CAPITOLO 1 Esistono vari tipi di sport: quello praticato per divertimento e/o migliorare il proprio stato di salute, ludicosalutare quello agonistico, al quale si dedicano persone di ogni età quello professionistico, nel quale spettacolo e motivazioni economiche hanno ormai un ruolo dominante. La medicina dello sport ha un carattere doppiamente preventivo: da un lato sfrutta l’esercizio fisico per combattere i danni e le malattie causate dalla sedentarietà, mentre dall’altro lato cerca di impedire che lo sport perda tale effetto benefico e causi danni indesiderati. L’Italia e uno dei pochi paesi al mondo a possedere un sistema pubblico di tutela sanitaria delle attività sportive. Chi pratica attività sportive, organizzate dalle federazioni o dagli enti di promozione, deve sottoporsi ad una visita medica periodica al fine di ottenere il rilascio del certificato di idoneità sportiva. Il tipo di visita e di esami sono decreti del ministero della salute, con caratteristiche specifiche tra attività agonistica, non agonistica, agonistica per disabili e professionistica. In occasione della visita medica possono emergere patologie acute o croniche, tali da sconsigliare la pratica sportiva. Le cause di non idoneità allo sport possono riguardare tutti gli organi e gli apparati. Nella maggioranza dei casi si tratta di anomalie o malattie a carico dell’apparato cardiovascolare. In caso di malattia, il divieto di praticare sport può essere: totale ed incondizionato, controindicazione assoluta parziale controindicazione relativa, patologie meno gravi compatibili con alcuni sport e non con altri Il giudizio di non idoneità allo sport può essere inoltre Definitivo: malattie gravi, croniche o che peggiorano con il tempo Temporaneo: patologie acute che guariscono spontaneamente o con cure appropriate CAPITOLO 2 L’unica sostanza in grado di fornire energia direttamente al muscolo per contrarsi è l’adenosin-trifosfato. L’ATP è presente nel muscolo in quantità limitata (circa 5mmol/kg/muscolo) ed è indispensabile che il muscolo stesso se ne procuri altro mediante processi di resintesi. Il primo processo per la produzione di ATP prevede il trasferimento di una molecola di fosfato P dalla creatina-fosfato CP all’ADP, questo è il meccanismo anaerobico alattacido. Le scorte di CP sono maggiori (fino a 20-25mmol/kg/muscolo) ma se lo sforzo è massimale, queste si esauriranno in 6-8 secondi. L’ATP può essere sintetizzato, inoltre, attraverso la demolizione del glicogeno (glicolisi) che avviene in assenza di O2 in modo incompleto (glicolisi anaerobica) o in presenza di O2 in modo completo (glicolisi aerobica). Il primo processo è più veloce e potente del secondo ma è limitato dall’accumulo di acido lattico. L’ossidazione dei grassi può avvenire solamente in presenza di O2. Il processo è più lento della glicolisi, ma consente di proseguire il lavoro per più tempo, seppur ad un’intensità più bassa. Nel lavoro intenso e prolungato, le riserve di glicogeno (muscoli e fegato) si esauriscono in circa 2 ore; per questo uno dei fattori condizionanti la prestazione negli sport di durata è la capacità di utilizzare i grassi risparmiando il glicogeno. Le attività sportive possono essere classificate in vario modo. Una classificazione molto usata si basa sul meccanismo energetico utilizzato prevalentemente dai muscoli. Si distinguono quindi in: attività aerobiche, dove è fondamentale l'apporto di ossigeno (corsa di fondo) anaerobiche, definite anche di potenza (sollevamento pesi) o di breve durata miste (aerobico-anaerobiche alternate), che comprendono gli sport di squadra (calcio, rugby). La misurazione dei parametri fisiologici consente di capire meglio le caratteristiche di un atleta e programmare meglio il suo allenamento (valutazione funzionale dell'atleta). La massima potenza del meccanismo aerobico è definita massimo consumo di ossigeno VO2 max. I valori più elevati di VO2 max si osservano negli atleti praticanti sport aerobici di alto livello. La soglia anaerobica SA è l'intensità di lavoro oltre la quale il metabolismo aerobico non è più in grado da solo di fare fronte alle richieste energetiche e si ha l'intervento della glicolisi anaerobica, con conseguente produzione di acido lattico. Per intensità di lavoro che superano la SA si rompe l'equilibrio tra la produzione e lo smaltimento dell'acido lattico che si accumula nel sangue. La SA può essere misurata direttamente misurando la lattacidemia o in via indiretta mediante l'analisi della ventilazione polmonare e dei gas respiratori. CAPITOLO 3.1, 3.2, 3.3 La quantità di O2 richiesta dai muscoli è in genere proporzionale all'intensità dello sforzo ed alle masse muscolari coinvolte. Per mantenere in equilibrio domanda ed offerta di O2, l'organismo ricorre a due meccanismi: l'aumento del flusso sanguigno distrettuale e l'aumento dell'estrazione di O2 dal sangue. Aumento del flusso sanguigno distrettuale. L'aumento del flusso sanguigno ai muscoli durante lo sforzo è reso possibile da meccanismi: centrali, quelli a carico del cuore e della circolazione polmonare. Durante lo sforzo, il cuore aumenta la gittata cardiaca GC mediante l'aumento della gettata sistolica GS e della frequenza cardiaca FC. o Nell'esercizio dinamico (corsa di fondo) la FC aumenta, diminuiscono le resistenze vascolari arteriose totali ed aumenta il ritorno venoso. L'aumento della pressione arteriosa PA media è modesto o nullo: il cuore compie un lavoro di volume, pompando grandi quantità di sangue in un sistema cardiocircolatorio a basse resistenze. o Nell'esercizio statico (sollevamento pesi) l'aumento della FC e della FC è minore, aumentano le resistenze vascolari arteriose totali e quindi aumenta la PA media: Il cuore compie un lavoro di pressione pompando minori quantità di sangue in un sistema circolatorio ad elevate resistenze. periferici, chiamati aggiustamenti cardiocircolatori. Il tipo di risposta varia in base all'intensità dello sforzo ed altri parametri, intrinseci ed estrinseci. Gli aggiustamenti periferici riguardano i vasi sanguigni. Il più importante è la ridistribuzione della GC. L'organismo, per esaudire le richieste muscolari, indirizza la maggior parte del sangue verso di loro, senza ridurre la quota a cuore e cervello. I valori massimi di GC durante lo sforzo dipendono da numerose variabili. Nell'esercizio dinamico, in un maschio adulto non allenato, la GC aumenta progressivamente passando da circa 5L/Min a 15/20L/Min. In base alla risposta cardiocircolatoria sono state distinte 4 categorie di attività sportive agonistiche: con impegno cardiocircolatorio di tipo neurogeno, con aumento della FC da minimi a moderati con impegno cardiocircolatorio di tipo neurogeno, con aumento della FC da media di elevati con impegno cardiocircolatorio di tipo pressorio con impegno cardiocircolatorio da medio a elevato, divise nei sottogruppi D1 (impegno variabile) e D2 (impegno costante). CAPITOLO 3.4 L’allenamento intenso e sistematico causa modificazioni anatomo-funzionali del cuore e dei vasi, stabili nel tempo (adattamenti cardiocircolatori). Il cuore di un soggetto molto allenato (cuore d’atleta) diviene capace di fornire prestazioni superiori al normale durante lo sforza. Gli adattamenti cardiovascolari si differenziano in funzione di: tipo, intensità e durata dell’allenamento età del soggetto ed epoca di inizio dell’attività sportiva caratteristiche fisiologiche di base (genetiche) sia centrali (cuore) che periferiche (vasi sanguigni). I principali adattamenti a carico del cuore sono: aumento di volume delle cavità con conseguente aumento della GS. riduzione della FC (bradicardia), a riposo e per sforzi di intensità sub-massimale Le dimensioni interne delle cavità cardiache e lo spessore delle pareti dipendono dalla taglia corporea dell’atleta e dallo sport praticato. Per quanto riguarda il ventricolo sinistro, attraverso l’ecografia sono stati identificati due modelli di adattamento: negli atleti di resistenza aumenta il volume interno e lo spessore delle pareti (ipertrofia eccentrica) negli atleti di potenza aumenta lo spessore delle pareti senza aumento dello spessore delle pareti (ipertrofia concentrica). Il cuore d’atleta si differenzia da quello di un sedentario sano e di un cardiopatico perché ha una funzione diastolica e sistolica normali nonostante l’ipertrofia. La bradicardia dell’atleta dipende da una riduzione del tono nervoso cardiaco simpatico con conseguente aumentata prevalenza del tono vagale (vagotonia fisiologica). In atleti di resistenza, la FC a riposo può scendere fino a 35-40bpm di giorno e 25-30 bpm nel sonno. La GC di un atleta allenato a riposo è simile a quella di un sedentario di pari età e superficie corporea (circa 5L/min). Durante lo sforzo, la GC massima può raggiungere i 16-20L/min nel sedentario e 35/40L/min nell’atleta in virtu’ di una maggiore GS. Ciò spiega perché’ a pari intensità di sforzo, la FC nell’atleta è sempre inferiore (bradicardia relativa da esercizio). Anche il sistema cardiocircolatorio (vasi sanguigni) si adatta alla nuova situazione. Gli adattamenti riguardano: la microcircolazione, specie quella dei muscoli allenati a sport aerobici, nella quale aumentano il numero e dimensioni dei capillari (capillarizzazione) i vasi di medio e grosso calibro, che aumentano ulteriormente il loro diametro (vasi di atleta). Il fenomeno è molto evidente nella vena cava inferiore, ma interessa tutti i vasi, arteriosi e venosi, comprese le arterie coronarie. Il cuore dell’atleta disabile mieloleso (con lesioni del midollo spinale) può presentare particolari modificazioni del controllo nervoso autonomo che alterano la risposta cardiovascolare all’esercizio fisico e possono condurre a fenomeni patologici come l’ipotensione da sforzo. La riduzione del ritorno venoso dai muscoli paralizzati può condurre ad una ipotrofia cardiaca e una riduzione del calibro dei vasi sanguigni che possono essere contrastati da un allenamento intenso ed aerobico o miste. CAPITOLO 3.5 Il cuore d’atleta sviluppa importanti adattamenti che gli consentono di tollerare sforzi impossibili per un sedentario. Uno dei compiti più importanti della medicina dello sport è accertare che il cuore di uno sportivo sia sano ed in grado di sostenere lo sforzo richiesto. La presenza di una malattia del cuore (cardiopatia) può causare complicazioni anche gravi, fino alla morte improvvisa durante lo sport. Esistono, tuttavia, cardiopatie o anomalie di modesta entità, compatibili con la pratica di alcuni sport. Per esprimere un giudizio attendibile in proposito, il medico dello sport deve basarsi su Aspetti fisiopatologici e la storia naturale della cardiopatia L’entità, il tipo di impegno cardiocircolatorio ed il “rischio intrinseco” dello sport scelto. Le malattie del cuore e della circolazione possono essere riunite in alcuni grandi gruppi secondo la causa e le strutture di interesse (il miocardio, le valvole, il pericardio, ecc…). Un primo gruppo comprende le cardiopatie congenite causare da errori più o meno gravi avvenuti durante lo sviluppo del cuore nella vita fetale. Un secondo gruppo comprende le cardiopatie acquisite nelle quali il cuore si ammala dopo la nascita per cause varie come cause infettive (miocardite) o alterazioni genetiche del muscolo cardiaco (cardiomiopatie). Negli adulti e negli anziani, le cause più frequenti sono l’aterosclerosi coronarica (cardiopatia ischemica) e/o valori elevati di pressione arteriosa (cardiopatia ipertensiva). I disturbi del normale ritmo cardiaco (aritmie) sono causa frequente di non idoneità alla pratica sportiva. Ne esistono differenti tipi, identificabili con l’ECG, e la loro presenza, non obbligatoriamente, può essere la spia di una sottostante cardiopatia che va ricercata con attenzione. In un atleta con cardiopatia e/o aritmia, il giudizio di idoneità o non idoneità allo sport deve essere affidato al medico dello sport, il quale si servirà delle metodiche a sua disposizione per definire la pericolosità’ in relazione allo sforzo richiesto da quella determinata attività sportiva. CAPITOLO 3.7 Si definisce morta improvvisa da sport (MIS) “la morte improvvisa che avviene entro un ora dall’inizio dei sintomi acuti, in coincidenza temporale con l’attività sportiva ed in assenza di cause esterne atte di per sé a provocarla”. La MIS è rara e in Italia è più frequente nel calcio e negli sportivi con età inferiore ai 35 anni, di basso livello agonistico, perché’ lo sport in questione e quella specifica fascia d’età’ sono le più popolare nel mondo dello sport. La MIS non può essere attribuita allo sport di per se. Perché’ accada occorrono almeno due fattori: uno sforzo fisico di intensità medio-elevata ed un substrato patologico, generalmente di natura cardiovascolare. Negli sportivi di età maggiore ai 35anni, il substrato più frequente è una trombosi coronarica acuta, causata dalla rottura di una placca aterosclerotica (aterosclerosi coronarica). Negli sportivi di età inferiore ai 35 anni, i substrati patologici sono diversi, spesso difficili da identificare come le anomalie congenite delle arterie coronarie, le cardiomiopatie (cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia ventricolare destra aritmogenica) e miocardite (infiammazione del cuore in genere da infezione virale). Nella sindrome di Marfan, malattia genetica, la MIS avviene per rottura della aorta da aneurisma disseccante. Una MIS può’ avvenire anche in sportivi con aneurismi congeniti delle arterie cerebrali che possono rompersi durante lo sforzo fisico. Nel 5-6% delle MIS, all’autopsia non si trova alcuna causa. Questi casi sono in genere dovuti a substrati patologici microscopici (piccoli tumori, fasci anormali di conduzione), oppure funzionali, sindrome del QT lungo, del QT corto e sindrome di Brugada. La MIs avviene con due meccanismi fondamentali: meccanico, per lo più emorragia massiva (rottura dell’aorta o di aneurisma cerebrale), o elettrico, il più frequente, nel quale la morte è causata dall’insorgenza di una aritmia maligna, fatale. L’aritmia fatale è in genere la Fibrillazione ventricolare FV, il risultato di una serie di fenomeni che avvengono per il concorso di due elementi: un miocardio malato ed un fattore scatenante (ischemia, squilibri ionico-metabolici, stress psichico, ecc…). Una FV o una asistola (mancanza di attività elettrica del cuore), può essere scatenata anche da un trauma diretto sul torace, all’altezza del cuore (contusio cordis). La MIS è quindi un evento raro, legato in prevalenza alle malattie cardiache, spesso silenti e difficili da diagnosticare. Per prevenirla è necessaria una attenta visita medica e una educazione sanitaria con la diffusione di nozioni per l’assistenza a dirigenti, allenatori, atleti e genitori di questi. CAPITOLO 4.1 La principale funzione dell’apparato respiratorio è permettere all’ossigeno O2 di muoversi dall’aria al sangue venoso mentre permette all’anidride carbonica di passare dal sangue venoso all’aria. L’aria, attraverso lo spazio morto, giunge agli alveoli polmonari (spazio respiratorio) ove avvengono gli scambi respiratori, attraverso la membrana alveolo-capillare. Il ,meccanismo che consente di rinnovare continuamente l’aria è la ventilazione esterna VE: quantità d’aria inspirata ed espirata in un minuto. Essa è data dal prodotto tra volume corrente VC (quantità di aria inspirata-espirata in un singolo e tranquillo atto respiratorio) e la frequenza respiratoria FR (numero di atti respiratori al minuto). La valutazione della funzione respiratoria a riposo può essere ottenuta con l’esame spirometrico, che fornisce parametri quali la capacità vitale CV, la capacità vitale forzata CVF, il volume espiratorio massimo al secondo VEMS o FEV. Durante l’esercizio fisico, la VE aumenta immediatamente, sia per un aumento del VC che della FR. In uno sforzo massimale la VE può passare dai 6-7 L/min a 100-120 L/min in soggetti sedentari e 180/200 L/min in atleti di alto livello e di grossa taglia corporea. CAPITOLO 4.2 L’asma è una malattia cronica delle vie aeree, relativamente frequente nei giovani e negli atleti, caratterizzate da crisi bronco-ostruttive (broncospasmo), reversibili spontaneamente o con farmaci. Essa è potenziale causa di non idoneità allo sport. Può essere causata da più fattori: fattori ereditari, quali iperattività bronchiale: la tendenza al broncospasmo in risposta aduno stimolo inadeguato habitus atopico, la tendenza anormale a produrre anticorpi a seguito di stimoli (immunoglobuline E o reagine) I fattori causali, detti anche allergeni (pollini, acari, pelo di gatto, farmaci, ecc…), inducono l’organismo dell’asmatico ad una risposta immunitaria specifica. I fattori favorenti, quali fumo, inquinamento, infezioni virali delle vie aeree, aria fredda e secca, aumentano la possibilità di comparsa di crisi asmatica. I fattori scatenanti sono gli stessi allergeni inalati da soggetto sensibilizzato. Il quadro clinico è caratterizzato da crisi improvvise e ricorrenti di tosse, respiro sibilante, dispnea (difficoltà respiratoria). Si riconosce un periodo critico nel quale sono presenti i sintomi tipici, ed un periodo intercritico, nel quale non vi sono sintomi (ma la spirometria può essere alterata). L’esercizio fisico può’ essere un fattore favorente l’insorgenza di asma (asma indotta da esercizio fisico) AIEF. Alla sua genesi concorrono l’iperventilazione e le condizioni climatiche ed ambientali. Gli sport più asmogeni sono la corsa di fondo e, in generale, gli sport aerobici. Il meno asmogeno sembra essere il nuoto, tranne che per i soggetti intolleranti al cloro. Per prevenire L’AIEF, può essere utile un riscaldamento di 15-20 minuti con respirazione nasale ed esercizi di intensità moderata, con alternanza di fasi aerobiche ed anaerobiche. È possibile utilizzare farmaci antiasmatici. CAPITOLO 4.3 La broncopneumopatia cronico-ostruttiva BPCO è una malattia cronico degenerativa progressiva dell’apparato respiratorio, molto frequente nei paesi industrializzati. È caratterizzata da ostruzione al flusso aereo solo in parte reversibile, che si manifesta clinicamente con dispnea espiratoria, tosse con escreato e ridotta tolleranza all’esercizio fisico. Si caratterizza per due quadri clinici ed anatomo-patologici che spesso si sovrappongono nello stesso paziente: bronchite cronica, definita come la presenza di tosse con escreato per almeno 3 mesi l’anno per due anni consecutivi enfisema polmonare, caratterizzato da distruzione degli spazi aerei a valle dei bronchioli terminali e perdita di fibre elastiche, con annessa minor elasticità polmonare I fattori di rischio per la BPCO sono il fumo di sigaretta, l’inalazione di inquinanti ambientali, le infezioni respiratorie o la presenza di altre malattie polmonari che hanno danneggiato o danneggiano i polmoni. Nel sospetto clinico (quindi presenza dei fattori di rischio e dei sintomi) di BPCO, l’esame spirometrico consente la diagnosi e permette di stabilire la gravità della malattia e seguirne l’evoluzione. Insieme all’eliminazione o riduzione dei fattori di rischio, all’utilizzo di farmaci broncodilatatori, antiinfiammatori steroidei (cortisonici) ed antibiotici, l’attività fisica controllata è un ottimo strumento per rallentare la progressione della malattia e per migliorare la qualità di vita dei pazienti, migliorando le capacità’ cardiorespiratorie e muscolari. CAPITOLO 4.4 I polmoni sono rivestiti da una membrana, la pleura, costituita da due foglietti (pleura viscerale e pleura parietale), separati tra di loro da uno spazio virtuale, un cavo pleurico, nel cui interno vige una pressione negativa. Una lesione della parete toracica, delle vie aeree o di un polmone può far penetrare aria dall’esterno nel cavo pleurico, creando lo pneumotorace. Il polmone schiacciato dalla pressione dell’aria esterna si affloscia rendendo difficoltosa la respirazione, avremo quindi un collasso polmonare. Lo pneumotorace può essere: chiuso, quando la comunicazione con l’esterno si chiude subito spontaneamente aperto, quando vi è il passaggio continuo di aria tra cavo pleurico e l’esterno a valvola, il più pericoloso, quando è permesso l’ingresso dell’aria ma non l’uscita Lo pneumotorace può inoltre essere traumatico o spontaneo. La causa più frequente di quest’ultimo è la rottura di bolle di enfisema, frequente nei soggetti anziani, ma anche nei giovani longilinei e fumatori. Se queste rotture si ripresentano più volte fanno parlare di pneumotorace recidivante. Il quadro clinico è caratterizzato da dolore toracico acuto, tosse e dispnea. La diagnosi è permessa da una radiografia del torace. La terapia mira a permettere al polmone di espandersi ed occupare nuovamente tutto il cavo pleurico. Le forme gravi richiedono l’intervento del chirurgo, con inserimento di un tubo di drenaggio nel cavo pleurico per favorire la fuoriuscita dell’aria. CAPITOLO 5.1 In un individuo normale, la glicemia, quindi i livelli di glucosio nel sangue, oscilla tra i 60-75 mg/dl al risveglio mattutino e 130-140 mg/dl dopo i pasti principali. La glicemia è regolata principalmente dagli ormoni pancreatici, insulina INS e glucagone GLU che hanno azioni contrapposte. La secrezione di INS e GLU dipende a sua volta dalla glicemia: quando sale dopo i pasti aumenta l’INS e si riduce il GLU. L’opposto avviene quando la glicemia scende, come a digiuno. L’INS stimola i muscoli ad utilizzare il glucosio a scopo energetico e/o ad immagazzinarlo (glicogeno), riducendo cosi la glicemia. Il GLU invece modifica il loro metabolismo energetico stimolando l’utilizzo degli acidi grassi e, in minor misura, gli amminoacidi. Il GLU, inoltre, stimola il fegato a mettere in circolo glucosio mediante: glicogenolisi, processo metabolico che degrada molecole di glicogeno fino ad ottenere il monosaccaride glucosio gluconeogenesi, processo metabolico mediante il quale, in caso di necessità dovuta ad una carenza di glucosio nel flusso ematico, un composto non glucidico viene convertito in glucosio. Permette di produrre glucosio a partire da precursori non saccaridici, quali piruvato, lattato, glicerolo, etanolo, e amminoacidi. Avviene quasi interamente nel citosol, a parte la prima tappa iniziale che serve per traslocare il piruvato dal mitocondrio al citosol appunto. Il piruvato subisce modificazioni (prima ad ossalacetato poi a malato) e viene trasportato nel citosol. Qui verrà formato il fosfoenolpiruvato e poi si susseguono tutte le altre reazioni come se fosse una glicolisi inversa. Se la glicemia scende, come durante il digiuno, il pancreas secerne glucagone che ordina al fegato di prelevare glucosio dalle sue scorte e d’immetterlo nel sangue. Il glucagone, inoltre, spinge le cellule all’utilizzo di grassi e proteine come fonte energetica: in questo modo si predispone tutto l’organismo al risparmio del glucosio. Se la glicemia sale, come dopo un pasto, il pancreas secerne insulina che promuove l’accumulo di glucosio nel fegato e nei muscoli sotto forma di glicogeno. Siccome la capacità del fegato d’immagazzinare glucosio è piuttosto limitata, i carboidrati in eccesso vengono convertiti in grassi e depositati nei tessuti adiposi. L’insulina, al contrario del glucagone, spinge le cellule a utilizzare i carboidrati come fonte energetica. A riposo, i muscoli utilizzano a scopo energetico gli acidi grassi per l’85-90%, glucosio per il 10% ed amminoacidi per l’1-2%. Queste percentuali si modificano durante lo sforzo in funzione dell’intensità e della durata dello stesso. I muscoli dei soggetti allenati, a parità di consumo di ossigeno, utilizzano più grassi dei sedentari, risparmiando glicogeno per elevati valori di intensità. La supplementazione di carboidrati prima dell’attività fisica, migliora la prestazione e riduce il rischio che la glicemia scenda a valori troppo bassi durante lo sforzo: ipoglicemia. Al termine di uno sforzo, i muscoli continuano a captare glucosio dal sangue in quantità elevata, per ripristinare le scorte di glicogeno. Il processo è favorito da un innalzamento dell’INS e dall’aumento della sensibilità delle cellule ne rispondere a tale ormone, aumento che si riscontra anche dopo una singola seduta di allenamento. CAPITOLO 5.2 Il diabete mellito DM è un disturbo metabolico complesso caratterizzato da diminuita captazione del glucosio da parte dei tessuti, per insufficiente produzione di insulina INS da parte del pancreas (come nel caso del diabete di tipo 1), e/o riduzione della sensibilità degli organi periferici all’ormone (insulino-resistenza, diabete di tipo 2). I sintomi più comuni sono poliuria (eccessiva quantita’ di urina) e la polidipsia (il paziente ha sete e beve molto). Con il DM ne deriva un aumento, più o meno marcato, della glicemia (iperglicemia) che se non curato provoca un danno progressivo ai grandi ed ai piccoli vasi sanguigni della retina, dei reni, del cuore e del sistema nervoso periferico ed autonomo. Il DM di tipo 1, insulino dipendente DMID colpisce anche bambini ed adolescenti: è dovuto da un danno pancreatico virale e/o immunologico di individui geneticamente predisposti. Il paziente non produce più INS e deve introdurla dall’esterno. Un paziente con DMID che compie uno sforzo acuto può avere delle complicanze: la più comune è l’ipoglicemia da sforzo: durante uno sforzo i livelli di INS non si riducono come di norma e la glicemia scende a valori molto bassi (<50mg/dl) con comparsa di segni e sintomi caratteristici meno frequente è l’ipoglicemia tardiva, in genere notturna rara è l’iperglicemia da sforzo Per evitare questi problemi, l’attività fisica deve essere praticata lontano dall’assunzione di INS, il cui dosaggio andrà regolato in base al consumo energetico previsto. Nonostante ciò, l’attività fisica e sportiva regolare deve essere incoraggiata per gli effetti metabolici e psicologici che induce. Il DM di tipo 2, non insulino dipendente DMNID, compare in genere dopo i 4° anni in soggetti sedentari ed in sovrappeso, obesi e con familiarità per la malattia. È presente insulino resistenza e per contrastarla il pancreas produce INS in eccesso (iperinsulinemia). Anche in questi pazienti si può avere il rischio di ipoglicemia durante o dopo sforzo, anche se la pratica dell’esercizio fisico deve essere sempre incoraggiata in quanto induce un miglioramento dell’insulino-resistenza e del controllo glicemico. Le attività sportive più indicate per chi soffre di DM sono quelle in cui lo sforzo è di tipo aerobico con intensità graduabile, inserendo esercizi con sovraccarichi lievi-moderati. Sono sconsigliate le attività dove ipoglicemia improvvisa può metter a rischio la propria e l’altrui incolumità’ (con rischio di traumi certo o elevato) e quelle di tipo isometrico che causano un notevole aumento della pressione arteriosa. CAPITOLO 5.3 Tra il DM ed una condizione di buona salute, esistono stadi intermedi (stadi prediabetici) di frequente riscontro nei paesi occidentali. Non provocano sintomi, ma aumentano il rischio di ammalarsi nel tempo di DM e/o patologie cardiovascolari aterosclerotiche. La ridotta tolleranza al glucosio RTG è caratterizzata da valori glicemici più elevati del normale in risposta ad un carico orale di glucosio. Nei soggetti con RTG è presente insulinoresistenza, sebbene in misura marcata rispetto ai soggetti con DM 2. La sindrome metabolica SM è caratterizzata da un insieme di alterazioni, quali: obesità viscerale insulino-resistenza bassi livelli di colesterolo HDL elevati livelli di trigliceridi pressione arteriosa elevata La morte per infarto (infarto acuto del miocardio ed ictus cerebrale), in questi soggetti, è raddoppiata. I soggetti con RTG e SM traggono beneficio da un’attività’ fisica regolare riducendo io grasso corporeo e l’insulino-resistenza, prevenendo l’insorgenza del DM e delle patologie cardiovascolari su base aterosclerotica. CAPITOLO 9.1 Dall’inizio del 20esimo secolo, il ricorso al doping è diventato un’abitudine. Gli sponsor ed i grandi mezzi di comunicazione hanno reso la vittoria così importante da incoraggiare l’uso di mezzi illeciti per ottenerla. A giustificare questa brama di vittoria è sia la componente economica che la componente emotiva, dato che il doping è presente anche a livello amatoriale dove l’influenza economica è minore. Il doping presente implicazioni etiche e mediche, con una complicazione anche sotto l’aspetto giuridico: una squalifica per doping vuol dire, per gli atleti professionisti, perdere il lavoro, con gli annessi danni economici. Per questo è necessario che le misure antidoping e gli esami abbiano un carattere di certezza assoluta. In Italia, dal dicembre del 2000e’ entrata in vigore una legge antidoping che persegue penalmente sia l’atleta stesso che chi commercializza o somministra sostanze dopanti (medico, farmacista, dirigenti ecc…). Dal 2003 è stata introdotta la WADA (prima se ne occupava il CIO, comitato olimpico internazionale), agenzia internazionale antidoping, che coordina le normative antidoping. LA WADA ha emanato il primo codice mondiale antidoping, sottoscritto dai vari governi e dalle federazioni sportive nazionali ed internazionali. Un primo aspetto fondamentale del codice della WADA è la nuova definizione di doping: Il doping è la violazione di una o più delle seguenti normative antidoping: la presenza di una sostanza proibita o dei suoi metaboliti o marker in un campione biologico (urine, sangue) dell’atleta l’uso o il tentativo di usare una sostanza o un metodo proibito il rifiuto o il fallimento, senza una reale giustificazione, di sottomettersi alla raccolta di un campione dopo notifica, o qualsiasi tentativo di evadere il controllo la violazione delle regole che riguardano la disponibilità dell’atleta per i controlli fuori competizione manomettere o falsificare qualsiasi aspetto del controllo antidoping il possesso di sostanze o metodi proibiti il traffico di sostanze o metodi proibiti la somministrazione o il tentativo di somministrare di una sostanza proibita o di sottoporre a metodi proibiti, assistere, incoraggiare, aiutare, cercare di nascondere o qualsiasi altro tipo di complicità nella violazione di una delle regole antidoping. Un secondo aspetto fondamentale è la lista delle sostanze e dei metodi proibiti che gli esperti WABA provvedono ad aggiornare ogni anno. Sostanze e metodi proibiti sono state suddivise in tre gruppi fondamentali: Gruppo 1, sostanze S e metodi M sempre proibiti (in e fuori competizione) Gruppo 2, S e M proibiti solo in competizione Gruppo 3, S e M proibiti solo in sport particolari (alcool e beta-bloccanti). L’atleta affetto da particolari malattie che ha bisogno di farmaci o metodi compresi nella lista proibita, può fare richiesta ad una apposita commissione della WADA (per gli atleti internazionali) o della NADO (per gli atleti nazionali) per ottenere un’esenzione terapeutica TUE, per utilizzare quel determinato farmaco o metodo. Dal 2011 è stato eliminato tale obbligo per salbutamolo, salmeterolo e glucocorticoidi per via inalatoria negli atleti asmatici. CAPITOLO 9.2, 9.3 Gli aspetti medici del doping riguardano gli effetti sulla prestazione, ma soprattutto i potenziali effetti negativi sull’organismo. Gli agenti anabolizzanti sono ormoni steroidei usati soprattutto negli sport di potenza per aumentare la massa muscolare e la forza. Sono distinti dalla WADA in esogeni (artificiali) ed endogeni (assunti dall’esterno, ma che l’organismo è in grado di sintetizzare, come il testosterone). L’uso cronico comporta numerosi e gravi effetti collaterali a carico dell’apparato riproduttivo (sterilità, mascolinizzazione femminile), del fegato (epatite, tumori) e dell’apparato cardiocircolatorio (ipertrofia patologica del cuore, ipertensione, aterosclerosi precoce ecc…). L’ormone della crescita GH è la sostanza più diffusa che ancora sfugge ai controlli. Il GH naturale è secreto dall’ipofisi anteriore in modo intermittente, sotto l’influenza di numerosi fattori (sonno, dieta, fuso orario, esercizio fisico ecc…). Stimola la crescita di alcuni gruppi cellulari, compresi i muscoli. La sua mancanza provoca nanismo ipofisario, curabile appunto con terapie di GH-ricombinante rh-GH, uguale al GH naturale. La somministrazione di rh-GH ha effetti metabolici sul metabolismo del glucosio e degli amminoacidi, ed effetti cronici riconducibili agli anabolizzanti. Il doping del sangue, l’emodoping, si avvale di sostanze e metodi diversi per migliorare la capacità del sangue di trasportare l’ossigeno e, di conseguenza, la potenza aerobica (tipico degli atleti di resistenza). Inizialmente veniva usato per la trasfusione il sangue di donatori compatibili (omologo), mentre oggi è sempre più usata l’autotrasfusione, dove il sangue viene prelevato e poi re-infuso a debita distanza. Negli anni ’90, si è diffuso un nuovo tipo di emodoping, a causa dell’entrata in commercio dell’eritropoietina ricombinante rh-EPO, ormone identico a quello naturale secreto nel rene, che stimola la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo. La somministrazione di rh-EPO e delle altre molecole simili successivamente prodotte (darboepoetina, CERA ecc…) provoca un aumento dei globuli rossi, dell’emoglobina, ma anche della viscosità del sangue con rischio di trombosi. Gli stimolanti (proibiti solo in competizione) sono la classe di sostanze da più tempo impiegata nello sport. Le anfetamine hanno effetti simili all’adrenalina e noradrenalina, con azione simpaticomimetica. A bassi dosaggi diminuiscono l’appetito, aumentano l’attenzione e la concentrazione, migliorano l’umore e diminuiscono il senso di fatica. Ad alti dosaggi provocano agitazione, insonnia, ipertermia, dolore toracico e possibile danno alle fibre toraciche (rabdomiolisi). L’uso di cocaina è in aumento tra i giovani, a causa dei costi diminuiti e l’errata convinzione di una scarsa pericolosità. Non vi è certezza di una influenza positiva sulla prestazione dato che provoca euforia e sensazione di potenza per breve durata. L’uso negli sportivi, più che un problema di doping, sembra un problema di tossicodipendenza perché’ possono esserci complicazioni mortali. Queste complicanze dell’uso acuto e cronico della cocaina riguardano: SNC, con convulsioni, edema cerebrale, marcato aumento della temperatura corporea apparato respiratorio, con arresto del respiro, pneumotorace apparato cardiovascolare con un effetto tossico diretto alle cellule cardiache (specie il cocaetilene, sostanza che si forma all’assunzione di cocaina ed alcol) e degli effetti indiretti riconducibili alla vasocostrizione ed all’azione simpatica quali angina pectis ed infarto acuto, cardiomiopatia, ipertensione arteriosa, aritmia e morte improvvisa L’ultima frontiera del doping è il doping genetico, ossia il tentativo di modificare con l’ingegneria genetica, la struttura e la funzione di alcune cellule e tessuti quali le fibre muscolari, per renderle più potenti e veloci o alterare i recettori ormonali quali quelli per l’eritropoietina per stimolare una maggiore produzione di globuli rossi. CAPITOLO 10.1 Le lesioni da sport possono essere acute, causate da un trauma unico (lesioni muscolari, fratture, lussazioni, ecc…), o croniche, da sovraccarico funzionale causate da traumi di piccola entità (microtraumi) ripetuti nel tempo (tendinopatie e fratture da stress). Il termine varismo indica quella situazione nella quale, sul piano frontale, l’asse longitudinale di un osso lungo forma, con l’osso del segmento adiacente, un angolo interno (mediale) minore del normale. Con il termine valgismo si indica la conduzione opposta. Con il termine mediale si indica una struttura interna alla linea mediana del corpo. Con il termine laterale la struttura è esterna. Con il termine prossimale si indica l’estremità’ ossea più vicina al centro del corpo, con distale quella più lontana. Per distorsione si intende un trauma che sollecita un’articolazione oltre I gradi fisiologici del suo movimento con conseguente danno dei legamenti. La lussazione è una perdita totale e permanente dei rapporti tra due capi articolari, con conseguente lesione capsulo-legamentosa. La sublussazione è una via di mezzo tra la distorsione grave e la lussazione. La frattura è la perdita di continuità di un osso, che si verifica di solito a seguito di un trauma unico, violento, diretto o indiretto. Può essere completa (l’osso è totalmente interrotto) o incompleta (interruzione parziale). Quella causata da microtraumi è definita frattura da stress. Il trattamento chirurgico delle lesioni ossee, articolari o legamentose, può essere effettuata oggi a cielo aperto, nella quale il chirurgo, messo allo scoperto la zona interessata, opera direttamente sulla lesione. Nella tecnica in artroscopia, invece, attraverso 3 piccoli buchi, il chirurgo inserisce una telecamera nell’articolazione, un tubo dal quale entra soluzione fisiologica e gli strumenti per l’intervento. Con questa tecnica i tempi di recupero per l’atleta soni molto più brevi, aspetto che ha molta importanza soprattutto nello sport professionistico. CAPITOLO 10.2 La spalla può essere colpita da vari tipi di patologie, secondo la causa responsabile e le strutture interessate. La lussazione scapolo-omerale si distingue in acuta, inveterata, recidivante, abituale (queste ultime due si presentano più spesso su una precedente instabilità sulla spalla). La lussazione può avvenire su base: Traumatica (lesione di Bankart) Costituzionale, spesso bilaterale (entrambe le spalle) Di una instabilità causata da microtraumi ripetuti. La SLAP lesion, è tipica degli sport di lancio e della ginnastica artistica. È causata dalle violenti e ripetute trazioni esercitate dal muscolo bicipite sulla zona di inserzione tendinea al cercine glenoideo, che provocano una degradazione della stessa. La lussazione acromion-clavicolare avviene di solito in seguito ad una caduta diretta sulla spalla. La diagnosi è facile: il dolore localmente è intenso e, se si effettua una pressione sulla zona, la clavicola si abbassa tornando a contatto con l’acromion (segno del tasto di pianoforte). La sindrome da conflitto acromion-clavicolare è causata da una compressione dei tendini della cuffia dei muscoli rotatori contro la superficie inferiore dell’arco acromion-coracoideo, con conseguente attrito tra i tendini e le strutture ossee articolari. Nelle tendinopatie della cuffia dei rotatori, la causa principale è il sovraccarico funzionale che provoca microtraumi ripetuti sulle inserzioni tendinee. Hanno sempre un origine mista, infiammatoria e degenerativa, e sono caratterizzate da dolore nella regione anteriore e/o superiore della spalla, che aumenta con lo sforzo. Può complicarsi con la rottura dei tendini. Il gomito può essere interessato da patologie croniche o acute da sovraccarico funzionale. Le lussazioni del gomito si hanno per traumi violenti singoli (caduta con il braccio proteso in avanti). In genere il gomito si lussa posteriormente vedendo che la struttura lesionata è il legamento anteriore-obliquo. La lussazione può associarsi a fratture del capitello radiale o della coronoide. Le instabilità del gomito possono essere acute (dolore intenso ed improvviso nella fase finale di un lancio) o croniche. In queste ultime, l’eccessiva lassità dell’articolazione, produce movimenti anomali ed attriti che col tempo causano artrosi e formazione di corpi liberi endoarticolari. Le tendinopatie croniche comprendono: l’epicondilite o gomito del tennista e l’epitrocleite o gomito del golfista. Sono caratterizzate da dolore, nelle prime fasi solo durante attività sportiva, ed in seguito anche in gesti comuni o a riposo. Nell’epicondilite il dolore è localizzato sul versante esterno, nell’epitrocleite sul versante interno. La mano subisce in alcuni sport lesioni tipiche: la frattura dello scafoide è causata da una caduta sul palmo delle mani, con sollecitazione del tubercolo scafoideo La frattura-lussazione di Bennet è tipica dei pugili. Si tratta di una frattura dalla base del primo metacarpo che si lussa dorsalmente. Le lussazioni delle dita delle mani sono frequenti nella pallavolo e/o pallacanestro, dove c’è un forte impatto con il pallone. La lesione del legamento collaterale ulnare del pollice è la patologia traumatica della mano più frequente nello sci. Avviene in seguito ad una caduta, durante la quale la racchetta, stretta nel pugno, puntandosi sul terreno provocando una violenta sollecitazione in abduzione che tende ad allontanare il pollice dalle altre dita. CAPITOLO 10.3 Tra le regioni anatomiche, l’arto inferiore è il più interessato da sollecitazioni e traumi, diretti ed indiretti. Si distinguono patologie acute (trauma unico, violento) e croniche (sovraccarico funzionale). A carico del ginocchio, traumi acuti possono provocare lesioni capsulo-legamentose, parziali o complete, isolate o complesse. Per la diagnosi sono essenziali l’anamnesi ed un accurato esame clinico: la comparsa immediata di dolore intenso è di solito indice di danno grave, così come la sensazione di “crack” e, nelle lesioni meniscali, lo “scoscio endoarticolare” o la sensazione di “incastro meccanico”. Segni di gravità sono anche l’impotenza funzionale completa, il marcato gonfiore, versamento endoarticolare, instabilità, eccessiva mobilità dell’articolazione. L’esame radiografico RX e la risonanza magnetica nucleare RMN sono molto utili per la diagnosi. Il trattamento varia secondo le strutture interessate e la gravità: nelle lesioni del legamento crociato anteriore, del crociato posteriore e dei menischi, è quasi sempre chirurgico (artroscopia). Tra le patologie dell’apparato estensore del ginocchio, la lussazione di rotula è causata da una violenta contrazione del quadricipite o da un trauma diretto sul compartimento interno. La diagnosi è facile: lo sportivo racconta che “qualcosa è andato fuori posto e poi è rientrato”, con dolore intenso. La RX ed una eventuale tomografia assiale computerizzata TAC sono in grado di visualizzare la lussazione ed eventuali distacchi ossi e cartilaginei. Il ginocchio del saltatore colpisce saltatori in alto, giocatori di pallacanestro e pallavolo. È una tendinopatia da sovraccarico funzionale, con dolore sulle inserzioni del quadricipite, all’inizio modesto e poi sempre più forte. L’ecografia ECO e la RMN sono in grado di stabilire con precisione l’entità del danno. Il trattamento si basa su terapia medica (antiinfiammatori), fisioterapia, esercizi isometrici ed isotonici e stretching. La sindrome di Osgood-Schlatter e la sindrome di Sinding-Larsen-Johansson sono tipiche dell’età adolescenziale. Si tratta di due apofisiti (infiammazione e degenerazione del nucleo apofisario) che interessano rispettivamente l’inserzione del tendine rotuleo sulla tuberosità tibiale e l’apice della rotula. Di solito guariscono con un adeguato periodo di riposo. La caviglia è frequentemente oggetto di distorsioni capsulo-legamentose, specie in sport come la pallacanestro, pallavolo, calcio, tennis, ecc… La lesione interessa di solito il compartimento esterno con il meccanismo dell’inversione. In base alla gravità, è distinta in I grado (rottura parziale di un legamento), II grado (due legamenti) e III grado (tutti i 3 legamenti). Una sensazione di spostamento dell’articolazione, un rumore di “crack”, dolore intenso ed impotenza funzionale sono indicativi di lesione grave, di solito associata a marcata tumefazione, ematoma ed instabilità articolare. Il trattamento si fonda sul RICE (Rest Ice Compression ELevation), ossia di riposo agonistico con scarico articolare, ghiaccio locale, bendaggio compressivo, posizione elevata dell’arto. Le distorsioni di III grado possono richiedere il trattamento chirurgico. La “sindrome di impingementi” trova il suo substrato in precedenti distorsioni della caviglia, trascurate o malandate. È caratterizzata da un “imbrigliamento” dei legamenti dovuto alla loro fibrosi (inspessimento), ad una ipertrofia reattiva del tessuto sinoviale ed alla formazione di osteofiti (becchi ossei). L’unica soluzione è l’intervento di “sbrigliamento” in artroscopia, anche se possono essere utili le onde d’urto per eliminare gli osteofiti. La tendinopatia del peroneo breve, frequente nei ballerini, è una tendinopatia da sovraccarico funzionale, caratterizzata da dolore, pastosità e gonfiore postero-distale al malleolo laterale. L’infiammazione cronica può condurre, raramente, alla rottura del tendine dalla sua inserzione, che richiede un intervento chirurgico. Anche il tendine del muscolo peroneo lungo può essere interessato da forme acute e croniche. Il piede è spesso colpito da patologie acute e croniche, specie negli sportivi di alto livello. La metatarsalgia è una patologia cronica da sovraccarico funzionale, caratterizzata da dolore localizzato sull’avampiede. L’azione microtraumatica provoca una reazione infiammatoria dei legamenti intermetatarsici con dolore localizzato sulla terza e quarta testa metatarsale. Il dolore all’inizio è lieve, ma poi diventa più forte impedendo il cammino. La frattura da stress non è causata, come le normali fratture, da un trauma violento ma da microtraumi ripetuti nel tempo, Nell’arto inferiore, le ossa più colpite sono metatarsi, astragalo e tibia. Oltre al sovraccarico funzionale, vi sono altri fattori concausali tra cui il sesso (le donne sono più interessate da questo problema), condizioni anatomiche, repentine modificazioni al carico allenante e la durezza del terreno d’allenamento. Un sintomo caratteristico è il dolore, che insorge gradualmente ma in modo costante: all’inizio presente solo durante l’allenamento che però si intensifica fino a disturbare la deambulazione e perfino il sonno. A volte è improvviso, violento, avvertito con un crack. La diagnosi si basa anche sulla scintigrafia ossea capace di rivelare una frattura agli inizi, dove la RXX non può. La fascite plantare è una infiammazione cronica dell’aponeurosi plantare, la fascia fibrosa che origina dalla tuberosità calcaneare e si inserisce sulle articolazioni metatarso falangee. L’insorgenza può essere facilitata da un piede cavo e/o dalla presenza di una spina calcaneare. Il dolore è solitamente graduale, localizzato all’inserzione calcaneare mediale della fascia, rievocato alla palpazione. In rari casi si ha la rottura sottocutanea della fascia, avvertita come dolore acuto, violento, con sensazione di strappo nella pianta del piede, cui segue tumefazione locale, ecchimosi ed impotenza funzionale. CAPITOLO 10.4 La colonna vertebrale, o rachide, può essere affetta da numerose patologie, che hanno come sintomo più frequente e caratteristico il dolore (rachialgia). La rachialgia è frequente nella popolazione sportiva. La forma più comune è la lombalgia e si manifesta con dolore spontaneo in sede lombare (accentuato da pressione locale e movimenti del tronco), contrattura antalgica dei muscoli paravertebrali e rigidità del tronco. La lombalgia può avere cause diverse che riguardano una o più strutture della vertebra e della colonna: il disco (discopatia ed ernia discale), l’istimo (spondilolisi, spondilolistesi), il corpo (osteocondrosi giovanile e spondilodiscoartrosi), ecc… L’ernia del disco è la fuoriuscita del nucleo polposo attraverso fissurazioni dell’anello fibroso. Avviene più frequentemente tra la IV e la V vertebra lombare e I sacrale. Il disco può migrare (ernia migrata) fino a penetrare nel canale vertebrale e comprimere le strutture nervose causando lombalgia e sintomi neurologici. La diagnosi si fonda, oltre che sui sintomi di origine discale (dolore, contratture), sui sintomi periferici (dolore e parestesie localizzate sul territorio di distribuzione della radice spinale compressa. Ai fini di un inquadramento preciso, servono la RMN e l’elettromiografia. Contrattura antalgica: La contrattura antalgica è una strategia involontaria posta in atto dal nostro fisico per compensare un trauma subito dal nostro corpo. La sua funzione è quella di attenuare il dolore causato dalla lesione: viene attivata a livello di midollo spinale che consiste nella contrazione dei muscoli a protezione della parte danneggiata, per compensare il suo “malfunzionamento” e il dolore che deriva dal suo utilizzo. La reazione di difesa ha anche il compito di salvaguardare i processi di recupero in atto, evitando di aggravare la situazione. Per questo motivo, la contrattura può verificarsi anche in assenza di dolore. L’intensità della contrattura può dipendere dalla gravità della problematica che l’ha causata. Spondilolisi e spondilolistesi sono frequenti nei giovani sportivi. Per spondilolisi si intende l’interruzione-rottura dell’istimo vertebrale, in genere più frequente nella V vertebra lombare. Se all’interruzione si associa uno scivolamento in avanti di una vertebra sulla sottostante, si parla di spondilolistesi. La diagnosi si fonda sull’anamnesi sportiva, sulle modalità di insorgenza e sede del dolore (sintomi neurologici tipici dell’ernia del disco sono però sfumati). La conferma del sospetto clinico si basa sullo studio RX del rachide eseguito in tutte le proiezioni possibili. Nei casi dubbi è utile la scintigrafia ossea. La spondilodiscoartrosi, diffusa nella popolazione generale in età media ed avanzata, è causa di lombalgia in sportivi di età superiore ai 30-35 anni, ma può colpire soggetti giovani, praticanti sport quali ginnastica artistica e sollevamento pesi. È causata da sovraccarichi ripetuti nel tempo, che, accumulandosi, danno luogo a manifestazioni di tipo degenerativo delle vertebre lombari. L’osteocondrosi vertebrale giovanile, o malattia di Scheuermann, è una patologia caratteristica dell’adolescenza, causata da una sofferenza della cartilagine di accrescimento dei corpi vertebrali dorsali. Non sempre provoca dolore e può manifestarsi semplicemente con progressivo incurvamento del dorso per accentuazione della cifosi fisiologica ed iperlordosi lombare di compenso. La diagnosi può essere confermata facilmente mediante una RX della colonna. CAPITOLO 10.5, 10.6, 10.7 Le lesioni muscolari sono le patologie più frequenti nello sport. Posso essere da trauma diretto (contusioni, lacerazioni) ed indiretto. Queste ultime sono causate da un improvviso ed eccessivo allungamento del muscolo oltre i suoi limiti elastici. La zona più colpita da lesioni, è la giunzione mio-tendinea, mentre i muscoli più interessati sono il bicipite femorale, il retto femorale ed il tricipite surale. La lesione può interessare: poche miofibrille, I grado, elongazione. Dolore lieve e di breve durata, i segni sono modesti un certo numero di fibre, II grado, stiramento. Il dolore è più forte e prolungato associato ad impotenza funzionale relativa ed ematoma. Il trattamento si basa su provvedimenti di primo intervento (bendaggio compressivo, ghiaccio, riposo assoluto) seguiti da un’astensione dell’attività per 2-3 settimane, fisioterapia e stretching. gran parte del ventre muscolare, III grado, strappo. Il dolore è molto forte e l’impotenza funzionale è completa. Alla palpazione è possibile apprezzare l’interruzione muscolare confermabile con ECO o RMN. Il trattamento è simile a quello delle lesioni di I e II grado, ma i tempi di guarigione sono più lunghi e più frequenti le complicazioni quali recidiva (una nuova lesione della zona già colpita), fibrosi post-traumatica, pseudocisti intramuscolari, miosite ossificante, trombosi venosa. Per un giudizio preciso sulla gravità, oltre ai sintomi ed ai segni clinici, è utile eseguire un esame ECO o una RMN. Il dolore muscolare tardivo DOMS compare 24-72 ore dopo sforzi fisici intensi, specie di tipo eccentrico. È causato da un danno generalizzato dei muscoli e per questo non si localizza in un punto specifico come con le lesioni muscolari. Il trattamento prevede riposo ed esercii di stretching. Le tendinopatie sono frequenti in atleti di alto livello. La causa principale è l’esasperata ricerca della prestazione con sovraccarico funzionale dei tendini. Si distinguono: forme acute, caratterizzate da una infiammazione acuta a carico della giunzione osteotendinea (tendiniti inserzionali), del peritenonio (peritendinite), della giunzione sinoviale (tenosinovite) forme croniche (tendinosi), con infiammazione di lunga durata e degenerazione del tendine. La diagnosi si basa sul dolore, all’inizio solo un fastidio, poi sempre più intenso fino ad impedire l’attività. Entità del dolore e limitazione del rendimento sportivo sono utilizzati per classificare la gravità (da 0 a 5). Nei casi lievi, il trattamento si basa su prevenzione, correzione di eventuali squilibri muscolari ed esercizi di stretching. Nei casi di media gravità sono consigliabili riposo e fisioterapia. Nei casi gravi il riposo deve essere lungo e, nel caso, intervento chirurgico. La tendinopatia achillea è frequente nei corridori. Il sintomo cardine è, ovviamente, il dolore, che può cambiare sede e caratteristiche secondo il tipo di interessamento del tendine. Il trattamento è conservativo, fondato su rimedi quali riposo, fisioterapia, terapia farmacologica, stretching e correzione di un cattivo appoggio del piede. Complicanza terribile è la rottura del tendine, non necessariamente legata a sforzi rilevanti, caratterizzata da dolore intenso ed impotenza funzionale completa del piede. Il trattamento è solo chirurgico. La sindrome retto-adduttorio (pubalgia), frequente nei calciatori, interessa l’inserzione tendinea distale dei muscoli addominali e/o prossimalmente dei muscoli adduttori sul pube. Il dolore inizia gradualmente, ma può arrivare a tale intensità che l’atleta non è più in grado di giocare. Si distinguono: una forma di dolore soprapubico (addominale) ed una con dolore più basso (inguinale). Il trattamento è delicato: nelle prime fasi, i sintomi sono così sfumati da essere sottovalutati. Un recupero affrettato può causare aggravamenti e ricadute. La sindrome dei muscoli ischio-crurali è una tendinopatia dei muscoli bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso alla loro inserzione sulla tuberosità’ ischiatica. Si manifesta con dolore in corrispondenza della regione inferiore del gluteo, accentuato dalla posizione seduta e dalla pressione sulla tuberosità ischiatica. Il trattamento segue quello indicato per le altre tendinopatie. Per borsite si intende un processo infiammatorio, acuto o cronico, di una borsa sinoviale di scorrimento localizzata in prossimità delle inserzioni muscolo-tendinee, ove cioè si verificano attriti tra le varie strutture anatomiche. Le borsiti sono responsabili di dolore e tumefazione locale. Le borse più frequentemente colpite sono la retro-olecranica (gomito), la prerotulea, l’anserina (tendini della zampa d’oca, parte anteriore mediale della tibia), la sottoacromiondeltoidea (spalla) e le retro-achillee. CAPITOLO 11.1, 11.2 Il primo soccorso è l’aiuto fornito ad un comune cittadino che ha un infortunio o un malessere improvviso. Se ben portato può risolvere i casi lievi ed in quelli gravi essere decisivo per la vita di una persona, consentendo la sopravvivenza nell’attesa di personale qualificato. Per soccorrere efficacemente si devono avere delle nozioni elementari di pronto soccorso: il soccorritore deve saper distinguere i casi gravi da quelli non gravi, nei quali è necessario chiamare subito l’assistenza, per evitare situazioni dannose e favorire la sopravvivenza. Questi concetti devono trovare collocazione all’interno della “catena della sopravvivenza”, un sistema presente in tutti i paesi industrializzati, composto da 4 anelli (o tappe) il quale deve essere messo in atto il più rapidamente possibile: accesso ai mezzi di soccorso (118) Supporto di base delle funzioni vitali Defibrillazione precoce Supporto avanzato delle funzioni vitali Se una o più funzioni vitali (stato di coscienza, respirazione e circolazione) sono alterate, il soccorritore può limitarsi ad aspettare l’arrivo del personale medico esperto, o attuare rapidamente la rianimazione cardio-polmonare RCP, insieme alle procedure che servono a restituire efficienza al respiro ed al circolo sanguigno, nel caso siano momentaneamente interrotti. Le prime fasi della RCP sono chiamate “supporto vitale di base” BLS. Si tratta di manovre che hanno come obiettivo fondamentale assicurare un sufficiente apporto di ossigeno al cervello. Il BLS è stato diviso in 3 fasi, identificate con la sigla ABC: Airways (vie aeree) Breathing (respirazione) Circulation (circolazione sanguigna). Il soccorritore deve per prima cosa assicurarsi che le vie aeree siano pervie (aperte, libere), escludendo la presenza di corpi estranei che vanno rapidamente rimossi. Nel caso di “soffocamento” da corpo estraneo penetrato in laringe, si esegue la manovra di Heimlich. La causa più frequente di ostruzione (paziente incosciente) è la caduta all’indietro della lingua alla quale si ovvia con la manovra di iperestensione del capo, che non va eseguita nel sospetto trauma della colonna cervicale. Successivamente, il soccorritore deve valutare rapidamente la presenza di respiro, osservando i movimenti del torace ed avvicinando l’orecchio alla bocca ed al naso per percepire la fuoriuscita dell’aria. Se l’attività respiratoria è assente si deve iniziare subito la respirazione artificiale, con il metodo bocca a bocca, con un tubo, a doppia via, inserito nella bocca dell’infortunato o una mascherina facciale. Se il soggetto non respira, è necessario verificare se esiste un’attività circolatoria efficace. La più semplice per accertare la presenza del circolo sanguigno è la ricerca del polso carotideo, ma se si è sufficientemente sicuri dell’assenza di un circolo efficace, deve essere istituito prontamente il massaggio cardiaco esterno, mediante compressioni ritmiche sulla parete anteriore del torace, le quali sono in grado di assicurare una certa quantità’ di flusso sanguigno al cervello. Nel caso vi siano contemporaneamente assenza del respiro e del circolo, le linee guida attuali suggeriscono di privilegiare il massaggio cardiaco esterno. In ogni caso è fondamentale ricordare che l’assistenza vitale di base BLS deve essere sempre praticata seguendo un protocollo di comportamento schematico (albero decisionale) senza omettere passaggi importanti o assumere decisioni illogiche o affrettate. CAPITOLO 11.3, 11.4 Negli sport di contatto, nei quali il contatto fisico è frequente, i traumi sono all’ordine del giorno. Per questo motivo sarebbe opportuno che chi partecipa o assiste all’evento avesse nozioni basilari di assistenza e soccorso. Il trauma cranico non è raro in molti sport. Nella maggioranza dei casi è lieve: il soggetto non perde conoscenza e risponde alle domande anche se può riferire stordimento, offuscamento temporaneo della vista, mal di testa, nausea e conati di vomito. Nel trauma moderato vi è quasi costantemente una commozione cerebrale: il soggetto perde conoscenza (sincope, improvvisa, transitoria perdita di coscienza, associata ad alterazioni circolatorie e respiratorie.) ed al risveglio può non ricordare l’accaduto (anamnesi retrograda), apparire confuso, disorientato, pallido, lamenta mal di testa, visione offuscata e conati di vomito. In questi casi è obbligatorio un periodo d’osservazione all’ospedale. Nel trauma grave, lo stato dell’infortunato appare preoccupante già dall’inizio; il soggetto è incosciente fino a raggiungere uno stato comatoso. In questo caso il soccorritore deve garantire il supporto delle funzioni vitali. Nei traumi della colonna vertebrale, la gravità dipende dalla presenza o assenza di una lesione del midollo spinale. Il soccorritore deve fare due cose importanti: considerare e sospettare l’esistenza di un danno spinale ed aiutare il soggetto senza rischiare di aggravarne la situazione. Verificato che non esistono situazioni di incoscienza (il soggetto è sveglio, respira spontaneamente, ecc…), il soccorritore può ricercare sintomi e segni di una eventuale lesione spinale: dolore lungo la schiena, formicolii e/o una riduzione della sensibilità lungo gli arti, difficoltà o impossibilità del movimento. Nella certezza o nel sospetto di una lesione midollare, l’infortunato non a spostato in nessun modo, valutando le funzioni vitali e, se necessario, iniziare il BLS. In ultimo si cerca di immobilizzare il capo, di tenere gli arti superiori vicino al corpo e gli arti inferiori allineati. Il trauma toracico non ha, in genere, conseguenze gravi, ma non deve essere sottovalutato. In caso di dolore acuto respirazione difficoltosa, si deve sospettare una frattura costale, che può essere associata a pneumotorace traumatico. Nel trauma addominale, il sospetto di rottura di un organo interno deve sorgere se l’infortunato si presenta subito pallido o incosciente, con alterazioni del respiro e del battito cardiaco. Milza e fegato possono rompersi anche a distanza di tempo dal trauma (rottura in due tempi). Uno sportivo che ha subito un trauma violento toracico basso o addominale, deve essere tenuto sotto osservazione e sottoposto ad ecografia. I traumi delle ossa lunghe degli arti sono frequenti in tutti gli sport. Il primo obiettivo è distinguere i traumi banali (contusioni, distorsioni) da quelli gravi (lussazioni, lesione di legamenti, fratture). Un trauma grave può essere sospettato se sono presenti: un dolore acuto che aumenta con i movimenti dei segmenti interessati, un’alterazione della forma e dell’atteggiamento dell’osso, l’impotenza funzionale della regione interessata, un marcato gonfiore dei tessuti molli circostanti la lesione ossea. In caso di frattura certa o probabile occorre evitare movimenti inutili, immobilizzare la parte lesa nella posizione in cui si trova e lasciare libere le dita degli arti immobilizzati. Se è presente una emorragia importante della zona, è necessario stringere la regione a monte della zona interessata con un laccio emostatico per ridurre l’afflusso della zona. Le ferite possono essere: superficiali, escoriazioni. In questi casi basta pulire la zona, disinfettarla con una garza sterile ed acqua ossigenata e coprirla. Bisogna accertarsi che il soggetto sia vaccinato contro il tetano ed in caso contrario convincerlo a recarsi in un Pronto Soccorso per effettuare la profilassi antitetanica. profonde, lacero-contuse, se si accompagnano a lesione dei tessuti sottostanti. Di solito l’emorragia è abbondante e possono essere interessate strutture importanti quali muscoli e tendini. Il primo compito del soccorritore è arrestare l’emorragia, disinfettando successivamente la ferita e medicarli con cerotti/ garze in caso di piccole lacerazioni o richiedendo l’intervento di un chirurgo in caso di lacerazioni più grandi. La fuoriuscita di sangue dal naso (epistassi) può avvenite per trauma sul naso o spontaneamente. Il soccorritore deve far sedere l’infortunato con la testa leggermente reclinata in avanti, stringere le narici con le dita per almeno 10 minuti ed applicare localmente pomata e cotone emostatici. Il colpo di calore è un’evenienza non eccezionale in competizioni di notevole intensità’ e durata che si svolgono in un clima caldo-torrido. Specie se l’atleta non beve a sufficienza si può avere una grave disidratazione con progressivo aumento della temperatura corporea interna. Raramente si hanno gravi conseguenze, ma è necessario intervenire subito per evitare guai peggiori, cercando di abbassare la temperatura corporea mettendo sulla testa e sul corpo teli imbevuti d’acqua fredda. Reintegrare la perdita di liquidi (nei casi gravi anche attraverso fleboclisi, per via venosa).