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Se ci trovassimo a Berlino in Alexanderplatz, gustando uno stinco di maiale e sorseggiando
un’ottima birra, oppure a Sydney all’Opera House, davanti a uno stuzzicante Fish and Chips con un
prelibato Cabernet-Shiraz , o ancora a Ventimiglia nella Liguria di ponente ai Giardini Hanbury tra un
bicchiere di Rossese di Dolceacqua e qualche trancio della tipica “pisciadela”, ci sarebbero sicuramente
due cose che potremmo fare, rimanendo comodamente seduti.
La prima è verificare dove si trova la camicia su misura che stiamo aspettando a casa, attraverso il
codice “tracking”, dalla prestigiosa sartoria Napoletana che da oggi vende anche e soprattutto on-line;
la seconda è acquistare all’ultimo minuto il regalo per il compleanno della suocera,
su una nota
piattaforma dotata di un’app che rende semplici le operazioni ed è in grado di consegnare la merce
entro 24 ore dall’ordine.
Ecco, stiamo facendo e-commerce e forse non ne siamo consapevoli; ma, quali sono le origini di
questa liaison indissolubile che unisce l’informatica, il commercio e la logistica?
Da qui dobbiamo partire per analizzare un fenomeno economico di grande attualità,
che sta
caratterizzando la nostra vita di consumatori, di imprenditori, di lavoratori. Per comprendere meglio
questo fenomeno, bisogna fare un rapido excursus di alcune componenti fondamentali che danno vita a
un settore economico in grande espansione a livello planetario, come la storia dei mezzi di trasporto,
le grandi infrastrutture del nostro Paese e la nascita e lo sviluppo dell’e-commerce che altro non è che
l’acquisto di merci e servizi in rete attraverso una connessione internet.
Potrebbe sembrare facile organizzare il trasporto di una merce da un dato punto A ad un dato
punto B, eppure le molteplici variabili esistenti rendono assai arduo gestire questo tipo di servizio tutti i
giorni dell’anno. Se pensiamo, ad esempio, al binomio infrastrutture-mezzi di trasporto rapportato alla
nostra Penisola, possiamo iniziare a comprendere solo alcune delle difficoltà che questo genere di
attività deve affrontare quotidianamente.
Non dobbiamo nemmeno sottovalutare le problematiche che emergono dal tipo di merce trasportata,
dal rispetto della legislatura, sempre più incalzante, dai tempi richiesti dal cliente affinché il servizio
offerto possa rientrare negli standard qualitativi del mercato .
A tutto questo, va aggiunta la cosiddetta “ guerra delle tariffe” che può variare da un servizio di
qualità organizzato ed effettuato entro i canoni richiesti dalla legge, ad una vera e propria deregulation
che apre le porte ad un dumping contrattuale impetuoso dove agiscono diverse tipologie di aziende e
lavoratori.
Per questo ultimo aspetto, è ancora distante una soluzione percorribile, non solo per le forti pressioni
di multinazionali, ma anche e soprattutto perché questo è un mondo che cambia con notevole velocità
ed è necessario adeguarsi ai continui mutamenti.
STORIA DEI MEZZI DI TRASPORTO DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI
Mezzi di trasporto Terrestri
I mezzi di trasporto hanno fatto la loro comparsa nell'antichità, ancora prima dell'invenzione della
ruota (Sumeri, 3500 a. C.), quando venivano utilizzate slitte ricavate dai rami degli alberi. I carri
trainati da animali venivano utilizzati per trasportare merci o persone, ma soprattutto per spostare i
soldati. Nei secoli successivi troviamo tracce di questi mezzi di trasporto sia nell'antica Grecia che in
Egitto. I Romani furono uno dei primi popoli a creare un sistema di trasporti su strada, a partire dal
312 a.C. (la prima strada costruita fu la via Appia); la velocità di viaggio era di circa 8 Km/h. I mezzi di
trasporto utilizzati dai romani erano carri a quattro ruote per le merci pesanti e per il popolo, mentre i
nobili utilizzavano calessi con due ruote che potevano essere coperti o meno.
Uno sviluppo nella costruzione dei veicoli si ebbe nell' XI secolo con la comparsa di ruote con cerchi in
ferro e veicoli sempre a quattro ruote ma con gli assi anteriori girevoli che consentivano di superare
curve anche molto strette. Nel XV secolo comparve l'uso di cinghie in cuoio che, tenendo sospeso il
cassone del veicolo dagli assi, consentivano una maggiore comodità ai viaggiatori. In questo periodo
vennero anche introdotte le diligenze che consentivano il trasporto di molte persone ( da 8 fino a 40 )
. Nel XVII secolo comparvero le carrozze che vennero dotate di finestrini di cristallo e assi che non
necessitavano di essere oliati quotidianamente; fu in questo periodo, inoltre, che Elliot ideò un sistema
di sospensioni in sostituzione di ganci in metallo e cinghie di cuoio.
Nel 1770 James Watt costruì i primi motori a vapore, in cui lo scorrere di un pistone poteva far
muovere un'asta o una ruota. Nel 1804, l’ingegnere Richard Trevithick costruì una macchina a vapore
in grado di viaggiare su rotaia: era nata la prima locomotiva a vapore. La prima ferrovia pubblica venne
inaugurata nel 1825 in Inghilterra.
A cavallo tra la fine del 1700 e i primi decenni del 1800, entrò in circolazione la bicicletta che, via
via, venne perfezionata con l’invenzione dello sterzo, dei pedali collegati alle ruote tramite una catena,
e infine dotata dei cambi di velocità.
Le motociclette comparvero in Francia nel 1869 ad opera dei fratelli Michaux che adattarono un
motore a vapore ad una loro bicicletta, con un'autonomia
di 16 Km. Nel 1885, l’ingegnere
tedesco Daimler provò ad adattare un motore a benzina ad una bicicletta in legno, ottenendo però un
risultato molto modesto. In seguito, nel 1894, entrò in circolazione una motocicletta con motore a due
cilindri che raggiungeva i 38 Km/h e solo nel 1907 una casa costruttrice belga lanciò sul mercato il
primo modello a quattro cilindri che, oltre 60 anni dopo, avrebbe fatto la fortuna dei costruttori
giapponesi con le moto di grande cilindrata.
Nel 1885 comparvero le prime automobili con motore a benzina ideate dai tedeschi Benz e Daimler
che svilupparono motori a combustione piuttosto compatti, in grado di adattarsi a veicoli su strada. La
produzione di veicoli a motore si intensificò notevolmente, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie, e
vide, fra i più pronti, Tedeschi, Francesi e Inglesi. Nello stesso periodo, furono apportati dei
miglioramenti
relativi ai mezzi di trasporto su rotaie: cambiarono le dimensioni delle vetture e
vennero realizzati dei percorsi sotterranei (le odierne metropolitane). La prima sotterranea fu quella di
Londra, a cui seguirono quelle di Budapest, Parigi e San Francisco. La circolazione di questi mezzi di
comunicazione rallentò in parte lo sviluppo e il diffondersi delle linee tranviarie che, inizialmente
costituite da carrozze trainate da cavalli, divennero in seguito
elettrificate, grazie alla scoperta
dell’energia elettrica.
Un grande contributo allo sviluppo delle automobili venne offerto dall’americano Cadillac che, nel
1912, realizzò i motorini d'avviamento elettrici. Nello stesso periodo (1908), Ford progettò il famoso
modello T, la prima vettura prodotta in serie, attraverso la catena di montaggio, e accessibile a tutti
poiché maneggevole, semplice ed economica. Il successo che ne derivò fu notevolissimo, tanto che, nel
giro di 15 anni, del modello T vennero prodotti 15 milioni di esemplari.
Accanto alla diffusione delle automobili, si sviluppò anche l'industria delle auto da corsa, che ben
presto dominò il mercato con case automobilistiche di rilievo come Maserati, Alfa Romeo, Bugatti,
Mercedes Benz, che producevano modelli in grado di superare i 320 Km/h. Da qui, alla nascita della
Formula Uno (1948), massima espressione delle auto da corsa, il passo fu breve.
Parallelamente allo sviluppo tecnico delle automobili si ebbe, attorno al 1950, anche quello degli
altri mezzi di trasporto come i treni ultraveloci francesi (TGV) o quelli giapponesi.
Nello stesso periodo anche le motociclette subirono delle trasformazioni: comparvero i sidecar che
ebbero il loro massimo sviluppo tecnico in Giappone, Paese da cui giunsero in Europa, negli anni 50 e
60, moltissimi modelli, in primo luogo quelli della Honda.
Sul finire degli anni ‘50 le automobili presentano una sempre più rapida evoluzione sia
riguardo
all'estetica con carrozzerie pluriaccessoriate, sia in merito alla concezione tecnica con il passaggio dal
blocco motore nella parte posteriore a quello in posizione trasversale ed anteriore. La produzione, oggi,
è divenuta sempre più sofisticata e attenta ai dettagli estetici, nonché alla sicurezza dei passeggeri con
barre di rinforzo della carrozzeria, airbag, dispositivi che bloccano l'erogazione del carburante in caso
d'incidente , o che stabilizzano l'auto in frenata e sul bagnato.
Il futuro è nella costruzione di mezzi di trasporto che utilizzano fonti energetiche meno inquinanti e a
costi minori come ad esempio il GAS GPL o il metano, ma anche l'energia elettrica o solare oppure
l'idrogeno . In alcuni casi esistono già dei prototipi, ma fino a quando gli interessi in gioco nel
commercio del petrolio saranno così elevati, sarà difficile vedere utilizzare queste fonti energetiche per
i mezzi di trasporto su larga scala.
Mezzi di trasporto Navali
Le prime imbarcazioni di cui si ha notizia erano zattere mosse da lunghe pertiche e realizzate
legando tra loro due o più tronchi. In seguito comparve la piroga, un’imbarcazione più leggera,
costituita da un tronco scavato, mossa da un remo corto, detto pagaia, e in grado di trasportare due o
tre persone. Le prime barche a vela, di cui si possiede una raffigurazione attendibile, furono
sicuramente le navi egizie (2600 a. C. circa), costruite con materiale egizio, come l’acacia, il sicomoro,
il papiro, ma anche con legno importato dal Libano. Queste erano formate da fusti di papiro legati con
cavi e corde, avevano il fondo piatto e furono le prime a usare le vele per sfruttare la forza del vento. Si
trattava di imbarcazioni di notevoli dimensioni, atte al trasporto di enormi blocchi di pietra per la
costruzione delle piramidi. Intorno al 1200 a. C. i Fenici cominciarono a costruire navi commerciali e
navi da guerra con legno di cedro (molto abbondante). Le navi commerciali erano lunghe 20/30 metri
e molto larghe, costituite da una vela rettangolare o quadrata e in grado di trasportare fino a 150
tonnellate di merci. Le navi da guerra erano più affusolate, dotate di due vele e due timoni. I Greci
perfezionarono la navigazione marittima con la costruzione di imbarcazioni sempre più agili e veloci.
Alcune navi furono munite di due file di remi (biremi) e, in seguito di tre remi (triremi). I Romani
seguirono modelli greci nella costruzioni di navi: realizzavano grosse navi da carico, per il trasporto di
merci, e navi da guerra come Biremi, Triremi, Quadriremi, Quinquiremi, Esaremi, Deceris, Actuaria. I
Vichinghi furono grandi costruttori di navi ed esperti conoscitori della navigazione. Le navi vichinghe
rappresentarono la massima espressione della tecnologia navale nordeuropea tra il X e il XIII secolo.
Costruite per essere resistenti, veloci e maneggevoli, erano caratterizzate da uno scafo lungo, sottile e
leggero, mantenuto stabile da una chiglia, con una struttura simmetrica, in quanto poppa e prua erano
identiche. Le navi da guerra disponevano di due metodi di propulsione: vela e remi. Grazie ad
imbarcazioni entrate nella storia come la Nina, la Pinta e la Santa Maria, vennero scoperte le Americhe.
Nel 1700 i velieri assunsero una notevole importanza anche per quanto riguarda i combattimenti,
poiché molte navi, come la Victory, vennero impiegate oltre che per la scoperta di nuovi mondi anche
a scopi bellici o per il trasporto di merci e schiavi.
Nel 1707 da Hannover salpò la prima lancia a vapore in cui la propulsione era ottenuta tramite un
sistema di ruote a vapore; negli anni seguenti venne cambiata la disposizione delle ruote a vapore che
passarono a poppa anziché essere in posizione laterale rispetto allo scafo. Il declino di questo tipo di
imbarcazioni si ebbe con l'introduzione delle eliche. Agli inizi del ‘900, Parsons perfezionò la turbina a
vapore e grazie al suo sviluppo vennero costruiti molti transatlantici, come il RMS Virginian, varato
nel 1904. Nello stesso anno, ebbe inizio l'impiego di motori diesel che si svilupparono
progressivamente andando ad equipaggiare prima navi cisterna e via via tutte le altre. Nel 1950 fecero
la loro comparsa gli hovercraft e gli aliscafi. Il primo modello sperimentale di hovercraft fu ideato
dopo la seconda guerra mondiale dall’inglese Cockerell: supportato da un “cuscino d’aria” e mosso da
una o più eliche, presentava una nuova caratteristica, ossia si spostava sul terreno o sull’acqua senza
venirne a contatto. Questo tipo di imbarcazione è il precursore di una classe di “veicoli a effetto
superficie”, in cui la portanza è generata non solo dal cuscino ad aria, ma anche dalla spinta che si
determina a causa del moto. Il primo aliscafo fu progettato da E. Forlanini (1904), ma restò molti anni
in fase sperimentale. Solo dopo la seconda guerra mondiale, il progetto venne realizzato dal tedesco
Lobau. I primi aliscafi raggiungevano la velocità di 60 nodi, ma presentavano una scarsa stabilità. Col
tempo, le nuove tecnologie hanno permesso notevoli miglioramenti, favorendo una grande diffusione
di questa imbarcazione.
Nei primi anni ‘60, sono entrate in scena navi di superficie a propulsione nucleare, come la nave
rompighiaccio Lenin o navi militari, come i sommergibili, che tuttavia non hanno avuto una larga
diffusione (sono state costruite circa 38 navi di superficie con questo tipo di propulsione).
Accanto a questi tipi di navi utilizzate per trasporto di merci o passeggeri o motivi bellici si sono
sviluppate molte imbarcazioni utilizzate per motivi di lavoro come le chiatte o i rimorchiatori, i
pescherecci d'altura , le navi faro, le super petroliere e i battelli di soccorso, come quelli della Guardia
Costiera. Vi sono poi le imbarcazioni da diporto, come i gommoni (in modo più tecnico chiamati
battelli pneumatici) , le imbarcazioni d'altura , le houseboat usate per navigare i fiumi. In analogia con
il mondo dei motori si sono ideate imbarcazioni particolarmente veloci che gareggiano in competizioni
off shore paragonabili alla Formula Uno automobilistica.
Una cosa che colpisce di questi mezzi di navigazione è come le navi a vela non siano state
abbandonate con il passare degli anni, ma anzi progressivamente migliorate grazie allo sviluppo della
tecnica costruttiva, .all'impiego di sofisticati materiali per costruire lo scafo e le vele ed utilizzate
tutt'oggi, oltre che per svago, anche per importanti manifestazioni sportive, come la Coppa America.
Mezzi di trasporto Aerei
L'uomo ha sempre ammirato il volo degli uccelli e provato ad imitalo. Secondo il mito greco,
Dedalo aveva costruito delle ali con penne di uccello e le attaccò con la cera al corpo del figlio Icaro e
al suo., per scappare dal Labirinto in cui erano stati imprigionati. Quindi spiccarono il volo, ma Icaro si
avvicinò troppo al sole e la cera si sciolse, facendolo precipitare. Altri tentativi di volo con ali
artigianali vennero provati anche nel Medioevo, ma fu Leonardo da Vinci che nel XV secolo progettò
delle macchine volanti (che non vennero mai realizzate), di cui sono giunti sino a noi i disegni. I primi
ad inventare una macchina in grado di volare furono nel 1783 i fratelli francesi Montgolfier il cui
pallone aerostatico ad aria calda volò con un equipaggio sui cieli di Parigi; pochi giorni dopo fu tentato
il volo impiegando idrogeno che consentiva una spinta maggiore. In questo periodo, Jacques Charles
fece il suo primo volo utilizzando un pallone a gas, dotato di migliori capacità ascensionali e maggiore
autonomia e divenendo piuttosto comune dal 1790 fino al 1960. Il primo pallone dotato di propulsione
propria e con strumenti di controllo della direzione, venne realizzato nel 1852 da H. Giffard. Alla fine
del XIX secolo, questo tipo di velivoli, che vennero chiamati dirigibili, fu dotato di motore a
combustione interna, conseguendo migliori prestazioni e un più diffuso utilizzo. Tuttavia,a causa di
molti incidenti, dovuti all'alta infiammabilità dell'idrogeno, la loro fortuna ebbe vita breve.
La prima idea di aeroplano si deve all’ingegnere inglese G. Cayley che nel 1853 costruì in via
sperimentale un aliante che lanciò da un pendio con a bordo il suo cocchiere; dopo una breve planata,
però, l'aliante si schiantò al suolo. Fra il 1891 e il 1896, il tedesco Lilienthal costruì diversi modelli di
aliante che sperimentò personalmente; uno di essi, lanciato da un’altezza di 20 metri, riuscì a
percorrere circa 300 metri prima di atterrare. Negli anni successivi furono apportati diversi
miglioramenti, costruendo alianti in grado di sollevarsi da un terreno pianeggiante, e dalla struttura
sempre più maneggevole, permettendo di arrivare a percorrere circa 110 metri prima di atterrare. Gli
esperimenti di Lilienthal e di Chanute furono presi a modello dai fratelli Wright, considerati i primi ad
aver fatto volare una macchina “più pesante dell’aria” con un pilota a bordo. Nel 1903 realizzarono il
primo velivolo a motore, chiamato Flyer, dotato di un motore da 16 cavalli, che restò in aria per 12
secondi, arrivando a un’altezza di 120 piedi. Lo sviluppo degli aerei fu molto rapido: 6 anni dopo,
Bleriot volò sulla Manica, coprendo una distanza di 41 Km. In questo periodo,
fecero la loro
comparsa i monoplani, cioè aerei dotati di una sola ala; infatti, sino ad allora si erano visti solo biplani
o triplani. La contemporaneità della guerra diede un grosso impulso allo sviluppo della tecnologia
aeronautica: nacquero moltissimi modelli di biplani destinati inizialmente a compiti di ricognizione e
non erano armati; in seguito gli aerei si dotarono mitragliatrici, bombe a mano, e in breve ebbero inizio
i combattimenti aerei, dando vita agli aerei da caccia.
Dopo la prima guerra mondiale, si cominciò a considerare l’aereo come un mezzo di trasporto
pacifico. Nacquero così le prime compagnie aeree che richiedevano alle industrie aeronautiche modelli
da trasporto con dimensioni adeguate al numero dei passeggeri, maggiore autonomia, raggio d'azione e
velocità adeguate alle nuove esigenze. Inoltre, a causa della scarsità di legname,
molti costruttori cominciarono a utilizzare strutture in metallo che si rivelarono migliori sotto vari
aspetti.
Negli anni venti fecero la loro comparsa gli idrovolanti e la scoperta dei vetri antiurto consentì di
chiudere le cabine di pilotaggio. A partire dagli anni ‘30, subentrano molte novità:

Per aumentare la velocità degli aerei, nascono i motori con propulsione a getto (jet) e aumenta
la produzione di piccoli aerei monomotore, utilizzati sia per addestrare i piloti che a scopo turistico ;

Compare il motore a reazione (anni ‘50), che riduce di molto i tempi di percorrenza e permette
di costruire aerei molto più grandi e capienti, aprendo uno scenario di grande sviluppo economico e
sociale;

Compaiono i primi veicoli ad ala rotante, la cui evoluzione ha portato con il passare degli anni
alla costruzione degli elicotteri che, dotati di pale rotanti, possono effettuare un decollo verticale;
possono, inoltre, stare fermi sopra lo stesso punto e atterrare in spazi esigui.
Nella seconda metà del 1900 vengono fabbricati molti tipi di aerei sia per il trasporto di merci che
di passeggeri . Da un punto di vista di pratica sportiva è inoltre ripresa la costruzione di molti alianti:
questi, essendo privi di spinta propria, possono soltanto planare e rimanere in quota sfruttando le
correnti ascensionali o termiche .
Vanno inoltre ricordati i deltaplani e i velivoli ultraleggeri, impiegati soprattutto nel tempo libero e
per attività sportiva .
In ultimo, si rende necessario fare un riferimento all’esplorazione dello spazio, effettuata mediante
veicoli spaziali, con o senza equipaggio. Il primo uomo a volare nello spazio fu il cosmonauta sovietico
Jurij Gagarin a bordo della Vostok 1, nel 1961.Da allora, l’attività astronautica non ha conosciuto sosta,
e con l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, ha permesso di sviluppare una nuova forma di
turismo, ossia il turismo spaziale, che, per ora, stenta a decollare, per ovvie ragioni.
PARTE PRIMA
LE GRANDI INFRASTRUTTURE: IL SISTEMA DELLE FERROVIE E DELLE
AUTOSTRADE
Le infrastrutture italiane
Le infrastrutture, che fanno parte del capitale pubblico durevole presente in un determinato
territorio, negli ultimi tempi hanno acquisito una notevole importanza, trovandosi al centro di un
dinamismo politico ed economico senza precedenti. Fanno parte di questo complesso sistema tutti i
grandi apparati tecnico-organizzativi che prendono la forma di reti e permettono la regolazione e il
perfezionamento di flussi di persone, merci, capitali, informazioni e servizi: strade e ferrovie, porti e
vie d’acqua interne, aeroporti, poste e telecomunicazioni, reti energetiche, ponti e tunnel, oleodotti
e gasdotti.
Il tema delle infrastrutture è un fenomeno di grande e attualissima risonanza, in quanto rappresenta,
oggi più che mai, il punto cardine da cui prende forma e sviluppo l’economia di un Paese che intende
realizzare un futuro innovativo e concorrenziale. Storicamente, l’arretratezza e la disorganizzazione
delle infrastrutture hanno rappresentato un ostacolo al progresso di un Paese, mentre un sistema
efficiente costituisce la premessa del successo economico e dell’emancipazione sociale. Oggi, in Italia,
le tematiche da affrontare sono molteplici e complesse: la congestione stradale, che implica impatti
negativi (ritardi, stress, consumi aggiuntivi di carburante, costo-opportunità, calo dell’efficienza dei
mezzi pubblici), la liberalizzazione dei mercati, gli interventi dello Stato, l’applicazione delle
tecnologie informatiche, la mobilità sostenibile, l’aspetto logistico che si indirizza alla progettazione e
gestione di forniture e risorse. E’ sicuramente un problema che presenta una serie di ramificazioni che
vanno considerate nel loro insieme e singolarmente.
Nella storia del nostro Paese, il complesso sistema di costruzione delle reti di infrastrutture si
ripercuote sul percorso fondante di nation building, che ha conosciuto periodi di positivo attivismo
organizzativo, ma anche anni di opportunità non colte.
Il quadro generale del sistema infrastrutturale italiano ha visto la concentrazione e
l’interconnessione di azioni (individuali e collettive, private e pubbliche) imprenditoriali, politiche
(talvolta scellerate), economiche, tecnologiche e sociali, che hanno determinato le traiettorie di
sviluppo, interfacciandosi con una realtà proiettata verso un futuro esigente, rispettoso dell’ambiente,
della linearità degli spazi e in continua evoluzione.
La caratteristica preponderante della fisionomia delle reti di comunicazione va individuata nella
disorganicità e nella mancanza di un criterio attuativo generale, a causa del quale le singole reti si sono
formate in prevalenza in modo indipendente, disarticolato e privo di obiettivi comuni. Pertanto, è
mancata, in generale, una competenza programmativa unitaria ed efficace, aggravata dall’ingerenza
di politici che più volte sono intervenuti per modificare il processo di formazione del sistema,
agevolando altre direzioni.
Per tutti questi motivi, negli anni si sono accumulate carenze e manipolazioni infrastrutturali che
incidono sulla nostra economia; tuttavia non si può non ricordare quanto di positivo è stato realizzato
nei centocinquant’anni di vita di questo Paese.
L’unificazione
All’indomani dell’unità d’Italia, il governo si accingeva a riorganizzare il sistema ferroviario, fino
ad allora frammentato in diversi tronchi e quindi scollegati tra loro e con il resto del Paese. Lo sviluppo
della rete ferroviaria italiana, rispetto agli altri Stati, stentava ad essere messo in atto, a causa di alcuni
fattori negativi, come la conformazione orografica del territorio, la mancanza di capitali e le influenze
politiche straniere. Mancava quindi, una efficiente e organica rete nazionale che favorisse
l’integrazione tra le varie economie regionali , e riducesse il divario culturale e sociale esistente tra il
Nord e il Sud del Paese. Nel 1861 l’Italia era in possesso di 2035 km di vie ferrate; di queste il 25% era
dello Stato, mentre il 75% era ripartito in 22 società private che avevano regole e concessioni differenti.
Per questi motivi, il complesso ferroviario non costituiva una rete organica e quindi si rendeva
necessario creare un sistema gestionale razionale e coordinato.
Dal 1861 al 1864 vennero realizzati circa 2000 km di strade ferrate, ma il processo di
modernizzazione del sistema era ancora lungi dall’avere una logica coerente e strutturata. Troppi erano
gli interessi di privati, i favoritismi politici, la frammentazione di linee, lo sperpero di capitali. Nel
1865 il ministro dei lavori pubblici, Jacini, presentò una legge, attraverso la quale lo Stato intendeva
dare un nuovo impulso al sistema ferroviario con una più razionale suddivisione delle tratte, affidando
la gestione a cinque società: la Società per le strade ferrate dell’alta Italia, la Società per le strade
ferrate romane, la Società Vittorio Emanuele, la Compagnia Reale delle ferrovie sarde e la Società per
le strade ferrate meridionali. Tuttavia, anche questo sistema entrò in crisi, poiché lo Stato dovette
intervenire per rifinanziare due di queste società, giunte sull’orlo della bancarotta a causa delle
ambiziose spese sostenute. Nel 1876 venne presentato dal ministro ai Lavori pubblici Luigi Spaventa
un disegno di legge che proponeva la nazionalizzazione della rete ferroviaria italiana. Il momento,
però, non era favorevole. Tuttavia, tra ritardi, nuove convenzioni, istituzioni di commissioni
parlamentari e problemi strutturali della rete, nel giro di quattordici anni, vennero costruite 6500 km
di nuove linee ferroviarie, realizzate con materiali e impianti scadenti, che necessitavano di un
sostanziale rinnovamento.
La nazionalizzazione
Per risolvere le problematiche esistenti, lo Stato assunse l’esercizio di tutte le linee ferroviarie del
Paese a partire dal 1° luglio 1905 (per uno sviluppo complessivo di 10,586 km). Nacque un nuovo ente
gestore, chiamato Ferrovie dello Stato, che affidò l’incarico di dirigere lavori di imponente rilievo
all’ingegnere Bianchi. L’Ente si trovò ad affrontare una fase di criticità dovuta alla difformità di
procedure, regolamenti, e, soprattutto, alla presenza di materiale rotabile in pessime condizioni. In
pochi anni le Ferrovie dello Stato riuscirono a recuperare i ritardi tecnologici con l’acquisizione di
nuovo materiale, la messa in esercizio di nuove locomotive, carrozze passeggeri e carri merci,
l'adozione di moderni dispositivi di segnalazione e sicurezza e l'estensione delle tratte elettrificate.
I primi decenni del secolo conobbero grandi progressi, non solo riguardo alla velocità che raggiunse
i 120 km/h, ma anche per il traffico passeggeri, che arrivò a trasportare circa 30 milioni di viaggiatori.
L’epoca del motore
Nel contempo, cominciava a diffondersi il motore, in Europa ma anche in Italia, con una fervente
produzione industriale della FIAT di Torino, che cominciava la costruzione di automobili con motore a
scoppio, sotto la guida dell’ingegnere Bernardi, incidendo notevolmente sulla civiltà del XX secolo,
poiché rappresentava un fattore di stabilità del Paese. Nel 1929 nacque la prima utilitaria, la Balilla
(così battezzata da Mussolini), immessa sul mercato a 10.000 lire. L’auto riscosse un grande successo
in quanto presentava ottime qualità: motore di 995 cc, velocità massima di 85 Km/h, agile, consumi
contenuti, manutenzione semplice, possibilità di ospitare 4 passeggeri. Tuttavia, con la crisi americana
del 1929, le automobili immatricolate in Italia passarono da 33.436 a 14.760. Il 1936 fu l’anno di
nascita di modelli come la Fiat 500, chiamata “Topolino”, progettata dall’ingegnere Giacosa. L’auto
ebbe un successo notevole: in tre anni ne vennero prodotte quasi 100.000, numero che fu incrementato
dopo la fine della seconda guerra mondiale, arrivando a 500.000 unità.
Anche gli autoveicoli adibiti al trasporto di persone, gli autobus, nel primo dopoguerra ricevettero
un notevole incremento allo sviluppo e all’organizzazione delle reti viarie. Alla vigilia della Seconda
guerra mondiale, in un contesto automobilistico in grande espansione, circolavano 45 milioni di
autoveicoli che effettuavano il 35% dei trasporti terrestri. Con le nuove tecniche di pavimentazione
delle strade, che cominciavano a essere realizzate con un manto di calcestruzzo bituminoso compresso
(asfalto), la circolazione degli autoveicoli migliorò notevolmente, rendendo più agevole il transito.
La guerra e le conseguenze
Il ruolo delle ferrovie nello svolgimento della prima guerra mondiale fu di notevole importanza in
quanto a trasporto di merci, vettovaglie, armi e truppe. Il lungo ed estenuante conflitto di trincea fece
mobilitare una quantità di treni merci, treni ospedale, treni armati, per velocizzare l’afflusso delle
riserve strategiche. Il treno, veniva usato prevalentemente per i grandi trasporti strategici e logistici,
cioè per trasferire soldati, quadrupedi, generi vari e munizioni, in grandi quantità e su lunghe distanze. I
vagoni ferroviari erano generalmente chiusi a pavimento libero, atti al trasporto di persone, animali o
materiali vari; inoltre, per la difesa contro i sabotatori, i vagoni venivano talora blindati o armati.
L’emergenza bellica richiese un impegno totale anche da parte della Regia Marina con treni armati
equipaggiati con cannoni navali di medio calibro, che andarono a operare lungo il tratto di costa tra il
Canale d’Otranto e Ravenna. I treni armati furono anche utilizzati dal Regio Esercito per bombardare le
zone operative nemiche del Carso Triestino. Fondamentale fu altresì l’utilizzo di treni e navi ospedale
per il trasporto di feriti e ammalati.
Nell’arco del conflitto, circolarono 294.000 treni che trasportarono 15.373.000 uomini di truppa;
1.826.000 feriti e ammalati; 1.300.000 quadrupedi; 1.461.220 carri viveri e materiali; 203.780 carri
munizioni; 347.000 rotabili. Per il solo trasporto di munizioni, si raggiunsero punte massime di 1070
carri. Da questi dati si evince che il contributo delle ferrovie alla prima guerra mondiale, in termini di
uomini e mezzi, fu di una portata epica. Da non dimenticare l’impegno e il sacrificio dei ferrovieri:
70.000 furono militarizzati; 16.000 furono richiamati alle armi, 8.000 combatterono in prima linea e
1.150 furono i caduti.
Al momento della ripresa postbellica, il settore delle ferrovie conobbe un periodo di grandi difficoltà
sia sotto il profilo del funzionamento del servizio sia sotto quello della gestione economica: prezzo
aumentato del carbone, distruzioni e danneggiamenti, rapido deterioramento del capitale fisso e
rotabile, aumento vertiginoso dei costi, contrazione dei traffici e crescente concorrenza dei servizi
automobilistici.
Nel contempo, la guerra, come in molti altri ambiti economici, agì anche in Italia come potente
fattore innovativo. Ciò in particolare avvenne in campo amministrativo, poiché il conflitto aumentò i
compiti della burocrazia e numerose furono le richieste di riforma e di modernizzazione avanzate al suo
termine. Le ferrovie rappresentarono un laboratorio estremamente interessante nel contesto del globale
processo di modernizzazione dell’amministrazione pubblica e del management nel corso degli anni
Venti e Trenta. Con la fine del conflitto, le ferrovie vennero restituite al Ministero dei Lavori pubblici il
21 marzo 1920 (soppresso nel 2001 con la riforma Bassanini), in sostituzione del Ministero per i
Trasporti marittimi e ferroviari, istituito in tempo di guerra.
Ferrovie e fascismo
Il fascismo diede una spinta considerevole verso la trasformazione dell’apparato ferroviario. Una
volta salito al potere, Mussolini nominò un commissario straordinario per l’Azienda al fine di risanarne
i bilanci fortemente in perdita e di riorganizzare completamente il servizio. Negli anni dal 1920 al
1939, l’Ente apportò dei miglioramenti agli impianti fissi di linee e stazioni, perfezionò nuove
applicazioni tecniche, si dotò di mezzi di trazione più potenti e veloci, di materiale trainato più
moderno e confortevole, di nuove figure professionali ( Dirigente unico e Dirigente centrale). Tra le
maggiori opere realizzate, ci fu il completamento della Direttissima Roma-Napoli via Formia, in
alternativa alla preesistente Roma-Cassino-Napoli, per collegare le due grandi città con una notevole
diminuzione di percorrenza. Il progetto era stato redatto nel 1902, ma i lavori, iniziati nel 1907, si
prolungarono fino al 1927 a causa di vari problemi di natura morfologica del territorio per lo scavo di
gallerie. Nel 1934, dopo 20 anni di lavori, rallentati da crisi economiche e politiche, dalla complessità
dell’opera e dai numerosi incidenti mortali, fu aperta al traffico la linea Firenze-Bologna, a doppio
binario con trazione elettrica, che aveva dimezzato di molto i tempi di percorrenza ( da tre ore nel
primo dopoguerra, a 1,15 h) e aveva accorciato la distanza con la realizzazione di una galleria di 18.032
km, considerata, all’epoca, la seconda più lunga del mondo, dopo il Traforo del Sempione.
Venne inoltre dato l’avvio all’elettrificazione a corrente continua a 3000 V (sperimentata sulla
Benevento-Foggia), che, dopo quasi un decennio di sperimentazioni, era pronta per essere applicata a
tutta la dorsale, da Milano a Reggio Calabria. I 1310 km a trazione elettrica , completati nel 1939,
costituirono un’opera senza eguali al mondo, così come fu straordinaria la realizzazione di un numero
elevato di locomotive elettriche (691 esemplari, ripartiti in tre gruppi unificati: E626, E326, E428). A
partire dal 1930, il positivo risultato delle tecnologie applicate, il perfezionamento dei motori a corrente
continua e soprattutto l'avvento dei raddrizzatori termoionici a vapore di mercurio portarono
all'estensione progressiva della trazione elettrica a corrente continua a 3.000 V per tutte le ulteriori
elettrificazioni. Successivamente la rete si dotò di altre innovazioni: estensione del blocco elettrico
manuale e prime applicazioni di quello automatico, realizzazione di segnali luminosi e degli apparati
centrali elettrici a leve singole, nascita e ammodernamento di molte stazioni, tra cui Milano Centrale
(inaugurata nel 1931), Milano Smistamento (nata come scalo-merci), Roma Termini, Roma Ostiense
(creata in occasione della visita a Roma di Hitler), Napoli Mergellina (posta lungo la tratta Pozzuoli
Solfatara-Napoli). In questo periodo nacque la prima generazione di locomotive elettriche, che
andarono gradualmente a soppiantare le locomotive a vapore; fecero la comparsa, inoltre, automotrici
termiche ed elettromotrici rapide, che riscossero un notevole successo, ponendo lo Stato fascista tra le
maggiori potenze economiche dell’epoca.
Anche il parco dei carri merci vide importanti trasformazioni, con lo sviluppo di traffici interni ed
internazionali, e l'impiego di materiale refrigerante per l'esportazione dei prodotti ortofrutticoli.
Dagli anni venti agli anni trenta , il regime fascista consolidò il proprio impegno nello sviluppo dei
trasporti ferroviari, ma riportò indietro le condizioni di lavoro del personale aumentando le ore di
lavoro e diminuendo i salari. L’organizzazione del lavoro dei ferrovieri subì, così, una forte
involuzione con licenziamenti di massa (il personale venne ridotto da 226.000 a 174.000 unità).
Oltre alle elettrificazioni, le Ferrovie dello Stato realizzarono nuove linee, come la Torino-Savona, la
tratta Arquata-Ronco, sulla Milano-Genova e la ferrovia internazionale del Tenda tra Cuneo e
Ventimiglia, elettrificata con il sistema trifase inizialmente solo nel tratto italiano, in seguito sull’intera
lunghezza .Sul suo percorso, che arriva a 1000 metri di dislivello, vennero realizzate quattro gallerie
elicoidali, cioè dal tracciato circolare, veri e propri capolavori di ingegneristica ferroviaria, ideati per
superare forti dislivelli e permettere ai treni di salire ad alta quota, attraverso territori montuosi. I
programmi di elettrificazione consentirono all’Italia dell’epoca di occupare una posizione di rilievo in
Europa: nel 1939 vennero elettrificate 5160 km di linee.
Nel complesso, l’immagine che il nostro Paese riusciva a offrire anche all’estero in epoca fascista
era, sul versante ferroviario, di grande emancipazione e di efficiente amministrazione. Tra innovazioni
tecnologiche, record e grandi opere strategiche, il regime, tutto sommato, aveva dato una visione
futuristica del Paese, puntando sull’efficienza del sistema ferroviario. La politica seguita in quegli anni
mirò a migliorare, nei limiti delle risorse disponibili, impianti fissi e materiale rotabile per assicurare in
via prioritaria il trasporto sulle lunghe distanze. . Il grado di modernità e di efficienza raggiunto dalle
ferrovie italiane alla vigilia della Seconda guerra mondiale poteva considerarsi in definitiva
soddisfacente, nonostante la presenza di difficoltà ancora da superare.
L’innovazione tecnologica nel settore della trazione
Nel campo della trazione, fra gli anni ‘20 e ‘40, in Italia la produzione e l'uso delle locomotive a
vapore cominciò a rallentare, rispetto agli altri paesi europei, a motivo degli elevati costi per
l’importazione del carbone (lignite o litantrace). Vennero così sviluppati nuovi progetti che videro la
comparsa di modelli con la trazione elettrica trifase e in seguito a corrente continua., andando, via via,
a soppiantare le macchine a vapore. La trazione elettrica trifase ormai sembrava essersi affermata
definitivamente dato il piano di elettrificazione ad alta tensione realizzato sulle linee ferroviarie più
importanti del Centro-Nord. Nell'ambito dell'elettrificazione, la progettazione della locomotiva elettrica
a corrente alternata trifase E.550 (conservata oggi al Museo della scienza e della tecnica di Milano),
rappresentò il vanto della innovazione tecnologica su scala europea. Il sistema trifasico venne applicato
alla linea di valico dei Giovi (sulla linea Torino-Genova), il cui esercizio a vapore si presentava
sempre più problematico in conseguenza del crescente aumento del traffico tra il porto di Genova e le
città industriali del Nord. Grazie alle ottime prestazioni di queste macchine,la fruibilità della linea
venne sensibilmente potenziata e furono prodotte 186 unità. Lo studio della meccanica di un nuovo
prototipo di locomotiva fu commissionata ad una società di Vado Ligure, la Società italiana di
Westinghouse, che affidò l’incarico di progettare la parte meccanica all’ingegnere ungherese K. Kandò
che realizzò la 050, soprannominata Mulo dei Giovi.
Da quel momento, l’impegno della progettazione ferroviaria, gestita internamente dall’Azienda, si
avviò con decisione in direzione della trazione elettrica, alla quale si assegnavano nuove potenzialità
anche in termini di velocità.
Il portabandiera della velocità ferroviaria italiana fu l’elettrotreno ETR200, considerato il
progenitore dei treni ad alta velocità. Il progetto, studiato dagli architetti Gio Ponti e Giuseppe Pagano,
si basava su tecnologie innovative, come le carenature aerodinamiche e gli acciai speciali. Questo
gioiello dell’industria italiana, con il suo inconfondibile “muso a testa di vipera”, influenzò tutti gli
sviluppi successivi. Il primo esemplare fu consegnato dalla “Società Italiana Ernesto Breda”nel 1936: si
trattava di un convoglio a composizione bloccata, composto da due carrozze con cabina di guida (una
in testa e una in coda) e da una carrozza intermedia, montato su quattro carrelli a due assi di tipo "Cm
1000"; inoltre, era dotato di aria condizionata, finestrini panoramici e arredi eleganti con sedili
reclinabili. Una rivoluzione, per quei tempi, in quanto a comfort e tecnologia. Nello stesso anno, furono
consegnati sei ETR 201-206 e, fra il 1938 e il 1939, altri sette ETR 207-213. Nel dicembre 1937, un
elettrotreno ETR 200, in occasione di una corsa dimostrativa, viaggiò, sulla direttissima RomaNapoli, alla velocità di 201 Km/h nella tratta Campoleone-Cisterna. Due anni dopo, l’ETR 212, con a
bordo il Ministro Benni, il direttore generale delle FS Velani, molti giornalisi e tecnici, superò il
record di velocità tra Firenze e Milano, con la velocità massima di 203 km/h nella tratta PontenurePiacenza. L’altissima velocità per quell’epoca impose una serie di soluzioni innovative, alla ricerca di
materiali resistenti alle prestazioni e alle sollecitazioni, all’adozione di sistemi sofisticati per risolvere i
problemi di frenatura e di ricezione dell’energia elettrica attraverso i pantografi.
L’altro grande successo della progettazione ferroviaria italiana fu la Littorina, un’automotrice
leggera realizzata nel 1932 dalla Fiat. Probabilmente il nome derivò dall’apposizione sul muso
dell'automotrice ALb 48 di un fascio littorio, a simboleggiare il potere del fascismo. Mussolini stesso
contribuì al lancio dell’immagine di questa automotrice, effettuando un viaggio su una ALb 48 in
visita alla stazione di Littoria, l’odierna Latina. Le prime littorine nacquero equipaggiate con i motori a
benzina, appartenenti alle classi ALb 48, ALn 56, ALn 772, che si diversificavano tra loro per il
numero di posti a sedere, per lunghezza, massa e potenza; erano dotate di sedute imbottite e piccole
bagagliere, ed erano illuminate con lampade fluorescenti. Il primo servizio regolare con le littorine fu
effettuato nel luglio 1933 sulla Torino-Santhià-Biella, con un'ALb 48 e il successo del nuovo mezzo fu
notevole, tanto che nel 1937 il parco FS aveva già raggiunto i 250 esemplari di automotrici FIAT, che
percorrevano giornalmente circa 41.000 km.
La diffusione e il successo delle automotrici leggere, che erano state progettate e realizzate per
risolvere le problematiche riguardanti i raccordi tra le linee secondarie, vissero un periodo di grande
produttività ed ebbero una vasta eco all’estero: nel 1934, una Alb 48 fece un giro propagandistico in
Europa. Partita da Torino, toccò Berna, Graz, Vienna, Praga, Varsavia, Cracovia e Budapest, rientrando
in Italia dopo aver percorso oltre 3000 Km.
I ‘treni popolari’
All’inizio degli anni Trenta, a causa della contrazione economica in conseguenza della crisi del ‘29
e per la crescente concorrenza del trasporto su strada,, le Ferrovie dello Stato registrarono un forte calo
nel traffico merci e passeggeri; parallelamente si verificò un altrettanto intenso calo negli arrivi dei
turisti stranieri. Il bilancio dell’Azienda che nel giugno del 1929 aveva raggiunto 200 milioni di attivo,
precipitò nel giro di due anni, evidenziando un disavanzo di 197 milioni. Fu in questo quadro che, nella
primavera del 1931, il Ministero delle Comunicazioni intraprese una politica improntata alla
concessione di speciali sconti per particolari destinazioni turistiche. Fu proprio l’orientamento del
regime teso a garantirsi un ampio consenso che diede luogo all’istituzione di convogli ‘a prezzo
ridottissimo’.
Nell’agosto del 1931 vennero così inaugurati i primi treni popolari, detti anche “Treni popolari di
Ferragosto” straordinari di sola terza classe, con sconti fino all’80% sulla tariffa ordinaria, destinati a
raggiungere località climatiche, balneari o di interesse storico e artistico. Consentirono in Italia la prima
affermazione del turismo di massa, permettendo a migliaia di persone di raggiungere le località di
villeggiatura e di salire su un treno per la prima volta. Riguardarono però una parte limitata della
popolazione, quella che viveva nelle grandi città e lavorava nelle fabbriche e negli uffici. Il successo di
questa iniziativa fu notevole: nel periodo compreso tra il 1931 e il 1939, i Treni popolari trasportarono
complessivamente 8.774.451 viaggiatori.
Lo sviluppo autostradale
L’inizio della stagione autostradale italiana riguardo allo sviluppo di strade a traffico veloce, ebbe
avvio nell’Italia Centro-Nord a partire dagli anni ‘20. L’autostrada divenne ben presto il simbolo della
trasformazione infrastrutturale italiana tutta protesa verso un futuro tecnologicamente avanzato ed
emancipato, ma poco accorto alla distruzione degli equilibri idrogeologici del nostro Territorio, a cui ha
contribuito notevolmente. Il primo progetto di strade, riservate allo scorrimento veloce e con il
pagamento di un pedaggio (idea non nuova, dato che già nel XVII secolo in Inghilterra esistevano
strade a pagamento), fu opera dell’ingegnere Piero Puricelli, il quale sfruttò l’amicizia con Mussolini e
le ottime relazioni e protezioni di cui godeva, sia nel mondo industriale sia in quello politico, per
promuovere la prospettiva autostradale. Fu grazie a lui che si venne a creare un terreno fertile, nel
quale crebbe un’opinione pubblica che guardò al fenomeno autostradale con grande interesse. Puricelli,
nel 1922, progettò l’autostrada dei Laghi (la prima a pedaggio realizzata nel mondo), al fine di rendere
agevole le comunicazioni viarie tra Milano, Como, Varese e le zone lacustri limitrofe. L’idea sembrò
alquanto audace, poiché in quel periodo le auto in circolazione erano poche (84.687). Due anni dopo,
quindi, nel settembre 1924, venne inaugurata la prima tratta a Lainate, sulla Milano-Varese, che costituì
la prima autostrada realizzata in Italia. Dotata di una sola corsia per senso di marcia, era priva di
casello, ma il pagamento del pedaggio avveniva nell’area di sosta. Nel 1927, venne inaugurata
l’autostrada Milano-Bergamo e l’anno seguente, l’autostrada Roma-Lido (classificata fino agli anni
sessanta come autostrada, mentre dal 2001 è classificata come strada provinciale, rinominata ‘Via del
Mare’), l’autostrada Brescia-Verona-Vicenza-Padova. Nello stesso periodo, la vigilanza sulle
concessioni autostradali, per alcune tratte, venne affidata all’AASS (Azienda Autonoma delle Strade
Statali), oggi ANAS, che entro il 1941, arrivò a gestire l’intera rete (tranne la Napoli-Pompei, la TorinoMilano e la Padova-Venezia). Nel 1929, venne aperta la Napoli-Pompei, dopo quattro anni dalla
convenzione iniziale del luglio 1925. Questo ritardo fu dovuto a fattori di natura burocratica e a
difficoltà dovute alla forte concentrazione di abitati nel territorio.
Alle prime autostrade considerate “di pianura” seguirono altre realizzazioni con le stesse tecniche,
alcune delle quali in terreni collinosi e montagnosi con una serie di soluzioni tecniche di viadotti e
gallerie molto ardite, quali quelle usate per la “camionale” Milano - Genova costruita in soli due anni
attraverso i monti liguri del passo dei Giovi.
Nel contempo si rese necessaria la realizzazione di strutture disposte lungo l’autostrada al fine di
garantire assistenza e conforto ai viaggiatori. La prima grande area di servizio fu costruita nei pressi del
casello di Genova, dove vennero realizzate zone destinate al ristoro, al rifornimento di carburante,
uffici di controllo e direzionali e zone per le operazioni di smistamento e trasbordo delle merci. La
nuova rete autostradale era lo specchio dell’Italia fascista, impegnata in uno sforzo notevole nel campo
delle opere pubbliche e, in particolar modo, nel processo di modernizzazione delle infrastrutture di
trasporto. Rispondeva inoltre alla necessità di ottenere il consenso degli italiani: supplire alle mancanze
puntando tutto sui primati, stradale e ferroviario, in modo da nascondere il necessario che mancava e
offrire il superfluo, costituiva un formidabile strumento di propaganda per un regime autoritario
bisognoso di manifestare il proprio prestigio. Significative, a tal proposito, furono le parole del
deputato F. Caggese, il quale, in una seduta in Parlamento affermò: “Le autostrade non sono
assolutamente necessarie[…] salvo casi particolari, sarebbe meglio che lo Stato devolvesse quei
denari al miglioramento della rete stradale già esistente”.
Era evidente una discrasia tra il il rinnovamento delle infrastrutture e i più urgenti bisogni della
popolazione italiana, come affermano Gasparini e Marelli: “ La costruzione delle autostrade può
essere considerata come un’operazione positiva dal punto di vista della comunità nazionale, ma non
strettamente necessaria per quei tempi”.
Tuttavia, negli anni trenta la rete conobbe un significativo sviluppo: nel 1932 venne aperta la tratta
Torino-Milano (i lavori ebbero inizio grazie al Senatore Agnelli e all’ingegnere Cartesegna, che
costituirono la S.A., Autostrada Torino-Milano); nel 1933, la Firenze-Mare (da Firenze a Montecatini) e
l’autostrada Padova-Venezia; nel 1935, la Genova-Serravalle Scrivia; nel 1939 si diede avvio alla
costruzione della Genova-Savona, la prima realizzata direttamente dall'AASS.
Per la costruzione di queste autostrade e delle successive autostrade camionabili, venne utilizzata la
tecnica della pavimentazione con lastre di calcestruzzo ad alta resistenza, con uno spessore medio di
venti centimetri.
Nonostante questo fervore innovativo, nel 1935 venne limitato il commercio della benzina e vennero
applicate tasse sui carburanti, sui rimorchi e sulle merci trasportate, a causa delle sanzioni indirizzate
all’Italia in seguito all’aggressione dell’Etiopia.
Nel 1940, la rete autostradale in Italia aveva raggiunto una estensione di 530 Km, a fronte delle
maggiori dimensioni di Paesi occidentali, come la Germania con 3077 Km.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l’autostrada si impone come mezzo di trasporto di massa,
senza tenere conto di fattori contingenti, come l’aspetto paesaggistico.
La ricostruzione nel secondo dopoguerra
I danni subiti dalla rete ferroviaria durante la Seconda guerra mondiale furono ingenti: il 25% delle
linee, oltre il 60% del parco rotabili, il 90% delle elettrificazioni; 4750 ponti, il 32,1% del totale come
lunghezza complessiva, vennero distrutti e la stessa sorte toccò al filo aereo di contatto, mentre minori
furono i danneggiamenti subiti dalle gallerie. La quantità di linee ferroviarie e di materiale rotabile
distrutta totalmente o in parte rispetto all’anteguerra toccava il 40%. Furono colpite, in particolare, le
linee elettrificate e a doppio binario, sulle quali si erano concentrati gli attacchi aerei. Bersaglio dei
bombardamenti fu anche il materiale rotabile che si ridusse notevolmente rispetto alla consistenza
avuta al momento dell’entrata in guerra. Particolarmente colpiti erano stati gli ETR 200, in gran parte
inutilizzabili e necessari di riparazioni.
La ricostruzione fu dunque difficile e onerosa, ma lo sforzo profuso fu ampiamente ripagato: alla
fine del 1948 la viabilità della rete era nuovamente garantita all’80% e, verso il 1952, la ricostruzione
poteva considerarsi conclusa: gli impianti e il materiale rotabile colpiti dai bombardamenti furono
ripristinati, nonostante le difficoltà dovute alla mancanza di materiali ferrosi ed elettrici, al precario
stato di efficienza delle industrie private e delle officine di Stato, nonché alla mancanza di risorse
economiche disponibili.
Nonostante ciò, in questo periodo cominciò a delinearsi una nuova direzione delle comunicazioni
viarie: l’Italia era provvista di una rete autostradale di oltre 4800 Km che richiedeva investimenti
significativi che andavano a incidere sensibilmente sul bilancio nazionale. Nel 1958, si diede inizio alla
realizzazione dell’Autostrada del Sole”, completata da Milano a Roma entro il 1964. Il sogno
autostradale stava diventando una realtà e il motore andò a sostituire la ferrovia sotto la spinta, da un
lato, dei profondi mutamenti sociali e del costume che il nostro Paese visse e, dall’altro, di quei settori
industriali interessati a una decisa intensificazione dell’uso del mezzo automobilistico. L’evidente
inadeguatezza della rete ferroviaria, la maggiore elasticità della politica stradale, gli elementi gestionali
che fin dall’inizio volsero al peggio per le Ferrovie dello Stato avrebbero nel giro di pochi anni
facilitato un mutamento che al giorno d’oggi pare ormai irreversibile. La caduta dell’interesse nei
riguardi del trasporto pubblico negli anni Cinquanta-Sessanta dunque fu netta. Si finì per privilegiare a
livello europeo il settore autostradale, a discapito di quello ferroviario che in quegli anni cominciò un
lento ma inesorabile declino. Si rendeva, quindi, necessario un ripensamento progettuale per
ripristinare un ruolo ragguardevole delle Ferrovie dello Stato.
In un contesto di forte penalizzazione del trasporto ferroviario, prese forma l’idea di lanciare un
treno veloce che al tempo stesso rispondesse adeguatamente anche alle esigenze di prestigio, imposte
dall’inserimento del Paese nel nuovo scenario internazionale, e al bisogno di migliorare il settore
turistico.
Nel 1953, al termine della ricostruzione, la Breda (Finanziaria Ernesto Breda S.p.A), operante nel
settore metalmeccanico, con la produzione di veicoli ferrotranviari, aerei, navi, armi, consegnò due
elettrotreni ETR 300 “Settebello”, con l’intento di ripristinare e innovare i servizi celeri e di lusso. Si
trattava di un treno elettrico automotore a sette vagoni, quattro dei quali destinati a ospitare i passeggeri
e gli altri tre adibiti a servizi, in esercizio dal 1952 al 1992, che rappresentò il mezzo ferroviario per
eccellenza delle Ferrovie dello Stato, fino all’introduzione del Pendolino che lo sostituì sulla tratta
Milano-Bologna-Firenze-Roma. Nel 1959, fece la comparsa il terzo esemplare, presentato in occasione
dell’Expo "Italia 61" di Torino, dove venne ammirato per le sue forme eleganti e innovative.
L'ETR.300 aveva una potenza installata di 2280 kW e, grazie alla forma aerodinamica, poteva
raggiungere una velocità di 200 Km/h, percorrendo la distanza Milano-Roma in 5h e 45’, mantenendo
una media di 110 Km/h.
Dal punto di vista della tecnologia ferroviaria, il nuovo elettrotreno di lusso rappresentava un passo
in avanti considerevole, riunendo in sé modernissime installazioni tecniche, come l’alloggiamento dei
telefoni pubblici a bordo, e spiccate prerogative in quanto a eleganza e comfort. Il disegno presentava
caratteri di grande originalità, soprattutto nelle due testate profilate con una sagoma aerodinamica
tondeggiante e la cabina di guida sopraelevata. Gli arredi interni furono opera degli architetti Gio Ponti
e Giulio Minoletti che diedero grande risalto alle carrozze con l’introduzione di due belvedere, dove fu
ricavato un salottino di undici posti, dotato di divanetti e poltrone orientabili, e ideando una carrozza
ristorante di lusso. La concezione della divisione degli spazi all’interno del treno era fortemente
innovativa. L’idea seguita nella progettazione non rispondeva a logiche di velocizzazione; piuttosto era
maggiormente ispirata a un bisogno di comodità e di estetica; anche e soprattutto per questo, il
Settebello conseguì un successo notevole, rappresentando il simbolo del boom economico e del
benessere degli italiani.
Il trionfo del motore
Dal 1945, lo sviluppo dell’industria automobilistica non ha conosciuto soste. L’affermazione
dell’automobile come massima espressione di libertà di movimento ha coinvolto non solo l’ambito dei
trasporti e della mobilità, ma anche quella della psicologia collettiva. L’automobile, per lungo tempo, e
tuttora, ha rappresentato lo status symbol nel mondo occidentale, dando forma alle società industriali e
decretando una enorme rivoluzione sociale, in relazione ai trasporti e al modo di viaggiare. Il secondo
dopoguerra fu, quindi, per molti Paesi europei, come l'Italia, un momento molto favorevole per la
diffusione di questo mezzo di locomozione, determinato da un nuovo modello di società e da una
sensibile crescita economica e tecnologica. L’automobile rappresentò un accessorio di enorme
successo, che aprì la società verso ideali di libertà di spostamento mai visti negli anni precedenti;
l’automobile permise di accorciare le distanze, diventando anche oggetto di passioni per molte persone.
Grazie, infatti alla continua progettazione di nuovi modelli, sempre più sofisticati e all’avanguardia,
diventò intensa anche la produzione di auto da corsa. L’enorme espansione della produzione
automobilistica e dei veicoli per uso privato, costituì il nucleo fondamentale dei Paesi occidentali,
grazie alla continua ricerca tecnologica, legata alla produzione di auto sempre più all’avanguardia,
dotate di ogni genere di comfort e diversificate nei modelli e nelle prestazioni. Negli anni ‘60 entrarono
in commercio anche automobili di produzione giapponese, che riscossero un buon successo, grazie
soprattutto ai costi contenuti e accessibili a molti. La moltiplicazione dei veicoli per uso privato
incrementò gli investimenti nelle infrastrutture, che a loro volta favorirono lo sviluppo del trasporto su
gomma sulle lunghe distanze, a discapito del trasporto per mezzo dei carri merci ferroviari. A cavallo
degli anni ‘70, nonostante la crisi della produzione petrolifera, in Italia circolavano 9.173.000
automobili, in Germania circa 13.000.000, mentre in Francia 11.860.000. La produzione di automobili
è continuata incessantemente, ma negli ultimi anni, anche a causa della crisi mondiale, si è avuta una
contrazione nelle vendite. Per questo, molti Stati europei, come l’Italia, sono intervenuti per supportare
il mercato delle auto con incentivi e benefici per l’acquisto di nuovi prodotti.
L’Autostrada del Sole
Nel secondo dopoguerra, il patrimonio autostradale italiano era di 530 km; aumentò a 1169 nel
1960, 1736 nel 1965, 3913 nel 1970 e, infine, 5329 nel 1975. Fu uno sviluppo notevole, avviato intorno
alla metà degli anni Cinquanta da Giuseppe Romita, ministro del Lavoro e della previdenza sociale,
che promulgò la legge Romita; questa prevedeva che la rete autostradale dovesse essere presente su
tutto il territorio nazionale, decretando, in tal modo, la fine della prevalenza del trasporto ferroviario.
L’ingente investimento in nuove autostrade, tutte a pedaggio, avrebbe mutato per sempre il volto
infrastrutturale del Paese e la sua mobilità. Nella stessa epoca, alcune grandi imprese, dalla Fiat – che
nel 1954 immetteva sul mercato la 600 – all’Italcementi, dalla Pirelli all’Italstrade, oltre alle imprese
petrolifere e assicurative, interessate direttamente allo sviluppo delle autostrade, cominciavano a
premere verso una decisa svolta in tema di sviluppo motoristico.
La prospettiva autostradale nasceva da motivazioni principalmente occupazionali, strettamente
legate all’aspetto economico di crescita del Paese, ma anche di coesione sociale, che facevano
dell’automobile un simbolo di benessere e di progresso; il sogno autostradale, dunque, si realizzava
parallelamente ai profondi mutamenti sociali e del costume che l’Italia stava vivendo all’epoca.
La spesa complessiva per la realizzazione della rete autostradale fu di una portata straordinaria, e
vide la compartecipazione di oneri e profitti pubblici e privati. La massima attenzione prestata al
sistema autostradale portò con sé, tuttavia, un’inevitabile diminuzione degli investimenti nelle strade
statali e delle ferrovie. A tal proposito, le sinistre manifestarono il proprio dissenso, affermando: “In
realtà […] erano probabilmente indispensabili entrambe le cose: una rete autostradale che permettesse
[...] un enorme salto di qualità nel trasporto stradale, e un potenziamento delle ferrovie, che riuscisse
non solo a modernizzarle […], ma anche a non farne drasticamente ridurre la quota modale”
La realizzazione più significativa, un vero e proprio capolavoro di ingegneria civile, fu l’Autostrada
del Sole, un asse longitudinale che avrebbe unito il Nord al Sud, accorciando le distanze non solo
chilometriche, ma anche sociali e culturali, e la prima in Italia a quattro corsie, separate da
spartitraffico. I lavori, progettati da Italstrade e realizzati sotto la guida dell’ingegnere Cova, ebbero
inizio nel 1956, e in otto anni vennero portati a termine 759,4 km di autostrada. In termini numerici,
per costruire l’intera rete, furono necessari: 15 milioni di giornate lavorative, 53,8 milioni di metri cubi
di terra scavata, 5 milioni di metri cubi di murature e calcestruzzo, 16 milioni di metri quadri di
pavimentazioni, 1425 tra viadotti, ponti e cavalcavia, 38 gallerie. L’opera costò anche la morte di 74
operai sui cantieri. La lunga arteria autostradale che univa Milano a Napoli, passando per Bologna,
Firenze e Roma, conferì all’Italia degli anni sessanta un enorme prestigio e rappresentò uno dei più
potenti fattori di modernizzazione di un Paese in forte dinamismo, che stava definitivamente
cambiando la propria fisionomia.
La Direttissima Roma-Firenze e i primi passi dell’Alta velocità
Nel tentativo di rivitalizzazione del trasporto ferroviario, alla fine del 1968, prese forma un’idea
progettuale riguardante la linea Roma-Firenze, importante tratto ferroviario nell’economia italiana. Si
trattava di velocizzare e rendere maggiormente agevole una linea tortuosa e lenta, nonostante il
raddoppio fra Roma e Chiusi, e l’elettrificazione. I lavori di costruzione della nuova linea, la prima ad
alta velocità in Europa, ebbero inizio nel giugno 1970. Il nuovo tracciato, che andava ad affiancare la
linea già esistente, integrandosi con essa, accorciava il precedente, passando da 315 Km a 253,6 Km
di percorrenza. L’obiettivo di raggiungere una velocità di 250 km/h, impose l’adeguamento degli
impianti di segnalamento, di tutti gli impianti fissi e del materiale rotabile, nell’ottica di un completo
rinnovamento tecnologico. Nel febbraio 1977, venne inaugurata la tratta Roma Termini-Città della
Pieve, di 138 Km, con un treno composto da locomotive E. 444. L’intero percorso venne portato a
termine nel maggio 1992, completando la grande direttrice Roma-Milano in 3h e 58’ con l’ETR 450.
Nella realizzazione del nuovo treno ad alta velocità, si rese necessaria una soluzione tecnologica che
consentisse velocità maggiori nella percorrenza dei tracciati curvilinei. Si fece, quindi, strada l'idea di
realizzare treni più veloci in grado di pareggiare l'accelerazione trasversale in curva. Nacque così il
Pendolino, progettato dalla FIAT Ferroviaria (in seguito rilevata da Alstom), il primo treno al mondo ad
“assetto variabile”, in grado ottimizzare la velocità,
grazie a specifiche apparecchiature che
inclinavano la cassa verso l'interno delle curve. Ciò fu reso possibile grazie all’idea del pendolamento,
che permetteva al nuovo treno di toccare velocità assai maggiori senza ridurre il comfort dei
passeggeri. L’assetto variabile, sistema a “casse oscillanti”, permetteva al treno di inclinarsi in curva
verso l’interno; in tal modo, gli effetti della forza centrifuga in curva, quando il treno viaggiava a
velocità superiori a quelle dei treni normali, sarebbero stati contenuti. I carrelli restavano incollati ai
binari mentre il corpo della vettura inclinava.
Il primo documento, dove viene menzionata la caratteristica innovativa del Pendolino, nato a
Savigliano, è il brevetto F 1769 dal titolo “Veicolo ferroviario per alte velocità”, depositato nel
dicembre 1967 dall’ingegnere Oreste Santanera, che nel 1967 ideò un tipo di carrello destinato in
seguito a costituire la base della concezione del nuovo treno.
L’11 ottobre 1971, al termine di un programma di sperimentazione durato quattro anni,
un’elettromotrice prototipo chiamata Y0160/7199, utilizzata come laboratorio viaggiante, percorreva il
tracciato pieno di curve, e per questo ritenuto idoneo, fra Torino e Asti. Nelle curve in cui era ammessa
una velocità di 60 km/h, l’elettromotrice era in grado di raggiungere i 100 km/h. Il primo esemplare di
Pendolino ad assetto variabile, l’Etr 401, dopo essere stato testato definitivamente nel giugno
precedente sulla tratta Torino-Trofarello, entrò in servizio sulla linea Roma-Ancona il 2 luglio 1976.
Poteva viaggiare a una velocità massima di 250 km/h, con a bordo 171 passeggeri tutti in prima classe.
Era il primo modello del genere sviluppato con successo nel mondo, precedendo anche il Tgv tra Parigi
e Lione, che risale al 1981.
Autostrada Salerno-Reggio Calabria, un caso emblematico
La A2 o Autostrada del Mediterraneo (denominazione entrata in vigore nel giugno 2017) è la
continuazione verso sud della A3, Napoli-Salerno, e rappresenta un caso significativo nella storia
delle autostrade italiane, poiché rispecchia le problematiche infrastrutturali, sociali e culturali di cui
risente il Sud dell’Italia. La tratta di percorrenza, che si sviluppa su una lunghezza di 442,2 Km,
rappresenta il percorso autostradale più tormentato dell’intera Penisola e quello di più difficile
percorrenza, in quanto attraversa gli Appennini lucani e calabresi per oltre il 50% dell’intero percorso,
raggiungendo la quota altimetrica autostradale più alta d’Europa, a Campotenese (1050 m s.l.m.) . Nel
1961, in seguito all’approvazione della ‘legge Zaccagnini‘, viene assegnato all’ANAS il piano di
costruzione e la gestione della futura Salerno – Reggio Calabria (oggi la tratta parte da Fisciano), che
dovrà essere un’autostrada aperta e senza pedaggio. I lavori iniziano l’anno seguente, il 21 gennaio
1962, e si protraggono per ben 55 anni, ossia fino all’avvio di un nuovo piano di ammodernamento
(2016). La realizzazione dell’autostrada, negli anni, ha messo in evidenza una serie infinita di
problematiche legate agli aspetti tecnici, alla conformazione orografica del territorio , a crisi
finanziarie delle ditte appaltatrici e infiltrazioni mafiose, rallentando più volte la prosecuzione dei
lavori di ammodernamento, con un aumento consistente di costi e tempistiche e creando notevoli disagi
al traffico automobilistico. I lavori, mai finiti, sono costati, inizialmente, 370 milioni di lire, ma in
seguito i costi sono più che raddoppiati, gravando oltremodo sulle spese dello Stato.