Giacomo Leopardi scrisse entrambi gli Idilli nel 1819, anno cruciale della sua esistenza e segnato dalla sofferenza fisica. Infatti proprio in questo anno le condizioni di salute di Leopardi peggiorano notevolmente e un problema alla vista gli impedì la lettura, di conseguenza i dolori per lui aumentarono. In entrambe le poesie il paesaggio che fa da sfondo è quello della città natale, Recanati, ma più precisamente è quello dell’attuale colle dell’Infinito molto caro al poeta. Sia nell’ L’Infinito che in Alla luna Leopardi fa attività di pensiero, infatti l’una è basata sull’immaginazione, mentre l’altra sul «rimembrar». In entrambe le poesie viene evidenziata l’importanza dello scorrere del tempo, e tutte e due terminano in modo positivo. Infatti nell’L’Infinito il passare del tempo forma, nella mente del poeta, un infinito nel quale è ‘dolce naufragare’, mentre in Alla luna il rimembrare il passato è positivo poiché rende vive nella nostra mente le esperienze trascorse, siano esse positive o negative. Nell’Idillio L’Infinito Giacomo Leopardi si perde nell’immaginazione, ma in seguito il suono della natura lo riconduce nel mondo reale, e così facendo la sua mente è portata a comparare l’immaginario con il reale formando un infinito in cui essa naufraga dolcemente. Il poeta è il protagonista dell’Idillio e si trova isolato in mezzo alla natura del suo paese natale (Recanati). Leopardi immagina di trovarsi in cima al monte Tabor (colle dell’Infinito) e di osservare il paesaggio che gli sta attorno, ma il suo orizzonte visivo è limitato da una siepe, e così la sua mente cerca di figurarsi il paesaggio oltre quella siepe. In questo modo il suo pensiero si figura, ovvero crea: « interinati / spazi» e «sovrumani/silenzi, e profondissima quiete » . Queste però risultano essere tre immagini irreali; infatti la vista non potrà mai estendersi per spazi interminati, ovvero infiniti, in quanto essa è limitata; così come non risulterà mai possibile incontrare il silenzio assoluto, infatti per natura il mondo che ci sta attorno è fatto di rumori, siano essi piacevoli o fastidiosi, ma non si possono eliminare completamente. E anche una profonda quiete rappresenta una condizione alquanto insolita infatti affinché essa si realizzi è necessario che ci sia assoluto silenzio, ma, come si è detto, ciò non risulta possibile. Queste immagini irreali che la mente del poeta crea con l’immaginazione risultano talmente surreali che l’animo del protagonista quasi si smarrisce ( «ove per poco / il cor non si spaura» ). Ma il cuore di Leopardi non fa in tempo a smarrirsi completamente in quanto sopraggiunge alle sue orecchie il dolce suono del vento, provocato dagli alberi che stanno alle sue spalle, che riconducono i pensieri del poeta nel mondo reale. Però il passaggio dal mondo della fantasia al mondo reale non poteva avvenire in maniera repentina e così si verifica una fase intermedia in cui l’immaginazione si mischia con la realtà. Dunque la mente del poeta paragona le immagini che precedentemente si è figurata con il rumore del vento, così si figura: « l’eterno, /e le morte stagioni, e la presente/e viva, e il suon di lei ». Queste nuove immagini rappresentano l’infinito in cui il pensiero del poeta s’annega. La mente di Leopardi naufraga dolcemente nel mare dell’infinito ( « e il naufragar m’è dolce in questo mare »). Ma le immagini di cui si compone questo infinito sono riferite allo scorrere del tempo infatti « l’eterno » sta ad indicare qualcosa di duraturo nel tempo, dunque immortale e positivo. « Le morte stagioni » si riferiscono al tempo trascorso, dunque morto, che non torna più, per cui negativo. Infine « la presente / e viva, e il suon di lei » allude al tempo presente ovvero la stagione presente che è viva e fa sentire il suo suono attraverso i suoi rumori. Tramite questa rappresentazione di tempo è possibile identificare la pessimistica concezione del tempo che fugge di Leopardi; infatti egli identifica il passato con «le morte stagioni» , ovvero con un immagine cupa e triste che suscita nel lettore sensazioni negative. Mentre il presente lo rappresenta con «la presente / e viva, e il suon di lei», quindi con qualcosa di attivo che si fa sentire; è qualcosa di piacevole che consente al lettore di figurarsi immagini positive. Ma questo infinito permette al pensiero del poeta di annegare, di naufragare, ma ciò avviene dolcemente. Come è possibile che un annegamento, un naufragio si svolga dolcemente? Certamente pare molto strano e surreale, eppure gli ultimi due versi mettono molta tranquillità nel lettore, essi sono lenti diversamente dal resto del componimento in cui le azioni si svolgono rapidamente. Infatti con questi versi Leopardi attraverso l’immaginazione ha voluto trovare un po’ di distrazioni dai travagli della sua vita, e così trova il piacere in un naufragio. Ciò è reso possibile proprio dall’immaginazione, infatti secondo il poeta nel mondo reale non è possibile la felicità in quanto l’uomo per sua natura ricerca sempre il piacere, e come riesce a soddisfare un suo desiderio subito ne vuole un altro e così all’infinito, trovandosi dunque sempre alla ricerca del piacere non riesce mai, se non per istanti brevissimi, a soddisfare realmente la sua esigenza di felicità. Un esempio di questo concetto è possibile rintracciarlo nel Il sabato del villaggio in cui viene descritto il giorno del sabato che è positivo in quanto i nostri pensieri vanno al domani, al giorno di festa e dunque tutti si preparano felici per la festa, ma quando poi giunge il giorno tanto atteso tristezza e noia riempiono gli animi; infatti terminata l’attesa, svanisce la speranza e si torna a pensare agli impegni settimanali e l’allegria svanisce. Ma questo è ciò che avviene nel mondo reale, nel mondo fantastico la situazione è differente, infatti in esso è possibile raggiungere la felicità. Infatti, l’immaginazione porta la mente fuori dal mondo reale, in un mondo in cui tutto risulta possibile, in cui il piacere è possibile. Ma il piacere, come si è detto, è dato da un infinito tentativo di soddisfare le esigenze dell’anima umana, che però questa non è in grado di accontentare e di conseguenza il piacere va per forza unito al dispiacere, non è possibile senza di esso. Ecco perché all’interno della mente è possibile un piacere che si compone di positivo e negativo, e dunque è possibile un naufragio dolce. L’immaginazione permette di concepire le cose che nella realtà non possono esistere e così facendo porta giovamento allo spirito. Nell’Idillio Alla luna Giacomo Leopardi dialoga con la luna nel tentativo di far rivivere immagini che, un anno prima aveva osservato e gli avevano riscaldato il cuore. Il tema dello scorrere del tempo è centrale nel componimento, in cui è descritto il tempo presente in relazione a quello passato. Il poeta introduce la poesia rivolgendosi direttamente alla luna («O graziosa luna»), e subito dopo dice che questo dialogo non avviene nel mondo reale, bensì si svolge nella mente del poeta («io mi rammento»). Fin da questi primi versi si può rintracciare un alternanza fra passato e presente: infatti il verbo è al presente («rammento»), ma in seguito Leopardi descrive l’azione che lui soleva fare l’anno precedente («io venia, «a rimirarti»), e qui i verbi sono posti al passato. Inoltre il poeta comunica qual’era il suo stato d’animo («pien d’angoscia»), e in seguito descrive le azioni che compiva la luna («tu pendevi», «tutta la rischiari»), e anche in questo passaggio i verbi sono in alternanza fra presente e passato infatti troviamo «pendevi» che è passato e «rischiari» che invece è al presente. La luna, l’anno precedente, splendeva abitualmente sopra al colle dell’Infinito, proprio come tutt’ora fa, e il poeta era solito andare sulla sommità del medesimo colle a rimirarla, e in questi momenti il suo animo non era sereno, ma pieno d’angoscia. Il passo seguente è dedicato alla descrizione della reazione del poeta di fronte allo spettacolo che la luna pone dinnanzi ai suoi occhi e viene data una spiegazione alla triste reazione del poeta. Leopardi davanti al suo paese, specie osservando il colle dell’Infinito, illuminato dalla luna piange («pianto / che mi sorgea sul ciglio»), e così lo spettacolo della luna appariva ai suoi occhi («alle mie luci»), annebbiato e tremolante («nebuloso e tremulo»). Giacomo Leopardi aveva questa reazione d’innanzi a un così bello spettacolo perché in quell’anno la sua vita era ricca di travagli e sofferenze («travagliosa / era mia vita»). Al passaggio successivo Leopardi abbandona i pensieri che si rifanno al tempo trascorso per descrivere quello che è il presente, che però non si mostra differente dal passato infatti anch’esso è ricco di dolore e angoscia («ed è»). Anche in questo passaggio è possibile rintracciare un gioco di alternanza fra passato e presente dato dai tempi verbali usati, infatti «sorgea» è passato, così come «apparia» e «era», ma «è» è al presente. Successivamente dopo aver raccontato com’era il suo stato d’animo nel passato e com’è tutt’ora si sofferma a spiegare che nonostante i ricordi siano tristi e dolorosi comunque nel presente gli portano giovamento nel cuore («e pur mi giova / la ricordanza»), e qui il verbo «giova» è al presente. I due versi che seguono non appartengono alla prima stesura dell’Idillio, bensì sono stati aggiunti nel 1835, due anni prima della morte del poeta, quando ora mai Leopardi vedeva la morte avvicinarsi e la speranza in lui andava svanendo e quindi per cercare un po’ di giovamento si attaccava ai ricordi, che anche se dolorosi, e talvolta ancora vivi, gli portavano comunque conforto. In questi versi aggiuntivi viene fatta una riflessione sull’età della giovinezza che il poeta considera positiva in quanto durante questa fase della nostra esistenza i ricordi sono minori delle speranze poiché davanti la vita è ancora lunga («quando ancor lungo / la speme e breve ha la memoria il corso»). Infatti per il poeta più il tempo passa più i dolori aumentano e la speranza va diminuendo. E anche in questo passaggio il verbo è al presente «ha». I due versi conclusivi descrivono le conseguenze del «rimemebrar», le quali risultano positive, anche se i ricordi sono dolorosi e provocano giovamento nell’animo del poeta. A questo punto ci si può domandare come sia possibile trovare giovamento nel ricordare il negativo, e ancor più come risulta possibile provare piacere davanti a esperienze che hanno lasciato un segno negativo nella nostra esistenza e che tutt’ora lo lasciano. Leopardi a questo interrogativo risponde sostenendo che nel momento in cui si ricorda torna in vita qualcosa di noi, e fino a quando è possibile il «rimembrar» è possibile provare, almeno per un istante piacere, in quanto ciò dà l’illusione di far rivivere esperienze trascorse, ovvero fa resuscitare qualcosa che era morto. Quindi con i nostri pensieri grazie al ricordo siamo in grado di far rivivere qualcosa, anche se solo nella mente, il che nella vita reale non sarà mai realizzabile e quindi grazie a questa illusione, anche se si rifà a qualcosa di negativo, il nostro animo risulta felice. Per Leopardi i ricordi dell’infanzia sono particolarmente positivi, e risultano essere quelli che portano maggior conforto; infatti egli vede l’età della fanciullezza in modo positivo in quanto risulta essere la migliore di tutta l’esistenza di ogni individuo. Si può bene notare che sia nell’Idillio L’infinito che in Alla luna domina ciò che dona giovamento allo spirito umano portandolo a riacquistare quell’equilibrio che può essere drammaticamente spezzato dal dolore. In Alla luna il dolore e il piacere coesistono grazie al rimembrare, mentre nell’L’Infinito sofferenza e gioia coesistono grazie all’immaginazione. Entrambe le poesie sono introdotte da due aggetti affettivi positivi nei confronti della natura, nell’ L’Infinito troviamo infatti «caro» riferito al colle dell’Infinito, mentre in Alla luna «graziosa» rivolto alla luna. Inoltre entrambe le poesie si concludono dolcemente, ma unendo a qualcosa di positivo qualcosa di negativo «e il naufragar m’è dolce in questo mare» (L’Infinito), «anocr che triste, e che l’affanno duri! » (Alla luna). Da questi versi emerge dunque la teoria del piacere di Giacomo Leopardi, ovvero che esso è un desiderio infinito e irraggiungibile nel mondo reale, e soprattutto che esso può essere raggiunto solo in un mondo fantastico, ovvero nel mondo dei nostri pensieri e che è figlio d’affanno. Infatti il poeta sostiene che il piacere è un innato desiderio dell’uomo che nel reale non sarà mai soddisfatto in quanto nel momento in cui si soddisfa un desiderio subito l’uomo si pone un altro obiettivo e così all’infinito non arrivando mai al piacere. I due Idilli oltre a concentrarsi entrambi sulla ricerca del piacere hanno anche una costruzione molto simile. Sono tutte e due brevi, infatti L’Infinito si compone di quindici versi, mentre Alla luna di sedici. Entrambi sono composti di endecasillabi sciolti. Inoltre sia L’infinito che Alla luna sono composte di quattro periodi di differente durata. Ma soprattutto sia nell’una che nell’altra vi è una costruzione basata sugli enjambement che evidenziano il contrasto tra rottura metrica e sintattica. Infatti nell’ L’Infinito si possono rintracciare degli enjambement di notevole rilievo quando si fa riferimento all’area semantica («interinati / spazi», «sovrumani / silenzi», «quello / infinito», «questa / immensità»). Mentre in Alla luna sono da rilevare gli enjambement dei versi 6 e 7 («pianto / che») e successivamente 8 e 9 («travagliosa / era»). Inoltre in entrambe le poesie si evidenzia un ripetuto uso di aggettivi dimostrativi. Infatti nell’L’Infinito sono da rilevare «quest» al v. 1 riferito al colle, «questa» del v. 2 che rappresenta la siepe , «quella» v. 5 sempre riferito alla siepe, «queste» ad indicare le piante e «quello», che si riferisce all’infinito silenzio, del v. 9, «questa» al v. 10 riferito alla voce del vento, «questa» al v. 13 ad indicare l’immensità e infine «questo» al v.15 in riferimento all’infinito, tutti questi aggettivi indicano un rapporto di vicinanza o lontananza dall’autore, infatti questo e questa servono per indicare qualcosa di vicino, mentre quello e quella si riferiscono a qualcosa di lontano. Mentre in Alla luna gli aggettivi sono «questo» al v. 2 che si riferisce al colle che è vicino al poeta e successivamente «quella» del v. 4 sempre in riferimento alla selva del colle dell’Infinito, in seguito al v. 5 «la» usato al posto di quella in riferimento alla selva. Inoltre si può notare che in entrambi gli idilli Leopardi fa uso nei vv. 1, 7 e 11 (L’Infinito), e nei versi 1, 7 e 10 (Alla luna) del pronome personale “mi”, il che rappresenta un parallelismo volontario voluto dal poeta. L’utilizzo di questo pronome è fondamentale per evidenziare la partecipazione attiva del poeta all’interno delle sue poesie e allo stesso tempo per rendere universale ciò che viene narrato; infatti Leopardi descrive qualcosa che vale per lui ma allo stesso tempo vale anche per tutti gli altri uomini. Oltre a ciò è anche possibile notare che in entrambe le poesie Leopardi dichiara di star facendo attività di pensiero, infatti nell’ L’Infinito dice al v. 7 «io nel pensier» e ancora al v. 14 si legge «il pensier mio», mentre in Alla luna dice di star ricordando al v. 1 («rammento»).