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sorvegliare punire pdf

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SORVEGLIARE E PUNIRE
Nascita della prigione
Foucault, 1975
I. Il supplizio ..............................................................................................................................................2
1) Il corpo del condannato .........................................................................................................................2
2) Lo splendore dei supplizi ......................................................................................................................4
II. Punizione...............................................................................................................................................7
1) La punizione generalizzata ................................................................................................................7
III. Disciplina ...........................................................................................................................................15
1) I corpi docili ....................................................................................................................................15
2) I mezzi del buon addestramento ......................................................................................................19
3) Il panoptismo ...................................................................................................................................22
IV. Prigione ..............................................................................................................................................27
1) Istituzioni complete e austere ..........................................................................................................27
2) Illegalismi e delinquenza .................................................................................................................30
3) Il carcerario .....................................................................................................................................34
Pedagogia generale, 02/09/2010
I. Il supplizio
1) Il corpo del condannato
Il libro inizia con la descrizione della condanna imposta nel 1757 a
Damiens per parricidio: doveva essere torturato ed in seguito il suo corpo
smembrato da due cavalli. Alla fine il corpo venne squartato dopo i ripetuti
tentativi falliti di eseguire le singole torture.
Tre quarti di secolo più tardi esce un regolamento di 28 artt. per la casa dei
giovani detenuti a Parigi, un supplizio e un impiego del tempo molto diversi,
anche se per diversi crimini da quello di Damiens. E’ l’epoca di riforme nella
giustizia, nella teoria del crimine in cui vengono redatti i codici moderni. Tra le
tante modifiche spariscono i supplizi, scompare il corpo come principale
bersaglio della repressione penale. In questa trasformazione si notano due
processi:
- Scomparsa dello spettacolo della punizione (i lavori forzati per strada, la
gogna, la ruota, l’esposizione al palo…), poiché in tal modo la giustizia
eguagliava, se non superava, il crimine in sé. La punizione diventa la
parte più nascosta del processo penale, la sua efficacia diventa la
certezza di essere puniti. Si fa strada una vergogna a punire fisicamente:
l’esecuzione della pena diviene un settore autonomo dalla giustizia.
- Scomparsa della sofferenza fisica, del dolore del corpo come elemento
costitutivo della pena. Anche quella capitale si applica evitando di far
sentire male (iniezioni di tranquillanti).
La ghigliottina, utilizzata a partire dal 1792 in Francia, assicura una morte
uguale per tutte le classi sociali, rapida e precisa in un sol colpo. E’ un
avvenimento visibile ma istantaneo. Ci vorrà molto tempo ancora per non
renderla uno spettacolo pubblico.
All’inizio del XIX sec inizia l’età della sobrietà punitiva, della
sospensione dei supplizi. La pena non è più incentrata sul supplizio come
tecnica per far soffrire ma un castigo non ha mai funzionato senza una certa
azione sul corpo: razionamento alimentare, privazione sessuale, percosse, celle
di isolamento. La critica spesso rivolta al sistema carcerario è che i carcerati
hanno meno privazioni nel complesso rispetto a molti onesti poveri ed operai.
La pena ha difficoltà a disassociarsi da un supplemento di dolore fisico.
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L’attenuarsi della severità penale è legata ad un cambiamento di obiettivo. Il
castigo deve colpire l’anima, non il corpo. Nel tempo la definizione dei reati si
è largamente modificata (la bestemmia non è più un delitto, il furto domestico è
meno grave…).
I giudici si sono messi a giudicare l’anima dei criminali. Un insieme di giudizi
di valore, diagnostici, prognostici si è inserito nel sistema penale (dov’è
nell’autore l’origine del delitto? Qual è la misura più appropriata da prendere?).
La pazzia nella pratica penale è un fatto significativo. Secondo l’art 64 del
Codice del 1810 se il soggetto era ritenuto pazzo il delitto veniva cancellato.
Oggi ogni delitto comporta il diritto a rivendicare l’ipotesi della pazzia e il
giudice fa ben oltre che giudicare: egli valuta la normalità e una prescrizione
tecnica per una possibile normalizzazione. Inoltre oggi il giudice è attorniato da
esperti psicologi, magistrati, educatori, funzionari dell’amministrazione
penitenziaria che spezzettano il potere legale di punire, per evitare che il
giudizio sia semplicemente una punizione legale ma una via per avere una
guarigione.
Sotto l’accresciuta dolcezza dei castighi troviamo un nuovo regime della verità
e una folla di ruoli inediti nell’esercizio della giustizia criminale.
Pazzia
Rusche e Kirchheimer hanno messo in rapporto i diversi regimi punitivi
coi sistemi di produzione da cui essi ricavavano i loro effetti: in un’economia
servile le punizioni portavano manodopera supplementare oltre a quella
assicurata dalla guerra e dal commercio; con il sistema industriale e il libero
mercato della manodopera il lavoro obbligatorio diminuisce e la detenzione
assume uno scopo correttivo.
Sistemi di
produzione
Il corpo è direttamente immerso in un campo politico: il corpo diventa
forza di produzione utile solo quando è contemporaneamente corpo produttivo
e corpo assoggettato. Le tecniche punitive si collocano nella storia del corpo
politico e del rapporto potere-sapere. Se il corpo del re aveva un “più di
potere”, un corpo doppio, all’opposto del campo politico si trova il “corpo
minimo del condannato” (Kantoromitz), portando ad un suo sdoppiamento
incorporeo, di un’anima che nasce dalle procedure di punizione. Un’anima in
cui si articolano gli effetti di un potere e il riferimento di un sapere. L’anima è
la prigione del corpo e su di essa quale sono stati costruiti concetti diversi:
personalità, coscienza, psiche.
Corpo minimo
e anima
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2) Lo splendore dei supplizi
Fino alla Rivoluzione l’Ordinanza del 1670 stabiliva questa gerarchia di
castighi: “la morte, la quaestio con riserva di prova, le galere a tempo, la frusta,
la confessione pubblica, il bando”. In realtà i supplizi propriamente detti non
costituivano le pene più frequenti. Ogni pena grave doveva portare con se
qualcosa del supplizio: con esso si intende una pena corporale, dolorosa, più o
meno atroce. Una pena per essere supplizio deve avere tre caratteristiche
principali:
1. produrre una quantità valutabile di sofferenza
2. la morte è il termine di una calcolata graduazione di sofferenze
3. la morte supplizio è l’arte di trattenere la vita nella sofferenza
Il supplizio fa parte di un rituale e risponde a due esigenze:
• deve essere marchiante in rapporto alla vittima
• deve essere clamoroso, constatato da tutti
Supplizio
Tranne che in Inghilterra tutta la procedura penale rimaneva segreta: il sapere
era privilegio dell’accusa. Davanti alla giustizia del sovrano tutte le voci
devono tacere; la potenza sovrana non appartiene alla moltitudine. Il solo modo
perché la verità eserciti tutto il suo potere è che il criminale confessi, cioè che
si giudichi e si condanni da se stesso. Per ottenere la confessione i due mezzi
che si utilizzano sono:
- il giuramento che si chiede all’accusato di prestare prima del suo
interrogatorio
- la tortura
Come funziona la quaestio? È un crudele supplizio per ricercare la verità,
ottenere la confessione. Non è selvaggia come la tortura ma è una pratica con
le sue regole, un gioco giudiziario rigoroso come le antiche prove di un tempo:
duelli giudiziari, ordalie, giudizio di Dio. Il sospettato è sottomesso ad una
serie di prova sempre più severe nelle quali vince resistendo, perde
confessando. Paradosso della quaestio consiste nell’essere considerata come
pena ma anche mezzo dell’atto istruttorio. La sofferenza regolata dalla tortura è
insieme una misura per punire ed un atto istruttorio.
Il sistema penale non era dualista (vero-falso) ma seguiva un principio di
graduazione continua: il sospettato in quanto tale meritava sempre un certo
castigo.
Quaestio
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L’esecuzione pubblica delle pene assume nel XVIII sec diversi aspetti:
1. Fare del colpevole il pubblico ufficiale della sua propria condanna;
rende pubblica la verità portandola fisicamente sul corpo.
2. Viene forzata la proclamazione della confessione pubblica e si cerca di
far uscire la verità in quegli ultimi istanti, con eventuali nuove
rivelazioni.
3. Congiungere il supplizio al delitto stabilendo tra i due relazioni
decifrabili: esposizione del cadavere sul luogo del crimine, uso di
supplizi simbolici che rinviano alla natura del crimine (es. taglio della
mano dell’assassino, bucare la lingua del bestemmiatore). A volte c’è la
riproduzione quasi teatrale del crimine nei supplizi: stessi strumenti,
stessi gesti.
4. La lentezza del supplizio, le sofferenze del condannato giocano alla fine
del rituale giudiziario il ruolo di un’ultima prova. Il supplizio anticipa le
pene dell’aldilà, è il teatro dell’inferno oppure se la morte è rapida e il
colpevole è pentito può mostrare la promessa del perdono divino.
Aspetti
dell’esecuzione
pubblica
Il supplizio giudiziario deve essere inteso anche come rituale politico cioè
come cerimonia in cui il potere si manifesta (criminale = potenziale regicida).
L’infrazione viola il diritto del superiore, la sua dignità e il supplizio è un
cerimoniale per restaurare nel suo splendore la sovranità ferita. Il suo scopo
non è ristabilire un equilibrio ma di confermare la simmetria tra chi ha violato
la legge e l’onnipotente sovrano che la fa valere. Il supplizio è un’affermazione
del potere e della sua superiorità: persegue una politica del terrore e, secondo
un’interpretazione modernista, un’economia dell’esempio. Da ciò si capisce
meglio:
- l’importanza di un rituale ostentato in pubblico, di un trionfo della legge
- questo cerimoniale non è solo giudiziario ma anche militare (gli ufficiali
di polizia sfilano con il condannato)
Rituale
politico
C’è qualcosa della sfida nel supplizio: se il boia (il campione del re) fallisce
può perdere la sua ricompensa e attirarsi le ire del pubblico. Una tradizione
vuole che il condannato fosse graziato nel caso di fallimento dell’esecuzione: il
popolo si attendeva la grazia. Poi tale consuetudine fu cancellata con la
formula “finchè morte non sopravvenga” e simili. Solo il re poteva salvare il
condannato all’ultimissimo momento.
Supplizio
come sfida
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L’esistenza dei supplizi si collega anche a:
- l’effetto di un regime di produzione in cui la forza lavoro (il corpo
umano) non hanno l’utilità e il valore commerciale che avranno
nell’economia industriale;
- l’attitudine nei confronti della morte, in un periodo in cui c’erano gravi
epidemie, alta mortalità infantile e quindi familiarità nei confronti della
morte: il rituale del supplizio la rendeva ancora più accettabile e le dava
un senso;
- il periodo di guerre civili e di potere dei re a spese dei parlamenti.
Regime di
produzione,
morte,
instabilità
L’atrocità è quella parte del crimine che il castigo rivolge in supplizio per farla
apparire in piena luce. Essa assicura lo splendore della verità e quello del
potere. Nel XIX sec si cercherà che il potere che sanziona non si insozzi con un
crimine più grande di quello che si vuole castigare.
Il popolo ha un ruolo ambiguo: è chiamato come spettatore, ha diritto di essere
testimone, di constatare i supplizi, di partecipare. Dall’altra parte può non
essere d’accordo con un’esecuzione ritenuta ingiusta, maledire i giudici,
scompigliare il rituale del supplizio. Può essere lì per ascoltare le ultime parole
del condannato che al riparo della morte può dire tutto senza aspettarsi una
punizione peggiore.
Spesso agitazioni popolari nascono intorno alla pratica punitiva: il popolo si
sentiva solidale verso i condannati, si sentiva minacciato da una violenza
legale, senza equilibrio né misura. L’equivoco, l’ambiguità appare chiaro nel
“discorso del patibolo”: scritti apocrifi venivano letti e diffusi tra il popolo.
Alcuni condannati dopo la loro morte erano diventati una sorta di santi di cui si
rispettava la memoria, la tomba. Presto i fogli volanti furono soppressi. Con la
letteratura poliziesca scompare la gloria del malfattore e la sua cupa
eroicizzazione attraverso il supplizio: saranno i giornali a raccontare la
quotidiana cronaca dei delitti e delle punizioni.
Popolo e
discorso del
patibolo
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II. Punizione
1) La punizione generalizzata
Dalla seconda metà del XVIII sec ovunque si trovano proteste contro i supplizi,
i quali non sono più tollerabili (giuristi, filosofi, parlamentari…). Il supplizio è
pericoloso per la violenza che contrappone i re al popolo: abituato a veder
sgorgare il sangue, il popolo non potrà che vendicarsi col sangue. La tirannia
chiama la rivolta e viceversa.
La giustizia criminale invece di vendicarsi deve punire, nel peggiore degli
assassini deve essere rispettata la sua umanità: principio dell’umanità come
misura castigo. Come nasce questa dolcezza?
Innanzitutto si verifica un addolcirsi dei crimini prima che delle leggi: ci sono
meno delitti di sangue dalla fine del XVII sec: il furto e la truffa danno il
cambio alle aggressioni fisiche, i criminali sono più astuti, calcolatori, sornioni.
Alle grandi bande si dà meglio la caccia per cui si è obbligati a farsi più
piccoli.
Altri processi sono sicuramente coinvolti:
- trasformazione dell’economia
- innalzamento del livello di vita
- forte incremento demografico
- lo stesso appesantirsi della giustizia
- convinzione generalmente diffusa di un aumento dei crimini
Più che un nuovo rispetto per l’umanità dei condannati c’è una tendenza verso
una giustizia più sottile e acuta, verso un maggiore controllo della polizia sul
popolo. I riformatori non criticano tanto la crudeltà ma la cattiva economia di
potere: eredità o vendita delle cariche dei magistrati, interessi particolari,
pressioni dirette sui magistrati, sentenze arbitrarie, troppo potere ai giudici e al
re.
La disfunzione del potere è legata anche al potere monarchico i quale per
ragioni di tesoreria vende gli uffici di giustizia che gli appartengono. Poiché
crea sempre nuovi uffici per venderli porta a conflitti di potere. Il vero
obiettivo della riforma è di stabilire una nuova economia del potere di
castigare, assicurarne una migliore distribuzione né troppo concentrata né
troppo divisa: si punta a diminuire il costo economico della giustizia
(dissociandola dalla compravendita di cariche e decisioni) e il costo politico
(dissociandolo dal super potere monarchico).
No equilibrio
Nuova economia
del potere
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La riforma parte sia dall’esterno (filosofi illuminati) che dall’interno (gli stessi
magistrati) dell’apparato giudiziario. Non punire meno ma punire meglio:
nasce una nuova politica nei confronti dell’illegalità, non una nuova sensibilità.
Nell’Ancien Régime l’illegalismo era radicato e tollerato e corrispondeva ai
privilegi accordati agli strati sociali più elevati. Anche gli strati più sfavoriti
avevano un minimo margine di tolleranza che si erano conquistati con
l’ostinazione e agitazioni popolari. In questo illegalismo necessario c’erano
forme di criminalità dalla quale era difficile distinguersi. Da una parte il
criminale era protetto (es. il contadino scappato dal padrone), dall’altra se
commetteva delitti a spese del popolo era odiato (il vagabondo che rubava e
assassinava). Spesso il contrabbando e altri crimini fiscali erano sostenuti da
tutti i ceti.
Con l’aumento della ricchezza e quello demografico l’attenzione si sposta sui
furti: i contadini erano più colpiti dalle esazioni dei vagabondi criminali. Con
l’acquisizione dei terreni da parte della borghesia tutte le tolleranze che i
contadini avevano acquisite (raccolta legna, diritto di pascolo) sono perseguite
dai nuovi proprietari. L’illegalismo che assicurava la sopravvivenza dei più
poveri è ora mal sopportato. Con la proprietà commerciale e industriale e con
l’accumulo di merci nei porti il furto diviene intollerabile. Con la società
capitalistica l’illegalismo dei beni viene separato da quello dei diritti, in una
divisione di classe poiché l’illegalismo più accessibile alle classi popolari sarà
quello dei beni mentre la borghesia si riserverà l’illegalismo dei diritti. E tale
divisione si tradurrà in una divisione giudiziaria: per l’illegalismo dei beni
tribunali ordinari e castighi, per quello dei diritti accomodamenti e ammende
attenuate.
Nella critica ai supplizi convergeva la critica al potere illuminato del sovrano e
quella all’illegalismo sempre vigile del popolo. Ma poiché la pressione sugli
illegalismi popolari divenne imperativo essenziale, la riforma della legislazione
criminale si caratterizzò per un alleggerimento delle pene solo in apparenza.
Illegalismo
Necessario
Illegalismo dei
beni e di diritti
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La nuova strategia giudiziale si può formulare nella teoria generale del
contratto: il cittadino accetta insieme alle leggi della società anche quella che
rischia di punirlo. Chi commette l’infrazione è dunque un nemico comune, un
traditore della società poiché è dall’interno di esse che colpisce. Il diritto di
punire si sposta dalla vendetta del sovrano alla difesa della società cioè si
ancora ad una pena senza limite. Ci vuole quindi un principio moderatore: la
pena deve restare umana, le legge deve trovare ispirazione nella sensibilità
dell’uomo ragionevole. Attenzione non tanto al condannato ma agli effetti di
ritorno sulla sensibilità di chi punisce.
In questa razionalità della punizione si consideri il caso limite dell’enorme
delitto che mai più potrebbe essere compiuto così grande: di che utilità può
essere la sua punizione? La pena non deve essere in funzione del criminale ma
della sua possibile ripetizione, del disordine futuro che può creare, alla
imitazione a cui può portare il popolo. Anche la prevenzione era una funzione
del castigo ma ora diviene il principio dell’economia del punire e la sua misura.
Contratto
Crimine contro
la società
Principio
moderatore
Si individuano 6 regole su cui si basa il potere di punire:
1) Regola della quantità minimale: un delitto viene commesso perché
procura dei vantaggi ma se ad esso viene associata l’idea di uno
svantaggio più grande esso cesserebbe di essere desiderabile.
2) Regola dell’idealizzazione sufficiente: ciò che fa della pena il cuore della
punizione non è la sensazione di sofferenza ma l’idea di un dolore, un
inconveniente. È la rappresentazione della pena che deve essere
massimalizzata, non la sua realtà corporale.
3) Regola degli effetti laterali: la pena deve produrre effetti intensi e durevoli
in coloro che non hanno commesso l’errore e nello stesso tempo la meno
crudele sul corpo del condannato (Beccaria parla di schiavitù perpetua).
4) Regola della certezza perfetta: all’idea di ogni delitto e dei suoi vantaggi
deve essere associata la certezza dell’idea di un determinato castigo e dei
suoi inconvenienti. Ciò presuppone che le leggi siano chiare e consultabili
da tutti, che il monarca rinunci al suo diritto di grazia e quindi che non ci
sia speranza nell’impunità. La polizia è l’organo che permette la
sorveglianza sulle azioni nella società. Le procedure e le ragioni di accusa
non devono essere più segrete.
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5) Regola della verità comune: è necessaria una dimostrazione completa per
ottenere una giusta verità. Non più mezze verità che facevano mezzi
colpevoli e confessioni strappate con la tortura. Fino alla dimostrazione
finale del suo delitto l’accusato deve essere considerato innocente e per
far la dimostrazione il giudice deve usare strumenti comuni, la ragione di
tutti, la ricerca empirica.
6) Regola della specificazione ottimale: tutte le infrazioni devono essere
qualificate, classificate senza lasciarne fuori alcuna attraverso un Codice
che definisca i delitti e fissi le pene, conformemente ai caratteri peculiari
di ogni criminale (chi ruba perché ha fame è meno colpevole di chi ruba
per cattiveria). L’individualizzazione delle pene è lo scopo di un buon
codice; una delle sue forme è la recidiva: con essa si vuole punire non
tanto il soggetto delinquente ma la volontà del criminale. Un’altra è il
delitto passionale, il quale è legato a circostanze straordinarie e non
promette di essere abituale.
Presunzione
di innocenza
Individualizzazione
delle pene
in un codice
Ricapitolando si parte con il progetto politico di
- classificare esattamente gli illegalismi
- generalizzare la funzione punitiva
- delimitare il potere di punire
Da un lato il criminale è il nemico di tutti, si squalifica come cittadino,
dall’altro può essere chiunque e quindi si pensano tattiche di prevenzione. Due
tipi di oggettivazione del criminale che hanno esiti diversi: la prima rimane a
lungo solo un caso virtuale, oggetto indefinito di conoscenza, la seconda ha
avuto effetti più rapidi, con una calcolata economia di punizioni.
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2) La dolcezza delle pene
Segni-ostacoli
Trovare per un delitto il castigo che gli conviene permette di stabilire un gioco
di segni-ostacoli che, instaurando l’idea del supplizio nel cuore di ogni uomo
debole, domini il sentimento che lo spinge al delitto. Condizioni per il loro
funzionamento:
1) Essere il meno arbitrari possibili: poiché è la società che decide cosa
considerare delitto (non è cosa naturale) se si vuole che la punizione si
presenti allo spirito nel momento stesso in cui si pensa al delitto, bisogna
che il legame tra punizione e delitto sia il più immediato possibile (per
analogia, per prossimità). Sono necessari rapporti esatti tra la natura del
delitto e la natura della punizione (es. la confisca punirà il furto;
l’ammenda l’usura; la morte l’assassinio…).
2) Il gioco di segni deve incidere sulla meccanica dell’interesse mediante
numerosi mezzi: dietro i delitti di vagabondaggio c’è la pigrizia che va
combattuta costringendoli a lavorare. Scegliere le pene in ciò che c’è di
più deprimente per la passione che ha condotto al crimine commesso.
Altro esempio è quello del malfattore che non ha il sentimento del rispetto
per la proprietà: bisogna insegnarglielo di nuovo cominciando col fargli
provare cosa significa perdere la libera disposizione dei propri beni,
tempo, corpo.
3) Utilità in rapporto ad un tempo definito: una pena che non avesse termine
sarebbe contraddittoria e sarebbe solo un supplizio oltre che un costo per
la società. Gli incorreggibili andrebbero eliminati. La durata ha un ruolo
nell’economia della pena: la pena deve attenuarsi negli effetti che produce
nel tempo (es. in un meccanismo ad intensità regressiva, un condannato
alla pena più grave subirà inizialmente la segreta poi lavorerà per poco,
quindi otterrà una cella rischiarata e più tempo di lavoro…)
4) Il colpevole è solo un bersaglio del castigo: bisogna anche far circolare
questi segni-ostacoli ai possibili colpevoli, che li ridistribuiranno a loro
volta. Il castigo non deve essere considerato solo naturale ma conveniente
e vantaggioso per ciascuno. L’ideale sarebbe che il condannato apparisse
come una sorta di proprietà redditizia, come uno schiavo messo al
servizio di tutti. Invece che “cosa del re” il corpo del condannato può
diventare bene sociale, utile ad esempio per ricostruire le strade: per i
riformatori i lavori pubblici sono una delle pene migliori.
5) Sapiente economia della pubblicità: nella punizione piuttosto che la
presenza del sovrano si leggeranno le leggi stesse, la moralità pubblica,
ma il delitto deve essere punito il prima possibile per favorire
l’associazione immediata tra pena e crimine. La punizione pubblica deve
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6) Il criminale deve apparire un disgraziato e non un dubbio eroe: se la
cerimonia del lutto è ben fatta i segni-ostacoli che prevengono il crimine
circoleranno nei discorsi di tutti. Bisogna immaginare una città punitiva
dove agli incroci, nei giardini si possano visitare piccoli teatri di castighi
che ripetano il Codice (ad ogni crimine la sua pena). Limite massimo per
il colpevole del più terribile dei crimini (il parricida): con gli occhi trafitti,
nudo in una gabbia di ferro sospesa in una piazza con una cintura di ferro
e alimentato a pane e acqua fino alla fine dei suoi giorni.
La prigione non è mai presentata come forma generale di castigo poiché non
risponde alla specificità dei delitti, è sprovvista di effetti sul pubblico, non dà
l’esempio ed è costosa per la società (i condannati, nell’ozio, moltiplicano i
loro vizi). Essa è incompatibile con la tecnica della pena-segno: l’oscurità della
prigione diviene oggetto di diffidenza per i cittadini.
Il problema è che il poco tempo la detenzione è divenuta la forma essenziale
del castigo, tra la morte e le pene leggere. Tutti i delitti immaginabili vengono
puniti nel più uniforme dei modi: invece di punire con dolore chi è stato feroce,
col lavoro chi è stato pigro, la prigione è come un dottore che dà la stessa cura
a tutti i mali. Il principio generale è che con la prigione si contiene, si assicura
qualcuno ma non lo si punisce. Inoltre la prigione era vista come segnata
dall’abuso di potere, visto l’uso che il sovrano ne faceva per incarcerare gli
oppositori al suo potere. La prigione immerge il cittadino, non ancora
condannato, nel soggiorno del crimine, uniforma tutte le pene, generalizza il
male, non lo previene
Città punitiva
Prigione
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La detenzione diventa una delle forme più generali dei castighi legali con
l’arrivo di alcuni modelli prestigiosi di carcerazione punitiva principalmente
dall’Olanda, dall’Inghilterra e dall’America.
-
Rasphuis di Amsterdam (1596): è il più antico di questi modelli, aperto per
mendicanti e giovani delinquenti, funzionava secondo tre principi:
1) durata delle pene poteva esser determinata dalla stessa
amministrazione entro certi limiti
2) il lavoro era obbligatorio, si faceva in comune e dava un salario
3) c’era uno stretto impiego del tempo, divieti, obblighi, sorveglianza
continua, letture spirituali per attirare verso il bene
-
Casa di forza di Gand (1794): organizzò il lavoro penale intorno ad
imperativi economici, sulla base che l’ozio era la causa generale di molti
crimini (i lavoratori invece pensano unicamente al lavoro che li nutre).
Obbligo del lavoro ma anche retribuzione che permette di migliorare la
propria sorte, acquisisce il gusto del lavoro, gli si insegna un mestiere che
gli permetterà una sussistenza futura senza pericolo. La durata della pena ha
senso solo se non troppo corta né senza limiti.
-
Il modello inglese di Hanway (1775) aggiunge l’isolamento come
condizione essenziale della correzione: come ispirava la cella dei monaci,
l’isolamento poteva ricostruire insieme all’homo economicus anche la
coscienza religiosa, il soggetto morale. Modello messo in pratica negli USA
nel 1779.
Il modello di Filadelfia: il più celebre perché legato alle innovazioni
politiche americane e perché non fu abbandonato come gli altri ma
trasformato continuamente. Come a Gand il lavoro è obbligatorio e costante
nei laboratori allo scopo di finanziare la prigione, assicurare il
reinserimento dei detenuti e fargli mettere qualcosa da parte per il momento
dell’uscita dalla prigione. Gestione rigorosa del tempo, isolamento non
totale tranne per i condannati speciali, durata della detenzione variabile.
Legata a tale modello vi è la prigione di Walnut Street che si rifaceva al
principio della non pubblicità della pena: la condanna era pubblica ma
l’esecuzione della pena avveniva nel segreto, ai cittadini doveva bastare la
certezza che dietro le mura veniva eseguita. All’interno della prigione
doveva essere fatto un lavoro sull’anima del detenuto: non solo cure
spirituali mediante libri religiosi ed interventi del clero una volta alla
settimana ma l’amministrazione stessa, alla quale viene fornito il rapporto
sul crimine commesso, lavora sulle cure necessarie per distogliere il
condannato dalle sue antiche abitudini. La prigione diventa un apparato di
sapere, un osservatorio permanente dei prigionieri per valutare la loro
condotta.
Punti di convergenza tra questi modelli e i castighi immaginati dai riformatori:
- scopo delle pene non è l’espiazione del crimine ma il prevenire la
ripetizione dello stesso
Modelli di
carcerazione
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Sovrano e la sua forza
Giuristi riformatori
(Corpo sociale)
Apparato amministrativo
Marchio
Segno
Traccia
Nemico vinto
Soggetto di diritto in via
di riqualificazione
Individuo assoggettato ad
una coercizione immediata
Corpo suppliziato
Anima di cui si manipolano
le rappresentazioni
Il corpo addestrato
Come accadde che il terzo si sia alla fine imposto?
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III. Disciplina
1) I corpi docili
Nel XVIII sec cresce l’interesse nell’uomo-macchina, una riduzione
materialistica dell’anima e una teoria generale dell’addestramento dove al
centro si trova il concetto di docilità: è docile un corpo che può essere
sottomesso, utilizzato, trasformato e perfezionato.
Ad esempio il soldato è qualcosa che si fabbrica da una pasta informe, da un
corpo inetto: per questo egli si può riconoscere da lontano dai segni che porta
(petto in fuori, schiena dritta). Nell’automatismo delle abitudini poco a poco si
scaccia il contadino.
L’interesse all’uomo-macchina non è una novità, ma ci sono delle nuove
tecniche che portano al concetto di dominazione che definiamo disciplina:
- la scala del controllo, cioè non si interviene sul corpo in generale ma nel
dettaglio
- l’oggetto del controllo, non più il linguaggio del corpo ma la sua
economia, l’efficacia dei suoi movimenti: ciò che è importante è
l’esercizio, non i segni
- la modalità, che implica una coercizione ininterrotta sulle forze del corpo
ed impone un rapporto di docilità-utilità.
La disciplina è diversa dalla schiavitù (appropriazione dei corpi), dalla
domesticità (dominazione del padrone), dal vassallaggio (rapporto di
sottomissione codificato). Essa definisce tecniche minuziose (attenzione al
dettaglio) per far presa sui corpi affinché essi facciano come il potere vuole,
con le tecniche e l’efficacia che esso determina; fabbrica corpi docili,
sottomessi ed esercitati. Questa attenzione al dettaglio va a braccetto con
l’educazione cristiana ed il suo amore per le piccole cose. Una minuziosa
osservazione del dettaglio e una assunzione politica delle piccole cose per il
controllo e l’utilizzazione degli uomini.
Le tecniche minuziose che si sono diffuse da un’istituzione all’altra (scuola,
ospedali, esercito) hanno creato tutto un corpus di procedimenti e di sapere e
hanno portato anche alla mutazione del regime punitivo.
Uomo-macchina,
docilità
Il soldato
Disciplina
Attenzione al
dettaglio,
alle piccole cose
L’arte delle ripartizioni
La disciplina procede innanzitutto alla ripartizioni degli individui nello spazio
mediante numerose tecniche:
1) La specificazione di un luogo diverso dagli altri e chiuso su se stesso
(clausura), come i collegi, le caserme, le stesse fabbriche: in questi
luoghi si concentrano le forze per ricavarne il massimo vantaggio.
2) Principio della localizzazione elementare (o quadrillage): ad ogni
individuo il suo posto ed in ogni posto il suo individuo. Evitare quindi le
distribuzioni a gruppi, la circolazione degli individui; sorvegliare la
condotta di ciascuno, misurarla, apprezzarla o sanzionarla.
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3) La regola delle ubicazioni funzionali, che consiste nella ripartizione
dello spazio disciplinare insieme alla scomposizione individualizzante
della forza lavoro e alla divisione della produzione (es. negli ospedali
vicino ai porti, nelle fabbriche).
4) Nella disciplina ciascuno viene definito dal posto che occupa in una
serie, dal suo rango: questo a poco a poco definisce ad esempio la
ripartizione degli alunni nell’ordine scolare. L’organizzazione di uno
spazio seriale fu una delle grandi mutazioni dell’insegnamento:
assegnando anche posti individuali fissi rese possibile il controllo di
ciascuno ed i lavoro simultaneo di tutti. La scuola diviene una macchina
per apprendere ma anche per sorvegliare, gerarchizzare, ricompensare.
La prima operazione della disciplina è la costituzione di “quadri viventi”
che trasformano le moltitudini confuse e pericolose in molteplicità
ordinate: il quadro è una tecnica di potere ed un procedimento di sapere.
Si tratta di imporre un ordine alla molteplicità (es. uso dei registri,
ispezioni, separazione degli alunni, classificazione) per ricavarne il
maggior effetto positivo possibile.
Il controllo delle attività
1) L’impiego rigoroso del tempo è un’eredità delle comunità monastiche
che ne hanno suggerito il modello: stabilire scansioni, obbligare a certe
operazioni, regolare il ciclo di ripetizione (es. il rigore del tempo
industriale aveva un andamento religioso, così come nelle scuole e
nell’esercito).
2) L’elaborazione temporale dell’atto, ad esempio nel modo di marciare di
una truppa, porta ad un alto grado di precisione nella scomposizione dei
gesti e dei movimenti; il tempo penetra il corpo (il corpo vi si adatta) e
con esso i controlli minuziosi del potere.
3) Messa in correlazione del corpo e del gesto: il controllo disciplinare
stabilisce la relazione migliore tra un gesto e l’attitudine globale del
corpo (es. a scuola tenere il corpo diritto, stare a due dita di distanza dal
banco… il maestro mostra e corregge gli scolari) che è condizione di
efficacia e di rapidità.
4) Articolazione corpo oggetto: la disciplina definisce uno per uno i
rapporti che il corpo deve mantenere con l’oggetto che manipola,
disegna un accurato ingranaggio tra l’uno e l’altro. Il carattere del potere
disciplinare è quindi di legame coercitivo con l’apparato di produzione e
non solo di estorsione del prodotto.
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5) Utilizzazione esaustiva: riguardo l’impiego del tempo si passa da un
semplice principio di non oziosità a quello di una utilizzazione del
tempo sempre crescente. Intensificare cioè l’uso del minimo istante,
tendere a un punto ideale dove il massimo della rapidità raggiunge il
massimo dell’efficienza. Era questa la tecnica del famoso reggimento
prussiano di Federico II, che tutta Europa aveva poi imitato. Il corpo
diviene bersaglio di nuovi meccanismi di potere e quindi lo si apre a
nuove forme di sapere: corpo dell’esercizio, dell’addestramento utile ma
se ne studiano anche le sue esigenze ed i suoi meccanismi naturali.
L’organizzazione delle genesi
Partiamo da un esempio e da un quesito. La scuola dei Gobelins (dal 1667) era
organizzata in modo da educare e istruire gli apprendisti per una durata di 10
anni, in un rapporto di dipendenza dal maestro e in uno scambio di sapereservizi tra maestro e alunni.
Il quesito da cui partire è il seguente: come capitalizzare il tempo degli
individui, usarlo e controllarlo in modo proficuo? Vediamo come attraverso 4
processi tipici dell’organizzazione militare.
1) Dividere il tempo in segmenti, trafile di cui ciascuno deve arrivare ad un
termine specifico (non mescolare l’istruzione delle reclute con
l’esercizio dei veterani).
2) Organizzare queste trafile come successione di elementi il più semplice
possibile che si combinino secondo una complessità crescente (non più
ripetizione analogica e istruzione esemplare ma istruzione elementare).
3) Finalizzare questi segmenti temporali, dare un termine che si conclude
con una prova che indica se il soggetto ha raggiunto il livello di
apprendimento stabilito.
4) Prescrivere a ciascuno secondo il proprio grado, livello, rango gli
esercizi che gli convengono in modo che si trovi preso in una serie
temporale.
Questo tempo disciplinare si impone alla pratica pedagogica specializzando il
tempo di formazione e distaccandolo dal tempo adulto, del mestiere acquisito;
predisponendo diversi stadi separati da prove graduate; qualificando tali
individui secondo il modo in cui hanno percorso questa serie.
Tale messa in serie di attività successive permette la possibilità di un controllo
da parte del potere e di un intervento di correzione, castigo, eliminazione.
I procedimenti disciplinari fanno apparire un tempo lineare, un tempo
evolutivo, seriale. Una procedura di questa seriazione del tempo è l’esercizio, il
quale assicura una perpetua caratterizzazione dell’individuo, una continuità,
una crescita che tende verso l’assoggettamento.
L’esercizio
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La composizione delle forze
Nella truppa la ripartizione dei soldati avveniva in base all’anzianità e al
valore: i novizi al centro per fare corpo; davanti, agli angoli e ai lati i più abili e
coraggiosi. Successivamente all’invenzione del fucile sparisce la tecnica di
massa (la truppa) a favore dell’unità mobile, il soldato col suo fucile.
Stesso problema nella società produttiva: la disciplina deve, oltre a quello detto
fin’ora, comporre un apparato efficace concertando le sue parti elementari. Di
conseguenza accade che:
1) del singolo è importante il posto che occupa, l’ordine che mantiene nel
gruppo prima che il suo valore o la sua forza. Per il soldato è ora
importante imparare a far parte di un meccanismo.
2) Il tempo degli uni deve accordarsi a quello degli altri e da ciascuno la
quantità massimale di forze deve essere usata per ottenere un risultato
ottimale. Così in una scuola con il metodo Lancaster gli allievi più
anziani avranno compiti di sorveglianza ma anche di insegnamento
permettendo a tutti i 360 ragazzi di esercitarsi per più tempo.
3) Questa combinazione di forze esige un sistema di comando rapido e
chiaro: l’ordine è espresso come un segnale al quale è legato una sola
risposta obbligata e cieca. Nella scuola questo sistema dei segnali verrà
accentuato nella scuola mutuale: ogni 3 minuti c’era un colpo di
fischietto o di campanello ricevuto dagli allievi.
Segnali
Riassumendo possiamo dire che la disciplina fabbrica una individualità
composta da 4 caratteri:
Caratteri
Attraverso
Tecniche
È cellulare
Gioco della ripartizione spaziale
Costruisce quadri
È organica
Codificazione delle attività
Prescrive delle manovre
È genetica
Il cumulo del tempo
Impone degli esercizi
È combinatoria
La combinazione delle forze
Organizza delle tattiche
La tattica è la forma più elevata di pratica disciplinare. La minuziosa tattica
militare, oltre ai rapporti tra Nazioni, si esercita dentro gli Stati con il controllo
dei corpi e delle forze individuali. Mentre i giuristi e i filosofi cercavano nel
patto la ricostruzione del corpo sociale, i militari e i tecnici della disciplina
elaboravano le procedure per la coercizione individuale e collettiva dei corpi.
Tattica
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2) I mezzi del buon addestramento
Secondo Walhausen (1615) la disciplina è l’arte del buon addestramento. In
effetti il potere disciplinare ha la funzione principale di addestrare le
moltitudini, scomporre le singole forze per cercare di legarle (non incatenarle)
e utilizzarle. La disciplina fabbrica degli individui in modo modesto (se
confrontato ai rituali maestosi dello Stato) ma permanente. Il suo successo
deriva dall’uso di strumenti semplici: il controllo gerarchico, la sanzione
normalizzatrice e la loro combinazione nella procedura dell’esame.
3 strumenti
La sorveglianza gerarchica
L’esercizio della disciplina ha bisogno di “osservatori”, di sguardi che vedano
senza essere visti. La sorveglianza ha come modello il campo militare:
nell’urbanistica, nella costruzione di città operaie, di prigioni, di scuole, o
spazio deve permettere una visibilità generale per controllare, per sorvegliare.
Non solo esternamente ma anche all’interno degli edifici; si abbandona il
vecchio schema del rinchiudere.
L’apparato disciplinare perfetto avrebbe permesso con un solo sguardo di veder
tutto. Una costruzione alta, con gli altri edifici disposti attorno in cerchio e
aperti verso l’interno, doveva formare il centro e da lì dare ordini, sorvegliare.
Questa architettura dalla geometria circolare esprimeva un’utopia politica.
Meglio di un cerchio, la piramide avrebbe potuto formare una rete con meno
lacune ed essere abbastanza discreta da non frenare l’attività disciplinare.
Come nelle fabbriche e nell’esercito, anche nelle scuole con l’aumento degli
allievi e la confusione che c’era in classe rese necessario predisporre dei
controlli. Venivano quindi scelti tra gli allievi migliori una serie di osservatori,
intendenti, ammonitori, visitatori e ripetitori (solo questi ultimi avevano un
ruolo pedagogico).
La sorveglianza gerarchizzante permette al potere disciplinare di diventare un
sistema integrato, di essere indiscreto perché è dappertutto, non lascia zone
d’ombra. Essa funziona come una rete di relazioni fatta di individui sorvegliati
e sorveglianti (a loro volta sorvegliati... nessuno è escluso).
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La sanzione normalizzatrice
1. In ogni sistema disciplinare funziona un piccolo meccanismo penale con
proprie leggi, reati, sanzioni, con una propria infra-penalità. A scuola,
nell’esercito si trova tutta una micropenalità del tempo (ritardi, assenze),
delle attività (disattenzione, negligenza), del corpo (scarsa pulizia, postura),
del modo di comportarsi (maleducazione, disobbedienza), dei discorsi
(chiacchiere, insolenza), della sessualità (indecenza). Si rendono punibili le
più piccole infrazioni della condotta attraverso castighi fisici, privazioni e
umiliazioni.
2. Ciò che attiene alla penalità disciplinare è l’inosservanza, ciò che non si
adegua alla regola, il non conforme: chi non impara a fare una determinata
cosa è sanzionabile secondo un ordine artificiale (posto da un regolamento)
e naturale (la durata di ogni stadio di apprendimento).
3. Il castigo disciplinare deve essere correttivo, poiché ha la funzione di
ridurre gli scarti. La punizione disciplinare è in gran parte isomorfa
all’obbligazione insoluta: castigare è esercitare (es. il penso era una misura
gradita anche dai genitori).
4. Il maestro deve rendere le ricompense più frequenti dei castighi, essendo i
pigri incitati dal desiderio di essere ricompensati come i diligenti che non
dal timore dei castighi. La punizione è dunque elemento di un sistema
duplice di gratificazione-sanzione, note buone e cattive. Una contabilità
penale aggiornata costantemente permette di ottenere un bilancio punitivo
di ciascuno. In alcune scuole era stata organizzata una microeconomia dei
pensi e dei privilegi: uno scolaro che aveva dei punti privilegio poteva
liberarsi o diminuire eventuali pensi assegnati per punizione. La penalità
della disciplina era così integrata nel ciclo di conoscenza degli individui.
5. La ripartizione in ranghi (o gradi) ha il duplice ruolo di gerarchizzare le
attitudini ma anche di castigare e ricompensare. Con la penalità
gerarchizzante si cerca di esercitare sugli individui una pressione costante
perché si sottomettano tutti allo stesso livello (es. diverse divise a seconda
della classe).
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L’arte di punire nel regime del potere disciplinare non tende né all’espiazione
né alla repressione ma agisce secondo 5 operazioni distinte:
1. ascrivere le prestazioni ad un insieme che è campo di comparazione
2. differenziare gli individui
3. misurare e gerarchizzare gli individui in base alle loro capacità
4. far tendere verso una conformità attraverso una misura valorizzante
5. tracciare il limite che segna la frontiera con l’anormale
Con le discipline appare il potere della Norma. Il Normale si instaura come
principio di coercizione nell’insegnamento (con l’introduzione di una
educazione standardizzata), nei corpi medici degli ospedali, nei procedimenti
industriali. La normalizzazione diviene uno degli strumenti di potere, un gioco
di gradi di normalità; da una parte costringe alla omogeneità, dall’altra
individualizza permettendo di misurare gli scarti e determinare dei livelli.
Norma
L’esame
L’esame stabilisce sugli individui una visibilità attraverso la quale essi vengono
differenziati e sanzionati. In tutti i dispositivi disciplinari è altamente
ritualizzato. In esso si manifestano i diversi rapporti di potere e lo stabilimento
della verità.
“La scuola diviene una sorta di apparato di esame ininterrotto, che doppia in
tutta la sua lunghezza l’operazione di insegnamento”. I Fratelli delle scuole
cristiane volevano che i loro allievi avessero una prova ogni giorno della
settimana. L’esame a scuola garantiva un autentico e costante passaggio di
saperi. L’era della scuola “esaminatoria” segna l’inizio di una pedagogia che
funziona come scienza.
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L’esame porta con se un meccanismo che lega ad una forma di esercizio del
potere:
1. L’esame inverte l’economia della visibilità nell’esercizio del potere. Se
tradizionalmente il potere è ciò che si vede e che si manifesta, nella
disciplina sono i soggetti ad essere incessantemente visti, mentre il
potere si esercita rendendosi invisibile. L’esame è anche la tecnica con
cui il potere mette i soggetti in un meccanismo di oggettivazione: i
soggetti diventano oggetti che manifestano il potere disciplinare (es. le
parate).
2. L’esame fa entrare l’individualità in un campo documentario, li registra
in una rete di documenti: con la compilazione dei primi registri in
campo medico, militare, scolastico si formano i primi codici che
formalizzano l’individuale all’interno delle relazioni di potere.
L’individuo viene costituito come oggetto descrivibile, analizzabile.
Viene costituito anche un sistema comparativo che permette la
misurazione dei fenomeni globali, dei gruppi. In tali archivi, registri si
può cercare la nascita delle scienze umane.
3. L’esame, contornato da tutte le sue tecniche documentarie fa di ogni
individuo un “caso”. I procedimenti disciplinari abbassano la soglia
dell’individualità descrivibile (non più privilegio dei potenti per una
futura memoria) e fanno di questa descrizione un mezzo di controllo per
una eventuale utilizzazione. In un regime disciplinare più il potere è
anonimo e funzionale, più coloro sui quali si esercita diventano
individualizzati. In altre società l’individualizzazione è privilegio di chi
ha il potere: tuttavia da cerimonia si passa a sorveglianza, da narrazione
commemorativa e osservazioni. Avviene quello che si può definire un
rovesciamento storico dei procedimenti di individualizzazione. In un
sistema disciplinare il bambino è più individualizzato dell’adulto
normale, il malato più del sano, il delinquente più del non delinquente.
L’individualizzazione non è solo la conseguenza della società mercantile
ma è anche una realtà fabbricata da quella tecnologia specifica del
potere che si chiama “disciplina”.
Potere
invisibile
Registri, codici
Individualizzazione
3) Il panoptismo
All’arrivo della peste il potere risponde con un modello compatto di dispositivo
disciplinare che prescrive a ciascuno il suo posto, il proprio ruolo. La peste
come forma (reale e immaginaria) del disordine ha come correlativo medico e
politico la disciplina. Peste e lebbra hanno suscitato reazioni diverse:
Peste e lebbra
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Lebbra
Peste
Rituali di esclusione
Schemi disciplinari
Grande reclusione
Buon addestramento
Separazione
Ripartizione
È marchiata
È analizzata e ripartita
Sogno di una comunità pura
Sogno di una società disciplinata
La città appestata è l’utopia della città perfettamente governata: percorsa da
gerarchie, sorveglianze, controlli, registrazioni, tutto immobile mentre un
potere preme su tutti i corpi individualizzati. Per vedere se funzionavano le
discipline perfette i governanti postulavano lo stato di peste, che rappresenta la
confusione, il disordine. Lo stato di lebbra richiama gli schemi di esclusione,
del contatto da recidere: se il lebbroso era l’abitante simbolico, il mendicante, il
vagabondo, il pazzo e il violento erano la popolazione reale. Schemi diversi ma
non incompatibili: si può appestare un lebbroso imponendo agli esclusi le
discipline (es. asilo psichiatrico, penitenziario, casa di correzione); dall’altra
parte tramite controlli disciplinari si può individuare chi è lebbroso e giocargli
contro i meccanismi dell’esclusione. La divisione tra normale e anormale,
l’esistenza di istituzioni che controllano, marchiano e correggono gli anormali,
fa funzionare i dispositivi disciplinari.
Il Panopticon di Bentham è la figura architettonica di questa composizione: alla
periferia una costruzione ad anello, al centro una torre di sorveglianza tagliata
da larghe finestre che si aprono verso la faccia interna dell’anello. La
costruzione periferica è divisa in celle con ognuna due finestre, una sull’interno
l’altra sull’esterno dell’anello, per poter far penetrare la luce.
Panopticon
Delle tre funzioni che aveva la segreta (rinchiudere, privare della luce,
nascondere) si mantiene solo la prima. La piena luce e lo sguardo di un
sorvegliante captano tutto mentre l'ombra proteggeva. La visibilità è una
trappola. La folla, la massa è abolita a favore di individualità, ordine,
separazione.
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Effetto principale del Panopticon è indurre nel detenuto uno stato cosciente di
visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Il potere deve
essere visibile (l'alta torre da dove è spiato deve essere sempre in vista al
detenuto) e inverificabile (il detenuto non deve mai sapere se è guardato ma
deve essere sicuro che può esserlo).
Nell’anello si è sempre visti senza mai vedere, viceversa nella torre centrale si
vede senza essere visti. Sotto il lato “serraglio” il Panopticon permette di
stabilire delle differenze: osservare i sintomi dei malati senza essere contagiati;
annotare le attitudini dei bambini e degli operai. Dal lato “laboratorio” può
essere utilizzato come macchina per addestrare, sperimentare punizioni o
medicamenti. Esso funziona come una sorta di laboratorio del potere dove al
centro c’è il direttore, il medico, il Signore del Panopticon che nel caso di
rivolta o epidemia sarà la prima vittima della sua incompetenza.
Visibile,
inverificabile
Le differenze tra città appestata e stabilimento panoptico segnano le
trasformazioni del programma disciplinare in un secolo e mezzo. La città
appestata è una situazione d’eccezione: il potere si erge contro un male
straordinario, in modo visibile e presente. Esso, il potere, ripartisce,
immobilizza, costruisce temporaneamente un funzionamento ideale ma in
modo violento e discontinuo. Il Panopticon è un modello generalizzabile di
funzionamento in cui il potere non è visibile, si esercita su molti senza far
rumore, quasi spontaneamente, senza altro strumento che una geometria, una
architettura che agisce direttamente sugli individui. Questo dispositivo
disciplinare può essere controllato democraticamente poiché anche i
sorveglianti sono facilmente controllabili. Il Panopticon cerca di amplificare le
capacità delle forze sociali, di diffondere l’istruzione, aumentare la produzione,
migliorare la sanità pubblica. Per far ciò il potere deve esercitarsi in maniera
continua e non violenta. Il modo di esercitare il potere del Panopticon è
all’opposto del modo in cui lo fa la sovranità del re.
Città appestata
vs Panopticon
Due immagini a due estremità della disciplina:
1) disciplina-blocco, cioè l’istituzione chiusa nei suoi confini, volta a
funzioni negative (arrestare il male, interrompere le comunicazioni)
2) disciplina-meccanismo, con il Panopticon, che cerca di migliorare
l’esercizio del potere rendendolo più rapido, leggero, efficace,
sottilmente presente
Il movimento che va da un’estremità all’altra (da una sorveglianza d’eccezione
ad una sorveglianza generalizzata) e la stessa estensione delle istituzioni
disciplinari hanno alla base diversi processi profondi:
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1) L’inversione funzionale delle discipline: prima le discipline avevano un
ruolo negativo cioè di neutralizzare dei pericoli, ora gli si chiede un
ruolo positivo, cioè di far aumentare l’utilità degli individui. L’esercito
non serve solo ad impedire il saccheggio, per mantenere l’ordine nelle
truppe ma aumenta le capacità dei soldati; la disciplina in fabbrica non
serve solo ad impedire i furti ma ad accrescerne i rendimenti; a scuola i
bambini non vengono solo sottratti all’ignoranza e alla delinquenza ma
si insegna loro un lavoro.
Ruolo
disciplina
2) La proliferazione dei meccanismi disciplinari: le discipline compatte si
scompongono in procedimenti flessibili e facilmente adattabili che si
diffondono nella società. Così ad esempio la scuola non deve più solo
formare giovani docili ma sorvegliare i genitori ed il loro modo di
vivere. O ancora invece di avere solo un enorme ospedale si cerca di
creare piccoli ospedali con funzioni di informazione, dispensario,
accoglienza, etc.
3) La statizzazione dei meccanismi disciplinari: sebbene le funzioni di
disciplina furono a lungo svolte da gruppi privati, poco dopo passarono
all’apparato di polizia. Se l’organizzazione di una polizia centralizzata
apparve come l’espressione di un assolutismo reale, i meccanismi che
essa applica sono specifici poiché deve vertere su tutto. Per fare ciò ci
vuole una sorveglianza permanente, capace di vedere tutto ma senza
farsi vedere. Una grande rete gerarchizzata: commissari, ispettori,
osservatori, informatori, denunciatori e prostitute. Tutto viene annotato
in rapporti e registri. Le funzioni disciplinari tendono ad essere assorbite
dagli apparati dello Stato ma ciò è inesatto poiché la disciplina è un
modo di esercitare il potere, una tecnologia: non può identificarsi con
una istituzione.
Julius leggeva come un processo storico compiuto ciò che Bentham aveva
descritto come un programma tecnico. Se l’antichità era stata una civiltà di
spettacolo e nei templi, nei teatri, nei circhi la società formava per un istante un
grande corpo unico, l’età moderna è una civiltà della sorveglianza in cui gli
elementi principali non sono più la comunità e la vita pubblica ma gli individui
privati da una parte e lo Stato dall’altra. Noi non siamo sui gradini di una scena
ma in una macchina panoptica, investiti dai suoi effetti di potere.
Processi storici all’interno dei quali la formazione della società disciplinare
prende posto:
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1) Le discipline sono tecniche per assicurare la regolamentazione delle
molteplicità con una tattica di potere che cerca di rendere l’esercizio
dello stesso il meno costoso possibile e di portare gli effetti di questo
potere sociale al massimo di intensità ed estensione. Inoltre cerca di
moltiplicare gli apparati di produzione intesi anche come produzione di
sapere, di salute, di forza distruttrice. Le discipline sono l’insieme di
piccole invenzioni che hanno permesso di accrescere l’utilità delle
molteplicità (le masse) facendo decrescere gli inconvenienti del potere
che deve reggerle. Lo sviluppo economico dell’occidente è cominciato
grazie ai due processi di accumulazione del capitale e accumulazione
degli uomini (tramite il potere disciplinare),
2) La modalità panoptica del potere non è il prolungamento delle strutture
giuridiche di una società ma non ne è neanche indipendente. Le
discipline possono essere viste come un controdiritto poiché opponendo
il legame disciplinare a quello contrattuale permettono di falsare il
diritto. La prigione di colloca nel punto in cui il potere di punire diviene
potere disciplinare di sorvegliare, la riqualificazione del soggetto di
diritto diviene addestramento utile del criminale.
3) Questi procedimenti della disciplina grazie alla formazione e al cumulo
di nuove conoscenze portano ad una continua moltiplicazione del potere
che dà luogo ancora a possibili conoscenze.
Accrescere
l’utilità delle
molteplicità
Rapporto
dirittodisciplina
Crescita
conoscenze
Il XVIII sec ha inventato la tecnica della disciplina e dell’esame, un po’ come il
Medioevo ha inventato l’inchiesta giudiziaria. La prigione cellulare con i tempi
scanditi, il lavoro obbligatorio, la sorveglianza e l’annotazione è divenuta lo
strumento moderno della penalità. Ma se la prigione assomiglia a ospedali,
fabbriche, caserme e scuole, anche tutte queste assomigliano a delle prigioni.
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IV. Prigione
1) Istituzioni complete e austere
Prima di essere definita la pena per eccellenza l’istituzione prigione era la
forma generale di un apparato per rendere gli individui docili e utili, attraverso
un lavoro preciso sul loro corpo, per distribuirli spazialmente, mantenerli in
una visibilità senza lacune, formare intorno ad essi un apparato di
osservazione, di raccolta di informazioni. I primi modelli che segnano
l’apertura alla detenzione penale furono Gand, Gloucester, Walnut Street.
La prigione, elemento essenziale nella panoplia punitiva, è il frutto di una
giustizia che si afferma uguale, di un apparato giudiziario che vuole essere
autonomo ma è investito dalle dissimmetrie degli assoggettamenti disciplinari.
La prigione si impone su tutte le altre punizioni immaginate dai riformatori e
nonostante tutti i suoi inconvenienti è la soluzione (detestabile) di cui non si
trova alternativa. Il carattere di “evidenza” che la prigione ha assunto si fonda
prima di tutto sulla “privazione della libertà”: in una società in cui la libertà è
un bene che appartiene a tutti, il criminale paga la sua pena con la moneta
temporale dei giorni, mesi, anni. Da qui l’espressione che si sta in prigione per
pagare il proprio debito (così come è naturale nella nostra società l’uso del
tempo per misurare gli scambi).
L’evidenza della prigione si fonda anche sul suo ruolo di trasformare gli
individui. Nella prigione si vede una caserma un po’ stretta, una scuola senza
indulgenza, una fabbrica buia. Essa fu da principio accompagnata da un
supplemento correttivo. Questo doppio fondamento la fa apparire come la
forma più civilizzata di tutte le pene.
Libertà, tempo
Fondamento
giuridicoeconomico
Fondamento
tecnicodisciplinare
Baltard le definiva “istituzioni complete ed austere”. Complete nel senso che
rispetto alla scuola, alla fabbrica ed alla caserma, le prigioni sono
onnidisciplinari, la loro azione è ininterrotta, la disciplina incessante. Essa
porta all’intensità massima i meccanismi di repressione e castigo che si trovano
negli altri dispositivi disciplinari: il governo può disporre totalmente
dell’esistenza del detenuto e della sua libertà (definisce il loro tempo di riposo,
gli spostamenti, la qualità e quantità del cibo…).
Principi delle prigioni:
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1) isolamento del condannato in rapporto al mondo esterno, a ciò che ha
motivato l’infrazione. L’isolamento anche dei detenuti gli uni in
rapporto agli altri in modo che non costituiscano complicità future, una
società organizzata di malfattori. La solitudine suscita riflessione e
rimorso nel detenuto. L’isolamento assicura il colloquio del detenuto
sottomesso col potere che si esercita su di lui. Il modello americano di
Auburn prescrive la cella individuale durante la notte, il lavoro e i pasti
in comune ma in silenzio assoluto tra i detenuti (chiaro riferimento al
modello monastico). La comunicazione avviene solo in senso verticale,
con i guardiani. Piuttosto che tenerli in gabbia bisogna riunirli,
controllarli costantemente e punirli, restituendo loro abitudini di
socialità. Nel modello di Filadelfia il detenuto è messo in isolamento
assoluto, la sua riqualificazione avviene automaticamente in base al
rapporto con la propria coscienza: piuttosto che un addestramento
superficiale si punta ad una sottomissione profonda un cambiamento di
moralità. In una cella chiusa (come un sepolcro) i miti della risurrezione
prendono facilmente corpo. Dopo la notte e il silenzio la vita è
rigenerata. Nell’opposizione tra questi due modelli si innesta la
discussione religiosa (la conversione è l’elemento principale della
correzione?), medica (l’isolamento rende pazzi?) e architettonicoamministrativa (quale forma garantisce la sorveglianza migliore?).
2) Il lavoro viene definito, come l’isolamento, un agente di trasformazione
carceraria. Se i riformatori lo vedevano come un’utile riparazione per i
danni inflitti alla società, nel regime carcerario ci sono molte polemiche
a riguardo. La prima discussione è sul salario dato ai detenuti: gli operai
accusano il Governo di sottrarre loro il lavoro e di favorire i delinquenti
rispetto a gli onesti cittadini. Le risposte date dalle amministrazioni sono
costanti: la prigione non è una fabbrica, il lavoro serve a riqualificare il
detenuto e ad occupare loro il tempo. Il lavoro nella società
meccanizzata è la religione delle prigioni. Se i detenuti non vivono del
proprio lavoro, devono vivere sulle spalle del lavoro altrui. Il salario dà
ai malfattori il senso della proprietà, del risparmio, della previdenza. Il
lavoro costituisce anche un rapporto di potere.
Isolamento
Modello
di Auburn
Modello
di Filadelfia
Lavoro
Polemica
sul salario
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3) La prigione tende a divenire uno strumento di modulazione della pena:
essa può modificare la durata della reclusione. La pena non deve essere
fissata una volta per tutte ma deve adattarsi alla trasformazione del
detenuto. Opinione generale dei direttori delle case di pena era che i
correzionali (i condannati per delitti minori dai tribunali correzionali)
fossero più viziosi e meno sottomessi dei criminali (tra i quali c’erano
molti uomini che soccombettero ai bisogni di una numerosa famiglia).
Da qui l’idea che il rigore punitivo non deve essere proporzionale
all’importanza penale del condannato né determinato una volta per tutte.
Inoltre “se c’è qualcosa che può risvegliare nello spirito dei condannati
le nozioni di bene e di male è la possibilità di ricevere qualche
ricompensa” (abbreviazione della pena, salario, miglior regime
alimentare, libertà provvisoria/condizionata). Il carcere assume una certa
autonomia amministrativa e anche una parte della sovranità punitiva. Si
può anzi parlare di un eccesso del carcerario in rapporto al giudiziario:
si pensi alle inutili violenze dei guardiani o il dispotismo
dell’amministrazione carceraria.
Il tema del Panopticon trova nella prigione il suo luogo privilegiato di
realizzazione. Vengono usati due dispositivi essenziali: il controllo permanente
del prigioniero e la registrazione di tutte le note. La prigione è il luogo di
esecuzione della pena e contemporaneamente luogo di osservazione degli
individui puniti; è il luogo di costituzione di un sapere che serve per regolare la
pratica penitenziaria.
La prigione sostituisce al condannato il delinquente: quest’ultimo è
caratterizzato non tanto per il suo atto ma per la sua vita sregolata. Se vuole
essere una vera rieducazione, il carcere deve totalizzare l’esistenza del
delinquente, fare della prigione un teatro artificiale e coercitivo. Il castigo
legale verte su un atto, la tecnica punitiva su una vita.
L’introduzione del biografico fa esistere il criminale prima del crimine. Una
etnologia dei delinquenti, con il loro riti e le loro lingue, disegna una loro
civiltà in forma parodistica: i condannati sono un altro popolo dentro lo stesso
popolo.
Si delineano tre tipologie di condannati, che permettono di iniziare una
conoscenza positiva della specie “delinquente”:
Modulazione
temporale
della pena
Delinquente
1.
Dotati di intelligenza superiore alla
media ma con una morale iniqua
Necessario isolamento giorno e notte,
passeggiata solitaria
2.
Viziosi, limitati, passivi, indifferenti
tanto alla vergogna quanto al bene
Necessaria educazione più che repressione,
isolamento di notte, lavoro in comune di giorno
3.
Inetti ed incapaci
Devono vivere in comune ma in piccoli gruppi,
stimolati da occupazioni
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2) Illegalismi e delinquenza
Per la legge la prigione può essere puramente privazione di libertà. Ma il
passaggio dai supplizi coi loro rituali alle prigioni nascoste dentro le loro
architetture è il passaggio da una sapiente arte all’altra. Di questo passaggio un
sintomo è la sostituzione della catena dei forzati con la vettura cellulare
(Francia, 1837): il cammino tra le città verso la detenzione si svolgeva come un
cerimoniale di supplizio che rendeva la popolazione più selvaggia e tra i
condannati faceva nascere cameratismo e quasi fierezza (furono definiti “cinici
e gioiosi viaggiatori”).
La vettura cellulare adottata nel 1837 era concepita come un equivalente
mobile del Panopticon e permetteva alle guardie di controllare costantemente i
detenuti: verso l’esterno non lasciava intravedere nulla; senza cuscini ed
incatenati lungo il viaggio di 72 ore se non si dorme si può solo pensare e
l’individuo comincia a pentirsi e a cambiare.
La prigione venne denunciata come il grande scacco della giustizia penale; essa
si impose senza una graduale cronologia di riforme. Le critiche che gli furono
fatte negli anni 1820-45 sono oggi ripetute similmente:
Critiche alla
prigione
a) Le prigioni non diminuiscono il tasso di criminalità.
b) La detenzione provoca la recidiva: i condannati sono in buona proporzione
ex detenuti.
c) La prigione fabbrica delinquenti a causa del tipo di esistenza che fa
condurre ai detenuti: un’esistenza contro natura, fondata su costrizioni
violente, abuso di potere da parte dell’amministrazione, sofferenze che la
legge non ha previsto. Ciò rende vana l’educazione del detenuto e lo fa
sentire vittima di ingiustizie e quindi indomabile.
d) La prigione favorisce l’organizzazione dei delinquenti, gerarchizzati e
solidali, pronti per future complicità. “La società proibisce le associazioni
di più di 20 persone e poi costituisce essa stessa caserme del crimine
raggruppando 200, 500, 1200 condannati. Qui si forma l’educazione del
giovane delinquente alla sua prima condanna: la prigione trasforma il
delinquente occasionale in delinquente abituale.
e) Le condizioni in cui si trovano i detenuti liberati li portano fatalmente alla
recidiva: perché sono sotto sorveglianza della polizia, perché devono
mostrare ovunque il passaporto che menziona la condanna da loro subita,
non trovano lavoro ma non possono spostarsi dalla residenza obbligata.
Finiscono per vagabondare per quella città e a commettere infrazioni.
f) La prigione fabbrica indirettamente dei delinquenti, facendo cadere in
miseria la famiglia del detenuto e creando una discendenza di criminali.
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Queste critiche alla prigione si articolavano in due direzioni: contro il fatto che
non era effettivamente correttiva e contro il fatto che volendo essere correttiva
non era punitiva. La prigione è un doppio errore economico: per il costo della
sua organizzazione e per il costo della delinquenza che non reprime.
La risposta alle critiche si basa sul fatto che la riforma penitenziaria non è mai
stata realizzata. Tale riforma si basa su 7 principi:
Doppio errore
Principi
riforma:
1) Principio della correzione: la detenzione deve avere come funzione
essenziale la trasformazione del comportamento dell’individuo.
Correzione
2) Principio della classificazione: i detenuti devono essere isolati o ripartiti
in base alla gravità penale del loro atto, della loro età e delle tecniche
correttive da utilizzare.
Classificazione
3) Principio della modulazione delle pene: visto che lo scopo è la riforma del
colpevole, è desiderabile liberare ogni condannato quando la sua
rigenerazione morale è sufficientemente garantita.
Modulazione
delle pene
4) Principio del lavoro come obbligo e come diritto: il lavoro è uno degli
strumenti essenziali della trasformazione e della socializzazione
progressiva del detenuto. Nessuno può essere costretto a restare inattivo.
Lavoro
5) Principio dell’educazione penitenziaria: l’educazione del detenuto è sia
una precauzione nell’interesse della società sia un obbligo nei confronti
del detenuto.
Educazione
6) Principio del controllo tecnico della detenzione: il regime della prigione
deve essere controllato da personale specializzato, che abbia le capacità
morali e tecniche per vegliare sulla buona formazione degli individui.
Controllo
tecnico
7) Principio delle istituzioni annesse: la detenzione deve essere seguita da
misure di controllo e assistenza fino al definitivo riadattamento del
detenuto. L’assistenza deve essere data durante e dopo la pena.
Istituzioni
annesse
Si può pensare il sistema carcerario come un insieme complesso che
comprende elementi di sovrapotere, sapere connesso (razionalità penitenziaria),
efficacia inversa (continuazione della criminalità) e uno di sdoppiamento
utopistico (la ripetizione di una riforma che è isoforma al funzionamento
disciplinare della prigione).
Da 150 anni la proclamazione dello scacco della prigione si è sempre
accompagnato al suo mantenimento. Con scacco si intende la constatazione che
la prigione si è affermato come lo strumento della repressione del crimine
nonostante le proposte dei riformisti portassero ad altre strade.
Scacco
della prigione
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Se proviamo a rovesciare il problema ed a domandarci a cosa serva lo scacco
della prigione viene da supporre che la prigione non sia destinata a sopprimere
le infrazioni, a rendere docili, a reprimere gli illegalismi ma piuttosto ad
utilizzare e organizzare la trasgressione delle leggi in una tattica generale di
assoggettamento, ad assicurarne l’economia. Si può parlare di meccanismi di
dominio (di classe), di una strategia globale degli illegalismi. Se l’Ancién
Regime aveva mantenuto in “equilibrio” gli illegalismi dei differenti strati
sociali, con l’utopia di una società universalmente punitiva si volevano
bloccare tutte le pratiche di illegalità.
Economia degli
illegalismi
Ma gli illegalismi popolari rinascono sotto forma di lotta politica contro chi
stabilisce le leggi conformemente ai propri interessi (cioè la classe dominante).
Il sistema carcerario sostituisce il delinquente all’autore dell’infrazione.
Bisogna constatare che la prigione piuttosto che fallire nel ridurre i crimini
riesce assai bene a produrre una delinquenza controllata dal centro, a produrre
il delinquente come soggetto patologizzato. Non è il crimine a rendere estranei
alla società ma il crimine stesso è dovuto al fatto che si è nella società come
estranei. Poiché c’è una classe degradata dalla miseria è una ipocrisia dire che
la legge è fatta per tutti in nome di tutti. Dove si giudica e si imprigiona si
possono vedere due classi ben distinte: una sul banco degli accusati e una sui
seggi dei giudici.Ma perché la prigione fabbricherebbe una delinquenza che
invece dovrebbe combattere?
Creare una delinquenza che costituisce un illegalismo chiuso ha numerosi
vantaggi:
- è possibile controllarla, sorvegliarne la propagazione
- si può indirizzarla verso forme meno pericolose di illegalismo
- pesa sugli illegalismi popolari
- è direttamente utilizzabile (es. colonizzazione)
- la delinquenza è un agente per l’illegalismo dei gruppi dominanti (es.
traffico alcol e droga, controllo e sfruttamento della prostituzione la
quale con la crescente moralizzazione dava crescenti profitti, o ancora
agitatori e provocatori per la manifestazioni popolari)
Si può parlare di un insieme polizia-prigione-delinquenza i cui elementi si
appoggiano gli uni sugli altri e formano un circuito continuo: la sorveglianza
della polizia fornisce alla prigione soggetti che hanno commesso un’infrazione,
questa li trasforma in delinquenti che poi una volta usciti saranno bersagli e
ausiliari dei controlli di polizia.
Due figure a testimonianza di questo processo nei primi 30-40 anni del XIX
sec:
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-
Vidocq fu l’uomo dei vecchi il legalismi che scivola verso il peggio:
imbrogli, risse, duelli, arruolamenti e diserzioni a catena, incontri con
l’ambiente della prostituzione, del gioco, del furto. L’importanza che
assunse questo personaggio si rifà, oltre al fatto che poi diventa capo della
polizia, al fatto che in lui la delinquenza si distacca dagli altri il legalismi,
viene investita dal potere e rovesciata. Momento inquietante in cui la
criminalità diviene uno degli ingranaggi del potere. La pratica
delinquenziale entra nelle tecniche poliziesche, diventando il legalismo
lecito del potere.
Vidocq
-
Lacenaire, un piccolo borghese rovinato che sapeva parlare e scrivere
commise furto, assassinio, delazione. E’ importante per il discorso che tiene
sulla teoria del crimine ed è considerato un esteta del crimine. Egli permette
di rinchiudere in se stessa la delinquenza (simmetria con Vidocq) e di
trasformare l’illegalismo in discorso, permettendo alla borghesia di
inventarsi un nuovo piacere.
Lacenaire
La scissione tra delinquenza e altri il legalismi, dividere i delinquenti dagli
strati popolari richiese un lungo sforzo da parte del potere. Il potere arrivò a
trattare meglio i condannati di diritto comune rispetto agli uomini politici che
lottarono per avere miglioramenti delle condizioni di vita degli operai: tutta
una tattica di confusione per creare una conflittualità permanente. Inoltre una
campagna per far percepire i delinquenti vicinissimi e temibili: la cronaca nera
invade i giornali, quotidianamente, rendendo accettabili i controlli di polizia
che rastrellavano la città. Il romanzo nero che appare nella letteratura a buon
mercato ha invece un ruolo inverso: il delinquente sembra vicino ma appartiene
anche ad un mondo diverso (es. delinquenza di alto bordo di Arsenio Lupin).
Tale tattica del potere è lontana dall’aver trionfato, dall’aver ottenuto una
frattura totale tra delinquenti e strati popolari. C’è una campagna dei giornali
popolari contro i confort dei lavori penali, quindi ostilità verso i delinquenti,
ma i giornali popolari assegnano anche alla società, all’organizzazione sociale
l’origine della delinquenza: si oppongono alla sequenza povertà-pigrizia-viziocrimine. La società non sopperisce ai bisogni fondamentali ma offre possibilità,
aspirazioni nel crimine. La vera delinquenza che causa tutte le altre è quella di
coloro che stanno in alto, esempio scandaloso, fonte di rivolta per i poveri. Si
sviluppa quindi una contro-cronaca che mette in evidenza i fatti di delinquenza
della borghesia, la sua responsabilità nei processi contro gli operai.
Per i fourieristi non esisterebbe una natura criminale ma giochi di forza per i
quali se uno nasce bene siederà nei tribunali altrimenti andrà in prigione. Nella
criminalità si può vedere una clamorosa protesta della natura umana.
L’emancipazione dei neri avrebbe avuto luogo senza la rivolta, il crimine?
Contro cronaca
dei giornali
popolari
Fourieristi
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“La Phalange” (1840) riprende un terzo personaggio, Béasse, un ragazzo di 13
anni senza famiglia né casa, accusato di vagabondaggio e che una condanna a 2
anni di casa di correzione ha inserito nei circuiti della delinquenza. Egli oppose
al giudice un discorso in cui tutti gli il legalismi di cui era accusato lui li
trasformava in una affermazione di una forza di vita: assenza di lavoro come
libertà, assenza di maestri come autonomia, assenza di impiego del tempo
come pienezza dei giorni e delle notti. Bisogna avere un padrone, uno stato
stabile, una dimora: non si tratta di soddisfare l’individualità ma di mantenere
l’ordine, la disciplina. Attraverso le piccole indiscipline di Béasse si ricusa la
civiltà e si fa luce lo stato selvaggio.
“La Phalage”
e Béasse
3) Il carcerario
Se dovesse scegliere una data di completa formazione del sistema carcerario,
Foucault sceglierebbe il 22 gennaio 1840, giorno di apertura ufficiale del
carcere di Mettray. Questo perché Mettray è la forma disciplinare più intensa,
in cui i detenuti sono organizzati in piccoli gruppi fortemente gerarchizzati che
si riferiscono a 5 modelli:
- quello della famiglia (ogni gruppo è famiglia, composta da fratelli di cui
2 maggiori)
- dell’esercito (ogni famiglia è comandata da una capo, ognuno ha un
numero di matricola, deve imparare gli esercizi militari di base, ci sono
ispezioni di pulizia, appelli…)
- del laboratorio (dei capi assicurano l’apprendimento dei più giovani)
- della scuola (1,5 ore di lezione al giorno impartita da maestro e
sottocapi)
- della giustizia (la minima disobbedienza è colpita da un castigo,
principalmente la reclusione in cella).
A Mettray i capi ed i sottocapi sono tecnici del comportamento (un po’
professori, un po’ giudici, un po’ genitori), devono fabbricare corpi docili e
capaci. L’addestramento è organizzato come uno strumento di valutazione e di
osservazione permanente; permetteva di conoscere l’anima del detenuto e di
mantenere l’assoggettamento.
I quadri (capi e sottocapi) erano formati ad una scuola specializzata nella
colonia, vivevano in mezzo ai coloni, vestivano quasi come loro, erano
sottomessi alla stessa disciplina che dovevano imporre. La pratica disciplinare
viene “normalizzata”, diviene una scuola.
In questo periodo viene situata la nascita della psicologia scientifica: emerge un
nuovo tipo di controllo sugli individui che resistono alla normalizzazione
disciplinare. I controlli di normalità erano accompagnati da una medicina e una
psichiatria che garantivano loro una forma di scientificità. Mettray e la sua
scuola hanno segnato un’epoca nell’organizzazione del potere di normalizzare.
Perché scegliere Mettray?
Mettray
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Mettray è una prigione al limite della stretta penalità, poiché vi erano detenuti
giovani condannati dai tribunali ma anche minori incolpati ma assolti, tenuti lì
a titolo di correzione paterna. Le frontiere confuse tra i castighi giudiziari e le
istituzioni di disciplina tendono a cancellarsi per costituire un grande
continuum carcerario. Si parla dunque di arcipelago carcerario: colonie per
bambini poveri o abbandonati, ospizi di carità, le misericordie per i giovani
sbandati, le colonie penitenziarie dove i minori venivano avviati ai lavori
agricoli, fino ad arrivare agli orfanotrofi, alle officine-convento, alle società di
patronato.
Arcipelago
carcerario
La prigione come abbiamo visto trasforma la procedura punitiva della giustizia
penale in tecnica penitenziaria; l’arcipelago carcerario trasporta questa tecnica
dell’istituzione penale nell’intero corpo sociale, con molti effetti:
Effetti sul
corpo sociale
1) Questo dispositivo stabilisce una graduazione lenta, continua, impercettibile
che permette di passare dal disordine all’infrazione, allo scarto in rapporto
ad una regola, una media, una norma. La carcerazione funziona secondo un
principio di relativa continuità che rinvia le istituzioni le une alle altre
(dall’assistenza al penitenziario, all’ospedale, il manicomio…). Il nemico
sociale si è trasformato in deviante, anormale e porta il pericolo del
disordine, del crimine, della follia.
2) Il carcerario permette il reclutamento dei grandi delinquenti, organizza le
carriere disciplinari. C’è una sorta di formazione disciplinare continua per
cui pria lo sfortunato si troverà in mezzo ai trovatelli, poi all’asilo, alla
scuola primaria, in quelle degli adulti, se non potrà lavorare sarà iscritto agli
uffici di beneficenza… L’arcipelago carcerario assicura la formazione della
delinquenza. Il delinquente è un prodotto dell’istituzione che finge di
mettere in atto meccanismi destinati ad evitare la prigione.
3) Il sistema carcerario perviene a rendere naturale e legittimo il potere di
punire. Questo potere sembra ora liberato da ogni eccesso e da ogni
violenza. La differenza tra le istituzioni di “risanamento” e la prigione è
appena sensibile. La prigione continua un lavoro cominciato altrove e che
tutta la società persegue su ciascuno attraverso innumerevoli meccanismi
disciplinari (continuum carcerario).
4) Con questa nuova economia del potere il sistema carcerario (suo strumento
di base) ha fatto valere una nuova forma di legge: la norma, cioè un misto
di legalità e natura. Da ciò deriva una difficoltà nel giudicare, una tendenza
nei giudici di valutare, diagnosticare, riconoscere il normale dall’anormale.
I giudici hanno appetito di medicina. Il potere normalizzatore è
onnipresente: siamo nella società del medico-giudice, il prof-giudice,
l’educatore-giudice… giudici di normalità.
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5) Il corpo è in perpetua osservazione: la nuova economia del potere ha
bisogno di strumenti di formazione del sapere. Da giustizia inquisitoria si
passa alla giustizia esaminatoria. La rete carceraria è uno degli strumenti
del potere-sapere che ha reso storicamente possibile le scienze umane.
6) Ciò spiega l’estrema solidità della prigione ma non vuol dire che non possa
essere modificata o che sia indispensabile. Due procedimenti che l’hanno
fatta funzionare possono restringerne l’uso e trasformarne il funzionamento
interno:
- Quello che accresce gli inconvenienti di una delinquenza organizzata
come illegalismo specifico, controllato (con i grandi illegalismi politicieconomici è evidente che la manodopera un po’ rustica delle carceri si
rivela inefficace).
- Il processo che consiste nella crescita delle reti disciplinari: psicologia,
educazione, medicina, assistenza assumono un ruolo di maggio potere e
accrescono l’effetto di normalizzazione.
Il problema oggi non è tanto nel pensare una cosa diversa dalla prigione ma è
nella crescita e negli effetti che il potere dei dispositivi di normalizzazione
comporta. La città carceraria, secondo “La Phalange”, è sottomessa a principi
del tutto diversi da quelli dei lontani paesi dei supplizi, dalle città delle
punizioni con i loro mille piccoli teatri che immaginavano i riformatori.
Questo studio fa da sfondo storico a studi sul potere di normalizzare e sulla
formazione del sapere nella società moderna.
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