TESINA INTEGRATIVA di LUIGI BENINCASA A. IL MERCATO DEL LAVORO IN GENERALE 2 1. INTRODUZIONE 2 2. DISOCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO 2 3. SALARIO NOMINALE E SALARIO REALE 3 3. I PREZZI 4 4. EQUILIBRIO NEL MERCATO DEL LAVORO 4 5. LEGGE DI OKUN, CURVA DI PHILLIPS 5 B. ADEGUAMENTI SALARIALI E OCCUPAZIONE IN EUROPA 7 1. RELAZIONE TRA ELASTICITÀ E TASSO DI OCCUPAZIONE 7 2. CONCLUSIONI 10 C. ULTERIORI APPROFONDIMENTI 12 1. La rigidità delle strutture istituzionali come aggravamento degli effetti della crisi ECONOMICA 12 2. SOLIDITÀ ISTITUZIONALE E PROSPETTIVE DI CRESCERE E BENESSERE ECONOMICO 13 BIBLIOGRAFIA 17 1 A. IL MERCATO DEL LAVORO IN GENERALE 1. INTRODUZIONE Nella presente tesina si prenderà per spunto il Riquadro n. 3 del Bollettino economico numero 1 del 2017 (pp. 28-33), dal titolo: “Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: alcuni risultati dall’indagine Wage Dynamics Network”. Prima però di analizzare approfonditamente lo studio sopra citato è però opportuno fare una ricognizione sui principali concetti macroeconomici in tema di mercato del lavoro. 2. DISOCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO La teoria macroeconomia classica, nell’analisi del mercato del lavoro, parte dal concetto basilare di disoccupato e disoccupazione: disoccupato è chi, trovandosi in età lavorativa, avendo cioè compiuto il quindicesimo anno di età, e cercando attivamente un impiego, non trova occupazione. Volendo fare una ulteriore distinzione nell’ambito dei disoccupati, abbiamo i disoccupati in senso stretto, cioè quelli che hanno perso il lavoro, e gli inoccupati, che invece sono alla ricerca di una prima occupazione. Gli occupati, i disoccupati in senso stretto e gli inoccupati costituiscono la forza lavoro (FL) mentre altri soggetti in età da lavoro (casalinghe e studenti) e non (pensionati) non vi appartengono; nell’analisi del mercato del lavoro si tiene conto solo di quei soggetti - occupati e non - che entrano a far parte della forza lavoro. Pertanto la forza lavoro (FL) sarà così calcolata: L= E+U, dove E sta per occupati ed U per disoccupati. D’altra parte, la disoccupazione, quel fenomeno macroeconomico per cui non tutta la forza lavoro potenziale è effettivamente impiegata, si presenta sotto forma di tre varianti: frizionale, strutturale e ciclica. La disoccupazione frizionale è un elemento naturale di qualsiasi sistema economico, trovandosi anche in un’economia “sana”, essa dipende dalla lentezza nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro dovuta a una molteplicità di fattori, in primis le asimmetrie informative tra i due settori del mercato (domanda e offerta). La disoccupazione strutturale invece dipende dal modo in cui si conforma nello specifico il mercato del lavoro: ad esempio, vengono richieste certe competenze molto specialistiche che non tutti i lavoratori potenziali hanno, perciò chi ne è sprovvisto rimane disoccupato. Oppure, come avvenuto di recente a seguito della crisi, si introducono una serie di riforme radicali del mercato del lavoro (ad es., Job Act) che, mirando a rendere più flessibile il medesimo, finiscono per aumentare il tasso di disoccupazione, ad esempio perché è più facile licenziare (v. riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori). Infine, la disoccupazione ciclica, 2 come suggerisce il termine stesso, è quella che si verifica in corrispondenza dei mutamenti dei cicli economici (crescita o recessione). Per misurare il livello di occupazione e di disoccupazione di una economia, si fa solitamente riferimento a due indici: il tasso di separazione (s) e il tasso di occupazione (o), tale per cui il tasso di disoccupazione naturale sarà pari a: U/L=s/s+o . 3. SALARIO NOMINALE E SALARIO REALE Altro concetto chiave nell’ambito del mercato del lavoro, attorno al quale ruotano tutte le varie politiche macroeconomiche in materia, è quello dei salari (W). Esiste in tale ambito una stretta correlazione tra domanda, produzione e salari che può essere riassunta nei seguenti termini: se cresce la domanda, in assenza di scorte di magazzino, sarà necessario aumentare la produzione, ciò porta a un incremento dell’occupazione e a un incremento dei salari. Salari più alti fanno aumentare i costi di produzione e ciò porta le imprese ad aumentare i prezzi finali dei beni. Ma un amento dei prezzi riduce la domanda e ciò si ripercuote a cascata su occupazione e salari. Venendo in concreto alle modalità di fissazione dei salari, dobbiamo introdurre il concetto di salario di riserva, cioè quel salario per cui al lavoratore è indifferente se lavorare o non lavorare. Ovviamente, le imprese offriranno ai lavoratori nella stragrande maggioranza dei casi salari superiori a quello di riserva per invogliarli ad accettare l’impiego, per cui per i lavoratori non è indifferente lavorare o non lavorare. Altra variabile che bisogna prendere in considerazione nella determinazione dei salari è la condizione generale del mercato del lavoro, ed in particolare l’equilibrio tra domanda ed offerta di lavoro. Maggiore è l’offerta, minore sarà il prezzo della prestazione lavorativa, il salario. Altro fattore importante è il livello di qualifica del lavoratore da cui discende la forza contrattuale del medesimo, maggiore è la sua qualifica, più elevato sarà il suo potere contrattuale. Ma la forza contrattuale dei lavoratori può dipendere anche da altri fattori, come la presenza di organizzazioni sindacali che coalizzando i lavoratori ne aumentano la capacità di incidere sulle dinamiche negoziali. Ulteriore ragione infine che spinge le imprese a prevedere salari più alti di quelli di riserva è quello di incentivare i lavoratori medesimi a svolgere meglio le loro mansioni, in questo caso perciò il salario funge da incentivo. Riassumendo, il salario è funzione dei prezzi attesi, del tasso di disoccupazione e degli incentivi di disoccupazione. In riferimento alla prima variabile si evidenzia come maggiori sono i prezzi attesi, maggiore dovrà essere il salario affinché il lavoratore possa acquistare con esso beni e servizi. Altra variabile da cui dipende il salario è, come detto, il tasso di disoccupazione, che è in funzione negativa dell’ammontare del salario. In altri termini, maggiore è la disoccupazione e quindi l’offerta di lavoro, minore sarà 3 il livello di retribuzione, in virtù della nota legge della domanda e dell’offerta. I sussidi di disoccupazione invece sono in funzione positiva rispetto ai salari perché alla presenza di essi sussiste un non-incentivo a cercare una nuova occupazione. Infatti, i lavoratori licenziati che percepiscono un sussidio di disoccupazione saranno meno incentivati a trovare un nuovo posto di lavoro. Riassumendo: W=P, F(u, z); e dividendo entrambi i membri per P, W/P =(u, z), dove il primo termine è il cd salario reale, quello cioè che esprime il reale potere di acquisto. 3. I PREZZI Per quanto riguarda la determinazione dei prezzi, essi dipendono dai costi. I costi a loro volta sono influenzati dalla funzione di produzione che descrive le diverse combinazioni di fattori produttivi, lavoro e capitale, che danno origine alla medesima quantità di prodotto. Nell’analisi dei costi dell’impresa, poniamo che il capitale (K) nel breve periodo sia costante, mentre il lavoro (L) possa essere modificato. L’imprenditore pertanto, com’è noto nell’analisi macroeconomica, sceglierà quella quantità di lavoro per cui il prodotto marginale del lavoro, ossia il prodotto di una unità addizionale di fattore produttivo, eguaglia il costo marginale, ossia il costo sostenuto per produrre una unità addizionale di output. Questo è quello che succede nei mercati perfettamente concorrenziali. Tuttavia, nella realtà i mercati non sono mai, o quasi mai, in regime di concorrenza perfetta e pertanto le imprese fissano il prezzo finale con un margine di ricarico sulla produttività marginale del lavoro, tale per cui P= (1+m)W, dove m>0 è il ricarico sul costo marginale di produzione o, in inglese, mark-up. Dividendo entrambi i membri dell’equazione per il salario (W), si ottiene il seguente risultato: P/W= (1+m) ed invertendo entrambi i membri si ottiene il salario reale W/P= 1/(1+m). Tale equazione è l’equazione dei prezzi e ci dice come il salario reale fissato dalle imprese (W/P) è in funzione delle decisioni di prezzo, tale per cui un aumento del mark-up, a parità di salario, fa aumentare i prezzi e diminuire il salario reale. 4. EQUILIBRIO NEL MERCATO DEL LAVORO Così descritto il mercato del lavoro, passiamo ad analizzare la condizione di equilibrio del medesimo: il salario reale risultante dalla determinazione dei salari deve essere uguale al salario calcolato sulla base dei prezzi. Se si raggiunge tale uguaglianza c’è comunque un tasso di disoccupazione, che viene definito disoccupazione naturale (U.n.). Per calcolare tale tasso di disoccupazione, si parte dalle due equazioni menzionate prima: W/P=F(u, z) e W/P = 1/(1+m), per cui F(u.n., z)=1/(1+m). Un aumento dei prezzi, che può conseguire ad esempio ad una politica antitrust meno restrittiva, sposta verso il basso l’equazione dei prezzi, ciò 4 determina uno spostamento verso il basso del punto di equilibrio (E) lungo curva dei salari e un aumento del tasso di disoccupazione. Se invece aumentano i sussidi di disoccupazione (z), la curva dei salari trasla verso destra, perciò aumenta il tasso di disoccupazione, perché per i lavoratori è meno conveniente cercare una nuova occupazione, essendo il periodo di disoccupazione coperto dai sussidi. 5. LEGGE DI OKUN, CURVA DI PHILLIPS Esiste una stretta relazione, studiata dall’economista Arthur Melvin Okun, tra il livello di crescita di una economia e il tasso di disoccupazione, una relazione di tipo inverso. Detto in altri termini, se aumenta la produzione, cioè se l’economia cresce, diminuisce il livello di disoccupazione. Quindi per ridurre la disoccupazione è necessario fa crescere l’economia. Al contrario, se l’economia entra in una fase di recessione (decrescita) anche il tasso di occupazione dovrebbe diminuire. In particolare, per mantenere fermo il tasso di disoccupazione la crescita deve essere pari alla somma dell’aumento della forza lavoro e della produttività del lavoro. Inoltre, non sempre un aumento della crescita determina un aumento dell’occupazione di pari misura, le imprese potrebbero infatti scegliere di fare lavorare di più dipendenti già assunti; così come un aumento del tasso di occupazione non produce un’automatica riduzione del tasso di occupazione, è infatti possibile che le imprese assumano soggetti fuori dalla forza lavoro e perciò non formalmente disoccupati. Altra importante legge in materia è quella enunciata dalla curva di Phillips che studia la relazione negativa tra inflazione e disoccupazione: quando la disoccupazione è alta, l’inflazione è bassa e viceversa quando l’inflazione è alta, la disoccupazione è bassa. Tale legge era valida nell’economia statunitense dal 1900 al 1960. Negli anni ’70 si inizia a manifestare un’altra relazione, quella tra la disoccupazione e l’inflazione attesa. L’intuizione di Phillips partì da una osservazione del mercato del lavoro, per cui il tasso di disoccupazione diminuiva al crescere dei salari nominali. Secondo alcuni ciò dipenderebbe dal fatto che i sindacati, in ipotesi di scarsa occupazione, dovuta magari ad una fase di recessione, hanno meno forza contrattuale perciò sono disposti ad accettare anche un basso livello di retribuzione. Secondo altri, la relazione inversa appena enunciata dipende dal fatto che in presenza di salari bassi, vicino al salario marginale, le imprese incontrino una maggiore difficoltà ad assumere lavoratori. La teoria di Phillips venne poi corretta da una altro economista, Lipsey, che che prese in considerazione separatamente un’equazione per i prezzi e una per i salari, in modo che i secondi (i salari) fossero determinati dal tasso di disoccupazione mentre i primi (i prezzi) dal mark-up sui salari e sui costi. In altri modelli poi è stato sostituito il tasso di inflazione al posto del tasso di 5 variazioni dei salari, riunendo il tutto in una sola equazione. Ciò perché i salari rappresentano una componente di costo sulla quale le imprese basano le proprie scelte di fissazione del livello dei prezzi. Dalla curva di Phillips, riveduta e corretta, se ne ricava perciò la conclusione che se i salari crescono più velocemente della produttività, i prezzi tendono ad aumentare e ciò fa crescere l’inflazione. Per mantenere un livello dei prezzi costante quindi è necessario che produttività e crescita dei salari vadano di pari passo. Bisogna quindi individuare il tasso di disoccupazione cd frizionale che determini un aumento della produttività e mantenga al e πt = αdigPinflazione. medesimo tempo basso il livello dunque in presenza di t - β(Ut - UNSiamo t) un due obiettivi et dovetrade-off : πt è il tasso(scelta effettivo tra di variazione dei prezzi,contrastanti) gPte rappresenta iltra tassodisoccupazione atteso di inflazione, U inflazione. è il tasso effettivo di disoccupazione e UNt è il tasso naturale di disoccupazione. Se α=1 l’inflazione Con laè crisi petrolifera degli anni ’70variazione però tale relazione prevista pienamente incorporata nell’effettiva dei prezzi, quindi:cambia, in quanto e l’inflazione comincia ad essere in crescita, pertanto le πt - gPcostantemente t = β(Ut - UNt) aspettative suidivergerà prezzi da parte dei lavoratori incominciarono ad incorporare La disoccupazione dal suo tasso naturale unicamente se esiste un divario tra il tasso di l’inflazione. Si era cosìatteso. entrati in una fase diè presente stagnazione, in dicui c’era non un inflazione effettivo e quello Quando nel sistema un livello inflazione anticipata livello la disoccupazione può divergereed daluna suo tasso naturale. elevato di disoccupazione elevata inflazione. Sulla economisti base di tali considerazioni consegue anche una descrizione grafica. Supponiamo, come Gli Phelps ene Friedman riformularono la cura di Phillips, nella figura successiva, la curva PC1 siaal la curva curva ditende Phillipsadispostarsi breve periodo che corrisponde ad affermando che nelche lungo periodo verso l’alto mano un tasso d’inflazione atteso uguale a zero. Se il tasso di disoccupazione è ugualeSIa u*, le attese di che le aspettative si adattano al tasso di inflazione realizzato. avrà quindi inflazione soddisfatte e l’economia a u*.periodo, In corrispondenza, invece, tasso di di una seriesono di curve di Phillips per resta il breve ciascuna pari dial un tasso disoccupazione pari aPoiché u1 si avrebbe un tasso di inflazione pari a verso π1. Unal’alto politica economica inflazione atteso. la curva di Phillips si sposta man mano espansiva potrebbe infatti ridurre i livelli di disoccupazione conducendo l’economia dal punto A al che le aspettative si adattano al tasso di inflazione atteso, il trade-off nel punto B. La stabilità dell’equilibrio B dipende dalla presenza o meno di illusione monetaria nei lungo periodo scompare e il tasso di inflazione si porta al suo livello naturale. lavoratori. L’aumento dell’occupazione è dovuto qui all’aumento dei salari monetari indotto dalla La disoccupazione divergerà dal suo tasso naturale se esiste un divario tra il politica espansiva del Governo, ma il conseguente aumento del livello dei prezzi comporta lo stesso tasso di inflazione effettivo e quello atteso. Pertanto è ulteriore confermato livello di salario reale. Se gli agenti economici contrattano in termini reali, quando essi notano che i quanto sostenuto Keynes nella suaridurranno Teoria Generale: nel breve periodo le prezzi aumentano allo da stesso ritmo dei salari, l’offerta di lavoro e la disoccupazione politiche macro Nel tornerà al suo livelloeconomiche naturale (puntosono C). Laefficaci. presenza di un lungo tasso di periodo inflazioneinvece positivo non generac’è un alcun trade-off tra inflazione e disoccupazione. Per mantenere basso il livello rialzo delle aspettative inflazionistiche e questo sposta la curva di Phillips di breve periodo verso di disoccupazione ed affinché evitareil tasso tassidi disoccupazione di inflazionevenga elevatissimi perciò, l’alto, in PC2. A questo punto, mantenuto a uè, 1 è necessario necessario una politica di flessibilizzazione mercato lavoro.successivo uno che il tasso d’inflazione aumenti a π2 (punto D) il chedel comporta però del nel periodo spostamento ulteriore della curva di Phillips verso destra. Affinché il tasso di disoccupazione venga mantenuto a u1 sarà, quindi, necessario un continuo aumento dell’inflazione (“ipotesi accelerazionista”). 6 Tuttavia, anche questo aggiustamento della curva di Phillips “aumentata delle aspettative” mantiene la validità dell’assunto keynesiano di efficacia delle politiche economiche, almeno nel breve B. ADEGUAMENTI SALARIALI E OCCUPAZIONE IN EUROPA 1. RELAZIONE TRA ELASTICITÀ E TASSO DI OCCUPAZIONE A quanto risulta da una indagine svolta dal Wage Dynamics Network esiste un nesso ben preciso tra contrattazione collettiva, rigidità al ribasso dei salari e occupazione. Lo studio in questione ha messo in luce come nelle moderne economie di mercato, dove sono presenti una serie politiche sociali volte ad impedire l’eccessiva diminuzione dei salari, specie in periodi di crisi, ha come effetto collaterale quello di produrre un incremento della disoccupazione proprio nei periodi di crisi economica anzidetti. Nel riquadro analizzato si cerca di vedere come un medesimo effetto si riscontri nell’ambito delle singole imprese situate in zona euro durante il periodo 2010-13. I dati impiegati sono quelli raccolti nell’ambito della terza edizione dell’indagine Wage Dynamics Network (WDN) del SEBC. Nell’ambito del periodo di indagine sopra menzionato, caratterizzato da una crisi del debito sovrano, gli andamenti delle imprese interpellate sono stati molto differenti: il 44 % delle imprese interpellate ha registrato una riduzione della domanda, mentre il 32 % ha dichiarato che la domanda è aumentata. La quota di imprese che ha ridotto i posti di lavoro o i salari è significativamente superiore fra quelle la cui domanda si è ridotta. Nello specifico, il 43% di queste imprese ha ridotto il personale e il 14 % i salari di base. Dall’entità del calo della domanda (44 %) e del calo di occupazione (43 %), la relativa, e a dir il vero contenuta, riduzione dei salari fanno supporre la presenza di rigidità verso il basso dei salari nominali. Infatti, tra le imprese interpellate che hanno riscontrato un calo della domanda un quarto dichiaravano di aver congelato i salari al ribasso. Ciò è dovuto probabilmente a molteplici fattori: densità sindacale, contrattazione collettiva, tutela dei posti di lavoro ecc. In particolare, causa principale di tale rigidità salariale verso il basso sono gli accordi di retribuzione collettiva: nell’area euro la quota di lavoratori interessati da un accordo collettivo è quasi pari al 75%, molto più rilevante che nell’area non euro, dove la quota si aggira attorno al 30% circa. Vari singoli paesi poi (tra cui l’Italia) si collocano significativamente al di sopra della media dell’area euro. Con la sola eccezione dei Paesi Bassi, il valore elevato di tali quote dipendeva esclusivamente da contrattazione che si svolgevano a livello (nazionale o settoriale anziché decentrato a livello aziendale) esterno rispetto all’impresa interessata. Qui sotto si riporta il grafico relativo ai lavoratori interessati da contrattazione collettiva nell’anno 2013: 7 Lettonia e Lituania la quota della contrattazione collettiva, inferiore al 20 per cento, è notevolmente più bassa della media dell’area dell’euro. Fra gli Stati dell’UE non appartenenti all’area dell’euro, Bulgaria, Ungheria, Polonia e Regno Unito hanno una quota relativamente più bassa di lavoratori interessati da accordi di retribuzione collettiva, mentre in Romania e Croazia la percentuale è relativamente più elevata. Grafico A Quota dei lavoratori interessati da accordi di retribuzione collettiva – rassegna dei paesi nel 2013 (valori percentuali) paesi dell’area dell’euro paesi esterni all’area dell’euro 100 75 50 Italia Spagna Belgio Francia Austria Paesi Bassi Slovenia Romania area dell’euro Grecia Portogallo Germania Lussemburgo Cipro Croazia Slovacchia non area euro Repubblica ceca Malta Polonia Regno Unito Lettonia Ungheria Lituania Bulgaria Irlanda 0 Estonia 25 Fonti: elaborazioni della BCE, basata sull’indagine WDN3 nell’articolo Nuove evidenze sul processo di adeguamento dei salari in Europa nel periodo 2010-2013, nel numero 5/2016 di questo Bollettino. Note: sono escluse dal calcolo le imprese con meno di cinque occupati. I dati sono ponderati in base all’occupazione complessiva e riscalati per escludere le risposte nulle. I dati per l’Irlanda non sono ponderati. Le medie per area dell’euro e non area dell’euro sono calcolate sui paesi per i quali sono disponibili i pesi. 4 gli studi che sui mostrano comeraccolti le rigidità salariali al ribasso riflettano istituzionali come un Basandosi Fra dunque dati a livello dellafattori singola impresa da parte del alto grado di penetrazione dei sindacati e di tutela dei lavoratori figurano ad esempio: Holden, S. e Wufsberg, F. (2008), nominaldei wage rigidity in the OECD’’, Journal of Macroeconomics, WDN si è analizzata la‘’Downward reattività salari rispetto a variazioni nel livello della vol. 8, pagg. 1-48; Anderton e Bonthuis (2015), ‘’Downward wage rigidities in the euro area’’, GEP Research Paper Series, n. 2015/09, University of Nottingham, luglio 2015. Vari studi mostrano inoltre in ipotesi di domanda e, in particolare, l’impatto dei salari sull’occupazione come, attraverso le rigidità salariali, i fattori istituzionali possono influire sull'occupazione. Ad esempio: Dias et al. (2013) riscontrano che le imprese con salari di base più flessibili hanno meno probabilità di domanda negativa. ridurre i posti di lavoro (Dias, Marques e Martins (2013), “Wage rigidity and employment adjustment at Nello specifico, sono state previste cinque possibili risposte the firm level: Evidence from survey data”, Labour Economics, Vol. 23) e Barwell e Schweitzerper (2017)le imprese in rilevano che nel Regno Unito le rigidità salariali al ribasso accrescono la probabilità di licenziamenti merito alle (Barwell loro epolitiche salariali traof Nominal 2010ande Real il 2013: diminuzione Schweitzer (2007), “The Incidence Wage Rigidities in Great Britain: pronunciata, 1978-98.” Economic Journal, Vol. 117, No 524). Babecky et al. (2012) evidenziano invece la possibilità diminuzione moderata, nessuna aumento di sostituire la flessibilità dei salari di base convariazione, altri adeguamenti del aumento costo del lavoro (admoderato, esempio la modifica della componente flessibile dei salari) (Babecký, Du Caju, Kosma, Lawless, Messina e Rõõm pronunciato. Oltre aEuropean ciò èfirms stato chiesto come la quota lavoratori interessati (2012), “How do adjust their labour costs when nominal wages are di rigid?”, Labour Economics, Vol. 19, n. 5). da un accordo di redistribuzione collettivo e l’andamento della domanda (per tutte e cinque le categorie). Bollettino economico, numero 1 / 2017(vedi – Riquadri grafico B) mostrano una 29 I risultatiBCE dell’indagine svolta elasticità Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network asimmetrica dei salari alla domanda, tale per cui in caso di un’aumento della domanda l’elasticità è maggiore di uno (tratto elastico della curva); mentre nel caso di una diminuzione della domanda l’elasticità è minore di uno, pertanto la curva dimostra di essere rigida. Detto in altri termini, è più probabile che i salari aumentino a seguito di un aumento della domanda che non il contrario, cioè che i salari diminuiscano a seguito di una riduzione della domanda. Questo - come detto - è indice di rigidità salariale verso il basso. In aggiunta a ciò, un calo pronunciato o moderato dei salari, riduce la possibilità che i salari di base restino invariati, mentre sarebbe lecito attendersi che essi diminuiscano. Ciò prova ancora più fortemente la rigidità dei salari verso il basso. 8 Grafico B Stima delle risposte dei salari a diversi andamenti della domanda (decimali; aumento della probabilità di una variazione dei salari) diminuzione pronunciata della domanda diminuzione moderata della domanda Aumento della probabilità di diminuzione dei salari aumento pronunciato della domanda aumento moderato della domanda Aumento della probabilità di aumento dei salari diminuzione pronunciata della domanda diminuzione moderata della domanda Aumento della probabilità di invarianza dei salari 0,11 0,10 0,09 0,08 0,07 0,06 0,05 0,04 0,03 0,02 0,01 0,00 diminuzione pronunciata dei salari diminuzione moderata dei salari aumento pronunciato dei salari aumento moderato dei salari invarianza dei salari Fonti: Marotzke et al. (2016). Note: le stime si basano su metodi probit ordinati (ossia effetti marginali sulla probabilità di osservare il risultato). Il grafico mostra, per i diversi andamenti della domanda, la probabilità stimata di una determinata reazione dei salari rispetto alla categoria di riferimento in cui la domanda rimane invariata. Ad esempio, la prima colonna a sinistra mostra che la probabilità stimata di una diminuzione pronunciata dei salari dato un calo pronunciato della domanda è di 1,6 punti percentuali superiore a quella stimata in assenza di variazioni della domanda (cfr. tavola 3 della fonte per maggiori dettagli). Tutti i parametri hanno significatività statistica prevalentemente all’1 per cento in base a errori standard robusti. Tuttavia, le rigidità al ribasso dei salari, come il comportamento asimmetrico dei salari evidenziato nel grafico B, potrebbero altresì essere dovute ad altri fattori, magari non collegati alla contrattazione come adla esempio il timore dei il basso dei Anche dal grafo C (diagramma A) collettiva, è evidente rigidità verso datori di lavoro che casi un taglio retribuzioni possa collettiva ridurre la motivazione salari nominali: in tali ladelle contrattazione riducedeisensibilmente la dipendenti e avere un impatto negativo sulla produttività10. probabilità di adeguamento al ribasso dei salari. In sintesi, quanto più elevata è pressoI risultati l’impresa laindicano quotainoltre di che dipendenti interessati delle stime le rigidità al ribasso dei salari da accordi di producono un effetto negativo C, diagramma B). riduzione dei redistribuzione collettivi, tanto sull’occupazione minore è la (grafico probabilità di una Anche l’impatto degli adeguamenti salariali sull’occupazione risulta significativo. La salari e tanto maggiore quella di un loro aumento, in caso di incremento della probabilità che l’occupazione diminuisca o rimanga invariata è significativamente domanda.inferiore Poiché nell’area euro la contrattazione collettiva è maggiormente allorché i salari diminuiscono (rispetto alla categoria di riferimento di non sviluppata, saranno proprio paesi chedi un si aumento collocano in tale area variazione dei salari di base).i La probabilità dell’occupazione è invecea soffrire di maggiorerigidità quando i salari diminuiscono. Per contro, inin caso di aumento dei salari, una maggiore salariale al ribasso, caso di domanda dal segno negativo.cresce la probabilità di un calo dell’occupazione (rispetto alla categoria di riferimento in cui i salari di base rimangono invariati). Non bisogna però giungere a conclusione affrettate. La rigidità asimmetrica del salario dei lavoratori zona euroriquadro potrebbe anche Nell’insieme, lo studio della presentato in questo conferma che le dipendere da altri rigidità salariali in Europa durante il periodo 2010-13 si sono associate a fattori, forse non collegati alla contrattazione collettiva. Ad esempio, i datori di un andamento più negativo dell’occupazione. In primo luogo, gli accordi di lavoro potrebbero ritenere, a torto o a ragione, che una eccessiva retribuzione collettivi paiono ridurre la probabilità di un adeguamento al ribasso diminuzione del salari (che si avvicini al salario di riserva) potrebbe demotivare Sebbene i lavoratori ed avere perciò un impatto negativo sulla loro non rientrino fra i risultati empirici dello studio su cui si basano i risultati riportati nei grafici produttività.B e C, i salari di efficienza sono spesso citati come potenziale causa delle rigidità al ribasso dei salari. Cfr. ad esempio: il capitolo 3 in Layard, R., Nickell, S. e Jackman, R. (1990), Unemployment: macroeconomic performance and the labour market, Oxford University Press, 1990; Stiglitz, Inoltre l’indagine WDC3 mostra una ulteriore evidenza: la rigidità al ribasso J.,’’Alternative Theories of Wage Determination and Unemployment in LDCs: The Labour Turnover dei salari inModel’’, caso di Journal domanda negativa determina Quarterly of Economics, vol. 88, 1974, pagg. 194-227; Solow,degli R. (1979), effetti “Another “nefasti” sul possible source of wage stickiness’’, Journal of Macroeconomics, vol. 1, n. 1, pagg. 79-82; e Du Caju, tasso di disoccupazione che cresce in misura Se infatti i salari P., Kosma, T., Lawless, M, Messina, J., e T. Rõõm (2015), ‘’Whyragguardevole. firms avoid cutting wages: survey evidence from European firms’’, ILR Review, vol. 68, n. 4, 2015. diminuisco è infatti significativamente più probabile che l’occupazione cresca o quantomeno rimanga invariata (cioè non diminuisca). La probabilità che 10 BCE Bollettino economico, numero 1 / 2017 – Riquadri Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network 31 9 l’occupazione cresca è maggiore quando i salari diminuiscono. Invece, in caso di livello costante dei salari, cresce la possibilità di un aumento della disoccupazione. Grafico C Risposta dei salari e dell’occupazione alla contrattazione salariale collettiva e alle dinamiche salariali (decimali; variazione nella probabilità di un adeguamento dei salari (diagramma A); variazione nella probabilità di una variazione dell’occupazione (diagramma B) Diagramma A Variazione nella probabilità di un adeguamento dei salari dovuto ad accordi di retribuzione collettivi 0,04 0,03 0,02 0,01 0,00 -0,01 -0,02 -0,03 diminuzione pronunciata dei salari aumento moderato dei salari diminuzione moderata dei salari aumento pronunciato dei salari Diagramma B Variazione nella probabilità di una variazione dell’occupazione dovuta a diversi aumenti salariali diminuzione pronunciata dei salari diminuzione moderata dei salari aumento pronunciato dei salari aumento moderato dei salari 0,6 0,6 0,5 0,5 0,4 0,4 0,3 0,3 0,2 0,2 0,1 0,1 0,0 0,0 -0,1 -0,1 -0,2 -0,2 -0,3 -0,3 aumento invarianza aumento diminuizione diminuizione pronunciato dell’occupazione moderato moderata pronunciata dell’occupazione dell’occupazione dell’occupazione dell’occupazione aumento invarianza aumento diminuizione diminuizione pronunciato dell’occupazione moderato moderata pronunciata dell’occupazione dell’occupazione dell’occupazione dell’occupazione Fonti: Marotzke et al. (2016). Note: le stime si basano su metodi probit IV ordinati delle variabili strumentali (effetti marginali sulla probabilità di osservare il risultato). Il diagramma A del grafico mostra come la probabilità stimata di un determinato andamento dei salari cambi allorché aumenta la quota degli occupati interessati da accordi di contrattazione collettiva dei salari. Gli effetti marginali sulla probabilità di osservare una variazione dei salari sono espressi in termini assoluti e non rispetto a una categoria di riferimento. I risultati si basano sulle sole imprese interessate da un calo della domanda, ma i parametri e i risultati sono assai simili per l’intero campione di imprese e per tutte le cinque categorie di domanda. Il diagramma B mostra, per diversi andamenti salariali, la probabilità stimata di un dato andamento dell’occupazione rispetto alla categoria di riferimento di invarianza dei salari. Tutti i parametri hanno significatività statistica prevalentemente all’1 per cento in base a errori standard robusti. dei salari; in secondo luogo, l’aumento della probabilità che i salari diminuiscano in risposta a un calo della domanda è significativamente inferiore a quello della probabilità che i salari aumentino in risposta a un incremento della domanda (a indicazione della presenza di rigidità al ribasso e di una risposta asimmetrica dei salari)11. Infine, i risultati evidenziano un effetto negativo delle rigidità al ribasso dei salari sull’occupazione a livello di singola impresa. 2. CONCLUSIONI Da tale studio emerge quindi che le rigidità salariali in Europa durante il periodo 2010-13 si sono associate ad un andamento più negativo dell’occupazione. Tale rigidità determinata massima Dal punto di vista salariale delle politiche,era la contrattazione collettivain sembra contribuireparte alle rigidità verso il basso dei salari, le quali potrebbero a loro volta esacerbare dalla presenza di accordi collettivi (a livello nazionale o di categorie e non di la perdita di posti di lavoro durante le recessioni. Durante la crisi alcuni paesi singola azienda) che impedivano un adeguamento al ribasso dei salari. Ciò dell’area dell’euro hanno introdotto riforme che offrivano alle imprese maggiori determinava una elasticità asimmetrica salario nominale che opzioni per muovere verso accordidella salarialicurva a livello didel impresa e abbandonare così in caso di aumento della produttività era più elastica, in caso di decremento Anche in questo caso le caso variazioni nella probabilitàcrescevano sono messe a confrontoin con caso la situazione la era meno elastica; così nel primo i salari diin cui aumento domanda rimane invariata. della domanda, ma non diminuivano parallelamente in caso di diminuzione della domanda medesima. BCE Bollettino economico, numero 1 / 2017 – Riquadri 32 11 Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network 10 Da un punto di vista di politica economica, tale fenomeno della crescita del tasso di disoccupazione a seguito di una rigidità salariale verso il basso potrebbe essere enfatizzato nella fasi (come quella attuale) di recessione e di crisi congiunturale. Proprio per fare fronte a tale evenienza, nell’area euro alcuni paesi hanno introdotto una serie di riforme strutturali (vedi per l’Italia il job Act) che miravano a rendere più flessibile il mercato del lavoro sia in entrata che in uscita (riforma dell’articolo 18, Statuto dei Lavoratori). Si è poi cercato, sempre nel medesimo spirito, di passare da una contrattazione nazionale ad una aziendale con l’intento, più o meno palese, di render più malleabili i meccanismi contrattuali, adeguando più facilmente le retribuzioni ad una variazione della domanda. Ciò dovrebbe avere l’effetto di limitare la riduzione dell’occupazione nel suo complesso specie in un periodo di crisi come quello attuale. 11 C. ULTERIORI APPROFONDIMENTI 1. LA RIGIDITÀ DELLE STRUTTURE ISTITUZIONALI COME AGGRAVAMENTO DEGLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA Dallo studio esposto nella precedente sezione di questo lavoro (Sezione B, infra) si evidenzia come sussista una stretta correlazione tra solidità delle istituzioni e strutture economiche, da un lato e mantenimento di un livello di crescita e di benessere elevato e costante, dall’altro. In altri termini, istituzioni e strutture economiche funzionanti e ben organizzate sono il presupposto per la prosperità e la tenuta del sistema a lungo termine. In tale ambito però permane un divario significativo in termini articoli hanno mostrato gli effetti delle riforme strutturali sulle principali variabili di qualità Questi ed efficenza delle istituzioni tra i paesi dell’area euro e i paesi macroeconomiche e come la debolezza delle istituzioni e le rigidità strutturali hanno OCSE cheostacolato in tale laambito ottengono i migliori risultati. convergenza reale fra i paesi dell’UE. Inoltre, secondo gli articoli, In particolare, la presenza di strutturali istituzioni solide l’assenza di rigidità strutturali l’adozione di ulteriori riforme potrebbe essereeuno strumento efficace per ristabilire e la competitività nell’area dell’euro. presente articolo integra (come quella, adla crescita esempio, riscontrabile nella Ilriduzione salariale) favorisce la precedente analisi ponendo in risalto l’importanza di istituzioni solide, specie in tutta una serie di variabili macroeconomiche, tra cui la capacità di tenuta, la a due questioni di massima urgenza: come rafforzare la capacità di tenuta produttivitàrelazione e la crescita potenziale. e come stimolare la produttività e la crescita potenziale nei paesi dell’area. La capacità di tenuta è indebolita invece da strutture economiche rigide ed La capacità di tenuta è indebolita da strutture economiche ed elevati elevati livelli di debito. Infatti questi ultimi due fattoririgide impediscono, in caso di livelli di debito. In caso di variazioni strutturali o di bruschi shock negativi, la rigidità variazioni strutturali o di bruschi shock negativi, una corretta e tempestiva delle strutture economiche impedisce una tempestiva riallocazione delle risorse, riallocazione della risorse (capitale e lavoro) verso altri settori. Ad esempio, come capitale e lavoro, verso altri settori. Un debito pubblico elevato rende più un elevatodifficile debito pubblico interno rende più difficile l’attuazione di politiche l’attuazione di politiche di bilancio anticicliche , mentre un elevato debito anticicliche;privato mentre elevato indebitamento delle nelfamiglie impedisce a impedisceun a famiglie e imprese di distribuire uniformemente tempo famiglie edconsumi imprese di distribuire i consumi nel tempo. Infine, un forte debito e investimenti. In modo analogo, e correlato, un elevato indebitamento nettol’estero sull’estero rende i paesi vulnerabilivulnerabili a improvvisi deflussi di fondi deglideflussi investitori di capitale pubblico con rende i paesi a possibili esteri. Il grafico 1 mostra che il problema del debito elevato è relativamente diffuso straniero. 2 nei paesi dell’area dell’euro ed è generalmente associato a una debole crescita economica dall’inizio della crisi economica e finanziaria. Grafico 1 Debito pubblico e privato (2007) e crescita del prodotto pro capite (2007-2015) (asse delle ascisse: debito pubblico e privato in percentuale del PIL (2007); asse delle ordinate: variazione del PIL pro capite dopo il picco) Series1 20 15 LT 10 SK MT DE 5 LV FR 0 EE AT BE IE -5 SI -10 FI NL PT ES IT -15 CY -20 -25 GR 50 100 150 200 250 300 Fonti: elaborazioni della BCE basate su dati Eurostat per il debito pubblico e privato e stime del FMI per la crescita del prodotto potenziale. Nota: il 2007 rappresenta il picco ciclico per l’area dell’euro nel suo complesso. La bassa crescita della produttività, dovuta in parte a numerosi ostacoli strutturali e istituzionali, è un problema che si trascina da tempo nell’area 350 12 Come si può vedere nel grafico 1, la bassa crescita della produttività, dovuta massimamente ad ostacoli strutturali ed istituzionali, è un problema di lungo corso nell’Unione Europea. Invece grafico 2 mostra in due terzi dei negli ultimi 20 anni. Nello stesso periodoili tassi negli Stati Uniti si sonocome mantenuti lievemente al di sopra per cento. Questoproduttività quadro è motivo ditotale preoccupazione, paesi dell’area euro la dell’1 crescita della dei fattori (PTF) è dato che la PTF è un fattore determinante per la crescita del PIL, che a sua volta è rimasta in media al di sotto dell’1% negli ultimi venti anni. Similmente, i tassi necessaria per promuovere l’occupazione e contribuire a ridurre gli elevati livelli di negli Stati Uniti si sono mantenuti lievemente al di sopra dell’1 per cento. Tale indebitamento privato e pubblico. quadro è preoccupante, dato che la PTF è un fattore determinante per la In tale contesto, articolo analizza come istituzioni economichel’occupazione crescita del PIL, che ilapresente sua volta è necessaria pere strutture promuovere solide possano far fronte alla scarsa capacità di tenuta e alla debolezza della e contribuire a ridurre gli elevati livelli di indebitamento pubblico e privato. produttività, specie nell’ambito di un’unione monetaria. L’analisi si articola in tre parti. Grafico 2 Crescita media della produttività totale dei fattori nel 1985-1995 e nel 1995-2015 (variazioni percentuali sui dodici mesi) 1985-1994 1995-2015 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 IT ES PT GR CY LU AE BE DE FR NL AT SI FI MT LV IE EE SK LT Fonte: media non ponderata delle stime di BCE, Commissione europea e FMI. Note: per il periodo 1985-1995 non sono disponibili le stime di alcuni paesi. AE indica area dell’euro. La sezione 2 esamina gli andamenti economici dei paesi dell’area dell’euro in base a una serie di indicatori istituzionali e strutturali. La sezione mostra che per 2. SOLIDITÀ ISTITUZIONALE E PROSPETTIVE DIdelCRESCERE E quanto riguarda le principali strutture economiche (ad esempio, i mercati lavoro e dei beniECONOMICO e servizi) e alcune istituzioni fondamentali, i paesi dell’area rimangono BENESSERE dalla frontiera rappresentata dalle migliori prassi dei paesi dell’OCSE. Istituzioni distanti internazionali come il fondo monetario internazionale (FMI), La sezione 3 passa in rassegna le evidenze empiriche ai vantaggi l’OCSE, la commissione europea e la BCErelative hanno più volte richiesto e strutture solide con particolare ai paesi l’adozione didiistituzioni riforme strutturali al fine di a)riferimento favorire unadell’area migliore allocazione dell’euro. La sezione mostra che l’efficacia delle regolamentazioni dei mercati del delle risorse economiche attraverso la riduzione degli ostacoli alla libera lavoro e dei beni e servizi e la validità delle istituzioni di governance rafforzano la circolazione di capitale e essenziali lavoratori; b) abbattere le barriere capacità di tenuta e sono per la crescita nel lungo periodo. La sezione all’ingresso di nuove imprese; c) assicurare condizioni parità a tuttie gli operatori mostra che nonostante i notevoli vantaggi conseguibili di con le riforme istituzionali economici.strutturali e la notevole distanza che ancora permane dalle migliori prassi, il ritmo delle riforme nell’area dell’euro, dopo un’impennata all’inizio della crisi, ha rallentato, Le riforme strutturali sono generalmente associate a politiche di specie nei paesi sottoposti a programmi di aggiustamento economico. regolamentazione che hanno come obiettivo quello di rafforzare gli incentivi di La sezione 4 mostra come strutture economiche e istituzioni solide siano un obiettivo importante per assicurare il regolare funzionamento dell’UEM nel 13 suo complesso. Esistono numerose evidenze e ampio consenso sul fatto che la BCE Bollettino economico, numero 5 / 2016 – Articoli 81 mercato nei mercati di beni e servizi nazionali. Tali regolamentazioni spesso riguardano le condizioni generali per l’avvio e la gestione delle imprese. In particolare, le istituzioni sono definite l’insieme delle regole e delle politiche in grado di stabilire condizioni di parità concorrenziale fra tutti gli operatori economici e assicurare incentivi economici efficaci che favoriscono gli investimenti, l’innovazione, il risparmio, e la risoluzione dei problemi di azione collettiva, oltre ad assicurare una fornitura efficiente di beni pubblici. Invece, le strutture economiche possono essere definite come l’assetto normativo che stabilisce gli incentivi per tutte le transazioni fra gli operatori economici in un’economia. Nelle economie di mercato infatti la regolamentazione cerca di prevenire i fallimenti del mercato e di mantenere la coesione sociale, contribuendo in misura significativa a determinare le strutture economiche. Vi sono numerosi casi in cui la regolamentazione può accrescere il livello di benessere se utilizzata in modo adeguato. Ad esempio, in caso di monopolio naturale nelle grandi industrie a rete (ad esempio, l’energia elettrica), potrebbe essere opportuno regolamentare tale mercato e per renderlo concorrenziale si potrebbe pensare di scorporare la rete dal servizio (come in effetti è avvenuto in molti paesi europei tra cui l’Italia). Tuttavia, una regolamentazione eccessiva potrebbe creare incentivi non corretti per gli investitori, le imprese ed i dipendenti; essa potrebbe persino fermare la crescita ed impedire una pronta risposta agli shock avversi. La regolamentazione nel mercato del lavoro influenza il tasso di creazione e di distruzione di posti di lavoro, i livelli di occupazione, la produttività, i salari e i profitti e il grado di protezione sociale. Potrebbe infatti essere necessario regolamentare gli accordi in materia di stabilità dei posti di lavoro, i salari minimi e i contratti collettivi per garantire ai lavoratori un livello adeguato di protezione sociale o per promuovere la crescita della produttività . Però la regolamentazione eccessiva impedisce alla imprese e ai dipendenti di reagire prontamente agli shock economici in quanto scoraggia le assunzioni e favorisce chi ha già un posto di lavoro rispetto ai disoccupati. Bisogna quindi trovare un equilibrio tra le politiche di regolamentazione del mercato che evitano eccessive distorsioni del medesimo e una eccessive regolamentazione che avrebbe effetti altrettanto negativi. Le principali istituzioni del mercato del lavoro sono: a) il processo di formazione dei salari, b) la legislazione (di tutela) del lavoro, c) le politiche attive, d) le politiche di sostegno al reddito, e) il carico fiscale sul lavoro, f) le politiche di istruzione e formazione professionale. Le strutture del mercato del lavoro influiscono sul potenziale di crescita di una economia e sulla sua capacità di adattarsi tempestivamente ai bruschi cambiamenti di contesto. Infatti, se l’economia subisce degli shock avversi (come la crisi del 2008 del mutui sub prime) è necessario potere con una 14 certa rapidità riadattare i salari e riallocare la forza lavoro, onde evitare un effetto lock-in (cd effetto di blocco). Il tutto però deve essere accompagnato da mirati sussidi di disoccupazione. L’eccessiva regolamentazione può avere effetti negativi sulla crescita del PIL. Infatti, un mercato ad elevato grado di concorrenza tende ad avere prezzi più bassi rispetto ad un mercato analogo dove però la concorrenza è minore e ciò avvantaggia notevolmente i consumatori che operano nel mercato della prima tipologia, in quanto si riducono le rendite ingiustificate dei produttori e si massimizza il benessere di tutti coloro i quali operano in quel mercato (trovando un equilibrio di tipo Pareto ottimale). La concorrenza poi tende a favorire la diversificazione dei prodotti, dando maggiore scelta ai consumatori. Infine, l’assenza di barriere all’ingresso nei mercati tende ad aumentare la tendenza all’innovazione delle imprese e quindi favorisce il progresso tecnologico, la produttività e, in ultima analisi, la creazione di posti di lavoro. Da quanto detto sopra possiamo ricavare la conclusione che le strutture dei mercati di beni e servizi influiscono sulla capacità delle economie di assorbire gli shock. Difatti per assorbire uno shock è necessario riallocare rapidamente i fattori produttivi (capitale e lavoro) e aggiustare i prezzi. In particolare, l’aggiustamento dei prezzi serve per fare gravare sul prezzo finale del bene la variazione del costo di produzione dovuta ad un aumento (o diminuzione) del costo dei fattori produttivi. Ad esempio, se a causa di uno shock negativo, diminuisce il costo del lavoro, allora i prezzi devono scendere per fare rimanere l’economia competitiva, altrimenti si rischia di scaricare sul reddito delle famiglie gli effetti dello shock negativo. Esistono una serie di politiche finalizzate ad aumentare la concorrenza nei mercati di beni e servizi. Ad esempio, mediante una politica di carattere generale si può creare una autorità di regolamentazione centrale autorevole ed efficiente che abbia come fine istituzionale quello di garantire la concorrenza nei mercati (come l’Autorità Antitrust italiana). Si possono poi adottare politiche specifiche che aiutino le imprese a superare le barriere all’ingresso di un mercato, ad esempio, nell’ambito dei servizi di rete, si può scorporare la rete dal servizio (come è avvenuto, in Italia, con le Ferrovie). Valutare la qualità delle istituzioni e delle strutture economiche è un compito impegnativo. Ciò avviene soprattutto attraverso le percezioni, che però non riflettono necessariamente la qualità della normativa ma piuttosto il funzionamento dell’economia. Si possono a tale fine utilizzare quattro indicatori elaborati dalla Banca Mondiale: efficacia delle amministrazioni pubbliche, qualità del quadro regolatorio, stato di diritto e contrasto alla corruzione. Per una analisi dettagli di tali fattori si confronti il grafico 3, che prende in considerazione i paesi dell’area euro, gli Stati Uniti e i tre paesi OCSE con i migliori risultati. Da tale grafico risulta che per tutti e quattro gli 15 Esistono varie politiche per i mercati dei beni e servizi volte a favorire la concorrenza. Le politiche di carattere generale, ad esempio, prevedono la creazione di un’autorità di regolamentazione autorevole ed efficiente in grado di monitorare le condizioni di concorrenza su indicatori nell’area euro, la qualità istituzioni è più bassi che nelle altre tutti i mercati rilevanti.delle Inoltre, le politiche possono creare più in generale condizioni di mercato favorevoli che agevolano l’ingresso di nuove imprese e riducono gli oneri amministrativi delle aree. imprese esistenti. Le politiche specifiche di settore includono, ad esempio, le misure a favore della concorrenza nelle industrie di rete (ad es., energia, telecomunicazioni o trasporti), nel settore del commercio al dettaglio e negli ordini professionali chiusi (ad es., notai, farmacisti o avvocati). Grafico 3 Qualità delle istituzioni nei paesi dell’OCSE nel 2015 Valutare la qualità delle istituzioni e del (indice) comune valutare la qualità istituzionale sop economiche è un compito impegnativo. in base alle percezioni, anche se ciò non r efficacia delle amministrazioni pubbliche qualità del quadro regolatorio stato di diritto contrasto alla corruzione necessariamente la qualità della normativa piuttosto il funzionamento effettivo dell’eco 2,5 questo articolo si utilizzano come proxy de istituzionale i quattro indicatori di governan 2,0 dalla Banca mondiale: efficacia delle amm 1,5 pubbliche, qualità del quadro regolatorio, s e contrasto alla corruzione. Il valore aggre 1,0 indicatori è stato definito come la qualità d forniti dalle amministrazioni statali5, o sem 0,5 come l’erogazione di servizi istituzionali. Il 0,0 area dell’euro Stati Uniti Giappone Regno Unito primi 3 paesi dell’OCSE Fonti: elaborazioni della BCE basate su dati della Banca mondiale. Note: i “primi 3 paesi dell’OCSE” sono Finlandia, Nuova Zelanda e Svizzera. Più elevato è il numero indice, migliore è la qualità delle istituzioni. I dati per l’area dell’euro sono una media non ponderata dei paesi membri. mostra questi quattro indicatori per i paesi dell’euro, gli Stati Uniti e i tre paesi dell’OC migliori risultati. Un numero indice più elev migliori standard istituzionali. Per tutti e qu indicatori, la qualità delle istituzioni nell’are in media inferiore a quella delle aree confr 5 Helliwell, J.F. et al., “Good Governance and National Well-being: What are the Linkage Papers on Governance, n. 25, tutti 2014. i paesi La conclusione cuii paesi si giunge ilWorking grafico 3diPublic èqualità che quasi Quasi tutti dell’areaosservando dell’euro presentano istituzioni inferiore paesi dell’OCSEistituzioni con i risultati di migliori, sebbene esista una rispetto ai paesi dell’aerea rispetto euro aipresentato qualità inferiore eterogeneità fra disebbene essi. Il graficoesista 4 mostrauna cheeconomico, l’indicatore di qualità OCSE connotevole i risultati migliori, notevole BCE Bollettino numero 5diversità / 2016 – Articoli tra essi. istituzionale varia ampiamente fra i paesi dell’area, considerando che la Finlandia Paesi come la Fillandia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi sono prossimi ai è alla frontiera in termini di solidità istituzionale, alcuni paesi (come Lussemburgo e paesi OCSE paesi comemigliori l’Italia e la mentre Grecia si avvicinano ai Paesimigliori, Bassi) sonomentre quasi in linea con i risultati dell’OCSE, altri (come paesi OCSE peggiori. Grecia e Italia) sono prossimi ai paesi dell’OCSE con i risultati peggiori. Grafico 4 Distanza dei paesi dell’area dell’euro dalla frontiera in termini di qualità delle istituzioni (2015) (indice) 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3 0,2 0,1 AE pr i de mi ll’O 3 p C aes SE i 0,0 : qualità del quadro regolatorio, contrasto alla corruzione) ed elaborazioni della BCE. : u uu I “primi 3 paesi dell’OCSE” sono Finlandia, Nuova Zelanda e Svizzera. AE indica l’area dell’euro. u 16 Venendo più nello specifico al mercato del lavoro, la misurazione della sua efficenza dipende da varie tipologie di regolamentazioni ad ampio spettro. Ciò perché gli interventi sul lavoro, come quelli sull’occupazione, possono essere valutati solo in un contesto più ampio qual è quello di protezione sociale. Bisognerebbe quindi cercare il giusto mix di stabilità e flessibilità, onde evitare che la flessibilità si trasformi in precarietà, andando così a creare dei lavoratori di serie B (precari) e lavoratori di serie A (stabili). Per misurare la regolamentazione dei mercati dei beni e servizi è necessario esaminare il funzionamento di numerosi settori dell’economia. Una volta che tali criteri sono stati combinati si vede come esiste una stretta correlazione tra la qualità delle istituzioni e il corretto funzionamento del mercato del lavoro e del mercato dei beni e servizi. In particolare dove la qualità delle istituzioni è mediamente inferiore anche la qualità della regolamentazione dei beni e servizi tende ad essere inferiore alla media. Ciò vuol dire che in presenza di istituzioni solide è più facile che si superino gli interessi di parte e si pongano in essere riforme per il benessere della collettività. BIBLIOGRAFIA • • • • L. Vitali, Dispense di Economia politica, 2016 BOE n. 1/2017, Riquadro n. 3, pp 28/33 BOE n. 5 /2016, Articolo pp 79/100 BOE n. 8/2015, Riquadro 4 17