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Tesina integrativa L. Benincasa

TESINA INTEGRATIVA di LUIGI
BENINCASA
A. IL MERCATO DEL LAVORO IN GENERALE
2
1. INTRODUZIONE
2
2. DISOCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO
2
3. SALARIO NOMINALE E SALARIO REALE
3
3. I PREZZI
4
4. EQUILIBRIO NEL MERCATO DEL LAVORO
4
5. LEGGE DI OKUN, CURVA DI PHILLIPS
5
B. ADEGUAMENTI SALARIALI E OCCUPAZIONE IN EUROPA
7
1. RELAZIONE TRA ELASTICITÀ E TASSO DI OCCUPAZIONE
7
2. CONCLUSIONI
10
C. ULTERIORI APPROFONDIMENTI
12
1. La rigidità delle strutture istituzionali come aggravamento degli effetti della crisi
ECONOMICA
12
2. SOLIDITÀ ISTITUZIONALE E PROSPETTIVE DI CRESCERE E BENESSERE
ECONOMICO
13
BIBLIOGRAFIA
17
1
A. IL MERCATO DEL LAVORO IN GENERALE
1. INTRODUZIONE
Nella presente tesina si prenderà per spunto il Riquadro n. 3 del Bollettino
economico numero 1 del 2017 (pp. 28-33), dal titolo: “Adeguamenti salariali e
occupazione in Europa: alcuni risultati dall’indagine Wage Dynamics
Network”.
Prima però di analizzare approfonditamente lo studio sopra citato è però
opportuno fare una ricognizione sui principali concetti macroeconomici in
tema di mercato del lavoro.
2. DISOCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO
La teoria macroeconomia classica, nell’analisi del mercato del lavoro, parte
dal concetto basilare di disoccupato e disoccupazione: disoccupato è chi,
trovandosi in età lavorativa, avendo cioè compiuto il quindicesimo anno di
età, e cercando attivamente un impiego, non trova occupazione.
Volendo fare una ulteriore distinzione nell’ambito dei disoccupati, abbiamo i
disoccupati in senso stretto, cioè quelli che hanno perso il lavoro, e gli
inoccupati, che invece sono alla ricerca di una prima occupazione. Gli
occupati, i disoccupati in senso stretto e gli inoccupati costituiscono la forza
lavoro (FL) mentre altri soggetti in età da lavoro (casalinghe e studenti) e non
(pensionati) non vi appartengono; nell’analisi del mercato del lavoro si tiene
conto solo di quei soggetti - occupati e non - che entrano a far parte della
forza lavoro. Pertanto la forza lavoro (FL) sarà così calcolata: L= E+U, dove E
sta per occupati ed U per disoccupati.
D’altra parte, la disoccupazione, quel fenomeno macroeconomico per cui non
tutta la forza lavoro potenziale è effettivamente impiegata, si presenta sotto
forma di tre varianti: frizionale, strutturale e ciclica.
La disoccupazione frizionale è un elemento naturale di qualsiasi sistema
economico, trovandosi anche in un’economia “sana”, essa dipende dalla
lentezza nell’incontro tra domanda e offerta di lavoro dovuta a una
molteplicità di fattori, in primis le asimmetrie informative tra i due settori del
mercato (domanda e offerta). La disoccupazione strutturale invece dipende
dal modo in cui si conforma nello specifico il mercato del lavoro: ad esempio,
vengono richieste certe competenze molto specialistiche che non tutti i
lavoratori potenziali hanno, perciò chi ne è sprovvisto rimane disoccupato.
Oppure, come avvenuto di recente a seguito della crisi, si introducono una
serie di riforme radicali del mercato del lavoro (ad es., Job Act) che, mirando
a rendere più flessibile il medesimo, finiscono per aumentare il tasso di
disoccupazione, ad esempio perché è più facile licenziare (v. riforma
dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori). Infine, la disoccupazione ciclica,
2
come suggerisce il termine stesso, è quella che si verifica in corrispondenza
dei mutamenti dei cicli economici (crescita o recessione).
Per misurare il livello di occupazione e di disoccupazione di una economia, si
fa solitamente riferimento a due indici: il tasso di separazione (s) e il tasso di
occupazione (o), tale per cui il tasso di disoccupazione naturale sarà pari a:
U/L=s/s+o .
3. SALARIO NOMINALE E SALARIO REALE
Altro concetto chiave nell’ambito del mercato del lavoro, attorno al quale
ruotano tutte le varie politiche macroeconomiche in materia, è quello dei
salari (W). Esiste in tale ambito una stretta correlazione tra domanda,
produzione e salari che può essere riassunta nei seguenti termini: se cresce
la domanda, in assenza di scorte di magazzino, sarà necessario aumentare
la produzione, ciò porta a un incremento dell’occupazione e a un incremento
dei salari. Salari più alti fanno aumentare i costi di produzione e ciò porta le
imprese ad aumentare i prezzi finali dei beni. Ma un amento dei prezzi riduce
la domanda e ciò si ripercuote a cascata su occupazione e salari.
Venendo in concreto alle modalità di fissazione dei salari, dobbiamo
introdurre il concetto di salario di riserva, cioè quel salario per cui al
lavoratore è indifferente se lavorare o non lavorare. Ovviamente, le imprese
offriranno ai lavoratori nella stragrande maggioranza dei casi salari superiori
a quello di riserva per invogliarli ad accettare l’impiego, per cui per i lavoratori
non è indifferente lavorare o non lavorare.
Altra variabile che bisogna prendere in considerazione nella determinazione
dei salari è la condizione generale del mercato del lavoro, ed in particolare
l’equilibrio tra domanda ed offerta di lavoro. Maggiore è l’offerta, minore sarà
il prezzo della prestazione lavorativa, il salario. Altro fattore importante è il
livello di qualifica del lavoratore da cui discende la forza contrattuale del
medesimo, maggiore è la sua qualifica, più elevato sarà il suo potere
contrattuale. Ma la forza contrattuale dei lavoratori può dipendere anche da
altri fattori, come la presenza di organizzazioni sindacali che coalizzando i
lavoratori ne aumentano la capacità di incidere sulle dinamiche negoziali.
Ulteriore ragione infine che spinge le imprese a prevedere salari più alti di
quelli di riserva è quello di incentivare i lavoratori medesimi a svolgere meglio
le loro mansioni, in questo caso perciò il salario funge da incentivo.
Riassumendo, il salario è funzione dei prezzi attesi, del tasso di
disoccupazione e degli incentivi di disoccupazione. In riferimento alla prima
variabile si evidenzia come maggiori sono i prezzi attesi, maggiore dovrà
essere il salario affinché il lavoratore possa acquistare con esso beni e
servizi. Altra variabile da cui dipende il salario è, come detto, il tasso di
disoccupazione, che è in funzione negativa dell’ammontare del salario. In altri
termini, maggiore è la disoccupazione e quindi l’offerta di lavoro, minore sarà
3
il livello di retribuzione, in virtù della nota legge della domanda e dell’offerta. I
sussidi di disoccupazione invece sono in funzione positiva rispetto ai salari
perché alla presenza di essi sussiste un non-incentivo a cercare una nuova
occupazione. Infatti, i lavoratori licenziati che percepiscono un sussidio di
disoccupazione saranno meno incentivati a trovare un nuovo posto di lavoro.
Riassumendo: W=P, F(u, z); e dividendo entrambi i membri per P, W/P =(u,
z), dove il primo termine è il cd salario reale, quello cioè che esprime il reale
potere di acquisto.
3. I PREZZI
Per quanto riguarda la determinazione dei prezzi, essi dipendono dai costi. I
costi a loro volta sono influenzati dalla funzione di produzione che descrive le
diverse combinazioni di fattori produttivi, lavoro e capitale, che danno origine
alla medesima quantità di prodotto. Nell’analisi dei costi dell’impresa,
poniamo che il capitale (K) nel breve periodo sia costante, mentre il lavoro (L)
possa essere modificato. L’imprenditore pertanto, com’è noto nell’analisi
macroeconomica, sceglierà quella quantità di lavoro per cui il prodotto
marginale del lavoro, ossia il prodotto di una unità addizionale di fattore
produttivo, eguaglia il costo marginale, ossia il costo sostenuto per produrre
una unità addizionale di output. Questo è quello che succede nei mercati
perfettamente concorrenziali. Tuttavia, nella realtà i mercati non sono mai, o
quasi mai, in regime di concorrenza perfetta e pertanto le imprese fissano il
prezzo finale con un margine di ricarico sulla produttività marginale del
lavoro, tale per cui P= (1+m)W, dove m>0 è il ricarico sul costo marginale di
produzione o, in inglese, mark-up.
Dividendo entrambi i membri
dell’equazione per il salario (W), si ottiene il seguente risultato: P/W= (1+m)
ed invertendo entrambi i membri si ottiene il salario reale W/P= 1/(1+m). Tale
equazione è l’equazione dei prezzi e ci dice come il salario reale fissato dalle
imprese (W/P) è in funzione delle decisioni di prezzo, tale per cui un aumento
del mark-up, a parità di salario, fa aumentare i prezzi e diminuire il salario
reale.
4. EQUILIBRIO NEL MERCATO DEL LAVORO
Così descritto il mercato del lavoro, passiamo ad analizzare la condizione di
equilibrio del medesimo: il salario reale risultante dalla determinazione dei
salari deve essere uguale al salario calcolato sulla base dei prezzi. Se si
raggiunge tale uguaglianza c’è comunque un tasso di disoccupazione, che
viene definito disoccupazione naturale (U.n.).
Per calcolare tale tasso di disoccupazione, si parte dalle due equazioni
menzionate prima: W/P=F(u, z) e W/P = 1/(1+m), per cui F(u.n., z)=1/(1+m).
Un aumento dei prezzi, che può conseguire ad esempio ad una politica
antitrust meno restrittiva, sposta verso il basso l’equazione dei prezzi, ciò
4
determina uno spostamento verso il basso del punto di equilibrio (E) lungo
curva dei salari e un aumento del tasso di disoccupazione.
Se invece aumentano i sussidi di disoccupazione (z), la curva dei salari trasla
verso destra, perciò aumenta il tasso di disoccupazione, perché per i
lavoratori è meno conveniente cercare una nuova occupazione, essendo il
periodo di disoccupazione coperto dai sussidi.
5. LEGGE DI OKUN, CURVA DI PHILLIPS
Esiste una stretta relazione, studiata dall’economista Arthur Melvin Okun, tra
il livello di crescita di una economia e il tasso di disoccupazione, una
relazione di tipo inverso. Detto in altri termini, se aumenta la produzione, cioè
se l’economia cresce, diminuisce il livello di disoccupazione. Quindi per
ridurre la disoccupazione è necessario fa crescere l’economia. Al contrario,
se l’economia entra in una fase di recessione (decrescita) anche il tasso di
occupazione dovrebbe diminuire. In particolare, per mantenere fermo il tasso
di disoccupazione la crescita deve essere pari alla somma dell’aumento della
forza lavoro e della produttività del lavoro. Inoltre, non sempre un aumento
della crescita determina un aumento dell’occupazione di pari misura, le
imprese potrebbero infatti scegliere di fare lavorare di più dipendenti già
assunti; così come un aumento del tasso di occupazione non produce
un’automatica riduzione del tasso di occupazione, è infatti possibile che le
imprese assumano soggetti fuori dalla forza lavoro e perciò non formalmente
disoccupati.
Altra importante legge in materia è quella enunciata dalla curva di Phillips che
studia la relazione negativa tra inflazione e disoccupazione: quando la
disoccupazione è alta, l’inflazione è bassa e viceversa quando l’inflazione è
alta, la disoccupazione è bassa. Tale legge era valida nell’economia
statunitense dal 1900 al 1960. Negli anni ’70 si inizia a manifestare un’altra
relazione, quella tra la disoccupazione e l’inflazione attesa.
L’intuizione di Phillips partì da una osservazione del mercato del lavoro, per
cui il tasso di disoccupazione diminuiva al crescere dei salari nominali.
Secondo alcuni ciò dipenderebbe dal fatto che i sindacati, in ipotesi di scarsa
occupazione, dovuta magari ad una fase di recessione, hanno meno forza
contrattuale perciò sono disposti ad accettare anche un basso livello di
retribuzione. Secondo altri, la relazione inversa appena enunciata dipende
dal fatto che in presenza di salari bassi, vicino al salario marginale, le
imprese incontrino una maggiore difficoltà ad assumere lavoratori.
La teoria di Phillips venne poi corretta da una altro economista, Lipsey, che
che prese in considerazione separatamente un’equazione per i prezzi e una
per i salari, in modo che i secondi (i salari) fossero determinati dal tasso di
disoccupazione mentre i primi (i prezzi) dal mark-up sui salari e sui costi. In
altri modelli poi è stato sostituito il tasso di inflazione al posto del tasso di
5
variazioni dei salari, riunendo il tutto in una sola equazione. Ciò perché i
salari rappresentano una componente di costo sulla quale le imprese basano
le proprie scelte di fissazione del livello dei prezzi.
Dalla curva di Phillips, riveduta e corretta, se ne ricava perciò la conclusione
che se i salari crescono più velocemente della produttività, i prezzi tendono
ad aumentare e ciò fa crescere l’inflazione. Per mantenere un livello dei
prezzi costante quindi è necessario che produttività e crescita dei salari
vadano di pari passo. Bisogna quindi individuare il tasso di disoccupazione cd
frizionale che determini un aumento della produttività e mantenga al
e
πt = αdigPinflazione.
medesimo tempo basso il livello
dunque in presenza di
t - β(Ut - UNSiamo
t)
un
due obiettivi
et
dovetrade-off
: πt è il tasso(scelta
effettivo tra
di variazione
dei prezzi,contrastanti)
gPte rappresenta iltra
tassodisoccupazione
atteso di inflazione, U
inflazione.
è il tasso effettivo di disoccupazione e UNt è il tasso naturale di disoccupazione. Se α=1 l’inflazione
Con
laè crisi
petrolifera
degli
anni ’70variazione
però tale
relazione
prevista
pienamente
incorporata
nell’effettiva
dei prezzi,
quindi:cambia, in quanto
e
l’inflazione comincia ad essere
in crescita, pertanto le
πt - gPcostantemente
t = β(Ut - UNt)
aspettative
suidivergerà
prezzi da
parte
dei
lavoratori
incominciarono
ad incorporare
La disoccupazione
dal suo
tasso
naturale
unicamente
se esiste un divario
tra il tasso di
l’inflazione.
Si era
cosìatteso.
entrati
in una
fase diè presente
stagnazione,
in dicui
c’era non
un
inflazione effettivo
e quello
Quando
nel sistema
un livello
inflazione
anticipata livello
la disoccupazione
può divergereed
daluna
suo tasso
naturale.
elevato
di disoccupazione
elevata
inflazione.
Sulla economisti
base di tali considerazioni
consegue anche
una descrizione grafica.
Supponiamo,
come
Gli
Phelps ene Friedman
riformularono
la cura
di Phillips,
nella figura successiva,
la curva
PC1 siaal
la curva
curva ditende
Phillipsadispostarsi
breve periodo
che corrisponde
ad
affermando
che nelche
lungo
periodo
verso
l’alto mano
un tasso
d’inflazione atteso
uguale a zero.
Se il tasso
di disoccupazione
è ugualeSIa u*,
le attese
di
che
le aspettative
si adattano
al tasso
di inflazione
realizzato.
avrà
quindi
inflazione
soddisfatte
e l’economia
a u*.periodo,
In corrispondenza,
invece,
tasso di
di
una
seriesono
di curve
di Phillips
per resta
il breve
ciascuna
pari dial un
tasso
disoccupazione
pari aPoiché
u1 si avrebbe
un tasso
di inflazione
pari a verso
π1. Unal’alto
politica
economica
inflazione
atteso.
la curva
di Phillips
si sposta
man
mano
espansiva
potrebbe
infatti
ridurre
i
livelli
di
disoccupazione
conducendo
l’economia
dal
punto
A al
che le aspettative si adattano al tasso di inflazione atteso, il trade-off nel
punto B. La stabilità dell’equilibrio B dipende dalla presenza o meno di illusione monetaria nei
lungo periodo scompare e il tasso di inflazione si porta al suo livello naturale.
lavoratori. L’aumento dell’occupazione è dovuto qui all’aumento dei salari monetari indotto dalla
La disoccupazione divergerà dal suo tasso naturale se esiste un divario tra il
politica espansiva del Governo, ma il conseguente aumento del livello dei prezzi comporta lo stesso
tasso
di inflazione effettivo e quello atteso. Pertanto è ulteriore confermato
livello di salario reale. Se gli agenti economici contrattano in termini reali, quando essi notano che i
quanto
sostenuto
Keynes
nella
suaridurranno
Teoria Generale:
nel breve
periodo le
prezzi aumentano
allo da
stesso
ritmo dei
salari,
l’offerta di lavoro
e la disoccupazione
politiche
macro
Nel
tornerà al suo
livelloeconomiche
naturale (puntosono
C). Laefficaci.
presenza di
un lungo
tasso di periodo
inflazioneinvece
positivo non
generac’è
un
alcun
trade-off
tra
inflazione
e
disoccupazione.
Per
mantenere
basso
il
livello
rialzo delle aspettative inflazionistiche e questo sposta la curva di Phillips di breve periodo verso
di
disoccupazione
ed affinché
evitareil tasso
tassidi disoccupazione
di inflazionevenga
elevatissimi
perciò,
l’alto,
in PC2. A questo punto,
mantenuto a uè,
1 è necessario
necessario
una politica
di flessibilizzazione
mercato
lavoro.successivo uno
che il tasso d’inflazione
aumenti
a π2 (punto D) il chedel
comporta
però del
nel periodo
spostamento ulteriore della curva di Phillips verso destra. Affinché il tasso di disoccupazione venga
mantenuto a u1 sarà, quindi, necessario un continuo aumento dell’inflazione (“ipotesi
accelerazionista”).
6
Tuttavia, anche questo aggiustamento della curva di Phillips “aumentata delle aspettative” mantiene
la validità dell’assunto keynesiano di efficacia delle politiche economiche, almeno nel breve
B. ADEGUAMENTI SALARIALI E OCCUPAZIONE IN EUROPA
1. RELAZIONE TRA ELASTICITÀ E TASSO DI OCCUPAZIONE
A quanto risulta da una indagine svolta dal Wage Dynamics Network esiste
un nesso ben preciso tra contrattazione collettiva, rigidità al ribasso dei salari
e occupazione. Lo studio in questione ha messo in luce come nelle moderne
economie di mercato, dove sono presenti una serie politiche sociali volte ad
impedire l’eccessiva diminuzione dei salari, specie in periodi di crisi, ha come
effetto collaterale quello di produrre un incremento della disoccupazione
proprio nei periodi di crisi economica anzidetti.
Nel riquadro analizzato si cerca di vedere come un medesimo effetto si
riscontri nell’ambito delle singole imprese situate in zona euro durante il
periodo 2010-13. I dati impiegati sono quelli raccolti nell’ambito della terza
edizione dell’indagine Wage Dynamics Network
(WDN) del SEBC.
Nell’ambito del periodo di indagine sopra menzionato, caratterizzato da una
crisi del debito sovrano, gli andamenti delle imprese interpellate sono stati
molto differenti: il 44 % delle imprese interpellate ha registrato una riduzione
della domanda, mentre il 32 % ha dichiarato che la domanda è aumentata. La
quota di imprese che ha ridotto i posti di lavoro o i salari è significativamente
superiore fra quelle la cui domanda si è ridotta. Nello specifico, il 43% di
queste imprese ha ridotto il personale e il 14 % i salari di base.
Dall’entità del calo della domanda (44 %) e del calo di occupazione (43 %), la
relativa, e a dir il vero contenuta, riduzione dei salari fanno supporre la
presenza di rigidità verso il basso dei salari nominali. Infatti, tra le imprese
interpellate che hanno riscontrato un calo della domanda un quarto
dichiaravano di aver congelato i salari al ribasso. Ciò è dovuto probabilmente
a molteplici fattori: densità sindacale, contrattazione collettiva, tutela dei posti
di lavoro ecc.
In particolare, causa principale di tale rigidità salariale verso il basso sono gli
accordi di retribuzione collettiva: nell’area euro la quota di lavoratori
interessati da un accordo collettivo è quasi pari al 75%, molto più rilevante
che nell’area non euro, dove la quota si aggira attorno al 30% circa. Vari
singoli paesi poi (tra cui l’Italia) si collocano significativamente al di sopra
della media dell’area euro. Con la sola eccezione dei Paesi Bassi, il valore
elevato di tali quote dipendeva esclusivamente da contrattazione che si
svolgevano a livello (nazionale o settoriale anziché decentrato a livello
aziendale) esterno rispetto all’impresa interessata.
Qui sotto si riporta il grafico relativo ai lavoratori interessati da contrattazione
collettiva nell’anno 2013:
7
Lettonia e Lituania la quota della contrattazione collettiva, inferiore al 20 per cento,
è notevolmente più bassa della media dell’area dell’euro. Fra gli Stati dell’UE non
appartenenti all’area dell’euro, Bulgaria, Ungheria, Polonia e Regno Unito hanno
una quota relativamente più bassa di lavoratori interessati da accordi di retribuzione
collettiva, mentre in Romania e Croazia la percentuale è relativamente più elevata.
Grafico A
Quota dei lavoratori interessati da accordi di retribuzione collettiva – rassegna
dei paesi nel 2013
(valori percentuali)
paesi dell’area dell’euro
paesi esterni all’area dell’euro
100
75
50
Italia
Spagna
Belgio
Francia
Austria
Paesi Bassi
Slovenia
Romania
area dell’euro
Grecia
Portogallo
Germania
Lussemburgo
Cipro
Croazia
Slovacchia
non area euro
Repubblica ceca
Malta
Polonia
Regno Unito
Lettonia
Ungheria
Lituania
Bulgaria
Irlanda
0
Estonia
25
Fonti: elaborazioni della BCE, basata sull’indagine WDN3 nell’articolo Nuove evidenze sul processo di adeguamento dei salari in
Europa nel periodo 2010-2013, nel numero 5/2016 di questo Bollettino.
Note: sono escluse dal calcolo le imprese con meno di cinque occupati. I dati sono ponderati in base all’occupazione complessiva e
riscalati per escludere le risposte nulle. I dati per l’Irlanda non sono ponderati. Le medie per area dell’euro e non area dell’euro sono
calcolate sui paesi per i quali sono disponibili i pesi.
4
gli studi che sui
mostrano
comeraccolti
le rigidità salariali
al ribasso riflettano
istituzionali
come un
Basandosi Fra
dunque
dati
a livello
dellafattori
singola
impresa
da parte del
alto grado di penetrazione dei sindacati e di tutela dei lavoratori figurano ad esempio: Holden, S. e
Wufsberg, F. (2008),
nominaldei
wage rigidity
in the
OECD’’, Journal
of Macroeconomics,
WDN si è analizzata
la‘’Downward
reattività
salari
rispetto
a variazioni
nel livello della
vol. 8, pagg. 1-48; Anderton e Bonthuis (2015), ‘’Downward wage rigidities in the euro area’’, GEP
Research
Paper Series, n. 2015/09,
University of Nottingham,
luglio 2015.
Vari studi mostrano inoltre in ipotesi di
domanda e,
in particolare,
l’impatto
dei salari
sull’occupazione
come, attraverso le rigidità salariali, i fattori istituzionali possono influire sull'occupazione. Ad esempio:
Dias et al. (2013) riscontrano che le imprese con salari di base più flessibili hanno meno probabilità di
domanda negativa.
ridurre i posti di lavoro (Dias, Marques e Martins (2013), “Wage rigidity and employment adjustment at
Nello specifico,
sono
state
previste
cinque
possibili
risposte
the firm level:
Evidence
from survey
data”, Labour
Economics,
Vol. 23) e Barwell
e Schweitzerper
(2017)le imprese in
rilevano che nel Regno Unito le rigidità salariali al ribasso accrescono la probabilità di licenziamenti
merito alle (Barwell
loro epolitiche
salariali
traof Nominal
2010ande Real
il 2013:
diminuzione
Schweitzer (2007),
“The Incidence
Wage Rigidities
in Great Britain: pronunciata,
1978-98.” Economic Journal, Vol. 117, No 524). Babecky et al. (2012) evidenziano invece la possibilità
diminuzione
moderata,
nessuna
aumento
di sostituire
la flessibilità dei
salari di base convariazione,
altri adeguamenti del aumento
costo del lavoro (admoderato,
esempio la
modifica della componente flessibile dei salari) (Babecký, Du Caju, Kosma, Lawless, Messina e Rõõm
pronunciato.
Oltre
aEuropean
ciò èfirms
stato
chiesto
come
la quota
lavoratori
interessati
(2012),
“How do
adjust their
labour costs
when nominal
wages are di
rigid?”,
Labour
Economics, Vol. 19, n. 5).
da un accordo di redistribuzione collettivo e l’andamento della domanda (per
tutte e cinque le categorie).
Bollettino economico, numero
1 / 2017(vedi
– Riquadri grafico B) mostrano una
29
I risultatiBCE dell’indagine
svolta
elasticità
Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network
asimmetrica dei salari alla domanda, tale per cui in caso di un’aumento della
domanda l’elasticità è maggiore di uno (tratto elastico della curva); mentre nel
caso di una diminuzione della domanda l’elasticità è minore di uno, pertanto
la curva dimostra di essere rigida. Detto in altri termini, è più probabile che i
salari aumentino a seguito di un aumento della domanda che non il contrario,
cioè che i salari diminuiscano a seguito di una riduzione della domanda.
Questo - come detto - è indice di rigidità salariale verso il basso. In aggiunta a
ciò, un calo pronunciato o moderato dei salari, riduce la possibilità che i salari
di base restino invariati, mentre sarebbe lecito attendersi che essi
diminuiscano. Ciò prova ancora più fortemente la rigidità dei salari verso il
basso.
8
Grafico B
Stima delle risposte dei salari a diversi andamenti della domanda
(decimali; aumento della probabilità di una variazione dei salari)
diminuzione pronunciata della domanda
diminuzione moderata della domanda
Aumento della probabilità di
diminuzione dei salari
aumento pronunciato della domanda
aumento moderato della domanda
Aumento della probabilità di aumento
dei salari
diminuzione pronunciata della domanda
diminuzione moderata della domanda
Aumento della probabilità di
invarianza dei salari
0,11
0,10
0,09
0,08
0,07
0,06
0,05
0,04
0,03
0,02
0,01
0,00
diminuzione
pronunciata
dei salari
diminuzione
moderata
dei salari
aumento
pronunciato
dei salari
aumento
moderato
dei salari
invarianza
dei salari
Fonti: Marotzke et al. (2016).
Note: le stime si basano su metodi probit ordinati (ossia effetti marginali sulla probabilità di osservare il risultato). Il grafico mostra,
per i diversi andamenti della domanda, la probabilità stimata di una determinata reazione dei salari rispetto alla categoria di
riferimento in cui la domanda rimane invariata. Ad esempio, la prima colonna a sinistra mostra che la probabilità stimata di una
diminuzione pronunciata dei salari dato un calo pronunciato della domanda è di 1,6 punti percentuali superiore a quella stimata in
assenza di variazioni della domanda (cfr. tavola 3 della fonte per maggiori dettagli). Tutti i parametri hanno significatività statistica
prevalentemente all’1 per cento in base a errori standard robusti.
Tuttavia, le rigidità al ribasso dei salari, come il comportamento asimmetrico dei
salari evidenziato nel grafico B, potrebbero altresì essere dovute ad altri fattori,
magari
non collegati
alla contrattazione
come adla
esempio
il timore
dei il basso dei
Anche dal
grafo
C (diagramma
A) collettiva,
è evidente
rigidità
verso
datori di lavoro
che casi
un taglio
retribuzioni possa collettiva
ridurre la motivazione
salari nominali:
in tali
ladelle
contrattazione
riducedeisensibilmente la
dipendenti e avere un impatto negativo sulla produttività10.
probabilità di adeguamento al ribasso dei salari. In sintesi, quanto più elevata
è pressoI risultati
l’impresa
laindicano
quotainoltre
di che
dipendenti
interessati
delle stime
le rigidità al ribasso
dei salari da accordi di
producono
un effetto negativo
C, diagramma
B). riduzione dei
redistribuzione
collettivi,
tanto sull’occupazione
minore è la (grafico
probabilità
di una
Anche l’impatto degli adeguamenti salariali sull’occupazione risulta significativo. La
salari e tanto maggiore quella di un loro aumento, in caso di incremento della
probabilità che l’occupazione diminuisca o rimanga invariata è significativamente
domanda.inferiore
Poiché
nell’area euro la contrattazione collettiva è maggiormente
allorché i salari diminuiscono (rispetto alla categoria di riferimento di non
sviluppata,
saranno
proprio
paesi
chedi un
si aumento
collocano
in tale area
variazione
dei salari
di base).i La
probabilità
dell’occupazione
è invecea soffrire di
maggiorerigidità
quando i salari
diminuiscono.
Per contro, inin
caso
di aumento
dei salari,
una maggiore
salariale
al ribasso,
caso
di domanda
dal segno
negativo.cresce la probabilità di un calo dell’occupazione (rispetto alla categoria di riferimento
in cui i salari di base rimangono invariati).
Non bisogna
però giungere a conclusione affrettate. La rigidità asimmetrica
del salario
dei lavoratori
zona
euroriquadro
potrebbe
anche
Nell’insieme,
lo studio della
presentato
in questo
conferma
che le dipendere da altri
rigidità
salariali
in Europa
durante
il periodo 2010-13
si sono associate
a
fattori, forse
non
collegati
alla
contrattazione
collettiva.
Ad esempio,
i datori di
un andamento più negativo dell’occupazione. In primo luogo, gli accordi di
lavoro potrebbero ritenere, a torto o a ragione, che una eccessiva
retribuzione collettivi paiono ridurre la probabilità di un adeguamento al ribasso
diminuzione del salari (che si avvicini al salario di riserva) potrebbe
demotivare Sebbene
i lavoratori
ed avere perciò un impatto negativo sulla loro
non rientrino fra i risultati empirici dello studio su cui si basano i risultati riportati nei grafici
produttività.B e C, i salari di efficienza sono spesso citati come potenziale causa delle rigidità al ribasso dei
salari. Cfr. ad esempio: il capitolo 3 in Layard, R., Nickell, S. e Jackman, R. (1990), Unemployment:
macroeconomic
performance
and the labour
market,
Oxford University
Press, 1990; Stiglitz,
Inoltre l’indagine
WDC3
mostra
una
ulteriore
evidenza:
la rigidità al ribasso
J.,’’Alternative Theories of Wage Determination and Unemployment in LDCs: The Labour Turnover
dei salari inModel’’,
caso
di Journal
domanda
negativa
determina
Quarterly
of Economics,
vol. 88, 1974, pagg.
194-227; Solow,degli
R. (1979), effetti
“Another “nefasti” sul
possible source of wage stickiness’’, Journal of Macroeconomics, vol. 1, n. 1, pagg. 79-82; e Du Caju,
tasso di disoccupazione
che
cresce
in misura
Se infatti i salari
P., Kosma, T., Lawless, M,
Messina,
J., e T. Rõõm
(2015), ‘’Whyragguardevole.
firms avoid cutting wages: survey
evidence from European firms’’, ILR Review, vol. 68, n. 4, 2015.
diminuisco è infatti significativamente più probabile che l’occupazione cresca
o quantomeno rimanga invariata (cioè non diminuisca). La probabilità che
10
BCE Bollettino economico, numero 1 / 2017 – Riquadri
Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network
31
9
l’occupazione cresca è maggiore quando i salari diminuiscono. Invece, in
caso di livello costante dei salari, cresce la possibilità di un aumento della
disoccupazione.
Grafico C
Risposta dei salari e dell’occupazione alla contrattazione salariale collettiva e alle dinamiche salariali
(decimali; variazione nella probabilità di un adeguamento dei salari (diagramma A); variazione nella probabilità di una variazione dell’occupazione (diagramma B)
Diagramma A Variazione nella probabilità di un adeguamento dei
salari dovuto ad accordi di retribuzione collettivi
0,04
0,03
0,02
0,01
0,00
-0,01
-0,02
-0,03
diminuzione
pronunciata
dei salari
aumento
moderato
dei salari
diminuzione
moderata
dei salari
aumento
pronunciato
dei salari
Diagramma B Variazione nella probabilità di una variazione dell’occupazione
dovuta a diversi aumenti salariali
diminuzione pronunciata dei salari
diminuzione moderata dei salari
aumento pronunciato dei salari
aumento moderato dei salari
0,6
0,6
0,5
0,5
0,4
0,4
0,3
0,3
0,2
0,2
0,1
0,1
0,0
0,0
-0,1
-0,1
-0,2
-0,2
-0,3
-0,3
aumento
invarianza
aumento
diminuizione
diminuizione
pronunciato
dell’occupazione
moderato
moderata
pronunciata
dell’occupazione dell’occupazione
dell’occupazione dell’occupazione
aumento
invarianza
aumento
diminuizione
diminuizione
pronunciato
dell’occupazione
moderato
moderata
pronunciata
dell’occupazione dell’occupazione
dell’occupazione dell’occupazione
Fonti: Marotzke et al. (2016).
Note: le stime si basano su metodi probit IV ordinati delle variabili strumentali (effetti marginali sulla probabilità di osservare il risultato). Il diagramma A del grafico mostra come
la probabilità stimata di un determinato andamento dei salari cambi allorché aumenta la quota degli occupati interessati da accordi di contrattazione collettiva dei salari. Gli effetti
marginali sulla probabilità di osservare una variazione dei salari sono espressi in termini assoluti e non rispetto a una categoria di riferimento. I risultati si basano sulle sole imprese
interessate da un calo della domanda, ma i parametri e i risultati sono assai simili per l’intero campione di imprese e per tutte le cinque categorie di domanda. Il diagramma B
mostra, per diversi andamenti salariali, la probabilità stimata di un dato andamento dell’occupazione rispetto alla categoria di riferimento di invarianza dei salari. Tutti i parametri
hanno significatività statistica prevalentemente all’1 per cento in base a errori standard robusti.
dei salari; in secondo luogo, l’aumento della probabilità che i salari diminuiscano
in risposta a un calo della domanda è significativamente inferiore a quello della
probabilità che i salari aumentino in risposta a un incremento della domanda (a
indicazione della presenza di rigidità al ribasso e di una risposta asimmetrica dei
salari)11. Infine, i risultati evidenziano un effetto negativo delle rigidità al ribasso dei
salari sull’occupazione a livello di singola impresa.
2. CONCLUSIONI
Da tale studio emerge quindi che le rigidità salariali in Europa durante il
periodo 2010-13 si sono associate ad un andamento più negativo
dell’occupazione. Tale
rigidità
determinata
massima
Dal punto
di vista salariale
delle politiche,era
la contrattazione
collettivain
sembra
contribuireparte
alle
rigidità
verso
il
basso
dei
salari,
le
quali
potrebbero
a
loro
volta
esacerbare
dalla presenza di accordi collettivi (a livello nazionale o di categorie e non di
la perdita di posti di lavoro durante le recessioni. Durante la crisi alcuni paesi
singola azienda) che
impedivano un adeguamento al ribasso dei salari. Ciò
dell’area dell’euro hanno introdotto riforme che offrivano alle imprese maggiori
determinava una elasticità
asimmetrica
salario
nominale
che
opzioni per muovere
verso accordidella
salarialicurva
a livello didel
impresa
e abbandonare
così
in caso di aumento della produttività era più elastica, in caso di decremento
Anche
in questo
caso le caso
variazioni nella
probabilitàcrescevano
sono messe a confrontoin
con caso
la situazione
la
era meno elastica; così
nel
primo
i salari
diin cui
aumento
domanda rimane invariata.
della domanda, ma non diminuivano parallelamente in caso di diminuzione
della domanda medesima.
BCE Bollettino economico, numero 1 / 2017 – Riquadri
32
11
Adeguamenti salariali e occupazione in Europa: i risultati dell’indagine Wage Dynamics Network
10
Da un punto di vista di politica economica, tale fenomeno della crescita del
tasso di disoccupazione a seguito di una rigidità salariale verso il basso
potrebbe essere enfatizzato nella fasi (come quella attuale) di recessione e di
crisi congiunturale. Proprio per fare fronte a tale evenienza, nell’area euro
alcuni paesi hanno introdotto una serie di riforme strutturali (vedi per l’Italia il
job Act) che miravano a rendere più flessibile il mercato del lavoro sia in
entrata che in uscita (riforma dell’articolo 18, Statuto dei Lavoratori). Si è poi
cercato, sempre nel medesimo spirito, di passare da una contrattazione
nazionale ad una aziendale con l’intento, più o meno palese, di render più
malleabili i meccanismi contrattuali, adeguando più facilmente le retribuzioni
ad una variazione della domanda. Ciò dovrebbe avere l’effetto di limitare la
riduzione dell’occupazione nel suo complesso specie in un periodo di crisi
come quello attuale.
11
C. ULTERIORI APPROFONDIMENTI
1. LA RIGIDITÀ DELLE STRUTTURE ISTITUZIONALI COME
AGGRAVAMENTO DEGLI EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA
Dallo studio esposto nella precedente sezione di questo lavoro (Sezione B,
infra) si evidenzia come sussista una stretta correlazione tra solidità delle
istituzioni e strutture economiche, da un lato e mantenimento di un livello di
crescita e di benessere elevato e costante, dall’altro.
In altri termini, istituzioni e strutture economiche funzionanti e ben
organizzate sono il presupposto per la prosperità e la tenuta del sistema a
lungo termine. In tale ambito però permane un divario significativo in termini
articoli hanno mostrato gli effetti delle riforme strutturali sulle principali variabili
di qualità Questi
ed efficenza
delle istituzioni tra i paesi dell’area euro e i paesi
macroeconomiche e come la debolezza delle istituzioni e le rigidità strutturali hanno
OCSE cheostacolato
in tale laambito
ottengono i migliori risultati.
convergenza reale fra i paesi dell’UE. Inoltre, secondo gli articoli,
In particolare,
la presenza
di strutturali
istituzioni
solide
l’assenza
di rigidità
strutturali
l’adozione
di ulteriori riforme
potrebbe
essereeuno
strumento efficace
per
ristabilire
e la competitività
nell’area dell’euro.
presente articolo
integra
(come quella,
adla crescita
esempio,
riscontrabile
nella Ilriduzione
salariale)
favorisce
la
precedente
analisi
ponendo
in
risalto
l’importanza
di
istituzioni
solide,
specie
in
tutta una serie di variabili macroeconomiche, tra cui la capacità di tenuta, la
a due questioni di massima urgenza: come rafforzare la capacità di tenuta
produttivitàrelazione
e la crescita
potenziale.
e come stimolare la produttività e la crescita potenziale nei paesi dell’area.
La capacità di tenuta è indebolita invece da strutture economiche rigide ed
La capacità
di tenuta
è indebolita
da strutture
economiche
ed elevati
elevati livelli
di debito.
Infatti
questi
ultimi due
fattoririgide
impediscono,
in caso di
livelli
di
debito.
In
caso
di
variazioni
strutturali
o
di
bruschi
shock
negativi,
la
rigidità
variazioni strutturali o di bruschi shock negativi, una corretta e tempestiva
delle strutture economiche impedisce una tempestiva riallocazione delle risorse,
riallocazione
della risorse (capitale e lavoro) verso altri settori. Ad esempio,
come capitale e lavoro, verso altri settori. Un debito pubblico elevato rende più
un elevatodifficile
debito
pubblico interno rende più difficile l’attuazione di politiche
l’attuazione di politiche di bilancio anticicliche , mentre un elevato debito
anticicliche;privato
mentre
elevato
indebitamento
delle nelfamiglie
impedisce a
impedisceun
a famiglie
e imprese
di distribuire uniformemente
tempo
famiglie edconsumi
imprese
di distribuire
i consumi
nel
tempo.
Infine, un forte debito
e investimenti.
In modo analogo,
e correlato,
un elevato
indebitamento
nettol’estero
sull’estero rende
i paesi
vulnerabilivulnerabili
a improvvisi deflussi
di fondi deglideflussi
investitori di capitale
pubblico con
rende
i paesi
a possibili
esteri.
Il
grafico
1
mostra
che
il
problema
del
debito
elevato
è
relativamente
diffuso
straniero.
2
nei paesi dell’area dell’euro ed è generalmente associato a una debole crescita
economica dall’inizio della crisi economica e finanziaria.
Grafico 1
Debito pubblico e privato (2007) e crescita del prodotto pro capite (2007-2015)
(asse delle ascisse: debito pubblico e privato in percentuale del PIL (2007); asse delle ordinate: variazione del PIL pro capite dopo il picco)
Series1
20
15
LT
10
SK
MT
DE
5
LV
FR
0
EE
AT
BE
IE
-5
SI
-10
FI
NL
PT
ES
IT
-15
CY
-20
-25
GR
50
100
150
200
250
300
Fonti: elaborazioni della BCE basate su dati Eurostat per il debito pubblico e privato e stime del FMI per la crescita del prodotto
potenziale.
Nota: il 2007 rappresenta il picco ciclico per l’area dell’euro nel suo complesso.
La bassa crescita della produttività, dovuta in parte a numerosi ostacoli
strutturali e istituzionali, è un problema che si trascina da tempo nell’area
350
12
Come si può vedere nel grafico 1, la bassa crescita della produttività, dovuta
massimamente ad ostacoli strutturali ed istituzionali, è un problema di lungo
corso nell’Unione
Europea.
Invece
grafico
2 mostra
in due terzi dei
negli ultimi 20
anni. Nello stesso
periodoili tassi
negli Stati
Uniti si sonocome
mantenuti
lievemente
al di sopra
per cento.
Questoproduttività
quadro è motivo ditotale
preoccupazione,
paesi dell’area
euro
la dell’1
crescita
della
dei fattori (PTF) è
dato
che
la
PTF
è
un
fattore
determinante
per
la
crescita
del
PIL,
che
a
sua
volta è
rimasta in media al di sotto dell’1% negli ultimi venti anni. Similmente,
i tassi
necessaria per promuovere l’occupazione e contribuire a ridurre gli elevati livelli di
negli Stati Uniti si sono mantenuti lievemente al di sopra dell’1 per cento. Tale
indebitamento privato e pubblico.
quadro è preoccupante, dato che la PTF è un fattore determinante per la
In tale
contesto,
articolo analizza
come istituzioni
economichel’occupazione
crescita del
PIL,
che ilapresente
sua volta
è necessaria
pere strutture
promuovere
solide possano far fronte alla scarsa capacità di tenuta e alla debolezza della
e contribuire a ridurre gli elevati livelli di indebitamento pubblico e privato.
produttività, specie nell’ambito di un’unione monetaria. L’analisi si articola in tre parti.
Grafico 2
Crescita media della produttività totale dei fattori nel 1985-1995 e nel 1995-2015
(variazioni percentuali sui dodici mesi)
1985-1994
1995-2015
3,0
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
IT
ES
PT
GR
CY
LU
AE
BE
DE
FR
NL
AT
SI
FI
MT
LV
IE
EE
SK
LT
Fonte: media non ponderata delle stime di BCE, Commissione europea e FMI.
Note: per il periodo 1985-1995 non sono disponibili le stime di alcuni paesi. AE indica area dell’euro.
La sezione 2 esamina gli andamenti economici dei paesi dell’area dell’euro in
base a una serie di indicatori istituzionali e strutturali. La sezione mostra che per
2. SOLIDITÀ
ISTITUZIONALE
E PROSPETTIVE
DIdelCRESCERE
E
quanto riguarda
le principali strutture economiche
(ad esempio, i mercati
lavoro
e dei beniECONOMICO
e servizi) e alcune istituzioni fondamentali, i paesi dell’area rimangono
BENESSERE
dalla frontiera rappresentata dalle migliori prassi dei paesi dell’OCSE.
Istituzioni distanti
internazionali
come il fondo monetario internazionale (FMI),
La sezione
3 passa in rassegna
le evidenze
empiriche
ai vantaggi
l’OCSE, la
commissione
europea
e la
BCErelative
hanno
più volte richiesto
e strutture
solide con
particolare
ai paesi
l’adozione didiistituzioni
riforme
strutturali
al fine
di a)riferimento
favorire
unadell’area
migliore allocazione
dell’euro. La sezione mostra che l’efficacia delle regolamentazioni dei mercati del
delle risorse economiche attraverso la riduzione degli ostacoli alla libera
lavoro e dei beni e servizi e la validità delle istituzioni di governance rafforzano la
circolazione
di capitale
e essenziali
lavoratori;
b) abbattere
le barriere
capacità
di tenuta e sono
per la crescita
nel lungo periodo.
La sezione all’ingresso di
nuove imprese;
c) assicurare
condizioni
parità
a tuttie gli operatori
mostra che nonostante
i notevoli vantaggi
conseguibili di
con le
riforme istituzionali
economici.strutturali e la notevole distanza che ancora permane dalle migliori prassi, il ritmo
delle riforme nell’area dell’euro, dopo un’impennata all’inizio della crisi, ha rallentato,
Le riforme
strutturali sono generalmente associate a politiche di
specie nei paesi sottoposti a programmi di aggiustamento economico.
regolamentazione che hanno come obiettivo quello di rafforzare gli incentivi di
La sezione 4 mostra come strutture economiche e istituzioni solide siano un
obiettivo importante per assicurare il regolare funzionamento dell’UEM nel
13
suo complesso. Esistono numerose evidenze e ampio consenso sul fatto che la
BCE Bollettino economico, numero 5 / 2016 – Articoli
81
mercato nei mercati di beni e servizi nazionali. Tali regolamentazioni spesso
riguardano le condizioni generali per l’avvio e la gestione delle imprese.
In particolare, le istituzioni sono definite l’insieme delle regole e delle
politiche in grado di stabilire condizioni di parità concorrenziale fra tutti gli
operatori economici e assicurare incentivi economici efficaci che favoriscono
gli investimenti, l’innovazione, il risparmio, e la risoluzione dei problemi di
azione collettiva, oltre ad assicurare una fornitura efficiente di beni pubblici.
Invece, le strutture economiche possono essere definite come l’assetto
normativo che stabilisce gli incentivi per tutte le transazioni fra gli operatori
economici in un’economia. Nelle economie di mercato infatti la
regolamentazione cerca di prevenire i fallimenti del mercato e di mantenere la
coesione sociale, contribuendo in misura significativa a determinare le
strutture economiche.
Vi sono numerosi casi in cui la regolamentazione può accrescere il livello di
benessere se utilizzata in modo adeguato. Ad esempio, in caso di monopolio
naturale nelle grandi industrie a rete (ad esempio, l’energia elettrica),
potrebbe essere opportuno regolamentare tale mercato e per renderlo
concorrenziale si potrebbe pensare di scorporare la rete dal servizio (come in
effetti è avvenuto in molti paesi europei tra cui l’Italia).
Tuttavia, una regolamentazione eccessiva potrebbe creare incentivi non
corretti per gli investitori, le imprese ed i dipendenti; essa potrebbe persino
fermare la crescita ed impedire una pronta risposta agli shock avversi.
La regolamentazione nel mercato del lavoro influenza il tasso di creazione e
di distruzione di posti di lavoro, i livelli di occupazione, la produttività, i salari e
i profitti e il grado di protezione sociale. Potrebbe infatti essere necessario
regolamentare gli accordi in materia di stabilità dei posti di lavoro, i salari
minimi e i contratti collettivi per garantire ai lavoratori un livello adeguato di
protezione sociale o per promuovere la crescita della produttività . Però la
regolamentazione eccessiva impedisce alla imprese e ai dipendenti di reagire
prontamente agli shock economici in quanto scoraggia le assunzioni e
favorisce chi ha già un posto di lavoro rispetto ai disoccupati. Bisogna quindi
trovare un equilibrio tra le politiche di regolamentazione del mercato che
evitano eccessive distorsioni del medesimo e una eccessive
regolamentazione che avrebbe effetti altrettanto negativi.
Le principali istituzioni del mercato del lavoro sono: a) il processo di
formazione dei salari, b) la legislazione (di tutela) del lavoro, c) le politiche
attive, d) le politiche di sostegno al reddito, e) il carico fiscale sul lavoro, f) le
politiche di istruzione e formazione professionale.
Le strutture del mercato del lavoro influiscono sul potenziale di crescita di una
economia e sulla sua capacità di adattarsi tempestivamente ai bruschi
cambiamenti di contesto. Infatti, se l’economia subisce degli shock avversi
(come la crisi del 2008 del mutui sub prime) è necessario potere con una
14
certa rapidità riadattare i salari e riallocare la forza lavoro, onde evitare un
effetto lock-in (cd effetto di blocco). Il tutto però deve essere accompagnato
da mirati sussidi di disoccupazione.
L’eccessiva regolamentazione può avere effetti negativi sulla crescita del PIL.
Infatti, un mercato ad elevato grado di concorrenza tende ad avere prezzi più
bassi rispetto ad un mercato analogo dove però la concorrenza è minore e
ciò avvantaggia notevolmente i consumatori che operano nel mercato della
prima tipologia, in quanto si riducono le rendite ingiustificate dei produttori e si
massimizza il benessere di tutti coloro i quali operano in quel mercato
(trovando un equilibrio di tipo Pareto ottimale). La concorrenza poi tende a
favorire la diversificazione dei prodotti, dando maggiore scelta ai
consumatori. Infine, l’assenza di barriere all’ingresso nei mercati tende ad
aumentare la tendenza all’innovazione delle imprese e quindi favorisce il
progresso tecnologico, la produttività e, in ultima analisi, la creazione di posti
di lavoro.
Da quanto detto sopra possiamo ricavare la conclusione che le strutture dei
mercati di beni e servizi influiscono sulla capacità delle economie di assorbire
gli shock. Difatti per assorbire uno shock è necessario riallocare rapidamente
i fattori produttivi (capitale e lavoro) e aggiustare i prezzi. In particolare,
l’aggiustamento dei prezzi serve per fare gravare sul prezzo finale del bene la
variazione del costo di produzione dovuta ad un aumento (o diminuzione) del
costo dei fattori produttivi. Ad esempio, se a causa di uno shock negativo,
diminuisce il costo del lavoro, allora i prezzi devono scendere per fare
rimanere l’economia competitiva, altrimenti si rischia di scaricare sul reddito
delle famiglie gli effetti dello shock negativo.
Esistono una serie di politiche finalizzate ad aumentare la concorrenza nei
mercati di beni e servizi. Ad esempio, mediante una politica di carattere
generale si può creare una autorità di regolamentazione centrale autorevole
ed efficiente che abbia come fine istituzionale quello di garantire la
concorrenza nei mercati (come l’Autorità Antitrust italiana). Si possono poi
adottare politiche specifiche che aiutino le imprese a superare le barriere
all’ingresso di un mercato, ad esempio, nell’ambito dei servizi di rete, si può
scorporare la rete dal servizio (come è avvenuto, in Italia, con le Ferrovie).
Valutare la qualità delle istituzioni e delle strutture economiche è un compito
impegnativo. Ciò avviene soprattutto attraverso le percezioni, che però non
riflettono necessariamente la qualità della normativa ma piuttosto il
funzionamento dell’economia. Si possono a tale fine utilizzare quattro
indicatori elaborati dalla Banca Mondiale: efficacia delle amministrazioni
pubbliche, qualità del quadro regolatorio, stato di diritto e contrasto alla
corruzione. Per una analisi dettagli di tali fattori si confronti il grafico 3, che
prende in considerazione i paesi dell’area euro, gli Stati Uniti e i tre paesi
OCSE con i migliori risultati. Da tale grafico risulta che per tutti e quattro gli
15
Esistono varie politiche per i mercati dei beni e servizi volte a favorire la concorrenza.
Le politiche di carattere generale, ad esempio, prevedono la creazione di un’autorità di
regolamentazione autorevole ed efficiente in grado di monitorare le condizioni di concorrenza su
indicatori nell’area euro,
la qualità
istituzioni
è più
bassi
che nelle
altre
tutti i mercati
rilevanti.delle
Inoltre, le
politiche possono
creare
più in generale
condizioni
di mercato
favorevoli che agevolano l’ingresso di nuove imprese e riducono gli oneri amministrativi delle
aree.
imprese esistenti. Le politiche specifiche di settore includono, ad esempio, le misure a favore della
concorrenza nelle industrie di rete (ad es., energia, telecomunicazioni o trasporti), nel settore del
commercio al dettaglio e negli ordini professionali chiusi (ad es., notai, farmacisti o avvocati).
Grafico 3
Qualità delle istituzioni nei paesi dell’OCSE nel 2015
Valutare la qualità delle istituzioni e del
(indice)
comune valutare la qualità istituzionale sop
economiche è un compito impegnativo.
in base alle percezioni, anche se ciò non r
efficacia delle amministrazioni pubbliche
qualità del quadro regolatorio
stato di diritto
contrasto alla corruzione
necessariamente la qualità della normativa
piuttosto il funzionamento effettivo dell’eco
2,5
questo articolo si utilizzano come proxy de
istituzionale i quattro indicatori di governan
2,0
dalla Banca mondiale: efficacia delle amm
1,5
pubbliche, qualità del quadro regolatorio, s
e contrasto alla corruzione. Il valore aggre
1,0
indicatori è stato definito come la qualità d
forniti dalle amministrazioni statali5, o sem
0,5
come l’erogazione di servizi istituzionali. Il
0,0
area dell’euro
Stati Uniti
Giappone
Regno Unito
primi 3 paesi
dell’OCSE
Fonti: elaborazioni della BCE basate su dati della Banca mondiale.
Note: i “primi 3 paesi dell’OCSE” sono Finlandia, Nuova Zelanda e Svizzera. Più elevato è il numero indice, migliore è la qualità delle istituzioni. I dati per l’area dell’euro
sono una media non ponderata dei paesi membri.
mostra questi quattro indicatori per i paesi
dell’euro, gli Stati Uniti e i tre paesi dell’OC
migliori risultati. Un numero indice più elev
migliori standard istituzionali. Per tutti e qu
indicatori, la qualità delle istituzioni nell’are
in media inferiore a quella delle aree confr
5
Helliwell, J.F. et al., “Good Governance and National Well-being: What are the Linkage
Papers on
Governance,
n. 25, tutti
2014. i paesi
La conclusione
cuii paesi
si giunge
ilWorking
grafico
3diPublic
èqualità
che
quasi
Quasi tutti
dell’areaosservando
dell’euro presentano
istituzioni
inferiore
paesi dell’OCSEistituzioni
con i risultati di
migliori,
sebbene
esista una rispetto ai paesi
dell’aerea rispetto
euro aipresentato
qualità
inferiore
eterogeneità
fra disebbene
essi. Il graficoesista
4
mostrauna
cheeconomico,
l’indicatore
di qualità
OCSE connotevole
i risultati
migliori,
notevole
BCE Bollettino
numero 5diversità
/ 2016 – Articoli tra essi.
istituzionale varia ampiamente fra i paesi dell’area, considerando che la Finlandia
Paesi come
la Fillandia, il Lussemburgo e i Paesi Bassi sono prossimi ai
è alla frontiera in termini di solidità istituzionale, alcuni paesi (come Lussemburgo e
paesi OCSE
paesi
comemigliori
l’Italia
e la mentre
Grecia
si avvicinano ai
Paesimigliori,
Bassi) sonomentre
quasi in linea
con i risultati
dell’OCSE,
altri (come
paesi OCSE
peggiori.
Grecia
e Italia) sono prossimi ai paesi dell’OCSE con i risultati peggiori.
Grafico 4
Distanza dei paesi dell’area dell’euro dalla frontiera in termini di qualità
delle istituzioni (2015)
(indice)
1,0
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
AE
pr
i
de mi
ll’O 3 p
C aes
SE i
0,0
:
qualità del quadro regolatorio, contrasto alla corruzione) ed elaborazioni della BCE.
:
u
uu
I “primi 3 paesi dell’OCSE” sono Finlandia, Nuova Zelanda e Svizzera. AE indica l’area dell’euro.
u
16
Venendo più nello specifico al mercato del lavoro, la misurazione della sua
efficenza dipende da varie tipologie di regolamentazioni ad ampio spettro. Ciò
perché gli interventi sul lavoro, come quelli sull’occupazione, possono essere
valutati solo in un contesto più ampio qual è quello di protezione sociale.
Bisognerebbe quindi cercare il giusto mix di stabilità e flessibilità, onde
evitare che la flessibilità si trasformi in precarietà, andando così a creare dei
lavoratori di serie B (precari) e lavoratori di serie A (stabili).
Per misurare la regolamentazione dei mercati dei beni e servizi è necessario
esaminare il funzionamento di numerosi settori dell’economia. Una volta che
tali criteri sono stati combinati si vede come esiste una stretta correlazione tra
la qualità delle istituzioni e il corretto funzionamento del mercato del lavoro e
del mercato dei beni e servizi. In particolare dove la qualità delle istituzioni è
mediamente inferiore anche la qualità della regolamentazione dei beni e
servizi tende ad essere inferiore alla media. Ciò vuol dire che in presenza di
istituzioni solide è più facile che si superino gli interessi di parte e si pongano
in essere riforme per il benessere della collettività.
BIBLIOGRAFIA
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