POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria dei Sistemi Corso di Laurea in Ingegneria Fisica Caratterizzazione chimico-fisica dell’interfase tra polimeri semiconduttori ed elettroliti salini per applicazioni energetiche e in campo biologico. Relatore: Chiar.mo Prof. Guglielmo LANZANI Correlatore: Dott.ssa Maria Rosa ANTOGNAZZA Tesi di laurea magistrale di: Sebastiano BELLANI Matricola 701116 Anno Accademico 2010 – 2011 1 Sommario Il mio lavoro di tesi ha riguardato la realizzazione e la caratterizzazione chimico-fisica, spettroscopica ed elettrica di un fotorivelatore ibrido, in fase solido/liquida, caratterizzato dalla interfaccia tra un polimero semiconduttore coniugato e una soluzione elettrolitica salina. Il dispositivo è racchiuso tra un contatto anodico di ossido di indio e stagno (ITO) ed un controelettrodo metallico di platino. Il materiale attivo è costituito da una eterogiunzione tra un materiale polimerico elettron-donore a base di tiofene (rr-P3HT) ed un materiale elettron-accettore (un derivato solubile del fullerene); il blend adottato costituisce ad oggi uno dei materiali più largamente studiati per la realizzazione di celle solari polimeriche convenzionali. Tale sistema consiste quindi in una cella elettrochimica con l’elettrodo di lavoro di ITO sensitivizzato da un materiale fotoattivo. Mentre la fase solida del dispositivo (ITO/polimero) è del tutto convenzionale, ampiamente diffusa e ben caratterizzata, l’interfase polimero/elettrolita rappresenta un forte elemento di novità, finora solo parzialmente esplorato, che influisce fortemente sulle proprietà della cella elettrochimica, modificando in maniera sostanziale i processi chimico/fisico/elettrici in gioco. Un ulteriore elemento di novità del sistema è la contemporanea presenza di due meccanismi di conduzione della carica, sia di tipo elettronico (nella parte solida, caratteristico di qualsiasi dispositivo optolettronico), sia di tipo ionico (nella parte liquida, e tipico dei sistemi biologici): l’interfaccia solido/liquido si configura quindi come il confine tra i due regimi. La caratterizzazione del dispositivo realizzato è interessante anche dal punto di vista delle sue possibili applicazioni, precedentamente dimostrate all’interno del gruppo di ricerca, sia in campo biologico, come fotorecettore artificiale, sia nel campo delle celle a combustibile, grazie a interessanti fenomeni di produzione di idrogeno alla superficie del polimero stesso. Per la caratterizzazione ottica dei dispositivi realizzati sono state utilizzate le seguenti tecniche sperimentali: spettroscopia di assorbimento, spettroscopia di fotocorrente, spettroscopia di assorbimento fotoindotto (CW-PA), spettroscopia a modulazione di carica (CMS) ed elettroassorbimento (EA). Per descrivere i processi elettrochimici di ossido-riduzione aventi luogo all’interfaccia polimero/soluzione elettrolitica sono state eseguite misure di pH della soluzione elettrolitica durante il funzionamento del sistema in regime fotovoltaico. Lo studio è stato completato da misure di impedenza elettrochimica in diversi regimi di lavoro (frequenze dell’eccitazione elettrica e tensioni di lavoro), che hanno consentito di caratterizzare e quantificare i fenomeni di trasferimento elettronico e di formazione di un doppio strato di carica all’interfaccia solido/liquido, oltre a fornire utili indicazioni sui processi di degradazione ossidativa del sistema. L’insieme delle informazioni raccolte ha consentito di delineare un quadro accurato dei fenomeni chimico-fisici che hanno luogo nel dispositivo ibrido realizzato, e di porre quindi le basi per l’ottimizzazione e l’ingegnerizzazione del sistema, a seconda dell’applicazione di interesse, sia in campo biologico, per la fotostimolazione di cellule neurali, sia in campo energetico, per la generazione di idrogeno. 2 Summary My thesis work concerns the construction and the chemical-physical, spectroscopic and electrical characterization of a hybrid photodetector, in solid/liquid phase, characterized by the interface between a conjugated polymer semiconductor and an electolyte solution of ionic salt. The device is enclosed in an anodic contact of indium tin oxide (ITO) and a counter metallic electrode of platinum. The active material consists of a heterojunction between a thiophene based electron donor type polymeric material (rr-P3HT) and electron accepting type material (a soluble fullerene derivative). The adopted blend is now one of the most widely studied materials for the construction of conventional polymer solar cells. This system thus consists in an electrochemical cell with the ITO working electrode sensitivized by a photoactive material. While the solid phase of the device (ITO/polymer) is entirely conventional, widely used and well characterized, the interphase polymer/electrolyte is an innovative element, so far only partially explored, which strongly affects the properties of the electrochemical cell, by changing substantially the chemical/physical/electrical processes which take place. Another new element of the system is the simultaneous presence of two conduction mechanisms of the charge, both electronic (in the solid part, characteristic of any optoelectronic device) and ionic (in the liquid, and typical of biological systems): the interface solid/liquid is then configured as the border between the two regimes. The characterization of the developed device is also interesting from the point of view of its possible applications, already shown within the research group, both in biology, such as artificial photodetector, and in the field of fuel cells, due to interesting phenomena of hydrogen production in the surface of the polymer itself. The following experimental techniques have been adopted for the optical characterization of the device: absorption spectroscopy, photocurrent spectroscopy, photoinduced absorption spectroscopy, charge modulation and electroabsorption spectroscopy. pH measurements were performed in the electrolyte solution during operation of the system in the photovoltaic regime in order to describe the electrochemical oxidation-reduction processes taking place at the interface polymer/electrolyte solution. The study was completed by electrochemical impedance measurements in different regimes of work (electrical excitation frequencies and voltages of work), which allowed to characterize and quantify the phenomena of electron transfer and the formation of a double layer of charge in the solid/liquid interface, as well as providing useful information on the processes of oxidative degradation of the system. All of the information collected allowed to draw an accurate picture of the chemical and physical phenomena that take place in the hybrid device created, and to put the foundations for the engineering and optimization of the system, depending on the application of interest, both in biology, for photostimulation of neural cells, and in the energy field, for the generation of hydrogen. 3 Indice Introduzione pag. 7 CAPITOLO 1: Sistemi coniugati e fotodiodi organici pag. 9 1. Sistemi coniugati e fotorivelatori organici 1.1 Cenni di fisica moleclare 1.2 Atomo di carbonio e ibridazione 1.3 Materiali organici e sistemi coniugati 1.4 La distorsione di Peierls 1.5 Gap elettronica e gap ottica 1.6 Eccitoni e polaroni 1.7 Fotodiodi organici standard 1.7.1 Principio di funzionamento 1.7.2 Circuito equivalente 1.7.3 Cifre di merito 1.7.4 Geometrie 1.7.5 Architetture multistrato 1.8 Fotorivelatori ibridi 1.9 Applicazioni dei sistemi ibridi solido-liquido CAPITOLO 2: Teoria della cinetica dell’interfaccia semiconduttore/soluzione elettrolitica e del trasporto diffusivo pag. 32 1. Modello di Gerischer 2. Cinetica elettrochimica 2.1 Sovratensione di elettrodo sotto corrente 2.2 Sovratensione di attivazione 3. Trasporto di massa 3.1 Cenni di teoria generale 3.2 Diffusione 3.3 Condizioni iniziali e di contorno in problemi elettrochimici 3.4 Cenni di diffusione anomala (subdiffusione) 4. Doppio strato elettrico all’interfaccia semiconduttore/elettrolita 4.1 Introduzione al modello fisico 4.2 Adsorbimento di ioni su elettrodi di semiconduttore 4.3 Lo strato di carica di un semiconduttore 4.4 Capacità differenziale negli strati all’interfaccia elettrolita/semiconduttore 4.5 Derivazione completa dell’equazione di Mott-Schottky per uno strato di svuotamento di un semiconduttore n 4.6 Considerazioni complessive sulle regioni del doppio strato 4.7 Metodi per la determinazione del potenziale di flat-band 5. Conclusioni: modellizzazione di un sistema elettrochimico 4 CAPITOLO 3: Strumentazione e tecniche di misura pag. 65 1. Realizzazione dei dispositivi 1.1 Etching chimico 1.2 Pulizia del substrato 1.3 Preparazione delle soluzioni polimeriche 1.4 Spin Coating 1.5 Evaporazione 1.6 Preparazione della soluzone elettrolitica 1.7 Realizzazione del controelettrodo 1.8 Realizzazione dei contatti 2. Tecniche di caratterizzazione, set-up sperimentali e strumentazione 2.1 Spettroscopia di assorbimento 2.2 Spettroscopia di fotocorrente 2.2.1 Set-up di misura dello spettro di fotocorrente 2.2.2 Strumentazione di misura dello spettro di fotocorrente 2.3 Spettroscopia di assorbimento fotoindotto 2.3.1 Set-up di misura dello spettro di assorbimento fotoindotto 2.3.2 Modello fisico per l’analisi dell’asorbimento fotoindotto 2.4 Spettroscopia di modulazioni di carica 2.4.1 Set-up di misura dello spettro CMS 2.4.2 Modello fisico per l’analisi CMS 2.5 Misure di pH della soluzione elettrolitica 2.6 Spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS) 2.6.1 Introduzione ai circuiti in corrente alternata 2.6.2 Modello fisico per l’analisi di impedenza elettrochimica 2.6.3 Modellizzazione interpretativa dei dati EIS 2.6.4 Analisi dei dati EIS 2.6.5 Elementi in circuiti equivalenti 2.6.6 Calcolo dell’impedenza del ramo faradaico CAPITOLO 4: Presentazione e discussione dei risultati sperimentali 1. Misure di spettroscopia di assorbimento 1.1 Spettri di assorbimento 1.2 Analisi degli spettri di assorbimento 2. Misure di spettroscopia di fotocorrente 2.1. Spettri di fotocorrente e risposte spettrali 2.2 Analisi degli spettri di fotocorrente e delle risposte spettrali 3. Misure di Ph 4. Misure di spettroscopia di assorbimento fotoindotto 4.1 Spettri di assorbimento fotoindotto 4.2 Analisi degli spettri di assorbimento fotoindotto 5. Misure di spettroscopia di modulazione di carica (CMS) ed elettroassobimento (EA) 5.1 Studi su fotodiodo standard 5.2 Studi su fotocella elettrochimica 6. Misure di spettroscopia di impedenza elettrochimica 6.1 ITO/Acqua Milli-Q/ITO 6.2 Pt/Acqua Milli-Q/Pt 5 pag. 117 6.3 ITO/Acqua Milli-Q/Pt 6.4 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua Milli-Q/ITO+P3HT-PCBM (1:1) 6.5 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua Milli-Q/Pt 6.6 ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/Acqua Milli-Q/Pt 6.7 Pt/0,2 M NaCl/Pt 6.8 ITO/0,2 M NaCl/ITO 6.9 ITO/0,2 M NaCl/Pt ITO 6.10 ITO+P3HT-PCBM(1:1)/0,2 M NaCl/ITO-P3HT-PCBM (1:1) 6.11 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/Pt 6.12 ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/0,2 M NaCl/Pt 6.13 Conclusioni CAPITOLO 5: Conclusioni e prospettive future pag. 173 APPENICE A: Teoria di Marcus del trasferimento elettronico e modello di Butler-Volmer pag. 175 Bibliografia pag. 184 6 Introduzione Il lavoro qui presentato ha riguardato la realizzazione e la caratterizzazione chimico-fisica, spettroscopica ed elettrica di un fotorivelatore ibrido, in fase solido/liquida, caratterizzato dalla interfaccia tra un polimero semiconduttore coniugato e una soluzione elettrolitica salina. Il dispositivo è racchiuso tra un contatto anodico di ossido di indio e stagno (ITO) ed un controelettrodo metallico di platino. In breve, possiamo definire tale sistema come una fotocella elettrochimica. Il materiale attivo è costituito da una eterogiunzione tra un materiale polimerico elettron-donore a base di tiofene (rr-P3HT) ed un materiale elettron-accettore (PCBM, un derivato solubile del fullerene); il blend adottato costituisce ad oggi uno dei materiali più largamente studiati per la realizzazione di celle solari polimeriche di terza generazione. La fase solida del dispositivo (ITO/blend polimerico) è del tutto convenzionale, ampiamente diffusa e ben caratterizzata. La novità del lavoro consiste nella introduzione dell’elettrolita, che influisce fortemente sulle proprietà del fotorivelatore, modificando in maniera sostanziale i processi chimico/fisici/elettrici in gioco. Lo studio dell’interfase polimero/elettrolita, in particolare, appare interessante perchè essa può essere considerata come il confine fisico tra meccanismi di conduzione della carica elettrica di tipo elettronico (propri di tutto il campo dell’elettronica e dell’optoelettronica, sia organica sia inorganica), e meccanismi di conduzione ionica (caratteristici di qualsiasi sistema biologico). A tale interfase si verificano fenomeni di accumulo di carica, di trasferimento di elettroni e/o lacune (e quindi reazioni di ossido-riduzione), di migrazione di ioni dall’elettrolita verso il polimero. Dal punto di vista delle possibili applicazioni, il sistema considerato riveste un duplice interesse, in campo biologico ed in campo energetico. Nel primo caso, studi precedenti all’interno del gruppo di ricerca hanno dimostrato che il medesimo blend polimerico caratterizzato in questa tesi può essere interfacciato a delle colture neurali e mediare otticamente l’eccitazione dei neuroni stessi (altrimenti del tutto ‘ciechi’ alla radiazione visibile). In altre parole, il blend polimerico può essere assimilato ad una sorta di fotorecettore artificiale. Il meccanismo alla base del processo di fotostimolazione è la creazione di un doppio strati di carica localizzato alle interfacce polimero/mezzo di coltura biologica e mezzo di coltura/membrana neurale. La caratterizzazione di tali strati di carica costituisce quindi un prerequisito indispensabile per l’ottimizzazione dell’accoppiamento tra il polimero e il neurone, e l’ingegnerizzazione del processo di fotostimolazione. Per quanto riguarda l’applicazione in campo energetico, la cella elettrochimica presa in esame potrebbe garantire una contemporanea conversione dell’energia solare sotto forma di due tipi di energia diverse: elettrica, come nel caso delle celle fotovoltaiche standard, tramite la generazione di fotocorrente, e chimica, come per le celle a combustibile, tramite la produzione di idrogeno con un processo di water splitting, alle due interfacce polimero/elettrolita ed elettrolita/controelettrodo. I vantaggi di tale approccio, se questo si dimostrasse valido e percorribile, sono molteplici, perchè idealmente consentirebbe di estrarre energia completamente ‘pulita’, sfruttando semplicemente la luce solare e l’acqua di mare. In questo caso, la piena comprensione e caratterizzazione dei fenomeni di trasferimento elettronico all’interfaccia, dei processi degradativi e ossidativi agli elettrodi e di diffusione ionica hanno evidentemente un ruolo chiave nella futura ottimizzazione dell’efficienza elettrochimica della cella. Durante questo lavoro di tesi ho acquisito delle competenze nella preparazione di fotorivelatori convenzionali e ibridi, nella realizzazione di film polimerici con varie tecniche, nella deposizione di metalli per evaporazione termica e sputtering. La parte cruciale del lavoro si è focalizzata sulla attività di caratterizzazione del dispositivo ibrido e dell’interfaccia solido/liquida che lo caratterizza. Allo scopo sono state adottate molteplici tecniche 7 sperimentali. In particolare, ho eseguito misure di assorbimento, di fotocorrente, di assorbimento fotoindotto (PA), di spettroscopia a modulazione di carica (CMS), di pH e di spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS). Complessivamente, la collezione di tutte le tecniche sopra citate ci ha permesso di delineare un quadro accurato dei fenomeni chimico-fisici di interfaccia, e in particolare dei processi di accumulo di carica, di trasferimento elettronico, di diffusione ionica e di degradazione ossidativa. La dissertazione del lavoro è organizzata come segue: • Capitolo 1: introduzione ai sistemi organici coniugati, con particolare attenzione alla fisica dei polimeri, ai principi di funzionamento di fotodiodi organici standard e ibridi, e cenni alle loro applicazioni; • Capitolo 2: trattazione teorica dell’interfaccia elettrolita/semiconduttore. In letteratura sono stati sviluppati dei modelli teorici per il solo caso dei semiconduttori inorganici, mentre il caso dei semiconduttori organici non è stato finora affrontato. Nel corso della trattazione saranno via via evidenziati i limiti di applicabilità dei modelli esistenti al caso specifico. • Capitolo 3: descrizione degli strumenti e delle metodologie utilizzate nella realizzazione e nella caratterizzazione dei dispositivi analizzati; • Capitolo 4: presentazione e discussione dei risultati sperimentali; • Capitolo 5: conclusioni e possibili sviluppi futuri. 8 Capitolo 1 1. Sistemi coniugati e forivelatori organici 1.1 Cenni di fisica molecolare Una soddisfacente descrizione delle molecole deve rendere ragione delle cause che promuovono l’aggregazione degli atomi e delle leggi che la regolano, così come delle caratteristiche geometriche delle molecole e della natura ed intensità dei legami. L’applicazione alle molecole della meccanica quantistica e dei concetti sviluppati per gli atomi ha in effetti consentito la realizzazione di questi obiettivi, permettendo altresì di prevedere e studiare nuovi fenomeni quali la risonanza, il legame da delocalizzazione o l’ibridazione, concetti fondamentali per lo studio di molecole organiche. L’equazione di Schrödinger per la molecola contiene, in linea di principio, tutte le informazioni necessarie; poiché è tuttavia impossibile una soluzione analitica di tale equazione, si perviene ai risultati desiderati attraverso ipotesi semplificatrici e approssimazioni di carattere fisico. La più importante approssimazione riposa sulla disparità della massa, e quindi di velocità, dei nuclei e degli elettroni. Ciò fa sì che nel tempo in cui i nuclei variano apprezzabilmente la loro posizione relativa, ogni elettrone, muovendosi molto più velocemente, possa occupare molte volte la serie di posizioni che costituiscono quella che si può chiamare “orbita” molecolare. Di conseguenza, nel descrivere la struttura elettronica si possono considerare i nuclei fissi; d’altra parte i moti vibrazionali e rotazionali di quest’ultimi si possono ritenere, in prima approssimazione, indipendenti dal moto degli elettroni. Questo è il contenuto fisico alla base dell’approssimazione di Born-Oppenheimer. Senza prendere in considerazione l’interazione spin-orbita e le interazioni iperfini, l’Hamiltoniana per una molecola composta di N nuclei e n elettroni si esprime come: 1.1 dove: ∑ energia cinetica degli elettroni ∑ energia cinetica dei nuclei ∑ ∑ ∑#$ " attrazione nuclei elettrone repulsione elettroni elettroni ∑(#) '( ') * /,() repulsione nuclei La funzione d'onda Ψtot(x,R), soluzione dell'equazione di Schrödinger Ĥ./0/ 1/0/ ./0/ 1.2 9 è una complicata funzione di tutte le variabili elettroniche e nucleari (e dei loro spin); abbiamo indicato con x la totalità delle variabili elettroniche (x = x1,y1,z1,…,xn,yn,zn) e con R quella delle variabili nucleari (R = X1,Y1,Z1,…,Xn,Yn,Zn), mentre con Ĥ l’operatore Hamiltoniano, definibile secondo le usuali regole di meccanica quantistica. Si definisce Hamiltoniano elettronico Ĥel l'operatore Hamiltoniano Ĥ privato del termine di energia cinetica nucleare: Ĥ2 1.3 Supponiamo di poter risolvere la relativa equazione di Schrödinger: Ĥ2 .2 34; 67 12 367.2 34; 67 1.4 Osserviamo bene questa equazione: Ĥel, operatore hamiltoniano elettronico, non contiene operatori differenziali implicanti le coordinate nucleari, le quali appaiono come dei parametri che possiamo fissare a nostra discrezione; diciamo che la funzione d'onda Ψel(x;R) (chiamata funzione d'onda elettronica) e l'energia Eel(R) (chiamata energia elettronica) sono funzioni parametriche delle sole coordinate nucleari. Nella funzione d'onda elettronica separiamo con un punto e virgola i due insiemi di coordinate, le coordinate dinamiche degli elettroni e le coordinate parametriche dei nuclei. Al cambiare della geometria nucleare (R) cambieranno sia Eel che Ψel. La risoluzione dell’equazione del problema elettronico fornisce in genere una pluralità di soluzioni per una data geometria nucleare: l'energia più bassa e la relativa funzione d'onda definiscono lo stato fondamentale elettronico della molecola a quella geometria mentre le altre energie e funzioni d'onda si riferiscono a stati elettronicamente eccitati della molecola. Una volta ottenuta l'energia Eel(R), possiamo studiare il suo andamento al variare della geometria nucleare: eventuali punti di minimo di Eel(R) costituiscono geometrie di equilibrio per la molecola. La posizione di una molecola viene specificata dando 3N valori alle coordinate nucleari; ma la geometria interna è individuata a meno di tre traslazioni e di tre rotazioni. Pertanto il numero di parametri necessario per specificare la geometria di una generica molecola non lineare è dato da 3N-6 (3N-5 per una molecola lineare). Quindi l'energia elettronica per una molecola triatomica non lineare è funzione di 3 coordinate, per una tetraatomica di 6 coordinate, etc. In una molecola poliatomica possono esistere più minimi relativi per Eel(R) e ciascun minimo individua un isomero. Ottenute l'energia elettronica Eel(R) e la funzione d'onda elettronica Ψel(x;R), Born e Oppenheimer arguiscono che la funzione d'onda totale (soluzione dell'equazione di Schrödinger con l'Hamiltoniano Ĥ) può essere approssimata come ./0/ 34, 67 .2 34; 679 367 1.5 dove la χn(R) è funzione delle sole coordinate nucleari. Questo è possibile perché, come già detto, secondo Born e Oppenheimer, la funzione elettronica Ψel(x;R) è a variazione molto lenta rispetto alle coordinate nucleari e le sue derivate rispetto a queste possono essere trascurate. Tralasciando maggiori dettagli matematici, per i quali si rimanda alla letteratura[12], si perviene anche all’equazione del problema nucleare, che assume la forma seguente: : 367 3 367 12 3677;9 367 102 9 367 1.6 Il termine (Vnn(R)+Eel(R)) può infine essere visto come un potenziale efficace per il problema nucleare, e tale interpretazione apre la strada ad approssimazioni armoniche di facile soluzione. Risolvendo il problema elettronico e quello nucleare è dunque possibile giungere alla soluzione totale del problema molecolare, vista come 1.5. 10 L’approssimazione di Born-Oppenheimer viene anche comunemente chiamata approssimazione adiabatica. Nella trattazione matematica completa possono sorgere termini “non adiabatici” derivanti dal moto dei nuclei, i quali portano ad importanti effetti derivanti dall’interazione tra gli elettroni e il campo elastico (interazione elettrone-fonone). Tra questi si annoverano l’effetto JahnTeller per la materia allo stato solido e l’analoga distorsione di Peierls in sistemi molecolari finiti[14]. Il problema elettronico di quasi la totalità delle molecole viene approcciato attraverso il cosiddetto metodo MO=LCAO, che prevede la costruzione degli orbitali molecolari a partire dagli orbitali dei singoli atomi costituenti la molecola a partire da considerazioni di simmetria. In prima approssimazione la teoria orbitale molecolare può essere considerata basata su due principi. Il primo afferma che contribuiscono agli orbitali molecolari soltanto gli orbitali atomici con la stessa simmetria, essendo nullo il contributo di sovrapposizione di orbitali con simmetria diversa. Il secondo afferma che contribuiscono agli orbitali molecolari solamente gli orbitali atomici con energie non troppo differenti. Tali principi hanno una derivazione nella teoria della fisica dello stato solido. Per certi problemi molecolari è conveniente, per questioni di simmetria della molecola, costruire gli orbitali molecolari attraverso la combinazione di orbitali atomici opportunamente adattati, detti SALC, ottenuti combinando orbitali atomici dello stesso atomo. In tal modo si riesce ad ottenere una simmetria a livello locale, dalla quale segue facilmente quella a livello molecolare. Un metodo iterativo approssimato per il calcolo degli orbitali molecolari consiste nel metodo di Hartree-Fock, il quale per superare il problema a più corpi, dato dall’avere molti elettroni interagenti tra loro, introduce il cosiddetto potenziale di Hartree-Fock, Vhf(i), che rende conto del potenziale medio risentito dall’iesimo elettrone per effetto degli altri elettroni. Ovviamente Vhf(i) dipende a sua volta dalle funzioni d’onda degli altri elettroni. Ricorrendo al metodo MO=LCAO si ottengono le cosiddette equazioni di Roothan-Hall la cui risoluzione richiede un approccio risolutivo del problema di tipo iterativo, fatto attraverso l’uso di calcolatori numerici, che fornisce una soluzione autoconsistente[13]. Un altro metodo approssimativo, più semplice dal punto di vista del calcolo matematico, di risoluzione del problema elettronico di una molecola consiste nella cosiddetta teoria di Huckel, la quale venne introdotta per lo studio dei sistemi organici π-coniugati. Tale teoria rappresenta il livello più semplice con cui trattare il problema quantistico elettronico molecolare a più corpi per mezzo di un Hamiltoniano efficace di particella singola Ĥeff, dipendente solamente dalle coordinate di un elettrone alla volta, grazie all’introduzione di un “campo medio”. In altre parole si suppone che gli elettroni non interagiscano direttamente tra loro, ma si muovano in un campo medio uguale per tutti il cui valore costituisce un parametro per il problema. In tal modo, a differenza del metodo Hartree-Fock, le equazioni agli autovalori per gli elettroni vengono disaccoppiate, così da permettere un calcolo mediante semplice algebra lineare dei livelli energetici e degli orbitali molecolari a seguito di semplificazioni fisiche e l’introduzione di parametri del problema. L’applicazione di tale metodo a sistemi coniugati organici è rimandata ai paragrafi successivi. 1.2 Atomo di carbonio e ibridazione Il carbonio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come simbolo C e come numero atomico 6. È un elemento non metallico, tetravalente. La sua configurazione elettronica è la seguente: 1s22s22p2. Gli elettroni costituenti la shell esterna sono quattro: 2s22p2, ma la loro distribuzione negli orbitali subisce una modifica mediante il processo di ibridazione, spiegabile quantisticamente mediante l’approccio SALC. Esistono tre tipi di ibridazione: 11 • sp3: genera 4 orbitali ottenuti per combinazione lineare degli orbitali 2s, 2px, 2py, 2pz; • sp2: genera 3 orbitali ottenuti per combinazione lineare degli orbitali 2s, 2px, 2py, lasciando inalterato l’orbitale 2pz; • sp: genera due orbitali per combinazione lineare degli orbitali 2s e 2px. Il meccanismo di ibridazione sp2 (nella trattazione che segue le altre due ibridazioni non interessano) genera i seguenti orbitali: .< =1/33@ √2CD 7 . =1/33@ =1/2CD =3/2CE 7 .F =1/33@ =1/2CD =3/2CE 7 L’orbitale 2pz rimane invariato, e costituisce l’elemento chiave nei sistemi coniugati. Da un punto di vista geometrico gli orbitali ibridi sp2 sono complanari e trigonali, ovvero orientati ad angoli di 120° l’uno rispetto all’altro. Figura.1.1 A sinistra: Rappresentazione degli orbitali atomici dell’atomo di carbonio nello stato fondamentale. A destra: Rappresentazione delle tre possibili forme di ibridazione del carbonio. 1.3 Materiali organici e sistemi coniugati Un composto organico è un membro di una vasta classe di composti chimici le cui molecole contengono carbonio. L'aggettivo "organico" ha origini storiche: anticamente si pensava infatti che le sostanze estratte da tessuti provenienti da organismi viventi, vegetali o animali, possedessero proprietà peculiari derivanti proprio dalla loro origine "organica" e che quindi non potessero essere sintetizzate o che i loro equivalenti sintetici fossero diversi per la mancanza di queste particolari proprietà. La sintesi in laboratorio dell'urea e la constatazione che l'urea sintetica ha le medesime proprietà chimico-fisiche di quella estratta dall'urina fecero cadere questo assunto e portarono alla definizione di "composto organico" attualmente in uso. Quando due o più atomi di carbonio si legano chimicamente tra loro si forma una molecola organica, i cui orbitali molecolari possono essere calcolati a partire dagli orbitali atomici di partenza. Di conseguenza è possibile stabilire anche i livelli energetici della molecola con le teorie 12 sopra descritte. Se i carboni sono ibridizzati sp2 (cosa che si verifica sempre nei sistemi coniugati), possono formare tra loro due tipi di legame: un legame a più alta energia di interazione, ottenuto dalla sovrapposizione di due orbitali ibridi sp2 e quindi posto sul loro stesso piano, o un legame con interazione più debole, ottenuto dalla sovrapposizione dei due orbitali 2pz. Per questioni di simmetria non possono essere formati legami per sovrapposizione di un orbitale ibrido sp2 e di uno 2pz. Il legame maggiormente legante viene in genere indicato come “σ”, poiché, se guardato dalla congiungente i due nuclei, presenta caratteristiche molto simili a quelle dell’orbitale atomico s. Infatti il legame σ ha simmetria cilindrica rispetto all’asse che congiunge i due nuclei e dunque momento angolare nullo rispetto ad esso. Al contrario il legame più debole è perpendicolare al segmento che congiunge i due nuclei e il suo momento di dipolo rispetto a questo asse è 1. Visto dalla congiungente i due nuclei esso può dunque essere paragonato ad un orbitale p, e quindi si indica con la lettera greca “π”. I legami σ e π comportano energie di legame molto diverse; in particolare il legame σ, che è situato sul piano degli orbitali ibridi, implica un’interazione tra i singoli atomi molto più forte di quella data dal legame π. Infatti la densità di carica nel legame σ è localizzata tra i due nuclei ed ha quindi una maggiore azione schermante, mentre gli elettroni dell’orbitale π si trovano più lontani dai nuclei ed interagiscono più debolmente con essi. Se due atomi di carbonio formano un solo legame esso è sempre un legame σ; se invece sono legati da un doppio legame si tratta di un legame σ e di uno π. La molecola di etilene (C2H4, Fig.1.2) costituisce il più semplice esempio di molecola organica. I due atomi di carbonio che la compongo sono ibridizzati sp2 e formano tra di loro un doppio legame covalente. Come specificato in precedenza un legame è di tipo σ e l’altro di tipo π. I livelli energetici della molecola di etilene possono essere calcolati, in prima approssimazione, a partire dai livelli energetici atomici tramite il metodo LCAO, stimando dunque i livelli energetici molecolari a partire dalla combinazione lineare dei livelli energetici atomici. Per una molecola biatomica come l’etilene si ottengono quindi due orbitali molecolari per ogni orbitale atomico coinvolto nella formazione del legame. Riferendosi ai livelli energetici si parla di “splitting” del livello energetico atomico nella formazione della molecola. Nell’esempio dell’etilene si può facilmente vedere (Fig 1.3) come dalla sovrapposizione dei due orbitali ibridi sp2 abbiano origine due orbitali molecolari di tipo σ, mentre la combinazione dei due orbitali 2pz genera due orbitali molecolari di tipo π. I due orbitali molecolari di ciascun tipo sono molto distanti in energia. L’orbitale ad energia maggiore viene contraddistinto da un asterisco (σ* e π*) e prende il nome di orbitale antilegante. Gli orbitali σ e π invece sono detti leganti o orbitali di legame. Matematicamente gli orbitali di legame derivano dalla sovrapposizione simmetrica degli orbitali atomici di partenza, mentre gli orbitali antileganti da quella asimmetrica. La sovrapposizione simmetrica localizza la carica molto in vicinanza dei nuclei rispetto alla sovrapposizione antisimmetrica, e per questo motivo gli orbitali di legame sono situati ad energie minori rispetto a quelli di antilegame. La differenza tra orbitali leganti e antileganti è che un elettrone che si trovi in un orbitale di legame favorisce la stabilità della molecola, mentre un elettrone presente in un orbitale antilegante crea instabilità nella molecola stessa. Nella molecola di etilene sono popolati i livelli degli orbitali σ e π, ciascuno da una coppia di elettroni con spin opposto. Tra i livelli energetici molecolari popolati quello a più alta energia viene chiamato HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital) e nel caso dell’etilene si tratta dell’orbitale π. Il livello successivo si indica con la sigla LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital) e per l’etilene è π*. Tramite eccitazione ottica è possibile promuovere gli elettroni del livello HOMO al livello LUMO, con la condizione che l’energia fornita agli elettroni per mezzo dei fotoni sia almeno pari alla gap di energia tra π e π*, cioè la gap elettronica. 13 Figura 1.2 Struttura di Lewis della molecola di etilene Figura 1.3 Rappresentazione dei livelli energetici in seguito a formazione del legame tra due atomi di carbonio. Per “sistema coniugato” si intende una macromolecola o una catena polimerica (o un insieme di catene) caratterizzato dall’alternanza di legami singoli (σ) e doppi (σ e π). Se immaginiamo, ad esempio, di iterare la struttura chimica dell’etilene n volte, otteniamo una catena polimerica di poliacetilene (Fig. 1.4), che costituisce il più semplice esempio di sistema coniugato. Figura 1.4 Tratto di catena di poliacetilene (C2H2) 14 Nel poliacetilene ciascun atomo di carbonio, ibridizzato sp2, forma 3 legami covalenti con i tre atomi di carbonio primi vicini (un legame singolo σ e un legame doppio σ e π) e un legame covalente di tipo σ con un atomo di idrogeno. La densità elettronica è localizzata sul piano degli orbitali relativa ai legami ibridi sp2 ed è concentrata lungo la congiungente i nuclei degli atomi coinvolti nei legami. In analogia con quanto visto per l’etilene, agli orbitali σ corrispondono i livelli energetici molecolari ad energia minore. La popolazione degli orbitali π risulta invece localizzata nello spazio al di sopra e al di sotto del piano molecolare (Fig. 1.5). Gli elettroni che popolano gli orbitali π sono delocalizzati sull’intera catena polimerica e sono in grado di muoversi con relativa facilità su di essa[4], [5]. Gli orbitali π costituiscono gli orbitali di frontiera di ogni sistema coniugato. Poiché ad essi corrispondono i livelli energetici molecolari più elevati, sono responsabili delle proprietà opto-elettroniche del sistema stesso. Si è visto nell’esempio della molecola di etilene che per una molecola biatomica ciascun livello energetico atomico dà origine a due livelli energetici molecolari. Questo concetto può essere esteso alla presenza di n atomi. Risulta dunque che per una catena contenente n atomi di carbonio ciascun livello energetico è soggetto a splitting in n livelli molecolari. Se il numero n di atomi è sufficientemente grande, e al limite tende ad infinito, allora anche il numero dei livelli energetici per la molecola cresce e diminuisce la loro separazione in energia fino a formare un continuo, cioè delle bande energetiche. Particolarmente interessanti sono le bande corrispondenti a quei livelli che per una singola molecola sono indicati come HOMO (π) e LUMO (π*); la loro distanza in energia determina la gap elettronica del sistema coniugato. La distanza tra le bande diminuisce, cioè la gap si chiude, al crescere di n (Fig 1.6). Per una catena polimerica molto lunga n può essere trattato come tendente all’infinito, e quindi la catena di poliacetilene risulta avere gap nulla. Poiché ciascun atomo di carbonio mette in compartecipazione un orbitale 2pz popolato da un solo elettrone, la banda della catena polimerica è popolata fino a metà e quindi il poliacetilene risulta essere un metallo. Tuttavia è possibile verificare sperimentalmente che il poliacetilene non si comporta come un metallo bensì come un semiconduttore. Ciò significa che in realtà la gap non può essere nulla ed è infatti possibile misurare che è ampia circa 1.9 eV. Quanto detto finora quindi, pur essendo sostanzialmente corretto, ha portato ad una conclusione errata. Questo perché per descrivere correttamente la catena polimerica è necessario tener conto del fatto che in realtà i legami singoli e i legami doppi tra gli atomi di carbonio non sono energeticamente equivalenti. Si può verificare che, tenendo conto della Distorsione di Peierls, è possibile ottenere risultati teorici in buon accordo con i risultati sperimentali. Figura 1.5 Legami π nella catena di poliacetilene 15 Figura 1.6 A: Dispersione E(k) prima della distorsione, si può notare il comportamento metallico del sistema. B: Grafico della dispersione ottenuto tenendo conto della distorsione di Peierls. 1.4 La distorsione di Peierls Consideriamo una singola catena di poliacetilene. Essa costituisce un sistema monodimensionale (1D). Le considerazioni fatte finora ipotizzano che gli atomi di carbonio che compongono la catena siano tutti equispaziati; in questo modo si ottiene una struttura periodica che può essere per certi aspetti trattata come qualsiasi altro solido cristallino. Possiamo indicare con a la distanza tra un atomo e il successivo (Fig. 1.6A), ovvero il periodo della catena[3]. In realtà è possibile calcolare e verificare sperimentalmente che nello stato fondamentale la catena è stabile in una configurazione in cui sono presenti legami di lunghezze alternativamente diverse (Fig. 1.7 B). In questo modo viene minimizzata l’energia del sistema. Questa distorsione rispetto alla catena equispaziata prende il nome di Distorsione di Peierls[6]. In questa configurazione ogni carbonio si trova ad una certa distanza dal primo vicino a cui è legato tramite un legame singolo e ad una distanza minore dal carbonio al quale, invece, è legato da un legame doppio. Per il poliacetilene queste distanze di legame sono di circa 1.44 Å e 1.36 Å rispettivamente. Ciò significa che il passo reticolare della catena non è più uguale ad a, ma vale 2a. L’unità fondamentale di una struttura con atomi equispaziati sarebbe (CH), mentre nel caso della catena di periodo 2a diventa (CH=CH); per questo motivo il fenomeno prende il nome di “dimerizzazione”. E in ultima analisi la dimerizzazione del polimero determina l’aprirsi della gap elettronica del materiale e le proprietà di conduzione del polimero. 1.5 Gap Elettronica e Gap Ottica I semiconduttori organici presentano importanti differenze rispetto a quelli inorganici: ciò determina l’impossibilità di adottare il classico modello a bande per la descrizione dei processi di conduzione di carica. In particolare nei polimeri si distingue tra gap ottica e gap elettronica (∆EHOMO-LUMO). La prima rappresenta l’energia che è necessario fornire affinché si formi una coppia legata elettrone-lacuna, ovvero un eccitone, mentre la seconda è la distanza HOMO-LUMO e rappresenta l’energia necessaria per la formazione di cariche libere. Ovviamente la gap ottica risulta minore di quella elettronica (Fig. 1.7). Inoltre i solidi molecolari sono generalmente caratterizzati da un alto grado di disordine e questo fa si che siano presenti dei livelli energetici tra HOMO e LUMO, ovvero all’interno della gap del semiconduttore. Per questo motivo non è 16 propriamente corretto parlare di bande energetiche per un semiconduttore organico. Nel seguito vengono sviluppati questi concetti in maniera più approfondita. Figura 1.7 Rappresentazione dei livelli energetici per un semiconduttore organico. EX rappresenta l’energia di legame dell’eccitone. 1.6 Eccitoni e polaroni In letteratura è possibile trovare svariate accezioni del termine ‘eccitone’; genericamente parlando, possiamo comunque definire l’eccitone come uno stato eccitato molecolare, rappresentato da un sistema elettrone-lacuna legato da una interazione di tipo coulombiano, che può diffondere, con processi di hopping, da una catena all’altra o all’interno della stessa catena. La specie eccitonica dominante nei dispositivi organici è il cosiddetto eccitone di Frenkel, cioè una coppia elettrone-lacuna legata (energia di legame di circa 0.5-1 eV), che è generalmente localizzata, ad un certo istante, su una singola molecola. Il raggio medio di un eccitone di Frenkel è dell’ordine di 1 nm. In cristalli molecolari molto ordinati o in polimeri allineati, si possono formare anche eccitoni charge-transfer. Tali eccitoni, a loro volta mobili all’interno del materiale, sono costituiti da coppie elettrone-lacuna in cui le due cariche sono poste su molecole o catene adiacenti. A causa del loro maggior diametro, essi hanno un legame molto più debole degli eccitoni di Frenkel (circa 10100 meV). Un terzo tipo di eccitone è l’eccitone di Wannier, per il quale la delocalizzazione dell’elettrone rispetto alla catena contenente la buca è molto ampia. La localizzazione di un eccitone dipende da fattori quali lo schermaggio elettrico del materiale, la polarizzabilità delle sue molecole e la loro vicinanza. In figura 1.8 è riportata una rappresentazione pittoresca di tali tre tipi di eccitoni. Figura 1.8 Rappresentazione pittorica degli eccitoni caratterizzati da diverse energie di legame. 17 Nei fotodiodi, gli eccitoni devono essere dissociati per creare corrente prima di una eventuale loro ricombinazione. Bisogna dunque superare la barriera di potenziale costituita dalla loro energia di legame. All’interno del materiale polimerico attivo di un fotodiodo è presente un campo interno, dovuto alla differenza tra le funzioni lavoro degli elettrodi, che porta ad una probabilità di dissociazione dell’eccitone non nulla anche in assenza di campo elettrico esterno applicato (polarizzazione del diodo). La probabilità di dissociazione dell’eccitone aumenta al crescere della temperatura e dell’energia di eccitazione. Infatti nel primo caso è più facile che l’eccitone acquisisca l’energia necessaria a rompere il legame tra i due portatori che lo costituiscono (l’energia di legame di un eccitone è solitamente compresa tra 0,2 eV e 1 eV, mentre l’energia termica a temperatura ambiente è 25 meV). Nell’altro caso è la delocalizzazione dei livelli alti in energia a consentire una rapida dissociazione. La dissociazione dell’eccitone dà luogo alla formazione di due polaroni, dove con polarone si intende l’insieme della carica e della distorsione che questa provoca alla struttura del materiale (si producono cambiamenti a livello della struttura fisica della molecola e degli stati elettronici a causa della presenza di una carica elettrica in movimento). La generazione di carica, oltre che per dissociazione di eccitoni fotogenerati, può avvenire termicamente in modo diretto o per iniezione di corrente. Il primo modo è poco efficiente poiché i materiali organici in questione hanno un gap di circa 2 eV e, trascurando fenomeni di drogaggio, il livello di Fermi sta circa a 1 eV dalle bande di conduzione e di valenza. Il secondo modo consiste nell’iniezione di cariche attraverso gli elettrodi. Perché ciò avvenga è necessario che superino la barriera di potenziale che si crea all’interfaccia tra l’elettrodo e il materiale organico, la quale dipende dalla funzione lavoro del metallo e dai livelli HOMO e LUMO del semiconduttore. La modalità di attraversamento della barriera avviene in due modalità: -field emission model; -Shottky model. La prima modalità descrive un processo di tunneling dei portatori dipendente dal campo elettrico a cui sono sottoposti (la probabilità di tunneling aumenta col crescere del campo elettrico). Questo processo è predominante a basse temperature. Con l’aumentare della temperatura diventa predominante la seconda modalità, che consiste nel superamento della barriera grazie all’acquisizione di energia termica. 1.7 Fotodiodi organici standard In questo paragrafo vengono introdotti i fotodiodi organici standard, descrivendone il principio di funzionamento, la struttura e le principali cifre di merito. Essi infatti costituiscono un utile riferimento per la struttura non-convenzionale rappresentata dai fotorivelatori ‘ibridi’ (paragrafo 1.8), oggetto del lavoro di caratterizzazione svolto in questa tesi, in cui il catodo metallico viene sostituito da un elettrolita liquido. Anche se tale struttura presenta interessanti proprietà di azione fotovoltaica, e può essere caratterizzata sfruttando gli stessi parametri tradizionalmente utilizzati per i fotodiodi e le celle fotovoltaiche, non si può a rigore parlare di ‘fotodiodo’, e ci riferiremo ad essa con il più appropriato termine di ‘cella elettrochimica’. Nel corso della trattazione verranno via via evidenziate analogie e differenze rispetto ai dispositivi standard in termini di principi fisici alla base del funzionamento, realizzazione del dispositivo, proprietà chimico-fisiche, meccanismi di trasporto di carica, parametri di merito, etc. 18 1.7.1 Principio di funzionamento[1], [8], [11] Per fotodiodo si intende un dispositivo in grado di convertire luce, ovvero un segnale ottico, in un segnale elettrico. Nel caso di un fotodiodo organico tale processo avviene attraverso quattro passi (Fig 1.10): • assorbimento fotonico per la creazione di uno stato eccitato, ovvero un eccitone; • diffusione dell’eccitone; • separazione dell’eccitone; • raccolta delle cariche agli elettrodi. Un esempio di struttura di un fotodiodo è rappresentato nella figura che segue, in cui sono rappresentati quattro dispositivi. Figura 1.9. Schema 3D di un tipico dispositivo Il substrato può essere semplicemente vetro. L’anodo è rappresentato da uno strato di ossido di indio e stagno (Indium Tin Oxide, ITO), mentre il catodo consiste in uno strato di circa 80 nm di alluminio depositato attraverso un processo di evaporazione termica. Il polimero (o il blend di polimeri) rappresenta il materiale fotoattivo del dispositivo, ovvero corrisponde alla zona in cui il fotone viene assorbito per generare un eccitone. Gli strati di poly(3,4-ethylenedioxythiophene) (PEDOT) e di fluoruro di litio (LiF) favoriscono il trasporto dei portatori di carica nel loro cammino verso l’anodo o il catodo (rispettivamente), aumentando l’efficienza quantica esterna (EQE) del fotodiodo. Lo spessore dello strato di LiF deve essere dell’ordine di 1,5nm, con effetti deleteri in caso di superamento di tale ordine di grandezza, a causa delle proprietà isolanti di tale materiale. I meccanismi alla base del miglioramento dell’EQE sono: • la diminuzione della funzione lavoro dell’alluminio, con conseguente diminuzione della barriera con il LUMO del materiale attivo; • dissociazione del LiF e conseguente drogaggio del materiale attivo; • protezione del materiale attivo dagli atomi di alluminio durante il processo di deposizione; • formazione di un dipolo all’interfaccia. Il PEDOT è un polimero coniugato idrosolubile, conduttore di lacune. È efficace nel diminuire la barriera di potenziale tra ITO e polimero. Fotoeccitazione Qualsiasi sia la struttura del fotodiodo organico, le formazione dell’eccitone avviene sempre nello stesso modo. Quando un fotone (con energia almeno pari alla gap ottica del polimero) incide sul dispositivo dalla parte dell’elettrodo trasparente (ITO) esso penetra nel dispositivo fino a raggiungere il materiale attivo. Qui il fotone può cedere la sua energia ad un elettrone dell’HOMO promuovendolo ad un livello energetico più alto, e si forma così un eccitone di Frenkel (Fig. 1.10). 19 L’eccitone che si forma è una quasi-particella neutra, caratterizzata da un’energia di legame di circa 1 eV. Figura 1.10 Schema di funzionamento di un fotodiodo organico a doppio strato con interfaccia materiale attivo trasporto di elettroni. I processi fisici che portano alla generazione della fotocorrente sono: 1) Assorbimento dei fotoniincidenti nel materiale attivo e formazione degli eccitoni; 2) Diffusione degli eccitoni fino alle interfacce polimero-polimero o polimero-elettrodo; 3) Trasporto di carica; 4) Raccolta delle cariche agli elettrodi. Generazione di carica Come accennato in precedenza, nei materiali organici si generano prevalentemente eccitoni di Frenkel, ovvero localizzati su di una singola molecola o catena polimerica. Se l’elettrone eccitato, però, riesce a spostarsi su una delle molecole (o catene) adiacenti, allora si generano due stati di carica di segno opposto (lacuna da una parte ed elettrone dall’altra) che innalzano la conducibilità del materiale. Un eccitone può compiere degli spostamenti su distanze dell’ordine di 2÷3 volte la sua lunghezza di diffusione, cioè, per la maggior parte dei materiali organici, entro i primi 15÷20 nm. Se quindi un eccitone si forma nel bulk (considerando fotodiodi a singolo strato) a distanze maggiori di 20 nm circa dell’interfaccia polimero/elettrodo, esso ricombina senza apportare contributo alla formazione di cariche libere nel dispositivo. I fenomeni che conducono alla dissociazione di carica nei materiali organici sono: • Dissociazione della carica dovuta a meccanismi intrinseci, cioè dissociazione da uno stato di singoletto ad elevata energia; • Dissociazione dovuta a meccanismi estrinseci, quali presenza di trappole, accoppiamento locale delle catene o impurezze. In entrambi i casi, perché la dissociazione abbia luogo, la molecola sulla quale si è formato l’eccitone deve ionizzarsi trasferendo l’elettrone su di un’altra molecola tra quelle vicine. In pratica l’eccitone modifica la propria energia di legame e diventa un eccitone di charge-transfer. Questo processo pende il nome di autoionizzazione[2]. Quando l’eccitone si forma, l’elettrone viene promosso in energia: si dice che è un elettrone “caldo”. Questo elettrone è caratterizzato da un’energia cinetica molto elevata, una parte della quale è in eccesso e viene persa in tempi brevissimi a seguito dell’eccitazione. In questo modo l’eccitone si assesta ad una distanza rth dalla lacuna, detta distanza di termalizzazione. Nei semiconduttori organici rth ha generalmente valori molto piccoli e quindi c’è alta probabilità che avvenga ricombinazione tra le cariche legate. Se rth avesse valori elevati potrebbe essere sufficiente l’energia termica per causare la dissociazione dell’eccitone. E’ possibile stimare un valore di rth, che viene indicato con rc, che 20 segni il confine tra le situazioni di “vicino” e “lontano” per le due cariche. Tale valore può essere ricavato uguagliando l’energia di interazione coulombiana all’energia termica kT, e risulta: ,G * /4IJK 1.7 rc è detto raggio di cattura coulombiano. Poiché i valori tipici della costante dielettrica ε per i materiali organici sono abbastanza piccoli, i valori di rc necessari a garantire l’autoionizzazione spontanea sono alti e difficilmente ottenibili. Tuttavia è possibile agire su un polimero in tre modi per migliorarne l’autoionizzazione: • si può aumentare l’energia dei fotoni incidenti sul materiale in modo da creare elettroni con un’energia cinetica maggiore, che si traduca in una lunghezza di termalizzazione alta; • oppure si può applicare un campo elettrico esterno che favorisca la separazione delle cariche. Tale campo si sovrappone a quello interno di built-in dovuto all’allineamento dei livelli di Fermi dell’ITO e dell’alluminio con diverse funzioni lavoro; • si può realizzare lo strato attivo con opportune architetture donore/accettore in seguito discusse. Trasporto di carica I fenomeni di trasporto delle cariche sono determinati dalle proprietà degli strati organici, cioè dalle mobilità degli elettroni e delle lacune e dai processi di ricombinazione all’interno dei materiali attivi. Il meccanismo di trasporto dominante è costituito da processi di hopping, ovvero di passaggio attraverso salti termicamente attivati tra molecole adiacenti. Tale processo prende anche il nome di Tunneling termicamente assistito e la probabilità di hopping segue la seguente legge: N C L *4C MOPQ R *4C3ST7 1.8 dove il primo termine rappresenta l’interazione con un fonone, e il secondo la probabilità di tunneling attraverso la barriera larga L. Soltanto in un cristallo ideale a temperatura bassa diventa non trascurabile un trasporto di tipo coerente tipico di stati delocalizzati. Nel caso dei polimeri le proprietà di trasporto sono una combinazione fra processi di hopping sulla singola catena polimerica e fra catene adiacenti. La possibilità di hopping è dovuta alla parziale sovrapposizione degli orbitali I tra molecole o catene polimeriche adiacenti. La mobilità ottenibile è molto più bassa di quella caratteristica dei semiconduttori inorganici, che generalmente varia da 102 a 104 cm2V-1s-1. In materiali organici dotati di struttura cristallina, dove le cariche saltano fra molecole adiacenti molto vicine e molto ordinate, si possono ottenere mobilità a temperatura ambiente di circa 1 cm2V-1s-1. Apparentemente questo è il limite superiore ottenibile limitato dal moto termico fra le molecole vicine. In sistemi molecolari più disordinati e nei polimeri le mobilità sono circa 10-3, 10-5 volte questo valore limite. Per aumentare la mobilità si possono utilizzare tecniche di crescita che favoriscano l’allineamento delle catene polimeriche. In genere la mobilità è anche funzione del campo elettrico (come in tutti i materiali in cui la mobilità è limitata da meccanismi di hopping). Ciò perché la barriera energetica per il salto da una posizione all’altra diminuisce in presenza del campo elettrico. Generalmente si ha: U317 UV *4C3W√17 1.9 dove E è il campo elettrico; µ0 e δ sono parametri che dipendono dal materiale e dalla temperatura. La bassa mobilità implica una bassa conducibilità elettrica, σ = neµ, dove n è la densità di carica ed 21 e è la carica elettronica. Conducibilità tipiche in materiali organici sono σ X 10-6 S/cm. Una bassa mobilità porta a una velocità molto bassa delle cariche: v = Μe X 10 cm/s, assumendo un campo elettrico E = 100 V/cm, tipico di molti dispositivi. Nel materiale attivo, a causa dell’allineamento dei livelli di Fermi dell’ITO e dell’alluminio con diverse funzioni lavoro, si genera un campo interno o di built-in, il quale favorisce la formazione di portatori a partire dall’eccitone anche in assenza di campo elettrico esterno. Dopo la dissociazione eccitonica, l’elettrone viene attirato verso il catodo (elettrodo con funzione lavoro bassa) se il dispositivo non è polarizzato o è polarizzato in inversa. Il primo caso corrisponde alla situazione tipica delle celle fotovoltaiche, in cui si vuole convertire energia luminosa in energia elettrica. Lavorando in regime di polarizzazione inversa si aumenta la probabilità di dissociazione degli eccitoni, ed è quindi possibile sfruttare il dispositivo come fotorivelatore. 1.7.2 Circuito equivalente Lo schema elettrico di un fotodiodo organico è rappresentato in figura 1.11[7]. Si può vedere che il circuito è molto semplice e consiste in una resistenza costante R0 (in parallelo), una resistenza dipendente dall’intensità della luce incidente Rshunt (Ф) (in serie), un diodo (che modellizza il comportamento del sistema sotto tensione inversa applicata), una capacità C e un generatore di corrente I(Ф) anch’esso dipendente dall’intensità incidente. In generale ciascuno di questi componenti dipende fortemente dalle caratteristiche di fabbricazione del dispositivo, dalla qualità dei materiali impiegati e dalle dimensioni del fotodiodo. I valori di R0 variano tra 100 Ω e 1 kΩ; una volta determinato il valore di R0 per un dato fotodiodo esso è costante. I(Ф) rappresenta la corrente che fluisce nel dispositivo in seguito alla fotoeccitazione, e perciò dipende da tutti processi fisici interni al dispositivo, quali generazione degli eccitoni, loro dissociazione e trasporto delle cariche. A livello macroscopico i maggiori parametri di influenza per I(Ф) sono l’intensità incidente e l’ampiezza dell’area illuminata. La resistenza Rshunt dipende dalla luce incidente nel senso che diminuisce all’aumentare dell’intensità, ovvero le cariche che fluiscono verso gli elettrodi incontrano una resistenza effettiva minore se l’intensità incidente è maggiore (a causa di effetti di saturazione riguardanti eventuali meccanismi trappola). Essa è anche soggetta a variazioni dovute a fattori ambientali, come, ad esempio, la temperatura. La capacità C del dispositivo dipende sia dalla costante dielettrica degli strati posti tra gli elettrodi, sia dall’area del dispositivo. La corrente totale che fluisce nel dispositivo può essere scritta come somma di tre contributi: Y/0/ YZ0Z 37 – Y2\]\^ 37 – Y _0/0 37 1.10 Idiode(V) esprime la relazione tensione-corrente per un diodo. Se c’è contatto ohmico tra gli elettrodi Idiode si può scrivere come: ` YZ0Z 37 a J JV UV * b c 1.11 dove V è la tensione esterna applicata, εrε0 la costante dielettrica del mezzo, µ0 la costante magnetica del vuoto e d lo spessore del dispositivo. La corrente in uscita dal dispositivo è data dalla semplice relazione: Y _0/0 S3d7 R Ф 1.12 dove α(λ) è la responsività del fotodiodo misurata in AW-1. La responsività è fortemente influenzata dalla lunghezza d’onda incidente e dall’efficienza quantica esterna del dispositivo. 22 Infine la corrente di leakage si può esprimere semplicemente con la legge di Ohm utilizzando la resistenza di shunt: f\g Y2\]\^ 37 R 6g_h/ 3Ф7 1.13 Il valore di Rshunt(Ф) si può esprimere mediante una legge empirica: 6g_h/ 3Ф7 < iRj 6\D R 31 kФV.` 7m< 1.14 con W e L larghezza e lunghezza del fotodiodo rispettivamente, Rmax valore di Rshunt di buio, Ф intensità della luce ed m gradiente della relazione intensità-resistenza, che per valori alti di intensità risultapraticamente lineare. Osserviamo che il minimo della corrente di leakage è ottenuto per tensione di bias nulla. Tuttavia nei dispositivi reali la Vbias ha un valore di almeno qualche Volt, e questo provoca una diminuzione della sensibilità complessiva del sistema. Figura 1.11 Circuito elettrico equivalente di un fotodiodo organico. 1.7.3 Cifre di merito Coefficiente di assorbimento In generale, ogni volta che un’onda elettromagnetica incide su di un piano di discontinuità tra due mezzi viene in parte trasmessa al mezzo 2 ed in parte riflessa indietro nel mezzo 1. Sotto l’ipotesi di incidenza a 0° la frazione di onda riflessa Ir/I0 è data dal coefficiente di riflessione di Fresnel: 6 3n m 7 1.15 3n o 7 I fotodiodi organici hanno molteplici strati e quindi la luce incidente incontra numerose superfici di discontinuità (vetro-ITO, ITO-PEDOT:PSS, ecc…) e subisce altrettante riflessioni parziali. Nel complesso solo una parte dei fotoni incidenti raggiungerà effettivamente il materiale attivo. Inoltre la radiazione incidente sullo strato attivo sarà soggetta alla legge di Lambert-Beer, che è una legge esponenziale che esprime la quantità di luce non assorbita nel polimero in funzione della distanza dal piano di incidenza: 23 Y3p7 YV * m(3q7r 1.16 dove z è la distanza dal piano di incidenza, I0 è l’intensità di luce incidente sul materiale attivo e α(λ) è il coefficiente di assorbimento del materiale attivo. Si può inoltre definire il parametro “lunghezza di diffusione” come pZ 1/ S 1.17 che dice a quale distanza l’intensità della luce si è ridotta di un fattore 1/e. Si noti che è determinante per il coefficiente di assorbimento di un materiale la dipendenza dalla lunghezza d’onda incidente. Per garantire un buon funzionamento del dispositivo è di particolare interesse che il coefficiente di assorbimento abbia un valore il più possibile elevato. Nei materiali organici questo requisito è soddisfatto, infatti i valori tipici di α(λ) nel visibile arrivano a superare 105 cm-1. Ciò comporta che la radiazione sia quasi totalmente assorbita entro i primi 100 nm di spessore, un ordine di grandezza normalmente ottenuto con le tecniche di deposizione a disposizione. Efficienza quantica esterna e responsività spettrale Come precedentemente accennato, l’efficienza totale del dispositivo dipende criticamente dalle efficienze di tutti i singoli processi fisici aventi luogo all’interno del dispositivo. Ciò significa che il comportamento di un fotodiodo, in generale, è molto lontano da quello che sarebbe il suo comportamento ideale, ovvero non esistono fotodiodi che inviino realmente al circuito esterno un elettrone per ogni fotone incidente su di essi. Per descrivere il comportamento di un fotodiodo reale si utilizza solitamente il parametro efficienza quantica esterna (EQE), definita appunto come rapporto tra il numero di cariche che fluiscono nel circuito esterno e il numero di fotoni incidenti sul dispositivo per unità di tempo. L’EQE è dunque una quantità adimensionale e spesso viene espressa in percentuale (EQE%). In formule si ha: t/ 1s1 u/_v w3d7/Ф3d7 1.18 dove I è la corrente totale che fluisce nel circuito esterno, e è l’unità fondamentale di carica, P la potenza luminosa incidente sul dispositivo, hν l’energia del fotone, n(λ) è numero di cariche elettriche raccolte nel circuito esterno e Ф(λ) è il numero di fotoni assorbiti ad una determinata lunghezza d’onda. E’ possibile esprimere l’EQE in termini di efficienze dei processi interni al dispositivo tenendo in conto quelli che sono i principali contributi, ovvero: l’efficienza di assorbimento del materiale attivo, che indichiamo con A, l’efficienza di dissociazione dell’eccitone, ηed, e l’efficienza di raccolta delle cariche agli elettrodi, Q. Risulta allora: 1s1 x R yZ R s 1.19 Il prodotto ηed * Q è definito come efficienza quantica interna, ηint. L’efficienza Q dipende soprattutto dal contatto tra gli elettrodi e dal materiale attivo stesso, mentre l’efficienza di assorbimento A è funzione di molteplici variabili quali: matching tra spettro di assorbimento del materiale e spettro incidente, coefficiente di assorbimento del materiale, spessore dello strato attivo e riflessioni multiple interne al dispositivo dovute ai vari stati presenti nel fotodiodo (strati organici ed elettrodi). ηed è un parametro fortemente dipendente dalle caratteristiche intrinseche del fotodiodo, quali tipo e spessore del materiale attivo, campo elettrico intrinseco interno alla struttura, ecc. 24 La responsività spettrale è un parametro che descrive quanta corrente fluisce nel circuito esterno per unità di potenza luminosa incidente. Il simbolo con cui indichiamo la responsività è SR(λ), dove è sottolineata la forte dipendenza della responsività dalla lunghezza d’onda. SR(λ) ed EQE sono in realtà due parametri simili e sono legati dalla relazione: 1s1 z63d7 _G 1.20 q Infine è importante ricordare che non necessariamente i picchi dello spettro di assorbimento di un materiale attivo coincidono con quelli delle risposte spettrali di fotocorrente dei fotodiodi. In particolare, la risposta spettrale di un fotorivelatore può essere prevalentemente di tipo: • simbatico; • antibatico. Nel primo caso gli spettri di fotocorrente sono simili, in termini delle lunghezze d’onda di picco e di larghezza di riga, agli spettri di assorbimento del materiale polimerico attivo. Si parla invece di risposta antibatica quando il picco di fotocorrente del materiale corrisponde a zone spettrali dove l’assorbimento ottico del materiale è minore. Filling factor In questo lavoro di tesi si porrà l’accento su fotodiodi organici operanti in regime fotovoltaico, ovvero in assenza di tensione esterna applicata. Tuttavia per completezza si descrive qui brevemente il parametro filling factor (FF), che come si vedrà dipende fortemente dalla tensione esterna applicata. A tensione esterna applicata uguale a zero, corrisponde una corrente puramente fotoindotta, detta corrente di corto circuito. Isc dipende soprattutto dalla mobilità delle cariche nel polimero e dalla morfologia dello strato attivo. Applicando una tensione diretta si genera nel dispositivo una seconda corrente, detta corrente d’iniezione, e dovuta, appunto, al campo esterno. Le due correnti sono opposte, e tendono ad annullarsi al crescere della tensione diretta applicata. Il valore di tensione tale per cui la corrente d’iniezione e quella di cortocircuito si annullano, facendo sì che di fatto non scorra corrente nel fotodiodo, prende il nome di tensione di circuito aperto, e si indica con Voc. Per ciascun fotodiodo, Voc dipende fortemente dalla distanza HOMO-LUMO del materiale attivo ed in maniera più blanda dalle working function degli elettrodi. Il filling factor dà il rapporto tra il massimo della potenza elettrica realmente ottenibile nel fotodiodo e la potenza massima ideale (non ottenibile). In formule risulta: {{ 3Y\D \D 7 3Y0G gG 7m< 1.21 FF è un numero compreso tra 0 e 1, e valori più alti attestano una migliore qualità del dispositivo. Il FF viene spesso utilizzato per caratterizzare le celle solari; le migliori celle solari commerciali hanno valori di FF di circa 0,7. 1.7.4 Geometrie Nella figura 1.12 sono riportate due diverse geometrie di realizzazione dei dispositivi. La geometria verticale è caratterizzata da una elevata capacità, ma la realizzazione è a basso costo e permette di avere un campo elettrico costante nel polimero. Per la relativa semplicità in termini di realizzazione, abbiamo creato dispositivi con tale geometria. La geometria orizzontale è più costosa e dà luogo ad un campo elettrico non uniforme, ma ha il pregio di avere bassa capacità e la possibilità di avere il cammino ottico della luce disaccoppiato da 25 quello elettrico delle cariche. Grazie a tale proprietà è possibile ottimizzare lo spessore verticale del polimero per ottenere un elevato assorbimento ottico, e la distanza tra gli elettrodi per avere una buona raccolta delle cariche fotogenerate. Figura 1.12. a) Geometria verticale. b) Geometria orizzontale 1.7.5 Architetture multistrato Eterogiunzione a doppio strato L’architettura a doppia eterogiunzione consiste nell’utilizzo di uno strato di materiale attivo (Donore) e di uno strato di elettron accettore, in contatto rispettivamente con gli elettrodi di ITO e di alluminio. Il [6,6]-phenyl C61 butyric acid methyl ester (PCBM), versione solubile del più noto fullerene C60, è uno degli elettron accettori più largamente utilizzati. Tale materiale permette il miglioramento della EQE attraverso l’ottimizzazione del processo di separazione dell’eccitone. Il procedimento si basa sulla creazione di un interfaccia Donore/Accettore dove il Donore è il materiale attivo mentre l’Accettore è il PCBM. Il processo coinvolge i livelli HOMO e LUMO di entrambi. I livelli di HOMO e LUMO dell’accettore devono essere più bassi in energia rispetto a quelli della specie Donore. In questo modo è favorito il trasferimento dell’elettrone, appartenente alla coppia elettrone-lacuna, dal materiale attivo al PCBM: i due portatori di carica sono in questo modo fisicamente separati poiché si trovano su molecole diverse, e ciò diminuisce efficacemente la probabilità di una loro ricombinazione. Il dispositivo così realizzato mostra un miglior matching dei livelli energetici (Fig. 1.13), il quale si evidenzia con un miglior comportamento rettificante del diodo. Figura1.13. Rappresentazione schematica dei livelli Donore/Accettore in unaarchitettura a doppio strato. Da notare il miglior matching dei livelli energetici con le interfacce degli elettrodi. Le bande sono graficate prima della formazione dell’interfaccia D/A. 26 Gli aspetti fondamentali di tale architettura sono i seguenti: • percentuale di dissociazione dell’eccitone prossima al 100% nei pressi dell’interfaccia D/A; • area attiva corrispondente alla regione che circonda l’interfaccia D/A per un’estensione pari alla lunghezza di diffusione dell’eccitone; • efficienza di raccolta agli elettrodi elevata, dipendente dalla morfologia di entrambi gli strati. I dispositivi di questo tipo soffrono principalmente della bassa lunghezza di diffusione dell’eccitone e delle basse mobilità degli elettroni nello strato di PCBM. Gli eccitoni che si formano distanti dall’interfaccia D/A più della propria lunghezza di diffusione si ricombinano senza generare una coppia di cariche. Eterostruttura a Bulk (eterogiunzione dispersa) Tale architettura permette di risolvere le caratteristiche negative della eterogiunzione a doppio strato grazie alla dispersione a livello nanometrico della interfaccia D/A. Ciò consente una efficienza quantica di dissociazione dell’eccitone pari al 100% (essendo la lunghezza di diffusione dell’eccitone dell’ordine di 10 nm) e l’area attiva corrisponde all’intero volume del materiale bulk. Tuttavia, a causa del disordine strutturale indotto, si registra una diminuzione nell’efficienza di raccolta agli elettrodi. La morfologia del film risulta dunque un fattore molto critico e delicato da gestire al fine di ottenere le EQE desiderate. Eterogiunzione a multistrato Tale architettura permette di risolvere sia il problema di una soddisfacente efficienza di dissociazione eccitonica della eterogiunzione a doppio strato, sia quella di un efficiente raccolta delle cariche agli elettrodi. La figura che segue presenta una visione schematica dei livelli energetici associati a tale architettura. Figura 1.14. Rappresentazione schematica dei livelli energetici di un dispositivo a multi-interfacce D/A. Il meccanismo di conduzione di cariche avviene per tunneling attraverso gli strati di 1nm. Essa prevede l’utilizzo di strati alternati D/A spessi 1 nm fino al raggiungimento di 70-80 strati per ottenere un ottimo assorbimento ottico. La creazione di una coppia elettrone-lacuna è subito seguita dalla dissociazione in quanto le lunghezze di diffusione dell’eccitone sono dell’ordine dei 10 nm. Creati i portatori di carica, essi possono, mediante tunneling assistito da campo elettrico, raggiungere i rispettivi elettrodi di raccolta. In definitiva, tale architettura riesce ad associare i pregi delle eterogiunzioni doppia e dispersa, con ovvie complicazioni tecniche associate alla sua fabbricazione. 27 1.8 Fotorivelatori ibridi Principi di funzionamento[10] Con il termine ‘fotorivelatore ibrido’ ci riferiamo ad una cella elettrochimica fotosensibile, la cui struttura prevede un anodo trasparente sul quale viene depositato il materiale attivo organico, in forma di monolayer o film spessi. A contatto con quest’ultimo, a fungere da conduttore ionico, si pone una soluzione elettrolitica. I materiali attivi utilizzabili sono quelli tipici delle celle fotovoltaiche standard in materiale organico, mentre la soluzione elettrolitica è costituita da elettroliti salini, la cui scelta è strettamente legata all’applicazione stessa del dispositivo. Nel caso di seguito studiato, il dispositivo è racchiuso tra un contatto anodico di ossido di indio e stagno (ITO) ed un controelettrodo metallico di platino od oro. Il materiale attivo è costituito da una eterogiunzione tra un materiale polimerico elettron donore a base di tiofene (rr-P3HT) ed un materiale elettron accettore (PCBM); il blend adottato costituisce ad oggi uno dei materiali più largamente studiati per la realizzazione di celle solari polimeriche convenzionali . In aggiunta è stata effettuata la realizzazione e caratterizzazione di dispositivi con strato attivo dato da un’architettura multigiunzione, un bilayer di rr-P3HT (a contatto con l’anodo di ITO) e di PCBM (a contatto con la soluzione elettrolitica). La fase solida del dispositivo (ITO/polimero) è quindi del tutto convenzionale, ampiamente diffusa e ben caratterizzata. Lo studio dell’interfaccia semiconduttore/soluzione elettrolitica può essere condotto con tecniche tipicamente elettrochimiche (voltammetria e spettroscopia di impedenza elettrica) accompagnate da spettroscopie ottiche adattate per uno studio superficiale dello strato di materiale organico a contatto con l’elettrolita. Figura 1.15 Tipica struttura di una fotocella elettrochimica ibrida Per dare una semplice rappresentazione del modello di funzionamento di tali fotocelle elettrochimiche si può far riferimento allo schema del sistema in figura 1.16, dove la soluzione elettrolitica è una soluzione acquosa di NaCl, e lo strato fotosensibile è il film polimerico rrP3HT:PCBM (1:1) sensitivizzante l’anodo di ITO, e il contro elettrodo è di platino. 28 Figura 1.16 Modellizzazione del funzionamento di un fotodiodo organico ibrido ITO/rr-P3HT:PCBM (1:1)/NaCl (o acqua MilliQ)/Pt. Sono evidenziati i reagenti e i prodotti e i prodotti delle reazioni di riduzione e ossidazione che avvengono, rispettivamente, al polimero e al metallo. A destra sono riportati i potenziali standard di ossido-riduzione (E(V)vsNHE) e i livelli HOMO e LUMO di interesse per il sistema. Dal punto di vista del materiale attivo si ha: • fotoeccitazione del polimero, generazione e migrazione/diffusione (per hopping) degli eccitoni all’interfaccia con la soluzione salina e separazione delle cariche; • trasferimento degli elettroni liberi alla soluzione salina. Tale scambio di carica è un processo di interfaccia, reso possibile dalla presenza di forti campi locali generatosi dal contatto solidoliquido, presenti dunque anche in regime fotovoltaico; • migrazione/diffusione delle lacune libere verso l’anodo di ITO. Nella soluzione si ha: • dissociazione elettrolitica del sale (es. cloruro di sodio) nell’acqua e formazione degli ioni positivi e negativi (es. Cl- e Na+); • dissociazione elettrolitica dell’acqua e formazione ioni idrogeno (H+) e idrossido (OH-); • migrazione/diffusione degli ioni positivi H+ verso il film polimerico; • riduzione degli ioni H+ al polimero tramite acquisizione degli elettroni liberi fotogenerati nel polimero stesso (resa possibile dalla presenza di forti campi localizzati all’interfaccia soldo/liquido); • formazione della molecola idrogeno (H2); • migrazione/diffusione degli ioni Cl- all’elettrodo di platino; • ossidazione degli ioni Cl- tramite cessione di un elettrone al metallo; • formazione della molecola di Cl2. La reazione di ossido riduzione è dunque fotoattivata dalla stimolo luminoso, la cui risposta è direttamente legata alle proprietà spettrali dello strato attivo polimerico sensitivizzante l’anodo di ITO. Tale reazione coinvolge gli ioni H+ (specie ridotta) e gli ioni Cl- (specie ossidata). In formule chimiche abbiamo: Cl2 (sol) + 2e- ↔ 2Cl- (aq) 2H+(aq) + 2e-↔ H2 (g) 29 Dal punto di vista del circuito esterno, per ogni coppia di cariche libere fotogenerate nel materiale attivo un elettrone percola dal catodo (platino) verso l’anodo (ITO). Notiamo, in particolare, che, come avviene anche nei fotodiodi organici a stato solido, le cariche libere disponibili per la conduzione, derivano dalla dissociazione degli eccitoni che si formano all’interfaccia tra il polimero ed il suo catodo, cioè la soluzione salina. In questo modo gli elettroni liberi possono essere trasferiti aglio ioni della soluzione, mentre le lacune, che hanno una mobilità maggiore nel polimero, compiono un cammino più lungo, circa pari allo spessore del film, e raggiungono l’anodo di ITO. Nella pratica si ha anche produzione di ossigeno per water-splitting. Poichè le reazioni a questa associata risultano meno favorite rispetto a quelle che producono cloro, la produzione di ossigeno non è stata ora considerata. L’irreversibilità del processo di water splitting per i sistemi in esame verrà dimostrata in questo lavoro di tesi, confrontando sistemi con parte solida identica e soluzione elettrolitica con e senza sale, con misure di fotocorrente e pH (cap. 4) L’attuarsi dei fenomeni sopraelencati ha alcune conseguenze fondamentali che riportiamo di seguito: • il trasporto di carica nella soluzione salina risulta possibile ed è imputabile alla presenza degli ioni; • poiché la molecola idrogeno (H2), che si forma per riduzione degli ioni idrogeno, è una molecola gassosa, essa evapora allontanandosi dalla soluzione. Ne consegue uno sbilanciamento tra il numero di ioni idrossido (OH-) e quello degli ioni idrogeno (H+) e quindi un aumento del pH della soluzione: ciò determina una maggiore basicità della soluzione stessa; • ci si aspetta che il flusso di corrente, legato alla presenza di portatori ionici, decresca a causa della formazione delle molecole (i prodotti della riduzione e dell’ossidazione sono infatti, rispettivamente idrogeno (H2) e, ad esempio, iodio (Cl2)) e alla conseguente diminuzione del numero di ioni disponibili. Al limite si prevede un raggiungimento ad un valore stazionario del flusso di corrente dopo che tutti i portatori negativi derivanti dalla dissociazione del sale abbiano subito ossidazione o in seguito ad un raggiungimento di un determinato valore di pH (in tal caso comincia una fase di vero e proprio water-splitting, la cui efficienza potrebbe a sua volta dipendere dal valore di pH raggiuntosi). La trattazione teorica di tale sistema è dunque complicata in quanto la cinetica dello strato polimerico sensitivizzante l’elettrodo di ITO non sempre comporta reversibilità termodinamica mentre la produzione di prodotti gassosi comporta irreversibilità chimica. Come sarà meglio descritto nel capitolo 2, l’irreversibilità termodinamica non consente di trattare l’interfaccia polimero/soluzione elettrolitica attraverso l’uso dell’equazione di Nernst all’interfaccia stessa accoppiata ad un modello di tipo diffusivo per descrivere il trasporto di carica ionico in soluzione, rendendo necessario l’utilizzo del modello di Butler-Volmer per la descrizione della cinetica agli elettrodi, rendente conto intrinsecamente degli effetti dei campi locali generati all’interfaccia liquido/solido. L’irreversibilità chimica non consente di utilizzare la condizione di conservazione della massa per risolvere il problema differenziale che ne deriva, obbligando ad avere condizioni di raccordo “ad hoc” tra l’equazione cinetica dell’elettrodo sensitivizzato e il trasporto diffusivo ionico in soluzione. 1.9 Applicazioni dei sistemi ibridi solido-liquido Risulterà chiaro dal paragrafo precedente come una caratteristica peculiare dei dispositivi ibridi solido-liquido realizzati e caratterizzati in questa tesi sia la presenza concomitante di due meccanismi profondamente diversi di conduzione di carica: trasporto di tipo elettronico nella parte solida e conduzione di tipo ionico in quella liquida. Questi due processi possono essere considerati 30 come distintivi di due mondi fino ad ora completamente disgiunti, il campo dell’optoelettronica e della dispositivistica da un lato, e i sistemi biologici dall’altro. Per questa ragione i dispositivi ibridi costituiscono degli ottimi candidati per l’applicazione dei semiconduttori organici in campo biologico, un campo che in anni molto recenti ha destato interesse nell’ambito della comunità scientifica internazionale ma che fino ad ora è rimasto pressoché completamente inesplorato. Inoltre, sistemi ibridi come quelli sopra descritti potrebbero garantire una contemporanea conversione dell’energia solare sotto forma di due tipi di energie diverse: elettrica, come per le celle fotovoltaiche standard tramite la produzione di una fotocorrente (generata nel polimero fotosensibile ed estratta nel circuito esterno mediante l’anodo e un controelettrodo metallico immerso nell’elettrolita), e chimica, come per le cosiddette “fuel cells”, tramite la produzione di idrogeno attraverso un processo di water splitting, avente lugo all’interfaccia polimero/elettrolita, elemento caratterizzante del sistema considerato. I vantaggi di tale approccio, se questo si dimostrasse valido e percorribile, sono molteplici, perchè consentirebbe idealmente di estrarre energia assolutamente ‘pulita’, sfruttando semplicemente la luce solare e l’acqua di mare. 31 Capitolo 2 Teoria della cinetica dell’interfaccia semiconduttore/soluzione elettrolitica e del trasporto diffusivo I fenomeni di trasferimento di carica all’interfaccia tra materiali solidi inorganici diversi sono ormai ampiamente caratterizzati e fanno parte della letteratura di base. Anche lo studio delle interfacce metalli/soluzioni ioniche e semiconduttori inorganici/soluzioni ioniche è stato affrontato e riportato in alcuni testi. Tuttavia, allo stato dell’arte, non è possibile rintracciare una trattazione unitaria per il comportamento di interfaccia tra materiali molecolari e soluzioni ioniche, soprattutto perché le caratteristiche peculiari di ogni singola struttura influenzano in modo sostanziale le proprietà fisicoelettriche dell’interfaccia stessa. Ad esempio si è potuto osservare che il comportamento dei metalli o semiconduttori all’interfaccia è molto diverso, a seconda che la soluzione con cui si trovano a contatto sia acquosa o no, e a secondo delle specie elettrochimiche coinvolte. Nel caso specifico di materiali polimerici, assumono poi ulteriore importanza fenomeni di adsorbimento superficiale e l’eventuale diffusione ionica all’interno del materiale stesso, ionicamente permeabile. Nella prima parte del capitolo l’attenzione sarà rivolta soprattutto alle interfacce tra materiali cristallini e soluzione acquose, per cercare poi di ricavare alcune analogie con le interfacce polimeri/soluzioni acquose saline di nostro interesse. Le interfacce organici/soluzioni ioniche non sono ancora state trattate in modo diffuso, e prevedono modelli spesso specifici per far fronte a fenomeni di adsorbimento e diffusione ionica all’interno del film organico. Alcuni risultati, in particolare quando si è in presenza di strutture polimeriche dotate di una regolarità sufficientemente elevata, sono comunque esportabili anche a tale contesto. In generale, il trasferimento di carica attraverso un’interfaccia metallo/soluzione ionica o semiconduttore inorganico/soluzione ionica, viene trattato tramite differenti approcci quali la teoria di Marcus[26] e il modello di Gerischer[27]. Nella prima sezione faremo riferimento al modello di Gerischer, molto utilizzato nella pratica per la sua immediatezza in presenza di reazioni reversibili. Nella sezione 2.2 è invece discussa la teoria più generale di Marcus, con una modellizzazione del trasferimento di carica all’interfaccia solido/liquido data dall’equazione di Butler-Volmer, anch’essa di carattere generale. La sezione 2.3 presenta invece una dettagliata teoria del trasporto di massa, con particolare riferimento ai fenomeni diffusivi. Nella discussione mi riporterò spesso ad una trattazione unidimensionale, adattabile alla scelta di elettrodi con geometria planare e superficie sufficientemente estesa tale da poter trascurare gli effetti di bordo nell’analisi del trasporto di massa di tipo diffusivo. In caso contrario, le condizioni al contorno che ne risulterebbero sarebbero estremamente complicate e tali da non garantire soluzioni del problema in forma chiusa. Tale scelta corrisponde alle condizioni sperimentali adottate. La presenza di elettroliti di supporto con elevate concentrazioni permettono inoltre di trascurare, nella maggior parte dei casi trattati, fenomeni di trasporto di tipo migratorio. Essendo inoltre la soluzione non sottoposta ad agitazione mediante processi di stirring, anche il contributo convettivo risulta trascurabile. I risultati teorici esposti, nonostante siano validi entro un certo campo di applicabilità, sono dunque perfettamente applicabili ai sistemi di seguito analizzati sperimentalmente. 32 Nell’ultima parte della sezione 2.3 sono infine riportati cenni di diffusione anomala, la cui presenza è spesso riscontrata nella trattazione di diffusione in assenza di conservazione di massa, presenza di disordine e fenomeni trappola nello strato diffusivo. Tale situazione è tipica della diffusione ionica all’interno di strati organici, come è stato riscontrato sperimentalmente mediante spettroscopia di impedenza elettrica (EIS) a basse frequenze (f < 1kHz). Nella quarta sezione è discussa la teoria del doppio strato elettronico per l’interfaccia semincoduttore/elettrolita, utile per capire e spiegare accumuli capacitivi ed eventuali alterazioni della cinetica ad elettrodi di materiali semiconduttori o elettrodi metallici sensitivizzati con materiali fotoattivi di tipo polimerico. La quinta sezione delinea un quadro riassuntivo per la costruzione di modelli di problemi elettrochimici in termini generali, sulla base dei risultati prima discussi. 33 2.1 Modello di Gerischer[25] Nel modello di Gerischer il problema del trasferimento di carica tra un metallo o un semiconduttore e una soluzione elettrolitica è affrontato in termini di energie elettroniche nel solido e di livelli energetici nella soluzione, quest’ultima considerata in condizioni di equilibrio termodinamico all’interfaccia con l’elettrodo. La questione più delicata sta nel definire i livelli energetici della specie redox, in quanto occorre tenere conto delle molecole di solvente polare che circondano gli ioni. Se consideriamo una generica reazione di ossido-riduzione, che può essere indicata con |4 * m } 6*~ 2.1 il potenziale elettrochimico del sistema redox vale: U, Z0D U Z – U0D 2.2 dove µred e µox sono, rispettivamente, i potenziali elettrochimici delle specie ridotta e ossidata. Si può anche scrivere: U, Z0D UV, Z0D 0D Kw3 Z 7 2.3 dove µ0e,redox è il potenziale elettrochimico standard, ovvero misurato a parità di concentrazione di specie riducente e specie ossidante, e cox e cred sono le concentrazioni delle due specie presenti in soluzione. Per una soluzione contenente un sistema redox si può definire il livello di Fermi come: 1, Z0D U, 2.4 Z0D dove e è la carica dell’elettrone e F è la costante di Faraday che vale 96500 Cmol-1. Dato che il potenziale elettrochimico è misurato in Joule, con questa definizione il livello di Fermi del sistema redox si misura in eV ed è riferito ad un solo elettrone. Definire il livello di Fermi per un sistema redox è molto comodo, in quanto la situazione di equilibrio per tale sistema in soluzione posto a contatto con un metallo o semiconduttore si può esprimere attraverso l’allineamento dei rispettivi livelli di Fermi: 1 1, 2.5 Z0D Quando però il sistema redox è posto all’interno di un solvente polare, quale è, ad esempio, l’acqua, i livelli di energia coinvolti nel trasferimento di carica differiscono dal valore termodinamico EF,redox. Per capire meglio il motivo di ciò, possiamo considerare il ciclo di reazioni che avvengono all’interno del solvente (Fig. 2.1). 34 Figura 2.1 Energia di un sistema redox nei suoi stati ossidato e ridotto L’energia totale del sistema redox nel suo stato ridotto si trova, all’equilibrio, sul livello che indichiamo con Red(solv,red). Il pedice (solv,red) indica che, in questa fase, la specie ridotta è circondata da una sfera di molecole di solvente, caratteristica per lo ione che subisce riduzione. L’energia necessaria per portare un elettrone da Red(solv,red) al livello di vuoto, formando quindi la specie ossidata Ox, è indicata come E0red. Poiché, poi, il trasferimento dell’elettrone avviene molto velocemente rispetto al tempo necessario per la riorganizzazione delle molecole di solvente (principio di Frank-Condon), si otterrà la specie Ox(solv,red) ovvero la specie ossidata ancora circondata dalle molecole di solvente nella configurazione tipica per lo ione che si riduce. I dipoli del solvente si riorganizzano in un secondo momento, raggiungendo lo stato Ox(solv,ox). L’energia del processo di rilassamento prende il nome di energia di riorganizzazione e viene indicata con λ. Il processo inverso, di passaggio tra Ox(solv,ox) e Red(solv,red), avviene in modo del tutto analogo, come indicato nello schema. Dalla figura risulta chiaro che i livelli elettronici possono essere ricavati come differenza tra le energie coinvolte nei vari processi. E’quindi possibile rappresentare i livelli energetici di interesse per un sistema redox in uno schema, utilizzando come riferimento assoluto il livello di vuoto (Fig. 2.2). Notiamo che le energie elettroniche E0red e E0ox corrispondono, rispettivamente, all’energia di ionizzazione I0 e all’affinità elettronica A0. Dalla figura si può anche ricavare la relazione tra il livello di Fermi e le energie elettroniche per il sistema e risulta: 1 VZ – d Z V V 10D d0D 1, 2.6 Z0D In realtà il digramma dei livelli è ottenuto mediante una semplificazione nel modello di Gerischer. E’ infatti possibile ottenere un maggiore quantità di informazioni se si considerano anche i moti traslazionali e rotazionali delle molecoledi solvente: essi hanno l’effetto di allargare i livelli energetici appena descritti. Assumendo un’approssimazione parabolica dei potenziali che governao i moti traslazionali e rotazionali delle molecole di solvente è possibile calcolare la funzione della distribuzione degli stati in funzione dell’energia per le due specie, ridotta e ossidata. Risulta: 0D 317 V *4C 3NoqoN ,c 7 Z 317 V *4C ]Pq 3NmqoN ,c 7 ]Pq 2.7 2.8 dove W0 è un fattore di normalizzazione che garantisce che l’integrale della densità degli stati su tutte le energie sia pari ad uno. Notiamo che queste densità degli stati sono delle funzioni gaussiane 35 e si riferiscono ad un solo elettrone. Per ottenere la distribuzione totale degli elettroni del sistema è sufficiente tenere in conto le concentrazioni delle specie ridotta e ossidata. Si ha allora: 0D 317 0D 0D 317 Z 317 Z 2.9 Z 317 2.10 Figura 2.2 Livelli energetici di un sistema redox in riferimento al livello di vuoto. Nella condizione di riferimento standard, con cox = cred, le distribuzioni Dox e Dred sono uguali e il livello di Fermi è quello di riferimento, E0F,redox (Fig. 2.3). Figura 2.3 Rappresentazione dell’energia elettronica del sistema redox in funzione della densità degli stati. In figura sono rappresentate due possibili situazioni per il sistema: la situazione di equilibrio, in cui cox=cred (curve blu), e la situzione di non equilibrio, in cui cox<<cred (curva verde tratteggiata). Si noti lo variazione ∆EF del sistema determinata dalla diminuzione della concentrazione della specie ossidata cox In questo modello, il trasferimento di un elettrone può avvenire da uno stato occupato del metallo o del semiconduttore ad uno stato libero del sistema redox, o viceversa. Il processo è più rapido di qualsiasi riarrangiamento delle molecole di solvente (vale il principio di Frank-Condon). Risulta, ovviamente, che la probabilità di trasferimento di un elettrone dipende dalla densità di energia degli stati nell’elettrodo e nel sistema redox. Ad esempio, la probabilità di trasferimento di un elettrone tra un elettrodo metallico ad un sistema redox si può calcolare come: L 3173170D 317~1 2.11 36 Dove 317 è la distribuzione degli stati dell’elettrodo, 317 è la funzione di Fermi dell’elettrodo e 0D 317 è la funzione della distribuzione degli stati vuoti per il sistema redox. Per ottenere la probabilità totale di trasferimento di carica tra il sistema redox e l’elettrodo è necessario integrare su tutte le energie possibili, sia per il materiale inorganico che per il sistema redox. E’ possibile dimostrare[25], attraverso un’approssimazione parabolica della 317 e inserendo in 2.11 le equazioni 2.6, 2.7, 2.8, che per i trasferimenti di carica che interessano la banda di conduzione risulta: m L '0D 3K/Id7</ wg exp o L ' 3NoqoN ,c 7 ]Pq 3NmqoN ,c 7 </ G exp Z 3K/Id7 ]Pq 2.12 2.13 dove o e m sono le densità le densità di corrente di ossidazione e riduzione del sistema redox, derivanti dallo scambio di carica tra il sistema e la banda di conduzione dell’elettrodo, wg 317317 è la densità di elettroni all’interfaccia e G è la densità degli stati all’estremo minore della banda di conduzione. Per la banda di valenza si possono ottenere risultati del tutto analoghi. E’ importante sottolineare che tali formule valgono esclusivamente per semiconduttori inorganici, per via dell’approssimazione parabolica delle curve di dispersione delle bande di valenza e di conduzione dell’elettrodo. Il modello di Gerischer conduce a risultati finali molto simili a quelli ottenibili con l’applicazione di altre teorie, come ad esempio la più generale teoria di Marcus. Esso è molto utilizzato nell’elettrochimica dei semiconduttori, in quanto permette di predire quale delle bande del semiconduttore sarà coinvolta nei processi di scambio di carica, semplicemente sulla base dei livelli di energia del sistema redox. Il modello di Gerischer illustrato è immediatamente applicabile a interfacce inorganico/soluzione ionica, quest’ultima considerata in situazione di equilibrio dinamico, tale da permettere la definizione dei livelli di energia del sistema redox e quindi di un livello di Fermi della soluzione stessa. Un fattore di fondamentale importanza per i nostri dispositivi, ma di cui il modello di Gerischer non tiene conto in alcun modo, è la presenza di una radiazione luminosa continua incidente sul sistema, la presenza di un campo esterno applicato e la non conservazione di massa tra specie ossidate e ridotte (qualora ci siano reagenti o prodotti di reazione in forma gassosa), tutte situazioni di non equilibrio termodinamico. Vedremo più avanti come è spesso possibile ricondursi ad una trattazione di equilibrio termodinamico locale per trattare la cinetica agli elettrodi qualora questa sia molto veloce rispetto ai meccanismi di diffusione delle specie elettrolitiche e in presenza di reversibilità chimica. Nei cosiddetti processi controllati per diffusione il potenziale all’interfaccia e regolante la cinetica è dunque controllata dalle sole concentrazioni elettrolitiche locali determinate dal trasporto diffusivo. Un’altra differenza che distingue nettamente il processo di trasferimento di carica da un elettrodo ad una soluzione salina, nel caso di materiale organico rispetto al caso inorganico, è il fatto che, nell’organico, è necessario che gli eccitoni fotogenerati si dissocino creando cariche libere. Gli elettroni liberi, inoltre, devono raggiungere, per hopping, l’interfaccia con la soluzione per poter essere scambiati. Il meccanismo con cui gli elettroni giungono all’interfaccia può essere di tipo diffusivo oppure assistito da un campo elettrico interno o esterno. La descrizione di interfacce con materiali inorganici non tiene conto di tali effetti in quanto la parte fotoattiva risulta nelle immediate vicinanze della superficie in contatto con l’elettrolita a causa del piegamento bande tipico di tali semiconduttori. 37 2.2 Cinetica elettrochimica Un processo elettrochimico è l’insieme di una successione di diversi “stadi” (Fig.2.4), di cui almeno uno di trasferimento di carica attraverso l’interfaccia semiconduttore/soluzione elettrolitica (Trasferimento Elettronico, TE). | ro w* m 6 3rm7o 2.14 Scopo della cinetica elettrochimica e stabilire la natura e la velocità dei vari stadi. I vari processi consecutivi, benchè aventi natura diversa, sono fra loro interconnessi in quanto le condizioni iniziali di ciascuno sono determinate dalle condizioni finali del precedente e il contributo di ciascuno si somma a quello degli altri. Figura 2.4 Schematizzazione di un processo elettrochimico A circuito aperto una cella elettrochimica eroga una forza elettromotrice corrispondente alla variazione di energia libera della reazione globale. Quando passa corrente non si è più in condizioni di equilibrio e si hanno modificazioni in prossimità dell’elettrodo e/o all’elettrodo stesso. Tale fenomeno si definisce polarizzazione. A ciascuna superficie elettrodica si ha un processo di trasferimento elettronico come descritto in eq. 2.14. Si ha una corrente anodica se il processo decorre nel verso di ossidazione (cioè da destra a sinistra), mentre si ha una corrente catodica per il verso di riduzione della reazione (cioè da sinistra a destra). La differenza tra la somma delle correnti di tutti i processi di ossidazione (considerate positive) e la somma di tutte le correnti dei processi di riduzione (considerate negative) è la corrente esterna (in elettrochimica la convenzione usata per il segno della corrente è opposta a quella utilizzata in elettronica), cioè quella che noi misuriamo sperimentalmente per l’elettrodo in questione. Questa può assumere anche valore zero quando il potenziale dell’elettrodo è uguale al valore di equilibrio. Se si considera una cella, quando la corrente esterna è diversa da zero, il lavoro è erogato dalla cella elettrochimica nel caso di chiusura del circuito su un carico passivo (resistenza elettrica), mentre il lavoro viene assorbito dalla cella elettrochimica nel caso in cui si inserisca nel circuito un generatore di potenza con polarità concorde con quella termodinamica. In entrambi i casi il potenziale di ciascun elettrodo è diverso da quello di equilibrio e la differenza si chiama sovratensione. 38 2.2.1 Sovratensione di elettrodo sotto corrente I processi elettrochimici che hanno luogo con velocità apprezzabile, cioè tutti i processi pratici in cui circola corrente, si scostano dall'equilibrio termodinamico. Questo scostamento dalla reversibilità è associata ad una sovratensione, e cioè ad una tensione in eccesso rispetto al ′ potenziale di equilibrio necessaria per far avvenire la reazione alla velocità richiesta. La differenza di potenziale ∆φ, applicata agli elettrodi in una cella elettrochimica in cui circola corrente, è data da: ∆ y 2.15 Dei due termini a destra, η è detto sovratensione di attivazione e risulta il più complesso dato che fornisce la forza motrice per il flusso di corrente ed è intimamente legato alla distribuzione di corrente. Un elettrodo portatore di corrente si dice "polarizzato", oppure che ha una sovratensione; la sovratensione può essere vista come il prezzo da pagare per far avvenire la reazione lontano dall'equilibrio. Più alta è la densità di corrente, più alta la sovratensione richiesta. Nelle celle elettrochimiche la sovratensione è consumata da vari processi dissipativi associati con diversi meccanismi che offrono una resistenza al passaggio di corrente. Sebbene sia possibile identificare numerosi processi dissipativi, è conveniente, in particolare dal punto di vista ingegneristico, considerare la sovratensione formata da tre componenti distinte: attivazione, concentrazione e ohmica (ciascuna operante in diverse zone della cella). In questo capitolo consideriamo la sovratensione di attivazione, mentre rimandiamo al capitolo successivo la trattazione della sovratensione di concentrazione ed ohmica in quanto legate alla determinazione della distribuzione di corrente. La sovratensione di attivazione è la sovratensione dissipata per superare le limitazioni alla velocità di reazione per le reazioni che hanno luogo all'interfaccia elettrodo/elettrolita. All'interfaccia avvengono generalmente molti processi (processi "parziali") ciascuno caratterizzato da una propria cinetica ed associato ad una sovratensione (sovratensione “parziale”). 2.2.2 Sovratensione di attivazione (o di trasferimento elettronico) Poiché è molto difficile analizzare ciascuno di questi processi separatamente, e poiché sono tutti presenti all'interfaccia elettrodo-soluzione o nel doppio strato (a pochi Angstrom di distanza dall'elettrodo) è conveniente condensarli in un unico termine, ovvero η: la sovratensione di attivazione rappresenta pertanto la barriera energetica associata all'energia di attivazione degli stadi determinanti le reazioni redox e sarà una funzione complessa della velocità di reazione (o viceversa), che è rappresentata dalla densità di corrente. Usualmente viene rappresentata come una funzione esponenziale implicita della corrente: V exp M 3<mα7η Q exp M Q αη 2.16 con V xw{K V R <m( R ( 2.17 L'equazione è una rappresentazione semiempirica della relazione tra la corrente i e la sovratensione di attivazione η, ed è nota come equazione di Butler-Volmer. La derivazione teorica segue dalla teoria di Marcus del trasferimento elettronico, i cui dettagli sono riportati in appendice A (in tale appendice il potenziale elettrico non viene indicato con la lettera φ, come 2.15, bensì con la lettera 39 E, ora utilizzata per le energie, per avere poi un riferimento più diretto nella trattazione della spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS). Prestare dunque attenzione a non confondersi). E' mostrata schematicamente in figura 2.5, nella quale le sovratensioni catodiche sono assunte negative e le sovratensioni anodiche positive; seguendo tale convenzione elettrochimica, si assumono le correnti anodiche come positive e quelle catodiche come negative. Figura 2.5 Curva di sovratensione di attivazione anodica e catodica secondo l'equazione di Butler Volmer con definizione della o corrente di scambio i (α=0,5). Le curve tratteggiate si riferiscono alle polarizzazioni parziali per la sola reazione diretta o inversa Comprende inoltre due parametri aggiustabili che vengono determinati sperimentalmente: la corrente di scambio, i0, e il coefficiente di trasferimento, α. L'interpretazione fisica comunemente adottata per questi parametri identifica i0 con la corrente parziale di scambio che circola a velocità uguali, da e verso l'elettrodo, in condizioni di equilibrio. Tale termine, facente riferimento a una condizione di equilibrio, può essere ricavato tramite il modello di Gerischer riferendosi ad elettrodi realizzati in semiconduttori inorganici. α e 1-α rappresentano la frazione di sovratensione necessaria per innalzare o abbassare (a seconda che il processo globale sia anodico o catodico) le velocità di reazione anodica e catodica rispettivamente. Il loro valore dipende da eventuali asimmetrie di reazioni. Le misure sperimentali vengono solitamente riportate come curve di polarizzazione, dove i è diagrammata in funzione della sovratensione η, come é mostrato schematicamente in figura 2.6. 0 Figura 2.6 Effetto della corrente di scambio i sulla cinetica elettrodica (α=0,5) 40 Spesso si usa rappresentare la corrente logaritmica log 37, le cui pendenze asintotiche dei rami anodico e catodico sono αw{/6 e 31 S7w{/6 rispettivamente. La corrente di scambio i0 è indicata dall'intersezione delle rette estrapolate (in diagramma logaritmico) anodica e catodica con l'asse delle ordinate. Il valore di i0 ha un forte effetto sui valori della sovratensione di attivazione η, che mostra la forte diminuzione della corrente i a uguale sovratensione. E' conveniente considerare la curva di polarizzazione suddivisa in quattro zone separate (Fig.2.7), descritte nel seguito dal punto di vista grafico e matematico. Figura 2.7 Le diverse zone di una curva di sovratensione anodica-catodica: (I) zona di equilibrio (o di riposo) a corrente nulla; (II) zona catodica logaritmica, con aumento finale della sovratensione (verso una sovratensione di concentrazione); III zona anodica 0 logaritmica; (IV) zona lineare di micropolarizzazione, con η ≤ 20 mV. La pendenza fornisce i . Zona (I): è la regione di corrente zero, in cui l'elettrodo è all'equilibrio o in condizioni "di riposo". Zona (II) e (III): sono le zone con sovratensione (cosiddetta “sovratensione di Tafel”) e corrispondono a quelle zone dove |η| ¡ 6/w{. Per il trasferimento di un elettrone, (n=1), ci si riferisce alla regione ove |η| ¡ 0,12 . In tali condizioni, considerando per esempio la zona (II), il contributo anodico risulta trascurabile e si ottiene la seguente: || V exp M Q2 αη 2.18 o anche: P P y ( ln V ( ln|| £ ¤ln|| 2.19 L'equazione può essere espressa anche come l'equazione di Tafel: η £ ¤w|| 2.20 dove: P £ ( ln V 2.21 41 ¤ P 2.22 ( con b detto pendenza di Tafel. In maniera analoga si procede nel caso prevalga il contributo anodico su quello catodico (zona (III)) ottenendo la stassa relazione con la pendenza di Tafel positiva. Zona (IV): è una regione a sovratensione lineare e può essere identificata come la zona dove |η| ¥ 6/w{. Questa zona corrisponde in particolare alla regione di micropolarizzazione, dove |η| ¥ 10 k per il trasferimento di un solo elettrone. In questa zona, l'equazione 2.16 può essere linearizzata, ottenendo: P y 2.23 Un'estrapolazione lineare dell'equazione di Butler-Volmer è spesso utile, particolarmente quando si desideri rappresentare solamente delle piccole deviazioni, (±30%) da un punto di riferimento. Tale approssimazione è particolarmente utilizzabile per calcoli numerici automatici o per la formulazione di soluzioni semianalitiche applicabili in intervalli limitati, ma spesso utili. Figura 2.8 Approssimazioni dell'equazione di Butler-Volmer: Regione di Tafel (semilogaritmica con |η η| ≥ 120 mV per una o reazione di trasferimento con un solo elettrone (n=1). L'estrapolazione delle rette determina i . Le pendenze delle rette anodica e catodica (nella scala semilogaritmica) forniscono α e 1-α rispettivamente La corrente di scambio io, che compare nell'equazione di Butler-Volmer, è correlata alle correnti "parziali" associate all'equilibrio dinamico esistente all'interfaccia elettrodo/elettrolita. A tale interfaccia, oltre un eventuale produzione di sostanze gassose, potrebbe aver luogo uno scambio dinamico di materia tra elettrodo ed elettrolita, che coinvolge la dissoluzione degli ioni del materiale solido nell'elettrolita e la loro deposizione sull'elettrodo dalla soluzione, dando anch’esse contributi in termini di corrente e caratterizzanti dalle corrispondenti sovratensioni di attivazioni. All'equilibrio le correnti parziali anodiche e catodiche sono uguali fra loro e sono chiamate densità di corrente di scambio del sistema. L'ordine di grandezza della densità di corrente di scambio può variare in un grande intervallo (≅10-16-103 A/cm2) e rappresenta il grado di reversibilità del processo 42 elettrodico. Alta densità di corrente di scambio indica un sistema reversibile con bassa sovratensione di attivazione. Bassa densità di corrente di scambio corrisponde ad un sistema irreversibile con cinetiche lente e alte polarizzazioni di attivazione. La densità di corrente di scambio è funzione della reazione elettrodica, del materiale dell'elettrodo e della composizione, concentrazione e temperatura della soluzione. 2.3 Trasporto di massa[15] 2.3.1 Cenni di teoria generale In questa sezione sono discusse le equazioni alle derivate parziali che governano il trasporto di massa, fenomeno di fondamentale importanza nelle celle elettrochimiche, sia per quanto riguarda il movimento elettronico all’interno di strati con mobilità non sufficientemente elevata tale da considerare il loro movimento istantaneo, sia per lo studio del trasferimento ionico di elettrolito e specie adsorbanti (in soluzione e/o all’interno di strati solidi permeabili, come un film polimerico). In soluzione, il trasferimento di massa è determinato da meccanismi diffusivi, migratori e convettivi. Diffusione e migrazione risultano da un gradiente del potenziale elettrochimico µ, mentre la convezione deriva da uno sbilanciamento di forze sulla soluzione. Il trasferimento di massa è descritto in termini generali dall’equazione di Nerst-Planck: ¦$ $ §$ r" P $ $ § $ ¨ 2.24 dove ¦$ è il flusso della specie j (mols-1cm-2), φ è il potenziale elettrico, Cj è la concentrazione della specie j, zj è il numero di carica elettronica realativa alla specie j, Dj è il coefficiente di diffusione della specie j. La ricavazione di tale equazione è basata su modelli microscopici per i quali si rimanda a letteratura specializzata[15]. Considero il caso in cui la convezione è assente. Il flusso di una specie sarà dunque solamente dato dai contributi diffusivi e migratori. In presenza di più specie, la corrente elettrica determinata dal loro flusso può essere calcolata, considerando il caso unidimensionale, come: ∑$ $ © Zª P ZD ∑$ p$ $ {x ∑$ p$ $ «" «D Z 2.25 Il primo termine indica il contributo migratorio ( 7, mentre il secondo quello diffusivo (Z ). Vicino ad un elettrodo, una sostanza elettroattiva è solitamente trasportata da entrambi i processi, migratorio e diffusivo. I contributi di corrente possono essere sia concordi che diretti in modo opposto, a seconda della direzione del campo elettrico e della carica della specie elettroattiva. Negli esperimenti di elettrochimica si fa spesso uso di un elettrolita di supporto, ovvero una specie ionica non elettroattiva aggiunta in eccesso in concentrazioni sufficientemente elevati tali da cancellare il trasporto migratorio delle specie coinvolte nelle reazioni elettrochimiche. In aggiunta, l’elettrolita di supporto svolge altre importanti funzioni: • decresce la resistenza della soluzione grazie all’elevata concentrazione ionica creatasi, eliminando effetti di caduta di potenziale dovuti alla resistenza non compensata dal potenziostato, in presenza di elevati correnti elettriche, tra l’elettrodo di lavoro e quello di riferimento, consentendo maggior controllo e accuratezza in esperimenti a potenziale controllato, quali quelli voltammetrici; • riduce la dissipazione di potenza nella cella; 43 • comporta effetti chimici talvolta benefici al fine del controllo dell’esperimento (per esempio controllo del pH ed eliminazione di “effetti matrice”); • assicura che lo strato diffusivo rimanga sufficientemente sottile attraverso la soluzione. Talvolta può comportare però anche degli svantaggi, in particolare quando si trova ad elevate concentrazioni, in quanto: • può dare un contributo faradaico di corrente esso stesso, rendendo l’analisi della cella molto complicata; • può essere adsorbito all’elettrodo con conseguente alterazione della cinetica delle reazioni; • può diffondere nello strato sensitivizzante l’elettrodo se questo risulta ionicamente permeabile, dando un contributo di corrente faradaico di tipo ionico molto particolare; • altera le proprietà fisico-chimiche del materiale nella cella. In presenza di tali effetti deleteri per l’analisi sperimentale di un sistema di interesse, l’elettrolita di supporto non può essere utilizzato, e per limitare dissipazioni di potenza in soluzione e cadute di potenziale dovute a resistenze non compensate si fa uso di ultramicroelettrodi (UME), che permettono passaggio di piccole correnti. Molti metodi elettrochimici di analisi sono costruiti sull’ipotesi di poter trascurare i meccanismi di trasporto migratori e convettivi, prendendo in analisi soltanto gli effetti diffusivi. 2.3.2 Diffusione Con diffusione si intende, come già specificato, il flusso di una sostanza determinato dal suo gradiente di concentrazione. Le leggi di Flick sono equazioni differenziali descriventi tale flusso e la concentrazione della relativa specie in funzione del tempo t e della posizione r (x nel caso unidimensionale). Prima legge di Flick Tale legge stabilisce una proporzionalità diretta tra flusso jO(x,t) (mols-1cm-2) di una sostanza O ed il « 3D,/7 suo gradiente di concentrazione ¬«D : ¦ 34, ­7 «¬ 3D,/7 2.26 «D Si tratta dunque di un equazione costitutiva dedotta da modelli microscopici come già sottolineato precedentemente a proposito dell’equazione 2.24. Seconda legge di Flick Tale legge riguarda il cambiamento della concentrazione di O nel tempo e rappresenta una sorta di equazione di continuità: «¬ 3D,/7 «/ 3 « ¬ 3D,/7 «D 7 2.27 Tale equazione segue combinando l’equazione di continuità «¬ 3D,/7 «/ «$ 2.28 «D 44 con la prima legge di Flick, ipotizzando che DO non dipenda dalla posizione x. Tale equazione viene opportunamente risolta in base alle opportune condizione al contorno imposte dalla fisica del sistema in esame. La soluzione è detto profilo di concentrazione CO(x,t). La formulazione generale della seconda legge di Flick per qualsiasi geometria è: «¬ «/ § C¯ 2.29 dove § è l’operatore Laplaciano (nelle coordinate che più si addicono al sistema in esame). Considero la situazione in cui O è una specie elettroattiva trasportata puramente per diffusione verso un elettrodo dove avviene l’usuale reazione: | w* 6 2.30 Se a tale elettrodo non avvengono altre reazioni, la corrente è legata al flusso di O alla superficie dell’elettrodo 4 0, ovvero: ¦ 30, ­7 © ° «¬ 3D,/7 «D ± 2.31 D²V Infatti, il numero di elettroni trasferiti all’elettrodo nell’unità di tempo deve essere proporzionale alla quantità di O che raggiunge l’elettrodo. Questa è una relazione estremamente importante in elettrochimica e di carattere generale (valida anche in presenza di eventuale evoluzione in fase gassosa della specie ridotta, per esempio H2), in quanto stabilisce il collegamento tra il profilo di concentrazione che si viene a creare vicino all’elettrodo e la corrente in un esperimento elettrochimico. In caso siano coinvolte più specie elettroattive, la corrente sarà legata alla somma dei loro flussi. Per q specie riducibili, si ha dunque: © ∑³]²< w] ] ° «´ 3D,/7 «D ± 2.32 D²V 2.3.3 Condizioni iniziali e al contorno in problemi elettrochimici Nel risolvere la parte legata al trasferimento di massa di un problema elettrochimico, l’equazione di diffusione (o, più in generale, l‘equazione di Nernst-Planck) è scritta per ciascuna specie dissolta in soluzione (O, R, …). La soluzione di queste equazioni, e dunque la determinazione dei rispettivi profili di concentrazione CO, CR, …, in funzione di x e di t, richiede le condizioni iniziali e le specifiche condizioni al contorno, in base alla fisica del sistema, date per ciascuna specie diffondente. Nel seguito illustro tali condizioni. Condizioni iniziali Sono usualmente espresse nella seguente forma: 34, 07 347 2.33 Per esempio se O è uniformemente distribuita nella soluzione alla concentrazione di bulk R all’inizio dell’esperimento, la condizione iniziale è la seguente: 34, 07 R per tutte le x 2.34 45 Se R è inizialmente assente dalla soluzione: 34, 07 0 per tutte le x 2.35 Condizioni al contorno 1. Semi-infinite Boundary Conditions: si hanno in presenza di celle elettrolitiche spesse rispetto alla lunghezza di diffusione, cosicché le pareti della cella non sono alterate dai processi agli elettrodi di interesse. Normalmente si assume che a larga distanza dall’elettrodo 34 µ ∞7 la concentrazione raggiunga un valore costante, tipicamente quello delle condizioni iniziali, per esempio: limµ¸ 34, ­7 R per tutti i t 2.36 limµ¸ 34, ­7 0 per tutti i t 2.37 2. Finite Boundary Conditions: si hanno in presenza di strati diffusivi sottili. Tale situazione si riscontra in presenza di celle elettrochimiche sottili, elevati strati diffusivi, oppure nello studio della diffusione ionica all’interno di strati ionicamente permeabili sensitivizzanti un elettrodo, come accade per i rivestimenti di film polimerici sottili fotosensibili nella realizzazione di fotocelle elettrochimiche. Spesso si fa rifermento a due situazioni estreme, particolarmente utili in studi di spettroscopia d’impedenza. Tali situazioni impongono condizioni per 4 T, dove con L indico la distanza dall’interfaccia con la soluzione elettrolitica dalla quale inizia la diffusione ionica (solitamente l’interfaccia di interesse, le cui condizioni sono discusse nel punto successivo), di tue tipi: • riflessive: « «D 0 per x = L; • 2.38 trasmissive 0 per x = L; 2.39 Da un punto di vista fisico, condizioni riflessive indicano un blocco del passaggio della specie diffondente, con conseguenti effetti accumulativi (schematizzabili elettricamente con capacità equivalenti), mentre condizioni trasmissive possono rappresentare un passaggio privo di barriere, un eventuale assorbimento, oppure una scomparsa delle specie diffondenti inseguito alla formazione di prodotti gassosi dispersi poi in atmosfera (schematizzabili elettricamente con resistenze equivalenti). 3. Electrode Surface Boundary Conditions: rappresentano il legame tra la concentrazione e il gradiente di concentrazione alla superficie dell’elettrodo (4 0). Per esempio, se il potenziale è controllato in un esperimento, esse risultano nella seguente forma: 3|, ­7 317 2.40 ¬ 3V,/7 ¹ 3V,/7 2.41 317 46 dove 317 è una funzione del potenziale dell’elettrodo derivata dalla generale caratterisitica potenziale-corrente espressa dall’equazione di Butler-Volmer (eq. 2.16) o nel caso di reazioni reversibili dal suo caso speciale rappresentato dall’equazione di Nernst (eq. A.20) Se la quantità controllata sperimentalmente è la corrente, le condizioni al bordo all’interfaccia con l’elettrodo sono espresse in termini del flusso per 4 0, per esempio: ¦ 30, ­7 © ° «¬ 3D,/7 «D ± D²V 3­7 2.42 La conservazione della massa in una reazione all’elettrodo può essere talvolta un’ulteriore condizione che permette di risolvere il problema in esame in forma chiusa. Per esempio si può avere: ° «¬ 3D,/7 ± «D D²V ° «¹ 3D,/7 «D ± D²V 0 2.43 2.3.4 Cenni di diffusione anomala (subdiffusione)[15], [16] Nelle sottosezioni precedenti si è fatto riferimento al fenomeno di diffusione ordinario. La prima legge di Flick (eq. 2.26) è una sorta di equazione costitutiva, che combinata con la condizione di continuità (eq. 2.28) porta alla seconda legge di Flick (eq. 2.27) Di seguito è proposto un approccio teorico di tale fenomeno utilizzante metodi matematici di calcolo frazionale, grazie al quale è possibile presentare la diffusione in termini più generali e secondo tre diversi modelli matematici, facenti uso di un formalismo subdifferenziale. Tale approccio ha trovato ampi consensi nella spiegazione di situazioni sperimentali di notevole complessità strutturale, come la diffusione di portatori in materiali amorfi e l’elettroforesi su gel. Per ogni modello viene fornita la corrispondente tipologia di trasporto discussa a livello microscopico. Sulla base delle equazioni così ottenute sono state fornite espressioni analitiche delle impedenze elettrochimiche derivanti da fenomeni diffusivi di notevole importanza applicativa e tecnologica. Cenni introduttivi del formalismo matematico Come esposto a breve, i fenomeni di diffusione sono descritti da equazioni differenziali frazionarie, per la cui trattazione dettagliata si rimanda alla letteratura specializzata. Qui viene riportata semplicemente la definizione di derivata frazionale secondo Riemann-Liouville, definita come segue[32]: « º »3/7 «/ º < «¾ / »3/ ¿ 7 ¼3m½7 «/ ¾ V ~­ 3/m/ ¿ 7nÀºÁ¾ con γ>0 2.44 ¸ dove n è un generico numero intero, mentre Â3w Ã7 V 4 m½m< * mD ~4 è la cosidetta funzione Gamma-Eulero, definita per valori reali positivi di w Ã. Diffusione anomala di prima specie In tale primo modello l’equazione di continuità espressa dalla seconda legge di Flick è generalizzata ad una situazione in cui il numero di particelle che diffondono non si conserva, ovvero: «º «/ º «$ «D con à ¥ 1 2.45 L’equazione costitutiva, ovvero la prima legge di Flick, rimane la stessa (eq. 2.26). 47 Combinando 2.45 con 2.26, si ottiene la seguente generalizzazione della seconda legge di Flick: « º 3D,/7 «/ º 3 « 3D,/7 7 «D 2.46 Diffusione anomala di seconda specie In tale secondo modello l’equazione costitutiva espressa dalla prima legge di Flick per la diffusione ordinaria viene generalizzata con la seguente: ¦34, ­7 « nÁº 3D,/7 «D nÁº con à ¥ 1 2.47 L’equazione data può essere ricavata da uno schema stocastico detto “continuos time random walk” nel limite macroscopico, in cui i “random walker” aspettano a muoversi dopo ogni salto un opportuno periodo di tempo la cui distribuzione segue una legge di potenza. A livello microscopico corrisponde ad una situazione di trasporto diffusivo in conduttori amorfi, come lo sono certi materiali polimerici. Combinando la 2.47 con l’equazione di continuità 2.28 si ottiene nuovamente la 2.46. Diffusione anomala di terza specie L’equazione di continuità 2.28 continua a valere mentre l’equazione costitutiva viene generalizzata nella seguente: ¦34, ­7 « ºÁn 3D,/7 « «/ ºÁn «D con à ¥ 1 2.48 In questo caso l’operatore frazionale è un operatore frazionale integrale, derivazione negativo. Questa equazione costitutiva generalizzata può essere teoria di trasporto non locale che stabilisce una relazione tra il flusso j con profilo di concentrazione C attraverso una legge di potenza. Combinando l’equazione di continuità 2.28 si ottiene la seguente legge di diffusione: « Áº 3D,/7 «/ Áº 3 « 3D,/7 «D 7 essendo l’ordine di interpretata con una la storia passata del equazione 2.48 con 2.49 Da tali tre modelli sono ricavate espressione analitiche delle impedenze di Warburg similmente a quanto fatto con la diffusione ordinaria. La trattazione è rimandata al capitolo 3. Da notare che, ponendo γ = 1 si riottiene l’equazione di diffusione ordinaria, ovvero la seconda legge di Flick 2.27. Equazione di Cattaneo generalizzata per diffusione anomala di prima e seconda specie Come appena visto, i profili di concentrazione in presenza di diffusione anomala possono essere ben descritti dalle equazioni 2.46 o 2.49, note come equazioni paraboliche di subdiffusione. Tali equazioni possono essere riscritte nella forma generale: «3D,/7 «/ « nÁº E « 3D,/7 «/ nÁº 2.50 «D Come già accennato, si tratta di equazione parabolica subdifferenziale con una derivata frazionale temporale secondo Riemann-Liouville. Per γ = 1 si ottiene la solita equazione di diffusione ordinaria, ovvera la seconda legge di Flick 2.27 Ponendo come condizione iniziale: 48 34, 07 W347 2.51 dove δ indica la funzione delta-Dirac, la soluzione dell’equazione 2.50 (detta funzione di Green) è diversa da zero per qualsiasi valore 4 ¡ 0 per ­ ¡ 0. Ciò implica che dopo piccolissimi intervalli temporali esiste una certa quantità di sotanza anche a distanza infinita dall’origine, la qual cosa significa avere una velocità di diffusione delle particelle infinita, assurda da un punto di vista fisico. Per evitare quesa proprietà non fisicamente accettabile, Cattaneo ha sostituito la 2.50 con una equazione iperbolica subdifferenziale la cui funzione di Green porta ad avere valori non nulli soltanto per x finite. La derivazione fenomenologica, nel caso di diffusione ordinaria, di tale equazione è basata sulle ipotesi che il flusso di particelle J non è generato istantaneamente da un gradiente di concentrazione, bensì ritardato di un tempo τ, secondo la seguente relazione: ¦34, ­ Ä7 «3D,/7 2.52 «D Assumendo Ä sufficientemente piccolo, espandendo in serie il termine a sinistra di 2.52 rispetto al tempo, e combinando quanto ottenuto con l’equazione di continuità 2.28 si ottiene (al posto dell’equazione parabolica di diffusione ordinaria, espressa dalla seconda legge di Flick), l’equazione iperbolica di diffusione ordinaria, ovvero: Ä « 3D,/7 «/ «3D,/7 «/ « 3D,/7 2.53 «D Qualora si fosse analizzato il caso generale di subdiffusione, invece di avere l’equazione parabolica di diffusione si sarebbe ottenuta l’equazione iperbolica di subdiffusione, generale e comprendente tutti i casi di diffusione ordinaria e anomala visti fino ad ora, rivisti con l’introduzione del parametro τ. Tale equazione è nota anche come equazione generalizzata di Cattaneo, ed è la seguente: Ä « 3D,/7 «/ «3D,/7 «/ « nÁº E « 3D,/7 «/ nÁº 2.54 «D Nella pratica τ è un valore molto piccolo, e quindi raramente si vedono gli effetti introdotti da tale parametro nelle scale temporali d’indagine. Tuttavia, analisi spinte, come quelle di impedenza a frequenza molto elevata, possono mostrare il ruolo cruciale del parametro τ non nullo. Per esempio, a causa di esso, le impedenze di Warburg a frequenze molto elevate possono mostrare comportamenti caotici, ben visibili nella pratica attaverso l’utilizzo di opportuna strumentazione (LCR Meter ad alta frequenza). Tali effetti verrano discussi nel capitolo successivo a proposito della spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS). 2.4 Doppio strato semiconduttore/elettrolita elettrico all’interfaccia Una soluzione è un materiale omogeneo ed isotropo. Mediando nel tempo le forze che ioni e molecole d’acqua sperimentano in una comune soluzione si osserva che queste risultano totalmente indipendenti dal punto di vista della soluzione osservata. Ne consegue che la risultante di tutti i vettori è nulla e che le molecole di solvente non presentano alcuna orientazione preferenziale: ioni positivi e negativi saranno ugualmente distribuiti in ciascun volume di elettrolita. In queste 49 condizioni di equilibrio due qualunque lamine di elettrolita avranno uguale carica ed in particolare, vista l’isotropia della distribuzione di carica, carica nulla. Cosa succede nel momento in cui nel sistema sopra descritto viene introdotta una nuova fase? Cosa succede all’interfaccia fra le due fasi? Generalmente per rispondere a queste domande si fa, per comodità, riferimento all’introduzione di un elettrodo solido in una soluzione di elettrolita. Le conclusioni cui si perviene sono però ben più generali ed estendibili a qualunque interfaccia (liquido/gas, liquido/liquido…). La caratteristica più interessante del nuovo sistema è la perdita di isotropia per le particelle che si trovano nelle vicinanze dell’interfaccia: queste infatti non risentono più di un uguale intorno in tutte le direzioni e conseguentemente la sommatoria delle forze agenti su ciascuna molecola o ione potrà essere diversa da zero. Pensiamo ad esempio alla possibilità che i cationi della soluzione abbiano una maggiore tendenza ad avvicinarsi ad una lamina metallica immersa nella soluzione stessa: si viene a creare una carica netta positiva nelle vicinanze dell’interfaccia. Questa genera un campo elettrico che modifica la distribuzione di cariche anche nella seconda fase. Le cariche negative, a loro volta, risentendo del campo elettrico generato dai cationi, andranno a concentrarsi all’interfaccia. Complessivamente si otterrà una cosiddetta interfaccia elettrificata, elettricamente neutra solo se considerata nella sua globalità. Una differenza di potenziale caratterizza quindi l’interfaccia: questa non ha mai valori particolarmente elevati, ma è comunque di estrema importanza poiché lo spessore dell’interfaccia è estremamente piccolo e quindi il gradiente del potenziale elettrico (la forza del campo) sarà molto intenso. Quello che complessivamente si è generato, è una separazione di carica nota come doppio strato elettrico o più semplicemente doppio strato. 2.4.1 Introduzione al modello fisico Generalmente la struttura di un doppio strato elettrico per l’interfaccia semiconduttore/elettrolita viene divisa in tre differenti regioni: una regione di carica spaziale nel semiconduttore, una regione intermedia chiamata strato di Helmholtz ed infine una regione di carica diffusa in soluzione. Per prima cosa poniamo l’attenzione sulla zona della soluzione di un doppio strato. Lo strato a diretto contatto con l’elettrodo è costituito generalmente dalle molecole del solvente e a volte queste possono lasciare spazio a ioni o molecole che vengono adsorbiti in modo specifico sull’elettrodo. In questo caso il luogo ove si dispone il centro delle cariche elettriche viene chiamato strato interno di Helmholtz (Inner Helmholtz Plane = IHP). La densità superficiale totale di carica presente in questo strato (µC/cm2) può essere indicata come σi. In letteratura talvolta si preferisce non indicare gli ioni adsorbiti in modo specifico e disposti all’IHP come una caratteristica propria della soluzione, ma si preferisce sottolineare, specie qualora l’elettrodo sia un semiconduttore, come questi ioni adsorbiti vadano a costituire più propriamente degli strati superficiali e quindi ricadano nell’ambito proprio della descrizione dell’elettrodo. Ioni solvatati possono restare ad una distanza maggiore rispetto all’IHP e il piano in cui verranno a concentrarsi questi ioni adsorbiti in modo non specifico è detto strato esterno di Helmholtz (Outer Helmholtz Plane = OHP). In realtà l’agitazione termica e il fatto che gli ioni dello strato di Helmholtz non compensino completamente la carica dell’elettrodo, fanno sì che gli ioni solvatati non siano tutti localizzati all’OHP, bensì alcuni tendano a diffondere anche all’interno della soluzione. Tale regione è detta strato diffuso o strato di Gouy-Chapman. La formazione di questo strato è una caratteristica tipica di soluzioni di elettrolita moderatamente diluite (< 10-1 moll-1). Per soluzioni aventi concentrazioni superiori, lo strato di Gouy-Chapman risulta indistinguibile rispetto allo strato di Helmholtz, fatta eccezione per un piccolo potenziale residuo dell’ordine al massimo di 0,1 V. Definendo la somma delle densità di carica all’OHP e nello strato diffuso come σd, si può scrivere che: 50 ÅÆ Å ÅZ Å 2.55 dove σs è la densità totale di carica in soluzione e σe è la densità di carica nello strato spaziale del semiconduttore. Consideriamo ora la caduta di potenziale complessiva all’interfaccia, con riferimento alla figura 2.9 si può scrivere che: 3*⁄@Ç 7 3@7 3*7 3TÉ 7 3∞7 307 3TÉ 7 3∞7 307 ∆2 ∆É ∆Æ 2.59 dove il primo termine fra parentesi quadre rappresenta la caduta di potenziale fra il bulk della soluzione e lo strato di Helmholtz, il secondo è la caduta di potenziale all’interno dello strato di Helmholtz e il terzo è la caduta di potenziale nella regione di carica spaziale del semiconduttore. Figura 2.9 Struttura dell’interfaccia semiconduttore-elettrolita: a) disposizione degli strati costituenti l’interfaccia b) variazione di potenziale c) distribuzione delle cariche Quando un elettrodo è polarizzato, ovvero si impone ad esso un potenziale esterno, tutti e tre i costituenti la variazione di potenziale all’interfaccia possono modificarsi, e i rapporti fra i cambiamenti di potenziale che mostrano le singole parti dipendono dalle caratteristiche specifiche dell’interfaccia. Va infine sottolineato che l’orientazione dei dipoli delle molecole di solvente va anch’esso a contribuire alla formazione del doppio strato. Tale contributo è nullo per quel che riguarda la carica dell’elettrodo, ma non è invece nulla la caduta di potenziale ad esso associata (φH,dip) che è generalmente inclusa in ∆φH. 2.4.2 Adsorbimento di ioni su elettrodi di semiconduttori Quando un elettrodo metallico o semiconduttore è immerso in una soluzione acquosa, protoni, ioni idrossido ed eventuali altri ioni inorganici ed organici possono essere adsorbiti. Ioni idrossido sono chiaramente bloccati da siti che si comportano da acidi di Lewis, mentre protoni da siti basici. Nel caso in cui il fenomeno di adsorbimento avvenga dalla fase vapore, la necessità di mantenere l’elettroneutralità impone che il numero di ioni H+ e OH- adsorbiti sia uguale. Qualora invece tale fenomeno avvenga in soluzione acquosa le suddette limitazioni vengono a cadere e la 51 superficie può eventualmente divenire carica positivamente o negativamente (l’eccesso di carica opposta che garantisce l’elettroneutralità complessiva viene infatti a trovarsi in soluzione). La carica superficiale di un semiconduttore è quindi fortemente pH dipendente. Il pH delle soluzioni al quale la concentrazione di siti OH- superficiali uguaglia quella di H+ è definito punto di carica zero (Point of Zero Charge, PZC). Per l’ossido di silicio, ad esempio, il PZC è 2, mentre per l’ossido di titanio è uguale a 6. In funzione della maggiore o minore forza con i quali solidi diversi sono in grado di trattenere ioni OH- o H+ si definiscono solidi acidi o basici. Consideriamo una superficie il cui numero di ioni OH- e H+ adsorbiti superficialmente sia uguale poiché posta semplicemente a contatto con l’atmosfera; poniamola quindi in una soluzione acquosa ipotizzando che protoni e ioni idrossido non siano adsorbiti con uguale forza: qualora il solido abbia un’interazione più intensa con gli H+ vi sarà un rilascio netto di OH- in soluzione ed il solido sarà definito basico, viceversa se l’adsorbimento più intenso è verso gli OH- il rilascio sarà di protoni e il solido sarà acido. Non bisogna poi pensare che i possibili siti superficiali siano sempre di un unico tipo: è stato ad esempio dimostrato come per il TiO2 solo metà dei protoni superficiali siano facilmente scambiabili, mentre l’altra metà dei siti è meno disposta a scambiare il proprio protone ad esempio con uno ione quale Na+. I gruppi OH- superficiali possono essere o legati ad un solo ione Ti+4, oppure essere disposti a ponte tra due ioni Ti (IV). Il comportamento di questi siti non potrà quindi che essere diverso. A queste differenze sostanziali legate alla natura dei possibili siti superficiali si sovrappongono gli effetti dell’eterogeneità di alcune superfici. Adsorbimenti più intensi e più complessi da descrivere possono essere infatti osservati nei punti di maggiore disomogeneità superficiale. Nella maggior parte dei casi l’adsorbimento specifico in soluzioni acquose è ristretto all’adsorbimento di ioni idrossido o protoni: questo perché l’adsorbimento specifico di ioni solubili porterebbe sì alla liberazione dell’energia di legame, ma richiederebbe un quantitativo energetico maggiore dovuto alla perdita dell’energia di solvatazione e dell’energia di idrossilazione del solido. In realtà in soluzioni concentrate quello che spesso succede sono veri e propri fenomeni di scambio ionico quali: m m z |3g7 o z |3g7 o 2.57 m z |3g7 Tm z Tm3g7 | m 2.58 dove il pedice S sta ad indicare che il gruppo è presente sulla superficie di un solido, e dove C+ ed L- sono un generico catione ed anione monocarichi. Le cariche adsorbite su di un elettrodo vanno a disporsi nello strato di Helmholtz. Il caso in cui non vi è alcuna carica netta adsorbita in questo strato è di particolare interesse tanto che il pH a cui questo accade prende il nome di punto isoelettrico (Isoelectronic Point, IEP) o punto di potenziale zeta zero (Point of Zero Zeta Potential, PZZP). Non bisogna confondere questo punto con il PZC: qualora oltre agli ioni H+ e OH- siano adsorbite alla superficie altre specie cariche, punto isoelettrico e punto di carica zero chiaramente non coincideranno. I due parametri sono inoltre misurati in modo diverso: il IEP deriva da misure elettroforetiche, mentre il PZC è invece misurato osservando come il pH di una soluzione muta nel momento in cui viene a contatto con un semiconduttore (titolazione dei protoni associati, rilasciati dalla superficie del materiale). 2.4.3 Lo strato di carica di un semiconduttore Dopo aver analizzato le principali caratteristiche della parte di interfaccia semiconduttore/elettrolita relativa alla soluzione ed alla superficie dell’elettrodo, è necessario ora descrivere il modo in cui le cariche all’interno dei semiconduttori vengono a distribuirsi. Quando gli elettroni vengono trasferiti 52 da o verso la superficie di un semiconduttore viene a crearsi una regione di carica spaziale. Le cariche in questa zona possono presentarsi o come cariche immobili, siano esse impurezze cariche o trasportatori intrappolati, o come elettroni o buche mobili nelle bande di conduzione o di valenza. La quantità di carica presente nella regione di carica spaziale dipende da innumerevoli processi. Tale zona non è una caratteristica prioritaria dell’interfaccia elettrolita/soluzione: un semiconduttore nel vuoto può ad esempio avere una zona di carica spaziale poiché alcuni trasportatori, liberi nel bulk del semiconduttore, possono venire bloccati in stati superficiali. Ponendo il semiconduttore all’interno di una soluzione, lo stato della regione di carica spaziale può però cambiare in modo anche marcato. Tali cambiamenti possono essere legati a modifiche negli stati superficiali, al fatto che ioni o specie in soluzione possono iniettare od estrarre elettroni dal semiconduttore o perché si impone un ben preciso potenziale al semiconduttore; in tutti i casi comunque si ha il raggiungimento di un nuovo equilibrio tra i livelli di Fermi dell’elettrolita e del semiconduttore. Aspetto fondamentale è che nella regione in prossimità della superficie la banda di conduzione e di valenza verranno a piegarsi in direzione catodica o anodica a seconda delle caratteristiche proprie del semiconduttore (di tipo n o p) e dell’ambiente in cui il materiale viene a trovarsi (caratteristiche dell’elettrolita, potenziali esterni imposti). Tale curvatura è nota come band bending. I tre principali casi in cui una regione di carica spaziale può trovarsi sono presentati in figura 2.10 Figura 2.10 Schema dei livelli energetici all’interfaccia tra un semiconduttore n e una soluzione elettrolitica contenente una coppia redox. I quattro casi indicano rispettivamente: a) la situazione al potenziale di flat band; b) uno strato di svuotamento; c) uno strato di accumulazione; d) uno strato di inversione. Uno strato di svuotamento (depletion layer, Fig. 2.10.b) si forma nel momento in cui una quantità moderata di trasportatori maggioritari (elettroni in semiconduttori n, buche in semiconduttori p) sono estratti dal semiconduttore. La superficie si trova impoverita di trasportatori maggioritari e priva, a priori, di trasportatori minoritari: ne consegue che in tale regione vi è una concentrazione ridotta di qualunque trasportatore. Uno strato di accumulazione (accumulation layer, Fig 2.10.c) si viene invece a formare nel momento in cui dei trasportatori maggioritari sono iniettati nel semiconduttore dalla soluzione. Si forma, infine, uno strato di inversione (invertion layer, Fig. 2.10.d) quando trasportatori maggioritari sono estratti in quantità estremamente elevata. Consideriamo, ad esempio, un semiconduttore di tipo n: uno strato di inversione può venire a 53 formarsi nel momento in cui dalla soluzione vengono estratti elettroni ad un flusso tale da non solo richiedere il parziale svuotamento della banda di conduzione, ma anche l’estrazione di elettroni dalla banda di valenza. Il termine inversione deriva dal fatto che la natura del semiconduttore è cambiata alla superficie: i semiconduttori n in condizioni di inversione avranno strati di tipo p superficiali. In linea teorica ciascuna di queste condizioni può essere ottenuta modificando semplicemente il potenziale applicato al semiconduttore: se si applica un potenziale decisamente negativo in un semiconduttore n si formerà uno strato di accumulazione, mentre in un p uno strato di svuotamento o al limite di inversione; portando il potenziale a valori positivi lo stesso semiconduttore n avrà uno strato di svuotamento o di inversione, mentre il p avrà uno strato di accumulazione. La possibilità di modificare le condizioni dello strato di carica spaziale modificando semplicemente il potenziale applicato al semiconduttore fa trasparire la possibilità che possa esistere un potenziale in cui il band bending viene ad annullarsi (flat band, Fig. 2.12.a) con conseguente assenza di accumulo di carica da entrambi i lati dell’interfaccia. Tale potenziale prende il nome di potenziale di flat band (φfb) ed è di estrema importanza nello studio di semiconduttori. 2.4.4 Capacità differenziale negli strati all’interfaccia elettrolita/semiconduttore La possibilità di immagazzinare carica nelle varie regioni presenti all’interfaccia elettrolita/semiconduttore permette di descrivere ciascuno strato come un condensatore la cui capacità è definita dalla relazione: ZË Zª ©Ì Ì 2.59 Z dove ~s è la variazione della carica accumulata all’interno dello strato, ~ è la variazione del potenziale all’interno del condensatore, x è l’area delle piastre del condensatore e ~ è la loro distanza, J ed JV sono la costante dielettrica del mezzo e la permittività elettrica del vuoto. In aggiunta al contributo capacitivo di ciascuno strato, spesso l’impedenza dell’interfaccia, specie per lo strato di Helmholtz e quello di carica spaziale del semiconduttore, possiede anche un contributo resistivo legato ad una corrente continua (dc) che può circolare. Qualora quest’ultimo contributo sia nullo si parla di elettrodo perfettamente polarizzabile, qualora invece l’elettrodo non sia perfettamente polarizzabile ogni cambiamento nel potenziale applicato provoca una caduta di potenziale nel circuito. Di estremo interesse è osservare come la capacità dello strato di carica spaziale del semiconduttore vari con il potenziale applicato all’elettrodo. In generale la capacità di uno strato in funzione del potenziale applicato definisce la cosiddetta capacità differenziale. Per semiconduttori non degeneri questa può essere prevista risolvendo l’equazione di Poisson-Boltzman per lo strato di carica spaziale. La soluzione completa è: gG Ì Ì ÎqÁn Ï Ð m<Ñmq3 ÁÐ m<7Î jÍ 2.60 3Ò,q7 dove la dipendenza dal potenziale applicato al semiconduttore è posta in Y defita come: Ó ªÔÕ 2.61 ]P Gli altri termini della relazione 2.60 sono invece: 54 d 3 7<⁄ 2.62 con p0 la concentrazione di equilibrio di buche nella banda di valenza ed n0 la concentrazione di equilibrio di elettroni nel bulk del semiconduttore; TÖ 3 Ì Ì ]P <⁄ 7 2.63 con ni la concentrazione di elettroni o buche in un semiconduttore intrinseco. La funzione F(Y,λ) è definita come: {3Ó, d7 d3* 3mÒ7m<7 d3m<7 3* mÒ 17 3d d3m<7 7Ó<⁄ 2.64 La relazione 2.60 è di validità generale: essa può essere semplificata nel caso di semiconduttori intrinseci oppure di semiconduttori drogati. Nel primo caso si ottiene la seguente formula: gG Ì Ì jÍ Ò cosh 37 2.65 Nel caso in cui invece si voglia descrivere la capacità differenziale per semiconduttori drogati ed in particolare per semiconduttori n l’equazione 2.60 assume forme diverse a seconda del potenziale applicato: Ì Ì exp 37 per Ó ¡¡ 1 2.66 Ì Ì exp 3|Ó| 17m<⁄ per ÓtØÙ ¥ Ó ¥ 1 2.67 Ì Ì 3 7<⁄ exp 3 7 per |Ó| ¡¡ 1 , Ó ¥ 0 gG √jÍ gG √jÍ gG √jÍ Ò |Ò| 2.68 con: TÖ 3 Ì Ì ]P <⁄ 7 2.69 Le equazioni 2.66-2.68 descrivono la capacità dello strato di carica spaziale in funzione del potenziale applicato per uno strato rispettivaente di accumulazione, svuotamento ed inversione. Di grande interesse, anche perché molto comune, è il caso dello strato di svuotamento: in questo caso infatti riportando Csc-2 in funzione di Y (eq. 2.70) si ottiene una relazione lineare nell’ipotesi di piccole tensioni applicate (Y piccoli), le cui caratteristiche saranno più avanti descritte, nota come relazione di Mott-Schottky. Questa è stata ricavata la prima volta per descrivere l’andamento della capacità differenziale in funzione della barriera di potenziale nelle giunzioni di Schottky (metallo/semiconduttore). Il rispettivo grafico viene comunemente indicato come plot di MottSchottky. < ÔÕ jÍ Ì Ì 3|Ó| 17 2.70 55 Figura 2.11 Andamento del logaritmo della capacità differenziale dello strato di carica spaziale in funzione di Y per a) un semiconduttore intrinseco e b) per un semiconduttore di tipo n. Dopo aver analizzato la capacità differenziale dello strato di carica spaziale del semiconduttore, è possibile fare alcune considerazioni sulla capacità differenziale dell’intero doppio strato, esprimibile in termini generali con: ZË Zª 2.71 dove Q è la carica dell’elettrodo e φ è il potenziale ad esso applicato. Tale capacità può essere espressa in funzione delle rispettive capacità differenziali dei singoli strati costituenti l’interfaccia: < < ÚÛ < < Ü 2.72 Ý dove É ~s/~É e 2 ~s/~2 sono rispettivamente la capacità differenziale dello strato di Helmholtz e di quello diffuso. Ne consegue che la capacità differenziale per l’interfaccia semiconduttore/elettrolita può essere rappresentata mediante un circuito equivalente costituito da tre capacità in serie (Fig. 2.12). Figura 2.12 Circuito equivalente descrivente l’interfaccia semiconduttore–elettrolita 2.4.5 Derivazione completa dell’equazione di Mott–Schottky per uno strato di svuotamento in un semiconduttore n Ai nostri scopi può essere utile considerare come è possibile ricavare in modo completo l’equazione di Mott-Schottky per uno strato di svuotamento a partire dalle relazioni fondamentali per la densità dei portatori di carica nello strato di carica spaziale. La densità dei portatori di carica nella strato di carica spaziale viene descritta attraverso l’equazione di Poisson: 56 Z ª ZD ÌÌ Z \ w347 C347 2.73 con x la distanza dalla superficie, Nd ed Na la concentrazione di donatori ed accettori, ovvero delle cariche fisse, n(x) e p(x) la densità degli elettroni e delle buche in assenza di corrente (equilibrio termodinamico). Questi ultimi due parametri sono per semiconduttori non degeneri descrivibili mediante la distribuzione di Boltzmann: Þß w347 wV em àá 2.74 Þß C347 CV e àá 2.75 dove n0 = Nd e p0 = Np sono rispettivamente la densità degli elettroni e delle buche nel corpo del semiconduttore. Consideriamo come riferimento per la scala dei potenziali il potenziale di bulk (φbulk = φ(∞) = 0) e assumiamo poi che ad x = 0, ovvero sulla superficie, il potenziale assuma un valore φ(0) = φs, dove φs è la barriera di potenziale superficiale (band bending). Tale barriera è quella che gli elettroni devono superare per essere iniettati in soluzione. Per un semiconduttore di tipo n in uno strato di svuotamento si possono considerare trascurabili sia la densità degli accettori (Na) sia la densità delle buche p(x); la relazione 2.73 si semplifica nella seguente forma: Z ª ZD Øc ÌÌ Þß 1 em àá 2.76 Integrando questa equazione con la condizione al contorno ~/~4 0 per 0, ovvero che la variazione del potenziale nel bulk del semiconduttore al variare della distanza dalla superficie è nulla, si ottiene: 3~/~47 Øc ÌÌ 1 ]P Þß 3emàá 17 2.77 Avendo posto l’attenzione su uno strato di svuotamento per Æ il termine *4C3Æ /K7 può essere trascurato a ragionevoli valori di φS. Consideriamo ora l’equazione di Gauss applicata per un parallelepipedo avente una di due facce parallele posta nel corpo del semiconduttore e l’altra all’interfaccia. La prima faccia risente di un campo elettrico nullo, mentre la seconda di un campo 3~/~47 Æ . La carica complessiva presente nel parallelepipedo è la carica associata con lo strato di carica spaziale qsc. Indicando con x l’area delle facce parallele all’interfaccia ed indicando la quantità di carica per unità di superficie come Qsc, la legge di Gauss assume la forma: Zª ³ Ë 3 ZD 7ª²ªÚ ÌÌÔÕ© ÌÌÔÕ 2.78 Unendo le equazioni 2.77 e 2.76 si ottiene: Zª ³ Ë 3 ZD 7ª²ªÚ ÌÌÔÕ© ÌÌÔÕ â Øc ÌÌ °g ]P <⁄ ±ã 2.79 Considerando la definizione di capacità dello strato di carica spaziale, Æ ~sÆ /~Æ , e differenziando l’equazione 2.79 rispetto a φs si ottiene: 57 < ÔÕ Øc ÌÌ °g ]P ± 2.80 Considerando infine che il potenziale superficiale può essere espresso come Æ »f , con φ uguale al potenziale imposto all’elettrodo semiconduttore mediante un circuito esterno, si ottiene l’equazione di Mott-Schottky nella sua classica forma: < ÔÕ Øc ÌÌ ° »f ]P ± 2.81 2.4.6 Considerazioni complessive sulle regioni del doppio strato Da un’analisi complessiva delle regioni costituenti l’interfaccia semiconduttore-elettrolita si possono fare alcune considerazioni valide nella maggior parte dei casi. Le lunghezze dei tre strati di carica (Lsc, LH e Lel) sono generalmente tali che la prima risulta decisamente più ampia rispetto alle altre due. Stessa considerazione si può fare anche per il valore assoluto della caduta di potenziale che è generalmente maggiore nello strato di carica spaziale (|φsc|) rispetto alla caduta di potenziale negli strati di Helmholtz (|φH|) e Gouy-Chapman (|φel|). La capacità dell’interfaccia è descritta da tre condensatori in serie e quindi la capacità totale del sistema è, con buona approssimazione, uguale alla più piccola delle tre. Le capacità dello strato di Helmholtz sono dell’ordine di 50-100 µF/cm2 (equazione 2.62 con d ≅ 3 Å ed ε ≅ 30-50 a causa della strutturazione del solvente indotta dal campo elettrico). Ad alte forze ioniche la capacità dello strato di Gouy-Chapmann è anch’essa oltre i 40 µF/cm2. In genere, come vedremo, alle interfacce elettrolita/semiconduttore la capacità più piccola è quella dello strato di carica spaziale ed è quindi questa quella che controlla la capacità totale. La struttura globale del doppio strato per l’interfaccia elettrolita/semiconduttore è riportata in figura 2.13. Figura 2.13 Illustrazione dei livelli energetici per l’interfaccia semiconduttore/elettrolita Queste considerazioni generali, applicabili nella maggior parte dei casi, perdono validità in una serie di casi: - per semiconduttori fortemente drogati; - per potenziali estremamente intensi; - quando la concentrazione di stati superficiali risulta molto elevata. Infine va sottolineato che il contributo alla capacità complessiva e alla caduta di potenziale totale da parte dello strato diffuso può essere spesso non considerato quando la concentrazione della 58 soluzione è sufficientemente elevata (maggiore di 10-1 M), questa condizione può essere eventualmente facilmente raggiunta aggiungendo un elettrolita di fondo nella soluzione. Nel momento in cui viene polarizzato un elettrodo il cambiamento nel potenziale complessivo fa sì che le cadute di potenziale nei singoli strati possano modificarsi. Esistono due casi estremi che vale la pena sottolineare. • • Assumiamo che al variare del potenziale di elettrodo l’unica variazione significativa sia quella che subisce φsc, per cui è possibile scrivere che |∆φsc| >> |∆φH|, |∆φel|. Il fatto che le cadute di potenziali negli strati di Helmholtz e di Gouy–Chapman rimangano pressoché inalterate permette di dire che |∆φ| = |∆φsc|. In questo caso le posizioni delle bande di conduzione e di valenza alla superficie (Ec,s e Ev,s) rimangono inalterate. In questo caso (Fig. 2.14.b) gli estremi delle bande si dicono bloccati alla superficie (band pinning) e la carica va a finire entro lo strato di carica spaziale. Il caso opposto coincide invece con il fatto che la polarizzazione dell’elettrodo comporti variazioni sostanziali nella caduta di potenziale del solo strato di Helmholtz (|∆φΗ| >> |∆φsc|, |∆φel|). In queste condizioni (Fig. 2.14.c) l’energia degli stati superficiali viene a muoversi di e∆φΗ. Rispetto alla posizione del livello di Fermi nel semiconduttore l’energia delle bande di conduzione e di valenza alla superficie mantengono la propria posizione relativa poiché la carica va a finire sulla superficie del semiconduttore: si dice in questo caso che le bande sono non bloccate oppure che è bloccato il livello di Fermi (Fermi level pinning). Nei sistemi reali spesso ciò che si verifica è una situazione intermedia rispetto alle precedenti. In questi casi la polarizzazione dell’elettrodo provoca la simultanea variazione sia della caduta di potenziale nello strato di Helmholtz sia all’interno del semiconduttore, e né il livello di Fermi, né la posizione delle bande alla superficie sono bloccate. Per verificare se si ha Fermi level pinning occorre determinare i potenziali di flat band in presenza di coppie redox con potenziali differenti. Se Efb, ovvero eφfb, è funzione del potenziale della coppia redox ci si trova nel caso di Fermi level pinning. Questo è una condizione da evitare poiché il massimo di fotopotenziale ottenibile sotto illuminazione in queste condizioni è indipendente dalla coppia redox presente in soluzione. Figura 2.14 Schema energetico di una giunzione semiconduttore elettrolita al quale è applicato un potenziale esterno. Il passaggio da a a b schematizza il fenomeno di blocco delle bande superficiali (band pinning), mentre il passaggio da b a c il processo di blocco del livello di Fermi (Fermi level pinning). 2.4.7 Metodi per la determinazione del potenziale di flat band La determinazione del potenziale di flat band è senza alcun dubbio il punto di partenza per la caratterizzazione di un’interfaccia semiconduttore/elettrolita: è infatti da questo parametro che si parte per poter posizionare energeticamente il livello di Fermi, le bande di conduzione e di valenza 59 e il band gap. È inoltre funzione del potenziale di flat band il valore massimo di fotopotenziale ottenibile (φOCPmax) da una cella fotoelettrochimica (φOCPmax = φfb – φredox). Vista l’importanza di questo parametro è necessario quindi fare alcune considerazioni sulle modalità con cui esso può essere stimato. Storicamente il primo metodo usato per quantificare questo parametro era basato su metodi di misura della conducibilità superficiale. Queste tecniche si basavano sul fatto che la conducibilità nella regione di carica spaziale di un semiconduttore differisce da quella di bulk e dipende dalla caduta di potenziale φsc nel semiconduttore. Attualmente questo metodo è caduto in disuso a causa delle notevoli ed inevitabili complicazioni sperimentali. Il metodo attualmente più utilizzato è basato sullo studio delle relazioni che intercorrono fra la capacità differenziale, Csc, e la caduta di potenziale φsc. Per uno stato di svuotamento abbiamo già introdotto le equazioni 2.70 e 2.71. Ponendo la concentrazione di elettrolita ad un valore sufficientemente elevato, i contributi alla caduta di potenziale e alla capacità dello strato diffuso risultano essere trascurabili. In questo caso si assiste spesso al fatto che il quadrato dell’inverso della capacità del semiconduttore misurata sperimentalmente mostra una dipendenza lineare dal potenziale applicato. Questo fatto viene considerato, a volte in modo erroneo, come la prova della validità delle seguenti due disuguaglianze: gG å É 2.82 |∆gG | æ |∆É | 2.83 In altre parole si assume che: - la misura della capacità dell’elettrodo semiconduttore, C, è completamente funzione della sola capacità differenziale della regione di carica spaziale del semiconduttore stesso; - al variare del potenziale applicato all’elettrodo solo la caduta di potenziale nel semiconduttore cambia, mentre la caduta di potenziale nello strato di Helmholtz rimane costante, ciò comporta che: gG 3 »f 7 2.84 Se le condizioni espresse dalle relazioni 2.82-2.83 sono rispettate è possibile sfruttare l’equazione 2.81 per ricavare dall’intercetta del plot di Mott-Schottky il potenziale di flat band (da correggere per il fattore kT/e) e dalla sua pendenza il numero di donatori ND. In realtà è possibile considerare anche il caso in cui i contributi dello strato di Helmholtz non siano trascurabili. In questo caso si può scrivere che: »f ∆gG ∆É < < ÚÛ 2.85 < 2.86 Ü Assumendo che la carica in stati superficiali sia trascurabile e che quindi Qsc = -QH, è possibile esprimere la caduta di potenziale nello strato di Helmholtz come: ∆É ËÔÕ 2.87 Ü Sulla base di queste assunzione la relazione di Mott-Schottky viene a variare ed assume la forma: 60 < < Ü Øc ÌÌ ]P °φ φèé ± 2.88 Questo spostamento specie in caso di semiconduttori fortemente drogati non è trascurabile. Si può quindi concludere la dipendenza lineare tra C-2 ed il potenziale applicato non è la diretta prova delle bontà delle relazioni 2.80. Nel caso infatti in cui il potenziale di Helmholtz abbia un contributo non trascurabile, ma non variabile, si ha comunque una dipendenza lineare. E’ interessante inoltre considerare come il diagramma e l’equazione di Mott-Schottky si modificano nel caso di sovrapposizione di due film di semiconduttori diversi. Se lo strato di svuotamento ha uno spessore inferiore rispetto a quello del film di materiale direttamente a contatto con la soluzione, il diagramma di Mott-Schottky mostra l’andamento sopra descritto senza risentire in nessun modo delle caratteristiche del secondo strato di semiconduttore. Qualora invece lo strato di svuotamento si estenda anche parzialmente nel film di semiconduttore non a diretto contatto con la soluzione (questo caso si incontra spesso con semiconduttori aventi un numero basso di donatori) l’andamento del diagramma di Mott-Schottky si modifica. A potenziali più negativi di un dato valore φi il diagramma mostra le consuete caratteristiche ed è dominato dalle proprietà del semiconduttore a diretto contatto con la soluzione (costante dielettrica ε1 e numero di donatori ND1). Al di sopra di tale potenziale si assiste ad una rapida variazione della pendenza nell’andamento del diagramma di Mott-Schottky. Il valore di φi coincide con il potenziale al quale lo strato di svuotamento raggiunge il secondo semiconduttore e quindi il suo spessore coincide con quello del film del primo semiconduttore. Per potenziali al di sopra di φi la pendenza della retta è influenzata dalle sole proprietà del materiale più interno (costante dielettrica ε2 e numero di donatori ND2), mentre la sua intercetta non coincide più con il potenziale di flat band. In queste condizioni l’equazione di Mott-Schottky diviene: < Ì Ø Z M1 Ìn ØÍn Q MÌ Q MÌ Í n ØÍ Q gG 2.89 con d uguale allo spessore dello strato di semiconduttore direttamente a contatto con la soluzione. Dalla combinazione dell’equazione 2.69 e 2.71 si ricava facilmente lo spessore dello strato di svuotamento: TZ2 M Øc <⁄ ÌÌ Q °φ φèé ]P <⁄ ± 2.90 Come detto sopra nel caso in cui lo strato di svuotamento si estenda fino all’interno del secondo film di semiconduttore è possibile identificare il potenziale φi al quale vi è il cambio di pendenza del grafico di Mott-Schottky, sostituendo quindi nell’equazione 2.90 E con φi si ricava direttamente lo spessore del primo strato di semiconduttore. Analizziamo infine come il diagramma di Mott-Schottky si modifica in presenza di un’elevata densità di stati superficiali. Questi possono essere caricati o svuotati a seconda del potenziale applicato all’elettrodo di lavoro. Nel caso in cui ci si trovi nella condizione intermedia (in cui cioè tali stati non sono né completamente occupati, né completamente vuoti) il potenziale applicato all’elettrodo viene completamente utilizzato per caricare o scaricare questi stati e di conseguenza la capacità dello strato di carica spaziale del semiconduttore non si modifica, e la carica va a finire sugli stati superficiali. Quando gli strati superficiali risultano o completamente pieni o completamente vuoti la capacità dello strato di carica spaziale segue di nuovo l’andamento descritto dall’equazione di Mott-Schottky. Un tipico andamento del diagramma di Mott-Schottky ottenibile in queste condizioni è riportato in figura 2.15. La pendenza della curva nella regione centrale di potenziali è strettamente legata alla densità degli stati superficiali: tanto più alta è tale pendenza 61 tanto più bassa è la densità di tali stati, al limite di una densità infinita di stati superficiali la pendenza è nulla. Ponendo uguale a Qd la quantità di carica positiva presente negli stati superficiali quando questi sono interamente vuoti e Qa la carica negativa accumulata quando gli stati sono invece occupati, l’effetto che la presenza di stati superficiali ha sul potenziale di flat band è quello di assumere un valore uguale a φfb’’= φfb + Qd/CH nel caso in cui ci siano stati donatori superficiali ed φfb’= φfb – Qa/CH quando si hanno stati accettori. In questi casi il vero potenziale di flat band, ovvero quello a cui è associata assenza di stati superficiali, è il valore medio tra φfb’’ e φfb’ (Fig. 2.15). Figura 2.15 Influenza della presenza di stati superficiali sull’andamento del diagramma di Mott-Schottky, il potenziale di flat band viene a spostarsi in funzione della carica accumulata all’interno degli stati superficiali. Ultimo metodo per la determinazione del potenziale di flat band ampiamente utilizzato si basa su misure di fotocorrente. Quando un semiconduttore è irradiato con luce avente una energia hν superiore al band gap, elettroni della banda di valenza vengono foteccitati nella banda di conduzione creando così una coppia buca-elettrone. L’intensità della luce, I, decresce al crescere della distanza, x, dalla superficie in accordo con la relazione: ¦ ¦V exp 3S47 2.91 dove α ha le dimensioni del reciproco di una lunghezza ed è noto come coefficiente di assorbimento lineare di luce. La lunghezza di penetrazione della luce ed il parametro α sono funzione della lunghezza d’onda incidente. Per radiazioni aventi maggiori lunghezze d’onda si hanno α minori e spessori di penetrazioni maggiori, mentre per radiazioni aventi λ minori si può avere una profondità di penetrazione anche inferiore rispetto alla larghezza della regione di carica spaziale Lsc. Se si forma uno strato di svuotamento le buche fotogenerate nello spazio con x < Lsc tendono a migrare verso la superficie e qui reagire; viceversa quelle generate ad x > Lsc possono al più arrivare alla superficie per diffusione, il processo è più lento e quindi normalmente tendono a ricombinarsi prima di poter reagire in superficie. Si indica la lunghezza di diffusione per le buche come Lp. A differenza di quest’ultimo parametro il valore di Lsc è fortemente dipendente dal potenziale applicato. Si definisce quindi fotocorrente (iph) la differenza tra la corrente misurata sotto illuminazione (iill) ed al buio (ibuio). _ 22 fh0 3.92 62 Se la luce è solo debolmente assorbita e quindi α-1 > Lsc + Lp al variare del potenziale applicato varierà il valore di Lsc e quindi il numero di buche fotogenerate che arriveranno alla superficie. Se invece la luce è fortemente assorbita ci si può trovare nelle condizioni per cui α-1 < Lsc, in questo caso modifiche del potenziale che vanno a modificare il valore di Lsc non hanno alcun effetto sull’intensità della fotocorrente. Nel momento in cui il valore di α è piccolo, per cui αLp << 1 e αLsc << 1, è possibile ricavare l’equazione 2.93: »f M ØÍ Ì Ì Qê ëì ($ í 2.93 In questo caso riportando in grafico il quadrato della fotocorrente in funzione del potenziale (Fig. 2.16) applicato si ottiene una relazione lineare la cui intercetta con l’asse delle ascisse fornisce il potenziale di flat band. Dalla pendenza della retta è possibile ricavare invece, qualora si conosca α e J0, il numero di donatori. Così come la relazione di Mott-Schottky anche questa è strettamente valida solo qualora il contributo dello strato di Helmholtz alle caratteristiche dell’interfaccia semiconduttore/elettrolita sia trascurabile. Figura 2.16 Quadrato della fotocorrente in funzione del potenziale applicato per un elettrodo di WO3 immerso in una soluzione 1M di CH3COONa a differenti lunghezze d’onda: 1,397 nm; 2,327 nm; 3,280 nm. 2.5 Conclusioni: elettrochimico modellizzazione di un sistema La descrizione fisico-matematica di un sistema elettrochimico risulta spesso un problema di notevole complessità, dato solitamente da più equazioni alle derivate parziali accoppiate tra loro e con specifiche condizioni iniziali, al bordo e di conservazione della massa (o non conservazione qualora questa sia controllata, come in certi casi di irreversibilità chimica, per esempio in presenza di evoluzione di idrogeno). Spesso la cinetica delle reazioni agli elettrodi è influenzata da fenomeni 63 di tipo chimico e dunque dipendente in modo non lineare dai profili di concentrazione delle specie elettrolitiche stesse. Per tale motivo risulta spesso impossibile descrivere il sistema in termini generali, bensì occorre effettuare analisi in determinate condizioni di funzionamento. Nella pratica, la caratterizzazione di un sistema è realizzata ponendosi in opportune condizioni sperimentali dalle quali è possibile ricondursi a modellizzazioni dei fenomeni in gioco note in letteratura. Diventa così estremamente importante la scelta della forma e delle dimensioni degli elettrodi utilizzati, il controllo del potenziale all’interfaccia dell’elettrodo di lavoro per esperimenti di voltammetria attraverso l’uso di un potenziostato (in particolare in presenza di elevate correnti in gioco, determinanti conseguenti cadute di tensioni su resistenze non compensate), il controllo di corrente se gli esperimenti sono di tipo cronoamperometrici attraverso l’uso di un galvanstato, il controllo di meccanismi convettivi attraverso l’uso di opportune tecniche di stirring, la scelta di un opportuno elettrolita di trasporto per limitare la presenza di trasporto migratorio cercando però di evitare di influenzare la cinetica all’elettrodo di lavoro stesso. Quando si riesce a realizzare l’esperimento con accorgimenti quali quelli appena citati, la probabilità di riuscire a modellizzare il sistema in tutta la sua variabilità aumenta in maniera notevole. Senza ledere di generalità, un problema elettrochimico può essere descritto dalle equazioni riguardanti la cinetica delle reazioni agli elettrodi o alle opportune interfacce tra fasi diverse, espresse tramite il modello di Butler-Volmer, e quelle riguardanti i meccanismi di trasporto, espresso in termini generali dall’equazione di Planck-Nernst. Tali equazioni risultano tra loro accoppiate e il loro numero dipende dal numero di reazioni in gioco e dal numero di specie elettrochimiche coinvolte. Tramite opportuno controllo sperimentale, talvolta l’equazione di ButlerVolmer degenera, per esempio in considerazioni di reversibilità, nella equazione di Nernst. In tali situazioni il problema elettrochimico può semplificarsi notevolemente (per esempio si eliminano certi accoppiamenti e conseguenti condizioni di raccordo), ed in presenza di singole reazioni e una sola specie elettroattiva si giunge spesso a soluzioni analitiche in forma chiusa estremamente eleganti, che permettono di descrivere in formule la risposta a perturbazioni esterne quali possono essere eccitazioni elettriche oppure ottiche. 64 Capitolo 3 Strumentazione e tecniche di misura [10], [11], [18] Nella prima parte di questo capitolo viene illustrato nel dettaglio il processo di realizzazione delle fotocelle elettrochimiche, oggetto di studio in questa tesi. Ci si sofferma sia sulle tecniche scelte sia sugli specifici strumenti utilizzati. Nel seconda parte, invece, sono presentate le tecniche di caratterizzazione e di misura utilizzate. 3.1 Realizzazione di dispositivi I dispositivi da noi realizzati sono fotocelle elettrochimiche in cui l’elettrodo di lavoro è costituito da un sottile strato di ossido di indio e stagno (ITO), deposto su un substrato di vetro planare, sensitivizzato da un film sottile di materiale organico. La soluzione elettrolitica consiste in una soluzione acquosa di cloruro di sodio (NaCl) (talvolta solo acqua milli-Q), mentre il controelettrodo è una piastra di platino posta a circa 0,8 mm dall’elettrodo di lavoro. Possiamo suddividere l’intero processo di fabbricazione del dispositivo in passi successivi: • Preparazione dell’anodo; • Pulizia del substrato; • Preparazione delle soluzioni polimeriche; • Deposizione del film fotosensibile sensitivizzante l’elettrodo di lavoro per spin-coating; • Preparazione del contro-elettrodo di Pt per sputtering; • Preparazione della soluzione elettrolitica; • Realizzazione dei contatti. Nei prossimi paragrafi illustriamo dettagliatamente ciascuno di questi processi, specificando le motivazioni per la scelta dei vari parametri. 3.1.1 Etching Chimico Le fotocelle elettrochimiche oggetto di studio in questa tesi sono dispositivi a geometria verticale, per i quali è necessario che almeno uno dei due elettrodi sia trasparente (o semitrasparente) in modo che la luce possa giungere fino alla strato attivo senza essere apprezzabilmente. L’elettrodo di lavoro consiste in uno strato trasparente di ITO, che si acquista già depositato su una lastra piana di vetro. Nel caso specifico lo spessore dell’ITO raggiunge circa i 100 nm mentre la sua resistenza è di circa 20 Ω/cm. Le dimensioni del substrato per i nostri dispositivi sono vincolate dalle dimensioni laterali delle cuvette in cui dovranno esser posti, in particolare la dimensione trasversale deve essere di poco minore di 1 cm, circa 0,8 cm. A questo scopo i substrati sono tagliati con l’uso di una punta di diamante a forma di rettangoli con dimensioni di circa 0,8x2 cm2. Lo strato di ITO è depositato in maniera uniforme su tutto il vetrino (Fig 3.1 sinistra) ed è generalmente necessario rimuoverne una parte da tutti i bordi del substrato tranne uno (Fig. 3.2 destra), dal quale preleveremo il segnale verso il circuito esterno. La soluzione elettrolitica potrebbe infatti permeare trasversalmente rispetto alla superficie del materiale attivo, creando effetti 65 ossidativi con conseguenti effetti di distacco dello strato polimerico sensitivizzante l’elettrodo per un effetto di laminazione. La rimozione dell’ITO viene effettuata chimicamente tramite la tecnica di etching chimico. Il processo di rimozione dell’ITO avviene secondo la procedura seguente: 1. per prima cosa si definisce la geometria di ITO desiderata e la si ricopre con una resina sintetica che servirà a proteggere l’area sottostante dall’attacco chimico dell’acido; lo strato di resina deve essere sufficientemente spesso in modo che l’acido non possa penetrare al suo interno; 2. successivamente si prepara all’interno di un piatto di Petri una soluzione composta da due parti di acqua bidistillata e una parte di acido cloridrico fumante al 37%. Il piatto viene posto su di un fornelletto e riscaldato a 50 °C per rendere l’acido più aggressivo e velocizzare così la rimozione dell’ITO. Il substrato viene dunque immerso in questa soluzione per alcuni minuti; 3. dopo pochi minuti il substrato viene prelevato e si verifica la resistenza della superficie esposta all’acido per mezzo di un multimetro. Se la resistenza è infinita significa che lo strato di ITO è stato completamente rimosso e quindi il processo è concluso. In alternativa il vetrino viene rimesso nella soluzione per qualche minuto aggiuntivo; 4. alla fine del processo di etching la resina sintetica viene rimossa utilizzando acetone puro. Il confronto tra il substrato prima e dopo il processo di etching chimico è presentato in figura 3.1. Figura 3.1 Substrato (vetro+ITO) dell’elettrodo sensitvizzato della fotocella elettrochimica prima e dopo essere sottoposto etching chimico. 3.1.2 Pulizia del substrato Il substrato così ottenuto deve essere pulito per eliminare le impurezze presenti dovute ai possibili residui del taglio, alla resina non ancora asportata e alle contaminazioni di vario genere, quali, ad esempio, grasso e polvere. Si può verificare che una buona pulizia del substrato migliora notevolmente le prestazioni di un fotodiodo organico a parità di altri fattori. La pulizia si effettua in step successivi, elencati di seguito: 1. rimozione di resina e schegge di vetro residue sul substrato con l’ausilio di una cartina ottica imbevuta di acetone; 2. bagno ultrasonico del vetrino in acqua deionizzata con l’aggiunta di tensioattivo concentrato al 3% (in volume). La durata del bagno ultrasonico è di 10 minuti e per migliorare il risultato è possibile riscaldare l’acqua del bagno a 60°C; 3. prelievo del vetrino e risciacquo con acqua deionizzata; 4. bagno ultrasonico in acqua deionizzata per 10 minuti a 60°C; 5. risciacquo con acqua deionizzata; 6. bagno ultrasonico per 5 minuti in acetone a 40°C; 7. bagno ultrasonico del vetrino in etanolo per 5 minuti. 66 3.1.3 Preparazione delle soluzioni polimeriche Per ottenere dei film polimerici dello spessore di alcune centinaia di nm si utilizza la tecnica di spin-coating per la quale è necessario disporre di materiale attivo in soluzione. Le soluzioni possono essere preparate con solventi organici di vario tipo, in base alla solubilità dei materiali attivi. Tra i solventi più usati ci sono il toluene, il clorobenzene e il cloroformio. I nostri studi sono stati condotti principalmente su film costituiti da due diversi materiali attivi: poly(3-hexylthiophene-2,5diyl) (P3HT, Fig. 3.2) e PCBM (una versione solubile del fullerene C60 (Fig. 3.3). Figura 3.2 Struttura chimica del poly(3-hexylthiophene-2,5-diyl) (P3HT) Figura 3.3 Struttura chimica del PCBM Una volta stabilita la concentrazione di polimero desiderata per la soluzione, il processo di preparazione si svolge nel modo seguente: 1. si pesano i materiali attivi mediante una bilancia di precisione; 2. si diluisce il materiale pesato nel solvente. Per facilitare il processo di scioglimento del polimero nel solvente è possibile sia scaldare soluzione su un fornelletto (tipicamente a 50-60 °C) sia porre la soluzione nel bagno ultrasonico per un tempo variabile in base alle caratteristiche di solubilità del materiale. Ciascun passaggio della preparazione deve avvenire all’interno della cappa di aspirazione per evitare che i vapori dei solventi (altamente volatili) vengano inalati dagli operatori. Per le soluzioni dei nostri campioni di P3HT:PCBM (1:1) è stato utilizzato clorobenzene come solvente. Nella realizzazione di doppi strati sensitivizzanti, il PCBM è stato sciolto in diclorometano perché tale solvente presenta buone caratteristiche di ortogonalità rispetto al cloro benzene ed è quindi possibile effettuare due deposizioni successive (per il solo P3HT e il solo PCBM) senza che lo strato inferiore 67 venga sciolto da quello superiore (le qualità dei film ottenuti sono risultate scadenti, e per tale motivo la caratterizzazione dei dispositivi con strato fotoattivo dato dal bilayer, realizzabile più efficacemente con tecniche di deposizione evaporative, è stata rimandata in tempi successivi a tale lavoro). 3.1.4 Spin coating Lo spin coating è una tecnica utilizzata per applicare un film sottile e uniforme ad un substrato solido piano. In breve, una quantità in eccesso di una soluzione della specie che si vuole depositare viene depositata sul substrato, che è successivamente messo in rapida rotazione, al fine di spargere il fluido sul substrato per effetto della forza centrifuga. I solventi utilizzati sono di solito molto volatili (clorobenzene, toluene, cloroformio), dunque il film si assottiglia durante il processo anche per effetto dell'evaporazione del solvente. La rotazione viene fermata non appena si raggiunge lo spessore desiderato, anche inferiore ai 10 nm. Tale tecnica è stata dunque utilizzata per la deposizione dei film polimerici sui substrati appena preparati. Durante la rotazione, il campione viene mantenuto in posizione mediante una pompa da vuoto. Complessivamente, l’intero processo di deposizione può essere suddiviso in quattro fasi: • • • • Deposizione; Spin up; Spin off; Evaporazione. Figura 3.4. A) Processo di deposizione; B) Processo di spin-up; C) Processo di spin-off; D) Processo di evaporazione Deposizione Dopo aver scaldato opportunamente la soluzione da depositare e il substrato su un fornelletto regolabile in temperatura, il primo passo consiste nel deporre il polimero sopra lo strato di ITO. Si tratta di una fase poco sensibile in quanto dipendente da fattori umani non controllabili con precisione e non ripetibili: ciò determina una variazione degli spessori a parità degli altri fattori. Esistono due tipi di deposizione: • • Statica: utilizzata nei casi di soluzione a bassa viscosità, prevede il deposito delle gocce della soluzione polimerica sul substrato fermo, messo in rotazione solo successivamente; Dinamica: utilizzata nei casi di soluzione ad alta viscosità, prevede il deposito della soluzione polimerica mentre il supporto del substrato è già in fase rotante a bassa velocità 68 (500 giri al minuto, rpm). Tale metodo permette una maggiore uniformità del materiale depositato, evitando l’evaporazione della soluzione prima che abbia inizio la rotazione. Per la fabbricazione dei nostri dispositivi è stata scelta la deposizione statica. Spin up Durante questa fase il supporto rotante del substrato viene accelerato fino alla velocità finale desiderata (1000-2000 rpm) e il fluido comincia ad essere espulso. In questa fase non si ha ancora un film omogeneo. A causa della consistente quantità iniziale della soluzione, sulla superficie del dispositivo possono presentarsi, per qualche istante, dei vortici prodotti dall’inerzia che lo strato superiore del fluido esercita mentre il substrato sottostante accelera. Questo permane fino a quando il fluido diventa sottile a sufficienza da poter seguire la rotazione del substrato stesso. Raggiunta la velocità desiderata la viscosità della soluzione bilancia esattamente l’accelerazione rotazionale. Durante questa fase si determina lo spessore t del film deposto secondo: ­≅ ] 3.1 √î dove p è la densità del fluido, w è la velocità rotazionale e k è una costante di proporzionalità determinabile dalla viscosità del fluido, la quale dipende dalla concentrazione di polimero nella soluzione. Tale equazione non rende conto del volume iniziale di soluzione depositata, parametro che può determinare una variazione di spessore non controllabile a priori. Per questo motivo a valle della deposizione del film polimerico può essere effettuata una misura di spessore tramite un profilometro (Gambetti, KLA Tencor Alpha-Step IQ). Spin off In questa terza fase dominano le forze viscose e il film tende a diventare uniforme. Lo strato si assottiglia man mano che il fluido in eccesso viene espulso. Ai bordi il film non diventa omogeneo a causa dell’accumulo di gocce di fluido. Per eliminare effetti di bordo si imprime al substrato un forte aumento di velocità in termini di rpm. In tal modo si cerca di contrastare l’effetto negativo di bordo. Figura 3.5 Esempio di velocità in termini di rpm di rotazione dello spin coater in funzione del tempo per ottenere un film omogeneo senza effetti di bordo. A) deposizione della soluzione sull’intero substrato; B) assottigliamento e uniformizzazione del film; C) rimozione effetti di bordo. 69 Evaporazione La fase di evaporazione è caratterizzata da una velocità angolare di rotazione costante che comporta di solito l’evaporazione totale del solvente. Lo spessore del film risulta controllato dalla velocità alla quale questa evaporazione avviene. Infatti la viscosità del fluido deposto aumenta sempre di più, fino a vincere la forza centrifuga. Il film ottenuto al termine del processo di spin-coating è molto sottile e ben distribuito sulla superficie del substrato. In alcuni casi l’ultimo passaggio è quello di porre il dispositivo su un fornelletto a 50 °C per qualche minuto, al fine di completare l’evaporazione del solvente se ciò non fosse ancora avvenuto (è, ad esempio, il caso di film ottenuti con solventi poco volatili o di processi avvenuti in tempi particolarmente ridotti a causa di altre esigenze di fabbricazione). 3.1.5 Evaporazione Tale procedura permette l’evaporazione del catodo metallico (solitamente alluminio o calcio) per fotodiodi standard o la deposizione di uno strato organico con funzione sensitivizzante sopra l’elettrodo di lavoro di un opportuna cella elettrochimica. L’evaporazione dei metalli avviene per sublimazione termicamente assistita nell’evaporatore, uno strumento in grado di creare il vuoto all’interno di una campana nella quale avviene il processo. L’evaporatore presente nel nostro laboratorio è il modello Auto 306 della Edwards. Si tratta di un apparecchio commerciale in grado di raggiungere un livello di vuoto dell’ordine di 10-6 mbar grazie ad un sistema interno di pompe e le cui parti meccaniche sono raffreddate ad acqua. Per raggiungere le condizioni ideali di pressione le pompe impiegano diverse ore e a pressioni troppo alte l’apparecchio blocca il proprio funzionamento. Il metallo da evaporare si trova inizialmente in fase solida, ad esempio un filo di alluminio di circa 1 mm di diametro e lungo 2÷3 cm, e viene posto su di una resistenza nella quale si fa passare corrente. Le resistenze più usate nel nostro laboratorio sono filamenti di tungsteno, all’interno delle quali scorrono correntielettriche fino a 4÷5 A. Al di sopra del filamento, a circa 15 cm di distanza, sono alloggiati i film, posti su maschere appositamente realizzate per il tipo di dispositivo desiderato. E’ importante che i campioni siano il più possibile allineati con il filamento in modo da massimizzare l’efficienza di evaporazione dell’alluminio. Quando l’evaporatore entra in funzione, la corrente nel filamento viene innalzata lentamente da 0 a 3,5÷4 A circa, in modo da aumentare la temperatura del filo di alluminio per effetto joule e permetterne la sublimazione. In questa fase occorre fare attenzione al fatto che la pressione all’interno della campana non superi i valori di lavoro, altrimenti l’evaporatore va in blocco e l’intero processo si interrompe. Nell’evaporatore è presente uno shutter, che, se chiuso, serve a tenere i dispositivi riparati dai primi strati di alluminio che evaporano. Questi strati infatti sono quelli più esterni del filo e dunque soggetti alla presenza di numerose impurezze ed inoltre si depositano molto rapidamente, creando una struttura disordinata. E’ molto importante, invece, che i primi 10÷15 nm di alluminio in contatto col polimero siano il più possibile puri e strutturati ordinatamente , e questo risultato si può ottenere aprendo lo shutter dopo qualche decina di secondi in seguito alla sublimazione dell’alluminio. Per controllare lo spessore depositato, l’evaporatore utilizza una sonda, ovvero una microbilancia al quarzo. Essa viene posta il più vicino possibile ai campioni per misurare realisticamente lo spessore su di essi, facendo però attenzione al fatto che non metta in ombra nessuno dei dispositivi. Il quarzo è un materiale piezoelettrico, quindi l’applicazione di una corrente alternata determina l’instaurarsi di un’onda trasversale con una frequenza caratteristica. Quando l’alluminio si deposita sul cristallo la frequenza varia ed è possibile ricavare una relazione semplice che lega questa variazione alla quantità di materiale depositata: ∆» » ≅ » 3.2 70 dove ∆f è la variazione della frequenza, f è la frequenza caratteristica del cristallo, m è la massa per unità di area del materiale deposto e Z è l’impedenza acustica del materiale. Nota la densità δ del materiale evaporato è possibile calcolare lo spessore d dello strato semplicemente come: ~ » 3.3 ï E’ sufficiente inserire la densità del materiale che si sta evaporando per leggere lo spessore dello strato che si sta creando su un display esterno dell’evaporatore, praticamente in tempo reale. Il rate di deposizione si può controllare aumentando o diminuendo il flusso di corrente nel filamento; normalmente si utilizza un rate lento per i primi 20 nm deposti sul dispositivo, aumentandolo poi per i nm successivi. 3.1.6 Preparazione della soluzione elettrolitica Per la preparazione della soluzione elettrolitica, nel nostro caso una soluzione salina di NaCl, è sufficiente far sì che il sale si sciolga completamente nel solvente. Nel nostro caso il solvente è costituito da acqua ultrapura. Il sale da noi utilizzato è stato acquistato presso la ditta Sigma-Aldrich ed è puro al 99,5%. L’acqua ultrapura contiene per definizione solo molecole H20, ioni H+e ioni OH- in equilibrio. Tipicamente il processo di preparazione di acqua ultrapura a partire da semplice acqua di rubinetto avviene in due tempi: dapprima l’acqua viene demineralizzata e successivamente deionizzata. La demineralizzazione viene effettuata tipicamente grazie a membrane che operano una microfiltrazione. La deionizzazione invece avviene nel passaggio dell’acqua attraverso prima resine cationiche e poi attraverso quelle anioniche. Nel nostro caso i trattamenti sull’acqua sono stati effettuati mediante apparecchiatura di marca MILLIPORE. Notiamo che in generale l’acqua potabile ha un valore di conducibilità di circa 0.005÷0.05 Sm-1 legato al trasporto ionico della carica al suo interno. Per l’acqua ultrapura il valore della conducibilità scende molto, fino a 5.5x10-6 Sm-1, ma resta tuttavia non nullo. In base alla concentrazione desiderata per ciascuna soluzione si pesa la quantità necessaria di NaCl tramite la bilancia di precisione (modello AB54-S marca Mettler Toledo). Questa bilancia garantisce una precisione di 0,1 mg. Per indicare la concentrazione di un sale in soluzione si utilizza di solito l’unità di misura molarità (M), che, è definita come il numero di moli di soluto presenti in un litro di soluzione. La quantità di sale da pesare è legata alla molarità da due semplici relazioni: w \gg\ 3.4 g0 02G02\ ð v02h 3.5 dove n è il numero di moli, la massa è la quantità di sale pesata, che misuriamo in grammi (g), il peso molecolare è il peso di una mole di molecole delle specie considerata, le cui unità di misura sono gmol-1, e il volume è riferito al solvente e si misura in litri (l). Il sale viene successivamente versato nell’acqua ultrapura e la soluzione è posta in un bagno ultrasonico (Sonorex, Bandelin) per un tempo che può variare tra i 5 e i 60 minuti circa, fino al completo discioglimento del sale, ovvero finché la soluzione non appare perfettamente limpida alla vista. 71 3.1.7 Realizzazione del controelettrodo Per poter utilizzare i modelli teorici sviluppati nel capitolo 2 è necessario disporre di elettrodi in configurazione planare con area sufficientemente estesa. Per tale motivo il controelettrodo di Pt è stato realizzato mediante sputtering. Le dimensioni del controelettrodo sono state scelte appositamente più grandi rispetto alla dimensione dell’elettrodo di lavoro in modo da limitare gli effetti capacitivi e resisitivi alla sua interfaccia, permettendo così l’utilizzo di una configurazione a due elettrodi per gli esperimenti di caratterizzazione dell’interfaccia elettrodo di lavoro/soluzione elettrolitica (evitando quindi l’uso di un potenziostato per il controllo del potenziale all’interfaccia di interesse). Lo sputtering, o polverizzazione catodica, è un processo in cui si ha emissione di atomi, ioni o frammenti molecolari da un materiale solido detto bersaglio (target) bombardato con un fascio di particelle energetiche (generalmente ioni) (Fig 3.6). + Figura 3.6 Uno ione energetico (per es. Ar ) collide sulla superficie del bersaglio, provocando l'emissione di atomi e frammenti molecolari (non è schematizzata la cascata di collisioni). Vengono erosi indistintamente gli atomi del materiale (in blu) e le impurità (in rosso). Nell'intervallo di energia degli ioni abitualmente coinvolti nello sputtering (solitamente minore di 1 keV per applicazioni di etching o deposizione), l'interazione tra lo ione incidente e gli atomi del bersaglio, e susseguenti interazioni fra questi ultimi, può essere trattata come una serie di collisioni binarie, un pò come avviene nel primo colpo di una partita di biliardo (in cui il triangolo di palle viene colpito e "spaccato" dalla palla bianca). Lo ione incidente colpisce gli atomi impacchettati e li disperde in tutte le direzioni (fenomeno detto "cascata di collisioni"), compresa quella che li porta a uscire dal bersaglio. Il materiale viene emesso dal bersaglio dopo una cascata di collisioni e non dopo un singolo urto particella incidenteatomo del bersaglio perché non è possibile che un singolo urto causi una variazione della direzione del momento sufficiente a far sì che l'atomo del bersaglio abbia una componente di velocità diretta verso la direzione di arrivo dello ione incidente. In base a considerazioni geometriche è chiaro perché l'incidenza obliqua degli ioni che colpiscono il bersaglio aumenta la resa di sputtering: con incidenza non perpendicolare è più facile che le collisioni conferiscano una componente di velocità diretta verso l'esterno del bersaglio agli atomi del bersaglio stesso. Tipicamente in un processo di sputtering le particelle energetiche che bombardano il bersaglio sono costituite da ioni (solitamente Ar+,, nel nostro caso N+), create attraverso un processo di plasma; la resa maggiore si ha quando gli ioni incidenti hanno massa paragonabile a quella degli atomi del bersaglio perché in questo caso si ha un più efficiente scambio di energia tra ione incidente ed atomo del bersaglio. 72 Il materiale viene prevalentemente emesso dal bersaglio sotto forma di particelle elettricamente neutre (atomi non ionizzati, frammenti di molecole, ecc.). La resa di sputtering (sputtering yield) è definita come il numero di atomi erosi dal bersaglio per ogni ione incidente. I fenomeni che avvengono in una cascata di collisioni servono per capire le applicazioni dello sputtering. I seguenti processi, non necessariamente tutti, possono avvenire al bersaglio: • • • • • un atomo può essere espulso (e viene chiamato ione secondario); lo ione incidente può essere impiantato o riflesso, probabilmente neutro e con una grossa perdita in energia; l'impatto dello ione e la risultante cascata di collisioni può provocare un riarrangiamento strutturale nei dintorni del punto di collisione; un elettrone secondario può essere espulso; vengono emessi fotoni (visibili, UV e X, a seconda delle energie coinvolte). Il processo a spruzzo ha diverse applicazioni pratiche, tipicamente nel settore industriale (industria dei semiconduttori o dei ricoprimenti superficiali, per esempio) o di ricerca scientifica (fisica dello stato solido, scienza dei materiali), ma tecniche basate sullo spruzzo vengono ormai utilizzate in svariati campi: dall'archeologia all'analisi di prove processuali. Le due principali applicazioni industriali dello sputtering sono comunque: Sputter etching (pulizia per polverizzazione anodica o pulizia per sputtering): il fatto di erodere un bersaglio progressivamente, può essere usato per pulire la superficie da contaminanti superficiali o per assottigliarla. In alternativa, con l'uso di opportune maschere poste sopra il bersaglio, la tecnica si può usare per erodere selettivamente alcune aree di interesse. • Sputter deposition (deposizione per sputtering): gli atomi emessi dal target si ricondensano sulle superfici interne della camera da vuoto, questo fenomeno può essere sfruttato per il ricoprimento di manufatti: basta semplicemente introdurre il pezzo da trattare nella camera da vuoto per un tempo sufficiente alla formazione di uno strato di materiale emesso dal target sulla sua superficie. La deposizione per sputtering permette di ottenere film di ottima qualità praticamente di ogni tipo di materiale e con particolari accorgimenti consente la realizzazione di ricoprimenti con struttura e proprietà diverse dal materiale di partenza in fase massiva. L'industria dei compact disc scrivibili utilizza lo sputtering per la deposizione del sottile strato di alluminio che permette al laser di leggere i dati incisi sul soprastante film organico. Tipicamente lo spessore dei ricoprimenti realizzati con questa tecnica va dalla decina di nm ai µm. Per la realizzazione del controelettrodo di Pt è stata utilizzata la modalità DC sputtering, variante dello sputtering tradizionale, in cui un’alta tensione continua (Direct Current) viene mantenuta tra il target che si vuole evaporare ed il substrato che si vuole ricoprire, qualora il primo sia un materiale metallico conduttivo. • 73 3.1.8 Realizzazione dei contatti L’elettrodo di lavoro e il controelettrodo, opportunamente realizzati, sono stati incollati sulle pareti (una di fronte all’altra) di una cuvetta plastica (Fig. 3.7) Gli elettrodi sono infine contattati al circuito esterno attraverso l’utilizzo di appositi morsetti. Figura 3.7 Tipica struttura di una fotocella elettrochimica. Nel nostro caso il controelettrodo non è di oro, bensì di platino, in una geometria piastrale e incollato anch’esso, come l’elettrodo di lavoro, sulla parete della cuvetta. 3.2 Tecniche di caratterizzazione, set-up sperimentali e strumentazione In questo paragrafo vengono presentate le tecniche di caratterizzazione e di misura utilizzate per investigare i dispositivi in questione, dando una breve descrizione della strumentazione. La discussione dei risultati ottenuti è argomento del capitolo successivo. 3.2.1 Spettroscopia di assorbimento Tale tecnica permette lo studio dell'assorbimento di radiazione elettromagnetica a diverse lunghezze d'onda dei materiali, producendo uno spettro espresso solitamente in numeri d'onda e assorbanza o trasmittanza. Lo spettrometro è lo strumento utilizzato per la misura di un’intensità luminosa in funzione della lunghezza d’onda. Sono disponibili molti generi di spettrometri. Tra le distinzioni più importanti adottate per classificarli vi sono gli intervalli di lunghezze d'onda nei quali operano, le tecniche di misurazione che adottano, le modalità secondo le quali acquisiscono uno spettro e le sorgenti dell'intensità luminosa variabile per la cui misura sono stati progettati. Con il termine spettrofotometro si indicano specificamente spettrometri che operano nelle lunghezze d’onda della luce visibile dal vicino infrarosso all’ultravioletto. Per la misura degli spettri di assorbimento dei materiali organici fotosensibili alla luce sensitivizzanti l’elettrodo di ITO sono dunque stati utilizzati spettrofotometri. Aspetti importanti degli spettrofotometri includono la loro banda spettrale e il loro intervallo di linearità. 74 Nel nostro caso, lo spettrofotometro misura quantitativamente la frazione di luce che attraversa una determinata soluzione (o un film sottile) di polimero. Una luce proveniente da una lampada nella regione vicino-IR/VIS/UV viene filtrata attraverso un monocromatore e incide sul campione in analisi. Attraversato il campione, l'intensità rimanente della radiazione viene misurata mediante un rivelatore costituito da un fotodiodo o da un altro sensore luminoso; questo consente di calcolare la trasmittanza della lunghezza d'onda in esame. Si esprime l’assorbimento mediante il concetto di assorbanza definita con la seguente equazione: x¤@ Çñ3V /7 3.6 dove T0 è l’intensità della luce trasmessa in assenza di materiale attivo, mentre T e l’intensità della luce trasmessa dalla soluzione o dal film. Lo spettrometro da noi utilizzato è il V-570 della Jasco. Esso è stato utilizzato per la misura dello spettro di assorbimento ottico del film di vari blend organici, in modo da poter attuare un confronto con le risposte spettrali di fotocorrente di fotorivelatori ibridi realizzati con tali materiali attivi. In tal modo è stato possibile riscontrare un possibile comportamento antibatico di alcuni dispositivi realizzati con spessore di materiale sensitivizzante sufficientemente elevato. E’ infatti possibile il confronto tra la risposta spettrale di fotocorrente sperimentale con quella teorica calcolata sulla base dello spettro di assorbimento ottico, dello spessore di materiale attivo e della lunghezza di diffusione dell’eccitone fotogenerato. 3.2.2 Spettroscopia di fotocorrente Tale tecnica permette di studiare la risposta di fotocorrente in funzione della lunghezza d’onda incidenza. Gli spettri di fotocorrente così ottenuti sono utilizzati per il successivo calcolo di cifre di merito dei dispositivi, quali le responsività spettrali (SR(λ)), e le efficienze quantiche esterne (EQE(λ)). 3.2.2.1 Set-up di misura dello spettro di fotocorrente La misura che consente di ottenere lo spettro di fotocorrente di un fotodiodo o di una fotocella elettrochimica viene effettuata facendo incidere sul dispositivo una radiazione di lunghezza d’onda λ e acquisendo il corrispondente valore della fotocorrente generata per ciascuna λ. La sorgente luminosa da noi utilizzata è una lampada con filamento di tungsteno, in grado di fornire luce con intensità sufficientemente elevata su tutto lo spettro del visibile. Ovviamente la radiazione emessa dalla lampada deve essere focalizzata sul dispositivo per ottenere dei valori di fotocorrente sufficientemente elevati in modo da poter essere misurati. Il set-up di misura che abbiamo utilizzato è schematizzato in figura 3.8. La radiazione in uscita dalla sorgente viene filtrata da un monocromatore e successivamente focalizzata sul campione per mezzo di una lente piano-convessa. Il segnale viene prelevato dal dispositivo tramite un cavo BNC che lo invia al lock-in. Perché la misura possa essere effettivamente effettuata è fondamentale la presenza di un chopper meccanico, posto prima o dopo il monocromatore, che moduli la luce incidente e imponga la frequenza di riferimento al lock-in. 75 Figura 3.8 Schema del set-up per le misure di spettri di fotocorrente. La luce in uscita dalla lampada viene filtrata dal monocromatore, modulata dal chopper meccanico e focalizzata sul campione da una lente. Il segnale viene prelevato dal lock-in e inviato al PC. Il monocromatore, interfacciato al PC, è controllato via software. 3.2.2.2 Strumentazione di misura dello spettro di fotocorrente Descriviamo nel seguito il funzionamento dei principali componenti del set-up di misura. Lampada Come sorgente di luce per l’illuminazione dei nostri fotorivelatori abbiamo utilizzato una lampada alogena a Tungsteno ASB-W-030 della SP (Spectral Product), che ha uno spettro di emissione tra 300 e 2600 nm. In figura 3.9 è riportato lo spettro di emissione, ottenuto utilizzando un fotodiodo commerciale calibrato come rivelatore. Figura 3.9 Spettro della lampada focalizzato sulla fenditura di ingresso del monocromatore e ottenuto tramite un OMA (Optical Multichennel Analyzer) Il fascio in uscita, essendo divergente, viene prima collimato e poi focalizzato sulla fenditura del monocromatore. A tale scopo impieghiamo due lenti entrambe con focale 12,5 cm, come rappresentato in figura 3.10. 76 Figura 3.10 Focalizzazione del fascio sul monocromatore. Monocromatore Il fascio focalizzato passa all’interno del monocromatore (SP CM110-L) che lo processa. Il monocromatore è collegato al PC e l’operatore può selezionare la lunghezza d’onda d’uscita desiderata grazie ad un software di controllo. In alternativa, per acquisire gli spettri, è possibile lanciare un programma in grado di variare con continuità la lunghezza d’onda tra due valori limite preimpostati. Figura 3.11 Struttura schematizzata del reticolo di diffrazio descritto Il funzionamento del monocromatore è basato sulla presenza al suo interno di un sistema di reticoli in grado di disperdere le lunghezze d’onda. Esistono diversi tipi di monocromatori, quello da noi utilizzato funziona nel range tra 350 nm e 800 nm. In generale, un reticolo di diffrazione disperde spazialmente la radiazione elettromagnetica e vale la legge fondamentale: @wS @wò 10mó Kwd 3.7 dove α è l’angolo di incidenza della radiazione, β l’angolo di riflessione, k l’ordine di diffrazione, n il numero di fenditure per unità di lunghezza espresso in fenditure/mm e λ la lunghezza d’onda espressa in nm. Nel monocromatore le fenditure di ingresso e uscita hanno posizioni fisse mentre il grating ruota attorno al proprio asse, come mostrato in figura 3.11. Risulta che l’angolo D è costante, con: ò– S 3.8 Quando si impone la lunghezza d’onda in uscita tramite software, il comando si traduce in una rotazione del grating. La selezione deriva dunque dalla dispersione spaziale indotta dal reticolo, che può essere espressa tramite la seguente formula: Zq ZD <Vô õö÷ ) 3.9 ]jø 77 Dove Lb è la lunghezza del braccio del monocromatore, cioè la distanza tra lo specchio focalizzante e la fenditura d’uscita. Dalla formula si può ricavare che la dispersione è espressa in ed è ovviamente funzione della λ selezionata. Quando si seleziona una lunghezza d’onda tramite il software si impone un valore per gli angoli in eq. 3.7. Poiché n è fisso per il monocromatore, si ottiene che: Kd Ç@­£w­* 3.10 Ciò significa che in realtà, la lunghezza d’onda selezionata non sarà l’unica presente all’uscita del monocromatore, ma ci saranno anche le lunghezze d’onda relative agli ordini superiori. Ad esempio, se si è selezionato λ = 800 nm, si avranno anche le λ a 400 nm, 266,6 nm, 200 nm ecc… Tuttavia è di solito possibile trascurare gli ordini superiori, in quanto la loro intensità è molto minore rispetto al primo ordine. E’ possibile verificare l’ampiezza spettrale della luce in uscita dal monocromatore, ad esempio utilizzando un OMA (Optical Multichannel Analyzer). Durante i nostri esperimenti sono state montate sul monocromatore delle fenditure da 0,6 mm, ottenendo in uscita uno spettro monocromatico la cui ampiezza a metà altezza è pari a 9 nm (Fig. 3.12). Figura 3.12 Esempio di spettro in uscita dal monocromatore: la lunghezza d’onda selezionata è pari a 500 nm e le fenditure di ingresso e uscita sono larghe 0,6 mm. Disponendo dei dati relativi alla fenditura d’uscita e allo spettro monocromatico, è possibile risalire alla dispersione spaziale indotta dal monocromatore, che risulta in questo caso: Zq ZD 15 3.11 Lock-in L’acquisizione del segnale di fotocorrente avviene attraverso un amplificatore lock-in. Il lock-in è un filtro a correlazione impiegato per l’estrazione di un segnale modulato e lentamente variabile nel tempo da rumore non modulato. L’amplificatore è composto da quattro stadi fondamentali: un modulatore d’ampiezza, un preamplificatore, un secondo modulatore ed un filtro passa basso (Fig. 3.13). 78 Figura 3.13 Schema a blocchi di un amplificatore lock-in Analizziamo il funzionamento del sistema seguendo le elaborazioni effettuate dai blocchi in cascata su un segnale d’ingresso a(t). Per prima cosa il lock-in effettua un’operazione di modulazione: il segnale a(t) viene impiegato per modulare l’ampiezza di una portante m(t). Questa operazione pone una restrizione sul tipo di segnali che è possibile acquisire mediante lock-in: infatti il segnale a(t) deve essere lentamente variabile nel tempo, ovvero il suo spettro nelle frequenze A(ω) deve essere localizzato alle basse frequenze. A(ω) è la trasformata di Fourier di a(t) e vale: x3ú7 < o∞ £3­7* mü/ ~­ √û m∞ 3.12 Nei nostri esperimenti il segnale acquisito è un segnale di fotocorrente in continua, la cui ampiezza è dunque fissata a frequenza nulla, e quindi è perfettamente adatto all’acquisizione tramite lock-in. La portante m(t) è un segnale periodico avente frequenza elevata rispetto ad a(t). Poiché nei successivi step di elaborazione l’unico segnale che verrà amplificato sarà quello modulato dal modulatore, è importante che questa elaborazione sia inserita per prima, in modo da modulare soltanto il segnale utile senza aggiunta di rumore (che altrimenti verrebbe amplificato peggiorando di molto il rapporto segnale-rumore in uscita). Nel nostro set-up la modulazione della lampada in continua viene effettuata mediante un chopper meccanico. Si dice allora che viene modulata la causa (luce incidente) e rilevato l’effetto (fotocorrente). La modulazione del fascio e non della fotocorrente (che è la grandezza effettivamente rilevata dal lock-in) non perturba la misura di quest’ultima in quanto i materiali attivi oggetto di studio hanno tempi di risposta alla fotoeccitazione (tempo di generazione di carica più tempo di attraversamento) molto rapidi rispetto alla frequenza di modulazione del chopper. Il segnale x(t) in uscita dal modulatore è costituito da un treno di impulsi: 43­7 £3­7 ∑Ø ²< k3­ w7 3.13 dove T rappresenta il periodo dell’onda quadra m(t), il cui spettro di ampiezza M(ω) è costituito da una serie discreta di delta di Dirac: n ð3ú7 ∑o∞ ³²m∞ gM ýþ Q ³û/ · W3ú P7 ³ 3.14 79 dove la prima sommatoria rappresenta la fase dello spettro complesso e la seconda ne esprime l’ampiezza. Dalle proprietà della trasformata di Fourier risulta che lo spettro X(ω) di x(t) è dato dal prodotto 3ú7 x3ú7 R ð3ú7 3.15 ed è una replica infinita e discreta, con ampiezza decrescente, dello spettro del segnale originario lungo l’asse delle frequenze alle componenti non nulle di M(ω), con una componente di fase data dalla prima sommatoria nell’equazione 3.14. La modulazione di ampiezza dunque permette di traslare un segnale localizzato a basse frequenze in un’altra zona spettrale: questa operazione è molto utile per l’eliminazione del rumore 1/f. La frequenza ωm quindi va scelta in modo da portare il segnale in una zona dello spettro in cui il rumore 1/f sia trascurabile e lontano dalle frequenze multiple intere della frequenza di rete, alle quali è presente rumore dovuto ad interferenza. Il secondo stadio del lock-in è costituito dal preamplificatore. Il segnale x(t) viene aumentato fino a raggiungere un livello sufficientemente alto, tale da permettere tutte le successive elaborazioni senza che si verifichi un degrado nell’acquisizione dovuto al rumore aggiuntivo. A questo punto il segnale passa nel demodulatore . Il demodulatore opera una moltiplicazione tra il segnale x(t) e un segnale di riferimento w(t). Il segnale di riferimento viene ricavato dalla stessa sorgente con cui si modula il segnale, cioè m(t). La demodulazione serve per riportare il segnale di interesse in banda base. In quasi tutti gli strumenti reali, il demodulatore esegue un’operazione equivalente al prodotto tra il segnale x(t) e il riferimento w(t) avente forma di onda quadra bipolare simmetrica. Nel caso in cui il riferimento venga dato come onda sinusoidale è possibile ottenere un’onda quadra tramite un circuito oscillatore ad aggancio di fase (Phase Locked Loop). Se si utilizza una modulazione ad onda quadra è necessario tenere in considerazione la presenza delle armoniche superiori. Per evitare di acquisire le armoniche non desiderate si deve utilizzare in cascata al segnale x(t) e w(t) un amplificatore selettivo per la banda di interesse, ovvero centrata sulla prima armonica. Per il processo di acquisizione è necessario un controllo di fase, per compensare eventuali sfasamenti tra i segnali x(t) e w(t) che seguono percorsi diversi. Di solito si agisce sulla fase di w(t) per uguagliarla a quella di x(t). La banda del segnale di interesse viene poi selezionata da un filtro passa-basso, eliminando così le componenti introdotte dal rumore. La banda del filtro viene scelta dall’operatore in base alla condizioni di misura. Infatti, esternamente al lock-in, è presente un selettore di costante di tempo (tra i 300 ms e 1 s, tipicamente), e la banda del filtro è pari all’inverso di tale costante di tempo. Se si seleziona, ad esempio, la costante di tempo τ = 1 s, la misura richiede molto tempo per essere completata ma risulta molto “pulita” dal rumore in quanto il segnale viene filtrato entro una banda molto stretta. E’ possibile stimare di quanto il rapporto segnale rumore venga migliorato dalla presenza di un amplificatore lock-in rispetto al caso di acquisizione diretta: risulta infatti la seguente: z6 L © 3.16 =3ü7 dove B è la banda del filtro passa-basso, n(ω) è la densità spettrale di potenza di rumore e A è l’ampiezza del segnale in continua. Vediamo dalla formula 3.16 che il miglioramento del rapporto segnale-rumore è inversamente proporzionale all’ampiezza della banda del filtro: minore è la banda (e quindi maggiore è il tempo di acquisizione), migliore è il rapporto segnale-rumore. 80 Fotodiodo di calibrazione L’irradianza della lampada a tungsteno sul campione è acquisita mediante un fotodiodo di calibrazione al silicio (Thorlabs FDS100-CAL) del quale è nota la risposta spettrale (Fig. 3.14). Tale scelta è motivata dall’analisi spettrale nel range compreso tra 350 nm e 1100 nm. Figura 3.14 Responsività del fotodiodo in silicio calibrato in funzione della lunghezza d’onda 3.2.3 Spettroscopia di assorbimento fotoindotto L’assorbimento fotoindotto (PiA, Photo-induced Absorption) è una tecnica spettroscopica a due fasci basata sul principio del pump and probe che permette di studiare stati fotoeccitati di un campione con tempi di vita lunghi, sulle scale dai µs ai ms. Il campione viene eccitato mediante un primo fascio di radiazione luminosa monocromatica, la pompa (pump) risonante con una transizione di assorbimento del materiale; un secondo fascio, la sonda (probe), che può essere di ad ampio spettro (“luce bianca”) o monocromatico, viene focalizzato sulla regione eccitata dalla pompa e va a sondare la variazione di trasmissione legata a tale eccitazione. In particolare, si va a misurare la differenza di trasmissione del campione a diverse lunghezze d’onda di sonda in assenza e in presenza della pompa. Se la radiazione di eccitazione genera degli stati fotoeccitati con tempi di vita sufficientemente lunghi, quello che si può osservare, al variare della lunghezza d’onda, sono due tipi di comportamento: • nella regione spettrale dove il campione presenta l’assorbimento, si osserva generalmente un aumento della trasmissione (bleaching) dovuto alla diminuzione della popolazione nello stato fondamentale; il numero di molecole in grado di assorbire in tale regione spettrale è più basso che in assenza del pump e dunque l’intensità della transizione di assorbimento diminuisce; • possono poi comparire delle nuove transizioni che vanno a diminuire la trasmissione delcampione (assorbimento fotoindotto); queste transizioni sono legate ad un’ulteriore eccitazione degli stati con tempi di vita lunghi verso livelli ad energia superiore della stessa molteplicità, e di conseguenza aumenta l’assorbimento alle lunghezze d’onda risonanti con tali transizioni. La forma spettrale di queste bande è legata all’allargamento dei livelli energetici coinvolti nella transizione; tuttavia si possono avere delle sovrapposizioni spettrali tra bande diverse, che rendono più complessa l’identificazione delle singole transizioni. 81 Figura 3.15 a) Schema di principio dei livelli coinvolti in un esperimento di assorbimento fotoindotto; b) esempio di spettro ottenuto dalla misura in cui si possono osservare una banda di bleaching (segnale positivo) ed una banda di PA (segnale negativo) Il segnale utile che si va a registrare è dunque uno spettro ∆T(λ) in funzione della lunghezza d’onda di sonda; tale spettro viene poi corretto, dividendolo per lo spettro di trasmissione T(λ) del campione misurato in assenza di eccitazione, per tenere conto della diversa risposta del sistema sperimentale e del campione al variare della lunghezza d’onda di sonda. Dal momento che questo tipo di esperimento è in grado di rivelare delle specie con tempi di vita molto lunghi, risulta utile principalmente nello studio degli stati di tripletto o di cariche intrappolate, la cui ricombinazione avviene appunto sulle scale dei µs–ms. 3.2.3.1 Set-up di misura dello spettro di assorbimento fotoindotto Un esempio di schema sperimentale per misure di assorbimento fotoindotto è riportato in figura 3.16. Figura 3.16 Schema di un set-up sperimentale per una misura di assorbimento fotoindotto 82 La radiazione di pump proviene normalmente da una sorgente laser, mentre per il probe si utilizza in genere una lampada, scelta in base alla regione spettrale di interesse. L’utilizzo di una lampada, oltre a fornire uno spettro ampio, permette di avere una sorgente estremamente stabile in potenza, fattore essenziale in questo tipo di esperimenti in cui i segnali da rilevare sono dati da modulazioni sovrapposte alla trasmissione del campione con ampiezze anche di 10-5 rispetto a questa. I due fasci vengono poi fatti incidere sul campione preferibilmente con una geometria non-collineare per evitare il più possibile l’accoppiamento della radiazione di pump verso lo stadio di rivelazione. La luce di probe è fatta passare attraverso un monocromatore, che ne seleziona una determinata lunghezza d’onda, e poi rivelata mediante un opportuno fotodiodo. L’acquisizione del segnale avviene mediante una tecnica lock-in, che permette di ottenere direttamente il segnale di ∆T = Tpump on - Tpump off cercato. A questo scopo, il fascio di pump viene modulato meccanicamente mediante un chopper ad una certa frequenza fmod e il segnale rivelato dal fotodiodo viene inviato ad un amplificatore lock-in agganciato alla stessa frequenza. Questa tecnica presenta inoltre il vantaggio di avere un’elevata reiezione al rumore, indispensabile per rivelare i piccoli segnali in gioco. 3.2.3.2 Modello fisico per l’analisi dell’assorbimento fotoindotto Il segnale di assorbimento fotoindotto, come già detto, dipende dal numero di molecole fotoeccitate in seguito all’assorbimento della radiazione di pump. Per dare una descrizione quantitativa dei risultati dell’esperimento è dunque necessario ricavare il valore per la popolazione dello stato eccitato in funzione dei principali parametri dell’esperimento, in particolare l’intensità e la frequenza di modulazione della pompa. Si consideri dunque una radiazione monocromatica (la pompa) ad una certa frequenza νL e con intensità IL. Dalla legge di Lambert-Beer, l’intensità del fascio ad una profondità x dalla superficie del campione è pari a: Y347 31 67Yj * m(D 3.17 dove R è la riflettività e αL il coefficiente di assorbimento del campione alla lunghezza d’onda di pompa. Il rate di generazione (per unità di volume) della specie fotoeccitata, sempre a profondità x, è allora: Zt ñ347 _v ( _v 31 67Yj * m(D ZD 3.18 Il parametro η nell’equazione precedente è l’efficienza quantica per la generazione della specie in analisi. Subito dopo l’assorbimento, le molecole eccitate si trovano in uno stato di singoletto che ha generalmente un tempo di vita molto breve (e non è quindi osservabile in un esperimento di assorbimento fotoindotto); da questo stato la popolazione decade su altri livelli ad energia inferiore o ricombina verso lo stato fondamentale. La probabilità che, una volta assorbito un fotone, la molecola arrivi in uno stato con tempo di vita lungo di interesse è appunto data dall’efficienza quantica. A partire dal profilo temporale di eccitazione è possibile calcolare l’andamento (in tempo) della popolazione N(x) di molecole fotoeccitate se si conosce il meccanismo con cui queste ricombinano. Se tali molecole hanno una sezione d’urto d’assorbimento σ(E), la loro presenza determina una variazione dell’assorbimento del campione per la radiazione di probe ad energia E: 131, 47 Å317347 3.19 Da questa è possibile calcolare la variazione di densità ottica del campione (con spessore d): 83 | Çñ t ëë ¾ t¬ Çñ t ëë t¬ Z Z V ∆S347~4 Å317 V 347~4 3.20 Inoltre, essendo negli esperimenti di fotoindotto sempre ∆T/T << 1, si può scrivere: | log3 0 7 log3 0»» 7 log M P ¾ P Q log 31 ∆P P 7X ∆P P 3.21 Infine, se il campione è abbastanza sottile, l’eccitazione (e quindi la popolazione N(x)) può essere considerata in prima approssimazione uniforme in tutto lo spessore del materiale e quindi si ottiene, introducendo una densità media di molecole fotoeccitate <N>: ∆P P X Å317~ 3.22 Si noti come il segnale aumenti all’aumentare dello spessore del campione. Per campioni sufficientemente spessi, comunque, la 3.22 non è più valida e bisognautilizzare l’espressione completa 3.20 ; da questa si può osservare che per dimensioni maggiori della lunghezza di assorbimento (1/αL) il segnale inizia a saturare (ovvero tutta la radiazione di pompa viene assorbita dal materiale). Inoltre per spessori elevati l’intensità del fascio di probe che arriva al rivelatore è molto bassa, il che ne rende molto difficile la misura. Da tale trattazione si vede dunque che è necessario, per interpretare gli esperimenti di assorbimento fotoindotto, poter ricavare l’andamento temporale della popolazione di molecole fotoeccitate, note le caratteristiche del fascio di pump. Questa è descritta, ad una data profondità nel campione, dalla rate equation: ZØ Z/ z3V 73­7 37 3.23 dove: -N è la densità di molecole fotoeccitate; -G rappresenta il profilo temporale del rate di generazione (per unità di volume); -U è il termine di ricombinazione; -S tiene conto dei fenomeni di saturazione per specie fotoeccitate intrappolate, con una densità di trappole pari a N0. Per quanto riguarda la generazione, dal momento che il fascio di pompa è modulato periodicamente, si può considerare un’eccitazione sinusoidale a pulsazione ω = 2πfmod: 3­7 1 cos ú­ ^ 3.24 dove il termine g è stato introdotto nel capitolo precedente (anch’esso è riferito ad una data profondità nel campione). In realtà la modulazione del fascio avviene generalmente con un chopper meccanico e la forma temporale corretta sarebbe un’onda quadra. Dal momento però che l’acquisizione del segnale avviene mediante tecnica lock-in, che rivela solo l’armonica fondamentale, si può, per semplificare la trattazione, considerare una modulazione sinusoidale (ciò è in linea teorica corretto se la rate equation è lineare). Il termine di ricombinazione può assumere forme funzionali diverse a seconda del tipo di meccanismo che regola tale processo. In particolare si possono avere: 84 Ricombinazione monomolecolare: 3­7 Ä 3.25 Ricombinazione bimolecolare: 3­7 ¤ 3.26 Nel primo caso, τ è il tempo di vita della specie in analisi; nel secondo caso invece la definizione di un tempo di vita è più complessa ed in particolare esso non è una costante, ma dipende dal rate di generazione: n Ä 3ñ¤7m 3.27 La saturazione, se si tiene conto di entrambi i meccanismi di ricombinazione, può essere espressa con la seguente forma funzionale: z3V 7 < <o < <o3 ¹ 7 3.28 ovvero, per intensità di pompa elevate, la quantità di molecole generate diventa in realtà indipendente dal valore di g ed è invece fissata dal parametro N0. Andando a risolvere la rate equation in condizioni stazionarie (ω = 0) si ottiene una densità di popolazione di molecole fotoeccitate pari a: g ÆÆ ñR Ä»» g Ä»» Ä 3.29 <o3 Ô 7 m< ¹ 3.30 3 Ô 7 ¹ dove: ñR ñz 3.31 g Ä 3ñR ¤7m<⁄ 3.32 sono rispettivamente un rate di generazione ed un tempo di ricombinazione bimolecolare efficaci che tengono conto di una eventuale saturazione; per elevati valori di generazione si può infatti vedere che Nss tende a N0. Poiché la popolazione di molecole fotoeccitate, e quindi anche il segnale di assorbimento fotoindotto, dipende linearmente dal tempo di vita, si può capire come mai questa tecnica sia in grado di rivelare solamente stati con tempi di vita sufficientemente lunghi. Per ricavare informazioni sul tipo di ricombinazione che avviene nel campione si può analizzare la dipendenza del segnale di assorbimento fotoindotto dall’intensità della radiazione di pompa. In primo luogo, se la ricombinazione è monomolecolare il tempo di vita dello stato corrispondente è costante, mentre diminuisce con l’intensità di eccitazione nel caso di ricombinazione bimolecolare. Inoltre, anche l’intensità del segnale ha un comportamento differente a seconda del tipo di 85 ricombinazione. Se ci si pone in condizioni vicine al limite stazionario (ω ≈ 0) si ricavano, per i due casi monomolecolare e bimolecolare, delle popolazioni di molecole fotoeccitate pari a: ð6: ÆÆ 6: ÆÆ ^ 3.33 <o^⁄Ø ^¹ 3.34 <o3^¹ ⁄Ø 7 Per rate di generazione sufficientemente bassi si vede dunque che Nss è lineare in g nel caso monomolecolare, mentre aumenta come una radice quadrata nel caso bimolecolare (ricordando che τBR è proporzionale a g-1/2); sopra un certo valore di soglia, invece, entrambi gli andamenti tendono, come ci si aspetta, a saturare al valore N0. Per ottenere informazioni sulla dinamica degli stati eccitati visibili in un esperimento di assorbimento fotoindotto è necessario caratterizzare l’andamento del segnale in funzione della frequenza di modulazione del fascio di pompa. Nel caso di ricombinazione puramente monomolecolare, la rate equation è lineare e può essere facilmente risolta andando a cercare una soluzione sinusoidale alla stessa frequenza della modulazione. Quello che si ottiene è un andamento per la popolazione N in funzione di ω che può essere scomposto in due contributi, uno in fase ed uno in quadratura rispetto alla modulazione: ^R 3.35 ^R ü 3.36 tØ 3ú7 <o3ü7 P 3ú7 <o3ü7 Questo risultato può essere espresso, in una forma più compatta, introducendo una notazione complessa per la popolazione N(ω): ^R 3ú7 <oü 3.37 In questo caso le due componenti in fase e in quadratura sono semplicemente la parte reale e la parte immaginaria di N(ω). Nel caso di ricombinazione bimolecolare la soluzione va cercata numericamente; tuttavia si osserva che la dipendenza dalla frequenza di modulazione è simile alle relazioni 3.35 e 3.36, a patto di utilizzare il come tempo di vita il τBR. Figura 3.17 Dipendenza dalla frequenza di modulazione delle componenti in fase e in quadratura della popolazione di molecole fotoeccitate (e di conseguenza del segnale di ΔT/T) 86 Dall’analisi di figura 3.17 si nota che è possibile individuare due regimi di comportamento per entrambe le componenti del segnale. Per pulsazioni ω < 1/τ la componente in fase è praticamente costante, mentre la componente in quadratura aumenta linearmente con ω; per ω > 1/τ, invece, entrambe le componenti decrescono, quella in fase come ω-2, mentre quella in quadratura è proporzionale a ω-1. Andando a caratterizzare l’andamento in frequenza di una banda di assorbimento fotoindotto è possibile dunque risalire al tempo di vita della specie fotoeccitata ad essa associata. Si noti come l’utilizzo di una rivelazione lock-in sia particolarmente adatto a questo tipo di misure, in quanto fornisce direttamente le due componenti del segnale in fase ed in quadratura, a patto di impostare opportunamente la fase di riferimento uguale a quella dell’eccitazione. Sperimentalmente si osserva in genere che gli andamenti in frequenza dei segnali di assorbimento fotoindotto non seguono esattamente le forme funzionali ricavate sopra. In particolare la decrescita di entrambe le componenti del segnale per ω elevate non segue più le dipendenze ideali ω-2 e ω-1 (rispettivamente in fase e in quadratura); si osserva invece un andamento più dolce, simile per le due componenti. Il motivo principale di questa discrepanza è che solitamente non è possibile individuare un singolo valore per il tempo di vita di una specie fotoeccitata, ma esso presenta invece una certa dispersione legata al grado di disordine del materiale. Un metodo generale per trattare la presenza di una dispersione nei tempi di vita è di considerare la popolazione complessiva N(ω) come data dalla combinazione di diversi contributi, ciascuno con un tempo di vita differente. Se si definisce dunque una distribuzione per i tempi di vita Γ(lnτ) si ha, in notazione complessa: o∞ 3ú7 m∞ ^′ <oü′ Â3wÄ7~wÄ 3.38 Se ad esempio si considera una distribuzione Γ(lnτ) a gradino tra due valori τmin e τmax si ottiene un andamento in frequenza come quello di figura 3.18. Figura 3.18 Andamento con la frequenza di modulazione delle due componenti del segnale di assorbimento fotoindotto in presenza di una cinetica dispersiva In particolare si può notare che per pulsazioni basse o molto elevate si ritrova un andamento che ricalca quello ideale dato dalle 3.35 e 3.36; per modulazioni moderate, invece, si ottiene una decrescita del segnale più dolce, in accordo con i dati sperimentali, indice del fatto che solo una frazione della popolazione fotoeccitata (quella con tempi di vita più brevi) è in una situazione di 87 “alta frequenza”. Nella pratica, comunque, è difficile ottenere delle frequenze di modulazione del fascio di pompa superiore a qualche kHz con un chopper meccanico, per cui si è sempre nella regione di comportamento dispersivo. 3.2.4 Spettroscopia a modulazione di carica e di elettrassorbimento La spettroscopia a modulazione di carica (CMS), è una tecnica utilizzata per studiare le proprietà degli stati di carica in dispositivi, come un diodo MIS (Metal-Insulator-Semiconductor), in cui è possibile accumulare della carica libera in funzione di un campo elettrico. Andando infatti ad applicare una tensione modulata tra il gate e il semiconduttore di un diodo MIS, la quantità di carica immagazzinata nella struttura varia di conseguenza (essendo ∆s ∆7 ed è possibile misurare lo spettro di assorbimento legato alle cariche mobili nel dispositivo. Una situazione analoga si ha nel caso di un FET (Field-Effect Transistor) in regime di accumulazione. Il campo elettrico, oltre a modulare eventuale carica libero in opportuni regimi, influisce anche sulla struttura energetica di bulk variandone i livelli energetici. L’elettroassorbimento rende conto di tali variazioni. Tali efetti sono molto ben visibile nei FET in regime di svuotamento o nei fotodiodi in polarizzazone inversa. Tali tecniche spettroscopiche hanno diversi punti in comune con l’assorbimento fotoindotto descritto nella sezione precedente. Rientrano infatti nella categoria delle tecniche spettroscopiche di modulazione, come accennato nell’introduzione di questo capitolo. Come per l’assorbimento fotoindotto, anche nella spettroscopia a modulazione di carica è possibile ottenere due tipi di segnale diverso: l’assorbimento da parte delle cariche libere accumulate porta ad una diminuzione della trasmissione complessiva e quindi ad una banda nello spettro di CMS con segno negativo; poiché però la presenza di cariche libere implica che parte delle molecole del dispositivo siano ionizzate, come nel caso dell’assorbimento fotoindotto si ha un segnale positivo (bleaching) nella regione spettrale dove il materiale assorbe. Dopo una breve descrizione dell’apparato sperimentale che può essere utilizzato per una misura di CMS, viene descritta la dipendenza del segnale ottenuto dai principali parametri dell’esperimento, in particolare l’ampiezza del campo elettrico e la frequenza di modulazione. 3.2.4.1 Set-up di misura dello spettro di CMS Un tipico schema di un apparato sperimentale per le misure di CMS è riportato nella figura seguente. Figura 3.19 Schema di un setup sperimentale per una misura di CMS 88 La radiazione proveniente da una lampada alogena viene filtrata spettralmente da un monocromatore, che ne seleziona la lunghezza d’onda; un eventuale filtro posto all’uscita taglia le armoniche superiori che riescono a passare attraverso il monocromatore. Il fascio è quindi focalizzato sul dispositivo, e la luce trasmessa è rivelata mediante un fotodiodo. La fotocorrente generata dal detector è acquisita da un amplificatore lock-in e i dati raccolti inviati al computer, che controlla la misura andando a movimentare i reticoli del monocromatore. La modulazione di carica nel dispositivo è poi ottenuta mediante un generatore di funzioni, eventualmente amplificato, che va ad applicare all’elettrodo di gate una tensione modulata ad una certa frequenza; il generatore di funzioni invia inoltre il segnale di riferimento al lock-in per la sincronizzazione della misura. Come nel caso dell’assorbimento fotoindotto, lo spettro acquisito con questa tecnica deve essere normalizzato rispetto alla trasmissione in assenza di eccitazione. A questo scopo si utilizza un chopper che moduli il fascio di sonda e lo spettro viene acquisito ancora una volta con tecnica lockin (andando a fornire all’amplificatore in questo caso il riferimento proveniente dal controllore del chopper). 3.2.4.2 Modello fisico per l’analisi CMS ed elettroassorbimento Il principale parametro che influisce sul segnale in un esperimento di CMS è evidentemente la variazione di tensione applicata al dispositivo intorno ad un punto di lavoro ben definito. Si consideri allora un dispositivo in regime di accumulazione, e si introduca una modulazione ∆φ alla tensione applicata. Ricordando quanto già visto per l’assorbimento fotoindotto (eq. 3.22), una variazione di assorbimento ∆α produce, nel caso di un campione con uno spessore d sufficientemente piccolo, un segnale: ∆P P X ∆S~ Å317∆~ 3.39 dove in questo caso σ è la sezione d’urto di assorbimento e ∆ la variazione nella densità media di cariche libere dovuta alla modulazione di tensione. L’approssimazione di spessore sottile si può considerare valida in quanto la regione in cui si ha accumulazione è generalmente di pochi strati molecolare. La densità media di cariche libere è facilmente ottenibile dalla relazione caratteristica di un condensatore (Q=Cφ, dove C è la capacità dello strato isolante); si ha dunque, tenendo conto che si è interessati alla variazione di carica legata dalla modulazione ∆φ: ∆P P X Å317 ∆ª 3.40 © dove A è l’area del dispositivo. In realtà, oltre al segnale di CMS, ci può essere anche un contributo aggiuntivo legato ad effetti di elettroassorbimento, che sono legati alle variazioni nel coefficiente di assorbimento del materiale (e quindi nella parte immaginaria dell’indice di rifrazione) legate alla presenza del campo. L’elettroassorbimento può essere dato principalmente da due effetti[21]: 1. L’effetto Stark, che tiene conto della variazione di energia degli eccitoni dovuta all’accoppiamento con il campo elettrico. In particolare, il campo elettrico può accoppiarsi al momento di dipolo permanente della molecola, ma anche al suo momento di transizione. Considerando il seguente sviluppo di Taylor del coefficiente di assorbimento: < « ( ∆S «N ∆1 «N ∆1 «( 3.41 con: 89 ∆1 U · { 3.42 dove F è il campo elettrico applicato e U il momento di dipolo. Effetto Stark lineare: è dato dal primo termine ed è dovuto alla presenza di momenti di dipoli permanenti per lo stato eccitato. Indica una proporzionalità dello spettro di elettroassorbimento proporzionale alla derivata prima dello spettro di assorbimento. Applicando la teoria delle perturbazioni al secondo ordine e considerando un orientamento dipolico isotropico rispetto il campo elettrico applicato F(come nel caso di solidi molecolari disordinati) si ricava la seguente (caso unidimensionale): ∆S317 < û SV |U| { z 3.43 dove F è il campo elettrico applicato, µ è il momento di dipolo permanente, α0 è il coefficiente di assorbimento in assenza della perturbazione, ed S e un fattore integrale che tiene conto dell’orientazione dei momenti di dipolo rispetto il campo elettrico F. Effetto Stak quadratico: è dato dal secondo termine di 3.41 ed è dovuto a momenti di dipolo di transizione, ovvero non permanenti legati ala polarizzabilità del materiale. In asenza di momenti di dipoli permanenti, integrando su una distribuzione dei dipoli casuale, il contributo derivante dal primo termine in 3.41 svanisce tale termine. Il contributo complessivo derivante dal secondo termine invece rimane ed assume una forma di riga proporzionale alla derivata seconda dello spettro di assorbimento del materiale e proporzionale al quadrato del campo elettrico. Applicando opportunamente la teoria perturbativa quantistica, il contributo derivante risulta inferiore rispetto quello dell’effetto Stark lineare, con difficoltà nella sua rilevazione sperimentale. Anche in questo caso si ricava una proporzionalità diretta al quadrato del campo elettrico. Si deduce che sia per l’effetto Stark lineare del secondo ordine, che per l’effetto Stark quadratico si ha una proporzionalità al quadrato del campo elettrico perturbante. L’individuazione di uno rispetto all’altro si basa sul fatto che qualora lo spettro di assorbimento sia dovuto all’effetto Stark quadratico, esso assume una cosidetta “second derivative lineshape”. In generale i contributi dei due effetti potrebbero sovrapporsi, rendendo analisi quantitative molto complicate. Nei casi con cui avremo a che fare, ovvero materiali polimerici, si ottiene generalmente un effetto Stark lineare, essenso lo stark shift polaronico dominato dal contributo derivante dal momento di dipolo permanente. Gli spettri di elettroassorbimento, per i dispositivi da noi analizzati, avranno dunque una cosiddetta “first derivative lineshape”. 2. L’effetto Franz-Keldysh, legato a fenomeni di tunneling assistiti da un fotone tra le bande di valenza e di conduzione dovuti alla distorsione introdotta dal campo elettrico nei livelli energetici. Questo effetto produce delle oscillazioni sovrapposte allo spettro di assorbimento del materiale nella regione di bordo con il gap ottico. Esso è importante nei semiconduttori inorganici, mentre normalmente non si osserva nei dispositivi organici, se non in materiali con elevata cristallinità. Modificando la frequenza di modulazione del campo applicato è, per certi dispositivi, possibile separare i contributi allo spettro di CMS che hanno origini diverse. Come nell’assorbimento fotoindotto, bande che sono dovute a specie eccitate diverse avranno differenti dipendenze dalla frequenza in base ai loro tempi caratteristici delle loro dinamiche. In particolare, uno dei fattori che maggiormente influenza la dinamica del segnale di CMS è la mobilità delle cariche che si vanno ad analizzare, soprattutto in film di materiali organici polimerici in cui è difficile ottenere alte mobilità 90 (valori tipici sono attorno ai 10-4 cm2/Vs, anche se con alcuni polimeri si arriva a valori di 0.1-1 cm2/Vs). Mentre a basse frequenze di modulazione le cariche hanno il tempo di riempire la regione di accumulazione (nell’opportuno regime di funzionamento) all’aumentare della frequenza le cariche non riescono a seguire istantaneamente la modulazione del campo; l’andamento temporale della densità di carica risulta sfasato rispetto ad essa e si genera quindi una componente di segnale in quadratura.Sfruttando la dipendenza in frequenza è inoltre possibile individuare la presenza di elettroassorbimento. Poiché l’effetto Stark dipende dal quadrato del campo elettrico, infatti, se quest’ultimo è modulato ad una frequenza fmod, il segnale di ∆T avrà una componente a frequenza 2fmod, che indica quindi la presenza di elettroassorbimento (essendo il segnale di CMS lineare con il campo elettrico, esso presenta solo componenti a fmod). Alla frequenze fmod si possono trovare invece entrambe le componenti di CMS e elettroassorbimento; l’elettroassorbimento ha infatti anche una componente a fmod legata all’effetto combinato del campo elettrico modulato e il campo elettrico stazionario di lavoro[22], indicante il regime di lavoro del dispositivo in esame. In formule: { {V {© sin ú­ 3.44 con: {V {t©Æ {tØP 3.45 F indica il campo elettrico complessivo, FAC l’ampiezza della componente modulante, F0 la componente in continua, dato dalla differenza tra FBIAS e campo interno FINT. Quest’ultimo potrebbe essere dovuto al raggiungimento di equilibri elettrochimici nell’interfacciamento di fasi diverse. ∆P Dall’analisi sopra fatta riguardo l’elettroassorbimento, e ricordando la formula 3.39 3 P X ∆S~7, si ottiene la seguente proporzionalità: ∆P P < L { {V 2{V {© sin ú­ {© 31 cos 2ú­7 3.46 Un modo per distinguere l’elettroassorbimento dallo spettro CMS è quello di lavorare in opportuni regimi di polarizzazione in cui non sono presenti cariche libere ed il segnale di CMS è nullo. Non sempre i dispositivi presentano però tale regmi caratteristici, tipici di fotodidi (regime di polarizzazione inversa) e transistor (regime di svuotamento). A differenza del segnale di CMS, l’elettroassorbimento è in linea di principio sempre in fase con la modulazione di tensione applicata, in quanto il campo elettrico varia istantaneamente con essa. In realtà, è possibile ottenere elettroassorbimento anche a causa dell’effetto del campo generato dalle cariche mobili iniettate dalla modulazione di tensione; il contributo di elettroassorbimento dovuto a questo fenomeno avrà allora lo stesso andamento in frequenza del segnale di CMS, rendendo più difficile la distinzione tra i due contributi. Talvolta lo studio delle forme di righe in relazione agli spettri di assorbimento possono permettere l’individuazione dei segnali sotto esame. 3.2.5 Misure di pH della soluzione elettrolitica Tale esperimento si propone di individuare eventuali cambiamenti del pH della soluzione elettrolitica acquosa durante il funzionamento in regime fotovoltaico della fotocella elettrochimica, al fine di identificare la presenza di reazioni redox per la formazione di idrogeno. Nel nostro caso l’illuminazione del campione è fornita da una lampada a Tungsteno monocromata a 530 nm, lunghezza d’onda per cui tale per cui lo strato attivo polimerico presenta assorbimento ottico. Il pH è definito come segue: 91 C log F |o 3.47 Lo strumento utilizzato per la misura del pH è il pHmetro Orion Star della Thermo Scientific, consistente in una sonda collegata ad un dispositivo elettronico che raccoglie il segnale della sonda, calcola il valore di pH corrispondente e lo rappresenta su un display. La sonda per pH è un elettrodo che misura la differenza di potenziale elettrico su due lati di una sottile membrana di vetro posta alle sue estremità; Tale differenza di potenziale è legata alla differenza tra le concentrazioni degli ioni idrogeno all'interno e all'esterno della membrana. Un'unità di pH generalmente produce una differenza di potenziale di circa 0,059 V. Spesso, anche se non nel nostro caso, le sonde immerse nella soluzione sono due: oltre all'elettrodo viene immersa anche una sonda di temperatura, il cui compito è correggere la lettura dell'elettrodo in funzione dell'effettiva temperatura del campione. Tale procedura è da noi eseguita manualmente secondo le opportune tabelle date nel manuale. Il circuito del misuratore è un voltmetro che mostra i risultati in scala di unità di pH anziché in Volt. L'impedenza del misuratore dev'essere molto alta, a causa dell'alta resistenza elettrica (tra i 20 e i 1000 MΩ) degli elettrodi a vetro comunemente usati. Il circuito di un semplice pHmetro consiste di un amplificatore operazionale con un guadagno totale di circa 17 volte. L'amplificatore converte il debole potenziale elettrico prodotto dalla sonda (-59.16 mV/pH nelle soluzioni basiche, +59.16 mV/pH nelle soluzioni acide) in unità di pH, spostando il risultato di 7 unità (offset) per farlo rientrare nella scala di pH: • alla neutralità (pH = 7) la sonda non presenta potenziale elettrico. • a pH alcalini (pH > 7) la sonda produce un potenziale elettrico compreso tra zero e -414.12 mV (7*-59.16 mV); una lettura di -177.48 mV per esempio corrisponde quindi a -(-0.18)*17 + 7 = 10 unità di pH. • a pH acidi (pH < 7) la sonda produce un potenziale elettrico compreso tra zero e +414.12 mV; una lettura di +177.48 mV per esempio corrisponde a -(0.18)*17 + 7 = 4 unità di pH. Calibrare un pHmetro significa dal punto di vista elettrico aggiustare i valori di guadagno e di offset del circuito amplificatore affinché il valore fornito dallo strumento coincida con quello previsto dalla lettura di alcune soluzioni standard dal pH noto.Operativamente, la calibrazione viene condotta con due o tre soluzioni tampone standard, preferibilmente prima dell'uso, anche se i pHmetri oggi in commercio sono stabili anche fino ad un mese. Nella calibrazione a due punti si usa una soluzione tampone a pH 7,01 (pressochè neutra) e una a pH 10,01; in quella a tre punti si aggiunge anche una terza soluzione tampone a pH 4,01. Guadagno e offset vengono aggiustati ripetutamente fino a quando gli standard utilizzati producono la lettura di pH attesa. Negli strumenti più moderni questo aggiustamento è eseguito in maniera completamente automatica, come nel nostro caso. Terminata la calibrazione, l'elettrodo viene sciacquato con acqua distillata, asciugato e immerso nel campione. L'elettrodo a vetro è generalmente conservato immerso in una soluzione a pH 3 per impedire che la membrana di vetro si secchi; si tende ad evitare l'uso di acqua distillata perché potrebbe estrarre per osmosi gli ioni idrogeno presenti all'interno dell'elettrodo. La risoluzione del pHmetro da noi utilizzato è di 0,01 unità. Come già accennato le misure di pH della soluzione elettrolitica sono state prese in contemporanea a quelle di fotocorrente in regime fotovoltaico, illuminando il dispositivo con luce bianca di una lampada alogena a tungsteno a 30 W filtrata a 530 nm con un monocromatore e opportunamente focalizzata. La luce è stata modulata attraverso l’utilizzo di un chopper meccanica alla frequenza di 270 Hz. Tutte le misure sono state eseguite a temperatura ambiente e in atmosfera controllata attraverso l’utilizzo di un flusso costante di azoto inserito direttamente nella fase liquida della cella. In tal modo è stata garantita anche l’omogeneità all’interno della soluzione. Per ciascuna misura di pH l’elettrodo dello strumento è stato immerso in soluzione per 30 minuti, fino al raggiungimento dell’equilibrio. 92 3.2.6 Spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS) Tale tecnica interpreta una cella elettrochimica in termini di circuito elettrico equivalente e ne studia l’impedenza elettrica in fuzione della frequenza, fornendo uno spettro di impedenza elettrochimica della cella. Tale studio è condotto attraverso l’utilizzo di un LCR Meter, nel nostro caso E4980A Precision LCR Meter della Agilent. 3.2.6.1 Introduzione ai circuiti in corrente alternata Un potenziale sinusoidale E (precedentemente ho indicato il potenziale elettrico con φ, avendo indicato con E l’energia corrispondente. Poiché ora mi riferisco soltanto a potenziali elettrici considero tale cambio di notazione per avere riferimenti diretti in letteratura[23], [15]. Tale notazione è stata utilizzata anche in appendice A, così da permettere ora richiami diretti) può essere espresso come: 1 1V sin 3ω­7 3.48 con ω frequenza angolare pari a 2π volte la frequenza convenzionale in Hertz: ω 2I 3.49 Si è soliti considerare questo potenziale come un vettore ruotante, un fasore, la cui lunghezza uguagli E0 e la cui frequenza di rotazione sia uguale a ω. Il potenziale osservato non è null’altro che la proiezione del fasore su un generico asse (tipicamente quello corrispondente a ω = 0). Una necessità frequente è quella di considerare la relazione che esiste tra due segnali sinusoidali quali ad esempio la corrente i e il potenziale E. Ciascun segnale può essere rappresentato come un singolo fasore, I e E ruotanti ad un’uguale frequenza. Qualora i due segnali non fossero in fase allora i due fasori sarebbero separati da un angolo di fase (φ). Generalmente E è preso come riferimento e φ è misurato nei suoi confronti. Dal punto di vista analitico ciò equivale a scrivere: Y YV sin 3ω­ φ7 3.50 L’angolo di fase tra due fasori che ruotano alla stessa frequenza rimane costante al ruotare degli stessi. Figura 3.20 Diagramma dei fasori che mostra la relazione fra la corrente alternata e il potenziale alla frequenza ω 93 Applichiamo ora le considerazioni appena fatte a dei semplici circuiti. Prendiamo per prima cosa in esame una resistenza R alla cui estremità è imposto un potenziale alternato 3.48. Valendo la legge di Ohm la corrente circolante sarà: sin ω­ N 3.51 o nella notazione che sfrutta i fasori: 3.52 Lo sfasamento di fase risulta quindi essere uguale a 0 (φ = 0). Sostituiamo ora la resistenza R con un condensatore di capacità C. Per comprendere la relazione esistente tra potenziale e corrente ricordiamo che: 1 3.53 con q uguale alla quantità di carica accumulata nel condensatore, e dunque: ZN Z/ 3.54 Si può quindi ricavare la relazione che lega i ad E: Z/ ω cos3ω­7 ZN N Û û sin3ω­ 7 3.55 dove XC è la cosiddetta reattanza capacitiva, 1/ωC. L’angolo di fase tra potenziale e corrente è quindi uguale a π/2 radianti. In questo caso il diagramma vettoriale si espande ad un piano, è comodo dare una rappresentazione dei fasori in termini di notazione complessa: le componenti lungo le ordinate sono considerate immaginarie e quindi moltiplicate per j=(-1)1/2. Le componenti lungo le ascisse sono invece reali. Facendo quindi coincidere il fasore della corrente con l’asse delle ascisse si ottiene la rappresentazione di figura 3.21, descrivibile dall’equazione: j 3.56 Figura 3.21 Relazione tra il potenziale applicato ai capi di un condensatore e la corrente circolante in esso. Il concetto di impedenza Z non è solo applicabile a questi semplici circuiti, ma è un concetto di validità più ampia e rappresenta la versione più generale della resistenza. La suddetta equazione: 94 Z 3.57 è quindi l’espressione più generale dell’equazione di Ohm. Per circuiti più complessi rispetto a quelli visti prima si ha che la combinazione di più impedenze avviene attraverso regole analoghe a quelle applicabili per le resistenze: per più impedenze disposte in serie (struttura di Voight) l’impedenza complessiva è la somma delle singole impedenze, invece per più impedenze disposte in parallelo (struttura di Maxwell) il reciproco dell’impedenza complessiva è la somma dei reciproci delle singole impedenze. L’inverso dell’impedenza è una grandezza nota come ammettenza Y ed è la versione di validità generale della conduttanza di un sistema. L’uso dell’ammettenza è soprattutto utile nell’analisi di circuiti costituiti da più elementi in parallelo: l’ammettenza totale è semplicemente la somma delle singole ammettenze di ciascun componente. 3.2.6.2 Modello fisico per l’analisi di impedenza elettrochimica Nonostante la spettroscopia ad impedenza elettrochimica (EIS) trovi potenziali applicazioni in ampi campi dell’elettrochimica, il suo utilizzo risulta ancora limitato dalle difficoltà insite in questa tecnica, legate soprattutto alla complessità intrinseca dei sistemi elettrochimici che rendono spesso problematica l’operazione di interpretazione del dato sperimentale. L’EIS è basata sul concetto di funzione di trasferimento (Transfer Function, TF) . Il sistema viene perturbato con un segnale di input ondulatorio sinusoidale e si registra il segnale di output prodotto dal sistema. Dal punto di vista teorico il segnale di input potrebbe essere di qualunque natura (crescita lineare, crescita a gradini…), nella pratica gli unici segnali realmente sfruttati in EIS sono quelli sinusoidali. Se il sistema è lineare la sua risposta è anch’essa sinusoidale e caratterizzata da uguale frequenza, ma differente intensità ed angolo di fase. Il rapporto fra la risposta del sistema e il segnale perturbante determina il coefficiente di trasferimento complesso per quella definita frequenza. Se determinata in un ampio spettro di frequenze la TF descrive completamente le proprietà dinamiche del sistema lineare. Per sistemi elettrochimici l’analisi consiste nella misurazione della funzione di trasferimento per un segnale perturbante di piccola intensità al fine di poter considerare solo la porzione lineare del responso. Se come segnale di input si considera una corrente e come output un potenziale la TF non è null’altro che un’impedenza Z, nel caso opposto la TF coincide invece con una ammettenza Y. Nel momento in cui si verifica un processo elettrochimico possono avvenire processi di trasporto di massa e trasferimenti di energia che possono cambiare la struttura e le proprietà dell’oggetto studiato. In questi casi il sistema risulta non lineare, non in condizioni stazionarie e caratterizzato da un “effetto memoria”. È quindi ovvio che un’analisi di impedenza di sistemi elettrochimici complessi, al fine di evitare tali complicazioni, debba basarsi su una serie di ipotesi semplificative, ovvero: - linearità: tale condizione è raggiungibile solo quando l’ampiezza del segnale ondulatorio di input è piccolo e ciò permette al sistema di rimanere inalterato; - stato stazionario: la misura del coefficiente di trasferimento deve essere indipendente dal momento in cui la misura è eseguita; - finitezza: le parti reali ed immaginarie dell’impedenza devono assumere, nell’intero intervallo di frequenza indagato, valori finiti; - univocità: ad un solo input deve corrispondere un unico output; - non si devono verificare effetti memoria; - osservabilità: l’intervalo di frequenze deve essere opportunamente scelto in base ai fenomeni che si vogliono studiare. A queste vanno aggiunte ipotesi di natura elettrochimica quali, per esempio: - additività della corrente faradica e di quella di caricamento dei doppi strati; 95 - elettroneutralità della soluzione elettrolitica; - mancanza di fenomeni convettivi e di migrazione: si assume che non ci siano altri cambiamenti nelle concentrazioni locali se non quelle dovute a fenomeni diffusivi e di trasferimento di carica; - assenza di flussi di massa o di carica in direzione laterale rispetto all’elettrodo. Un esperimento condotto in modo corretto deve essere tale da obbedire a tali ipotesi semplificative. Qualora questo succeda il sistema gode in realtà di un’altra importante caratteristica, la causalità: qualunque cambiamento nel sistema investigato è causato solo dal segnale perturbante. Sulla base di questa considerazione deriva il fatto che la completa descrizione dell’oggetto studiato possa avvenire anche solo dalla conoscenza di una sola parte (reale o immaginaria) dell’impedenza poiché queste per un sistema causale sono in relazione fra loro. Questa relazione, detta relazione di Kramers-Kronig, è ampiamente utilizzata per la verifica della bontà dei dati ottenuti in spettroscopia ad impedenza elettrochimica, o meglio per la verifica del fatto che le ipotesi semplificative siano realmente verificate. Per una trattazione più approfondita sulla valutazione della qualità dei dati EIS mediante trasformata di Kramers-Kronig si rimanda in letteratura[23]. La necessità di osservare sempre le ipotesi sopra descritte può essere a volte una limitazione troppo marcata, è per questo che un’ampia linea di ricerca mira proprio a limitare o a rigettare alcune di queste restrizioni. Ad esempio la possibilità di rigettare la necessità di linearità del sistema investigato ha fatto nascere studi di impedenza non lineare (come rapidamente descritto nel primo paragrafo di questo capitolo), così come il rigetto della restrizione di operare allo stato stazionario ha creato l’analisi di impedenza di stati non stazionari. Nei sistemi da me studiati ci si trova quasi sempre in alcune di tali condizioni non ideali. 3.2.6.3 Modellizzazione interpretativa dei dati EIS Il grande vantaggio della spettroscopia ad impedenza elettrochimica è la sua capacità di separare le cinetiche dei vari processi che avvengono nel sistema osservato: tuttavia tali informazioni non sono visualizzabili direttamente dai dati sperimentali ma vanno estratte mediante la costruzione di un opportuno modello. In questa tesi i dati sperimentali sono stati elaborati seguendo un approccio teorico-strutturale. L’aggettivo teorico si riferisce al fatto che si pressupone a priori il modello. L’approccio strutturale consiste nella costruzione di un modello identificabile con quello sperimentale attraverso l’uso di elementi connessi tra loro secondo leggi diverse e descriventi ciascuno un singolo processo di sistema, permettendo una diretta identificazione fisica dei parametri elettrici (resistenze, capacità, induttori…) introdotti. Per comprendere meglio in che cosa consista il modello teorico strutturale vediamone un tipico esempio applicativo. Consideriamo ad esempio un elettrodo di lavoro metallico (WE) al quale avviene un processo faradico quale ad esempio una comune reazione elettrochimica. La corrente totale che attraversa l’interfaccia del WE è la somma di un contributo faradico (if) e di un contributo legato al caricamento del doppio strato (ic). La capacità di un doppio strato viene descritta mediante l’uso della generica capacità equivalente Cd, mentre il processo faradico viene rappresentato dall’impedenza Zf. L’intera corrente dovrà poi attraversare la soluzione di elettrolita la quale opporrà una resistenza RS. Spesso poi il contributo faradico è scisso in due elementi separati, rispettivamente la resistenza al trasferimento di carica (Rct) e la resistenza al trasferimento di massa (Zw) rappresentata dalla cosiddetta impedenza di Warburg. La cella elettrochimica sarà quindi rappresentata dal circuito equivalente di figura 3.22. 96 . Figura 3.22 Circuito equivalente per un sistema in cui al WE avviene un processo elettrochimico Qualora risultino valide le ipotesi descritte nella sezione 3.2.6.2, l’impedenza di Warburg assume un’espressione relativamente semplice, e l’impedenza complessiva del circuito può essere descritta, come vedremo più avanti, dalle seguenti formule: 6*3'73ú7 6g Yk3'73ú7 Õ# o$ü Án⁄ Ïc $ü n⁄ o<Ñ oü c ÏÕ# o$ü Án⁄ Ñ ü3c 7ÏÕ# o$ü Án⁄ Ñ o$ü Án⁄ Ïün⁄ c $o<Ñ Ï<oün⁄ c $Ñ oü 3c 7 ÏÕ# o$ü Án⁄ Ñ 3.58 3.59 con σ detto elemento di Warburg, descritto dettagliamente nel seguito (eq. 3.92) 3.2.6.4 Analisi dei dati EIS Il fine ultimo dell’analisi dei dati di impedenza è l’identificazione del modello di lavoro più appropriato per i dati disponibili. Tale analisi coincide con una serie di passaggi che partono dalla preeleaborazione dei dati ed arrivano alla scelta del modello. a) Preelaborazione dei dati Presentazione dei dati La prima operazione da eseguire è la presentazione dei dati. Un problema insito in questa fase è il fatto che i dati provenienti da misure di impedenza sono per propria natura a tre dimensioni e li si vorrebbe però rappresentare in grafici bidimensionali. Si ha infatti: Z(Rei,Imi,ωi) con ωi le frequenze alle quali l’impedenza è stata misurata (i=1,…,N). Un primo modo per rappresentare l’impedenza è farlo in coordinate cartesiane: '3¦ω7 6*3ω7 ¦Yk3ω7 3.60 Sfruttando la relazione di Eulero si può darne invece una rappresentazione in coordinate polari: '3¦ω7 |'|exp 3¦ 7 3.61 dove |Z| = (Re2 + Im2)1/2 è il modulo e φi = arctg(Im/Re) è la fase corrispondente ad una data frequenza. La più comune rappresentazione grafica è fatta mediante il diagramma di Nyquist il quale descrive la dipendenza della parte immaginaria , o più spesso del suo valore cambiato di segno (-Im), dalla 97 parte reale dell’impedenza (Fig. 3.23.a). Il problema di questa rappresentazione è che non dice nulla sulla frequenza a cui i singoli punti corrispondono, sempre che tali frequenze non siano specificatamente riportate sul grafico. Rappresentazioni alternative sono invece i cosiddetti diagrammi di Bode i quali sfruttano invece la rappresentazione polare dei dati di impedenza. Questi riportano infatti, in funzione del logaritmo della frequenza (log ωi) o la fase φi, o il logaritmo di |Z| (Fig. 3.23.b). Figura 3.23 Esempi di rappresentazioni di dati EIS: a) Diagramma di Nyquist b) Diagramma di Bode A queste rappresentazioni classiche si possono poi accostare innumerevoli altri grafici, generalmente meno informativi, quali Re vs φi, Im vs φi, Re vs –ωi, Im… Calibrazione della cella di misura e dello strumento Le uniche geometrie di cella che generalmente permettono di soddisfare interamente le ipotesi semplificative sono la geometria planare e quella coassiale cilindrica. A volte però, nonostante queste geometrie, la cella di misura presenta dei cosiddetti “elementi parassiti” che influenzano le misure andando a deteriorare la qualità del dato. Tipico esempio è la presenza di induttanze parassite ad alte frequenze osservabili poiché creano valori positivi della parte immaginaria dell’impedenza. Al fine di eliminare tali contributi si è soliti eseguire delle misure di calibrazione finalizzate all’identificazione del contributo di tali elementi. Filtrazione Questa procedura è finalizzata all’identificazione e quindi all’eliminazione di eventuali punti gravemente affetti da errore. Tipicamente ad esempio i punti aventi frequenze vicine alla frequenza 98 di rete e ai suoi armonici sono spesso dati erronei. A volte si ha poi la presenza di cosiddetti punti estranei (wild points) i quali non obbediscono al generale andamento dell’insieme degli altri punti. Valutazione della qualità dei dati Il modo più semplice per valutare la qualità dei dati ottenuti è osservare la dipendenza che parte reale o immaginaria hanno rispetto al logaritmo della frequenza: dati particolarmente poveri di errore si dispongono lungo andamenti che non mostrano generalmente forti deviazioni dall’andamento generale. b) Validazione delle ipotesi semplificative relative all’analisi I tre parametri fondamentali che andrebbero valutati sono la linearità del sistema, il fatto che il sistema sia allo stato stazionario e l’assenza di effetti memoria. Queste tre ipotesi sono facilmente verificabili dal punto di vista sperimentale. Se il sistema è lineare la sua impedenza dovrebbe essere indipendente dall’intensità del segnale di input e quindi una semplice variazione di questo può palesare l’eventuale non linearità del sistema. L’ipotesi di stato stazionario è facilmente validata eseguendo semplicemente due analisi in sequenza sullo stesso sistema, la risposta nei due casi dovrebbe variare nei limiti dell’errore sperimentale. Per valutare infine eventuali effetti memoria, spesso presenti in sistemi elettrochimici, si possono anche in questo caso eseguire due spettri consecutivi, modificando però la direzione di scansione. In questo lavoro mi sono spesso trovato sia in presenza di fenomeni non lineari che di memoria. c) Identificazione dei parametri del modello L’identificazione dei parametri caratteristici del modello è sicuramente il punto centrale dell’approccio teorico. Nei comuni casi il modello presenta la forma matriciale M. Tale matrice include le caratteristiche strutturali del modello SM e il vettore dei parametri PM: ð%z, & 3.62 A sua volte la struttura del modello è costituita da due fondamentali componenti: gli elementi (EM) e il modo in cui questi sono tra loro connessi CM, ovvero: z %1, & 3.63 Nel momento in cui tutti i componenti delle suddette matrici sono noti è possibile simulare l’impedenza corrispondente: '3¦ω7 zk'. ð|ω 3.64 Il problema da risolvere è però il fatto che il vettore dei parametri non è conosciuto con la debita accuratezza; per conoscerlo si utilizzano i dati sperimentali raccolti nella matrice D: %ω, 6* , Yk & 3.65 99 Solo a questo punto è possibile dare il via al procedimento di stima dei parametri, attraverso procedure di fitting iterativo, il quale si concluderà con l’identificazione del vettore dei parametri stimati PM*: R Y~*w­. £,%ω, 6* , Yk |z & 3.66 Identificata tale matrice è possibile simulare, sulla base dei parametri stimati, l’impedenza del sistema: ' R 3¦ω7 zk'. z , R |ω 3.67 Si individua ora un parametro che deve identificare la vicinanza tra dati misurati e dati teorici. Generalmente tale parametro è espresso come: ∆ 3¦ω7 3'R ' 7 3.68 dove φi è la semplice differenza, o la differenza pesata, o una funzione più complessa. Si esegue infine l’analisi dei residui, questa operazione è finalizzata a stabilire la correttezza del modello ipotizzato a priori, secondo l’approccio teorica strutturale. Qualora questo sia corretto i residui saranno distribuiti in funzione della frequenza in modo casuale. Nel caso invece in cui il modello scelto sia errato i residui mostreranno un grado di correlazione non nullo rispetto alla frequenza. d) Selezione del miglior modello Rimane ancora da risolvere il problema di come scegliere tra i possibili circuiti equivalenti disponibili quello che rappresenta il migliore modello, questo sarà quello che andrà a minimizzare i residui: ∑Ø ²< ∆ µ kw 3.69 Dal punto di vista matematico l’identificazione dei parametri richiede la risoluzione di un insieme di equazioni non lineari complesse e ciò viene generalmente fatto implementando sull’elaboratore il cosiddetto algoritmo Complex Non Linear Least Square (CNLS) basato sul metodo di NewtonMarquardt. Fortunatamente sono ampiamente disponibili software commerciali che permettono una facile risoluzione del problema d’identificazione dei parametri modellistici. In questo lavoro tale operazione non è stata eseguita e i modelli scelti si basano semplicemente sulle conoscenze fisicochimico-elettriche del sistema in esame acquisite durante le caratterizzazioni precedenti. 3.2.6.5 Elementi in circuiti equivalenti e siginificati fisici I componenti dei modelli teorici descriventi le caratteristiche elettrochimiche dei sistemi studiati in EIS si dividono in due categorie. Da una parte vi sono i tipici elementi circuitali ampiamente utilizzati in elettrochimica (resistenze, condensatori ed induttanze), dall’altra vi sono una serie di elementi direttamente sviluppati per la descrizione dei processi elettrochimici (elementi di Warburg, CPE…), solitamenti dipendent dalle condizioni di lavoro, ovvero dalla tensione di lavoro applicata alla cella e dalla frequenza della perturbazone elettrica. Vediamo singolarmente i principali di questi elementi con i corrispondenti significati fisici. 100 Resistenza L’impedenza di una resistenza è data da: ' 3¦ω7 6 3.70 Come già sottolineato nei primi paragrafi di questo capitolo l’impedenza di una resistenza ha componente reale uguale al valore nominale della resistenza (Re = R) e parte immaginaria nulla (Im = 0). Figura 3.24 Simulazione del diagramma di Nyquist per un circuito costituito da una sola resistenza (R = 100, 200, 300, 400 Ω) Fisicamente rappresenta in genere fenomeni di dissipazione energetica, presenza di barriere di potenziale o processi che limitano fenomeni di conduzione. Nei comuni circuiti elettrochimici si incontrano comunemente tre tipologie di resistenze: la resistenza fornita da soluzioni di elettroliti (Rs), la resistenza di polarizzazione (Rp) e la resistenza al trasferimento di carica (Rct). La resistenza della soluzione presente nella cella è spesso un fattore significativo nel definire l’impedenza complessiva del sistema ed è quindi un elemento importante nel modello complessivo. La resistenza di una soluzione di elettroliti è funzione della concentrazione degli ioni presenti, dalla loro natura, dalla temperatura e dalla geometria di cella secondo la relazione: < 2 6 ]© 3.71 dove κ è la conducibilità in Scm-1, l è la distanza fra gli elettrodi ed A è la loro area. Fortunatamente nella normale pratica non si è costretti a calcolare la resistenza della soluzione mediante la relazione 3.71, ma tale parametro viene direttamente ottenuto nella fase di identificazione dei parametri degli elementi circuitali. Quando il potenziale di un elettrodo è forzato ad assumere valori diversi dal suo potenziale di circuito aperto (Open Circuit Potential, OCP) l’elettrodo si dice polarizzato. Per polarizzare un elettrodo inevitabilmente deve circolare nel sistema della corrente che incontrerà una resistenza nota come resistenza di polarizzazione. Vi è infine la resistenza al trasferimento di carica che si riscontra quando all’elettrodo si verifica una reazione elettrochimica. In presenza di singola reazione è possibile arrivare ad una sua formula esplicita, come mostrato nella sezione 3.2.6.6. Condensatore L’impedenza di un condensatore è data da: 101 ' 3¦ω7 ¦3ω7m< 3.72 ZC ha componente reale nulla e componente immaginaria negativa per valori positivi di C, ne consegue uno sfasamento φ pari a – π/2 radianti. Figura 2.25 mulazione del diagramma di Nyquist per un circuito costituito da un solo condensatore nell’intervallo di frequenze -3 3 10 – 10 Hz (C = 1 mF) Fisicamente rappresenta l’accumulo di carica all’interno del sistema analizzato. Nel nostro caso l’uso di condensatori va a descrivere la capacità dei singoli doppi strati, compresi i contributi degli strati diffusivi qualora questi risultino non trascurabili. Induttanza L’impedenza di un’induttanza è data da: 'j 3¦ω7 ¦ωT 3.73 Ci si trova nelle condizioni anche qui di avere parte reale nulla, ma parte immaginaria positiva per induttanze positive. La fase φ è quindi pari a π/2 radianti. L’induttanza si trova difficilmente come elemento descrittivo di processi elettrochimici. Figura 3.26 Simulazione del diagramma di Nyquist per un circuito costituito da una sola induttanza nell’intervallo di frequenze -3 3 10 – 10 Hz (L = 1 mH) Fisicamente rappresenta l’accumulo di energia magnetica o la formazione di flussi di elettroni o di altri trasportatori di carica autoindotti nel sistema. 102 Elemento di Warburg Questo elemento è stato sviluppato per descrivere fenomeni diffusivi e subdiffusivi che possono instaurarsi nel momento in cui al WE avviene una reazione redox. Può essere dunque visto come una sorta di impedenza dovuta al trasporto di massa, funzione della frequenza e del potenziale di input. Nel caso di movimento ionico, ad alte frequenze l’impedenza di Warburg è molto piccola poiché le specie che possono diffondere possono muoversi molto poco. Viceversa a basse frequenze tale impedenza assume notevole importanza poiché le specie possono diffondere con maggiore facilità. Nel caso di diffusione elettronica il contributo di Warburg ad elevate frequenze (>MHz) non è trascurabile, e nella corrispondente scala temporale subentrano effetti caotici introdotti dal parametro τ espresso dall’equazione generalizzata di Cattaneo 2.54. In presenza di film sottili si ottengono andamenti diversi rispetto al caso di strato diffusivo semi-infinito e dipendono fortemente dalle condizioni al contorno che si impongono, solitamente schematizzabili in trasmissive o riflessive: nel primo caso ci si aspetta dunque una degenerazione di tali elementi in capacità, nel secondo caso in resistenze. Le relative espressioni con cenni riguardanti la loro derivazione analitica sono riportate nella sezione 3.2.6.6. Elemento a fase costante (CPE) Un elemento a fase costante (Constant Phase Element, CPE) rappresenta una relazione empirica introdotta per descrivere la dipendenza dalla frequenza dell’impedenza di un elemento causata dalla rugosità o disomogeneità delle proprietà superficiali. L’impedenza di un generico elemento di fase è descritta dalla seguente relazione: 'uN xm< 3¦ω7m 3.74 dove A è un fattore di proporzionalità ed n è l’esponente del CPE. Quest’ultimo parametro può assumere solo valori compresi tra 0 ed 1. La parte reale ed immaginaria dell’impedenza sono quindi: 6*3'uN 7 ¾þ ©(¾ õö÷ Yk3'uN 7 3.75 ¾þ ©(¾ ÷) 3.76 Figura 3.27 Simulazione del diagramma di Nyquist per un circuito costituito da un unico elemento a fase costante nell’intervallo -3 3 di frequenze 10 – 10 Hz per valori diversi di n (A=100) 103 Il concetto di CPE è di per sé applicabile ad un qualunque elemento circuitale (R, L, C) con un’impedenza funzione della frequenza secondo un andamento che devia dall’idealità. Nella realtà si è però soliti applicare il concetto di CPE non a tutti i possibili elementi, ma solo ai condensatori con i quali si modellizzano strati di separazione di carica. Juan Bisquert et al.[33] sostengono che l’utilizzo di condensatori come elementi di circuiti equivalenti descriventi il comportamento di elettrodi porosi è spesso non corretto e ciò è riconducibile all’eccessiva idealizzazione dei processi considerati che mal si adattano alla disomogeneità, complessità ed assenza di ordine che spesso caratterizzano questi elettrodi. Ciò che in un condensatore ideale non viene considerato è la possibilità che avvenga dispersione di carica all’interfaccia e che ciò provochi una modifica della relazione che lega l’impedenza di un condensatore alla frequenza. Nella pratica sperimentale la necessità di modellizzare un doppio strato di cariche con un CPE è più che un’eccezione, la regola. Si è infatti osservato che differenti tipi di interfacce vengono meglio descritti mediante l’uso di CPE in luogo dei comuni condensatori. L’utilizzo degli elementi a fase costante incrementa in modo marcato la bontà della regressione numerica in fase di individuazione dei parametri modellistici, ma crea nuovi problemi interpretativi circa la natura fisica di questo elemento. Il fatto che l’elemento a fase costante sia stato introdotto al fine di descrivere una semplice relazione empirica fa sì che in letteratura non ci sia perfetta concordanza circa la relazione che descrive l’impedenza di un CPE nel momento in cui è usato per descrivere il comportamento non ideale di un condensatore. Riassumendo, fisicamente, nell’accezione di variante di un condensatore un CPE rappresenta la possibilità di accumulo di carica in un doppio strato a cui si associa però un comportamento non ideale. 3.2.6.6 Calcolo dell’impedenza del ramo faradaico E’ inizialmente descritto il calcolo dell’impedenza per il ramo faradaico di una cella elettrochimica con elettrodi metallici nelle seguenti ipotesi: 1. singola reazione all’elettrodo di lavoro, ovvero Ox + ne Red; 2. assenza di effetti matriciali e di tipo trappola dovuti a strutture disordinate o disomogenee; 3. reversibilità chimica; 4. scala temporale sufficientemente elevata rispetto al tempo di diffusine per gradiente di concentrazione (ovvero τ = 0). Ciò comporta un regime di diffusione ordinario (2,3), assenza di comportamenti caotici (4) con conseguente possibilità di utilizzo dell’equazione parabolica di diffusione ordinaria espressa dalla seconda legge di Flick (eq. 2.27), piuttosto che l’equazione di Cattaneo generalizzata (2.54). Inoltre si assume uno strato diffusivo di spessore semi-infinito, con conseguente semplificazioni delle condizioni al contorno. La relazione che lega la corrente i con il sovrapotenziale η imposto all’elettrodo di lavoro è la seguente (eq. A.31): V ¬ 3V,7 R ¬ exp M mαη Q ¹ 30,/7 ¹R exp M 3<mα7η Q 3.77 dove i0 è la corrente di scambio, C0 e C0* sono le concentrazioni superficiali e di bulk della specie ossidante, CR e CR* sono le concentrazioni superficiali e di bulk della specie riducente e infine α è il cosiddetto coefficiente di trasferimento. In altri termini, esplicitando il potenziale all’elettrodo come E = Eeq + η, si può scrivere: 1 1, 30, ­7, 30, ­7 3.78 104 Con un approccio perturbativo al primo ordine, si ha il seguente sviluppo di Taylor: ZN Z/ «N Z « «/ ° «N ± «¬ 3V,/7 Z¬ 3V,/7 Z/ «N «¹ 3V,/7 Z¹ 3V,/7 Z/ 3.79 oppure: ZN Z/ 6G/ Z «/ ò Z¬ 3V,/7 Z/ ò Z¹ 3V,/7 3.80 Z/ dove 6G/ 3*1/*7¬ 3V,/7,¹3V,/7 3.81 ò 3*1/3* 30, ­7 77,¹3V,/7 3.82 ò 3*1/3* 30, ­7 77,¬ 3V,/7 3.83 Ipotizzando di forzare una corrente cosinusoidale (l’analisi può essere eseguita in maniera analoga forzando un potenziale cosinusoidale): Y cos ω­ 3.84 e considerando una diffusione ordinaria lineare (legante la corrente i a variazioni di concentrazioni) (seconda legge di Flick 2.27) semi-infinita, come da ipotesi fatte, e le seguenti condizioni: 34, 07 VR 3.85 34, 07 R 3.86 si ottengono[15], tramite passaggio in dominio di Laplace e successiva antitrasformazione tramite applicazione del teorema di convoluzione: 30, ­7 VR 30, ­7 R / 3/mh7 ~' 3.87 / 3/mh7 ~' 3.88 < V < V n⁄ n⁄ û ©Ö n⁄ ©Ö¹ ûn⁄ hn⁄ hn⁄ La valutazione dello stato stazionario e considerazioni trigonometriche portano alle seguenti: < 3sin ω­ cos ω­7 3.89 < 3sin ω­ cos ω­7 3.90 30, ­7 VR ©3Ö n⁄ (7 30, ­7 R ©3Ö n⁄ ¹ î7 Valutando i coefficienti ò e ò si ottiene dunque: ZN Z/ $ M6G/ (n⁄ Q Yω cos ω­ YÅω<⁄ sin ω­ 3.91 105 dove: Å < 3 )¬ ©√ Ö n⁄ ¬ )¹ n⁄ Ö¹ 7 3.92 Tale ultimo parametro è comunemente chiamato elemento di Warburg. Linearizzando 3.77, si ottiene (per n=1): y P ¬ 3V,/7 R ¹ 3V,/7 ] ¹R 3.93 Ovvero: P 3.94 P 3.95 P 3.96 6G/ ò R ò R ¹ Dalle misure di impedenza è dunque possibile ottenere parametri di straordinaria importanza fisica, quali V , Å, e . Il ramo faradaico, sotto tali ipotesi di modello, può infatti essere visto come una serie di una resistenza 6G/ , rappresentante la resistenza di trasferimento di carica all’interfaccia, e un’impedenza di Warburg Zw, rappresentante l’impedenza del trasporto di massa dovuta ad un meccanismo di diffusione ordinaria. Le ultime tre formule posso essere ricavate per misure di impedenza in prossimità del potenziale di equilibrio 1V′ , tale da permettere la linearizzazione dell’espressione dell’equazione di Butler-Volmer 3.77, valida sia per situazioni di irreversibilità termodinamica (ovvero V piccolo), che reversibilità ( V grande). La linearizzazione permette di eliminare in tale analisi le dipendenze dal parametro α, ovvero il coefficiente di trasferimento. In verità una linearizzazione è possibile anche in presenza di un potenziale di bias presente, purchè l’analisi venga fatta tenendo conto i eventuali fenomeni di deriva da questo introdotti e sotto particolare ipotesi. Assenza di reversibilità chimica In assenza di reversibilità chimica, a parità delle altre condizioni, si potrebbe procedere imponendo le condizioni 3.85 e 3.86 in altra maniera. Nel caso specifico di evoluzione di idrogeno, qualora questa sia l’unica reazione presente nel sistema (le ipotesi fatte prevedono una sola reazione), può essere interpretata modificando la 3.86 con: 34, 07 0 3.97 La condizione di conservazione della massa utilizzata nel dominio di Laplace e conducente alle 3.87 e 3.88 perde di significato. I profili di concentrazione per x = 0 che si ottengono risultano i seguenti: < 30, ­7 VR ©3Ö n⁄ (7 3sin ω­ cos ω­7 3.98 30, ­7 0 3.99 106 Come si può osservare 30, ­7 rimane immutato rispetto al caso di reversibilità chimica. Analogamente all’analisi appena svolta, per sovratensioni applicate sufficientemente piccole, si giunge alle seguenti formule: y P ¬ 3V,/7 6G/ ò R ] 3.100 P 3.101 P 3.102 R < Å ©√ ê )¬ n⁄ Ö¬ í 3.103 Rilassamento di ulteriori ipotesi Nel caso generale si ha a che fare con più reazioni agli elettrodi e una eventuale presenza di ulteriori specie elettrolitiche non elettroattive, talvolta con effetti però significativi sulla cinetica delle reazioni all’elettrodo di lavoro coinvolgenti le specie elettroattive. In generale, le equazioni di diffusione per ogni singola specie potrebbero non valere se in presenza di meccanismi di trasporto migratorio, che comporterebbero l’utilizzo dell’equazione più generale di Planck-Nernst, vista con le conseguenti correzioni di tipo sub-diffusivo tramite l’introduzione del parametro γ. A frequenze elevate bisognerebbe inotre tenere in conto anche di eventuali effetti descritti dall’equazione generalizzata di Cattaneo per quanto riguarda i contributi diffusivi. Infine bisogna aggiungere le eventuali modifiche introdotte dalle condizioni al contorno in presenza di strati diffusivi sottili. All’elettrodo di lavoro avremo poi la seguente relazione, non facilmente rappresentabile in forma esplicita: 1 1, < 30, ­7, 30, ­7 … Ø 30, ­7 3.104 Si ottiene, quindi, un problema estremamente complicato, dato da un sistema di equazioni subdifferenziali accoppiate tra loro, con problematiche di risoluzione analitica in forma chiusa. Cenni di generalizzazione dell’elemento di Warburg Abbiamo visto come si è giunti all’equazione 3.79 o 3.80 mediante un approccio perturbativo. Analogamente tale approccio puo portare ad una formula simile ma con più termini qualora si consideri il caso generale espresso dall’equazione 3.104. L’equazione ottenuta non è lineare in quanto i coefficienti ò che si ottengono per la singola specie diffondente dipendono dalle concentrazioni delle altre specie all’interfaccia (eq. 3.82 e 3.83). Ipotizzando una più debole dipendenza di tali parametri rispetto alle concentrazioni delle altre specie, in presenza di un’eccitazione perturbativa essi possono essere considerati in prima approssimazione come costanti. L’equazione 3.104 diventa lineare nelle variabili delle concentrazoni e grazie al principio di sovrapposizione è possibile separare i vari contributi di risposta delle concentrazioni all’interfaccia in seguito all’applicazione di eccitazione elettrica (eq. 3.105). Tale contributo sarà poi accoppiato all’equazione regolante il trasporto di massa delle specie coinvolte. A tal porposito verrà trattato soltanto il caso di trasporto diffusivo, trascurando eventuali contributi migratori e convettivi. Traducendo in formule quanto detto, nelle ipotesi di sistema descritte, si ha: 107 1° «N ± «3V,/7 V Z3V,/7 3.105 Z/ Il pedice 0 indica che la derivata è calcolata nelle condzioni di equilibrio, tale per cui non dipenda dalle concentrazioni delle altre specie, e possa dunque essere considerata costante. Essendo: x¦ 3.106 con j denotante il flusso della specie diffondente, i la corrente elettrca e A l’area di sezione. Passando nel dominio di Laplace si ha: 3g7 '3@7 t3g7 , 3@7 T317, Y3@7 T37 3.107 dove U(s) è la trasformata di Laplace del potenziale elettrico, mentre I(s) quella della corrente elettrica (s è la variabile di Laplace). Dalle equazioni 3.105 e 3.106, si ottiene dunque: Ö 3g7 '3@7 6i j 3.108 ,3g7 con J(s) la trasformata di Laplace di j, C(s) quella di C, L la lunghezza dello strato diffusivo, ed 6i dato da: j «N 6i ³©Ö °«3V,/7± 3.109 V 6i è una resistenza qualora le dimensione di D siano cm2 s−1. Trascurando per ora la generalizzazione di Cattaneo, considero il trasporto di massa descritto dall’equazione 2.50, riscritta nel dominio di Laplace nel seguente modo: « «D < q 3.110 dove λ è una funzione della frequenza ú e dipendente dal tipo tipo di trasporto diffusivo (ordinario, anomalo di prima, seconda o terza specie), ovvero da γ. L’equazione 3.110 ha la seguente soluzione generale: < cosh M Q sinh 3 7 D q D 3.111 q L’impedenza Z(s) data da 3.108 può essere ricavata esplicitamente combinando la 3.109 e la 3.111 (calcolata per x=0), esplicitabile imponendo l’opportuna condizione al contorno per x = L, dove L indica lo spessore dell strato diffusivo. Limiteremo l’analisi a due casi estremi di condizioni al contorno: « 1. riflessive: «D 0 per x = L 3.112 2. trasmissive: 0 per x = L 3.113 108 Tali condizioni si riferiscono rispettivamente ad un “random walker” totalmente riflesso e totalmente assorbito una volta in contatto con la superficie x = L. Analizziamo ora le espressioni analitiche nei casi di diffusione ordinaria e anomala. Diffusione ordinaria Dall’equazione di continuità 2.28 e da quella costitutiva (prima legge di Flick 2.26) si ottengono: @ ¦ «$ 3.114 « 3.115 «D «D d3@7 3 (c <⁄ 7 T g 3.116 con: ωZ j Ö 3.117 ed s la variabile di Laplace. Imponendo le condizioni al contorno riflessive 3.112 si ottiene: '3@7 6i 3 (c <⁄ 7 coth g M (c <⁄ g Q 3.118 Per ω >>ωZ si ottiene: '3@7 6i 3 îc <⁄ 7 g 3.119 Tale impedenza rappresenta quella che si ottiene in condizioni di strato diffusivo con spessore infinito. Per ω <ωZ si ottiene: - '3@7 F < g 3.120 - con: j i 3.121 -Ö Imponendo le condizioni al contorno trasmissive 3.113 si ottiene: '3@7 6i 3 (c <⁄ 7 tanh g M (c <⁄ g Q 3.122 Per ω >>ωZ si ottiene nuovamente la 3.119. Per ω <<ωZ si ottiene: 109 < 3g7 < - < 3.123 - ⁄F Diffusione anomala di prima specie Dall’equazione di continuità 2.45 e dall’equazione costitutiva 2.26 si ottengono: @½ ¦ «$ 3.124 «D « 3.125 «D d3@7 3 (c ½⁄ 7 T g 3.126 con: ωZ 3j 7<⁄½ Ö 3.127 Imponendo le condizioni al bordo riflessive si ottiene: ( '3@7 6i 3 g 7½⁄ coth M (c ½⁄ g Q 3.128 Per ω >>ωZ si ottiene: '3@7 6i 3 (c ½⁄ 7 g 3.129 Per ω <<ωZ si ottiene: '3@7 F s@ m½ 3.130 con: s 6i ωZ ½ 3.131 Imponend le condizioni al bordo trasmissive si ottiene: '3@7 6i 3 (c ½⁄ 7 tanh g M (c ½⁄ g Q 3.132 Per ω >>ωZ si ottiene nuovamente la 3.129. Per ω <<ωZ si ottiene: < 3g7 < < ËgÁº - 3.133 con: s 36i ωZ ½ 3.134 110 Diffusione anomala di seconda specie Dall’equazione di continuità 2.28 e dall’equazione costitutiva 2.47 si ottengono: @ «$ 3.135 «D ¦ @<m½ « 3.136 «D Con λ e ωZ come per la diffusione anomala di prima specie. Imponendo le condizioni al bordo riflessive si ottiene: '3@7 6i ωZ ½m< 3 (c <m½ coth 7 g M (c ½⁄ g Q 3.137 Per ω >>ωZ si ottiene: '3@7 6i ωZ ½m< 3 (c <m½⁄ 7 g 3.138 Per ω <<ωZ si ottiene: < '3@7 g s@ m3<m½7 3.139 con: s Ë - (c 3.140 º - 3.141 F Imponendo le condizioni al bordo trasmissive si ottiene: '3@7 6i .Z ½m< 3 îc <m½ tanh 7 g M (c ½⁄ g Q 3.142 Per ω >>ωZ si ottiene nuovamente 3.138. Per ω <<ωZ si ottiene: < < @ ËgÁ3nÁº7 3g7 3.143 con 36i ωZ 3.144 s 6i 3.145 111 Diffusione anomala di terza specie Dall’equazione di continuità 2.28 e dall’equazione costitutva 2.48 si ottengono: @ «$ 3.146 «D ¦ @ ½m< d3@7 3 « 3.147 «D (c <m½⁄ 7 T g 3.148 con: ωZ 3 7<⁄m½ Ö 3.149 j Imponendo le condizioni al bordo riflessive si ottiene: '3@7 6i ωZ <m½ 3 (c ½ 7 coth g M (c <m½⁄ g Q 3.150 Per ω >>ωZ si ottiene: '3@7 6i ωZ <m½ 3 (c ½⁄ 7 g 3.151 Per ω <<ωZ si ottiene: '3@7 @<m½ < 3.152 g con: Ë 3.153 Áº - (c - 3.154 F Imponendo le condizioni al bordo trasmissive si ottiene: '3@7 6i ωZ <m½ 3 (c ½ 7 tanh g M (c <m½⁄ g Q 3.155 Per ω >>ωZ si ottiene nuovamente 3.151. Per ω <<ωZ si ottiene: < 3g7 < @ ÉgnÁº7 3.156 con: 112 < 3.157 F- (c Áº 6i 3.158 Figura 3.28 Diagrammi di Nyquist per le impedenze di Warburg in presenz di condizione trasmissive (destra) e riflessive (sinistra) per diffusione ordinaria (a), diffusione anomala di prima specie (b), diffusione anomala di seconda specie (c) e diffusione anomala di terza specie (d). Nel caso si consideri il trasporto di massa descritto dall’equazione generalizzata di Cattaneo 2.54 al posto della 2.50, invece della 3.110 si otterrebbe: Ä@ 34, @7 @34, @7 @<m½ « 3D,g7 3.159 «D La cui soluzione generale è data da: 34, @7 < exp/3@74 exp /3@74 3.160 113 con: /3@7 gº⁄ √Ö √1 Ä@ 3.161 mentre l’equazione 2.51 generalizzata (del flusso), considerando ad esempio una diffusione di seconda specie, nel dominio di Laplace diventa: 34, @7 gnÁº «3D,g7 <og 3.162 «D Considerando condizioni al bordo di tipo trasmissivo, la condizione iniziale di Cattaneo: 34, 07 0 0 «3D,/7 «/ /²V 0 3.163 Si ottiene, con procedura analoga a quanto visto precedentemente: '3@7 6i j q3g7 tanh /3@7T 3.164 d3@7 @<m½⁄ <oÆ 3.165 ωZ 3j 7<⁄½ 3.166 Ö < Ö Ö Per elevate ω mi aspetto un’influenza significativa del parametro τ. Nel limite ω µ ∞ si ottengono da 3.164 e 3.165 (esplicitando la variabile di Laplace): '3ω7 Í √ √Ö(3nÁº7⁄ '3ω7 Í √Ö(nÁº⁄ cos MI cos êI <m½ Q ¦@w MI ½ <m í <m½ ¦@w êI Q per Ä 1 0 ½ <m í per Ä 0 Quest’ultima corrisponde alla 3.138. Figura 3.29 Diagrammi di Nyquist con RW=L=D=1, γ=0.4, e valori di τ dati in legenda. 114 3.167 3.168 Figura 3.30 Diagrammi di Nyquist con RW=L=D=1, γ=0.6, e valori di τ dati in legenda. Figura 3.31 Diagrammi di Nyquist con RW=L=D=1, γ=0.8, e valori di τ dati in legenda. Figura 3.32 Diagrammi di Nyquist con RW=L=D=1, γ=1, e valori di τ dati in legenda 115 Come si evince dai grafici: • per ω µ 0 e fissato γ i diagrammi non dipendono da τ e degenerano in una singola curva • per ω µ ∞ la pendenza dei diagrammi decresce al crescere di τ. Quando γ = 1 e Ä 1 0 Im(Z) assume valori molto piccoli mentre Re(Z) assume ancora valori significativi. Al limite la curva tende all’origine con pendenza nulla. Per T µ ∞ si ottiene: Ö '3¦ω7 6i j =<o$( 3.169 √Ö3$(7nÁº⁄ Per τ = 0 e γ = 1 tale espressione corrisponde alla classica impedenza di Warburg con pendenza unitaria nel corrispondente diagramma polare. 116 Capitolo 4 Presentazione e discussione dei risultati sperimentali In questo capitolo presento i risultati sperimentali ottenuti. Le tecniche utilizzate sono quelle descritte nel capitolo 3, mentre le geometrie di sistema e parametri sperimentali vengono forniti di volta in volta, per consentire laddove possibile dei confronti relativi in termini di proprietà e prestazioni. 4.1 Misure di spettroscopia di assorbimento In questa sezione sono riportati gli spettri di assorbimento dei materiali organici (depositati in film sottili sopra substrati vetrosi) utilizzati per la realizzazione di dispositivi di conversione energetica e sensori, quali fotodiodi o fotocelle eletrochimiche, diversamente sensibili alla luce visibile. Sono stati testati i seguenti materiali (in opportune miscele): poly[9,9-dioctylfluorene-cobenzothiadiazole] (F8BT), phenyl-C61-butyric acid methyl ester (PCBM), poly[2-methoxy-5-(3,7dimethyloctyloxy)]-1,4-phenylenevinylene (MDMO-PPV), Poly[2,1,3-benzothiadiazole-4,7diyl[4,4-bis(2-ethylhexyl)-4H-cyclopenta[2,1-b:3,4-b']dithiophene-2,6-diyl]] (PCPDTBT), poly[3hexylthiophene] (P3HT). Le informazioni ricavate verranno utilizzate nelle analisi delle misure ottiche ed elettriche. 4.1.1 Spettri di assorbimento Figura 3.1 Spettri di assorbimento dei seguenti materiali: F8BT:PCBM (1:1), PCPDTBT:PCBM (1:1), MDMO-PPV:PCBM (1:1), P3HT:PCBM (1:1) 117 4.1.2 Analisi degli spettri di assorbimento L’F8BT:PCBM (1:1) mostra un picco di assorbimento intorno 460 nm,similmente al P3HT:PCBM (1:1), il cui picco risulta ad una lunghezza d’onda leggermente maggiore. L’MDMO-PPV:PCBM (1:1) ha il picco di assorbimento a circa 520 nm. Infine il PCPDTBT:PCBM (1:1) assorbe prevalentemente a lunghezze d’onda maggiori (rispetto i precedenti materiali) con picco di assorbimento a circa 720 nm. Tale studio mostra come tali materiali organici possiedano caratteristiche ottiche anche molto differenti tra loro, con conseguente possibile utilizzo per le più svariate applicazioni energetiche e sensoriali. 4.2 Misure di spettroscopia di fotocorrente In questa sezione sono riportati gli spettri di fotocorrente e le risposte spettrali normalizzati relativi a fotocelle elettrochimiche con elettrodo di lavoro di ITO (depositato su substrato vetroso rigido o su materiale plastico flessibile di polietilene tereftalato (PET)) sensitivizzato con film sottili dei materiali attivi introdotti nella sezione 4.1, contro-elettrodo di platino e soluzione elettrolitica di NaCl 0,2M. I segnali analizzati per i dispositivi con materiali attivo spesso 100 nm si riferiscono al segnale in fase (massimizzato) derivante dalla rilevazione lock-in. Per i dispositivi con materiale attivo di P3HT-PCBM (1:1) spesso 50 nm sono riportati soltanto gli spettri di fotocorrente, sia in fase che fuori fase, confrontando eventuali differenze a seconda del tipo di substrato analizzato. Sono stati infine misurati e messi a confronto gli spettri di fotocorrente e le risposte spettrali di dispositivi con materiale sensitivizzante P3HT:PCBM (1:1) (di spessore 100 nm) con quelli con materiale sensitivizzante dato da un bilayer P3HT:PCBM (1:1)+PLL, dove con PLL si intende uno strato di poli-lisina di spessore di circa 10 nm, utilizzato in applicazioni biologiche per permettere la crescita di cellule neurali su tali strutture. 4.2.1. Spettri di fotocorrente e risposte spettrali Spessori materiali attivi di circa 100 nm Substrati vetrosi Figura 4.6 Spettri di fotocorrente dei dispositivi con diversi materiali attivi di spessore 100 nm su substrato vetroso 118 Figura 4.7 Risposte spettrali dei dispositivi con diversi materiali attivi con spessore di 100 nm su substrato vetroso Spessori del materiale attivo P3HT-PCBM (1:1) di circa 50 nm Substrato vetroso e PET Figura 4.8 Spettri di fotocorrente in fase e fuori fase ottenuti dalla rivelazione lock-in del dispositivo con materiale attivo P3HT:PCBM (1:1) con spessore di circa 50 nm su substrato di vetro (curva blu e verde) e su substrato di PET (curva nera e rossa) 119 Spessori degli strati attivi di P3HT:PCBM (1:1) di circa 100 nm Spessore degli strati di PLL di circa 10 nm Substrati vetrosi Figura 4.9 Spettri di fotocorrente di tre diversi dispositivi con materiale sensitivizzante P3HT:PCBM (1:1)+PLL a confronto con il riferimento privo dello strato di PLL (curva verde) Figura 4.10 Risposte spettrali di tre diversi dispositivi con materiale sensitivizzante P3HT:PCBM (1:1)+PLL a confronto con il riferimento privo dello strato di PLL (curva verde) 120 4.2.2 Analisi degli spettri di fotocorrente e delle risposte spettrali Dalle figure 4.6 e 4.7 si deduce che a seconda del materiale attivo utilizzato si possono coprire vari range spettrali di risposta. I segnali fuori fase derivanti dalla rilevazione lock-in non sono stati riportati in quanto pressochè trascurabili, indice dell’assenza di risposte antibatiche. I dispositivi con materiale attivo P3HT-PCBM (1:1) realizzati su substrato flessibile plastico di PET non presentano differenze rispetto quelli realizzati, a parità di altri parametri, su substrato standard vetroso (Fig. 4.8). La comparsa di segnali fuori fase è indice della presenza di una risposta antibatica dei dispositivi, per altro ben visibile dal red-shift del picco di fotocorrente rispetto quello di assorbimento visto nella sezione 4.1. Tale comportamento, solitamente visibile in fotodiodi standard con spessori di materiali attivi più elevati, potrebbe essere dovuto ad un grado aggiuntivo di disordine dello strato attivo sottile a contatto con la soluzione elettrolitica. Infine, dalle figure 4.9 e 4.10 si conclude che l’aggiunta dello strato di PLL lascia circa inalterate le proprietà ottiche del dispositivo con materiale attivo P3HT:PCBM (1:1). Tale strato comporta tuttavia un aumento di fotocorrente, in accordo con quanto ricavato da studi di spettroscopia di impedenza elettrochimica riportati nella sezione 4.6. 121 4.3 Misure di pH In questa sezione sono riportate le misure di pH eseguite eseguite sulla soluzione elettrolitica di una fotocella elettrochimica con elettrodo di lavoro di ITO (su substrato vetroso) sensitivizzato da uno strato attivo di P3HT:PCBM (1:1). Come descritto nella sezione 3.2.2.5 le misure di pH della soluzione elettrolitica olitica sono state prese in contemporanea a quelle di fotocorrente in regime fotovoltaico, illuminando il dispositivo con luce bianca ianca di una lampada alogena a tungsteno t a 30 W filtrata a 530 nm con un monocromatore e opportunamente focalizzata (spot focale di circa 1x5 mm2).. La luce è stata modulata attraverso l’utilizzo di un chopper meccanica alla frequenza di 270 Hz. Tutte le misure sono state eseguite a temperatura ambiente e in atmosfera controllata attraverso l’utilizzo di un flusso costante di azoto inserito direttamente nella fase liquida della cella. In tal modo è stata garantita anche l’omogeneità all’interno della soluzione. Per ciascuna misura di pH l’elettrodo dello strumento è stato immerso in soluzione per 30 minuti, fino al raggiungimento dell’equilibrio. del Tali misure sono state effettuate sia per fotocelle elettrochimiche con soluzione elettrolitica di NaCl 0,2M, che con soluzione elettrolitica data semplicemente da acqua milli-Q. La figura seguente riassume quanto ottenuto: Figura 4.9 Pannelli superiori: valori alori dei picchi di fotocorrente in funzione del tempo ottenuti per i dispositivi ITO/P3HT:PCBM (1:1)/NaCl(aq)/Pt (sinistra) e ITO/P3HT:PCBM (1:1)/acqua milli-Q/Pt (destra) sotto un’illuminazione costante (luce bianca della lampada alogenaa a Tungsteno monocromata a 530 nm). Le barre di errore sono state calcolate come la deviazione standard dei valori dei picchi di fotocorrente ottenuti durante l’intero intervallo temporale delle misure. Pannelli inferiori: misure del pH della soluzione acquosa NaCl (sinistra) e dell’acqua milli-Q m Q (destra) prese in contemporanea a quelle di fotocorrente sopra espresse. Nel caso della fotocella con soluzione elettrolitica di acqa ultrapura, il pH rimane pressoché costante, così come la fotocorrente, quest’ultima quest’ultima di tra ordini di grandezza inferiore rispetto con soluzione elettrolitica salina. Le fotocorrenti basse indicano un rate di trasferimento piccolo tipico di sistemi elettrochimici non reversibili. reversibili. La stabilità dei valori di pH, intorno 6,2, è in accordo accord con l’ipotesi che la reazione elettrochimica foto stimolata sia un processo di water splitting: 122 2H2O 2H2 + O2 Da queste misure non è possibile dedurre se l’evoluzione di idrogeno ed ossigeno sia spazialmente disaccoppiata in modo completo su elettrodi distinti. Tale situazione si potrebbe ottenere in presenza di un rate di trasferimento elettronico molto efficiente all’interfaccia elettrolita/semiconduttore per una sola delle due semireazioni, oppure grazie ad un trasporto delle cariche fotogenerate all’interno del materiale attivo guidato dalla presenza di un campo interno, che guiderebbe all’interfaccia soltanto un tipo di carica con la conseguente esclusione di una delle due reazini. Nel nostro caso il trasporto delle cariche fotogenerate sembra essere dato un contributo diffusivo non trascurabile e dunque non si esclude a priori la presenza di entrambe le reazioni all’intefaccia elettrolita/semiconduttore. Una possibile soluzione per ottenere il disaccoppiamento spaziale delle reazioni potrebbe essere la realizzazione di un doppio strato sensitivizzante mediante deposizione successiva di solo P3HT e solo PCBM. A causa della posizione relativa dei livelli energetici HOMO e LUMO, il PCBM si comporta come un materiale elettron-accettore, quindi garantirebbe al suo interno un trasporto di cariche negative impedendo l’arrivo di cariche positive all’interfaccia con la soluzione elettrolitica. In questo modo la semireazione per la produzione di ossigeno verrebbe completamente inibita. Nonostante tali problematiche, il segno complessivo della corrente indica una produzione di idrogeno maggiore relativamente a quella di ossigeno, dunque maggiormente localizzata al contro elettrodo di Platino. Per quanto riguarda la fotocella con soluzione elettrolitica la fotocorrente risulta di tre ordini di grandezza rispetto il caso precedente, senza fenomeni degradativi del funzionamenti in termini di tali migliori prestazioni durante l’intervallo temporale delle misure (circa 28 ore). L’aumento di fotocorrente, corrispondente per altro ad un aumento della produzione di idrogeno, è in accordo con l’ipotesi seconda la quale diventa predominante un altro processo ossidativo rispetto quello producente ossigeno, grazie alla presenza di anioni Cl- direttamente disciolti in soluzione. La reazione complessiva dominante potrebbe essere dunque la seguente: 2H2O + 2Cl- H2 + Cl2 + 2OHTale ipotesi è confermata dal sostanziale aumento di basicità della soluzione elettrolitica, la quale passa da pH 6,2 a pH 6,97 nell’arco delle 28 ore. Tali risultati sono confermati anche da esperimenti di altro tipo[28] che mettono in evidenza il carattere maggior reversibile della produzione di Cl2 rispetto a quella di O2 ad elettrodi platinizzati. Anche in questo caso nulla si può dire da tali misure riguardo le caratteristiche spaziali di produzione dei prodotti di reazioni. 123 4.4 Misure di spettroscopia di assorbimento fotoindotto In questa sezione vengono presentate le misure sperimentali di assorbimento fotoindotto nel visibile e vicino infrarosso (VIS-NIR). Per le misure nel range spettrale compreso tra 600 nm e 1100 nm la rivelazione è avvenuta con un fototodiodo al Silicio, mentre per quelle nel range spettrale compreso tra 900 nm e 1700 nm si è fatto uso di un fotodiodo InGaAS. I dispositivi testati consistono in substrati vetrosi ricoperti di materiale attivo dato dal blend P3HT.PCBM (1:1) (spessore di circa 50 nm). Lo scopo dell’esperimento è stato quello di individuare eventuali differenze tra campioni con materiale attivo a contatto con la soluzione elettrolitica di NaCl 0,2M e campioni privi di tale contatto solido/liquido, in cui il film polimerico è a contatto con l’atmosfera. La pompa consiste in un fascio laser alla lunghezza d’onda di 560 nm focalizzato sul campione con uno spot focale di diametro di circa 2,5 mm, e modulato dal chopper meccanico ad una frequenza di 244 Hz. Il probe consiste nel fascio proveniente dalla lampada a Tungsteno opportunamente monocromato e focalizzato anch’esso sul campione. Per maggiori dettagli si rimanda alla sezione 2.3 del capitolo 3, nella quale è descritto il set-up sperimentale dell’esperimento in riflessione come qui adottato. La fase del lock-in è stata azzerata in corrispondenza del segnale di bleaching a 560 nm. Poiché tale segnale è massimo in corrispondenza dei picchi di intensità del fascio di pompa, la fase può essere considerata con ottima approssimazione quella del fascio di pompa. Le misure nei corrispondenti range spettrali analizzati sono state effettutate sul medesimo campione in punti diversi, a causa della necessità di riottimizzare la sovrapposizione spaziale dei due fasci dopo l’aggiunta dell’elettrolita. 4.4.1 Spettri di assorbimento fotoindotto Figura 4.15 Spettro di assorbimento fotoindotto dei campionI con materiale attivo a contatto con la soluzione elettrolitica (curva nera) e a contatto con l’atmosfera (curva rossa) nel range spettrale VIS-NIR. I valori del primo sono stati moltiplicati per un fattore 5 124 Figura 4.17 SpettrI di assorbimento fotoindotto dei campioni con materiale attivo a contatto con la soluzione elettrolitica (curva nera) e a contatto con l’atmosfera (curva rossa) nel range spettrale NIR (900-1700 nm) 4.4.2 Analisi degli spettri di assorbimento fotoindotto Tenendo conto delle diverse condizioni di ottimizzazione del segnale, non si notano differenze introdotte dal contatto del materiale attivo con la soluzione elettrolitica rispetto al caso privo di tale contatto. In entrambi gli spettri risultano evidenti le bande di assorbimento polaroniche a 690 nm (PA1) e 980 nm (PA2). Le prime si riferiscono ai polaroni localizzati mentre le seconde ai polaroni delocalizzati, entrambi del P3HT, in ottimo accordo con quanto riportato in letteratura[19], [20]. Le bande polaroniche del PCBM non sono visibili a causa delle minori cross-section di assorbimento di tali cariche fotoindotte. Il segnale positivo tra 600 nm e 650 nm è dovuto al photobleaching (PB) dello stato di ground. Concludiamo che nelle condizioni sperimentali adottate il contatto con la soluzione elettrolitica e l’eventuale dopaggio non modifica in maniera sensibile le caratteristiche ottiche di assorbimento fotoindotto. Per amplificare eventuali effetti differenziali tra i due casi, si potrebbe eseguire il medesimo esperimento sulla fotocella elettrochimica corrispondente in regimi di polarizzazione differenti. In tal modo si potrebbe, per esempio, amplificare i meccanismi di dopaggio ionico del film polimerico fotoattivo e, qualora ci fosse una sostanziale produzione di H2, si potrebbe avere la possibilità di vederne il suo picco caratteristico a 650 nm. I picchi relativi alla produzione di O2 e Cl2 non sarebbero visibili perché localizzati nella regione UV. Per avere stime dei tempi di vita dei polaroni localizzati e delocalizzati sono state effettuate misure dei picchi di assorbimento fotoindotto del segnale in fase e di quello fuori fase derivanti dalla rivelazione lock-in al variare della frequenza di modulazione del fascio di pompa, rispettivamente a 690 nm e 980 nm. A causa dei limiti meccanici del chopper, la massima frequenza disponibile è pari a 3,5 kHz. Le misure sono dunque risultate di scarso interesse in quanto adatte all’analisi di tempi di vita superiori al µs, ottenibili per tali polaroni in condizioni sperimentali molto diverse dalle nostre, quali temperature criogeniche. 125 4.5 Misure di spettroscopia di modulazione di carica (CMS) ed elettroassorbimento (EA) In questa sezione sono riportate e discusse misure di spettroscopia di modulazione di carica ed elettroassorbimento, sia per un fotodiodo standard con materiale attivo P3HT:PCBM (1:1) sia per una fotocella elettrochimica di struttura identica a quelle prima analizzate, con stesso materiale attivo del fotodiodo standard e soluzione elettrolitica di NaCl 0,2 M. Le misure sono state eseguite sia in prima armonica sia in seconda armonica, derivando notevoli differenze negli spettri ottenuti dalle due tipologie di dispositivi analizzati, chiaro indice dei diversi principi fisici di funzionamento alla base e delle diverse regioni d’accumulo di carica. La fase del lock-in è stata azzerata sul riferimento dell’eccitazione elettrica, in modo da avere il segnale di elettroassorbimento in fase con esso e facilitando così l’interpretazione dello spettro complessivo. Per avere segnali sufficientemente intensi, in particolare nelle misure in seconda armonica, si è dovuto lavorare con modulazioni elettriche di ampiezza picco-picco 200 mV, per il fotodiodo standard, e 150 mV, per la fotocella elettrochimica, attorno al punto di lavoro fissato da F0, comprendente l’eventuale campo di built-in interno (non noto nel caso della fotocella elettrochimica). Tali modulazioni, non sono sufficientemente piccole da garantire l’assenza di regimi non lineari. La frequenza di modulazone dell’eccitazione elettrica è stata opportunamente scelta a valori inferiori ai 300 Hz per avere segnali fuori fase nulli, essendo le dinamiche di CMS ed EA sufficientemente più veloci. Eventuali contributi fuori fase derivano da comportamenti non fortemente non lienari in determinati punti di lavoro. 4.5.1 Studi su fotodiodo standard Il fotodiodo in esame è stato realizzato con materiale attivo di spessore di circa 60 nm di P3HTPCBM (1:1) depositato sull’anodo di ITO (quest’ultimo su substrato vetroso). Il catodo è stato ottenuto per evaporazione in vuoto di un film sottile di alluminio. Sono state effettuate misure in prima armonica a vari punti di lavoro (F0,), applicando corrispondenti campi FBIAS (nei grafici è indicata la corrispondente tensione di lavoro, Vos: dalla conoscenza dello spessore d del materiale attivo si ricava facilmente il campo elettrico di lavoro come F0 = Vos/d). Le misure in seconda armonica non sono state effettuate. Ne viene comunque riportata per confronto una misura in regime fotovoltaico presa da nota letteratura[20]. MISURE IN PRIMA ARMONICA Le misure sono state effettutate a partire dal regime fotovoltaico e spostandosi via via verso polarizzazioni positive. Ricordiamo che Ebuilt-in X 0,5 eV, da considerare per distinguere la situazione in cui si ha l’iniezione di carica da quella in cui questo non avviene, pur avendo polarizzazioni non nulle (Vos 1 0). 126 Regime di polarizzazione inversa Figura 4.18 SpettrI di CMS ed EA per Vos= 0 V (regime fotovoltaico), Vos= 0,2 V e Vos= 0,4 V Regime di transizione Figura 4.19 Spettro di CMS ed EA per VOS=600 mV 127 Regime di polarizzazione diretta Figura 4.20 Spettro di CMS ed EA per V0s= 0,8 V, Vos= 1 V, Vos=1,5 V e Vos= 2,5V Al fine di comprendere un eventuale contributo di elettroassorbimento dovuto ad effetto Stark lineare del secondo ordine, riporto anche la derivata prima di dello spettro assorbimento del P3HT:PCBM (1:1) (riportato nella sezione 4.1). Figura 4.21 Derivata prima dello spettro di assorbimento del P3HT-PCBM (1:1). L’andamento anomalo a circa 850 nm è un artefatto di rilevazione dovuto allo switch del fotorivelatore dello spettrofotometro utilizzato 128 Figura 4.18 Dal confronto con la figura 4.21, si può individuare il tipico segnale di elettroassorbimento per effetto Stark lineare del secondo ordine fino alla lunghezza d’onda di 700 nm. Il picco a 650 nm è dunque identificato con il punto di flesso dello spettro di assorbimento relativo alla transizione verso lo stato eccitonico 1Bu del P3HT, determinante l’andamento a spalla nella curva di assorbimento del blend. I picchi tra 400 e 600 nm sono relativi alle transizioni eccitoniche 1mAg del P3HT e del CTS del PCBM, i cui spettri di assorbimento risultano sovrapposti in tale range. L’andamento oscillatorio a circa 910 nm potrebbe invece essere dovuto allo stato CTC (charge transfer complex), localizzato alle interfaccia tra i due materiali formanti il blend. Si tratta dunque di una transione “below-gap”. Dalla teoria sappiamo di trovarci nella zona di regime rettificante, dove l’iniezione di carica è limitata; tuttavia tale regime rettificante non è ideale, per cui si nota comunque un contributo spettrale di CMS, dovuto a stati polaronici generati elettricamente per iniezione differenziale di carica. Le bande a 690 nm e 980 nm sono quelle corrispondenti a polaroni localizzati e polaroni delocalizzati, come già osservato nelle misure di assorbimento fotoindotto. Il segno di tale contributo è positivo in quanto, nel regime sotto analisi, un aumento di tensione di eccitazione corrisponde ad una diminuzione differenziale della carica iniettata. La presenza di cariche comporta la corrispondente presenza di un segnale di bleaching, sovrapposto al contributo di elettroassorbimento della transizione prima descritta e in linea teorica di segno positivo nella trasmissione differenziale (un aumento del campo, causa un iniezione differenziale di carica negativa, ed un conseguente segnale di bleaching trasmissivo differenziale positivo). Figura 4.19 In tale regime di lavoro comincia ad avvenire l’iniezione di carica. Poichè la modulazione di eccitazione elettrica non è sufficientemente piccola (200 mV) ne risultano andamenti non lineari molto forti dovuti alla contemporanea presenza di diversi regimi di funzionamento (rettificante e iniettivo) del fotodiodo. Ciò potrebbe essere la spiegazione della comparsa di un contributo di segnale fuori fase non più trascurabile. Tale grafico rappresenta dunque una situazione di transizione tra due regimi distinti (con e senza iniezione di carica), verificata sia sperimentalmente dal cambiamento degli spettri ottenuti spingendosi a polarizzazioni maggiori (Fig. 4.20) sia teoricamente dalla differenza del lavoro di estrazione dell’ITO e dell’Allumino di circa 0,5 eV. Figure 4.20 Gli spettri si riferiscono ad un regime di lavoro in cui avviene iniezione di carica. Ne consegue la presenza delle bande polaroniche. Le bande all’interno del polimero si piegano in maniera opposta rispetto al regime fotovoltaico. Il segnale di elettroassorbimento risulta dunue sfasato di 180° rispetto i casi precedenti (l’aumento della componente modulante del campo corrisponde anche ad un aumento complessivo del campo interno) ed il segnale di bleaching sovrapposto risulta ora positivo. Con l’aumento ulteriore della polarizzazione di lavoro del dispositivo (Vos>1V), i segnali decrescono notevolemente. Ciò viene spiegato in letteratura tramite fenomeni di degradazione (per esempio ossidativi) degli elettrodi, in particolare dell’ITO, e del polimero. L’elettroassorbimento potrebbe essere mascherato dall’eventuale presenza di carica con funzione di tipo schermante. MISURE IN SECONDA ARMONICA Ipotizzando una risposta del movimento di carica sufficientemente veloce rispetto alla frequenza modulante, con tali misure si dovrebbe riuscire a eliminare i contributi di CMS, isolando lo spettro di elettroassorbimento. Tali risultati sono ben noti in letteratura, e a questa si rimanda[20]. Un tipico spettro EA in seconda armonica è il seguente, per i cui dettagli si rimanda alla didascalia in figura. 129 X 1034nm X 775nm X 620nm X 517nm Figura 4.22 Spettro di EA del blend RR-P3HT/PCBM, in cui lo spettro “below gap” del CTC (curva rossa) è stato moltiplicato di un fattore 10. 4.5.2 Studi su fotocella elettrochimica La fotocella elettrochimica oggetto di studio è stato realizzata con materiale attivo di spessore di circa 60 nm di P3HT-PCBM (1:1) sensitivizzante l’elettrodo di ITO (quest’ultimo su substrato vetroso). Il controelettrodo è dato da una piastra di platino, mentre la soluzione elettrolitica è la solita soluzione di NaCl 0,2M. Anche in questo caso sono state effettuate misure in prima armonica a vari punti di lavoro (F0,), applicando corrispondenti FBIAS (nei grafici sono indicati i corrispondenti potenziali con Vos). Per tale dispositivo non siamo a conoscenza del campo interno di built-in del materiale poimerico. Studi di foto potenziale su dispositivi simili a quello in esame[30] hanno portato ad ipotizzare un trasporto della carica fotogenerata verso le interfacce di tipo diffusivo, in accordo con l‘ipotesi di un campo interno in regime fotovoltaico, e dunque di built-in, pressoché nullo. Inoltre in tale contesto non abbiamo più a che fare con regimi quali quelli di un fotodiodo (rettificante e iniettivo), essendo la struttura basata su principi fisici totalmente diversi. Obiettivo delle misure è stato quello di individuare le eventuali differenze rispetto a quanto ottenuto per il fotodiodo standard realizzato con lo stesso materale fotoattivo. Sono state inoltre effettuate misure in seconda armonica, anch’esse a distinti punti di lavoro. 130 MISURE IN PRIMA ARMONICA Le misure sono state effettutate a partire da una polarizzazone negativa del dispositivo Vos= 0,5 V, e spostandosi man mano verso polarizzazioni positive, fino a 1,6 V. Figura 4.23 Spettri di CMS ed EA (parte 1) 131 Figura 4.24 Spettro di CMS ed EA (seconda parte) La differenza più evidente rispetto al caso standard è la mancanza di vaori di potenziali Vos per cui lo spettro si inverte di segno, ovvero sfasa di 180°. Tale effetto si può interpretare come l’assenza di una componente continua di campo all’interno del materiale fotoattivo, dovuta allo schermaggio di carica accumulata all’interfaccia con la soluzione elettrolitica. Gli effetti capacitivi determinano inoltre la presenza di forti segnali fuori fase, dovuti ad una dinamica di rilascio delle cariche accumulate non istantanea se confrontata con quella dell’eccitazione elettrica. Tale carica potrebbe essere data anche da fenomeni di adsorbimento e diffusione ionica di specie elettrolitiche all’interno del polimero. L’esperimento non fornisce informazioni aggiuntive a riguardo, anche se ci ha condotti ad un approfondimento di tali fenomeni tramite studi di spettroscopia di impedenza elettrochimica, tecnica ben più adatta allo studio di fenomeni capacitivi a interfacce interfasiche. I corrispondenti campi locali alle interfacce spiegano inoltre il trasferimento elettronico alle interfacce presente anche in regime fotovoltaico. I segnali sono massimi intorno all’applicazione di Vos di circa 0 V, condizione per la quale non potremmo avere accumuli interfacciali limitanti un’iniezione differenziale di carica e controbilancianti l’eventuale campo di perturbazione, essendo le dinamiche non sufficientemente veloci (abbastanza per dare comunque un segnale in controfase). Come per il fotodiodo standard, ho identificato il segnale di elettroassorbimento sovrapposto a quello di bleaching per le lunghezze d’onda comprese tra 400 e 600 nm, e il segnale delle bande polaroniche a 690 nm e 980 nm. Notiamo infine che per Vos> 0,4 V la banda polaronica a 980 nm (attribuita a polaroni delocalizzati) non è più presente. Il fatto di non dare più un contributo 132 differenziale in risposta ad una perturbazione oscillante potrebbe essere dovuto all’effetto controbilanciante del trasferimento di carica all’interfaccia solido/liquido, attivato a tensioni in maniera non più trascurabile oltre ad avere i fenomeni di adsorbimento e assorbimento ionico in grado di assorbire tale carica (la quale essendo delocalizzata è in grado di giungere alla superficie di interesse). MISURE IN SECONDA ARMONICA Le misure sono state eseguite per valori di Vos pari a -0,5 V, 0 V e 0,5 V, corrispondenti a regimi di differente accumulo di carica all’interfaccia liquido/solido. Figura 4.25 Spettro di CMS ed EA in seconda armonica per VOS=-0,5 V, Vos=0 V e Vos=0,5 V Gli spettri ottenuti riportano segnali sia in fase che in controfase con l’eccitazione elettrica. In presenza di risposte istantanee di modulazione di carica e di elettroassorbimento, si dovrebbe avere 133 soltanto il segnale in controfase, essendo il riferimento di fase preso sull’eccitazione elettrica e andando a studiare un effetto proporzionale al quadrato di questa. Poichè però sono presenti effetti capacitivi e dinamiche non sufficientemente veloci rispetto alla frequenza di modulazione, il contributo CMS in seconda armonica non risulta annullabile (come invece accade per i dispositivi standard) ed inoltre compare un segnale anche in fase. Come già accennato per le misure in prima armonica, i segnali sono massimi per Vos di circa 0 V. 134 4.6 Misure di spettroscopia di impedenza elettrochimica In questa sezione riporto le misure di spettroscopia di impedenza eseguite su celle elettrochimiche in una configurazione a due elettrodi, a breve descritte. Il range frequenziale analizzato spazia tra 20 Hz e 2 MHz ed è tale da permettere di entrare nell’analisi di fenomeni quali: • • • trasferimento di carica alle interfacce bifasiche; diffusione ionica all’interno dello strato sensitivizzante polimerico della cella in seguito ad eventuali drogaggi, oltre quello intrinseco, derivante dal contatto con la soluzione liquida; ossidazione delle superfici metalliche degli elettrodi e conseguenti/ulteriori effetti di degrado. La tensione picco-picco della modulazione di tensione utilizzata è pari a 10 mV, tale da garantire un regime di funzionamento lineare. Le misure sono state eseguite a tensioni di lavoro diverse, talvolta arrivando al degrado degli elettrodi per ossidazione, perdendo la stazionarietà del sistema. Per distinguere l’influenza delle singole interfacce sul sistema complessivo sono state eseguite misure sia su celle con elettrodi uguali in geometria e materiale sia su celle elettrochimiche più complesse, come quella studiata nelle tecniche precedentemente riportate, con strato sensitivizzante il WE di ITO dato dal blend P3HT-PCBM (1:1) e CE dato da una lastra di Pt (che influisce in maniera trascurabile sul circuito equivalente rappresentante l’intera cella, come opportunamente verificato). Le strutture saranno indicate con la seguente simbologia: elettrodo di lavoro/soluzione elettrolitica/controelettrodo. Talvolta, il WE e il CE coincideranno, e la cella avrà dunque una geometria totalmente simmetrica, con ovvie semplificazioni nella schematizzazione circuitale del circuito equivalente. Le aree degli elettrodi a contatto con la soluzione liquida sono sempre circa 1x1 cm2 o 2x1 cm2. Per le celle asimmetriche con elettrodi diversi, un elettrodo è semre di Pt e la sua area è più grande rispetto quella dell’altro elettrodo di un fattore compreso tra 1,5 e 2. Tale scelta è giustificata nello studio del sistema ITO+P3HT:PCBM (1:1)/soluzione elettrolitica/Pt in quanto permette di minimizzare gli effetti di interfaccia relativi al contro-elettrodo di platino ed esaltare, relativamente, quelli all’altra interfaccia, oggetto di studio in questo lavoro di tesi. Una cella con elettrodi metallici uguali non sensitivizzati da strati aggiuntivi di materiale organico può essere modellizzata dal circuito equivalente di Fig. 4.26, derivante dalla trattazione simultanea di entrambe le interfacce bifasiche. Per la derivazione teorica si rimanda a letteratura specializzata[23]. Figura 4.26 Circuito equivalene di una cella elettrochimica con elettrodi metallici uguali 135 Cs rappresenta la capacità geometrica della soluzione liquida elettrolitica e, nell’ipotesi di condensatore a facce piane parallele, può essere teoricamente espressa come: g PNt© J JV © 4.1 2 con A sezione della soluzione (corrispondente alla superficie degli elettrodi), JV 8,85 R 10m<F/m la costante dielettrica del vuoto, J costante dielettrica del liquido, l lunghezza della cella. Tale capacità è trascurabile nei casi in cui i valori di Cd risultino in maniera sostanziale più elevati, come vedremo in presenza delle soluzioni elettroltiche saline. Nelle analisi di Cs potrebbe essere necessario inglobare gli effetti capacitivi parassiti di sistema (derivanti dai contatti utilizzati per estrarre il segnale elettrico e dalle parti di elettrodi non immersi in soluzione e dunque in contatto con l’aria), misurabili con una misura di capacità della cella privata di soluzione liquida. Tuttavia si è visto che tali valori risultano trascurabili, mai superiori al pF. Rs rappresenta la resistenza della soluzione elettrolitica, e nelle ipotesi di sezione uniforme può essere espressa come: 2 2 6g PNt© M©Q 3∑²< p U R 7 © 4.2 con n il numero delle specie elettrolitiche, zi la carica della i-esima specie elettrolitica, µi la relativa mobilità mentre Ci* la concentrazione di bulk, la resistività. Nella pratica la misura di avviene sperimentalmente con l’utilizzo di un conduttimetro. In presenza di soluzioni elettrolitiche date dall’acqua milli-Q tale resistenza risulta molto elevata, a causa delle basse concentrazioni delle specie elettrolitiche in essa presente. Teoricamente si ha una resistenza di circa 18 MΩcm, tuttavia le contaminazioni in seguito al contatto con le altre parti di sistema (cuvetta di plastica ed elettrodi) durante la realizzazione del dispositivo, comportano la presenza di ulteriori specie elettrolitiche, che abbassano tale valore di circa un ordine di grandezza. In presenza di soluzioni saline, la grande concentrazione di specie elettrolitiche, derivanti dalla dissociazione ionica del sale, comporta valori di Rs al di sotto del kΩ. Rct rappresenta la resistenza di trasferimento di carica, mentre Cd la capacità di doppio strato, riferite ad entrambe le interfacce bifasiche. In presenza di acqua milli-Q come soluzione elettrolitica, Rct e Cd risultano probabilmente mascherati dai più elevati valori di Rs e Cs che si ottengono in tale caso. L’analisi quantitativa per tali elementi è dunque permessa solo in presenza di soluzioni elettrolitiche saline, per le quali si ottengo valori di Rs notevolemente ridotti (come sopra descritto), e valori di Cd notevolemente maggiori rispetto al caso privo di sale: infatti, la grande disponibilità di specie elettrolitiche permette un notevole accumulo alle interfacce con conseguente diminuzione dello spessore di doppio strato di carica (e dunque aumento di Cd). In questo caso in Rs si dovrebbero inglobare le resistenze elettroniche degli elettrodi metallici, che risultano però trascurabili (e.g. 20 Ω per gli elettrodi di ITO). Zw è l’impedenza di Warburg generalizzata per le specie elettrolitiche coinvolte nelle reazioni redox alle interfacce bifasiche della cella. Il fattore 2 correttivo deriva dal considerare nel circuito equivalente entrambe le interfacce bifasiche dei due elettrodi nella cella completa, e la validità del modello è basata sull’estensività di tale impedenza a basse frequenze[23], oltre che sulle ipotesi perturbative alla base della trattazione di tale elemento circuitale, come descritto nella sezione 3.2.6.6. La frequenza caratteristica ωd di tale impedenza per le specie elettrolitiche di interesse in soluzione acquosa risulta molto elevata in quanto le lunghezze di diffusione risultano relativamente più elevate dello spessore dello strato liquido e di conseguenza il regime lineare nel corrispondente diagramma di Nyquist di tale elemento non viene mai raggiunto: ciò permette di considerare gli effetti derivanti da tale termine, tenenti conto delle opportune condizioni al bordo presenti alle interfacce con gli elettrodi metallici, all’interno di Cs e Rs, con conseguente notevole 136 semplificazione del circuito di modello. In presenza di soluzione liquida salina, trascurando Cs, si ottiene il circuito di figura 4.27 a) per il quale valgono le seguenti relazioni: 6*3'73ú7 Û Ô o3Õ# 7oü M c Q 3Õ# 7 Ô Yk3'73ú7 4.3 Û <oü M c Q 3Õ# 7 Û üM c Q3Õ# 7 Û <oü M c Q 3Õ# 7 4.4 36*3'7 6g 6G/ 7 3Yk3'77 6G/ 4.5 Nel caso di soluzione elettrolitica di acqua milli-Q, trascurando il contributo capacitivo di Cd e di Rct rispettivamente a quelli di Cs e Rs, come precedentemente descritto, si ottiene il semplice circuito RC (a rigore dovrebbe essere in serie con la resistenza degli elettrodi metallici, la quale è tuttavia trascurabile) dato dalla figura 4.27 b): a) b) Figura 4.27. Circuito equivalente di una cella elettrochimica con con elettrodi metallici uguali, in presenza di soluzione salina a) e soluzione di acqua milli-Q b), nel range di frequenze analizzato In presenza di strati sensitivizzanti gli elettrodi bisogna considerarne nel circuito equivalente gli elementi tipici, quali quelli di Warburg dovuti al trasporto ionico al loro interno. Tuttavia, per frequenze superiori a 1 kHz, come a breve riportato, il sistema continua ad essere ben descritto dallo schema circuitale di figura 4.28, con la conseguente possibilità di ricavare informazioni importanti su Rct e Cd (in presenza di soluzioni elettritiche saline), fondamentali per delineare un quadro generale ed identificare le caratteristiche di reversibilità delle reazioni redox e di generazione di fotopotenziali alle interfacce bifasiche. Una modellizzazione più accurata si rende necessaria nel caso in cui il doppio strato presenti una distribuzione di campo non uniforme. Questo avviene ad esempio nel caso di elettrodi rugosi o porosi. Tali effetti saranno più visibili nelle misure con elettrodi sensitivizzati da strati polimerici depositati per spin coating o per elettrodi metallici realizzati con tecniche di deposizione veloci quali quelle di sputtering. Potrebbe inoltre essere anche conseguenza di eventuali principi di ossidazione degli elettrodi metallici (in particolar modo per gli elettrodi di ITO, ed eventuali fenomeni di degradazione degli elettrodi (quali il distacco del rivestimento metallico dal substrato a causa della scarsa aderenza ottenuta con la tecnica di deposizione adottata). Questi effetti si traducono nel cosidetto fenomeno di rotazione del semicerchio dell’impedenza[23], modellizzabile introducendo un elemento aggiuntivo nel circuito elettrico R’ (Fig. 4.28, riferita ad una singola interfaccia della cella) con: 137 6′ f 4.5 ü Figura 4.28 Circuito equivalente di un interfaccia bifasica di una cella elettrochimica descrivente il fenoeno di rotazione del semicerchio dell’impedenza Dal calcolo si ricavano le seguenti relazioni: 6*3'73ú7 3ü fÕ# 3üÕ# of7 4.6 Yk3'73ú7 3ü üf Õ# c 4.7 Õ# of7 o3üfÕ# c 7 Õ# of7 o3üfÕ# c 7 M6*3'7 Õ# Q MYk3'7 f Q 5 Õ# c Õ# 1 M < fc Q 6 Il diagramma di Nyquist risulta dunque essere una circonferenza centrata in M raggio Õ# fc =3¤Z 7 1. 4.8 Õ# Õ# , f Q e di c Per i dettagli di analisi di tale circuito si rimanda alla letteratura specializzata[24]. Una trattazione alternativa per spiegare l’eventuale depressione del semicerchio sull’asse reale (effetto equivalente alla rotazione appena descritta), prevede direttamente la sostituzione di Cd con un CPE, in modo tale da descrivere la perdità di idealità dell’elemento capacitivo, come trattato nella sezione 3.2.6.4. In presenza di elevate tensioni di lavoro può risultare visibile la degradazione degli elettrodi per fenomeni quali: • • distacco dello strato metallico in presenza dell’attrito dovuto alla produzione di specie gassose, visibili maggiormente per gli elettrodi di platino a causa dela scarsa aderenza ottenuta mediante la deposizione per sputtering dello strato metallico con il substrato vetroso; ossidazione dello strato metallico ed eventuale danneggiamenti ottici dello strato organico sensitivizzante l’elettrodo. Tali fenomeni, insieme a quelli diffusivi, sono le cause di non linearità del circuito, che potrebbero essere verificate tramite un’analisi di Kramers-Kronig come accennato nella sezione 3.2.6.2. Essi comportano un aumento temporale di Rct oltre che una conseguente revisione della modellizzazione di R’. Grazie a quanto dedotto dalle misure eseguite sulle celle con elettrodi uguali, i circuiti equivalenti per sistemi non simmetrici possono essere descritti trascurando la parte di cella relativa 138 all’elettrodo di Pt grazie alle sue maggiori dimensioni superficiali e alla maggior reversibilità delle reazioni redox su di esso, riducendo la complessità di analisi finale. I sistemi studiati sono i seguenti : -ITO/Acqua milli-Q/ITO -Pt/Acqua milli-Q/Pt -ITO/Acqua milli-Q/Pt -ITO+P3HT:PCBM (1:1)/Acqua milli-Q/ITO+P3HT:PCBM (1:1) -ITO+P3HT:PCBM (1:1)/Acqua milli-Q/Pt -ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/Acqua milli-Q/Pt -Pt/0,2 M NaCl/Pt -ITO/0,2 M NaCl/ITO -ITO/0,2 M NaCl/Pt -ITO+P3HT:PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/ ITO+P3HT:PCBM (1:1) -ITO+P3HT:PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/Pt -ITO+P3HT:PCBM+PLL (1:1)/0,2 M NaCl/Pt 139 4.6.1 ITO/Acqua milli-Q/ITO Le misure effettuate hanno portato a descrivere il sistema mediante il modello di figura 4.27 b) in quanto i valori ottenuti dai fitting per Rs e Cs sono in ottimo accordo con il corrispondente calcolo teorico approssimativo (eq. 4.1 e 4.2) con X 420 R 10F kΩcm la resistività elettrica della soluzione (ovvero dell’acqua milli-Q in seguito al contatto con le parti del sistema) misurata sperimentalmente con l’uso di un conducimetro, ed J X 81 la costante dielettrica dell’acqua milliQ, x l’area degli elettrodi ed la loro distanza. Come precedentemente accenato, da queste misure non si ricavano dunque informazioni utili riguardo Rct e Cd, essendo la prima probabilmente mascherata dall’elevata Rs e la seconda molto piccola a causa delle basse concentrazioni elettrolitiche e conseguenti spessori di doppio strato teoricamente molto elevati. Non si evidenziano effetti di rotazione del semicerchio dovuti a distribuzioni di campo non uniformi per effetti di disomogeneità degli strati di ITO (in maniera analoga a quanto precedentemente descritto per il doppio strato di carica), essendo questi realizzati industrialmente con accurate tecniche di deposizione: per tale motivo non occorre sostituire la capacità Cs con un opportuno CPE (o introducendo un parallelo R’). Tale proprietà si mantiene anche a tensioni di polarizzazione di 2V: ciò porta a concludere che non siano ancora avvenuti importanti fenomeni degradativi di tipo ossidativo agli elettrodi. Tali effetti potrebbero dare contributo a basse frequenze (<100 Hz), con andamento lineare della curva nei diagrammi di Nyquist. Un’analisi quantitativa richiederebbe di spingere l’analisi al di sotto dei 20 Hz, limite inferiore dello strumento di misura utilizzato. Per tale motivo l’analisi quantitativa dei fitting è stata ottenuta considerando solamente i dati d’impedenza sperimentali per frequenze superiori ad 1 kHz, per le quali il modello circuitale considerato si adatta perfettamente. All’aumentare della tensione di lavoro Rs decresce leggermente mentre Cs aumenta. Tali andamenti possono essere dovuti alla scelta del modello di fitting, il quale non considera un’eventuale sostituzione di Cs con un opportuno CPE, oppure a semplici variazioni di temperartura dovute alle diverse condizioni operative del sistema, con conseguenti variazioni delle proprietà elettriche della soluzione. La tabella riporta i valori dei parametri elettrici ottenuti dai fitting. Tensione di lavoro (V) 0 1 2 Rs (kΩ) 216,82 213,46 208,59 Cs (F) 1.5193*10-11 1.8996*10-11 1.9057*10-11 Dal calcolo teorico, considerando le dimensioni superficiali degli elettrodi circa 1x2 cm2, si ricava la seguente stima approssimativa, in ottimo accordo con quanto mostrato in tabella: 6g PNt© 420 R 10F KΩk R g PNt© 8,85 R 10m< {km< R 81 R 1k 210 KΩ 2k R 1k 2k R 1k 1,44 R 10m<< { 1k Le figure che seguono riportano le misure sperimentali ottenute, accompagnate dai relativi fitting di modello effettuati sui dati di impedenza per frequenze superiori ad 1 kHz. 140 Diagrammi di Nyquist 0V 1V 47,427 kHz 37,673 kHz 2V 39,905 kHz Figura 4.29 Diagrammi di Nyquist della cella ITO/Acqua milli-Q/ITO alle tensione di lavoro 0 V, 1 V e 2 V. I dati sperimentali sui quali è stato eseguito il fitting teorico (curva rossa) sono rappresentati con quadrati blu (f>1 kHz), mentre i restanti con quadrati neri (20 Hz<f<1 kHz) 141 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V 2V Figura 4.30 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella ITO/Acqua milli-Q/ITO alle tensione di lavoro 0 V, 1 V e 2 V 142 4.6.2 Pt/Acqua milli-Q/Pt Valgono le stesse considerazioni fatte riguardanti la cella elettrochimica precedente. A tensioni non nulle gli effetti di rotazione del semicerchio dell’impedenza sono maggiormente visibili a causa della degradazione degli elettrodi dovuta al distaccamento meccanico degli strati di Pt dai substrati vetrosi in seguito la produzione di ossigeno o altre sostanze gassose (derivanti dalle reazioni redox delle eventuali impurezze presenti in soluzione in seguito al contatto dell’acqua milli-Q con le altre parti del sistema), oltre che ad una maggior rugosità degli elettrodi stessi realizzati per sputtering. La tabella riporta i valori dei parametri elettrici ottenuti dai fitting dei dati sperimentali per frequenze superiori ad 1 kHz, come fatto per la cella precedente. Tensione di lavoro (V) 0 1 2 Rs (kΩ) 88,545 63,350 42,685 Cs (F) 2.4614*10-11 2.8201*10-11 3.2975*10-11 I valori di Rs e Cs risultano aumentati, in ottimo accordo con le 4.1 e 4.2, essendo ora le aree degli elettrodi di Pt a contatto con la soluzione liquida maggiori di un fattore compreso tra 1,5 e 2. Al cambiare della tensione si nota un cambiamento dei valori maggiori. Come osservato per la cella precedente, la stima a tensioni di lavoro non nulle potrebbe risultare anche fuorviante in quanto ottenuta trascurando fenomeni di rotazione del semicerchio, ora maggiormente visibili. Inoltre, cambiamenti delle condizioni operative, quali la temperatura della soluzione elettrolitica, potrebbero determinare cambiamenti nelle proprietà elettriche della soluzione stessa, con conseguente variazione dei valori dei parametri elettrici misurati. Infine, un rilascio non trascurabile di ioni metallici in soluzione potrebbe dar origine ad un conseguente aumento della conducibilità della soluzione e alla formazione di contributi capacitivi di doppio strato. Tali conclusioni sono dunque di carattere qualitativo e hanno lo scopo di evidenziare l’importanza di controllare il sistema nel modo più opportuno in base al fenomeno che si vuole studiare quantitativamente. Le figure che seguono riportano le misure ottenute alle diverse tensioni di lavoro della cella, con i relativi fitting di modello derivanti dal circuito di figura 4.27 b). 143 Diagrammi di Nyquist 0V 1V 89,336 kHz 70,962 kHz 2V 112,468 kHz Figura 4.31 Diagramma di Nyquist della cella Pt/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V e 2 V 144 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V 2V Figura 4.32 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella Pt/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V e 2 V 145 4.6.3 ITO/Acqua milli-Q/Pt Il circuito elettrico scelto per questa cella continua ad essere quello di figura 4.27 b). Tuttavia il sistema è ora asimmetrico in termini di materiale e geometria degli elettrodi. Le formule teoriche 4.1 e 4.2, valide per condensatori a facce piane parallele si applicano quindi con un grado di approssimazione aggiuntivo. I fitting di modello sono ottenuti per i dati di impedenza superiori ad 1 kHz, trascurando ancora una volta eventuali correzioni dovute a effetti di rotazione del semicerchio causate dal degrado degli elettrodi per fenomeni chimici (ossidativi) e meccanici (distacco metallico), particolarmente visibile a tensioni di lavoro non nulle. Le tensioni si riferiscono (in segno) all’elettrodo di ITO. La tabella che segue riporta i valori dei parametri elettrici del modello ottenuti dal fitting. Tensione di lavoro (V) 0 1 -1 Rs (kΩ) 110,49 30, 246 38, 973 Cs (F) 2.1147*10-11 2.1881*10-11 2.1875*10-11 A tensione di lavoro nulla si ottengono valori intermedi tra i due casi precedenti, come se si potesse considerare una geometria equivalente di condensatore a facce piane parallele con aree intermedie tra quelle di ITO e Pt. I diversi valori di Rs e Cs in funzione della tensione di lavoro possono ancora essere spiegati con la perdità di qualità del fittaggio in presenza di effetti di rotazione del semicerchio (visibili in particolar modo con elettrodi di Pt), con un’eventuale cambiamento di condizioni operative del sistema quali variazioni di temperatura e conseguente influenza sulle proprietà elettriche della soluzione e, infine, con un’eventuale rilascio di specie elettrolitiche metalliche da parte dell’elettrodo di Pt in seguito a fenomeni degradativi di distacco meccanico. Le figure che seguono riportano i risultati sperimentali con i relativi fitting di modello, effettuat ancora una volta per i dati di impedenza a frequenze superiori ad 1 kHz. 146 Diagrammi di Nyquist 1V 0V 178,250 66,993 kHz kHz -1V 237,7 kHz Figura 4.33 Diagramma di Nyquist della cella ITO/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V e -1 V 147 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V -1V Figura 4.34 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella ITO/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V e -1 V 148 4.6.4 ITO+P3HT-PCBM(1:1)/Acqua milli-Q/ITO+P3HT-PCBM (1:1) In questo caso il film sottile (circa 150 nm) di blend P3HT-PCBM (1:1) determina differenze notevoli rispetto ai casi precedentemente analizzati. A basse frequenze, inferiori ad 1 kHz, è visibile l’impedenza di Warburg riferita al trasporto ionico nello strato polimerico. Tale impedenza può essere in prima approssimazione modellizzata tenendo conto sia di meccanismi diffusivi anomali di prima specie (in seguito a reazioni chimiche con lo strato organico) che di seconda specie (a causa del disordine generale dello strato organico), imponendo condizioni ibride riflessivo-trasmissive (in base alle condizioni di lavoro della cella, quali la polarizzazione) con le superfici sia dell’ITO che della soluzione elettrolitica. Si potrebbero, inoltre, inglobare gli effetti dovuti ad un trasporto di tipo migratoro unito a quello diffusivo (per il quale la trattazione di tale elemento è solitamente condotto). Trattazioni tenenti conto di un trasporto migratorio sono riportate in letteratura specializzata[23]. Il range di frequenze in cui tale impedenza risulta visibile permette di trascurare completamente gli effetti introdotti dalla costante di rilassamento introdotta nella formulazione generale di Cattaneo. A frequenze inferiori a 150 Hz la misura si presenta rumorosa e ciò potrebbe essere legato ad effetti di disordine superficiale per fenomeni degradativi degli elettrodi e variazioni delle condizioni operative del sistema, entrambi di lenta dinamica temporale, come visto per le celle precedenti. In tale regime non è stata effettuata alcuna analisi quantitativa in quanto occorrerebbe uno studio a frequenze più basse rispetto il nostro limite inferiore (20 Hz), oltre ad opportuni controlli sperimentali del sistema in base al fenomeno che si vuole studiare. I contributi resistivi dello strato senstivizzante (stimati dell’ordine del kΩ, da misure di corrente su fotodiodi standard polarizzati in diretta) risultano ancora trascurabili rispetto ad Rs, analogamente a quelli degli stati metallici di ITO. L’analisi teorica del sistema insieme a quella sperimentale del sistema ha condotto al seguente circuito elettrico equivalente della cella: Figura 4.35 Circuito equivalente della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua milli-Q/ITO+P3HT-PCBM(1:1) Zw pol è l’impedenza di Warburg generalizzata per le specie elettrolitiche diffondenti nello strato polimerico. Il fattore 2 correttivo deriva dal considerare nel circuito equivalente entrambi gli elettrodi, e la validità del modello è basata sull’estensività di tale impedenza a basse frequenze[23], oltre che sulle ipotesi perturbative alla base della trattazione di tale elemento circuitale, come descritto nella sezione 3.2.6.6. Poichè le condizioni operative degli elettrodi sono diverse in termini di polarizzazione, gli elementi di Warburg relativi a ciascuno elettrodo non sono in realtà identici a causa delle diverse condizioni al contorno alle interfacce con l’ITO e la soluzione elettrolitica. Per esempio si è visto (dalle misure di impedenza per la cella descritta in 4.6.5, con un solo elettrodo sensitivizzato) che polarizzazioni negative comportano condizioni riflessive con conseguenti contributi capacitivi per basse frequenze, mentre polarizzazioni positive comportano condizioni trasmissive con soli contributi resistivi a bassa frequenza. Tali effetti potrebbero essere dovuti al posizionamento dei livelli di fermi delle specie elettrolitiche nello strato sensitivizzante rispetto quelli elettronici dell’ITO. Il circuito di figura 4.35 considera dunque un elemento di Warburg 149 equivalente per descrivere complessivamente la diffusione ionica in entrambi gli strati sensitivizzanti. I fitting sono stati realizzati sia per un regime ad alta frequenza (f>7,5 kHz) sia per un regime a frequenza inferiore (150 Hz<f<100 Hz) tipico della dinamica diffusiva ionica nel film polimerico. In quest’ultimo caso sono stati estrapolati i valori del coefficente angolare e dell’intercetta riferiti alla curva nel diagramma di Nyquist. Al di sotto di tale frequenza si nota un progressivo cambio di pendenza dovuto al carattere capacitivo dell’impedenza di Warburg caratterizzante l’elettrodo polarizzato negativamente. Una semplice stima dell’ordine di grandezza del coefficiente di diffusione delle specie ioniche si può fare a partire dall’individuazione della pulsazione caratteristica ωd per la quale si ha il cambio di pendenza della retta nel diagramma di Nyquist dell’impedenza. Ricordando l’equazione 3.113: ωZ 3 7<⁄½ T e considerando in prima analisi γ = 1 (è possibile l’analisi più raffinata estrapolando tale parametro dal fitting con i dati sperimentali), L = 150 nm (spessore film sensitivizzante), ωd X 100 rads-1 (per la misura in assenza di polarizzazione), si trova D = 2,25*10-12 m2s-1. Esperimenti di altro tipo confermano tale ordine di grandezza per movimenti ionici di ioni quali ClO4- in strutture OFET realizzate con materiale organico P3HT[34]. Tale stima tuttavia non dà alcuna informazione riguardo la specie ionica diffondente, in particolare se ne è presente più di una, come accade in presenza di soluzioni elettrolitiche saline. Al fine di evitare eventuali danneggiamenti dello strato polimerico per breakdown elettrico ho limitato l’analisi a 0 V e 1 V. Lo spessore di tale strato (X 150 nm) dovrebbe comunque risultare sufficiente a spingere l’analisi anche a tensioni superiori, ma in tal caso fenomeni di degradazione di tipo ossidativo all’ITO comportano talvolta il distacco del film sensitivizzante per laminazione, come trattato in letteratura per applicazioni più specifiche, per esempio di rivestimento protettivo[29]. I valori di Rs e Cs sono, analogamente alle celle precedentemente analizzate, dipendenti dalla tensione di lavoro. Nel caso in esame potrebbe avvenire un rilascio ionico nella soluzione elettrolitica da parte dello strato sensitivizzante organico. Tale fenomeno ptrebbe verificarsi anche a polarizzazioni della cella nulle, con conseguente diminuzione di Rs rispetto alla cella vista in 4.6.1. Analisi quantitative richiederebbero un controllo molto elevato nella fase di realizzazione e mantenimento dell’acqua milli-Q, così da poter legare in modo opportuno le variazioni dei parametri elettrici in seguito al contatto con materiali organici. La tabella che segue riporta i valori dei parametri elettrici del modello ottenuti dal fitting. Tensione lavoro (V) 0 1 di Rs (kΩ) 125,74 112,40 Cs (F) 1.9202*10-11 1.8948*10-11 Coefficiente angolare -0,63181 -0,59502 Intercetta (kΩ) 144,51 126,68 A causa della dipendenza temporale della diffusione ionica e dei fenomeni degradativi, le misure a bassa frequenza sono risultate dipendere anche dal tempo oltre che dalla tensione di lavoro applicata, con conseguente non linearità e non stazionarietà del circuito, come dimostrabile con un’opportuna analisi di Kramers-Kronig o tramite misure eseguite in istanti di tempo diverso sotto medesime condizioni di lavoro. Le figure che seguono riportano le misure sperimentali accompagnate dagli opportuni fitting di modello per le varie tensioni di lavoro. 150 Diagrammi di Nyquist 0V 1V 75,167 kHz 63,245 kHz Figura 4.36 Diagramma di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM/Acqua milli-Q/ ITO+P3HT-PCBM alla tensione di lavoro 0 V e 1 V 151 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V Figura 4.37 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella ITO+P3HT-PCBM/Acqua milli-Q/ITO+P3HT-PCBM alle tensioni di lavoro 0 V e 1 V 152 4.6.5 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua milli-Q/Pt Valgono le stesse considerazioni fatte nel sistema studiato in 4.6.3 riguardo le caratteristiche di asimmetricità e le conseguenze da questa derivanti. Come per la cella studiata in 4.6.4, la presenza dello strato sensitivizzante l’elettrodo di ITO porta a considerare nel circuito elettrico equivalente l’elemento di Warburg descrivente la diffusione ionica la suo interno. Avendo solamente un elettrodo sensitivizzato, tale elemento non è più raddoppiato come per la cella precedente, e tiene direttamente conto delle condizioni operative di polarizzazioni a cui è sottoposto in termini di contributi capacitivi o resistivi a basse frequenze (ω < ωd), a seconda delle condizioni al contorno. Il circuito elettrico scelto per rappresentare la cella è dunque il seguente: Figura 4.38 Circuito equivalente della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua milli-Q/Pt I fitting sono stati eseguiti in maniera analoga a quanto fatto per la cella precedente, senza considerare effetti correttivi delle non idealità, di fenomeni degradativi e di variazione delle condizioni operative di lavoro. La tabella che segue riporta i valori ottenuti alle varie tensioni di lavoro della cella. Tensione lavoro (V) 0 1 -1 di Rs (kΩ) 98,262 92,732 97,244 Cs (F) 2.3073*10-11 2.2597*10-11 2.2684*10-11 Coefficiente angolare -0,79123 -0,53513 -1.7695 Intercetta (kΩ) 1.4592*105 9.0657*104 3.3992*105 A tensione di polarizzazione negativa dell’elettrodo sensitivizzato sono evidenti i contributi capacitivi dell’elemento di Warburg descrivente la diffusione ionica nel polimero. Il coefficiente angolare della curva nel diagramma di Nyquist è in modulo maggiore, indice di un differente tipo di diffusione. La pulsazione caratteristica non si individua a causa dell’assenza di un cambio di pendenza. Tuttavia, per pulsazioni inferiori sembra dominare un contributo impedenziale capacitivo, a differenza del caso in cui la polarizzazione è nulla o positiva. Anche in questo caso, a causa della dipendenza temporale della diffusione ionica e dei fenomeni degradativi, le misure a bassa frequenza sono risultate dipendere anche dal tempo oltre che dalla tensione di lavoro applicata. 153 Diagrammi di Nyquist 0V 1V 70,962 kHz 75,167 kHz -1V 75,167 kHz Figura 4.39 Diagrammi di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V e -1 V 154 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V -1V Figura 4.40 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella ITO+P3HT-PCBM/Acqua milli-Q/Pt allE tensionI di lavoro 0 V, 1 V e -1 V 155 4.6.6 ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/Acqua milli-Q/Pt Rispetto alla cella precedente, tale sistema prevede l’aggiunta di uno strato di polilisina (PLL) sul film polimerico di P3HT:PCBM. Tale strato comporta la formazione di un doppio strato di carica che permette l’aderenza ottimale di cellule neurali, qualora tale dispositivo venga utilizzato per applicazioni biologiche di fotostimolazione neurale. Poichè le misure effettuate non hanno mostrato significative differenze rispetto alla cella descritta in 4.6.5, il modello circuitale 4.38 è in prima analisi ben rappresentativo anche per tale sistema. L’influenza della PLL può essere tradotta in una leggera diminuzione dei valori di Rs, spiegabile o con una qualità dei fittaggi inferiore, in quanto non consideranti eventuali correzioni circuitali per descrivere effetti degradativi (dovuti all’esposizione del film attivo alla soluzione liquida di poli-lisina 0.1 mg/ml (in acqua milli-Q) durante la fase di realizzazione dello strato di PLL, per i cui dettagli si rimanda alla letteratura[35]), o con un eventuale rilascio ionico aggiuntosi. La tabella seguente riporta i valori dei parametri circuitali ottenuti dai fitting, eseguiti soltanto per i dati a frequenze superiori a 7,5 kHz, essendo quelli a basse frequenze discutibili solamente a livello qualitativo. Le tensioni di lavoro sono state aumentate in modulo fino a 3 V. La tabella che segue mostra quanto ottenuto dai relativi fitting numerici. Tensione di lavoro (V) 0 1 2 3 -1 -2 -3 Rs (kΩ) 115,15 60,099 26,392 16,131 46,516 33,958 18,656 Cs (F) 2.9734*10-11 2.8555*10-11 3.4176*10-11 3.5229*10-11 2.7943*10-11 2.7580*10-11 2.9775*10-11 Le figure che seguono riportano le misure ottenute alle varie tensioni di lavoro della cella. 156 Diagrammi di Nyquist 0V 1V 84,339 kHz 42,269 kHz 70,962 kHz 2V 168,279 3V 299,247 kHz -1V 119,132 kHz -2V kHz 168,279 kHz -3V 282,508 kHz Figura 5.41 Diagrammi di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM+PLL/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V, 2 V, 3 V, -1 V, -2 V e -3 V. 157 Diagrammi semilogaritmici 0V 1V 2V 158 3V -1V -2V 159 -3V 4.42 Diagrammi di semilogaritmici della cella ITO+P3HT-PCBM+PLL/Acqua milli-Q/Pt alle tensioni di lavoro 0 V, 1 V, 2 V, 3 V, -1 V, -2 V e -3 V. 160 4.6.7 Pt/0,2 M NaCl/Pt In presenza della soluzione elettrolitica di NaCl le reazioni di ossido-riduzione all’interfaccia bifasica comportano la produzione di Cl2. Tale reazione risulta infatti maggiormentente reversibile rispetto a quella che porta ad una produzione di O2, come mostrato nella sezione 4.3. Inoltre, la presenza di un’elevata concentrazione di specie elettrolitiche nella soluzione liquida, comporta valori di Rs inferiori al kΩ, con conseguente possibilità di analizzare fenomeni fisici quali lo scambio elettronico alle interfacce bifasiche e i doppi strati di carica (attraverso l’estrapolazione dei valori di elementi circuitali ad essi riferiti, ovvero Rct e Cd). Per i dettagli si rimanda all’introduzione della sezione 4.6. Sulla base di queste considerazioni e dei dati sperimentali ottenuti è stato scelto il circuito di figura 4.27 a) per rappresentare il sistema ora studiato. L’impedenza complessa presenta un polo alla G/Z frequenza û . Per tale sistema, alle tensioni di lavoro considerate, questa frequenza è inferiore a quelle analizzate: per tale motivo la tipica semicirconferenza del diagramma di Nyquist corrispondente risulta visibile soltanto nella sua parte terminale, nella quale l’impedenza tende a diventare reale e a corrispondere alla resistenza Rs in serie alla parte RC del circuito. Il fitting non è dunque reso possibile, e alle frequenze analizzate sono solamente visibili effetti di non idealità riferiti all’elemento capacitivo, modellizzabili con l’introduzione in parallelo all’RC di un elemento R’, come discusso a proposito del modello in figura 4.28 riferito ad una singola interfaccia bifasica, oppure la sostituzione della capacità con un corrispondente CPE. A livello visivo ciò si traduce in contributi lineari nei diagrammi di nyquist corrispondenti, con conseguente fenomeno di rotazione della semicirconferenza qualora questa risultasse visibile. All’aumentare della tensione ci si aspetta una diminuzione di Rct in seguito ad una maggior attivazione delle possibili reazioni redox alle interfacce bifasiche. Ciò comporta sia un aumento della frequenza caratteristica del circuito RC (nonostante un possibile aumento di Cd dovuto alla contrazione del doppio strato d carica), che una riduzione del raggio della semicirconferenza nel corrispondente diagramma di Nyquist: le curve corrispondenti a polarizzazioni maggiori risultano quindi maggiormente schiacciate verso l’asse reale, e la semicirconferenza nel diagramma di Nyquist tipica dell’RC comincia ad essere visibile. Nelle misure qui effetutate tale situazione si verifica a 2 V. I valori di Rs possono essere ottenuti in prima approssimazione considerando i valori impedenziali alle frequenze più alte analizzate, in accordo con le formule 4.3-4.5 nel limite ω→∞. Eventuali correzioni di non idealità dell’elemento capacitivo sono trascurabili nel regime di analisi ad alta frequenza. Dalle misure si è dunque ottenuta una Rs di circa 370 Ω, in ottimo accordo con la stima teorica 4.2, con 303 Ωcm misurata sperimentalmente con l’uso di un conduttimetro, così come fatto per l’acqua milli-Q delle celle precedenti. Considerando le dimensioni superficiali degli elettrodi di 1x1 cm2, si ottine infatti il seguente valore: 6g PNt© 303Ωk R 1k 303Ω 1k R 1k La lieve differenza ottenuta può essere dovuta al calcolo approssimativo (la sezione della soluzione è infatti maggiore, essendo una parte non in contatto con gli elettrodi), oltre che ad un cambiamento delle condizioni operative di misura delle soluzioni, quali la temperatura della stessa, essendo stata misurata in tempi diversi rispetto alle misure di impedenza. Tale dipendenza dalla temperatura, insieme ad un eventuale rilascio ionico metallico in soluzione da parte degli elettrodi di Pt in seguito a fenomeni degradativi, potrebbe spiegare l’andamento leggermente decrescente di Rs all’aumentare della tensione di lavoro. La figura che segue riporta i diagrammi di Nyquist ottenuti alle varie tensioni di lavoro. 161 Figura 4.43 Diagrammi di Nyquist della cella Pt/0,2 M NaCl/Pt alla diverse tensioni di lavoro 162 4.6.8 ITO/0,2 M NaCl/ITO Per quanto riguarda il modello circuitale valgono le stesse considerazioni precedenti. In tal caso gli effetti di non idealità riferiti all’elemento capacitivo dell’RC risultano meno evidenti, essendo gli elettrodi di ITO dotati di un ottima omogeneità superficiale, come già discusso a proposito delle celle precedenti. La maggior tensione di lavoro analizzata è stata di 3 V: la corrispondente riduzione di Rct ha consentito l’analisi quantitativa circuitale, essendo la frequenza caratteristica dell’RC ottenuta entro il range di analisi frequenziale adottato. Per tale polarizzazione il degrado ossidativo degli elettrodi comporta effetti di rotazione del semicerchio con conseguente perdità di qualità del fitting (ottenuto trascurando gli effetti di non idealità riferiti all’elemento capacitivo). I valori dei parametri elettrici estrapolati, intesi dunque come stime approssimative, sono i seguenti: Rct X 1 kΩ Cd X 7,5*10-7 F Per le restanti tensioni di lavoro l’unico valore estrapolabile è quello riferito ad Rs, per il quale si è ottenuto circa 80 Ω, in buon accordo con un’analoga stima teorica alla cella precedente, considerando le corrette dimensioni superficiali degli elettrodi (in questo caso raddoppiate). La figura che segue riporta i diagrammi di Nyquist alle diverse tensioni di lavoro, analogamente a quanto fatto per la cella precedentemente analizzata. X 40 Hz Figura 4.44 Diagrammi di Nyquist della cella ITO/0,2 M NaCl/ITO alla diverse tensioni di lavoro Riporto infine le misure sperimentali a 3 V affiancate dai relativi fitting di modello. 163 X 40 Hz Figura 4.45 Diagrammi di Nyquist della cella ITO/0,2 M NaCl/ITO alla tensioni di lavoro 3V con il relativo fitting di modello Figura 4.46 Diagrammi semilogaritmici di Re(Z) e Im(Z) della cella ITO/0,2 M NaCl/ITO alla tensione di lavoro 3V con i relativi fittng di modello 164 4.6.9 ITO/0,2 M NaCl/Pt Questo sistema è asimmetrico e per tale motivo il circuito che lo rappresenta dovrebbe tenere conto separatemente delle interfacce bifasiche. Non avendo potuto stimare dalle celle precedenti le corrispondenti Rct e Cd riferite ai singoli elettrodi, la maggior area superficiale dell’elettrodo di Pt non garantisce a priori la possibilità di poterne trascurare i contributi resisitivi e capacitivi alla sua superficie. Ad ogni modo l’intervallo di frequenze analizzate risulta essere troppo elevato per operare opportuni fitting di modello, e dunque valgono conclusioni analoghe a quelle dei due sistemi precedenti. L’unica stima possibile risulta quella di Rs, per la quale si è ottenuto un valore di circa 170 Ω, in accordo con la stima teorica fatta per la cella descritta 4.6.7 considerando un’area equivalente degli elettrodi più elevata, essendo quella relativa all’elettrodo di Pt quasi raddoppiata rispetto a quella relativa all’elettrodo di ITO. La figura che segue mostra i diagrammi di Nyquist ottenuto dalle misure sperimentali. A causa della non simmetricità del sistema le tensioni di lavoro utilizzate sono sia positive che negative. Figura 4.47 Diagrammi di Nyquist della cella ITO/0,2 M NaCl/Pt alla diverse tensioni di lavoro 165 4.6.10 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/ITO+P3HT-PCBM (1:1) In questo caso lo strato aggiuntivo polimerico sensitivizzante gli elettrodi influisce sulle misure di impedenza nel range di frequenze analizzato. Come già osservato per la cella con soluzione elettrolitica data dalla sola acqua milli-Q, il contributo di impedenza dovuto al trasporto diffusivo ionico nel film organico con lunghezza finita comporta la necessità di introdurre nel circuito modellizzante la cella in questione la corrispondente impedenza di Warburg. Basandosi su queste considerazioni teoriche e sulle misure a breve riportate è stato scelto il seguente circuito equivalente per rappresentare tale sistema: Figura 4.48 Circuito equivalente della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl /ITO+P3HT-PCBM (1:1) I simboli utilizzati hanno lo stesso significato esposto nella descrizione dei circuiti equivalenti delle celle precedenti, alle quali si rimanda. L’aggiunta dello strato organico sugli elettrodi metallici, oltre a conferire proprietà fotosensibili (con conseguenti sbocchi applicativi biosensoriali), comporta un aumento delle frequenze caratteristiche del circuito RC, spiegabili con un abbassamento dei valori di Rct. Tale risultato conferma gli interessanti effetti dello strato polimerico su celle elettrochimiche con soluzione acquosa salina, conseguentemente utilizzabili per applicazioni di produzione energetica attraverso processi di semi-water splitting. L’analisi quantitativa per Rct e Cd è dunque risultata possibile a frequenze superiori ad 1 kHz, utilizzando un modello di fitting derivante dal circuito di figura 4.27 a), nell’ipotesi di poter trascurare i contributi impedenziali dell’elemento di Warburg a tali frequenze. La semplificazione derivante è risultata troppo approssimativa in corrispondenza di basse tensioni di lavoro, dove le frequenze caratteristiche dell’RC risultano inferiori al kHz, con conseguente influenza di effetti di non idealità come visto per le celle precedenti. All’aumentare della tensione di lavoro si riducono i valori di Rct, con conseguente aumento della frequenza caratteristica dell’RC (e conseguente miglior qualità del fitting appena descritto) e riduzione del raggio delle semirconferenze (quelle più a sinistra sull’asse reale) descriventi le curve nei diagrammi di Nyquist. A 0 V e 1V si sono ottenute stime di Rct dell’ordine di 102 kΩ, mentre a 2 V e 3 V di 10 kΩ. Le Cd sono invece risultate dell’ordine di 108 F. A 4 V la simulazione ha permesso un’analisi quantitativa, che ha fornito Rct X 80 Ω e Cd X 3*108 F. Tale situazione risulta tuttavia poco interessante a fini pratici, perché descrive un regime di lavoro in cui il dispositivo sta degradandosi. La stima di Rs risulta analoga a quanto fatto per le celle precedenti, e risulta di circa 100Ω (dimensione superficiale degli elettrodi di circa 2x1 cm2). L’analisi a frequenze inferiori al kHz è stata condotta a livello qualitativo, in maniera analoga alle celle studiate nelle sezioni 4.6.4, 4.6.5, 4.6.6. Rispetto a queste la diffusione ionica nello strato polimerico coinvolge ora specie elettrolitiche aggiuntive, quali quelle introdotte da NaCl in soluzione liquida. All’aumentare delle tensioni di lavoro (spinte fino a 4 V), le condizioni al contorno descriventi la diffusione ionica nello strato polimerico diventano trasmissive a causa 166 dell’attivazione di possibili reazioni alle interfacce bifasiche, con conseguente annullamento di contributi capacitivi agli estremi inferiori delle frequenze studiate. Ciò risulta ben visibile nei diagrammi di Nyquist, per le cui curve si ottiene una sorta di seconda semicirconferenza (quella più a destra sull’asse reale). Le figure che seguono mostrano i diagrammi di Nyquist ottenuti dalle misure sperimentali alle varie tensioni di lavoro. A 0 V e 1 V sono state effettuate due misure, in tempi diversi. Nelle misure temporalmente successive si nota una diminuzione del comportamento capacitivo del contributo di Warburg a bassa frequenza, con conseguente diminuzione della pendenza delle curve. Ciò potrebbe essere dovuto ad un conseguente aumento nel tempo delle concentrazioni di ioni all’interno dello strato organico in contatto con la soluzione liquida salina. Tali fenomeni sono indice di non stazionarietà del sistema, come già osservato nelle celle precedentemente analizzate con elettrodi sensitivizzati. Figura 4.49 Diagrammi di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/ITO+P3HT-PCBM (1:1) alla diverse tensioni di lavoro 167 4.6.11 ITO+P3HT:PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/Pt L’asimmetricità di tale sistema richiede di considerare nel circuito che lo rappresenta elementi riferiti ad entrambe le interfacce bifasiche. Dalle misure precedenti non è stato possibile stimare accuratamente Rct e Cd per le singole interfacce, se non in specifiche condizioni di lavoro . Per tale motivo, a differenza della corrispondente cella con soluzione liquida data dall’acqua milli-Q, i contributi impedenziali relativi all’elettrodo di Pt non sono a priori trascurabili, nonostante la scelta di un’area maggiore rispetto all’elettrodo di ITO sensitivizzato. L’analisi delle misure ottenute ha portato a modellizzare il sistema in questione con il seguente circuito: Figura 4.50 Circuito equivalente della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl /Pt In tal contesto Rct e Cd tengono conto in maniera equivalente degli effetti impedenziali di entrambe le interfacce bifasiche. A differenza della cella precedente Zw POL non è raddoppiata, essendo ora presente un solo strato sensitivizzante, e dunque tiene conto in maniera diretta delle condizioni di lavoro del singolo elettrodo (come già discusso a proposito della corrispondente cella con soluzione elettrolitica con acqua milli-Q, sezione 4.6.5). I fitting quantitativi sono stati eseguiti in maniera analoga alla cella descritta nella sezione precedente. A 0 V il fitting fornisce una stima di solo carattere approssimativo di Rct e Cd, rispettivamente dell’ordine di decine di kΩ e 10-8 F. A 1 V e -1 V la qualità del fitting è invece risultata notevolmente aumentata: ciò è stato reso possibile grazie ad una diminuzione della corrispondente Rct, con conseguente innalzamento della frequenza caratteristca del circuito RC, ora adatto ad un’analisi a frequenze superiori al kHz. L’ordine di grandezza di Rct è risultato in entrambi i casi di qualche kΩ. Per le polarizzazioni negative si sono ottenuti valori minori, come visibile a colpo d’occhio dai diagrammi di Nyquist a breve riportati. Ciò potrebbe significare un trasferimento di carica all’interfaccia organica maggiormente efficiente con gli ioni positivi H+ della soluzione elettrolitica, in accordo con il segno delle fotocorrenti osservate per tale dispositivo (in questo caso in regime fotovoltaico, sezione 4.2). I valori di Cd sono risultati oscillanti intorno a 2,2*10-8 F. Il contributo impedenziale dell’elemento di Warburg riferito allo strato organico mostra a bassa frequenza contributi maggiormente capacitivi (corrispondenti a condizioni al bordo del problema diffusivo di tipo riflessivo) per polarizzazioni negative dell’elettrodo, maggiormente resistivi (corrispondenti a condizioni di tipo trasmissivo) per polarizzazioni positive, come già visto nella cella studiata in 4.6.5. La figura che segue riporta i diagrammi di Nyquist alle diverse tensioni di lavoro. Ad 1 V e a -1 V sono state eseguite due misure, in tempi successivi l’una all’altra, evidenziando fenomeni di non stazionarietà del sistema, maggiormente visibili a basse frequenze, dove domina il contributo riferito all’elemento di Warburg descrivente un fenomeno intrinsecamente dipendente dal tempo, come già discusso a proposito della cella precedente. 168 Figura 4.51 Diagrammi di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/Pt alla diverse tensioni di lavoro 169 4.6.12 ITO+P3HT:PCBM (1:1)+PLL/0,2 M NaCl/Pt Rispetto alla cella precedente, tale sistema prevede l’aggiunta di uno strato di poli-lisina (PLL) sul film polimerico di P3HT:PCBM. Poichè le misure effettuate non hanno mostrato andamenti significativamente diversi rispetto quanto visto in assenza di PLL, le conclusioni tratte in 4.6.11 continuano a valere. I fitting sono risultati migliori (a conferma di Rct più basse, in accordo con le misure di fotocorrente viste in 4.2) e per tale motivo sono sufficientemente significativi a tutte le tensioni di lavoro studiate. Le tensioni di lavoro sono comprese tra -2V e +3 V. Le Rct estrapolate sembrano essere ancora minori per tensioni di lavoro negative rispetto a quelle ottenute per tensioni di lavoro positive. La tabella che segue mostra quanto ottenuto: Tensione di lavoro (V) 0 1 2 3 -1 -2 Rct (kΩ) X5 X1 X1 0,13 X0,5 0,06 Cd (F) X3*10-8 X3,5*10-8 X3*10-8 1,07*10-8 X3*10-8 1,22*10-8 Le figure che seguono riportano le misure ottenute, in diverse unità di scala. Le misure a 0 V, 1 V, 2 V e -1 V sono state effettuate due volte, in tempi diversi. I cambiamenti a parità di tensione di lavoro sono maggiormente visibili a bassa frequenza dove la non stazionarietà dei fenomeni diffusivi tipici del trasporto ionico nello strato organico influisce maggiormente. Come discusso per la cella precedente, i corrispondenti tratti di curva nei diagrammi di Nyquist tendono ad avere minori pendenza in modulo. 170 Figura 4.52 Diagrammi di Nyquist della cella ITO+P3HT-PCBM+PLL (1:1)/0,2 M NaCl/Pt alla diverse tensioni di lavoro 171 4.6.13 Conclusioni Dalle misure di celle con soluzione liquida data da acqua milli-Q sono state ricavate informazioni riguarda le proprietà elettriche della soluzione stessa in seguito al contatto con le altre parti del sistema, estrapolando i valori di Rs e Cs alle varie tensioni di lavoro. Tali valori sono risultati in ottimo accordo con stime teoriche approssimative. In presenza di strati organici sensitivizzanti gli elettrodi è stata osservata la diffusione di specie elettrolitiche all’interno di essi. Nel caso delle celle asimmetriche con il solo elettrodo di ITO sensitivizzato è stato possibile indagare qualitativamente le condizioni al contorno per il problema diffusivo nello strato organico in base alle polarizzazioni applicate. In presenza di soluzioni elettrolitiche saline, le misure di impedenza hanno permesso di indagare i contributi impedenziali alle intefacce bifasiche, possibilmente fornendo valori di Rct e Cd alle diverse tensioni di lavoro. Ciò è stato possibile per i sistemi per noi di maggiore interesse, con elettrodi di ITO sensitivizzanti. I risultati estrapolati hanno permesso di concludere come lo strato organico, oltre ad avere proprietà fotosensibili, permetta un trasferimento di carica alle interfacce solido/liquido molto più efficiente. Anche per tali celle è stato inoltre possibile osservare la diffusione elettrolitica all’interno dello strato sensitivizzante, mettendo in evidenza la non stazionaretà intrinseca del fenomeno e dunque del sistema complessivo. Infine, è emersa con chiarezza l’importanza di controllare gli effetti degradativi del sistema in maniera più accurata, al fine di poter estendere l’analisi quantitativa anche ai casi dove questo non è risultato possibile nelle attuali condizioni di lavoro. 172 Capitolo 5 Conclusioni e prospettive future Il lavoro di caratterizzazione del dispositivo ibrido oggetto di questa tesi, e in particolare dell’interfaccia polimero/elettrolita, ha consentito di delineare un quadro esauriente dei processi di trasferimento di carica in presenza di soluzioni elettrolitiche acquose, saline e non, delle reazioni redox ad essi correlate, dei fenomeni di accumulo di carica all’interfaccia solido/liquido, dei processi di degradazione del polimero e di ossidazione degli elettrodi, dei fenomeni di diffusione ionica all’interno del materiale organico. Sono riportate ora in maniera sintetica le conclusioni tratte dai diversi esperimenti effettuati. Spettroscopia di assorbimento e di fotocorrente e misure di pH A seconda del materiale attivo utilizzato si possono coprire vari range spettrali di risposta. L’utilizzo di substrati rigidi in vetro e flessibili in PET per dispositivi realizzati con materiale attivo P3HT:PCBM (1:1) non comporta differenze (a parità degli altri parametri). L’eventuale aggiunta di uno strato di PLL non muta le proprietà ottiche di base, anche se induce un lieve aumento delle fotocorrenti, in accordo con le misure di EIS. L’utilizzo della soluzione elettrolitica 0,2 M di NaCl aumenta la fotocorrente in maniera sostanziale (tre ordini di grandezza) rispetto quella ottenuta con soluzione elettrolitica data da acqua milli-Q. Tale risultato, insieme ad un sostanziale aumento di basicità della soluzione salina durante il funzionamento del dispositivo in regime fotovoltaico, ha portato a concludere una produzione di cloro gassoso (oltre quella di idrogeno), favorita rispetto a quella di ossigeno. Il segno delle fotocorrenti ha permesso inoltre di individuare l’interfaccia Pt/soluzione elettrolitica come sito principale della produzione di cloro (ed eventualemente ossigeno), mentre l’interfaccia blend/souzione elettrolitica come quello della produzione di idrogeno. Tuttavia in regime fotovoltaico non è possibile escludere a priori la formazione di entrambe le sostanza gassose a tali siti. Spettroscopia di assorbimento fotoindotto (cw-PA) Le proprietà ottiche di assorbimento fotindotto del materiale attivo P3HT:PCBM (1:1) non sono modificate dal contatto con la soluzione elettrolitica rispetto al caso standard in cui è a contatto con l’atmosfera. Spettroscopia di modulazione di carica (CMS) ed elettroassorbimento (EA) Dalle misure in prima armonica sulla cella elettrochimica con materiale attivo P3HT:PCBM (1:1) non si sono notate inversioni di segno degli spettri ottenuti in corrispondenza di una determinata tensione di lavoro e quelle ad essa successiva, come invece accade per il dispositivo standard. Ciò potrebbe essere dovuto ad un eventuale annullamento di campo interno causato dallo schermaggio di carica accumulata all’interfacce solido/liquido, indice di un effetto capacitivo. Quest’ultimo potrebbe essere inoltre la causa della comparsa di eventuali segnali non in fase con l’eccitazione elettrica e della presenza del segnale CMS anche nelle misure in seconda armonica. Il forte campo locale alle interfacce è tale da permettere un trasferimento di carica elettronica, altrimenti non spiegabile in regime fotovoltaico. 173 Spettroscopia di impedenza elettrochimica Gli studi sui sistemi con soluzione elettrolitica data dall’acqua milli-Q hanno permesso di delineare un quadro delle proprietà elettriche, in termini di capacità e resistenza, della soluzione in seguito al contatto con le parti di sistema. L’introduzione di impurezze, in presenza di fenomeni degradativi degli elettrodi in regimi di polarizzazioni non nulle, comporta una resistività di circa 420*103 kΩcm, ridotta di più di un ordine di grandezza rispetto quella nominale dell’acqua milli-Q, pari a circa 18,2 MΩcm. I contributi impedenziali a basse frequenze (< 1 kHz) hanno verificato l’ipotesi della presenza di specie ioniche nell’eventuale strato organico sensitivizzante l’elettrodo di ITO, permettendo un principio di studio qualitativo del problema diffusivo a seconda delle tensioni di lavoro applicate. In presenza di polarizzazioni negative si sono viste prevalere condizioni alle interfacce bifasiche di tipo riflessivo, con conseguenti contributi impedenziali a bassa frequenza di tipo capacitivo, mentre in presenza di polarizzazioni positive sono prevalse condizioni al contorno maggiormente resistive, con conseguenti contributi impedenziali a bassa frequenza di tipo resistivo. La presenza di tali contributi ha consentito una stima approssimativa del coefficiente di diffusione relativo alle specie elettrolitiche in questione di circa 2,25*10-12 m2s-1. L’introduzione di sale nella soluzione elettrolitica ha poi permesso l’analisi dei contributi impedenziali relativi alle interfacce bifasiche, in termini di Rct e Cd. Rct esprime in termini quantitativi la resistenza al trasferimento di carica alle interfaccie solido/liquido, mentre Cd descrive gli accumuli di carica a tali interfacce. In particolar modo è stato osservato l’importante effetto dello strato organico sensitivizzante l’elettrodo di ITO di abbassare considerevolmente Rct, dimostrando la reale possibilità applicativa nel campo della produzione di idrogeno. Anche in questo caso, l’analisi dell’impedenza a bassa frequenza ha verificato la presenza della diffusione ionica all’interno dello strato organico. Infine l’aggiunta della PLL sembra confermare quanto osservato dalle misure di fotocorrente, avendo portato ad un’ulteriore riduzione di Rct. I risultati raggiunti in questo lavoro hanno permesso di delineare un futuro programma di ricerca sui dispositivi in questione, in termini di ingegnerizzazione dello strato sensitivizzante fotoattivo, di generazione di fotopotenziali, fotocorrente, e di sistemi di protezione da effetti degradativi. Ad esempio, la eterogiunzione costituita dal blend polimerico potrebbe essere sostituita da un doppio strato, in cui il materiale elettron-donore e il materiale elettron accettore vengono depositati in due fasi distinte, l’uno sopra l’altro: questo permetterebbe di controllare quantitativamente il fotopotenziale generato e la generazione di fotocorrente (quest’ultima associata al disaccoppiamento spaziale delle sostanze gassose prodotte). Per quanto riguarda le possibili applicazioni biologiche, le misure effettuate hanno evidenziato la necessità di controllare gli effetti di degradazione del dispositivo, di notevole importanza in presenza di soluzioni saline dopanti, al fine di disporre di dispositivi stabili e robusti per le possibili applicazioni in-vivo a medio-lungo termine, come fotorecettore artificiale. 174 Appendice A Teoria di Marcus del trasferimento elettronico e modello di Butler-Volmer Consideriamo come esempio di processo di trasferimento elettronico (TE) ad un singolo elettrodo: | r w* 6 3rm7o (A.1) dove si ha il trasferimento di un elettrone, e dunque n = 1, e O e R rappresentano la forma ossidata e ridotta della coppia redox, cioè le specie "elettroattive", che potrebbero essere diverse dalle specie A e B che costituiscono il reagente ed il prodotto del processo elettrochimico in esame. E’ chiaro che Oz+ ed R(z−1)+ rappresentano la forma ossidata e ridotta di una singola molecola, poiché il TE avviene su una specifica molecola (ad esempio Fe3+/Fe2+). Il TE coinvolge gli elettroni nel livello Fermi del conduttore elettronico i quali per passare al conduttore ionico devono superare la barriera di potenziale che esiste tra la superficie elettrodica e l’OHP (dove normalmente si trovano le specie O ed R). Tale attraversamento avviene mediante tunneling radiationless, cioè per effetto tunnel, ma senza emissione di energia radiante. Ciò significa che, considerando il processo di riduzione, l’orbitale della specie O che lo riceve deve essere esattamente allo stesso livello energetico del livello Fermi e a tale livello deve trovarsi anche l’orbitale della specie R, che lo ha ricevuto. Perché avvenga il TE è quindi necessario che O subisca un riarrangiamento molecolare (lunghezze ed angoli di legame) per portare il LUMO (low unoccupied molecular orbital) allo stesso livello Fermi. In queste condizioni avviene il TE e la specie R che si forma ha esattamente la stessa energia, l’unica differenza è quella di avere un elettrone in più, cioè una diversa posizione lungo la coordinata elettronica, ma esattamente la stessa configurazione nucleare. Dal punto di vista energetico, il processo di TE è descritto dalla curva di G (energia libera di Gibbs) in funzione della coordinata di reazione q, la quale in molte circostanze è la semplice distanza tra la specie elettrolitica reagente e la superficie dell’elettrodo (Fig A.1) Figura A.1 Descrizione del processo TE monoelettronico tramite la curva G(q), e multi elettronico tramite la curva G(qn)) 175 In generale, considerando il processo di TE, per il quale usiamo l’espressione complessiva multielettronica (A.1), abbiamo le costanti cinetiche delle due reazioni elementari esprimibili come: K» ' exp3 Kf ' exp3 ∆ 8 9 P 7 ∆ø 8 9 P (A.2) 7 (A.3) dove ∆» 9 è l’energia libera standard di attivazione per il processo di riduzione (forward reaction), mentre ∆f 9 è quella per il processo di ossidazione (backward reaction) (si usano quantità termodinamiche standard perché l’entalpia e l’energia libera di una specie sono solitamente dipendenti dalla concentrazione, mentre la costante cinetica è solitamente indipendente da questa in presenza di sistemi diluiti. Le argomentazioni sono dunque discusse in termini di quantità standard e tale scelta non risulta critica a patto di tenerne opportunamente conto nella determinazione dei coefficienti di proporzionalità Z. Per evitare confusioni ometto il pedice “0” solitamente usato per indicare le quantità termodinamiche standard). Figura A.2 Cambiamenti dell’energia libera durante una reazione. Il punto di massima energia libera corrisponde allo stato di transizione, detto stato complesso attivato Nel sviluppare una teoria delle cinetiche di un elettrodo, è conveniente esprimere l’energia potenziale prendendo un riferimento di particolare significato chimico per il sistema, piuttosto che un riferimento arbitrario esterno. I due riferimenti energetici più naturali sono il potenziale di equilibrio del sistema e il potenziale standard (formale) della coppia redox in esame. In tale discussione utilizziamo il potenziale di equilibrio come energia di riferimento. Talvolta una specie della coppia redox non è presente in soluzione e il potenziale di riferimento viene opportunamente ′ scelto secondo considerazioni elettrochimiche e indicato con la notazione 1 . Nel caso di trasferimento elettronico tra un elettrodo ed una coppia redox in soluzione si parla di energia libere standard di attivazione catodica ∆G 9 e anodica ∆\ 9 al posto di ∆» 9 e ∆f 9 . In figura A.3 sono rappresentate le curve dell’energia libera standard elettroniche quando il potenziale dell’elettrodo si 176 trova a 1 e quando è cambiato di ∆1 ad un nuovo valore genericamente nominato con E. Gli ′ elettroni nell’elettrodo subiscono dunque un cambiamento energetico di {∆1 {31 1 7 . ′ Figura A.3 Effetti di un cambiamento del potenziale sulle energie libere standard di attivazione per la reazione di ossidazone e quella di riduzione. La figura in basso è una magnificazione della parte racchiusa in box della figura in alto. Come è facile osservare in figura, ∆\ 9 (esprimente la barriera per l’ossidazione) si è ridotta rispetto ∆\ V9 (il pedice “0” indica la condizione di equilibrio) di una frazione dell’energia totale pari a 1 S, dove α è definito come coefficiente di trasferimento, compreso tra 0 e 1 e dipendente dalla forma della regione di intersezione. Da una linearizzazione delle curve di energia libera standard per gli elettroni, e possibile definire α come un parametro costante, ottenendo le seguenti relazioni: ∆G 9 ∆G V9 w{31 E 7 ′ ∆\ 9 ∆\ V9 31 A.4 7w{31 E 7 ′ A.5 Possiamo quindi scrivere: ∆8 9 KG 'G exp M PÕ Q 'G exp M K\ '\ exp M ∆8= 9 P ∆Õ 8; Q '\ exp M P Q exp ê ∆= 8; P α3<m<¬ ′ í 3<mα73<m<¬ Q exp ê A.6 ′ í A.7 che indicano l’effetto del potenziale elettrodico sulle due costanti cinetiche di andata (kc, per il verso catodico, cioè di riduzione) e di ritorno (ka, per il verso anodico, cioè di ossidazione) del 177 processo redox. Tale effetto è modulato dal coefficiente di trasferimento elettronico α, che definisce la frazione di energia che alimenta la reazione verso destra (catodica), mentre 1-α quella verso sinistra (anodica). Il diverso segno nell’esponenziale evidenzia il fatto che il potenziale accelera la reazione in un senso, mentre la rallenta nell’altro (a seconda del segno del potenziale). Si definiscono i seguenti: 'G exp M '\ exp M ∆Õ 8; P Q KGV ∆= 8; P A.8 Q K\V A.9 KGV e K\V sono i valori delle due costanti cinetiche quando 1 1 Si può quindi esplicitare l’effetto del potenziale elettrodico sui valori delle due costanti cinetiche riscrivendole nel modo seguente: ′ KG ¬′ α3<m< KGV exp ê í 3<mα73<m<¬ K\ K\V exp ê A.10 ′ í A.11 Quando 1 1 le due costanti cinetiche devono essere uguali; infatti, se le concentrazioni di O e di R sono uguali, per l’equazione di Nernst il potenziale E di equilibrio corrisponde proprio al potenziale standard coppia redox, il che vuol dire che, in tale condizione, le velocità della reazione di andata e di quella di ritorno sono uguali. La velocità della reazione di andata vc è data dal prodotto della costante cinetica kc per la concentrazione del reagente O sulla superficie elettrodica cO(0,t), che in linea generale può essere diversa da quella che si ha nel bulk della soluzione, . Analogamente la velocità della reazione di ritorno va è data dal prodotto della costante cinetica ka per la concentrazione del suo reagente R, sempre sulla superficie elettrodica, cR(0,t), che può essere diversa da quella nel bulk, R . In condizioni di equilibrio però cO(0,t) = e cR(0,t) =R , per cui kc= ka. Si ricava quindi: ′ KGV K\V K V A.12 dove K V è detta costante standard di trasferimento elettronico, ed è il valore che la costante di TE assume al potenziale standard di equilibrio, sia per il verso catodico che per il verso anodico. Come abbiamo detto, le reazioni di andata e di ritorno della A.1 hanno le seguenti velocità: ¨G KG 30, ­7 A.13 ¨\ K\ 30, ­7 A.14 dove va considerato che, a rigori, le concentrazioni delle specie elettroattive O ed R sono funzione sia della distanza dalla superficie elettrodica x, che del tempo t, cO(x,t) e cR(x,t), per cui le velocità dei due TE dipendono dai valori che le due specie hanno sulla superficie elettrodica, dove avviene il TE, quindi per x = 0, al tempo t. In questo caso si tratta di reazioni eterogenee, per cui le velocità sono misurate in molcm–2s–1. Ciò significa che le concentrazioni vanno espresse in molcm–3, per cui le costanti di TE risultano espresse in cms–1. Alla reazione di andata corrisponde il passaggio di elettroni dal conduttore elettronico alla soluzione, cioè una corrente elettrica catodica che avrà una densità di corrente ic = nFvc; viceversa, alla velocità della reazione di ritorno corrisponde una densità di corrente anodica ia = nFva. Convenzionalmente si definisce la corrente totale che 178 attraversa l’interfaccia come differenza tra la corrente anodica e quella catodica (anche se storicamente era esattamente l’opposto, ma da qualche anno la convenzione internazionale è cambiata, per cui non sorprenda il fatto di trovare pubblicazioni con i segni invertiti). Ciò significa che la densità di corrente elettrica che attraversa l’interfaccia è data da: \ – G w{ 3¨\ – ¨G 7 A.15 per cui si ricava: Y ¨G KG V 30, ­7 Gw{ Gw{x ¨\ K\ 30, ­7 A.16 \ Y\ w{ w{x w{xK 30, ­7 exp ê V A.17 3<mα73<m<¬ 7 ′ í V 30, ­7exp ê α3<m<¬ 7 ′ í A.18 Tale ultima equazione è nota come equazione di Butler-Volmer (B-V) estesa (poiché considera in modo esplicito le concentrazioni superficiali, cioè la possibilità che queste siano diverse da quelle ′ nel bulk). Naturalmente, all’equilibrio 1 E e la corrente complessiva che attraversa l’interfaccia è nulla, ovvero: w{xK V 30, ­7 exp ê 3<mα73<m<¬ 7 ′ í V 30, ­7exp ê α3<m<¬ 7 ′ í 0 A.19 Dunque: 3V,/7 ¹ 3V,/7 exp > 3<Þ? m<¬ 7 ′ @ A.20 Oppure: EAB E θ ln 3 3V,/77 3V,/7 A.21 ¹ Si vede che dall’equazione B-V, in condizioni di equilibrio, per l’elettrodo in esame si ricava l’equazione di Nernst, con riferimento alle concentrazioni sulla superficie elettrodica (che è l’espressione più corretta, dato che vale anche quando fossero diverse da quelle nel bulk della soluzione elettrolitica; naturalmente, in condizioni di equilibrio, quando non avviene nessun processo netto, le concentrazioni sulla superficie elettrodica saranno generalmente uguali a quelle nel bulk). Se il TE è il rate determining step, cioè lo stadio lento dell’intero processo elettrochimico, le concentrazioni sulla superficie elettrodica sono esattamente quelle nel bulk della soluzione, poiché il rifornimento e l’allontanamento dall’elettrodo sono veloci: cO(0,t) = R e cR(0,t) = R . Ricordando che E = Eeq + η, si possono fare le sostituzioni nella B-V estesa, ottenendo: w{xK V R exp ê 3<mα73<m<¬ 7 ′ α3<m<¬ 7 í R exp ê í ′ 179 0 A.22 Quando siamo in condizioni di equilibrio, η = 0 e anche i = 0, per cui si ricava anche in questo caso, dall’equazione, che: 3<Þ? m<¬ 7 R exp > R ¬ exp > ¹R ′ @ R 0 A.23 3<Þ? m<¬ 7 @ A.24 7 A.25 ′ Ovvero: EAB E θ ln 3 R ¬ ¹R cioè l’equazione di Nernst, questa volta in funzione delle concentrazioni nel bulk, che è il caso generale. L’equazione A.22 può essere riscritta come: V exp M 3<mα7η Q exp M Q αη A.26 con: V xw{K V R <m( R ( A.27 dove i0 è detta corrente di scambio. L’equazione finale è nota come equazione di Butler-Volmer (anche se quella originale aveva i segni dei due esponenziali invertiti, per le convenzioni di segno sulla corrente adottate). La corrente di scambio i0 è la corrente che passa (ad uno stesso elettrodo) in un senso e nell’altro ′ ′ quando 1 E . In condizioni di equilibrio infatti, 1 E , η = 0, i = 0 (la corrente nel verso catodico che attraversa l’interfaccia è esattamente uguale a quella nel verso anodico e questi due valori uguali costituiscono la corrente di scambio i0). Ne risulta quindi dall’equazione A.22: R exp ê 3<mα73<m<¬ 7 ′ í R exp ê α3<m<¬ 7 ′ í A.28 da cui si ricava ancora una volta: R ¬ ¹R exp > 3<Þ? m<¬ 7 ′ @ A.24 R EAB E θ ln 3 ¬R 7 A.25 ¹ che è sempre l’equazione di Nernst per il potenziale elettrodico. Il fatto che dalla B-V, in condizioni di equilibrio si ricavi l’equazione di Nernst (che era già nota da alcuni decenni), ha rappresentato uno degli elementi di forza della teoria di Butler-Volmer: ottenere per via cinetica l’equazione valida in condizioni di equilibrio. L’altro punto di forza della B-V è 180 l’equazione che si ottiene quando η è grande (equazione di Tafel, ricavata inizialmente da un analisi sperientale). Un aspetto che va evidenziato innanzi tutto è il notevole effetto che il potenziale elettrodico esercita sul valore delle costanti cinetiche kc e ka. A titolo di esempio vediamo l’effetto di un potenziale E ′ che sia 1 V più negativo di 1 , supponendo α = 0.5, dalle equazione A.10 e A.11 segue: kc= k0 * 0.3 * 109 ka= k0 * 3.4 * 10-9 Una sovratensione di 1 V fa aumentare un costante di nove ordini di grandezza (e diminuire l’altra di altrettanti ordini di grandezza).L’andamento di i in funzione di η è riportato nella figura seguente. Nella parte superiore sono rappresentate situazioni in cui α = 0.5, per cui i due rami della curva, anodico e catodico, sono perfettamente simmetrici rispetto all’origine, che è centro di simmetria. Figura A.4 Effetti della corrente di scambio e del coefficiente di trasferiemento sulle curve i vs η La pendenza della curva al punto di flesso dipende dal valore della corrente di scambio i0: quanto più alta è i0 tanto più ripida diventa la curva; viceversa, quanto più piccola è i0 tanto più sdraiata è la curva di corrente. Come si può notare, la corrente totale è la somma dei due contributi, anodico e catodico, i quali, per η = 0, intersecano l’asse delle ordinate entrambi al valore della corrente di scambio (salvo il segno diverso). Se α ≠ 0.5 la curva non è più simmetrica, come si può osservare nella figura in basso. In particolare per α < 0.5 il ramo anodico sale più rapidamente; viceversa per α > 0.5 è il ramo catodico a salire più rapidamente. Si possono considerare due casi particolari: i) il sistema è assai vicino all'equilibrio, cioè la sovratensione η tende a zero, ii) il sistema è assai lontano dall'equilibrio, cioè η è grande. Nel primo caso (η << RT/αnF ≈ 50 mV), espandendo in serie i due esponenziali dell’eq. A.26 e fermandosi al termine di primo grado si ha: 181 P y A.29 Definisco: P 6G/ A.30 Con 6G/ definita come resistenza di barriera o di ET o di charge transfer. Nel secondo caso (il sistema è lontano dall'equilibrio, |η| > (RT/nF)ln100 = 118/n mV) si può trascurare uno dei due esponenziali rispetto all’altro (a seconda del segno di η). Se abbiamo una sovratensione catodica (η < −118 mV), avremo: || V exp M Q αη A.31 Ovvero: P P y ( ln V ( ln|| £ ¤ln|| A.32 In maniera analoga per una tensione anodica. L'equazione A.32 è nota come legge di Tafel (generalmente è data con i logaritmi decimali, ma cambia poco), a e b sono le costanti di Tafel. L’equazione empirica fu ottenuta da Tafel più di vent’anni prima della teoria di Butler-Volmer. Questo è il secondo punto di forza della B-V, che continua a renderla una teoria accreditata. Questa equazione è assai importante perché consente di ottenere i0 e quindi informazioni fondamentali sulla costante standard di TE, mediante estrapolazione del tratto lineare della funzione η vs lni a η = 0. -6 Figura A.5 Grafici di Tafel per i rami anodici e catodi della curva i vs η per reazione di TE con n=1, α=0.5, T=298K, j0=10 A/cm 2 Nel caso più generale le curve di polarizzazione mostrano sia la componente di sovratensione di trasferimento di carica sia quella di diffusione e/o di reazione come si vede nella figura A.5, che per semplicità riporta solo il ramo catodico di una curva di polarizzazione. Si può notare una zona prossima al potenziale reversibile in cui al valore di η contribuiscono i due termini dell’equazione A.26, seguita da un tratto lineare (zona di Tafel) in cui η è ancora causata dalla lentezza del TE, equazione A.32, e da una zona a potenziali più elevati in cui prevale la sovratensione di diffusione e/o reazione chimica. 182 Un andamento analogo si riscontra anche nella zona anodica, generalmente con pendenze diverse dato che il valore di 1-α può essere diverso rispetto ad α (anche se in molti casi si può ragionevolmente assumere α = 0.5). A titolo conclusivo, riporto una rappresentazione equivalente dell’equazione di Butler-Volmer, utile nella trattazione teorica della spettroscopia di impedenza elettrica. V ¬ 3V,7 R ¬ exp M mαη Q ¹ 30,/7 ¹R exp M 3<mα7η Q A.33 Tale equazione è ricavabile inserendo in A.18 la definizione di corrente di scambio i0, data da A.27. 183 Bibliografia [1] D. 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