Sorvegliare e Punire

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Sorvegliare e Punire
Ci pare inevitabile, a questo punto, un riferimento a quella che è probabilmente l’analisi più completa e
illuminante riguardo lo sviluppo del sistema penale nelle società occidentali: “Sorvegliare e Punire”
(Surveiller et punir: naissance de la prison, 1975, ed. Gallimard) di M. Foucault.
"Si imprigiona chi ruba, si imprigiona chi violenta, si imprigiona anche chi
uccide. Da dove viene questa strana pratica, e la singolare pretesa di
rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni? Forse una vecchia
eredità delle segrete medievali? Una nuova tecnologia, piuttosto: la messa a
punto tra il XVI e il XIX secolo, di tutto un insieme di procedure per incasellare,
controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderli docili e utili nello
stesso tempo. Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti,
classificazioni, esami, registrazioni. Tutto un sistema per assoggettare i corpi,
per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze si era sviluppato
nel corso dei secoli classici: la disciplina."
Il saggio è un’ampia indagine storica, filosofica e sociologica tesa a sottolineare la fondamentale svolta,
verificatasi nel corso del diciassettesimo secolo, dal “supplizio” - pena retributiva imposta al criminale- alla
riabilitazione del delinquente.
IL “CORPO DOCILE”
L’analisi è condotta in relazione al trattamento e considerazione dei corpi, costantemente oggetto di quella
sorveglianza che rappresenta per l’autore una forma di potere dall’esito a dir poco pervasivo: essa non
riguarda solo il sistema carcerario, ma è un qualcosa che torna a manifestarsi più o meno ambiguamente e
in varie forme in istituzioni quali ospedali, scuole o caserme. L’istituzione carceraria rivela, nella sua
evoluzione, lo sviluppo di una specifica tecnica
di potere esercitata sui corpi. A partire dalla
pubblica esecuzione, durante la quale il corpo
viene orrendamente messo in mostra, Foucault
delinea la transizione a una situazione in cui
questo non è più direttamente coinvolto:
ovviamente, il corpo sarà sempre punito – non
possiamo immaginare una punizione che non
sia corporale – ma nel sistema moderno esso è,
piuttosto che torturato e perseguitato,
sottoposto a regole, imposizioni e sorveglianza.
Allo stesso tempo, il processo penale stesso acquista come scopo una sorta di riabilitazione dell’anima più
che la penitenza corporale, e il concetto di individuo e delinquente sostituiscono parzialmente quello che
era il ruolo del corpo.
L’ANIMA
A questo proposito, l’opera di Foucault può essere considerata non solo una denuncia al moderno sistema
penale, ma anche alla moderna concezione di anima. E ciò non è unicamente riconducibile allo
spostamento da corpo ad anima come oggetto di punizione e riforma, ma anche al fatto che moderni
processi disciplinari hanno essenzialmente creato l’anima stessa. Senza le scienze umane, senza i vari
meccanismi di osservazione e sperimentazione, l’anima o mente come noi la intendiamo non esisterebbe.
Concetti come psiche, coscienza o buona condotta sono effetti dovuti a particolari regimi di
potere/conoscenza. Per Foucault, studiare tali sistemi, in un certo senso, equivale ad un modo di analizzare
a fondo la nostra anima.
POTERE E CONOSCENZA
Il binomio potere/conoscenza è quindi centrale: il potere di punire viene nutrito e interagisce con lo
sviluppo delle varie strutture di conoscenza – ossia le scienze umane – le quali ne dettano continuamente la
riorganizzazione. Dall’età moderna le fondamenta di tale potere risiedono, appunto, sulla supervisione e
organizzazione dei corpi nello spazio e nel tempo, secondo tecniche specifiche e rigorose. Questa
conoscenza di cui il filosofo parla è quella specifica che scaturisce dalla natura umana messa a confronto e
in opposizione con la norma: l’opinione di Foucault è che l’una non esista senza l’altra. Il potere e le
tecniche punitive dipendono dalla conoscenza che crea e classifica gli individui; a sua volta la conoscenza
deve la sua supremazia a determinati rapporti di forza.
LA PRIGIONE
Un altro importante aspetto è la relazione tra la prigione e la società. La prigione, secondo Foucault, non è
un semplice edificio dimenticato sotto il controllo di una città, ma ne è parte organica. Vigono in entrambi
gli ambiti le stesse “strategie” di potere, i meccanismi di disciplina che controllano il delinquente sono
totalmente analoghi a quelli che controllano il cittadino: l’autore rileva numerose analogie nei metodi di
osservazione e controllo in monasteri, ospedali ed eserciti. La prigione, intesa nel suo insieme di norme,
abitudini e disposizioni, è penetrata così a fondo nel nostro senso di cittadinanza che non potrà mai essere
abolita. Foucault parla di una vera e propria architettura di controllo, una struttura in cui lo spazio stesso
diventa disciplina. Paradigma di questo dispositivo di controllo
è il Panopticon del filosofo utilitarista Jeremy Bentham (figura a
lato). Si tratta di una prigione progettata in modo da potersi
servire di un solo sorvegliante, collocato su una torre al centro
della struttura ad anello, per avere una vista a 360 gradi, e
quindi possedere il controllo totale delle celle, distribuite a
raggio. Foucault ci fa capire l’assoluta efficienza e la
perversione di questo dispositivo: i reclusi, da complesso di
persone per natura tendente all’interrelazione, agli scambi tra
individualità, diventa un gruppo di corpi compatto e senza
nessun’altra qualità che risieda al di fuori di quella dell’insieme
controllato, schedato, raccolto, riconoscibile in ogni momento
in cui il singolo non è più distinguibile e non si distingue più.
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