa incaricata della supervisione del progetto a riguardo dell’efficacia a livello cognitivo dell’anziano. Infine entrambe le intervistate ritengono le pratiche intergenerazionali degli strumenti efficaci. L’educatrice dell’asilo riferisce l’importanza dell’educazione intergenerazionale in quanto permette di sensibilizzare i bambini alla diversità e al confronto con l’anziano 116 aiutandoli così a diventare degli adulti migliori più sensibili al bisogno e aumentando la loro empatia. Inoltre viene sottolineato la continua ricerca dell’anziano da parte dei bambini nella settimana scolastica e il riconoscimento dei “nonni” negli spazi esterni all’asilo. L’educatrice della residenza anziani racconta l’efficacia delle pratiche intergenerazionali a livello psico-fisico degli anziani. Queste prassi consentono agli anziani di restare “allacciati” a una realtà di famiglia che potevano aver avuto nel loro passato, riappropriandosi di un ruolo che gli aiuta a provare uno “sbocco vitale diverso” dalla vita passata in reparto. Inoltre viene sottolineata la possibilità per gli anziani di ricevere stimoli diversi in base alle attività che vengono fatte e soprattutto l’opportunità di ragionare, pensare ed esprimere le proprie emozioni. La professionista dichiara l’utilità di poter svolgere un’attività con un gruppo ristretto in quanto consente a ogni singolo individuo di ricevere maggior attenzioni che difficilmente possono essere date in reparto essendo presente un numero maggiore di ospiti. Da queste interviste emerge la grande soddisfazione del progetto avviato nel 2017 e la fiducia nel complimento del progetto iniziato a gennaio 2018, nonché la grade importanza e convinzione dell’efficacia delle pratiche intergenerazionali. 117 CONCLUSIONI A fronte del percorso di studio e di ricerca condotti ai fini della stesura del lavoro di tesi, molte domande e riflessioni sono sorte in me, insieme alla consapevolezza della necessità di valorizzare gli anziani come risorsa per la società, promuovendo pratiche intergenerazionali nei servizi educativi. L’andamento demografico che da anni caratterizza l’Italia ha portato oggi ad un elevato aumento della percentuale di popolazione anziana e ad una netta diminuzione della natalità. Secondo il rapporto ISTAT (2017), gli individui con un’età superiore a 65 anni superano i 13,5 milioni di persone in Italia e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli con un’età superiore agli 80 anni sono 4,1 milioni, cioè il 6,8% del totale, mentre gli ultranovantenni sono circa 727 mila, cioè l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a circa 17 mila. Il rapporto mondiale Alzheimer 2015 rileva che vi sono nel mondo 46,8 milioni di persone affette da un forma di demenza (nel 2010 se ne stimavano 35 milioni), cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni. I nuovi casi di demenza sono ogni anno oltre 9,9 milioni, vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi. In Italia si stima ad oggi che la demenza colpisca 1.241.000 persone (che diventeranno 1.609.000 nel 2030 e 2.272.000 nel 2050). La convivenza di anziani e bambini ha rappresentato per secoli un fatto naturale nella fisiologia delle trame sociali, ma con il passaggio dalla società contadina a quella industriale sono nate nuove tipologie di relazioni tra le generazioni. La civiltà occidentale ha radicato la propria organizzazione sulla segmentazione, gli individui sono sempre più lontani, racchiusi in un sistema modulare che prevede spazi diversi e una rigida delimitazione di tempi e di attività che sfavorisce l’incontro tra anziani e bambini. Nel lavoro di tesi viene indagata l’opportunità insieme alla necessità di costruire spazi fisici e mentali di incontro tra le diverse generazioni, di aumentare e migliorare il dialogo intergenerazionale come antidoto contro l’isolamento, l’esclusione sociale, la perdita di memoria e la disgregazione sociale, a partire dallo sviluppo delle politiche di invecchiamento attivo. Il supporto ai sempre più numerosi anziani, è considerato come una delle sfide prioritarie per le nazioni, in particolare per i paesi sviluppati. A partire dal 1948, su 118 iniziativa dell’Argentina, la comunità internazionale ha affrontato per la prima volta la questione dell’invecchiamento e l’argomento è stato riproposto a Malta nel 1969, consapevoli che la gestione della longevità stava diventando una delle sfide principali del secolo. Successivamente, nel 1982, le Nazioni Unite hanno convocato a Vienna la “Prima Assemblea mondiale sull’invecchiamento”. Da questo momento l’importanza delle politiche di invecchiamento attivo ed educazione permanente, diventano un tema fondamentale per i convegni nazionali e internazionali. Dalle ricerche condotte emerge la necessità di valorizzare l’educazione permanente degli anziani, soprattutto degli anziani affetti da demenza. Nonostante la gravità della malattia, è stato dimostrato che, nei malati di demenza, la possibilità di provare emozioni e di riconoscerle intorno a sé rimane inalterata a lungo, anche nelle fasi più avanzate. Inoltre sembra restare inalterata la sfera dell’affettività legata alle relazioni di accudimento parentale. Si ritiene che la perdita di identità dipenda in larga misura da implicazioni ambientali, quali interventi generalizzati e impersonali e l’esposizione continua al giudizio da parte del personale clinico e dei caregiver, più che da un deterioramento cognitivo. In questo panorama le pratiche intergenerazionali tra anziani e bambini rappresentano uno strumento efficace per promuovere l’educazione permanente e l’invecchiamento attivo. Dall’indagine si evince che i programmi intergenerazionali favoriscano l’instaurarsi di legami all’insegna del calore, dell’affetto e sostegno reciproco tra i partecipanti. Queste prassi rappresentano per entrambe le generazioni momenti di apprendimento reciproco e supportano il miglioramento delle capacità comunicative come l’ascolto e la comprensione, incrementando le abilità sociali come il rispetto, l’altruismo e la condivisione. Newman e Kaplan sottolineano l’importanza dell'intergenerazionalità come pratica di apprendimento bidirezionale cioè adulti-bambini e viceversa: in particolare, focalizzando l’attenzione sulle persone anziane, tra i benefici maggiormente osservabili vi sono il miglioramento della condizione psico-fisica del soggetto, la visione positiva della propria immagine e della propria identità e la diminuzione della sensazione di inutilità nei confronti della società. A livello psicologico e sanitario emerge la riduzione 119 della perdita di memoria, sintomi depressivi, sentimenti di solitudine, di isolamento, aumento della soddisfazione per la vita e una riduzione dello stress. In riferimento ai bambini si rileva un cambiamento positivo negli atteggiamenti e nella percezione nei confronti delle persone anziane in quanto aumentano l’empatia e il bagaglio di conoscenze circa la condizione senile. Da evidenziare, inoltre, che la promozione della politica intergenerazionale agisca non solo sui singoli partecipanti, ma anche sulla società, con obiettivi mirati a prevenire e mitigare i possibili conflitti e le distanze che vi sono tra le generazioni. Da questi approfondimenti teorici ho tratto diversi spunti di riflessione, i quali mi hanno condotto a studiare ed a esaminare i modelli e gli approcci teorici che fanno da sfondo ai progetti intergenerazionali. Di particolare rilevanza gli studi di J. Cambridge e A. Simandiraki, che nel 2006 hanno sintetizzato diverse teorie elaborando un modello funzionale a concettualizzare, in modo descrittivo e predittivo, le interazioni educative intergenerazionali, secondo diversi domini e stadi. Tale modello risulta articolato su tre assi: nel primo asse viene esaminato il tipo di interazione intergenerazionale (Kaplan, 2001), nel secondo asse vengono esaminati i domini in cui si svolge l’apprendimento (Bloom,1956), nel terzo ed ultimo asse viene esaminata la fase del ciclo in cui avviene l’apprendimento (Kolb, 1984). Da questo modello teorico si possono delineare le tre direzioni alle quali ogni progetto intergenerazionale appartiene. Tra le principali teorie che fanno da sfondo all’educazione intergenerazionale, la teoria dell’identità sociale e delle rappresentazioni sociali, la teoria del capitale sociale, la prospettiva dell’organizzazione sociale, la teoria dell’apprendimento situato, la prospettiva dell’empowerment di comunità, la teoria dello sviluppo, il modello psicosociale “person-centred care”, la prospettiva relazionale e la teoria del sé. Diversi progetti intergenerazionali sono stati attivati a partire da questi modelli teorici e si è verificato che i partecipanti e la comunità abbiano tratto beneficio da queste pratiche. La prima esperienza intergenerazionale della quale si hanno informazioni risale al 2001, in Francia, dove presso la Casa di Riposo Residence De l’Abbaye di Saint Maur, nelle vicinanze di Parigi, venne attuato un progetto che ha coinvolto anziani e bambini. 120 La cultura intergenerazionale negli ultimi anni si sta progressivamente diffondendo; un esempio è dato dal progetto, “Toghether old and young” (TOY) il quale dimostra come queste iniziative siano condivise a livello europeo. Il progetto è stato realizzato tra il 2012 e il 2014, finanziato dalla Commissione Europea, ha coinvolto nove organizzazioni partner in sette paesi europei, (Italia, Polonia, Belgio, Spagna, Portogallo, Irlanda e Slovenia). Dall’analisi delle iniziative del progetto TOY emerge l’impiego funzionale di diverse metodologie d’intervento, tecniche ed attività volte al miglioramento della qualità di vita dei partecipanti e alla creazione di un dialogo autentico tra anziani e bambini. Il presente lavoro ha posto in evidenza come le pratiche intergenerazionali possano, per l'anziano, contribuire a un miglioramento psico-fisico, mentre nella prima infanzia sviluppare comportamenti di altruismo, rispetto e condivisione nei confronti dell’anziano. A partire dall’evidenza che i bisogni dell’anziano siano diversificati e complessi, è possibile affermare che ciascuno ha la necessità e il diritto di avere una risposta adeguata. In particolare si rileva che negli ultimi anni i cambiamenti demografici abbiano portato ad un aumento della richiesta di assistenza e presa in carico di soggetti affetti da demenza nell’età senile, che comporta l’alterazione progressiva di alcune funzioni quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientamento, lo svolgimento di compiti complessi, il decadimento cognitivo e alterazioni della personalità e del comportamento. Interrogandomi su quali fossero in Italia i servizi preposti all’assistenza degli anziani, ho analizzato le diverse strutture e le loro finalità con l’obiettivo di ottenere una visione ampia e approfondita del welfare statale: da tale analisi emerge che questi potenzialmente possiedono i requisiti e le competenze per poter svolgere interventi intergenerazionali, dei quali potrebbe farsi promotore. Ruolo centrale in questa tesi è riservato alla figura dell’Educatore Professionale in relazione al lavoro educativo che svolge con l’anziano: il professionista accompagna l’ospite nell’inserimento in struttura, analizzando i suoi bisogni e contribuisce alla progettazione del suo percorso, attivando una collaborazione con l’utente e il suo sistema familiare di riferimento. 121 L’intervento educativo programmato dall’équipe educativa è improntato a creare un clima familiare e accogliente per il soggetto, a stimolare le sue funzioni cognitive e la creatività, oltre che a valorizzare le attitudini, i saperi e le capacità residue. Data la distanza sempre più ampia tra le generazioni, l’educatore professionale propone attività che aiutino l’anziano a recuperare la propria storia di vita, che restituiscano senso alla propria esistenza, alle abilità e ai saperi di cui è portatore, con l’obiettivo di poter agevolare una trasmissione dell’esperienza alle nuove generazioni. Dall’analisi dei bisogni degli anziani emerge l’importanza dell’attivazione dei progetti intergenerazionali nei quali gli anziani possano incontrare le generazioni più giovani, mirando così ad accorciare le distanze che nella società odierna si stanno creando, migliorando di conseguenza la qualità di vita dei soggetti. Nell’elaborato viene descritto il progetto intergenerazionale, avviato nel 2017 e messo in atto tra la residenza anziani “Nazareth” e l’asilo nido “L’isola che non c’è” di Padova. Il progetto dal nome “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” ha ottenuto ottimi risultati, poiché si è rilevato che abbia apportato benefici a livello psico-fisico agli anziani affetti da Alzheimer e ai bambini che vi hanno partecipato. Il progetto, che ha avuto luogo presso l’asilo nido con cadenza settimanale, si è realizzato da gennaio a luglio 2017: durante gli incontri, anziani e bambini erano impegnati nello svolgimento di due esercizi di stimolazione cognitiva e partecipavano alla lettura di una fiaba. Dalle osservazioni sul campo e dai dati raccolti attraverso i test di valutazione (MMSE, NPI, Test delle fluenze verbali, Test delle matrici attentive), che hanno coinvolto gli anziani affetti da Alzheimer all’inizio e al termine del progetto, emerge una stabilità o addirittura un miglioramento del decadimento cognitivo che permette di confermare le Dati i riscontri positivi ottenuti con il progetto del 2017, in collaborazione con l’équipe educativa è stata pianificata l’ipotesi progettuale del 2018, che ha previsto modifiche, miglioramenti ed integrazioni al progetto iniziale, in relazione ai bisogni e alle capacità cognitive del gruppo di utenti. Ho avuto l’opportunità di partecipare alla fase di progettazione e di avvio, che mi ha permesso di analizzare sul campo lo sviluppo delle relazioni tra i partecipanti e osservare i benefici delle modifiche apportate nella stesura dell’ipotesi progettuale. Grazie ai dati raccolti, ho potuto approfondire ed avvalermi dei contributi teorici riferiti alle pubblicazioni impiegati per la definizione del progetto. 122 I modelli teorici e i principi metodologici ai quali fa riferimento il progetto sono: la tecnica dell’osservazione partecipante, l’ascolto attivo, la stimolazione cognitiva e della memoria autobiografica, la teoria del capitale sociale, la teoria dell’apprendimento situato, la teoria dello sviluppo, la tecnica della reminiscenza, il modello psicosociale “person-centred care”. Il progetto si è sviluppato a partire dall’analisi dei bisogni degli utenti, definito attraverso l’osservazione dell’équipe professionale. I bisogni degli anziani affetti da Alzheimer prevedono: miglioramento del benessere psicofisico, sviluppo della socializzazione, sviluppo della dimensione di responsabilità, potenziamento delle abilità cognitive residue, mantenimento e sviluppo dei rapporti sociali, diminuzione dei disturbi di comportamento, rafforzamento del senso di identità, aumento della consapevolezza e dell’evocazione di emozioni, rievocazione della memoria e sviluppo della stessa e rafforzare il legame con le nuove generazioni. I bisogni dei bambini dell’asilo nido prevedono: sviluppo della socializzazione, mantenimento e sviluppo dei rapporti sociali, potenziamento della sensibilità verso l’anziano e la fragilità, potenziamento delle abilità cognitive (discriminazione, attenzione, memoria, orientamento spazio-temporale; comprensione, etc.). È emerso che tra anziani e bambini si possano instaurare relazioni funzionali, in cui si apprende e ci si sostiene a vicenda: ciò è stato dimostrato dai benefici osservati in relazione al comportamento dei bambini e al maggiore benessere riportato a livello psico-fisico dagli anziani affetti da Alzheimer. In particolare, i risultati ottenuti dai test di valutazione denotano una stabilità a livello cognitivo degli anziani affetti da Alzheimer e una riduzione dei disturbi di comportamento. Durante questo percorso ho potuto osservare come anziani e bambini prendendosi per mano, abbiano istaurato delle relazioni autentiche, ossia basate sull’ascolto, sull’empatia e sulla mentalizzazione. Ciò ha portato i piccoli a relazionarsi con il diverso da sé in modo disinvolto e positivo. Questo percorso li aiuta a crescere instaurando legami profondi con gli altri, non basati su stereotipi e pregiudizi. Attraverso la ricerca ho maturato la consapevolezza che sia necessaria una maggiore promozione delle pratiche intergenerazionali nei servizi educativi ed una maggior 123 sensibilizzazione verso gli anziani, valorizzandoli come soggetti attivi e risorsa per la società. Questa finalità può essere raggiunta sviluppando le politiche sull’invecchiamento attivo nella direzione di una maggiore integrazione dell’anziano nel contesto sociale di appartenenza, ampliando il lavoro in rete dei servizi per anziani, creando maggior collaborazione tra le scuole e le residenze per anziani, ma soprattutto iniziando a valorizzare l’anziano come risorsa per la nostra società. Questo percorso, infine, mi ha dato modo di migliorare le mie competenze professionali, di conoscere nuovi argomenti ed approfondire alcune tematiche trattate nel percorso di studi universitari. È stata un’esperienza di crescita professionale: sono entrata in contatto con professionisti che grazie alla loro motivazione, alla loro competenza e alla loro formazione mi hanno arricchita a livello personale e professionale e questi insegnamenti ho cercato valorizzarli nel mio lavoro di tesi. 124 BIBLIOGRAFIA AGOSTINO, S., Confessioni Sant’Agostino, Firenze, BUR, XI, 15.20, in Anima e tempo secondo Agostino, (a cura di) M. LAI, M. PANINI, G. SIRELLO, S. VALLERY, Savona, 2011. ALBANESE, A., e BOCCI, E., Intergenerazionalità e turismo. Aspetti psicosociali, Padova University Press, Padova, 2013. BAINCHETTI, A., METETIERI, T., TRABUCCHI, M., La demenza strumenti e metodi di valutazione, UTET, Marnate, 2001. BALDACCI, M., FRABBONI, F., PINO MINERVA, F., Continuare a crescere. L’anziano e l’educazione permanente, francoangeli, Milano, 2012. BALTES, P.B., REESE, H.W. e LIPSITT, L.P., Life-Span Developmental Psychology, Annual Review old Psychology, n. 31, 1980. BASCHIERA, B., La dimensione formativa e generativa intergenerazionale, Studium Educationis, Padova, 2011. dello scambio BAUMAN, Z., Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2011. BISSOLO G. E FAZZI, L., Costruire l’integrazione sociosanitaria, Carocci Faber, Roma, 2012. BLOOM, B., Taxonomy of Educational Objectives: The classification of educational goals, New York, 1956. BOFFO, V., La trasmissione trans-generazionale della cura educativa: dai nonni ai bambini, ETS, Pisa, 2012. BOSSIO, F., Il ruolo educativo e generativo dell’anziano in famiglia nell’epoca della globalizzazione, Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 1, 2016. BRANDANI, W., TOMISICH, M., La progettazione educativa: il lavoro sociale nei contesti educativi, Carocci, Roma, 2010. BURATTIN, E., FABI, G., FERRO, A., DE RITA, G., GIUS, E., MAIETTA, F., MASNAA, G., MORGANTI, M., SCANAGATTA, G., ZAMAGNI, S., La risorsa longevità. Un approccio concreto e innovativo, Marsilio, Venezia, 2008. CAMBI, F., CATARSI, E., (a cura di), Genitori e figli nell’età contemporanea. Relazioni in rapida trasformazione, Istituto degli Innocentri, Firenze, 2003. CASTIGLIONI, M., l’educazione degli adulti tra crisi e ricerca di senso, Unicopli, Milano, 2011. 125 CAVALLARI, F., Viaggio nella cittadella della vita, Cleup, Padova, 2016. CERROCCHI, L. E GILIBERTI E., Educare “nella e alla” età senile. Processi e pratiche di alfabetizzazione digitale e di socializzazione intra- e – inter- generazionale, Edizioni Junior-Spaggiari, Parma, 2014. COLOZZI, I. (a cura di), Dal vecchio al nuovo welfare. Percorsi di una morfogenesi, francoangeli, Milano, 2012. Commissione delle Comunità Europee, Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere, Bruxelle, 2006. CORSI M. E ULIVIERI S. (a cura di), Progetto Generazioni, Bambini e anziani: due stagioni della vita a confronto, Edizioni ETS, Pisa, 2012. DE LADOUCHETTE, O., Restar giovani è questione di testa, Feltrinelli, Milano, 2007. DELUIGI, R., Abitare l’invecchiamento, Itinerari pedagogici tra cura e progetto, Mondadori Università, Milano, 2014. DELUIGI, R., Processi di dialogo intergenerazionale alla prova dell’esperienza, I Quaderni dell’scs, Roma, 2014. DEMETRIO, D., Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica autobiografica, Laterza, Roma-Bari, 2003. DONNA, M. B., HATTON-YEO, A., HENKIN, N. A., JARROTT, S. E., KAPLAN, M. S., MARTÍNEZ, A., NEWMAN, S., PINAZO, S., SÁEZ, J. E WEINTRAUB, A.P.C., The benefits of intergenerational programmes. Intergenerational programmes: Towards a society for all ages, Social Studies Collection n. 23, La Caixa, Barcelona, 2007. DOZZA, L., FRABBONI, F., Pianeta anziani. Immagini, dimensioni e condizioni esistenziali, francoangeli, Milano, 2010. ERIKSON, E. H., Infanzia e società, Armando Editore, Roma, 2008. FORTUNATI, A., Il mestiere dell'educare. Bambini, educatori e genitori nei nidi e nei nuovi servizi per l'infanzia e la famiglia, Edizioni junior, Bologna, 1998. FREIRE P., Pedagogia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, Ega edizioni Gruppo Abele, Torino, 2004. FREIRE, P., Pedagogia dell'autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, EgaEdizioni Gruppo Abele, Torino, 2004. GALIMBERTI, U., La nostra società ad alto tasso di psicopatia non è adatta a fare figli, Cit. Da Wise Society People for the Future, 2001. 126 GATTICO, E., Jean Piaget, Bruno Mondadori, Milano, 2001. GECCHELE, M., e DANZA, G., Nonni e nipoti: un rapporto educativo, Ist. Rezzara, Vicenza, 1993. GECCHELE, M., L’immagine dei nonni nei fanciulli e nei preadolescenti, Pensa Multimedia, Lecce, 2015. GECCHELE, M. e MENEGHIN, L., Il dialogo intergenerazionale come prassi educativa, Il Centro Infanzia Girotondo delle Età, Edizioni ETS, Pisa, 2016. GOLEMAN D., Intelligenza emotiva, Bur Saggi, Milano, 2001. GRASELLI, B., Parlarsi per un nuovo ascolto, Armando Editore, Roma, 2007. KANIZSA, S. (a cura di), Il lavoro educativo. L’importanza della relazione nel processo di insegnamento-apprendimento, Bruno Mondadori, Milano, 2007. LÉVINAS, E., Totalità e infinito. Saggio sull'esteriorità, Jaca Book, Milano, 1980. LIPARI, D., Progettazione e valutazione nei contesti educativi, Edizioni Lavoro, Roma, 1995. LONGOBARDI, E., Parlare ai bambini che imparano a parlare, Il Mulino, Bologna, 2001. LUPPI, E., Pedagogia e terza età, Carocci, Roma, 2008. MADRIZ, E., Prendere forma per dare forma. L'azione educativa professionale, Armando, Roma, 2011. MAIDA, S., MOLTENI, L., NUZZO, A., Educazione e osservazione. Teorie, metodologie e tecniche, Carocci Faber, Roma, 2009. MANCINA, C., Tra pubblico e privato: la scoperta dell’intimità, in C. MANCINA-M. RICCIARDI, Famiglia italiana. Vecchi miti e nuove realtà, Roma, Donzelli, 2012. MECOCCI, P., CHERUBINI, A. E SENIN, U., Invecchiamento cerebrale, Critical Medicine Publishing Editore, Roma, 2002. MEZIROW, J., Apprendimento e trasformazione, Raffaelle Cortina, Milano, 2003. MUSI, E., La danza delle stagioni. Fondamenti antropologici e pedagogici di un'insolita convivenza: l'esperienza del “Centro Anziani e Bambini insieme” di Piacenza, ETS, Pisa, 2012. NEVE, E., La fragilità sociale della persona anziana: problemi e risposte, in Studi Zancan, n. 1, 2011. 127 OTTAVIANO C., Nonne/i e nipoti: l'invecchiamento attivo come risorsa familiare e sociale nell’epoca delle passioni tristi, in Rivista Formazione Lavoro Persona, n. 11, 2014. PALMIERI C. e PRADA, G., Non di sola relazione. Una cura del processo educativo, MIMESIS, Milano, 2008. PARK A-LA, The Effects of Intergenerational Programmes on Children and Young People, in International Journal of School and Cognitive Psychology, 2, London, 2015. PASIN, E., Salvarsi con una fiaba. Esperienza di terapia psicologica con i malati di Alzheimer, Ed. Magi, Roma, 2010. PATI, L., Il valore educativo delle relazioni tra le generazioni – coltivare legami tra nonni, figli e nipoti, Effattà, Torino, 2010. Pinazo, S. E Kaplan, M., The benefits of intergenerational programmes: Towards a society for all ages, Social Studies Collection, n. 23, La Caixa Fundation, Barcelona, 2007. QUINODOZ, D., Invecchiare. Una scoperta, Borla, Roma, 2009. RINALDI, C., In dialogo con Reggio Emilia ascoltare, ricercare e apprendere, Reggio Children, Reggio Emilia, 2009. RIPAMONTI, E., Anziani e cittadinanza attiva. Imparare per sé, impegnarsi con gli altri, Unicopli, Milano, 2005. RISI, E., L’apprendimento contro l’invecchiamento. Le opportunità di formazione per gli anziani all’uso delle nuove tecnologie”, Quaderni Europei sul nuovo Welfare, n. 12, 2009. SCHOTSMANS, P., La terza età, Concilium, n. 3, 1991. Sempio, O. L., Cavalli, G., Lo sguardo consapevole. L’osservazione in ambito educativo, Ed. Unicopli, Milano, 2005. SGRITTA, G. B., Il gioco delle generazioni. Famiglie e scambi sociali nelle reti primarie, francoangeli, Milano, 2002. SHOCK, N. W., GREULICK, R. C., ANDRES, R., ARENBERG, D., Normal Human Aging: The Baltimore Longitudinal Study of Aging, Government Printing Office, Washington DC, 1984. SLADE, A., Relazione genitoriale e funzione riflessiva. Teoria, clinica e intervento sociale, Astrolabio, Roma, 2010. 128 STOPPA, F., La restituzione: perché si è rotto il patto tra le generazioni, Feltrinelli, Milano, 2011. TOFFANO MARTINI E., Ripensare la relazione educativa, Pensa Multimedia, Lecce, 2007. TRAMMA, S., Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, Guerini Studio, Milano, 1989. TRAMMA, S., Inventare la vecchiaia, Meltemi, Roma, 2000. Tramma, S., L’educatore imperfetto. Senso e complessità del lavoro educativo, Carocci Faber, Roma, 2008. VECHETTI FANZI, S., Nuovi nonni per nuovi nipoti. La gioia di un incontro, Mondadori, Milano, 2008. VIANELLO, R. E MAMMARELLA, I. C., Psicologia delle disabilità. Una prospettiva Life Span, edizioni junior, Parma, 2016. WARNER SCHAIE, K., Longitudinal Studies of Adult Psychological Development, New York, 1983. 129 SITOGRAFIA www.abcd94.fr www.anep.it www.community.oiconlus.it www.cooperativaunicoop.it www.educare.it www.envejecimientoactivo.wordpress.com www.newwelfare.org www.toyproject.net www.treccani.it 130 ALLEGATI 131 Allegato n. 1: Esame dello stato mentale (“Mini-Mental State Examination”, MMSE) pz.:______________________ età: _____ anni data:____________ scolarità: _____ anni MINI MENTAL STATE EXAMINATION Orientamento T “Mi dice che giorno della settimana __________ è oggi? Sa dirmi anche la data,__________ il mese,_____ _____ l’anno ___________ e la stagione __________?” |__| (max 5) Orientamento S “In che luogo __________ siamo adesso? E a quale piano __________? In che città, __________ regione __________ e stato __________ ci troviamo?” |__| (max 5) Registrazione. "Adesso faremo un piccolo test di memoria; io Le dirò il nome di tre oggetti e Lei dovrà ripeterli dopo che io li avrò detti tutti e tre… CASA, PANE, GATTO.” n° tentativi: _____ (max 6) __________, __________, __________. (max 3) |__| Attenzione e Calcolo. Fare entrambe le seguenti prove ed assegnare il punteggio migliore ottenuto in una delle due: 1) ”Ora Le chiedo di fare alcuni conti. Deve sottrarre da 100 la cifra 7 per cinque volte.”… ________ 132 “100 meno 7, quanto fa? … e meno 7 ancora? …” ___, (93, 86, 79, 72, ___, ___, ___, ___. 65.). |__| 2) “Ora Lei dovrebbe scandire questa parola al contrario, partendo dall’ultima lettera tornando indietro fino alla prima: CARNE.” (E, N, R, A, C.). ___, ___, ___, ___, ___. |__| |__| (max 5) Rievocazione. “Si ricorda le tre parole di prima?” __________, __________, __________. |__| (max 3) Denominazione. “Come si chiama questo?” (matita) ______________________ “E questo?” (orologio) ______________________ (max 2) |__| Ripetizione. “Ora Lei dovrà ripetere la frase che io Le dirò esattamente nello stesso modo. NON C’È SE NE MA CHE TENGA.” __________________________________ |__| (max 1) Comando a tre stadi orale. "Ora Le chiederò di fare alcune cose, ascolti bene tutto e poi lo faccia: FOGLIO CON LA MANO DESTRA, LO PIEGHI A METÀ E LO BUTTI PER TERRA." _______________, _______________, _______________ (max 3) Comando semplice scritto. "Ora legga quello che c'è scritto qui e lo faccia." 133 PRENDA IL |__| (chiuda gli occhi) __________________________________ |__| (max 1) Scrittura. "Scriva una frase qualsiasi che Le viene in mente." (max 1) |__| Prassia costruttiva "Copi questo disegno." |__| (max 1) Punteggio Totale P.G. = |____| (max 30) P.C. = |____| ……................................................................................................................................ ........………..................................................................................................................... ..................………........................................................................................................... 134 135 Allegato n. 2: Inventario neuropsichiatrico (“Neuropsychiatric Inventory”, NPI) UCLA NEUROPSYCHIATRIC INVENTORY Cognome e Nome......................................................... Data di nascita.............................................................. Codice del paziente...................................................... Valutatore.................................................................... Data di valutazione...................................................... LEGENDA FREQUENZA: 0=mai 1=raramente (meno di una volta alla settimana) 2=talvolta (circa una volta alla settimana) 3=frequentemente (diverse volte alla settimana, non tutti i giorni) 4=molto frequentemente (una o più volte al giorno) STRESS EMOTIVO /PSICOLOGICO: 0=nessuno 1=minimo 3=moderato 4=severo 5=grave A. DELIRI Il paziente crede cose che non sono vere? Per esempio, insiste sul fatto che qualcuno voglia fargli del male o di rubargli qualcosa. Dice che i componenti della famiglia non sono chi dicono di essere, o che la casa non è la sua? Non mi riferisco a semplice sospettosità, siamo interessati a sapere se il paziente sia convinto che queste cose gli stiano realmente accadendo. CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Il paziente crede di essere in pericolo o che qualcuno voglia fargli del male? Il paziente crede che qualcuno lo stia derubando? Il paziente crede che il/la proprio/a marito/moglie lo tradisca? Il paziente crede che ospiti indesiderati vivano nella sua casa? Il paziente crede che il/la coniuge od altre persone non siano in realtà chi dicono di essere? Il paziente crede che la propria abitazione non sia casa propria? Il paziente crede che i familiari vogliano abbandonarlo? Il paziente crede che le immagini della televisione o le fotografie delle riviste siano realmente presenti in casa? cerca di interagire con esse?) Il paziente crede altre cose insolite di cui non le ho chiesto? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) 1 2 3 AXB STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVI: deliri presenti ma sembrano innocui e producono poco disturbo al paziente; 136 2. MODERATI: i deliri sono disturbanti e dirompenti; 3. MARCATI: i deliri sono molto distruttivi e rappresentano una delle principali cause dei disturbi comportamentali. Se sono presenti farmaci sedativi ciò costituisce un indice di marcata gravità dei deliri. B. ALLUCINAZIONI Il paziente ha allucinazioni, cioè vede e sente cose che non esistono? Sembra vedere, sentire o provare cose non presenti? Con questa domanda non intendiamo solamente convinzioni sbagliate, cioè affermare che una persona morta sia ancora viva; piuttosto vogliamo sapere se il paziente presenta la percezione non normale di suoni o di visioni. CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. Il paziente dice di sentire delle voci o si comporta come se le sentisse? 2. Il paziente parla con persone che non sono presenti? 3. Il paziente riferisce di vedere cose che gli altri non vedono o si comporta come se vedesse cose che gli altri non vedono (come persone, animali, luci...)? 4. Il paziente dice di sentire odori che gli altri non sentono? 5. Il paziente riferisce di sentire cose che strisciano o lo toccano sulla pelle? 6. Il paziente riferisce di percepire sapori senza una causa nota? 7. Il paziente riferisce altre esperienze sensoriali insolite? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVI: allucinazioni presenti ma sembrano innocui e producono poco disturbo al paziente; 2. MODERATE: le allucinazioni sono disturbanti e dirompenti; 3. MARCATE: le allucinazioni sono molto distruttive e rappresentano una delle principali cause dei 4. disturbi comportamentali. Farmaci sedativi potrebbero essere necessari per controllare le allucinazioni. C. AGITAZIONE/AGGRESSIVITA’ Il paziente ha periodi durante i quali rifiuta di collaborare o durante i quali non si lascia aiutare dagli altri? E’ difficile da gestire? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE seguenti domande) • NO (item successivo di screening) 137 • SI (con le 1. Il paziente diviene irritato con chi cerca di assisterlo o resiste ad attività come il bagno od il cambio dei vestiti? 2. Il paziente è ostinato, volendo le cose fatte a modo suo? 3. Il paziente non collabora, resiste se aiutato da altri? 4. Il paziente presenta altri comportamenti che rendono difficoltosa la sua gestione? 5. Il paziente grida o bestemmia in modo arrabbiato? 6. Il paziente sbatte le porte, dà calci ai mobili, lancia gli oggetti? 7. Il paziente tenta di fare del male o di colpire degli altri? 8. Il paziente presenta altri comportamenti aggressivi o presenta altre forme di agitazione? FREQUENZA (A) GRAVITA’(B) AXB STRESS CAREGIVER 0 1 2 3 4 1 2 3 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: il comportamento è disturbante ma può essere controllato con supervisione o rassicurazioni; 2. MODERATA: il comportamento disturbante è difficile da sviare o controllare; 3. MARCATA: l’agitazione è molto disturbante e rappresenta uno dei problemi principali; può esserci pericolo per la sicurezza personale. I farmaci sono spesso necessari. D. DEPRESSIONE/DISFORIA Il paziente sembra essere triste o depresso? Dice di sentirsi triste o depresso? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) domande) • SI (con le seguenti 1. 2. 3. 4. 5. 6. Il paziente ha dei periodi di malinconia o di pianto che sembrano indicare tristezza? Il paziente parla o si comporta come se fosse giù di corda? Il paziente si abbatte o dice di sentirsi un fallito? Il paziente dice di essere una persona cattiva o si aspetta di essere punito? Il paziente sembra molto scoraggiato o dice di non avere speranze per il futuro? Il paziente dice di essere un peso per la propria famiglia o che la propria famiglia starebbe meglio senza di lui? 7. Il paziente dice di desiderare la morte o dice di volersi uccidere? 8. Il paziente presenta altri segni di depressione o di tristezza? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: la depressione è disturbante ma può essere controllata con supervisione o rassicurazioni; 138 2. MODERATA: la depressione è disturbante, i sintomi depressivi sono espressi spontaneamente dal paziente e sono difficili da alleviare; 3. MARCATA: la depressione è molto disturbante e rappresenta una delle principali cause di sofferenza per il paziente. E. ANSIA Il paziente è molto nervoso, allarmato, spaventato senza veri motivi? Sembra molto teso o agitato? E’ impaurito dal rimanere lontano da voi? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. Il paziente dice di essere allarmato per le cose che succederanno nel futuro? 2. Il paziente ha dei momenti in cui si sente debole, incapace di rilassarsi o si sente eccessivamente teso? 3. Il paziente ha momenti (o si lamenta) di respiro corto, è ansimante, sospirante senza apparente ragione se non nervosismo? 4. Il paziente si lamenta di avere le “rane” nello stomaco, di batticuore quando è nervoso (sintomi non spiegabili da malattie)? 5. Il paziente evita certi posti o situazioni che lo rendono più nervoso, quali viaggiare in automobile, incontrare amici oppure stare tra la folla? 6. Il paziente diventa nervoso e disturbato se viene separato da voi (o da chi lo assiste)? vi sta accanto per evitare la separazione? 7. Il paziente manifesta altri segni d’ansia? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: l’ansia è disturbante ma può essere controllata con supervisione o rassicurazioni; 2. MODERATA: l’ansia è disturbante, i sintomi ansiosi sono espressi spontaneamente dal paziente e sono difficili da alleviare; 3. MARCATA: l’ansia è molto disturbante e rappresenta una delle principali cause di sofferenza per il paziente. F. ESALTAZIONE/EUFORIA Il paziente è eccessivamente felice o allegro senza motivo? Non s’intende la normale felicità mostrata alla vista di amici, quando si ricevono regali, o quando si sta con i parenti. Vi sto chiedendo se il paziente ha un persistente ed anomalo stato di euforia o se trova ridicole cose che gli altri non trovano divertenti. CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) domande) 139 • SI (con le seguenti 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Il paziente sembra sentirsi eccessivamente bene o essere troppo felice, in modo differente dal solito? Il paziente trova ridicole e ride per cose che gli altri non ritengono spiritose? Il paziente ha un senso dell’umorismo da bambino con la tendenza a ridacchiare o ridere quando non è il caso (come per esempio quando qualche contrattempo colpisce altre persone?) Il paziente fa degli scherzi o compie osservazioni che sono poco spiritose ma che lui pensa divertenti? Il paziente compie scherzi come dare pizzicotti oppure fa dei giochetti solo per divertimento? Si vanta o dice di essere molto più bravo o più ricco di quanto sia veramente? Il paziente mostra altri segni che indicano che si sente troppo bene o troppo felice? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: l’esaltazione è evidente ma non è dirompente; 2. MODERATA: l’esaltazione è evidentemente anormale; 3. MARCATA: l’esaltazione è molto pronunciata, il paziente è euforico e trova quasi tutto ridicolo. G. APATIA/INDIFFERENZA Il paziente ha interesse verso il mondo che lo circonda? Ha perso interesse nel fare le cose o è meno motivato ad iniziare cose nuove? Il paziente ha difficoltà nell’introdursi in conversazioni o nelle faccende di casa? Il paziente è apatico o indifferente? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. Il paziente è meno spontaneo o meno attivo del solito? 2. Il paziente è meno disponibile ad iniziare conversazioni? 3. Il paziente si comporta meno affettuosamente o mostra perdita delle emozioni rispetto al solito? 4. Il paziente contribuisce meno alle faccende di casa? 5. Il paziente sembra meno interessato alle attività ed ai progetti degli altri? 6. Il paziente ha perso interesse verso gli amici ed i parenti? 7. Il paziente è meno entusiasta dei suoi interessi? 8. Il paziente mostra altri segni di noncuranza nel fare cose nuove? 9. FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 GRAVITA’: 140 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 1. LIEVE: l’apatia è evidente ma produce poca interferenza con la routine di tutti i giorni, solo 2. lievemente differente dal comportamento abituale del paziente, il paziente risponde a stimolazioni ed è coinvolto in attività; 3. MODERATA: l’apatia è molto evidente; può essere superata con l’incoraggiamento e la persuasione del caregiver, risponde spontaneamente solo ad eventi importanti quali visite di parenti o di famigliari, 4. MARCATA: l’apatia è molto evidente ed usualmente non risponde ad alcun incoraggiamento od evento esterno. H. DISINIBIZIONE Il paziente sembra agire impulsivamente senza pensarci? Fa o dice cose che di soliti non dice o non fa in pubblico? Fa cose imbarazzanti per voi o per gli altri? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. Il paziente agisce impulsivamente senza apparentemente considerare le conseguenze? 2. Il paziente parla ad estranei come se li conoscesse? 3. Il paziente dice delle cose offensive o irrispettose? 4. Il paziente dice cose volgari o fa apprezzamenti sessuali che di solito non faceva? 5. Il paziente parla apertamente di cose private che di solito non discuteva in pubblico? 6. Il paziente si prende delle libertà o tocca oppure abbraccia altre persone in modo diverso al solito comportamento? 7. Il paziente mostra altri segni di disinibizione? 8. FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: la disinibizione è evidente ma usualmente risponde alle correzioni;. 2. MODERATA: la disinibizione è molto evidente e difficile da superare da parte del caregiver, risponde spontaneamente solo ad eventi importanti quali visite di parenti o di famigliari; 3. MARCATA: la disinibizione solitamente non risponde ad interventi da parte del caregiver ed è fonte di imbarazzo o di difficoltà sociali. I. IRRITABILITA’/LABILITA’ Il paziente si irrita o si arrabbia con facilità? Il suo umore è molto variabile? E’ impaziente in modo anormale? Non intendiamo frustrazioni per le difficoltà di memoria o l’incapacità di compiere semplici operazioni; vogliamo sapere se il paziente presenta un’irritabilità anomala, impazienza o rapidi cambiamenti d’umore che si differenziano dal solito. CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE domande) • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti 141 Il paziente ha un brutto carattere, “perde le staffe” per piccole cose? Il paziente presenta rapidi cambiamenti di umore, passando dalla serenità alla rabbia? Il paziente presenta improvvisi momenti di rabbia? Il paziente è insofferente, si innervosisce per i ritardi o attende ansiosamente di portare a termine le cose che aveva programmato? 5. Il paziente è irritabile o nervoso? 6. Il paziente borbotta facilmente e risulta difficile sopportarlo? 7. Il paziente presenta altri segni di irritabilità? 1. 2. 3. 4. 8. FREQUENZA (A) CAREGIVER 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) 1 2 3 AXB STRESS 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: la irritabilità o la labilità è evidente ma usualmente risponde alle correzioni ed alle rassicurazioni; 2. MODERATA: la irritabilità o la labilità è molto evidente e difficile da controllare da parte del caregiver, risponde spontaneamente solo ad eventi importanti quali visite di parenti o di famigliari; 3. MARCATA: la irritabilità e la labilità sono molto evidenti, solitamente non rispondono ad interventi da parte del caregiver e sono uno dei problemi principali. J. COMPORTAMENTO MOTORIO ABBERRANTE Il paziente continua a camminare, continua a fare e rifare le stesse cose come aprire gli armadi o i cassetti, oppure sposta in continuazione gli oggetti o attorciglia le stringhe o i lacci? CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti domande) 1. Il paziente gira per la casa senza un preciso scopo? 2. Il paziente si aggira per la casa aprendo e rovistando cassetti ed armadi? 3. Il paziente continua a mettersi e togliersi i vestiti? 4. Il paziente fa azioni o particolari movimenti che continua a ripetere? 5. Il paziente tende a ripetere continuamente determinati gesti quali abbottonarsi, afferrare, slacciarsi le stringhe, ecc.? 6. Il paziente si agita eccessivamente, sembra incapace di stare seduto o fa saltellare in modo eccessivo i piedi o le dita? 7. Il paziente presenta altre attività ripetitive? FREQUENZA (A) GRAVITA’(B) AXB STRESS CAREGIVER 0 1 2 3 4 1 2 3 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: l’attività motoria anomala è evidente ma interferisce poco con le attività quotidiane; 2. MODERATA: l’attività motoria anomala è molto evidente, può essere controllata da parte del caregiver; 142 3. MARCATA: l’attività motoria anomala è molto evidente, solitamente non risponde ad interventi da parte del caregiver e rappresenta uno dei problemi principali. K. SONNO Il paziente presenta disturbi del sonno? Sta alzato, vaga per la casa durante la notte, si veste e si sveste, disturba il sonno dei familiari? (non è da considerare se il paziente si alza due o tre volte per notte per andare in bagno e poi torna a letto e si addormenta immediatamente). CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE domande) • NO (item successivo di screening) • SI (con le seguenti 1. Presenta difficoltà ad addormentarsi? 2. Si alza spesse volte durante la notte? (non è da considerare se il paziente si alza due o tre volte per notte per andare in bagno e poi torna a letto e si addormenta immediatamente). Vaga per la casa e svolge attività inopportune? 3. Disturba i familiari e li tiene svegli? 4. Si veste e vuole uscire di casa credendo che sia mattino? 5. Si sveglia molto presto al mattino (rispetto alle sue abitudini?) 6. Dorme eccessivamente durante il giorno? 7. Il paziente presenta altri disturbi notturni che le provocano disturbo e non le ho nominato? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE: il disturbo è evidente ma interferisce poco con le attività quotidiane; 2. MODERATA: il disturbo è molto evidente, può essere controllato da parte del caregiver; 3. MARCATA: il disturbo è molto evidente, di solito non risponde a nessun intervento da parte del caregiver e rappresenta uno dei problemi principali. L. DISTURBI DELL’APPETITO E DELL’ALIMENTAZIONE Il paziente presenta disturbi dell’alimentazione come alterazioni delle abitudini, o delle preferenze alimentari. Ha subito variazioni di peso? ( Se è incapace di alimentarsi rispondere NON APPLICABILE). NO se non, procedere con la successiva domanda di screening. Si procedere con le seguenti domande. CERCHIARE IL DISTURBO • NON APPLICABILE • NO (item successivo di screening) domande) 1. 2. 3. 4. 5. • SI (con le seguenti Presenta perdita dell’appetito? Presenta aumento dell’appetito? Presenta diminuizione di peso? Presenta aumento di peso? Ha cambiato le sue abitudini alimentari? (per esempio mangia voracemente?) 143 6. Presenta cambiamenti di gusto riguardo ai tipi di cibo che gli/le piacciono? (per esempio mangia molti alimenti dolci o preferisce un cibo particolare?) 7. Ha sviluppato specifiche abitudini come mangiare sempre le stesse cose ogni giorno o sempre nello stesso ordine? 8. Il paziente presenta altri disturbi dell’appetito o dell’alimentazione che non le ho nominato? FREQUENZA (A) 0 1 2 3 4 GRAVITA’(B) AXB 1 2 3 STRESS CAREGIVER 1 2 3 4 5 GRAVITA’: 1. LIEVE:il disturbo è evidente ma interferisce poco con le attività quotidiane; 2. MODERATA: il disturbo è molto evidente, può essere controllato da parte del caregiver; 3. MARCATA: il disturbo è molto evidente, di solito non risponde a nessun intervento da parte del 4. caregiver e rappresenta uno dei problemi principali. 144 Allegato n. 3: Test di fluenza verbale (fonemica, semantica) TEST di FLUENZA FONEMICA F P L 1. 1. 1. 2. 2. 2. 3. 3. 3. 4. 4. 4. 5. 5. 5. 6. 6. 6. 7. 7. 7. 8. 8. 8. 9. 9. 9. 10. 10. 10. 11. 11. 11. 12. 12. 12. 13. 13. 13. 145 14. 14. 14. 15. 15. 15. 16. 16. 16. 17. 17. 17. 18. 18. 18. 19. 19. 19. 20. 20. 20. Tot.: P.G. = |____| Tot.: P.C. = |____| Tot.: P.E. = 0 146 1 2 3 4 TEST di FLUENZA SEMANTICA Animali Frutti Marche d'auto 1) 1) 1) 2) 2) 2) 3) 3) 3) 4) 4) 4) 5) 5) 5) 6) 6) 6) 7) 7) 7) 8) 8) 8) 9) 9) 9) 10) 10) 10) 11) 11) 11) 12) 12) 12) 13) 13) 13) 14) 14) 14) 15) 15) 15) 147 16) 16) 16) 17) 17) 17) 18) 18) 18) 19) 19) 19) 20) 20) 20) Tot.: P.G. = |____| Tot.: P.C. = |____| Tot.: P.E. = 0 148 1 2 3 4 Allegato n. 4: Test delle matrici attentive 5 (A) 2 6 5 9 4 5 2 5 2 6 (B) 4 1 2 5 1 3 0 4 9 1 I. 0 6 7 6 8 9 8 0 8 0 II. 9 0 4 3 0 1 9 3 7 6 III. 7 9 5 3 7 8 8 9 7 6 IV. 7 3 7 6 8 5 8 5 3 2 V. 5 2 3 1 2 3 1 7 2 8 VI. 4 1 7 4 7 6 9 1 8 3 VII. 2 7 4 2 6 2 9 4 5 0 VIII. 4 3 4 0 4 3 0 2 8 2 IX. 6 1 5 6 1 5 8 3 6 9 X. 4 5 2 8 1 3 9 1 5 1 149 7 9 7 5 0 7 3 4 0 8 2 6 (A) 2 6 5 9 4 5 2 5 2 6 (B) 4 1 2 5 1 3 0 4 9 1 I. 0 6 7 6 8 9 8 0 8 0 II. 9 0 4 3 0 1 9 3 7 6 III. 7 9 5 3 7 8 8 9 7 6 IV. 7 3 7 6 8 5 8 5 3 2 V. 5 2 3 1 2 3 1 7 2 8 VI. 4 1 7 4 7 6 9 1 8 3 VII. 2 7 4 2 6 2 9 4 5 0 VIII. 4 3 4 0 4 3 0 2 8 2 IX. 6 1 5 6 1 5 8 3 6 9 XI. 150 X. 4 5 2 8 1 3 9 1 5 1 XI. 7 9 7 5 0 7 3 4 0 8 1 4 9 2 6 5 9 4 5 2 5 2 6 4 1 2 5 1 3 0 4 9 1 I. 0 6 7 6 8 9 8 0 8 0 II. 9 0 4 3 0 1 9 3 7 6 III. 7 9 5 3 7 8 8 9 7 6 IV. 7 3 7 6 8 5 8 5 3 2 V. 5 2 3 1 2 3 1 7 2 8 VI. 4 1 7 4 7 6 9 1 8 3 VII. 2 7 4 2 6 2 9 4 5 0 (A) (B) 151 VIII. 4 3 4 0 4 3 0 2 8 2 IX. 6 1 5 6 1 5 8 3 6 9 X. 4 5 2 8 1 3 9 1 5 1 XI. 7 9 7 5 0 7 3 4 0 8 P.G. = |____| (max 60) P.C. = |____| P.E. = 0 152 1 2 3 4 Allegato n. 5: Griglia di controllo (“check-list”) Ospite: ________________________ Data: __/__/__ TEMPI CRITERI SI PRIMA Oppone resistenza per andare all’asilo (dice che non ha voglia, non vuole alzarsi...) Si relazione in modo positivo con i bambini (dialoga, gioca, ride …) Collabora durante le attività (interviene, fa domande…) DURANTE Chiede il sostegno del personale educativo durante le attività (cerca il contatto fisico con l’educatore/psicologo presente, lo chiama ripetutamente…) Ha disturbi del comportamento (delirio, agitazione …) Sembra agitato (parla velocemente, chiama ripetutamente il personale educativo, alza il tono di voce, fa movimenti bruschi …) DOPO Riporta al personale educativo il suo stato d’animo, osservazioni, pensieri … A pranzo manifesta problemi nel mangiare (non vuole mangiare, dice di non aver fame…) Riscontra problemi nel sonno (non dorme, si addormenta con più difficoltà, è agitato, si risveglia agitato ...) OSSERVAZIONI 153 NO OSSERVAZIONI Allegato n. 6: Intervista Educatrice Anziani 1- Che ruolo ha ricoperto nella partecipazione al progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” del 2017? 2- Ha partecipato a tutti gli incontri? 3- Ritiene che il “setting” sia stato adeguato al raggiungimento delle finalità del progetto? 4- Secondo lei sono stati raggiunti gli obiettivi del progetto per gli anziani? In che percentuale? Stimolare e riabilitare le funzioni cognitive. Contenere i disturbi del comportamento; rafforzare le funzioni sociali e identitarie; stimolare alcune funzioni cognitive preservate; stimolare l’evocazione di emozioni; stimolare la rievocazione di momenti significativi della vita. 5- Il progetto ha stimolato la creazione di un dialogo significativo tra gli anziani e i bambini? 6- In che percentuale è stata rispettata la programmazione mensile delle attività? 7- Ritiene adeguata la metodologia e le tecniche di valutazione utilizzate? (test) 8- Si ritiene soddisfatta dei risultati del progetto? 9- Le famiglie degli ospiti sono a conoscenza del progetto e dei benefici che può apportare a livello psico-fisico dei propri cari? 10- Le famiglie degli ospiti ritengono il progetto uno strumento efficace per migliorare la qualità di vita dei propri cari? 11- Ritiene le pratiche intergenerazionali degli strumenti educativi efficaci per un miglioramento psico-fisico del soggetto anziano affetto da Alzheimer? Se sì, perché? 154 Allegato n. 7: Intervista Educatrice Asilo Nido 1. Che ruolo ha ricoperto nella partecipazione al progetto “Un nuovo passo nell’intergenerazionalità” del 2017? 2. Ha partecipato a tutti gli incontri? 3. Ritiene che il “setting” sia stato adatto al complimento delle finalità del progetto? 4. Secondo lei sono stati raggiunti gli obiettivi del progetto per i bambini? In che percentuale? Sensibilizzare alla diversità e alla fragilità; Apprende nuove nozioni. Riconoscere le differenze; promuovere l’accettazione delle differenze; stimolare l’apprendimento dei colori primari; stimolare l’apprendimento del senso di orientamento. 5. Il progetto ha stimolato la creazione di un dialogo significativo tra gli anziani e i bambini? 6. In che percentuale è stata rispettata la programmazione mensile delle attività? 7. Ritiene adeguata la metodologia e le tecniche di valutazione utilizzate? 8. Si ritiene soddisfatta dei risultati del progetto? 9. I genitori dei bambini sono a conoscenza delle finalità del progetto? 10. I genitori dei bambini ritengono il progetto uno strumento efficace per l’educazione dei figli? 11. Ritiene le pratiche intergenerazionali degli strumenti educativi efficaci per i bambini? Se sì, perché? 155