Università per Stranieri di Perugia
Dipartimento di Scienze Umane e Sociali
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
Italiano per l’insegnamento a stranieri
Titolo della tesi
Alcune tecniche per lo sviluppo delle abilità linguistiche in L2
Laureando
Abdelsalam A.A Shanshob
Relatrice
Correlatore
Prof.ssa Piera Margutti
Prof. Roberto Dolci
A.A. 2015-2016
Indice
Introduzione
3
Il primo capitolo: Verso l’insegnamento comunicativo: Teorie e
6
modelli
1.1 Chomsky: il concetto di competenza linguistica
6
1.2 La Competenza Comunicativa
9
1.3 Il modello di Canale e Swain
14
1.3.1 La competenza linguistica (o grammaticale).
15
1.3.2 La Competenza sociolinguistica
17
1.3.3 La competenza discorsiva
19
1.3.4 La competenza strategica
22
1.4 Il modello di Bachman e Palmer
24
1.5 Il modello di Balboni
27
1.6 L’insegnamento comunicativo della lingua
29
Il secondo capitolo: Tecniche glottodidattiche
33
2.1 Una mappa delle abilità linguistiche
34
2.2 Le abilità ricettive: La comprensione orale e scritta
36
2.3 LEGGERE
41
2.3.1 Tipi della lettura
44
2.3.2 La lettura come processo cognitivo
46
2.4 Il cloze test: Origine e definizione
2.4.1 Il cloze test classico e il cloze test mirato:
2.5 ASCOLTARE
54
57
59
2.5.1 L’ascolto è un processo attivo
60
2.5.2 La comprensione orale: strategie di decodificazione
62
2.6 Didattica dell’ascolto in L2
64
2.7 La domanda di comprensione come tecnica didattica
69
2.8 Le abilità produttive
72
1
2.9 PARLARE
76
2.9.1 I requisiti del buon parlante
78
2.9.2 Il foreign talk ed il teacher talk
80
2.10 Il Roleplay
83
2.10.1 I Vantaggi del Roleplay
86
2.10.2 Gli Svantaggi del Roleplay
88
2.11 SCRIVERE
2.11.1 La scrittura: modelli psicologici cognitivi
91
92
2.12 La correzione del testo scritto da parte dell’insegnante
100
Conclusione
108
Bibliografia
111
2
INTRODUZIONE
Comunicare è lo scopo principale per cui impariamo e insegniamo la lingua.
Dal momento che alcuni insegnanti ancora adottano gli approcci grammaticali
o linguistici per insegnare una lingua seconda, ho voluto dedicare il mio lavoro
di tesi a mettere in evidenza il fatto che la comunicazione è una operazione
assai complessa che non si esaurisce in uno scambio di parole o frasi
grammaticalmente giuste. Tale operazione si realizza, infatti, in contesti
socioculturali in cui gli interlocutori interagiscono intrecciando frasi, gesti,
atteggiamenti, nell’interazione gli uni con gli altri. Per questo motivo,
attraverso una serie di riflessioni, nel primo capitolo di questo lavoro presento
il dibattito tra il concetto di competenze linguistica di Chomsky e il concetto di
competenza comunicativa di Dell Hymes, sottolineando come quest’ultima
rappresenti l’uso effettivo della lingua nella dimensione socioculturale. Il
capitolo si focalizza poi sulle componenti ed alcuni modelli descrittivi della
competenza comunicativa in ambito glottodidattico, come il modello di Canale
e Swain (1980) e il modello di Bachman (1990). Alla fine di questo capitolo,
presento l’applicazione del concetto di competenza comunicativa nella
didattica delle lingue moderne, ossia l’insegnamento comunicativo della L2.
Nel secondo capitolo verranno descritte le abilità linguistiche che
traducono la competenza comunicativa nel ‘‘saper fare la lingua’’. Questo
capitolo, che costituisce la parte centrale di questo lavoro, è dedicato anche
alla descrizione di alcune tecniche che l’insegnante può utilizzare per
l’insegnamento di abilità linguistiche e comunicative. Per ognuna delle abilità
che si intendono sviluppare nella L2 attraverso l’approccio comunicativo si è
scelto di illustrare una tecnica specifica. Le tecniche descritte sono il cloze test,
le domande di comprensione, il roleplay e la correzione degli errori,
rispettivamente per le abilità di lettura, ascolto, parlato e scrittura. Per prima
cosa, saranno discussi i modelli che illustrano i processi cognitivi coinvolti
nell’esercizio di ciascuna abilità e si darà una definizione del concetto di
‘‘tecnica’’ in glottodidattica. Si discuterà il modello tradizionale o quadripolare
3
delle abilità linguistiche, che divide le quattro abilità in due assi: abilità ricettive
(leggere e ascoltare), abilità produttive (parlare e scrivere).
Le abilità ricettive sono tradizionalmente le abilità di comprensione orale
e scritta, centrali per ogni apprendimento. A queste abilità è dedicata la parte
iniziale del capitolo, in cui si porranno in rilievo gli elementi fondamentali del
processo della comprensione orale (l’enciclopedia, i processi logici e
l’expectancy grammar). Successivamente, saranno illustrate alcune definizioni
dell’abilità della lettura e comprensione scritta, ponendo attenzione a ciò che
l’accomuna all’abilità di comprensione orale. La lettura e la comprensione dei
testi sono abilità fondamentali sia per accedere ai nuovi saperi relativi ai vari
ambiti disciplinari sia per interagire in modo adeguato nell’ambiente sociale.
Inoltre, la lettura è uno strumento importantissimo, attraverso il quale
promuovere la crescita personale degli studenti, tramite la scelta di testi
adeguati alla loro età, ai loro interessi e ai loro bisogni. In seguito, si passerà
ai vari scopi e tipi di lettura, (lettura per l’apprendimento, lettura per il piacere
di leggere ecc.) e verranno trattati nel dettaglio i processi cognitivi e complessi
che il lettore compie durante l’atto della lettura. Per questa abilità, la tecnica
selezionata è la procedura cloze, intesa come una tecnica d’insegnamento per
lo sviluppo dell’abilità della lettura. Se ne illustrerà l’origine e i diversi tipi.
La seconda abilità ricettiva trattata è l’ascolto. Saper ascoltare è un’abilità
importante ed estremamente utile nella vita. È indispensabile durante il
percorso scolastico, nelle varie circostanze personali, è insostituibile nelle
relazioni con gli altri, siano essi coetanei, genitori, figli ecc. La comprensione
di testi orali si differenzia dalla comprensione di testi scritti per alcuni aspetti
specifici del testo orale, quali la fonologia, l’accento, il ritmo, la struttura del
discorso. Si farà riferimento ai processi della comprensione orale e le strategie
di comprensione: top-down e bottom-up. L’analisi di queste strategie aiuta il
docente a capire l’abilità in questione a livello cognitivo e, quindi, a pianificare
e organizzare la lezione di ascolto. Si passerà poi alla didattica dell’ascolto in
L2: verrà proposto un modello di organizzazione della lezione di ascolto
secondo tre fasi (pre-ascolto, durante l’ascolto e post-ascolto) e si illustrerà il
4
ruolo delle ‘‘domande di comprensione’’ come una tecnica per lo sviluppo
dell’abilità di ascolto, spiegando con alcuni esempi come l’insegnante può
usare tale tecnica nelle fasi accennate sopra.
Parlare e scrivere sono abilità di tipo produttivo: chi parla o scrive si
impegna a formulare un messaggio con modalità adeguate e contenuti ben
organizzati. Sulla base di alcuni parametri verrà illustrata la differenza tra lo
scritto e il parlato. Successivamente, si definiranno le caratteristiche del
parlato dell’insegnante di L2 (il teacher talk). Una sfida per i docenti di L2 è
insegnare agli studenti l’abilità di parlare e dialogare. Una tecnica ideale per
incoraggiare gli studenti ad usare la lingua in contesti simili alla vita reale è il
roleplay. Nel capitolo verrà offerta una definizione di questa tecnica, se ne
illustreranno gli obiettivi didattici, le fasi di preparazione dell’attività del
roleplay ed, infine, i vantaggi ed i svantaggi.
L’ultima abilità di cui si parlerà è la scrittura: cos’è la scrittura, quali sono
i nuovi contesti della scrittura ed i modelli psicologici e cognitivi della scrittura.
In particolare, si farà riferimento al modello di Hadey e Flower, Bereiter e
Scardamalia (1987). Per quanto riguarda la scrittura, affronteremo la tecnica
della correzione degli errori. Si accennerà al dibattito relativo all'efficacia della
tecnica della correzione e verranno delineati in dettaglio, con alcuni esempi, i
vari tipi di feedback correttivo: diretto, indiretto, metalinguistico, focalizzato e
non focalizzato ed infine il recast.
L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni.
**********************
5
Il PRIMO CAPITOLO
______________________________________________________________
Verso l’insegnamento comunicativo: Teorie e Modelli
1.1
Chomsky: il concetto di competenza
Nel 1975 Chomsky pubblica un’opera, Le Strutture della Sintassi , che
rappresenta una vera e propria rivoluzione nella scienza del linguaggio. Lo
studioso americano espone una teoria sintattica secondo la quale qualsiasi
lingua risulta composta da frasi nucleari e da frasi non-nucleari, complesse,
derivabili dalle prime attraverso operazioni che, con un termine di origine
matematica, vengono chiamate ‘‘trasformazioni’’. La grammatica deve
‘‘generare’’ tutte le frasi complesse, di una lingua in base alle ‘‘trasformazioni’’
delle frasi nucleari. Chomsky distingue nel linguaggio verbale due distinti livelli:
uno più astratto, che costituisce l’oggetto della grammatica generativa, e uno
più concreto, costituito dall’effettiva produzione linguistica del parlante reale.
Questa dicotomia, ripresa successivamente in Aspetti della teoria della sintassi
(1964) è precisata come la distinzione fra ‘‘competenza’’ (competence), cioè il
sistema di regole linguistiche generali possedute dal parlante ideale, e
‘‘esecuzione’’ (performance), cioè l’uso effettivo della lingua in situazioni
concrete.
Il sostantivo “competenza” deriva dal verbo ‘competere’. Questo ultimo,
di origine latina cum-petere, indica ‘‘il sistema di conoscenza implicita su cui si
basa la produzione e la comprensione degli enunciati di una lingua da parte di
un parlante’’1. In altre parole, utilizzando le parole di Desideri 2, possiamo
definire la competenza come segue: quel sistema di regole, inteso come
apparato di processi e di meccanismi di funzionamento specifico della mente
umana, che permette all’individuo di comprendere e produrre un numero
1
AA.VV, 2003, ‘‘Grammatica Insegnarla e impararla’’, Guerra edizione, Perugia.P.235
Paola Desideri, ‘‘Modulo 8, Competenza linguistica e competenza comunicativa; aspetti della
pragmatica; atti linguistici’, Università degli studi ‘‘G.D’Annunzio’’, PDF.
2
6
teoricamente illimitato di frasi, anche mai udite prima, ben formate secondo
le regole stesse.
La ‘‘competenza’’ intesa da Chomsky è un concetto diverso da quello che
Ferdinand De Saussure ha definito ‘‘langue’’: questa è un fatto sociale, è
‘‘l’insieme dei segni usati dai membri di una medesima comunità linguistica’’
(Federico, 2015). La langue e la competenza non si equivalgono, dal momento
che Saussure concepisce la langue come un fattore appartenente alla
collettività, laddove Chomsky stabilisce che la competenza è un fattore
individuale, essendo innata e dipendente da un meccanismo cerebrale che
Chomsky ha definito LAD (o Language Acquisition Device). Secondo la teoria
innatista-cognitivista chomskiana, il LAD (Language Acquisition Device) è il
Dispositivo di Apprendimento della Lingua con cui viene denominato il
meccanismo innato di acquisizione linguistica, specifico dell’essere umano.
Secondo questa teoria, il nostro cervello annovera un apparato di acquisizione
del linguaggio e una Grammatica Universale (GU) comuni a tutte le lingue, per
cui la struttura della frase e l’ordine che governa i legami tra gli elementi
linguistici rispettano una precisa logica interna. In risposta ai dati empirici
provenienti dall’ambiente, la mente del bambino crea quindi una grammatica
che assegna dei valori a tutti i parametri, producendo una delle lingue umane
a disposizione. All’inizio del processo la mente del bambino è aperta
ovviamente verso
ogni
lingua
possibile,
al
termine essa
perviene
all’acquisizione di una lingua particolare.
Il LAD, insomma, è un programma biologico, congenito, utilizzato per
apprendere la lingua, una serie di regole relative a una grammatica universale
contenente la descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue
naturali. L’acquisizione del linguaggio, dunque, secondo Chomsky non avviene
per imitazione del linguaggio adulto, ma è un processo attivo di scoperta di
regole e di verifica di ipotesi. Le ipotesi di partenza sono in numero limitato e
già presenti nel LAD: questo spiega la rapidità con cui si impara a parlare e il
fatto che le tappe dello sviluppo linguistico siano le stesse in tutte le culture e
le classi sociali. In contrapposizione alla competenza, è l’esecuzione
7
(performance), o “l’uso effettivo della lingua in situazioni concrete” (Chomsky,
1965 [1970: 45]), cioè l’utilizzazione materiale che ogni parlante fa della
propria lingua nelle diverse e molteplici circostanze comunicative. Nel suo libro
Aspetti della teoria della sintassi, Chomsky sostiene: ‘‘Per studiare l’esecuzione
linguistica effettiva, dobbiamo considerare l’interazione di vari fattori, e la
competenza sottostante del parlante – ascoltatore non è che uno di essi. […]
Facciamo quindi una distinzione fondamentale tra la competenza (la
conoscenza che il parlante – ascoltatore ha della sua lingua) e l’esecuzione
(l’uso effettivo della lingua in situazione concrete’’ (Chomsky, 1979: 44-45)
Nelle esecuzioni effettive, secondo Chomsky oltre alla competenza,
intervengono, anche altri fattori come le convinzioni extralinguistiche, il
contesto, la struttura cognitiva con le limitazioni mnemoniche e altro.
Riprendendo la distinzione di Chomsky, Paprella sottolinea come non sempre
l’esecuzione effettiva rispecchi pienamente la competenza acquisita: ‘‘Può
accadere, infatti, che un soggetto, pur fornito di un alto livello di competenza
linguistica, possa esprimere un performance modesto in certe determinante
situazioni di contesto o per effetto di specifiche interferenze emotive o per il
richiamo forzato di risorse aggiuntive (dati di memoria, ad esempio). La
performance nasce e si definisce a partire da interazione di vari fattori, alcuni
anche del tutto contingenti; e la competenza è soltanto uno di questi fattori’’
(Paprella, 2005:168).
Il motivo per cui la performance di un parlante – ascoltatore non possa
identificarsi con la sua competenza è attribuito a ‘‘false starts, deviations from
rules, change of plans in mind-course, and so on’’ (Chomsky, 1965: 4) che
rendono un’esecuzione mai perfettamente assimilabile alla competenza3
sottostante.
3
Negli scritti più recenti di Chomsky la distinzione fra competenza e esecuzione è riformulata
mediante la distinzione fra ciò che egli chiama ‘‘Lingua interna’’ (I -language) e ‘‘Lingua esterna’’ (Elanguage) (Chomsky 1986; cfr.par.3.5.1).
8
1.2
La Competenza Comunicativa:
Il successivo, influente, arricchimento del concetto di competenza è da
ascriversi all’ etnologo Dell Hymes, il quale critica il concetto di competenza
di Chomsky alla luce del più ampio concetto di ‘‘competenza comunicativa’’
(communicative competence), estende il concetto di competenza chomskiana
alla dimensione sociale della lingua e al contesto (competenza d’uso) in cui il
fenomeno linguistico si realizza. Nel suo studio, Hymes sostiene che non è
possibile analizzare una lingua come un corpo omogeneo e immutabile,
riducendola a una semplice combinazione di forma e significato e cercando di
spiegare soltanto le relazioni esistenti tra le due dimensioni. È ovvio, quindi,
da questo punto di vista, che ‘‘un’adeguata competenza comunicativa […]
implica, naturalmente tener conto di certi fattori extralinguistici come il ruolo
dei parlanti, il luogo ed il tempo in cui si sviluppa l’atto comunicativo’’
(Lenarduzzi, 1989:238). Ciò è particolarmente evidente quando si analizza una
frase grammaticalmente identica che può assumere diverse funzioni (ordini,
dichiarazione, richiesta, ecc.) a seconda del contesto e delle intenzioni
comunicative.
Hymes rappresenta il concetto della competenza comunicativa come la
‘‘capacità’’ del parlante di esprimere giudizi sul proprio enunciato e di scegliere
fra tutte le forme linguistiche a sua disposizione quelle «che riflettono in modo
appropriato le norme sociali che governano il comportamento in situazioni
specifiche» (Hymes, 1972: 270). Ciò è l’insieme delle regole di natura
psicologica, sociale e culturale che permettono all’utente di una lingua di
produrre messaggi appropriati alla situazione. Per Hymes conoscere una lingua
non significa solo avere interiorizzato il sistema di regole che ci permette di
produrre e capire un numero infinito di frasi in quella lingua, ma anche
possedere la capacità di farne uso nel contesto in cui si trova, e cioè sapere
«quando parlare, quando no, per dire che a chi, quando, dove, in che m odo»
(Hymes 1972: 277). Il parlante/scrivente quindi conosce anche le regole d’uso
che gli permettono di produrre messaggi appropriati alla situazione e di
interpretarli in modo adeguato nel contesto in cui li ascolta o legge.
9
Secondo Hymes, qualunque produzione linguistica deve rispondere a
quattro requisiti fondamentali:
-
Deve essere formalmente possibile, ovvero deve essere formalmente
corretta.
-
Deve essere fattibile, cioè strettamente vincolata alla cultura e alle sue
regole: si deve poter fare in una certa cultura, deve essere accettata
culturalmente. Significa che un locutore deve essere in grado di
produrre messaggi non solo grammaticalmente corretti, ma anche
culturalmente accettabili.
-
Deve essere realizzabile in un certo contesto, e si intende che una frase
potrebbe essere costruita in modo corretto dal punto di vista
grammaticale, ma non essere concretizzabile nel contesto d’uso perché
troppo complessa.
-
Deve essere effettivamente realizzato , rimanda all’ipotesi che qualcosa
possa essere possibile, realizzabile, appropriato, ma non trovare
necessariamente una sua concretizzazione nel corpus di quella lingua
(Hymes 1972: 281-286).
Hymes introduce tre elementi di novità rispetto al concetto di
competenza linguistica. In primo luogo, sostituisce «l’unità di analisi costituita
dalla frase con un’unità più ampia – l’evento linguistico – che chiama in causa
tutta una serie di fattori che compongono la ‘situazione sociale’ in cui l’evento
ha luogo» (Ciliberti 1995: 149). In secondo luogo, allarga gli ambiti delle
conoscenza necessarie a chi usa la lingua: non è sufficiente conoscere il
sistema
formale
della
lingua,
è
necessario
‘conoscere’
le
norme
sociolinguistiche che governano i rapporti sociali e le interazioni nelle diverse
situazioni comunicative. Infine, oltre alle conoscenze, Hymes include nel
concetto anche le abilità d’uso: non basta ‘conoscere’ delle regole per essere
in grado di comunicare, è necessario avere la capacità di metterle in atto. La
competenza comunicativa è una combinazione di ‘‘(tacita) conoscenza è
(capacità d’) uso ’’ (Hymes 1972: 282).
10
Dell Hymes, considerato come il fondatore dell’etnografia della
comunicazione4 che ha come oggetto di studio l’interrelazione tra cultura e usi
linguistici, ha stabilito il rapporto tra le specificità dell’uso linguistico e la
comunità attraverso l’evento comunicativo considerato come l’unità d’analisi e
dice: Il punto di partenza è dato dall’analisi etnografica del comportamento
comunicativo di una comunità. Bisogna determinare che cosa può contare
come evento comunicativo, e come suo componente, e non considerare come
comunicativo alcun comportamento che non sia definito da un qualche
contesto e da una domanda implicita. In tal modo l’evento comunicativo risulta
centrale.5
Il termine ‘‘evento comunicativo’’, di cui Hymes aveva in un primo tempo
fatto uso fu in seguito abbandonato, ed al suo posto fu introdotto quello di
evento linguistico (speech event). Tra gli esempi di eventi linguistici è possibile
annoverare il cicaleccio al bar, una lezione, una conversazione telefonica, il
dibattito parlamentare, la festa di compleanno, la messa in chiesa,
un’intervista, raccontare una barzelletta; si tratta di attività in cui la lingua
svolge un ruolo essenziale nella definizione stessa di ciò che sta accadendo –
se eliminiamo la lingua, cioè, l’attività non può aver luogo. Le situazioni
linguistiche, all’opposto, sono attività nelle quali la lingua gioca un ruolo
secondario. Tra gli esempi di situazioni linguistiche possiamo elencare una
partita di calcio, una corsa in autobus, una visita ad una galleria d’arte.
L’antropologo Dell Hymes ha elaborato uno strumento importante per lo
studio della comunicazione in un contesto culturale: il modello SPEAKING, che
si rifà in modo esplicito al modello di evento linguistico di Jakobson
(aggiungere anno di pubblicazione). Questo modello individua le componenti
universali del contesto in cui si svolge ogni forma di comunicazione. SPEAKING
è un acronimo formato dalle iniziali di situation, participants, ends, act,
4
L’etnografia della comunicazione individua un campo di ricerca interdisciplinare che ha come
oggetto principale l’analisi della comunicazione verbale dal punto di vista degli atti, degli eventi e
degli stili linguistici in cui essa si realizza.
5 D. Hymes, Fondamenti di sociolinguistica. Un approccio etnografico (1974), pres. di G.
Berruto, Zanichelli, Bologna, 1980, p.8.
11
sequences, key, instrumentals, norms e genres: ‘‘(S) Setting including the time
and place, physical aspects of the situation. (P) Participants identity including
personal characteristics such as age and sex, social status, relationship with
each other. (E) Ends including the purpose of the event itself as well as the
individual goals of the participants. (A) act, sequence or how speech acts are
organized within a speech event and what topic/s are addressed. (K) Key or
the tone and manner in which something is said or written. (I)
instrumentalities or the linguistic code i.e. language, dialect, variety and
channel i.e. speech or writing. (N) Norm or the standard socio-cultural rules
of interaction and interpretation and (G) genre or type of event such as
lecture, poem, letter ’’. (Farah, 1998: 126)
Situation: indica l’ambientazione dell’evento comunicativo definito dalle
coordinate spazio-temporali (setting), e indica la cornice culturale (scene) dello
stesso evento; ad esempio un incontro di servizio in una libreria italiana.
Participants: nella partecipazione all’evento linguistico si definiscono i ruoli
di parlante (speaker) – che può essere solo portavoce -, mittente (addressor)
– la fonte del messaggio -, ascoltatore (hearer) e reale destinatario
(addressee), ciò è importante distinguere fra chi parla e chi è considerato
emittente del messaggio, come fra chi ascolta e chi è considerato il ricevente
del messaggio: nel caso dell’incontro di servizio, il commesso può parlare bene
di un libro con un collega (ascoltatore), con lo scopo di convincere il cliente
(reale destinatario del suo messaggio) a comprare quel libro. Si definiscono i
ruoli sociali, che si riflettono in scelta di registro: ad esempio, il cliente e il
commesso possono decidere, sulla base dell’età, del sesso, del ragno sociale,
di usare il (Lei) o il (tu).
Ends: riguardano gli scopi che muovono i partecipanti all’evento, alcuni sono
dichiarati, altri restano impliciti; vi può anche essere una discrasia tra lo scopo
perseguito (goal) e il risultato effettivamente raggiunto (outcome), come nel
12
caso del commesso che insiste col cliente al fine di fargli acquistare il libro e
che ottiene invece il risultato di irritarlo.
Act sequences: sono le sequenze di atti che i partecipanti compiono per
raggiungere gli scopi che si prefiggono; l’evento può anche consistere di un
solo atto linguistico, ma solitamente ne comprende diversi: in libreria, il cliente
saluta, chiede informazioni sul libro, ringrazia ecc.
Key: è la chiave interpretativa del messaggio (spesso inferibile dai codici non
verbali), che ci comunica ad esempio il senso ironico del Troppo gentile! di un
cliente che cerca di difendersi da un commesso insistente.
Instrumentalities: sono i canali di comunicazione, ma in questa categoria
sono anche comprese le diverse forme di parlata (forms of speech) che si
possono usare, a seconda delle situazioni
Norms: sono le norme dell’interazione, che riguardano sia la produzione che
l’interpretazione dei messaggi; anche negli interscambi più informali si
rispettano norme (non interrompere l’altro, non sovrapporsi…). Queste
possono variare nelle diverse culture,
creando spesso
problemi
di
comunicazione.
Genres: un genere è un’unità di discorso riconoscibile per particolari
caratteristiche formali e contenutistiche; molti sono i generi comunicativi a cui
si può ricorrere in un evento linguistico: gli incontri di servizio possono
svolgersi anche attraverso telefonate o e-mail; inoltre, nel corso di un
interscambio canonico tra commesso e cliente si può utilizzare un diverso
genere, per raccontare ad esempio un aneddoto.
Dalle intuizioni di Hymes sono derivati in ambito glottodidattico vari modelli
che analizzano e descrivono le componenti della competenza comunicativa con
lo scopo di costituire schemi di riflessione, e che costituiscono confronto e
guida per chi si occupa di definire obiettivi, scegliere percorsi didattici,
individuare criteri di valutazione nell’ambito dell’insegnamento della L2.
13
1.3
Il modello di Canale e Swain:
Canale e Swain (1980) riconoscono tre componenti della competenza
comunicativa: la competenza linguistica, sociolinguistica e strategica.
Successivamente) Canale (1983) ne aggiunge una quarta: la competenza
discorsiva. Lo scopo di questi autori era di elaborare uno schema teorico che
servisse poi all’impostazione del curriculum e alla valutazione dei programmi
per l’insegnamento della L2. In seguito, spiego la natura di ciascuna di queste
componenti.
Canale and Swain (1980)
Canale (1983)
Grammatical
competence
Grammatical
competence
Strategic
competence
Strategic
competence
Sociocultural
competence
Sociocultural
competence
Discourse
competence
 Il modello di Canale e Swain (1980) e Canale (1983).
14
1.3.1 La competenza linguistica (o grammaticale).
In senso stretto, per come il termine è stato usato da Chomsky e dalla maggior
parte degli altri linguisti, con ‘competenza linguistica’ si intende quella parte
delle conoscenze linguistiche di un parlante con cui abbiamo maggiore
familiarità. Si intende, cioè quelle conoscenze e capacità che presiedono alla
correttezza grammaticale, che è stata al centro dello studio della L2 per secoli.
Questa dimensione della lingua è tradizionalmente illustrata nelle
grammatiche descrittive di vario genere, come sostiene Savignon: ‘‘Le
grammatiche tradizionali, che forniscono le regole di uso (usage) proprio della
lingua scritta, si fondano sulle classi di parole o categorie di significato stabilito
per il greco e il latino classici. La grammatica strutturale si è concentrata sulla
lingua parlata e fornisce un’analisi delle forme superficiali osservabili e dei loro
modelli di distribuzioni. La grammatica generativo-trasformazionale si occupa
della relazione esistente tra l’interpretazione grammaticale delle frasi e la
struttura superficiale come mezzo per scoprire le categorie universali della
grammatica e la natura dei processi cognitivi umani in generali. ’’ (Savignon,
1988: 38).
Sebbene le definizioni differiscono, in ciascun caso la meta è un’adeguata
descrizione dei tratti formali a livello di frase della lingua. Una grammatica
particolare, infatti, rappresenta un tentativo di descrivere come gli elementi
della lingua si combinino in maniera sistematica. Il decidere se o no una
particolare struttura esiste o è possibile si basa sulla frequenza con cui queste
strutture si presentano nel parlare e nello scrivere dei parlanti nativi, in realtà
sulle intuizioni dei parlanti nativi con lunga pratica nell’uso della lingua. Questi
dati e queste valutazioni poi forniscono al linguista la base per formulare una
regola. Naturalmente, nessuna grammatica esistente è completa, poiché il
comportamento linguistico è complesso e finora ha eluso una sistemazione
soddisfacente.
La relazione tra qualsiasi grammatica descrittiva e l’apprendimento
linguistico è, tuttavia, un’altra cosa. Gli utenti esperti della lingua possono
fornire ai linguisti a dati di cui questi hanno bisogno per formulare le regole
15
linguistiche. Tuttavia gli stessi parlanti nativi nella maggior parte dei casi non
sarebbero in grado di formulare essi stessi tali regole. Nessuno di loro ha
imparato ad usare la lingua imparando prima le regole. Infatti, le regole sono
così complesse che neanche il linguista che le ha formulate potrebbe ricordarle
tutte. I linguisti stessi sono stati tra coloro che più apertamente hanno criticato
i tentativi di applicare la descrizione linguistica all’insegnamento della seconda
lingua. A questo riguardo, le osservazioni fatte da Chomsky durante la
Northeast Conference del 1966 sull’insegnamento delle lingue straniere sono
importanti: ‘‘Vorrei chiarire fin dall’inizio che partecipo a questo convegno non
in qualità di esperto su aspetti dell’insegnamento delle lingue, bensì come
qualcuno che si interessa soprattutto delle strutture della lingua e, più in
generale, della natura dei processi cognitivi. Inoltre, francamente sono
piuttosto scettico circa l’importanza, per l’insegnamento delle lingue, di quelle
intuizioni e conoscenze che si sono raggiunte nella linguistica e nella
psicologia. Sicuramente l’insegnante di lingue farebbe bene a tenersi
informato dei progressi e delle discussioni in questi campi e gli sforzi di linguisti
e psicologi per affrontare i problemi dell’insegnamento delle lingue basandosi
su principi sono estremamente meritevoli sia da un punto di vista intellettuale
che sociale. Tuttavia è difficile credere che la linguistica o la psicologia abbiano
raggiunti livelli di conoscenze teoriche tali da permettere loro di sostenere una
‘‘tecnologia’’ dell’insegnamento delle lingue’’ (Chomsky 1966:43).
Diventa importante, quindi, stabilire che vi è una differenza tra la
conoscenza del sistema grammaticale di una lingua e le sue regole e la
capacità di applicarle. La competenza grammaticale, dunque, è ‘‘la padronanza
del codice linguistico, l’abilità di riconoscere i tratti lessicali, morfologici,
sintattici e fonologici di una lingua e di manipolare questi tratti per formare
parole e frasi. La competenza grammaticale non è collegata a nessuna singola
teoria della grammatica, né presuppone l’abilità di rendere esplicite le regole
dell’uso (usage). Una persona dimostra competenza grammaticale usando una
regola, non enunciandola’’ (Savignon 1998: 57).
16
1.3.2 La Competenza sociolinguistica:
La competenza grammaticale è stata dominio degli studi linguistici
propriamente detti, mentre la competenza sociolinguistica è ‘‘un campo
interdisciplinare di indagine che riguarda le regole sociali dell’uso linguistico.
In particolare, la competenza sociolinguistica richiede la comprensione del
contesto sociale in cui la lingua è usata: i ruoli dei partecipanti, le informazioni
che essi condividono e le funzioni dell’interazione ’’ (Savignon, 1988). Soltanto
tenendo conto del contesto completo in cui i parlanti interagiscono si possono
esprimere dei giudizi sull’appropriatezza di un particolare enunciato nei termini
elaborati da Hymes. I parlanti nativi conoscono le regole socioculturali
dell’appropriatezza e le usano per comunicare con successo in diverse
situazioni. Una delle mete dell’analisi interculturale è di rendere esplicite le
regole di una cultura e in tal modo aiutare i non nativi a capire e ad adattarsi
più facilmente ai modelli con cui non hanno familiarità.
I giudizi di appropriatezza comportano non solo sapere che cosa dire in
una certa situazione e come dirlo, ma anche quando rimanere zitti. O, in
effetti, quando sembrare incompetenti. Dunque, lo scambio linguistico avviene
non nel vuoto ma in situazioni di comunicazioni per le quali non basta il solo
criterio della grammaticalità per la verifica degli enunciati prodotti o ricevuti.
Condurremo una rapida verifica dell’asserzione esaminando la realità
fenomenologica dello scambio in base ad alcuni principi della sociolinguistica.
Uno stesso contenuto può essere formulato diversamente facendo ricorso, a
seconda della situazione, a differente varietà della lingua. Ad esempio:
I.
II.
Soddisfatti?
Graderei sapere se siete soddisfatti?
È evidente che con amici si userà preferibilmente la prima formula, mentre
con ospiti di riguardo non si dovrà usare la prima ma si potrà usare la seconda.
La sociolinguistica insegna che il parlante ha a sua disposizione un vasto
spettro di usi (repertorio verbale) che corrispondono ad altrettante varietà di
17
lingua.
Riferendoci
alla
lingua italiana
potremmo
introdurre
una
schematizzazione del tipo:
Ia = italiano aulico/ricercato,
If = italiano parlato formale,
Ic = italiano colloquiale informale.
Sarà la situazione in cui avviene lo scambio ad imporre come più conveniente
l’uso della varietà Ia, If o Ic, o anche il passaggio, a seconda dello stato
d’animo dei locutori oppure della dinamica della situazione, da una varietà ad
un’altra. ’’ (Freddi, 1993:26-27). Osservato che la stratificazione delle varietà
linguistiche ripete all’origine la stratificazione sociale degli utenti della lingua,
si rende necessario approfondire il concetto di situazione. In uno studio ormai
classico J. A. Fishman distingue nella situazione tre elementi costitutivi:
a) Relazione
di
ruolo
(Padre/figlio,
insegnante/allievo,
superiore/inferiore, guardia/ladro, amico/amica, ecc.);
b) Un luogo specifico (in casa, in classe, in ufficio, in prigione, ecc.);
c) Un momento specifico, funzionale tanto al punto a), quanto al
punto b).
La situazione può dirsi congruente, cioè coerente, allorché gli individui
interagiscono fra di loro in appropriate relazioni di ruolo, parlando in luoghi e
di argomenti appropriati a teli relazioni dal punto di vista della accettabilità
sociale (Fishman 1975: 65 -117). La congruenza della situazione rimanda così
alla necessità della appropriatezza linguistica, cioè della scelta funzionale delle
varietà di lingua adatte alla situazione e alla sua dinamica, il che viene a
sottolineare l’angustia e l’insufficienza, agli effetti della comunicazione, del
criterio della grammaticalità pura degli enunciati linguistici proposta da
Chomsky.
18
1.3.3 La competenza discorsiva:
La competenza discorsiva ‘‘ si occupa non dell’interpretazione di frasi isolate
ma della concatenazione di una serie di frasi o enunciati tale da formare un
tutto significativo’’ (Savignon, 1988). Al pari della competenza sociolinguistica,
essa è oggetto di indagine interdisciplinare. La teoria e l’analisi del discorso
richiamano molte discipline; per esempio, la linguistica, la critica letteraria, la
psicologia, la sociologia, la filosofia, l’antropologia, i mezzi di comunicazione
tramite stampa o trasmissione.
Riconoscere il tema o l’argomento di un paragrafo, di un capitolo, o di
un libro, cogliere l’essenza di una conversazione telefonica, di una poesia, di
un annuncio pubblicitario televisivo, di un promemoria per l’ufficio, di una
ricetta, o di un documento legale sono attività che richiedono competenza
discorsiva. I modelli di organizzazione del discorso differiscono, in relazione
con la natura del testo e del contesto in cui esso si manifesta. Tuttavia i modelli
effettivamente esistono e rivestono un importante ruolo nell’interpretazione
ed espressione del significato, un significato globale che è sempre maggiore
della somma degli enunciati o delle frasi individuali che formano un testo. Con
grammatica discorsiva (Morgan, 1981) si fa riferimento talvolta a una
descrizione delle varie strutture che stanno alla base del discorso.
Ciò che fa di una lista di frasi un discorso sono le connessioni, spesso
non esplicite, che esistono tra le frasi. Vale a dire, può darsi che non ci sia una
palese espressione di un legame tra una proposizione e l’altra. Basandosi sulla
conoscenza generale del mondo reale, come pure sulla familiarità con un
particolare contesto un lettore/ascoltatore inferisce il significato.
Il significato di un testo dipende dai valori, dalle intenzioni, e dagli scopi
sia del lettore/ascoltatore, sia dello scrivente/parlante. Gli esempi seguenti
illustrano il ruolo dell’inferenza nell’interpretazione del discorso:
1. Chico improvvisamente si voltò e si mise correre perché vide un
poliziotto venire lungo la strada.
19
2. Chico vide un poliziotto venire lungo la strada. Improvvisamente si
voltò e si mise a correre. (Savignon, 1988).
Nell’esempio di periodo (1), la relazione tra le due proposizioni, Chico
improvvisamente si voltò e si mise a correre e vide un poliziotto, è esplicita.
La nostra conoscenza della grammatica e del significato convenzionale della
parola perché ci fa mettere in relazione le due parte del periodo. Nell’esempio
di discorso (2), la competenza grammatica da sola non fornire il significato.
L’interpretazione richiede la capacità di fare una sensata inferenza della
situazione. Potremmo anche interpretare il discorso nel senso Chico si voltò e
si mise a correre perché vide un poliziotto venire lungo la strada. Ma per fare
ciò è necessario che facciamo certe supposizione su Chico, un poliziotto, la
strada, ecc., ossia, creiamo uno scenario nella nostra mente. Inoltre, la nostra
interpretazione potrebbe facilmente essere invalidata da fattori contestuali di
cui non siamo a conoscenza. Per esempio, l’evento che coinvolge Chico e il
poliziotto potrebbe concludersi così:
Chico vide un poliziotto venire lungo la strada. Improvvisamente si voltò e si
mise a correre. L’autobus della quinta strada gli era appena passato accanto
proseguendo la sua corsa ed egli avrebbe fatto di nuovo tardi a scuola! Non
c’era tempo di chiedere di Pedro. Forse l’indomani.
La relazione di tutte le frasi o enunciati di un testo rispetto a una singola
proposizione globale è definita coerenza testuale. La costituzione di un
significato globale o argomento per un brano, una conversazione, un libro ecc.
interi è parte integrante sia dell’espressione sia dell’interpretazione e rende
possibile la comprensione delle frasi o enunciati individuali inclusi in un testo.
Connessioni locali o legami strutturali tra frasi individuali forniscono
invece ciò che viene talvolta indicato con il termine coesione, una specie
particolare di coerenza. Alcuni esempi degli accorgimenti formali coesivi usati
per connettere il linguaggio con se stesso sono i pronomi, le congiunzioni, i
sinonimi, le ellissi, i paragoni e le strutture parallele. L’identificazione di
Halliday e Hasan (1976) dei vari accorgimenti coesivi usati in inglese è ben
20
nota ed ha comunicato ad influire sia nell’analisi testuale sia nei materiali per
l’insegnamento e la verifica dell’inglese come seconda lingua.
Lo studio di Kaplan (1966) della retorica contrastiva è un esempio
dell’analisi discorsiva applicata all’organizzazione dei paragrafi in lingue
diverse. I suoi familiari diagrammi illustrano quelli che egli considera essere i
modelli dominanti del discorso scritto formale nei maggiori gruppi linguistici.
Questi diagrammi cercano di descrivere come sono strutturati i modelli di
pensiero nello stile scritto formale. Il loro intento è di segnalare le differenze
nello stile organizzativo e di aiutare i discenti nell’interpretazione e nella
costruzione di testi di L2. In verità, come osserva Savignon, i modelli proposti
possono essi stessi riflettere un pregiudizio culturale in quanto la costruzione
dei paragrafi in inglese è rappresentata da un linea retta dalla quale gli altri
modelli sembrano divagare. Tuttavia, questi diagrammi costituiscono un
tentativo importante di trattare del significato oltre la struttura a livello di frase.
 Patterns of Written Discourse (Kaplan, 1966:14).
Riassumendo, La competenza discorsiva è la capacità di interpretare una
serie di frasi o enunciati in modo da formare un insieme significativo e di
realizzare testi coerenti che siano pertinenti rispetto a un dato contesto. Il
successo in entrambi i casi dipende dalle conoscenze condivise dallo
scrivente/parlante e del lettore/ascoltatore, la conoscenza del mondo reale, la
conoscenza del codice linguistico, la conoscenza della struttura del discorso e
la conoscenza della situazione sociale.
21
1.3.4 La competenza strategica:
Non esiste un parlante/ascoltatore ideale di una lingua, una persona che
conosca perfettamente la lingua e la usi in modo appropriato in tutte le
interazioni sociali. Nessuno di noi sa tutto quello che c’è da sapere del francese
o del giapponese o dello spagnolo o dell’inglese. Facciamo l’uso migliore di
quanto effettivamente sappiamo, dei contesti di cui abbiamo fatto una
esperienza, per trasmettere il nostro messaggio. La competenza comunicativa,
nella nostra lingua nativa o nella seconda lingua, è relativa. ‘‘Le strategie che
si usano per compensare la conoscenza imperfetta della lingua o i fattori
limitativi che intervengono nella loro applicazione come la stanchezza, la
distrazione e la disattenzione si possono definire competenza strategica, il
quarto componente della competenza comunicativa nello schema di Canale’’
(Savignon, 1988). Esso è analogo alla necessità di strategie reattive o di
sopravvivenza identificate in Savignon (1972b). Che cosa si fa quando non
viene in mente una parola? Quali sono i modi per tenere aperti i canali della
comunicazione mentre ci si sofferma per raccogliere i propri pensieri? Come si
fa capire al proprio interlocutore che non si è compresa una particolare parola?
O che lui/lei parlava troppo velocemente? A propria volta, come si reagisce
quando il proprio messaggio è frainteso? I parlanti nativi adulti abitualmente
affrontano una varietà di fattori che, se non sono presi in considerazione,
possono portare al fallimento della comunicazione. Le strategie che usiamo
per sostenere la comunicazione includono la parafrasi, la circonlocuzione, la
ripetizione, l’esitazione, l’evitare e il fare ipotesi, come pure i cambiamenti di
registro o di stile. Savignon nel suo libro Communicative competence: theory
and classroom practice (metta nota con riferimento bibliografico completo o
anno di pubblicazione soltanto) ha presentato alcuni esempi citati da
(Savignon 1988), che illustrano l’importanza della competenza strategica:
Marito e moglie tornavano a casa da un giro per i negozi ed entrando nel
garage passarono accanto ad un gruppo di bambini del vicinato che giocavano
sul prato. La moglie, avendo notato un bambino a cui non parlava da un po’
di tempo, casualmente ha chiesto il marito, ‘‘Chissà quanti anni ha Davie? ’’.
Al che il marito rispose ‘‘Non lo so. Glielo chiederò’’
22
MARITO: (Gridando dal garage) How old are you, Davie?
DAVIE: Fine. (Ha capito ‘‘How are you? ’’, ossia ‘‘come stai? ’’ C’è somiglianza
fonetica tra le due domande).
MARITO: Five? (Gli sembra di aver capito ‘‘Five’’ ossia ‘‘cinque’’ per la
somiglianza fonetica con ‘‘Fine’’, ma soprattutto perché risposta pertinente alla
sua domanda).
MARITO: Fine. (È ancora convinto che la domanda iniziale sia ‘‘Come stai? ’’ e
alla confermare equivoca anche lui sulla somiglianza fonetica di ‘‘fine’’ e ‘‘five’’).
MARITO: How old are you? (Riformula la domanda più distintamente).
DAVIE: Six. (L’equivoco è chiarito).
‘‘CENTRALINISTA: C’è una telefonata a carico del destinatario da parte di
Sandra. Accetta l’addebito?
CATHERINA: Mi dispiace. Lei non c’è ora.
CENTRALINISTA: (Modificando atteggiamento di fronte alla voce della
bambina all’altro capo della fila). È da parte di Sandra, L’accetti?
CATHERINA: Oh … Sì.
I parlanti usano strategie per far fronte ai limiti del loro sapere o alle
restrizioni nell’uso di quel sapere in una particolare situazione. Questa abilità
di comunicare pur in presenza restrizioni include perciò l’abilità di adattare le
proprie strategie comunicative in relazione a una varietà di condizioni
interpersonali mutevoli e spesso inattese. La riformulazione, la ripetizione, il
rilievo, la ricerca di chiarimenti, la circonlocuzione, l’evitare (parole, strutture,
argomenti), e perfino il modificare il messaggio, sono tra le strategie che noi
usiamo per rispondere alle esigenze della comunicazione in corso.
23
1.4
Il modello di Bachman e Palmer
L.F. Bachman e A. Palmer ampliano e approfondiscono il concetto di
competenza comunicativa di Hymes, proponendo il nuovo concetto di abilità
linguistico-comunicativa. Lo schema di Bachman (1990) evidenzia che chi
utilizza una lingua possiede un insieme di conoscenze del mondo e di
competenza linguistiche a cui ‘attinge’ per formulare i suoi messaggi,
ricorrendo, nello stesso tempo, alla competenza strategica per valutare le
variabili della situazione comunicativa e adeguare ad esso il proprio intervento.
Il locutore si serve poi di meccanismi psicofisici per realizzare fisicamente il
suo messaggio. In altre parole, le componenti dell’abilità linguisticocomunicativa, tutte fra loro interagenti, sono:
-
‘‘La conoscenza del mondo costituita da ciò che conosciamo e di cui
abbiamo avuto esperienza nella realtà intorno a noi: il ‘sapere’, saper
essere’, saper fare, ‘saper apprendere’;
-
La competenza linguistica: la conoscenza formale della lingua che trova
applicazione nella comunicazione;
-
La competenza strategica: una serie di strategie, derivanti ad esempio
dalla conoscenza e consapevolezza del contesto, che permette al
locutore di applicare le competenze generali e quelle linguisticocomunicative all’interazione a cui prende parte in un preciso contesto
di comunicazione. Chi usa la lingua ricorre infatti alla propria
competenza strategica per decidere come interagir, in base alla
competenze a sua disposizione (ad esempio la conoscenza del lessico e
delle strutture della lingua, le conoscenze dell’argomento che si sta
trattando), i rapporti sociali intrattenuti con l’interlocutore, il contesto
in cui si svolge la comunicazione ecc. Mentre le strutture di conoscenza
e la competenza linguistica sono insiemi di conoscenze, la competenza
strategica è costituita invece da strategie, cioè capacità di applicare le
conoscenze al particolare contesto comunicativo;
24
-
I meccanismi psicofisici: i processi neurologici e psicologici coinvolti
nella realizzazione della comunicazione linguistica come fenomeno
fisico’’6
Due sono quindi i concetti fondamentali su cui basa il modello:
1- L’abilità linguistico-comunicativa è formata da conoscenze o
competenze (generali e linguistiche) e capacità applicare tali
conoscenze o competenze in reali situazioni comunicative
2- L’uso di una lingua è processo dinamico, frutto dell’incontro fra
conoscenze (o competenze) e capacità di chi usa la lingua è le variabili
che intervengono della situazione comunicativa.
Il concetto di abilità linguistico-comunicativa è molto complesso, come
dimostra anche l’ampio dibattito al riguardo, i numerosi modelli proposti e la
conseguente terminologia non sempre univoca. Ad esempio, Bachman adotta
la dicitura ‘abilità linguistico-comunicativa’ per descrivere la capacità d’uso
della lingua nel contesto, evitando volutamente di servirsi, a questo livello
genere le di descrizione, della parola ‘competenza’. Competenza, per lo
studioso, equivale infatti a ‘conoscenza’ e copre solo una parte del complesso
dell’abilità linguistica-comunicativa. La competenza linguistica viene distinta da
Bachman in ulteriori componenti: la competenza organizzativa e la
competenza pragmatica.
In particolare, la competenza organizzativa riguarda quelle abilità che
controllano la struttura formale della lingua per produrre enunciati
grammaticalmente corretti, per capire il contenuto di espressioni linguistiche
e per organizzare gli enunciati in testi. Comprende quindi a sua volta due tipi
di competenze.
1- La competenza grammaticale,
costituita da competenze
che
governano la scelta di vocaboli per esprimere significati specifici, le
6
AA.VV. ‘‘Metodi in classe per insegnare la lingua straniera: Teorie applicazioni materiali ’’, 2006,
LED Edizioni Universitarie, P. 445.
25
loro forme, la loro organizzazione in enunciati e la loro realizzazione
fisica, cioè suoni o simboli scritti.
2- La competenza testuale, costituita dalla conoscenza delle convenzioni
che permettono di collegare fra loro gli enunciati per formare un
testo, parlato o scritto. Questo convenzioni includono sia la coesione,
cioè la segnalazione dei rapporti semantici fra le parole (per esempio:
la referenza, l’ellissi, la congiunzione, la coesione lessicale ecc.), sia
l’organizzazione retorica che governa l’ordine di presentazione delle
nuove informazioni rispetto a quelle già date. Quest’ultima ha uno
stretto legame con l’effetto che il testo produce sull’utente della
lingua. La narrazione, la descrizione, il confronto, la classificazione,
l’analisi di un processo sono esempi di tipi di testo che seguono
precise convenzioni di organizzazione retorica.
Infine, la competenza pragmatica si riferisce alla relazione fra enunciati
e gli atti o funzioni che gli interlocutori intendono realizzare producendo quei
determinati enunciati e alle condizioni che rendono un enunciato appropriato
alla situazione. (Bachman 1990: 89). ‘‘ Include due sottocomponenti:
1- La competenza illocutoria riguarda la capacità d’uso del discorso orale
e scritto per esprimere una particolare funzione, cioè un particolare
scopo o intenzione comunicativa. È quindi in gioco la conoscenza delle
convenzioni pragmatiche in modo le quali si producono enunciati per
esprimere in modo efficace, cioè con la giusta forza illocutoria,
l’intenzione che si vuole comunicare. Riguarda anche la capacità di
interpretare in modo corretto la forza illocutoria degli enunciati
prodotti da altri. Il concetto di competenza illocutoria si basa sulla
teoria degli atti linguistici, in particolare sulla contestazione che non
esiste un corrispondenza diretta e rigida fra forma grammaticale e
funzione. La competenza illocutoria include la conoscenza di quattro
categorie
di
funzioni
linguistiche:
ideazionale,
manipolativa,
strumentale e immaginativa.
26
2- La competenza sociolinguistica riguarda il controllo delle convenzioni
d’uso della lingua e cioè la sensibilità alle differenze dialettali e alle
differenza di registro, la sensibilità alla ‘naturalezza’ del messaggio
(quanto cioè enunciato risulti simile a quello di un locutore
madrelingua), la capacità di interpretare i riferimenti culturali e di
comprendere le figure retoriche, che hanno origine nelle radici della
cultura di una società e quindi fanno parte della competenza
sociolinguistica e non di quella grammaticale.’’7
 Schema illustra le componenti della competenza linguistica secondo
Bachman (1990).
1.5
Il modello di Balboni:
P.E. Balboni (1999a) delinea un modello di competenza comunicativa
definendola, in termini pratici, ‘‘ciò che una persona deve possedere e
padroneggiare per poter comunicare’’ (numero di pagina). Qui Balboni
preferisce adottare il modello esemplificato tra gli altri da Widdowson (1989)
7
AA.VV. ‘‘Metodi in classe per insegnare la lingua straniera: Teorie applicazioni materiali ’’, 2006,
LED Edizioni Universitarie, pp. 447-448.
27
in cui si distinguono e differenziano i concetti di conoscenza e abilità. Per cui
la competenza comunicativa ‘‘può essere visualizzata come una piramide a tre
lati, ciascuno dei quali indica un sapere o saper fare’’ (Balboni,1999a:31).
Riporto qui di seguito quanto descritto da Balboni:
a) Sapere fare la lingua:
Si tratta di saper comprendere, leggere, scrivere, fare un monologo (ad
esempio tenere una conferenza, fare la presentazione di un progetto, ecc.),
partecipare ad un dialogo, oltre ad altre ‘‘abilità linguistiche’’
b) Saper fare con la lingua:
Questa faccia della piramide include la dimensione
-
Sociale: chi sa comunicare deve saper come individuare e rispettare i
rapporti di ruolo (o come attaccarli, se è il caso), sa attribuire
correttamente lo status sociale e gerarchico ai vari partecipanti
all’evento comunicativo, è appropriato nell’uso di appellativi (titoli,
Mr./Ms., ecc.), e così via.
-
Pragmatica: comunicare efficacemente significa raggiungere i propri
scopi, vincere la partita; tale obiettivo è perseguito attraverso una serie
di atti, cioè di ‘‘mosse’’ intenzionali, mirate ad un effetto preciso; anche
la
grammatica
pragmalinguistica
è
fortemente
connotata
culturalmente: come si è detto, atti accettabili in una cultura non lo
sono in altre.
-
Culturale: la grammatica antropolinguistica e quella, più in generale,
antropologica di una comunità costituisce il tessuto comune su cui si
intrecciano tutti gli eventi in una data cultura; variando le culture,
variando queste grammatiche.
28
c) Sapere i linguaggi verbali e non verbali
Questa faccia include le grammatiche tradizionalmente indicate con tale nome
(per due secoli si è ritenuto che sapere una lingua significasse conoscerne
pronuncia, lessico e morfosintassi) e quelle, generalmente trascurate, dei
linguaggi non-verbali. Avremo quindi una:
c.1. Competenza linguistica di cui fanno parte le componenti lessicale, ad
esempio la scelta delle parole, il modo di modificarle e di crearne di nuove,
ecc. Morfosintattica, cioè meccanismi quali il singolare e il plurali, il modo di
chiedere, di negare, di vietare, di esprimere comparazioni, di parlare del
passato e del futuro, ecc. testuale, cioè la serie di meccanismi che
garantiscono coerenza logica e coesione formale a un testo, nonché le regole
dei vari generi (dialogo, conferenza, barzelletta, lettera, ecc.) fonologica, che
riguarda la pronuncia paralinguistica, cioè quella componente (esterna) della
competenza fonologica che riguarda il tono di voce, la sottolineatura delle
parole, la velocità con cui si parla, e così via.
c.2 Competenza extralinguistica: essa comprende le competenze cinesica, cioè
l’uso comunicativo del corpo, delle sue posture e dei suoi movimenti.
Prossemica, che riguarda l’uso comunicativo delle distanze interpersonali.
Vestemica e oggettemica, che consentono di utilizzare per la comunicazione
l’abbigliamento e altri oggetti di vario tipo e natura’’ (Balboni, 1999a:32-34).
1.6
L’insegnamento comunicativo della lingua:
La linguista americana Savignon descrive la competenza comunicativa come
‘‘the ability to function in a truly communicative setting – that is, in a dynamic
exchange in which linguistic competence must adapt itself to the total
informational input, both linguistic and paralinguistic, of one or more
interlocutors ’’ (Savignon, 1972:8). Secondo la studiosa americana, la
competenza comunicativa ha una natura dinamica e ci descrive la conoscenza
di una madrelingua che le permette di interagire in modo effettivo con altre
persone madrelingue. Savignon sostiene che tale interazione tra le persone
29
native richiede molto di più di una conoscenza di codici linguistici: ‘‘ This kind
of interaction is unrehearsed. It requires much more than a knowledge of
linguistic code. The native speaker knows not only how to say something but
what to say and when to say ’’ (Savignon 1976: 4).
Savignon afferma che la comunicazione è ‘‘ dinamica, non statica.
Dipende dalla negoziazione di significati fra due o più persone che condividono
in qualche modo lo stesso sistema simbolico. […] è legata al contesto. La
comunicazione ha luogo in un’infinita varietà di situazioni e la sua efficacia è
legata alla capacità di cogliere il contesto e alle cooperazione di tutti
partecipanti coinvolti. […] il significato che vogliamo trasmettere, e il
significato che trasmettiamo spesso non coincidono. […] Il significato che
trasmettiamo dipende dagli altri. ’’ (Savignon 1983: 8-9).
Nel 1972 Savignon ha svolto un esperimento in un contesto istituzionale
dove ha misurato la competenza comunicativa e quella linguistica di tre gruppi
di adulti principianti arruolati in un corso di lingua francese, i tre gruppi
ricevono quattro ore di lezioni settimanali. Ad uno dei tre gruppi sotto
osservazione viene offerta un’ora in più di attività dedicata ai compiti
comunicativi (communicative tasks): questa classe ha risultati migliori dal
punto di vista delle abilità comunicative.
La superiorità, assai significativa, del gruppo che fu sottoposto ad
addestramento nella comunicazione per tutto il periodo del corso conferma
l’ipotesi che la competenza comunicativa possa essere insegnata. Risulta,
inoltre, che senza tale addestramento gli studenti hanno prestazioni
relativamente scadenti nei contesti in cui si richiede un
comportamento
comunicativo. L’insegnamento della lingua seconda focalizzato sullo sviluppo
della competenza comunicativa dello studente si chiama l’insegnamento
comunicativo della lingua (ICL), o communicative language teaching (CLT).
Berns (1990: 104) ha riassunto le base di (ICL):
1- Language teaching is based on a view of language as communication. That
is, language is seen as a social tool, which speakers use to make meaning;
30
speakers communicate about something to someone for some purpose, either
orally or in writing.
2- Diversity is recognized and accepted as part of language development and
use in second language learners and users as it is with first language users.
3- A learner’s competence is considered in relative, not absolute, terms of
correctness.
4- More than one variety of a language is recognized as a model of learning
and teaching.
5- Culture is seen to play an instrumental role shaping speakers’
communicative competence, both in their first and subsequent languages.
6- No single methodology or fixed set of techniques is prescribed.
7- Language use is recognized as serving the ideational, the interpersonal, and
the textual functions and is related to the development of learners’
competence in each.
8- It is essential that learners be engaged in doing things with language, that
is, that they use language for a variety of purposes in all phases of learni ng.
Learner expectations and attitudes have increasingly come to be recognized
for their role in advancing or impeding curricular change.
Sandra Savignon offre un contributo significativo al paradigma
comunicativo. Ella definisce il curriculum comunicativo; in pratica, secondo la
Savignon, il curriculum è composto da 5 componenti che si integrano e si
alternano (5 aree):
1- Area di attività (Language arts): focalizzata sugli aspetti formali
della lingua;
2- Area di lingua per uno scopo: prevede l’uso di L2 come lingua
franca di comunicazione nella classe;
3- Area di uso personale di L2: mira agli aspetti affettivo-emotivi
dell’uso linguistico, e in questo punto Savignon sostiene che un
31
programma di insegnamento deve prendere in considerazione gli
aspetti effettivi e cognitivi dell’apprendimento e dice ‘‘ The most
successful teaching programs are those that take into account the
effective as well as the cognitive aspects of language learning. They
seek to involve learners psychologically as well as intellectually.’’
(Savignon, 2003:58)
4- Area della drammatizzazione: si focalizza sull’importanza dei ruoli
nell’interazione linguistica. La studiosa immagina che il mondo è un
teatro pieno di attori ed attrici, in cui facciamo tanti ruoli, e applica
questa idea all’insegnamento della lingua: ‘‘ If the world can be
thought of as a stage, with actors and actresses who play their parts
as best they can, theater may be seen as an opportunity to
experiment with roles, to try things out. As occasions for language
use, role-playing and the many related activities that constitute
theater arts are likewise a natural component of language learning.
The role of the teacher in theater arts is not unlike that of coach, to
provide support, strategies, and encouragement for learners as they
explore new ways of being. ’’ (Savignon 2003:58).
5- Area oltre la classe: prevede il contatto diretto fra gli apprendenti
e L2, che eventualmente può avvenire attraverso i media.
32
IL SECONDO CAPITOLO
______________________________________________________________
Tecniche glottodidattiche
In glottodidattica, le tecniche sono delle procedure operative, delle attività,
dei modi di fare esercizio e di usare la lingua; attraverso le tecniche le
indicazioni del metodo si traducono in atti didattici, sia che questi avvengano
in classe, sia che si realizzino in lavoro individuale domestico, con o senza
l’ausilio di glottotecnologie. (Balboni 1998:3)
Il termine tecnica didattica implica tutte le attività didattiche, stabilite
secondo un metodo ed un approccio che mirano a sviluppare le diverse
abilità linguistiche. Questo termine include l’attività dell’insegnante che guida
e facilita l’apprendimento, e le attività che mirano a sostenere
l’apprendimento.
Una tecnica è neutra […] non è né ‘‘buona’’, né ‘‘cattiva’’, né
‘‘moderna’’: è solo più o meno efficace nel raggiungere gli scopi di un
metodo, presenta solo maggiore o minore coerenza ed armonia con le
permesse dell’approccio e della teoria dell’educazione linguistica nel cui
ambito è utilizzata (Balboni, 1998:3). Le tecniche non ammettono giudizi di
valore in sé (buona/cattiva, tradizionale/innovativa); cioè, quando
l’insegnante sceglie una tecnica, deve prendere in considerazione due
parametri: la coerenza con l’approccio adottato e se quella tecnica è efficace
nel produrre l’effetto voluto.
Le tecniche didattiche sono categorizzabile in due grandi famiglie:
‘‘attività’’ ed ‘‘esercizi’’. Le attività glottodidattiche sono quelle in cui si usa la
lingua, per raggiungere uno scopo comunicativo, cioè far qualcosa con la
lingua, invece gli esercizi sono quelli in cui, come dice la parola, ci si esercita,
ci si addestra, sono tecniche senza uno scopo comunicativo.
33
2.1 Una mappa delle abilità linguistiche:
Le abilità linguistiche fondamentali sono quattro: ascoltare, parlare in
monologo, scrivere e leggere, cui si aggiunge il ‘‘dialogo’’ come quinta abilità
di base. Essie si dividono sulla base di un modello che si articola su due assi:
da un lato quello della produzione-ricezione e dall’atro quello della scritturaoralità. Parlare è un’abilità produttiva-orale, scrivere è un’abilità produttivascritta, ascoltare è un’abilità ricettiva-orale ed infine leggere è un’abilità
ricettiva-scritta.
Un diagramma rappresenta il modello tradizionale delle ‘‘quattro abilità’’ (Balboni
1998:12)
Esiste un altro gruppo di abilità (parafrasare, riassumere, prendere
appunti, scrivere sotto dettatura, tradurre) che fanno interagire abilità ricettive
e produttive oppure orali e scritte, sono dette ‘‘abilità integrate’’. Il modello
precedente è inadeguato perché descrive solo le abilità linguistiche di base e
trascura le abilità integrate, quindi un modello che includa le abilità primarie e
34
quelle integrate pare più adeguato alla descrizione della comunicazione
linguistica.
Balboni descrive le abilità integrate come abilità di trasformazione linguistica
e dice ‘‘Esiste poi un gruppo di abilità di trasformazione linguistica, che spesso
sono a cavallo tra i ruoli di ricezione e produzione e tra le modalità scritta e
orale: il dettato, il riassunto, la parafrasi e la traduzione di un testo orale o
scritto […] la raccolta di appunti scritti partendo da un testo orale o scritto’’
(Balboni 2015:128). Nel suo libro ‘‘Le sfide di Babele ’’ Balboni presenta una
mappa che descrive le abilità primarie ed integrate insieme:
Un diagramma che rappresenta le abilità primarie e integrate (Balboni 2015:128)
Le abilità linguistiche hanno due dimensioni: la prima è la dimensione
cognitiva, che sono processi sviluppati/insegnati nella lingua materna come la
comprensione o la capacità di selezionare delle informazioni per fare un
riassunto o prendere appunti ecc.; la seconda è semiotica, in cui i processi
35
cognitivi si realizzano attraverso la lingua o gesti e così via: saper riassumere
è un’abilità cognitiva, che pio si realizza in italiano o nelle lingue stranieri
(Balboni 2015). In inglese c’è un doppio termine: ability è la dimensione
cognitiva, mentre skill è la realizzazione operativa di quella ability. Nelle scuole
per i bambini, l’insegnante di italiano si deve occupare di sviluppare le abilità
dal punto di vista anche cognitivo, ma da triennio delle superiori in poi, lo
studente ormai sappia comprendere, riassumere, parafrasare ecc. per cui si
focalizza sulla dimensione metodologica relativa all’acquisizione delle abilità
come skill applicate all’italiano (Balboni 2013).
2.2 Le abilità ricettive: La comprensione orale e scritta
Ascolto e lettura sono tradizionalmente le abilità di comprensione che
è a sua volta una abilità centrale per ogni apprendimento e lo è a
maggior ragione nell’acquisizione di una lingua. La comprensione si
basa su tre elementi fondamentali: da un lato quello che conosciamo
dal
mondo
spesso
detta
‘‘enciclopedia’’,
il
secondo
pilastro
della
comprensione è una serie di processi mentali che sono di carattere
morfologico, sintattico, testuale e così via, il terzo è la cosiddetta la
‘‘grammatica
dell’anticipazione’’:
molto
di
quello
che
si
capisce
dipende dal fatto che si sa prevedere che cosa verrà detto, che cosa
leggeremo o che vedremo.
In seguito spiego i singoli componenti
del processo di comprensione orale e scritta:
L’enciclopedia:
Ognuno di noi organizza la sua esperienza del mondo in ‘‘schemi’’
che classificano la sua esperienza di vita, di lavoro ecc. Uno schema
è, dunque, una struttura di dati per la rappresentazione di concetti
generici
depositati
nella
memoria.
Esistono
schemi
di
36
rappresentazione della conoscenza per tutti i concetti: quelli sottesi
agli oggetti, alle situazioni, agli eventi, alle sequenze di eventi, alle
azioni e alle sequenze di azioni. Uno schema contiene in sé la rete di
interrelazioni che si pensa esiste normalmente tra i costituenti del
concetto
in
questione.
A
partire dagli
anni
Venti
fino
agli
anni
sessanta-settanta sono stati definiti due modelli particolari di questi
schemi:
-
Il Frame: secondo Fillmore (1982), non si può capire il significato di una
parola
o di un’espressione linguistica in genere, senza avere accesso
all’intera conoscenza enciclopedica legata a quella parola o espressione. La
nostra conoscenza del mondo è strutturata attraverso frame. Citando
Fillmore: ‘‘Ogni sistema di concetti legati in modo tale che per capire uno
di essi è necessario capire l’intera struttura in cui rientra. Quando uno degli
elementi in una tale struttura è introdotto in un testo o in una
conversazione, tutti gli altri
elementi sono automaticamente resi
disponibile’’ (Fillmore 1982). Ad esempio, comprendere la parola fine-
settimana evoca un frame che include concetti come ‘‘Settimana’’,
‘‘Giorno’’, ‘‘Sabato’’, ‘‘Domenica’’, ‘‘Lavoro’’ e ‘‘Tempo libero’’. La parola fine-
settimana è comprensibile solo se la persona conosce che la settimana è
composta da sette giorni, cinque di essi sono giorni lavorativi. (Fillmore
1982:118). Uno dei maggiori nomi legati alla teoria dei frame è Marvin
Minsky secondo lui il frame è una struttura che rappresenta alcuni tipi di
situazioni stereotipate, come andare ad una festa di compleanno o al
ristorante.
-
Gli Script: sono fondamentali per la generazione di inferenze durante la
comunicazione quotidiana e particolarmente utili nella comprensione dei
testi. Lo Script è una rappresentazione mentali di eventi organizzati in
termini spazio-temporali e causali e si costruisce sulla base dell’esperienza
reale, attraverso una successione ordinata in azioni coerenti in un
particolare contesto finalizzate a realizzare uno scopo, individuale o
socioculturale. (Schank e Abelson, 1977). A differenza del contenitore
statico, il frame, qui abbiamo copioni, chiamati talvolta anche scenari, in
37
cui le situazioni tipiche della vita vengono viste come il frutto di
grammatiche comportamentali maturate nell’esperienza sociali. (Balboni,
2015). La funzione principale dello script è di favorire la rappresentazione
mentale delle procedure abituali: Fare un acquisto in un negozio, andare
dal parrucchiere, inserire il rullino nella macchina fotografica, cambiare la
gomma bucata ecc.
Processi logici:
Si tratta di alcuni processi cognitivi che contribuiscono a ‘‘costruire’’ la
comprensione. Tale processi legano la fonte esterna di informazioni
(il docente che parla, l’autore dei materiali, e i loro testi orali e scritti)
con la realtà psichica dello studente che deve comprenderle. (Balboni
2015:161)
Il
principale
‘‘proposizionale’’,
secondo
comprendere deve
di
il
questi
quale
meccanismi
la
è
proposizione
necessariamente includere
un
quello
[…]
predicato
e
da
degli
argomenti, i due elementi cardine che la mente va a cercare nelle
proposizioni che deve comprendere: i predicati (ciò che si predica di
qualcosa) non possono sussistere da soli e la memoria deve per forza
cercare un
‘‘argomento’’ cui
appoggiarli,
costruendo
il
senso
della
proposizione. (Balboni 2008:104). Un altro processo è quello legato
alla ridondanza sintattica, cioè i ‘‘fili’’ grammaticali che rendono coeso
un testo […] e le informazioni che vengono ripetute più volte: sono
elementi sintattici
che aiutano
a separare il
sezioni e a legare tali sezioni tra loro.
flusso della frase in
Ad esempio, nella frase
seguente –“Le figure geometriche con tre lati si chiamano ‘triangoli’”, l’articolo le fa prevedere (e collegare a esso) una serie di nomi,
aggettivi, pronomi femminili plurali. Basta dunque un indicatore come
l’articolo
per
fornire
uno
strumento
potente
per
facilitare
la
comprensione: la mente, dopo aver preso atto di le e delle sue
conseguenze,
non
cercherà
genere e numero
parole dopo
parole
(dove numero e genere sono ridondantemente ripetuti), ma potrà
38
concentrarsi sugli aspetti semantici. Il predicato nominale, introdotto
da si chiamano in funzione di copula, introduce automaticamente un
complemento
predicativo
denominazione e
va
ad
del
aprire
soggetto,
il
frame,
che
la
costituisce
cornice
delle
una
figure
geometriche a tre lati. (Balboni e Mezzadri 2014: 55-56).
La coerenza e coesione testuale, l’inferenza non sono processi complessi
in sé ma possono diventarlo se chi ha prodotto il testo ha frapposto ostacoli.
La coerenza testuale è il filo semantico e logico del testo; un testo ad alta
comprensibilità rende trasparente questo filo. Ad esempio, si possono usare
espressione come ‘‘anzitutto’’, ‘‘in secondo luogo’’, ‘‘inoltre’’, ‘‘in conclusione’’,
connettore come ‘‘siccome… allora’’, ‘‘se… allora’’, e altri simili. Queste forme
di connessione logica rendono più efficace la capacità interpretativa degli
studenti.
L’inferenza è il processo con il quale da una proposizione accolta come
vera si passa a una seconda proposizione la cui verità è derivata dal contenuto
della prima, ad esempio, ‘‘l’uomo è mortale e Socrate è un uomo’’ crea un
gioco inferenziale semplice: essendo un uomo, assume su di sé quanto è stato
predicato dell’uomo in generale, quindi è mortale’’ (Balboni e Mezzadri
2014:56).
L’insegnante deve aiutare gli
studenti
ad
individuare le
caratteristiche strutturali, logiche dei diversi tipi di testo e di generi testuali. A
questo proposito, Propp 1928 ha spiegato implicitamente perché anche il
bambino abbia una comprensione precisa della fiabe, la cui natura viene
indicata fin dall’inizio con l’espressione tipica ‘‘C’era una volta’’: questo
richiama dai frame la possibilità di un mondo particolare, in cui gli animali
parlano, in cui nonne vengono mangiate dal lupo ma ne escono vive ecc.
39
Il risultato di tali processi: la creazione di ipotesi (Expectancy
Grammar):
L’interazione tra ‘‘la conoscenza del mondo’’ ed ‘‘i processi cognitivi’’
attiva la expectancy grammar
che è la capacità di creare ipotesi
globale su ciò che può essere detto in un dato contesto (cioè la
situazione, i partecipanti, l’argomento, il luogo ecc.) e cotesto (le
parti
che
precedono
e
seguono
la
singola
parola
o
frase
da
comprendere).
La comprensione viene dunque come un processo globale che
reso possibile dalla conoscenza del mondo e da alcuni processi logici
cognitivi,
e
l’interazione
di
questi
due
elementi
coinvolge
l’intero
cervello a consente di creare delle ipotesi sui messaggi in arrivo. La
percezione del mondo secondo Gestalt, è gestita dal nostro cervello
secondo due modalità: globale (contesto) e analitico (cotesto), e con
una direzione precisa, dalla percezione globale a quella analitica. La
fase
della
globalità
consiste
nel
primo
approccio
ad
una
conversazione autentica tra i compagni, ad una pagina di un libro, ad
una canzone e
così
via.
Si
tratta di
un
testo
orale,
scritto
o
audiovisivo su cui poi si interviene in maniera analitica. Il passaggio
dalla percezione globale a quella analitica, avviene durante i vari
passaggi
dalla
comprensione
aver effettuato un’analisi
superficiale
a
più dettagliata ed
comprensione superficiale a una profonda,
della teoria gestaltica,
la sintesi.
In
quella
profonda.
Dopo
essere passati da una
si passa all’ultima fase
questa ultima fase si
tentare di realizzare una riflessione di ciò che si è appreso
permettano all’apprendimento di evolvere in acquisizione.
deve
che
Una delle
tecniche che attiva la expectancy grammar seguendo fedelmente il
percorso gestaltico globalità
analisi
sintesi è il cloze test.
40
2.3 LEGGERE
La lettura è una delle abilità più studiate a partire da un importante
articolo
di
Goodman,
pubblicato
nel
1976
dal
Reading:
titolo
a
psycholinguistic guessing game, in cui Goodman ha definito la lettura
come ‘‘a receptive psycholinguistic process wherein
the actor uses
strategies to create meaning from text’’. Un concetto evolutivo che
considera la lettura non solo un atto di decodifica i simboli, ma un
processo
di
riconoscimento
del
significato
di
parole
e
frasi
individuandone il valore che assumano come elementi di un discorso.
Urquhart & Weir (1998:22) definiscono la lettura come ‘‘a process of
receiving and interpreting information encoded in language form via
the
medium
of
‘‘Comprehension
print’’
occur
e
when
Koda
the
(2005:4)
reader
sottolinea
extracts
and
che
integrates
various information from the text and combines it with what is
already known’’.
Mentre leggiamo
e comprendiamo, siamo
coinvolti
attivamente
nella costruzione del testo; di fatto, interagiamo con il testo scritto
prevedendo ciò che leggiamo sulla base di ciò che abbiamo appena
letto, di ciò che già conosciamo dell’argomento, delle caratteristiche
tipografiche nel
processo
di
numerose
testo
lettura
in
conoscenze,
linguistico.
capacità
A
questo
linguistiche
riguardano
la
e
intorno
modo
al
efficiente,
competenze
proposito
e
conoscenza
testo.
e
Widdowson
codice
poter
condurre
lettore deve
capacità
competenze
del
il
Per
non
a
livello
distingue
comunicative.
e
possedere
solo
(1989)
le convenzioni
il
Le
fra
prime
sociali,
le
seconde la capacità di sfruttare le risorse della lingua per esprimere
significati.
La
lettura
insomma,
è
una
abilità
molto
complessa
che
composta da vari processi, e ci vuole una definizione più completa
per descrivere tale processo. In seguito elenco alcuni processi che
descrivono la abilità della lettura:
41
1. Leggere
in
modo
fluido
è
un
efficiente. Rapido indica un
processo
rapido
e
processo di lettura veloce
(circa di 250 – 300 parole al minuto) anche se sono
materiali
professionali
e
da
imparare.
Il
termine
‘‘efficiente’’ indica la fluidità con cui le abilità (come il
riconoscimento rapido ed automatico della parola, analisi
sintattica,
costruire
il
inferenza,
valutazione
significato,
critica
la
ecc.)
comprensione,
lavorano
fare
insieme
in
modo sincronico e senza percepire un stato di fatica.
2. La
lettura
leggiamo
come
per
un
capire
processo
quello
comprensivo:
che lo
scrittore
noi
intende
a
trasmettere tramite la scrittura. Ci sono vari scopi della
lettura ma assumiamo che lo scopo fondamentale della
lettura è la comprensione. Leggere non significa capire il
testo,
e
noi
sappiamo
che
questi
grandi
strumentalità e comprensione si articolano
temi
di
ulteriormente:
saper leggere strumentalmente che i tecnici lo chiamano
decodifica del testo che non implica necessariamente da
parte
del
lettore
la
comprensione
del
suo
significato.
Quindi parliamo di due fase della lettura: la decodifica
che è una traduzione grafema – fonema e riconoscimento
e denominazione corretta della parola, e la seconda fase è
la
comprensione
che
è
una
fase
di
costruzione
dei
significati. Vale a dire che la lettura non è l’unico processo
di
comprensione
comprensivo,
e
ma
anche
l’ascolto
ci
possiamo
anche
è
un
processo
parlare
della
interattivo:
come
comprensione visiva.
3. La
lettura
come
un
processo
abbiamo notato sopra che nella competenza della lettura
si intrecciano vari processi cognitivi in modo sincronico, e
questo modo di interazione è necessario per la fluidità
42
della lettura. La lettura si può considerarla come un tipo di
interazione tra lo scrittore ed il lettore.
4. Leggere è un processo strategico: il lettore usa tante
strategie
skills
e
informazioni,
durante
anticipare
la
le
lettura:
sintetizzare
informazioni
del
le
testo,
monitorare e correggere la propria comprensione ecc.
5. Leggere
è
leggiamo,
un
processo
facciamo
valutativo:
continuamente
valutazione:
ci
piacciono
quello
interessano
le
informazioni?
noi
un
che
quando
processo
dice
Siamo
l’autore?
d’accordo
l’autore? Vogliamo continuare a leggere? Questo
di
Ci
con
pattern
di valutazione dei testi interagisce con le nostre emozioni
ed atteggiamenti verso il testo.
6. La lettura è un processo linguistico: non è possibile
leggere senza fare una traduzione grafemica – fonemica,
senza riconoscere le parole e le strutture sintattiche che
organizzano
le
conoscenza
parole
linguistica
o
senza
avere
background
o
una
buona
knowledge
della
lingua del testo.
Questi
definizione
processi
completa
descritti
e
sopra
complessa
in
della
breve,
lettura,
ci
che
danno
li
una
possiamo
considerare anche come i suoi componenti, e ci danno una idea dei
processi
cognitivi
esercitati
dal
lettore fluente
durante
l’atto
della
lettura.
43
2.3.1 Tipi della lettura:
Dal momento che noi leggiamo per vari scopi, esercitiamo vari tipi di
lettura. In seguito elenco alcuni obiettivi della lettura e il tipo di
lettura esercitata:
1. Lettura per cercare delle informazioni (scanning and skimming)
2. Lettura che mira ad una comprensione veloce (skimming).
3. Leggere per studio e apprendimento.
4. Leggere per criticare e valutare e usare le informazioni.
5. Lettura per una comprensione globale.
6. Leggere per integrare conoscenze.
Questa lista non
descrive tutti gli
obiettivi
della lettura,
me
sottolinea il fatto che noi leggiamo ai fini diversi.
Per trovare un’ informazione specifica nel testo, noi esercitiamo
dei processi di ricerca (search processes) che include scanning and
skimming (Guthrie, 1988; Guthrie & Kirsch, 1987). Combinare lo
scanning
(cioè
esempio un
indentificare
forme
nome particolare,
grafiche
specifiche,
data, ecc.) con
lo
come
skimming
per
(cioè
costruire una comprensione veloce e semplice del testo) permette al
lettore di cercare le informazioni che gli servono. Inoltre, noi usiamo
lo skimming technique quando vogliamo scoprire di che cosa parla
il
testo,
e se vogliamo
spendere più
tempo
a leggerlo,
oppure
quando abbiamo un tempo limito e volgiamo estrarre le informazioni
più significate, quando dobbiamo lavorare con più testi e vogliamo
capire in quale troviamo l’informazione che ci serve. Lo skimming è
utile anche per fare delle revisioni di un testo già letto.
Leggere per
studio
e apprendimento:
questo
tipo
di
lettura,
rispetto a scanning and skimming, è un processo lento e si effettua
spesso
nell’ambito
accademico
e
professionale.
Noi
leggiamo
per
l’apprendimento, quando consideriamo le informazioni presentate nel
testo
(manuale
accademico
o
appunti
ecc.)
importanti,
e
le
44
impariamo
a
memoria,
magari
per
recuperale nel
futuro
vogliamo superare un esame o per effettuare dei task.
quando
Il lettore
integra le informazioni con le conoscenze della sua memoria a lungo
termine.
Leggere
per
sintetizzare i
integrare
contenuti
di
conoscenze,
diversi
testi,
chiede
o
di
dal
lettore
di
mettere insieme
le
informazioni significative da varie parti di un testo lungo come un
capitolo lungo e complesso di un libro (Perfetti, Rouet, & Britt, 1999).
Questo
obiettivo,
difficile
e
più
cioè
integrare
complesso
informazioni,
rispetto
a
quella
rappresenta
lettura
un
per
task
studio
e
apprendimento (Chall. 1983 [stage 4]). Il lettore costruisce il suo
frame (schema) di
informazioni,
che può
confronto,
punti-chiave,
problema-soluzione,
lista
di
avere diverse
strutture:
causa
effetto
ecc.
Lettura per valutare e criticare e usare le informazioni è il tipo
più
complesso
in
ambito
accademico:
si
richiedono
ai
lettori
di
valutare e criticare le informazioni di vari testi, di decidere quale
aspetto del testo è più importante, più persuasivo, meno persuasivo
ecc. e di trovare i rapporti tra le informazione di un testo con gli altri
testi.
Lettura per una comprensione generale: Carver 1992, definisce
questo tipo di lettura e dice ‘‘Reading for general comprehension is
the most common purpose for reading among fluent readers, and it
is the default assumption for thee term reading comprehension’’. È
un
tipo
di
lettura estensivo,
succede
quando
leggiamo
un
buon
romanzo che ci piace, una rivista, un articolo sul giornale. William
Grabe nel suo libro Reading in a second language sottolinea che il
lettore fluente è in grado di prolungare la lettura per molte ore senza
percepire
qualsiasi
comprehension
is
tipo
di
also
a
fatica
type
e
of
spiega
reading
‘‘Reading
that
is
for
general
carried
out
45
automatically for extended periods of time and with apparently few
processing difficulties’’.
2.3.2 La lettura come processo cognitivo:
Il lettore compie contemporaneamente più processi complessi, che si
suddividono
a
seconda
impegno cognitivo
processi
lavoro
di
o
basso
memoria
che
coinvolgano:
e processi
impegno
a
di
cognitivo
breve
di
riconoscimento
significato
automatico
della
delle
impegno
(coinvolgano
termine)
automatico delle parole, capacità di
costruzione
alto
processi
includono:
di
basso
cognitivo.
la memoria
I
di
riconoscimento
analisi sintattica della frase e
frase
parole
nei
suoi
include
a
vari
sua
livelli.
volta
Il
altre
componenti (subskills) che le spiego in seguito:
Riconoscimento automatico delle parole:
Il riconoscimento delle parole è un’ attività cognitiva fondamentale nella
lettura, e la comprensione dipende da una lettura giusta ed effettuata con
successo, e la diversità della comprensione nasce dalle abilità diverse della
lettura. William Grabe nel suo libro Reading in a second language spiega le
sotto abilità necessarie per il riconoscimento fluido delle parole e dice ‘‘ In order
for fluent word recognition to occur, a reader must recognize the word forms
on the page very rapidly, activate links between the graphic form and
phonological information, activate appropriate semantic and syntactic
resources, recognize morphological affixation in more complex word form, and
access her or his mental lexicon’’ (Grabe 2009:23).
A. Processi ortografici:
Uno dei processi principali della lettura è il riconoscimento visivo dei grafemi
delle parole (Cunningham, Perry, & Stanovich, 2011). Questi grafemi
includono lettere, gruppi di lettere, elementi visivi caratteristici dei grafemi.
46
Alcuni studiosi (Pressley2006; Rayner & Pollatesk, 1989) hanno spiegato la
relazione tra i processi visivi e la lunghezza della parola: ‘‘ there is a direct
correspondence between time needed for visual processing and the length of
a word. So letter recognition is an important subcomponent, and the more
letters involved, the longer the word-recognition time’’. I processi ortografici
sono importanti anche per riconoscere parole più complesse che sono
composte da più affissi ‘‘ […] many words are expansions of more basic words
through the addition of morphemes’’ (Anglin, 1993; Biemiller, 2005).
Conseguentemente,
il riconoscimento non è solo grafico ma anche
morfologico ‘‘Knowing how words are put together to form derived words
contributes directly to vocabulary growth and indirectly to reading
comprehension ability. Thus, the recognition of not only graphic forms but also
of morphological forms, and how may change meanings, is crucial (Carlisle,
2003; Cunningham, Perry & Stanovich, 2001);
B. Processi fonologici:
Prima dell’accesso lessicale, l’attivazione dei processi fonologici ha un ruolo
primario nel riconoscimento delle parole: ‘‘For the large majority of words that
are processed while reading, phonological activation of the form plays a major
role’’ (Hulme, 2005; Van Orden & Kloos, 2005). Questo aspetto è universale
ed è indipendente dal tipo di ortografia: ‘‘Even readers of Chinese characters
make use of the phonological clues in the characters and use phonological
information from the initial point of character recognition’’ (Chow, McBrideChang, &Burgess, 2005; He, Wang, & Anderson, 2005; Perfetti, 2003; Perfetti
& Tan, 1999). Molti autori hanno sottolineato il ruolo della consapevolezza
fonologica, che viene definita come l’abilità nell’elaborare i suoni del
linguaggio orale, ovvero come la capacità di analizzare e manipolare la
struttura linguistica delle parole, in presenza di adeguati stimoli verbali. Una
sotto-componente
specifica
della
consapevolezza
fonologica
è
la
consapevolezza fonemica: con questo termine, in particolare, si fa
riferimento alla capacità di riconoscere ed utilizzare i costituenti fonemici del
linguaggio parlato, cioè di operare con i fonemi. La consapevolezza fonologica,
47
quindi, comprende la capacità di elaborare sia i più piccoli suoni in cui è
scomponibile una parola, ossia i fonemi (consapevolezza fonemica), sia le
unità più grandi, come sillabe o gruppi di sillabe.
La consapevolezza fonologica è un’abilità metalinguistica, in
quanto implica la riflessione sulle caratteristiche del linguaggio, ed è
generalmente considerata molto importante per il processo di apprendimento
della lingua scritta, soprattutto all'inizio del processo di alfabetizzazione
(Scalisi, Pelagaggi & Fanini, 2003). Per poter acquisire la corrispondenza tra
lettere (grafemi) e suoni (fonemi) è, infatti, importante che il bambino “pensi”
alle parole come composte da tanti suoni, che possono essere scomposti e
ricomposti, e che sia in grado di riconoscere le somiglianze e le differenze
fonologiche tra le parole. La “non consapevolezza” della struttura interna della
parola può
contribuire
alle difficoltà del
bambino
nell’acquisire
la
corrispondenza suono-lettera e dunque alla lentezza del processo di
apprendimento del meccanismo di decodifica del testo scritto;
C. Processi semantici e sintattici:
Le informazioni semantiche e sintattiche contribuiscono al riconoscimento
delle parole, ma l’effetto dei processi semantici e sintattici è meno evidente,
perché l’attivazione semantica è lenta rispetto a quella fonologica e
ortografica. Prima dell’accesso lessicale, le informazioni semantiche e
sintattiche contribuiscono al riconoscimento della parola attraverso la
diffusione dell’attivazione automatica8. Grabe William (2009) spiega il
meccanismo della diffusione dell’attivazione e dice: ‘‘According to the notion
of spreading activation, words that are recognized or activated spread some
activation or energy to their semantic neighbours (collocates, similar meaning)
in the lexical network when they are accessed. If a related word is then being
accessed, it will be activated by the association with a previously activated
word’’
8
La diffusione dell’attivazione è un metodo di ricerca per reti associativi, neurali e semantiche.
48
‘‘compa gno, vi ci no, s i mi l e,
a more, a mi ci zi a …’’
‘‘fare l’amico, amico
fidato, amico di…,
amico di infanzia…’’
‘‘nemi co, dico, pudico …’’
Attivazione
di una parola
I processi a ‘‘basso impegno cognitivo’’
Processo sintattico-semantico e accesso lessicale
Memoria di lavoro a breve termine:
La memoria a breve termine (MBT) si caratterizza per essere un sistema a
capacità limitata, nel quale può essere trattenuta una quantità ristretta di
informazioni per un breve periodo di tempo. Le unità (singoli elementi o
raggruppamenti comunque ricordati come unità) che possono essere ritenute
in tale sistema mnestico sono circa sette, più o meno due, come misurato in
un famoso lavoro di Miller (1956), e la traccia è soggetta a rapido
decadimento, se non interviene un processo di ripetizione.
Già negli anni sessanta alcuni Autori (Atkinson e Shiffrin 1968; Hunter
1957; Newell e Simon 1972) sostenevano l’idea che la MBT giocasse un ruolo
importante nelle attività cognitive agendo come una memoria di lavoro
temporanea in cui l’informazione era mantenuta e manipolata. Tale ipotesi è
stata approfondita da Baddeley e Hitch (1974) che, sulla base dei loro studi
(in Baddeley, 1995), hanno evidenziato che la memoria a breve termine può
essere delineata come una memoria di lavoro, o ( working memory), ossia
49
come "un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione
dell'informazione durante l'esecuzione di differenti compiti cognitivi, come la
comprensione, l'apprendimento e il ragionamento" (Baddeley, 1986, p46).
Gli autori hanno però rifiutato, sulla base di risultati sperimentali (in
Baddeley 1995), il modello di MBT unitario predominante all’epoca e l’hanno
sostituito con un modello di working memory a tre componenti (Baddeley e
Hitch, 1974; Baddeley, 1986):
1. Un circuito fonologico-articolatorio, deputato al mantenimento
dell’informazione verbale e acustica. Tale sistema è costituito da due
componenti: un magazzino fonologico, che può mantenere la
rappresentazione fonologica dell’informazione per un breve lasso di
tempo e un processo di ripasso articolatorio, che permette di rinfrescare
la traccia mnestica contenuta nel magazzino fonologico attraverso un
meccanismo di rilettura della traccia che poi potrà essere inviata
nuovamente al magazzino e così essere mantenuta più a lungo.
2. Un
taccuino
viso-spaziali,
responsabile
dell'elaborazione
e
l'immagazzinamento delle informazioni visive e spaziali. Si ipotizza che
tale componente
sia anche
connessa con
la preparazione
e
manipolazione delle immagini mentali.
3. Un esecutivo centrale, che controlla e coordina i due sistemi sussidiari
sopra descritti (il circuito fonologico-articolatorio ed il taccuino visuo
spaziale), ha la funzione di integrazione delle informazioni elaborate da
questi due sistemi e di elaborazione e selezione di strategie volontarie e
coscienti.
Numerosi studi hanno riscontrato che la memoria di lavoro, con le sue
componenti, risulta implicata a diversi livelli nell’apprendimento della lettura
(Siegel, 1994; de Jong & van der Leij, 1999; Meyler & Breznitz, 1998):
-
Circuito fonologico-articolatorio e lettura. La maggioranza degli studi
sulla relazione tra apprendimento della lingua scritta e lettura si è
soffermata sul ruolo della MBT fonologica, che nel modello di Baddeley
50
corrisponde al circuito fonologico-articolatorio. In particolare sembrerebbe
che tale componente sia importante soprattutto negli stadi iniziali di
apprendimento, nei quali contribuirebbe all’apprendimento a lungo termine
delle corrispondenze tra grafemi e fonemi (Gathercole & Baddeley, 1993;
D’amico, 2000). Un’ulteriore funzione del circuito fonologico-articolatorio
che sembra influenzare la capacità di lettura è l’acquisizione di nuove
parole e quindi l’arricchimento del vocabolario linguistico (Baddeley,
Gathercole & Papagno, 1998) che, a sua volta, è risultato essere un
importante predittore della comprensione del testo, soprattutto nelle fasi
più avanzate di apprendimento (ad es., de Jong e ven der Leij, 2003).
-
Taccuino viso-spaziale e lettura. La relazione tra memoria a breve
termine viso-spaziale ed apprendimento della lingua scritta è stata
scarsamente studiata, almeno negli ultimi anni. Tra gli esigui contributi in
tal senso segnaliamo uno studio di Meyler & Breznitz (1998), i quali hanno
affrontato il problema in base alla considerazione che la lettura inizia
proprio con processi di tipo visivo. Come sottolineato dagli Autori, nella
lettura i processi uditivi-fonologici e visivi-ortografici interagiscono a diversi
livelli, tanto che i principali modelli di sviluppo della lettura prevedono
l’intervento di fattori visivi ai diversi stadi del processo di apprendimento
(es. Frith, 1985), quindi in teoria ci si dovrebbe aspettare che le difficoltà
di apprendimento di lettura e scrittura siano legate anche a problemi
nell’elaborazione visiva di materiale stampato. Gli Autori esaminano la
relazione tra la memoria di lavoro (nelle sue componenti fonologica e visospaziale) e la lettura in uno studio longitudinale condotto su bambini della
scuola dell’infanzia seguiti fino alla seconda classe. I risultati della ricerca
indicano che sia la memoria fonologica che quella visiva sono correlate
significativamente con le successive abilità di decodifica. La rilevanza della
memoria a breve termine viso-spaziale per l’apprendimento della lingua
scritta è confermata in uno studio più recente da Gathercole, Alloway, Wills,
51
Adams (2006). Gli Autori hanno, infatti, riscontrato un deficit in prove di
MBT viso-spaziale in bambini con difficoltà di apprendimento della lettura.
-
Esecutivo centrale e lettura. Gli studi che hanno indagato la relazione
tra esecutivo centrale e lettura hanno utilizzato soprattutto compiti di
memoria
complessi,
che
richiedono
sia
l’immagazzinamento
sia
l’elaborazione dell’informazione in entrata: è stato ipotizzato che la
componente di immagazzinamento sia legata al circuito fonologicoarticolatorio o al taccuino viso-spaziale, a seconda della modalità di
presentazione dell’informazione, mentre la componente di elaborazione
coinvolga l’esecutivo centrale (Baddeley & Logie, 1999; Cocchini, Logie,
Della Sala, MacPherson, & Baddeley, 2002). Numerosi studi hanno
evidenziato che il punteggio ottenuto a tali prove è un buon predittore della
prestazione nella lettura (ad es. Swanson & Howell, 2001). In particolare
lo span di memoria di lavoro è risultato avere un’alta correlazione con la
comprensione della lettura, così come mostrano numerosi studi condotti su
campioni di diverse età e competenze (in Baddeley, 1995). Coerentemente
a tali risultati è stato riscontrato, in bambini con difficoltà specifiche nella
comprensione del testo, un deficit specifico nella componente esecutiva
centrale della memoria di lavoro (ad es. Oakhill, Yuill, & Parkin 1986),
anche se uno studio più recente (De Beni, Palladino, Pazzaglia, 1995) su
bambini italiani ha evidenziato uno stretto rapporto tra comprensione della
lettura e funzionalità della memoria di lavoro in tutte le sue componenti, e
non solo nell’esecutivo centrale.
Processi ad alto impegno cognitivo:
Verso la fine degli anni ’70 si fece un passo avanti nello studio della
comprensione testuale, quando si affermò che l’unità di rappresentazione
mentale del discorso non necessariamente coincidevano con le strutture
superficiali del discorso parlato e scritto. Questo passo avanti avvenne grazie
52
ai lavori di Kinsch nel 1974 all’università di Colorado e successivamente anche
grazie a van Dijk. Prima di tutto, Kinsch aveva sostenuto che la preposizione
e non la parola e la frase, poteva rappresentare il significato della porzione di
testo che rappresenta. Successivamente, nel 1978, grazie alla collaborazione
con Teun
van
Dijk,
Kinsch elaborò
un
modello
teorico
completo
dell’elaborazione dei testi, chiamato il modello semantico-proposizionale
1978. Questo modello spostava l’attenzione dall’elaborazione del significato
dalle singole frasi all’elaborazione della proposizione, che a differenza
dell’annunciato, e la più piccola unità discorsiva dalla quale si può constatare
il suo valore di verità.
Fu proprio Kintsch a parlare di interattività. Nel suo primo modello aveva
collocato la comprensione nel quadro dell’interazione del testo, il lettore e il
processo di lettura, nonostante in questa prima versione del modello avesse
messo ancora da parte la realtà psicologica del processo di comprensione.
Successivamente e in autonomia da van Dijk, Kintsch
ha considerato la
proposizione come una relazione tra concetti. Le proposizioni, all’interno del
testo, sarebbero organizzate gerarchicamente, più in alto si trovano quelle
fondamentali, funzionali a una corretta comprensione del testo, e, in basso,
ci sarebbero quelle secondarie.
Secondo Kintsch comprendere un testo significa ‘‘costruire un modello
mentale in cui le idee espresse nel testo siano interconnesse con la conoscenza
a priori e formino con essa un insieme coerente di tipo gestaltico, diverso cioè
dalla semplice somma degli elementi percettivi e delle caratteristiche
semantiche’’ (Kintsch,1998: 93).
Altro livello di comprensione e analisi che il lettore può operare sul testo
è il modello situazionale: il lettore si fa circa la situazione rappresentata nel
testo utilizzando le inferenze indispensabili per capirlo sulla base delle proprie
conoscenze pregresse. Le informazioni del testo vengono integrate con le
conoscenze extratestuali possedute dal lettore e suoi legami con il contesto
generale. Van Dijk e Kintsch (1983) definiscono il modello situazionale come
una rappresentazione cognitiva degli avvenimenti, azioni, individui e della
53
situazione generale evocata dal testo. Il modello situazionale prevale quando
un soggetto riesce a fare delle inferenze riguardanti il contenuto del testo,
anche se non ricorda il testo stesso; questa situazione si presenta nel caso in
cui il lettore conosce talmente bene il tema trattato che, anche se non
memorizza il testo che ha letto, riesce a formare un modello situazionale
adeguato. Queste situazioni dimostrano che lettori diversi, che di conseguenza
hanno conoscenze pregresse, interessi e esperienze diverse, di fronte allo
stesso testo costruiscono una mescolanza personale di questi due aspetti della
rappresentazione mentale del testo. Il processo di comprensione non avviene
quindi solo per decodificare singole frasi o attraverso la capacità di collegare
fra loro le singole proposizioni, ma anche attraverso il modello situazionale;
vale a dire la rappresentazione mentale del lettore relativa a ciò a cui il testo
riferisce.
L’attribuzione del significato al testo si realizza attraverso una complessa
rete di processi fra loro diversi ma complementare. Da un lato, la lettura
implica che il lettore sia in grado di decodificare i diversi livelli linguistici, dalla
singola parola alle singole frasi (bottom-up), e di decodificare le informazioni
direttamente reperibili nel testo con atteggiamento sostanzialmente recettivo;
dall’altro, egli è chiamato a integrare attivamente i dati veicolati dal testo con
le informazioni che fanno parte del suo patrimonio personale riguardanti
l’universi di significati entro cui si iscrive il testo e mediante la conoscenza delle
regole linguistiche (top-down). Il lettore esperto, insomma, utilizza
contemporaneamente le informazioni di tipo lessicale, semantico e sintattico
di cui espone per giungere ad attribuire il significato più probabile al testo.
2.4 Il cloze test: Origine e definizione
Il cloze test è un tipo di tecnica, principalmente usato per i fini della verifica di
comprensione, che consiste nella ricostruzione di un brano tramite il
rinserimento di alcune parole precedentemente cancellate secondo vari criteri.
(Nuccorini 2001: 15). La procedura ‘‘cloze’’ fu introdotta ufficialmente nella
54
letteratura psicolinguistica con il saggio del giornalista Wilson Taylor (Cloze
43-46) come metodo di misurazione della leggibilità dei testi.
Una unità cloze viene definita come qualunque occorrenza di un tentativo
riuscito di riprodurre accuratamente una parte cancellata da un ‘messaggio’
attraverso la valutazione della parte mancate, basata sul contesto rimanente
(Taylor, Cloze 46). Come osserva Stefania Nuccorini, la parola cloze rimanda
alla capacità di ‘chiudere’ il test incompleto ricostruendone la sua interezza
attraverso una closure. La ricostruzione del ‘‘brano bucato’’, effettua
riempiendo i ‘‘vuoti’’ creati, dovrebbe restituire il testo di partenza nella sua
interezza originale, pur tenendo presente, a livello di valutazione, la possibilità
di considerare corretti anche inserimenti di parole diverse da quelle originarie,
ma accettabile secondo vari parametri di natura sintattica, semantica e
pragmatico-testuale (Nuccorini 2001:15).
Il riferimento iniziale era il legame tra la capacità, nell’ambito della
psicologia gestaltista, di finire, ‘‘chiudere’’ in qualche modo una figura
incompleta attraverso un processo denominato closure (da cui close e la sua
forma contaminata cloze), e l’analogia capacità, nell’ambito degli studi sulla
misura della leggibilità, e successivamente, della comprensione di testi scritti,
di completare, ricostruire, le parti mancati, di un brano di prosa. (Ivi, p. 16).
Il cloze è stato oggetto di vari esperimenti con diverse finalità tra cui:
1. Dimostrarne la validità come prova integrata e pragmatica, secondo la
definizione di Oller 1979, un tipo prova, cioè, che verifica più abilità al
tempo stesso;
2. Misurarne la correlazione con altri tipi di verifica della comprensione di
brani e la capacità di indicare il livello di conoscenza delle lingue
straniere (Bormuth, 1967, Heilenman, 1983, Alderson, 1979, Fotos,
1991);
3. Analizzare l’efficacia, soprattutto nei primi tempi, in rapporto alla
misurazione delle leggibilità-comprensibilità dei testi (Taylor, 1953,
Bormuth, 1968).
55
Il cloze può essere applicato a testi di lingua madre e servire sia come
prova di valutazione che come strumento didattico. Elenco di seguito alcuni di
questi scopi nel dettaglio:
-
Strumento diagnostico per individuare globalmente il livello linguistico cognitivo degli studenti
-
Stimolo alla riflessione linguistica sul piano morfologico, sintattico,
lessicale, stilistico
-
Mezzo per avviare una discussione orale relativa alla riflessione linguistica
attivata durante l’esercizio e per fare, quindi, lezioni di grammatica e di
lessico
-
Verifica della comprensione ed apprendimento di determinati concetti o
procedure, che sono state oggetto di studio in classe (C. Marello 1989:1).
Quando la procedura cloze ha cominciato ad essere usata a fini didattici,
l’accento si è spostato dalla misurazione della leggibilità-comprensibilità alla
misurazione della comprensione di testi scritti, cioè dalla readability (del testo)
alla reading ability (del lettore) […] il passaggio successivo ha visto
l’utilizzazione della cloze procedure non più e non soltanto in relazione alla
lingua madre (L1), ma anche nell’ambito dello studio di una lingua straniera
(L2). (Stefania Nuccorini :18-19).
È bene tenere presenti le differenze tra l’utilizzazione di un cloze
nell’ambito didattico rispetto al cloze test, cioè una prova di verifica: infatti il
cloze viene spesso usato più come una teaching technique che come una
testing technique, in quanto molti sostengono che il suo scopo più immediato
sia ‘‘one of the language development’’ e più in particolare, ‘‘to develop
vocabulary’’ (Carter, 1988, p. 161).
56
2.4.1 Il cloze test classico e il cloze test mirato:
Per cloze classico si intende un testo bucato secondo una ratio fissa,
cancellando una parola ogni 5 oppure 6, 7,
eccetera: ‘‘questa procedura
statica, quindi casuale per quel che riguarda la natura delle parole da
cancellare, ma al tempo stesso predeterminata per quel che riguarda gli
intervalli tra i buchi, […] Per cloze mirato si intende un testo bucato
cancellando solo determinate parole, o parti del discorso, ad esempio solo
preposizioni,
oppure
congiunzioni,
eccetera,
indipendentemente
dalla
posizione che occupano’’. (Nuccorini:20).
1. Cloze classico:
Un cloze classico (in cui le parole vengono cancellate secondo criteri fissati)
misura la capacità di comprensione del testo secondo vari fattori, tra cui,
ricordo, il contenuto preposizionale del brano, la sua corrispondenza alle
caratteristiche testuali relative al tipo del testo prescelto. Tra questi fattori si
possono includere anche fattori extratestuali, connessi con i destinatari, relativi
a conoscenza enciclopediche, alla familiarità con il cloze test.
Di tutti questi fattori, si deve tener conto nella fase di preparazione di un
cloze. Normalmente, l’intervallo tra i ‘‘buchi’’ va da un minimo di ogni 5 parole
a un massimo di 10, al di sotto di 5 la costruzione del testo sarebbe troppo
‘‘difficile’’, in quanto verrebbero probabilmente a mancare (troppi) elementi
chiave sia a livello sintattico che semantico; al di sopra di 10 l’attività di
riempimento
del testo risulterebbe troppo ‘‘facile’’
per una probabile
ridondanza di indizi sia lessicali sia grammaticali. (Stefania Nuccorini 2001:21).
2. Cloze mirato:
Il cloze mirato è la stessa tecnica applicata ai casi di completamento di un
testo, ma in cui le parole che vengono tolte sono scelte dall’insegnante in
base a criteri testuali o grammaticali. Si tratta, cioè, di cancellazioni finalizzate,
non casuali, ‘‘mirate’’, appunto, alla verifica di competenze linguistiche di vario
tipo.
57
Si può mirare alla verifica della comprensione dei legami logico-strutturali
che intervengono in un testo eliminando elementi di tipo (coesivo): connettivi
logici o temporali, deittici, sinonimi, elementi di catena anaforica, ecc. Quindi
il cloze mirato è una procedura di cancellazione selettiva (cfr. Bachman, 1982,
1985) relativa, in particolare, a elementi di tre tipi:
-
Di natura sintattica, sia all’interno della clausola che della frase;
-
Di natura coesiva, tra frasi all’interno del testo.
-
Di natura strategica extra-testuale.
Questo tipo di cloze ha una utilizzazione piuttosto limitata, proprio per
la sua estrema selettività. I cloze preparati in questo modo si prestano meglio
ad essere utilizzati nell’ambito della didattica, soprattutto per l’insegnamento
e apprendimento di una L2 (cfr. Carter, 1987:177). Si può cancellare un
numero predeterminato di parole appartenenti alle varie classe grammaticali,
ad esempio 5 pronomi, 5 verbi, eccetera. Nel suo libro Le sfide di Babele,
Balboni ha riassunto diversi varianti della procedura cloze:
a) Cloze classico: si lasciano integre due-tre righe del testo, in modo che
il lettore possa creare un minimo di contesto, e poi si toglie una parola
ogni sette, che può essere semplice articolo così come un verso
essenziale;
b) Cloze a crescere: si inizia eliminando ogni settima parola, poi si passa
a cancellare ogni sesta o anche ogni quinta parola;
c) Cloze facilitato: adatto alle fasi iniziali e con bambini, presenta in calce
le parole da inserire (spesso con l’aggiunta di una parola inutile: trovare
l’intruso aggiunge un tocco ludico a questa tecnica);
d) Cloze meccanici: realizzati con strumenti alternativi all’eliminazione di
ogni settima parola, ad esempio: piegando il lato della fotocopia si fa
scomparire un centimetro o due del testo, a sinistra o a destra: per
correggere la propria esecuzione basterà riaprire la fotocopia e
verificare se le proprie ipotesi sono giuste; oppure si può incollare una
58
strisciolina di carta o un nastro adesivo-rimovibile di traverso sul testo,
creando quindi un vuoto casuale che va riempito: per correggere,
basterà rimuovere la striscia e verificare l’originale;
e) Cloze orale: per mezzo del registratore audio o video è possibile
eseguire dei inserendo una pausa di quando: lo studente cerca di
immaginare non tanto la parola quanto la frase o il concetto che
seguiranno; si toglie poi la pausa e la correzione è immediata. (Balboni
2015:164).
2.5 ASCOLTARE
In questa sezione ho posto l’attenzione su quella che viene considerata la
prima e più elementare delle abilità linguistiche: la comprensione orale. La
seconda abilità ricettiva trattata è l’ascolto. Saper ascoltare è un’abilità
importante ed estremamente utile nella vita. È indispensabile durante il
percorso scolastico, nelle varie circostanze personali, è insostituibile nelle
relazioni con gli altri, siano essi coetanei, genitori, figli ecc.
La comprensione di testi orali si differenzia dalla comprensione di testi scritti
per alcuni aspetti specifici del testo orale, quali la fonologia, l’accento, il ritmo,
la struttura del discorso. Per capire un testo orale occorre conoscere i suoni.
Ma quando il discorso è veloce, la pronuncia dei suoni può cambiare per
l’assimilazione dei suoni o per la loro elisione. Dall’altra parte, in una situazione
formale, chi parla tende ad adottare una pronuncia standard e ad articolare
meglio i suoni e rispetto a situazioni informali, così come un’informazione
importante tende ad essere articolata in modo più chiara rispetto ad
informazioni considerate poco rilevanti.
L’ascolto, da molti definito la Cenerentola delle abilità (Nunan 2002;
Vandergrift 1997). L’ascolto condivide con il parlato una condizione di
reciprocità, in quanto il più delle volte nell’interazione quotidiana tra parlanti
queste abilità si esercitano una in funzione dell’altra e si adattano l’un l’altra
modificandosi continuamente. Nell’insegnamento della lingua orale occorre
59
quindi prestare attenzione a questa condizione di interazione, proponendo
attività che presentino situazioni in cui l'ascolto sia funzionale al parlato e
viceversa, e si sviluppino competenza relative alla capacità di ascoltare, di
adattare e di modificare il proprio discorso in funzione dello scopo
comunicativo che si persegue.
2.5.1
L’ascolto è un processo attivo:
Sentire (recepire cioè dei suoni tramite il canale uditivo) non equivale ad
ascoltare
(predisporsi
ad
un’attività
consapevole),
né
ascoltare
è
necessariamente sinonimo di comprendere: in realtà, chi ascolta sente un
input, cioè il discorso verbale in entrata, solitamente mescolato ad altri segnali
sonori come i rumori di fondo, e da questo input seleziona indizi per potersi
costruire un modello o rappresentazione mentale del messaggio che il parlante
sta cercando di trasmettere (Anderson e Lynch 1988).
L’ascolto è un fenomeno piuttosto complesso che si fonda sulla
percezione e sulla comprensione di segnali acustici contestuali e socialmente
codificati che, a loro volta, attivano processi cognitivi e psicologici a vari livelli.
Esso mette in azione un insieme di conoscenze linguistiche, cognitive e
pragmatiche attraverso le quali vengono elaborate le informazioni trasmesse
dal parlante per trasformarle in comprensione.
Il processo uditivo sembra essere caratterizzato da tre fasi distinte: la
prima, chiamata della memoria dell’eco, è quella in cui i suoni, riorganizzati in
unità significative relativamente alla conoscenza della lingua che ciascun
individuo ha, sono ‘‘immagazzinati’’ per breve tempo. Questo non consente
però a chi ascolta di compiere la stessa operazione se nuovi suoni continuano
ad arrivare. Nella seconda fase, le informazioni vengono processate dalla
memoria a breve termine; parole o gruppi di parole sono messi a confronto
con quanto abbiamo già a disposizione nella memoria a lungo termine, e
attribuiamo quindi significato alle parole. Determinante è, pertanto, la
familiarità che si ha con l’ascoltare e che consente di processare più
rapidamente e in modo automatico ciò che si è già sentito in altre occasioni.
60
Nella terza fase si elabora e si riassume quanto si è processato e lo si colloca
nella memoria a lungo termine, In questa ottica, l’ascolto è veramente un
processo sommamente attivo (cfr. Lopriore L. 2011:22-23).
L’abilità di ascolto è un processo che include la costruzione di significati,
grazie all’integrazione delle conoscenze disponibili da parte di chi ascolta, il
“noto”, con l’input sonoro in ingresso. La comprensione è inoltre influenzata
da variabili quali il contesto di situazione, chi parla e chi ascolta. Michael Rost
(2002) ha individuato le componenti del processo di ascolto:

La ricezione di ciò che il parlane dice (orientamento ricettivo);

La costruzione e la rappresentazione del significato (orientamento
costruttivo);

La negoziazione del significato insieme al parlante e l’eventuale risposta
(orientamento collaborativo);

La creazione del significato attraverso il coinvolgimento e l’empatia
(orientamento trasformativo).
Durante la comprensione orale si innesca quindi un processo di
interpretazione attraverso il quale noi associamo ciò che già conosciamo con
ciò che udiamo. Noi mettiamo in atto tutta una serie di conoscenze linguistiche
ed extra-linguistiche attraverso la quale elaboriamo il flusso di rumori percepiti
dall’udito per trasformarli in comprensione (McDonough & Shaw 2003).
Anche O’Malley e Chamot, studiosi delle strategie utilizzate dagli
apprendenti di lingue straniere, sottolineano il carattere attivo del processo di
ascolto: ‘‘La comprensione orale è un processo attivo e consapevole in cui chi
ascolta costruisce il significato usando indizi a partire da informazioni
contestuali e da conoscenze esistenti, affidandosi contemporaneamente a
molteplici risorse strategiche al fine di portare a termine quanto richiesto dal
compito (O’Malley e Chamot 1989:420).
L’ascolto è, pertanto, un sistema attivo e dinamico che mette in campo
conoscenze linguistiche (fonologiche, grammaticali, sintattiche, semantiche e
discorsive) ed extra-linguistiche (conoscenza dell’argomento e del contesto,
61
conoscenze pregresse e esperienziali). L’ascoltatore non riceve il messaggio
acustico così com’è, ma ne interpreta il significato a partire dal contesto della
comunicazione ‘‘Un buon ascoltatore non è ricettore passivo, ma qualcuno che
cerca attivamente di costruire una rappresentazione mentale coerente ed
eliminare le incongruenze eventualmente presente in tale rappresentazione’’
(Brown 1986:286). Ascoltare per capire comporta quindi un processo di
ricostruzione di significato durante il quale si ricerca di dare senso a un insieme
di suoni e di parole.
2.5.2
La comprensione orale: strategie di decodificazione.
Durante l’ascolto, che comporta la ricezione e la comprensione di un
messaggio (o più in generale di un “testo” orale), si mettono in gioco diversi
processi, riconducibili a due macro-categorie:
•
Top-down (o “dall’alto”), è un approccio di tipo cognitivo o deduttivo
(dal generale al particolare), che consiste nel fare previsioni sul
contenuto del testo sulla base della propria esperienza o tramite
l’osservazione sensoriale di elementi paralinguistici (rumori di fondo,
mimesi, cinestesia, gestualità, prossemica). Tramite l’attivazione di
questi
schemi
di
riferimento
(le
cosiddette
“conoscenze
enciclopediche”) si può quindi tornare ad analizzare il testo nel
particolare dell’aspetto linguistico per confermare (o meno) le
ipotesi formulate e decodificare il messaggio.
•
Bottom-up (o “dal basso”), è l’approccio che parte direttamente
dalle informazioni in entrata tramite la ricezione della stringa sonora
(dal singolo suono alla parola, dalla parola alla frase, etc.) e la sua
decodifica. Quindi, tramite un processo induttivo (dal particolare al
generale), si arriva alla comprensione del significato più generale
del testo (dell’evento comunicativo o del messaggio).
62
Facendo riferimento allo schema di Camilla Bettoni (2001), si comprende
facilmente quanto il processo di comprensione all’ascolto sia realizzato tramite
un approccio misto bottom-up e top-down in quel percorso di trasformazione
dell’enunciato da pura stringa acustica a messaggio compreso:
1. Nel momento in cui riceve fisicamente il messaggio acustico,
l’ascoltatore attiva innanzitutto le procedure di ricezione uditiva e
riconosce il suono come stringa fonetica.
2. La stringa fonetica viene quindi decodificata in due processi
successivi tramite le conoscenze linguistiche (o lessicali). Ad una
prima elaborazione fonologica, che decifra la stringa sonora dalle
singole lettere alle parole, ottenendone così la struttura superficiale
(la “forma”, fatta di caratteristiche fonologiche e morfologiche)
segue una elaborazione grammaticale, che riconosce le singole
forme come lemmi (con le loro caratteristiche sintattiche e
semantiche) e mettendole in relazione le costituisce finalmente
come enunciato.
3. L’enunciato
così
ottenuto
viene quindi
interpretato
tramite
l’attivazione delle conoscenze generali (conoscenze enciclopediche,
contesto paralinguistico, modelli del discorso, etc.) completando
così la comprensione.
Secondo questo modello, il processo di comprensione del messaggio
parlato si basa dunque su una sequenza di procedure (ricezione, decodifica,
interpretazione) che operano sulle conoscenze (linguistiche e generali)
dell’ascoltatore.
Alcuni studi sul linguaggio e sulle lingue ci dicono che chi apprende una
lingua straniera può fare riferimento alle conoscenze che già possiede
relativamente alla propria lingua madre (o ad altre lingue straniere apprese),
specialmente se l’ultima è tipologicamente simile alla lingua straniera.
Soprattutto nelle fasi iniziali dell’apprendimento di una lingua straniera, sono
infatti le somiglianze lessicali con la lingua madre che aiutano l’apprendente
63
alla segmentazione dell’input in parole, in particolare se – rispetto all’italiano
– nella lingua madre di chi apprende è presente quello che possiamo definire
il “lessico comune europeo” di derivazione greca e latina. (cfr. Superti 2010:
69 - 70).
2.6 Didattica dell’ascolto in L2:
Quando si insegna l’italiano come lingua straniera, occorre prendere in
considerazione le difficoltà che chi non consce bene una lingua straniera può
incontrare nell’ascolto di un testo o un interlocutore in una situazione
autentica. Motivo d’ansia di chi apprende può essere, ad esempio,
l’impossibilità di controllare la velocità con cui si esprimono le persone con le
quali si interloquisce o l’incontro con parole sconosciute o la mancanza di
conoscenze sull’argomento trattato nel testo. La sensazione di non poter
fermare e riesaminare il flusso di parole dell’interlocutore riduce infatti la
capacità di comprensione. A volte basta focalizzare l’attenzione e l’ascolto solo
su alcune parole oppure attivare le conoscenze pregresse di chi ascolta su un
determinato argomento per fare svanire l’ansia e attivare un ascolto positivo.
Un ulteriore elemento ansiogeno è la sensazione di avere a disposizione un
lessico limitato, e pertanto non riuscire a comprendere cosa si ascolta. Anche
in questo caso, o l’attivazione precedente l’ascolto di parole che saranno
successivamente udite, o la costruzione di una griglia di ascolto che consenta
di focalizzare l’attenzione solo su alcune parole chiave, può ridurre la tensione
che deriva dal dovere in qualche modo tenere sempre sotto controllo una
grande quantità di parole. (cfr. Lopriore L. 2011:26-27).
Gli elementi extralinguistici e paralinguistici sono molto importanti per
favorire la comprensione orale dello studente: la mancanza di consapevolezza
delle caratteristiche della lingua parlata e di conoscenza di quelli che sono gli
elementi che segnalano i passaggi o la successione di argomenti, così come
dei segnali che chi parla usa per facilitare l’ascolto, può rendere difficile la
comprensione. Al contrario, attività che focalizzano tali segnali riescono poi a
64
far concentrare l’ascoltatore solo sulle parte più importanti del discorso. Vale
a dire che se ascoltare senza vedere l’interlocutore può causare problemi in
lingua madre, molti di più questa condizione ne causa a chi ascolta in lingua
straniera. Non essere in grado di osservare i mutamenti nell’espressione del
viso, i cenni di assenso o di diniego, fraintendere poi quelli che sono i segnali
paralinguistici tipici di altre culture, quali il noto della voce o le pause, sono
tutti elementi che rendono la comprensione di un messaggio orale molto più
difficile. Questo tipo di difficoltà può essere affrontata con l’utilizzo di video
che diano modo di osservare anche come certe espressioni siano
accompagnate da determinati gesti, movimenti o pause, oppure osservare
come l’assenza di gestualità di alcune culture non abbia lo stesso significato
che essa ha in altre. È in questo senso che attività che espongono a una varietà
di modalità discorsive di culture diverse possono sostenere la comprensione.
Nella tradizione didattica, quando si parla di lezione, si pensa soprattutto
ai metodi espositivi in cui l’insegnante trasmette le informazioni agli allievi. Vi
sono diverse modalità tra le quali ci interessa quella più attiva e operativa, in
cui gli studenti sono resi più partecipi, grazie alla proposta delle attività ed
esercizi. A questo proposito, si ritiene che sia indispensabile accompagnare il
testo orale con diverse attività preparatorie e predisporre gli eventuali materiali
che saranno utilizzati per eseguirle. Beretta e Gatti (1999) hanno suggerito
uno schema che organizza la lezione di ascolto, e divide le attività in diverse
tre fasi:

Prima dell’ascolto (fase di anticipazione). Lo scopo è costruire le
condizioni necessarie per un’adeguata ricezione del messaggio. Si
svolgono in questa fase alcune attività per ricostruire il contesto e
attivare le conoscenze enciclopediche, al fine di attivare ‘‘schemi e
copioni’’ mediante strategie di produzione, anticipazione, formulazione
di ipotesi con tecniche di brainstorming9 e mappe cognitive. Le attività
in questa prima fase mirano anche a motivare gli studenti, a suscitare
9
È una attività libera, in cui gli studenti buttano giù parole, spezzoni di idee comuni e relative al
tema da ascoltare.
65
interesse e creare aspettative nei discenti verso il tema proposto e
danno all’insegnante la possibilità di fornire un contesto culturale,
situazionale e linguistico per il materiale che verrà presentato. Le
attività di pre-ascolto, inoltre, consentono all’insegnante di riflettere e
di farsi un’idea sui prerequisiti degli apprendenti per valorizzarli ed
impostare al meglio il percorso didattico. (cfr. Leone e Mezzi, 2011:40).

Durante l’ascolto. Le strategie di ascolto variano a seconda degli
scopi di chi ascolta: vanno da modalità globali e orientative a tecniche
di selezione di informazioni specifiche fino alla comprensione dettagliata
ed analitica dei contenuti. In questa fase, l’insegnante propone agli
studenti varie volte il testo audio e come, di volta in volta l’ascolto debba
essere accompagnata da attività diverse da svolgere. Come ho
accennato sopra, lo studente non è mai passivo all’ascolto, arriva ad
una comprensione graduale formulando ipotesi su quanto ascolta e
cercando di combinare, di mettere in relazione gli elementi che man
mano comprende. Queste ipotesi vengono poi confermate o meno ogni
volta che ascolta il brano. Fondamentale è inoltre che durante l’ascolto
l’apprendente non venga mai lasciato solo ‘‘senza fare nulla’’ di fronte
al testo da comprendere: ad esempio, si può chiedere semplicemente
di fare attenzione alla voce dello speaker, di formulare delle ipotesi su
come potrebbe essere (dal tipo di voce che età potrebbe avere, se il
suo accento denota una regione di provenienza, se in alcuni punti
l’intonazione cambia, se fa una pausa e che cosa questo potrebbe
significare, ecc.). Importante è far ascoltare il testo una prima volta per
intero in modo che l’apprendente se ne possa fare un’idea generale.
Per gli ascolti successivi si può dividere la classe, ovvero fare lavorare i
discenti a coppie su diversi compiti. Dopo ogni ascolto, si può dare alle
coppie la possibilità di scambiarsi le risposte, di confrontarle e valutare
l’esattezza prima di procedere ad una fase successiva. Siccome il testo
viene ascoltato varie volte e si lavora in gruppi, si presume che gli
apprendenti siano messi in condizione di comprendere anche le parte
più difficile del testo. Un’abilità di studio fondamentale nella fase di
66
ascolto è l’ascoltare con penna o matita. Prendere appunti finalizza
l’ascolto a selezionare ed organizzare le informazioni in modo sintetico.
Ascoltare, capire e scrivere simultaneamente è una attività complessa
che richiede concentrazione. Le tecniche di presa di appunti sono
svariante: vanno dalla scrittura sintetica lineare a schemi grafici in
forma di scalette numerate a mappe. Per non perdere il filo è necessario
usare simboli e abbreviazioni. (cfr. Karin Harrich, 2011:330)

Dopo l’ascolto. Dopo l’ascolto, oltre alle attività di verificare della
comprensione, sarà possibile ampliare il contesto o chiarire gli aspetti
linguistici e comunicativi del testo in funzione del percorso didattico. Ad
esempio, se durante l’ascolto si è fatta svolgere una attività legata al
‘‘prendere appunti ’’ si può chiedere agli studenti di rielaborare gli
appunti presi e di scrivere un testo seguendo un modello dato. In
questo modo viene verificata sia la comprensione del testo sia la
conoscenza delle caratteristiche di un genere e di una specifica forma
testuale da parte dei discenti. Questa fase offre certamente anche la
possibilità di ampliare ulteriormente il lessico e di ripassare alcune
strutture grammaticali. Se si vuole, si può dare anche spazio ad attività
più
creative,
ad
contemporaneamente
esempio
su
aspetti
di
role-play,
prosodici
del
concentrandosi
parlato
degli
apprendenti.
A partire dalla classificazione di quattro tipi di ascolto (attento, intensivo,
selettivo e interattivo), Rost (1990:10) ha proposto attività di ascolto
diversificate a seconda dello scopo della comunicazione che, tutt’oggi, possono
essere utilizzate nella classe della lingua.

L’ascolto attento è quello in cui chi ascolta processa rapidamente
le informazioni e dà risposte brevi e immediate. Nell’ascolto
attento si possono dare a chi ascolta supporti di vario tipo: un
supporto di tipo linguistico, con parole chiave su cui attivare
l’attenzione, uno di tipo non linguistico, sotto forma di supporti
67
visivi o musicali e uno interazionale, sotto forma di frase ripetute,
parafrasi, o segnali di conferma da parte di chi parla.

L’ascolto
intensivo
è
quell’ascolto
invece
che
concentra
l’attenzione degli studenti sulle forme linguistiche, sulle differenze
di suono e lessicali, e su come queste influiscano il significato di
ciò che si ascolta. L’ascolto intensivo deve necessariamente
collocarsi in un contesto dato che faciliti la percezione dei
contrasti e delle differenze. La finalità di questo tipo di ascolto è
quella mettere in condizione gli studenti di distinguere e
identificare lessico e strutture linguistiche.

L’ascolto selettivo aiuta gli studenti a individuare lo scopo della
comunicazione, evidenziandone le parole e le informazioni
chiave. Questa modalità ricettiva cerca di ridurre la tensione
causata dall’impossibilità che molti incontrano nel riuscire a
seguire una conversazione in lingua straniera. I compiti di ascolto
focalizzano quindi l’attenzione di chi ascolta solo sulle parti più
importanti del discorso, in modo che, per inferenza, chi ascolta
possa poi ricostruire il significato del brano ascoltato. In queste
attività, l’insegnante fa ampio uso di materiale autentico
registrato, esplicita lo scopo dell’ascolto e dà un immediato
feedback agli studenti dopo l’attività.

L’ascolto interattivo aiuta agli studenti ad assumere un ruolo
attivo nel controllo dell’interazione, fornendo loro occasioni per
intervenire e chiedere spiegazioni. In queste attività gli studenti
sono protagonisti dell’interazione, sono in grado di valutare il
proprio progresso e di solito lavorano in gruppo si compiti di
problem solving . Nel frattempo, l’insegnante può osservare e,
eventualmente, registrare le interazioni per poter poi fornire un
feedback agli studenti.
68
2.7
La domanda di comprensione come tecnica didattica
Quando si parla di domande il pensiero va immediatamente a questo
strumento di lavoro inteso come verifica della comprensione, perché,
effettivamente, ascoltare un testo orale, e fare domande che lo riguardano
sono le modalità che ci permettono di capire se una persona ha compreso ciò
che ascoltato o no. Tuttavia, studi e ricerche, condotte sul tema, hanno
indicato nell’attività di fare domande una strategia efficace anche per guidare
e migliorare la comprensione orale.
Le domande possono essere poste oralmente o attraverso un supporto
grafico (questionario scritto, ludico su lavagna luminosa ecc.); sono chiuse
quando rinviano ad una informazione esplicita presente nel testo orale
(domande referenziali); sono aperte quando l’alunno deve utilizzare le
informazioni
del
testo
per
avanzare
nella comprensione
(domande
inferenziali). Si utilizza spesso per sostenere lo sviluppo della comprensione
orale la scelta multipla. Questa tecnica consiste nel proporre a chi ascolta di
scegliere tra due o tre o anche più risposte date quella che ritiene corretta in
rapporto al testo orale da comprendere. Una prima variante consiste nella
scelta tra due risposte sì/no oppure vero/falso; un’altra variante è quella in cui
la scelta è fra tre o quattro risposte (una vera, una o due plausibili ma non del
tutto coerente con il testo e una falsa). Questa tecnica guida l’alunno a
concentrare l’attenzione su specifiche parti del testo (comprensione analitica),
a stabilire relazioni tra parti diverse e ricavare informazioni implicite
(inferenza).
Le domande sono poste generalmente dall’insegnante al singolo
studente o al gruppo-classe. Nel primo caso, servono a sostenere il processo
si comprensione del singolo in difficoltà (identificare, riconoscere, stabilire
relazione, generalizzare ecc.); nel secondo caso servono piuttosto a potenziare
la partecipazione degli alunni, a motivare, a coinvolgere nella costruzione
corale della comprensione.
Nella fase di pre-ascolto, l’insegnante fa domande per preparare lo
studente all’attività di ascolto. Qui si possono usare
sia domande aperte sia
69
chiuse, per attivare le conoscenze pregresse dello studente rispetto un tema
o una situazione. Dunque, le domande di pre-ascolto attivano anche
l’attenzione e concentrazione, così che quando verrà il primo ascolto, gli
studenti avranno già idea di cosa dovranno fare.
Nella fase di pre-ascolto le domande svolgono le seguenti funzioni
didattiche e consentono di raggiungere i seguenti obiettivi:
1. Attivare gli schemi di conoscenza dello studente;
2. Contestualizzare il testo orale;
3. Controllare se gli studenti capiscono la modalità con cui si dovrebbe
effettuare le attività durante l’ascolto.
Il livello di preparazione in questa fase dipende dal livello degli studenti
e la difficoltà delle attività. Se il tema del testo orale parla di viaggi per
esempio, l’insegnante può fare domande aperte e generali come:
D1: Qualcuno di voi è mai stato in Italia?
D2: In quale città hai abitato?
D3: Potreste raccontare ai suoi colleghi la sua esperienza?
D4: Altro?
Durante l’ascolto (While-listening section), l’attenzione degli studenti è
orientata verso le attività. Le domande in questa fase guidano gli studenti a
esercitare un tipo di ascolto specifico, in relazione al tipo di domande sul testo:
un ascolto più generale o più selettivo.
Gli insegnanti, di solito, fanno ascoltare agli studenti il testo orale due o
tre volte: ogni volta l’insegnante fa un tipo diverso di domande. Per esempio,
se il nostro testo orale parla del Viaggio di Paolo , l’insegnante potrebbe far
ascoltare il testo agli studenti due volte. La prima volta gli studenti esercitano
un ascolto globale e l’insegnate chiede agli studenti domande generali;
mentre, la seconda volta gli studenti esercitano un ascolto intensivo ed
analitico e prendono appunti, e l’insegnante fa domande più precise:
70
Ascolta a Paolo che parla del suo viaggio in Italia
D5: Cosa pensi di Paolo, si è divertito?
Ascolta un’altra volta e cerca di prendere degli appunti
D6: Quale sono le cose che gli piacciono nel viaggio? E quale no?
Nella fase di post-ascolto (Post-listening section), le domande sono più
estese, aperte e referenziali sul testo orale già ascoltato, per verificare la
comprensione del testo orale. In questa fase va verificato anche se le
supposizioni e le ipotesi formulate nella fase di pre-ascolto erano giuste ed
avevano significato.
A volte, l’insegnante vuole focalizzare l’attenzione degli alunni sulle forme
strutturali della lingua (per esempio, verbi regolare ed irregolare del passato
prossimo); oppure sulle funzioni comunicative (per esempio, come Maria ha
chiesto il caffè?). In qualche situazione dove la comprensione del tempo in cui
succedono le vicende è fondamentale per comprendere il discorso, è adatto
anche fare domande di tipo: Ascoltate la conversazione e dite se Maria guida
ancora la macchina rossa.
Se si adotta un metodo induttivo nella presentazione della grammatica e
degli usi linguistici, si può lasciare lo studente libero di fare inferenze sul
significato attraverso il contesto. L’insegnante può fare domande su aspetti
pragmatici come:
Secondo voi, la sua risposta era cortese? E perché?
Dare agli alunni qualche supporto visivo durante l’ascolto, li aiuta a
comprendere meglio il testo orale, ed a rispondere alle domande in modo più
facile. Supporto visivo significa vedere il parlante per esempio, (guardare un
video invece di un audiocassette). In questo caso l’insegnante può controllare
la comprensione degli studenti in modo non-verbale:
D: Guarda la mappa. Segna il posto in cui il ragazzo ha perso la sua
portafoglio.
71
I discenti possono fare un cerchio sulla mappa per dimostrare la loro
comprensione. Se gli studenti hanno un livello basso della lingua e non sono
in grado di esprimersi in L2 in modo chiaro, l’insegnante può fare domande di
Sì/No.
Le domande estese e referenziali aiutano gli studenti a sviluppare la loro
dimensione culturale, criticale e intertestuale: se nella fase di post-ascolto,
facciamo una domanda intesa come in seguito:
D: Il plagio è male?
a) Sì
b) No
Noi non sappiamo se il discente ha indovinato la risposta o se capisce il
significato del plagio. Quindi è consigliabile far seguire una domanda
referenziale per controllare la comprensione:
D: Perché il plagio è male?
2.8
Le abilità produttive
‘‘Grammatica’’ è un termine che deriva dal greco grammatiké, ossia arte della
scrittura (Lyons, 1968). I greci credevano che la lingua parlata derivasse da
quella scritta: la superiorità della scrittura è un concetto che è rimasto
predominante per secoli. De Saussure (1915:23-24) sottolinea che il
linguaggio e la scrittura sono due sistemi diversi: il secondo esiste per
rappresentare il primo ‘‘language and writing are two distinct systems of signs;
the second exists for the sole purpose of representing the first. The linguistic
object is not both the written and the spoken forms of words; the spoken
forms alone constitute the object’’. Bloomfield (1933:21) sostiene De Saussure
e spiega che la scrittura è una invenzione recente; esiste solo in poche
comunità di parlanti; e in queste comunità, solo una piccola percentuale della
popolazione che sapeva scrivere. ‘‘Writing is a relatively recent invention,
existing in only a few speech-communities for a long period of time and in
72
these communities only a small percentage of the population has known how
to write’’.
Alcuni esperti nell’arte del linguaggio, sostengono e evidenziano lo stretto
rapporto tra il parlato e la scrittura, e credono che gli studenti debbano
sfruttare e utilizzare la loro abilità orale quando esercitano un’attività di
scrittura ‘‘Oral language is closely related to written language. Some
authorities believe that written expression is simply speech «written down»’’
(Rubin, 1975: 219). D’altra parte, altri studiosi sottolineano la differenza tra il
parlato e la scrittura, e dicono che la scrittura richiede abilità nuove; e credono
che gli studenti che si affidano all’oralità, lo loro qualità produttiva della
scrittura risulta insufficiente ‘‘To encourage pupils, as teachers often have
done, to «write as you speak» is to ask the impossible’’. (Harpin, 1976: 32).
Invece, nessuna scrittura (anche alfabetica) è una trascrizione fonemica
del parlato e, a maggior ragione, non ne costituisce neppure una trascrizione
fonetica. Perciò non è giusto affidarsi al parlato per risolvere i dubbi ortografici,
specie in assenza di un parlato standard: in Italia le varie pronunce regionali
si traducono spesso in grafie fonetiche (esempio: scempiamenti sistematici al
Nord, raddoppiamenti indebiti al Sud), cioè in molti degli errori di ortografia
più ricorrenti nelle diverse zone o regioni.
A livello morfosintattico, nello scritto si usa una gamma più ampia di modi
e tempi verbali, si fa un uso maggiore dei modi non finiti, della diatesi passiva,
si ha una maggiore varietà pronominale, una gamma più variata di modalità
differenti per riportare i discorsi altrui, un’aggettivazione più ricca, si fa un uso
maggiore di aggettivi e avverbi e – complessivamente – il lessico è più vario,
ricco di sinonimie e di vocaboli più astratti.
Viceversa, nel parlato, si semplificano i modi e i tempi verbali (ad
esempio, in italiano, si usa sempre più l’indicativo a scapito di congiuntivo e
condizionale, il presente a scapito del futuro o, anche, dei tempi del passato).
Inoltre, nel parlato, è spesso diverso l’ordine delle parole: l’elemento
73
informativamente nuovo o quello che costituisce il centro d’interesse della
frase, il suo focus, è anticipato per essere poi ripreso con un pronome
(esempio: quel libro, l’hai letto?), nella cosiddetta «dislocazione a sinistra».
In sede didattica è utile riflettere sugli aspetti di confronto tra il parlato
e lo scritto, che ci aiuta ad analizzare la comunicazione orale e scritta, e diventa
occasione di riflessione sulla lingua. Roberta Rigo (2005:158-161) ha
sintetizzato questi aspetti prendendo in considerazione due paramenti: il
mezzo e la situazione.
Parametri relativi al mezzo:

La permanenza del segnale: nel parlato, le parole svaniscono mentre
nella scrittura il testo resta tutto intero sotto gli occhi di chi legge.

La correggibilità: chi parla può correggere quanto è stato appena detto.
Nello scritto è più facilmente correggibile in relazione alla pianificazione
in anticipo.

Il grado di pianificazione: nel parlato, la pianificazione, rapida, spesso
procede di pari passo con il discorso (pianificazione locale), è soggetta
ai facili cambiamenti di piano, alle interruzioni e anche ai possibili
cambiamenti in tema, dovuti alla compresenza degli interlocutori.
Mentre nello scritto, la pianificazione può contare su un tempo più
lungo, quindi può essere più accurata, è favorita da particolari
circostanze operative: il ritmo autonomo, la permanenza del segnale,
la correggibilità. Lo scrivente durante la produzione può muoversi anche
sul testo con continui andata e ritorno.

I tratti prosodici e paralinguistici: volume, tono, ritmo e intonazione,
timbro flusso verbale, ecc. e onomatopee, esclamazioni,
ecc.
consentono di veicolare il significato del messaggio orale, invece tutti
questi aspetti nello scritto sono praticamente bloccati, anche se le
strategie tipiche di scrittura possono suggerire i toni della voce.
74
Parametri relativi al contesto:
Nel parlato faccia a faccia, gli interlocutori condividono la stessa situazione ed
il contesto extralinguistico; per questo gli interlocutori possono contemperare
le informazioni verbali e non verbali, gli elementi situazionali e il rapporto con
l’interlocutore, le conoscenze condivise o supposte, i principi più o meno
impliciti del funzionamento comunicativo. A seguito di ciò, il parlato può essere
caratterizzato da presenza di ripetizioni e ridondanza, di richiami di rinforzo, di
pausa.
Nello scritto, gli interlocutori non condividono la stessa situazione, i
destinatari poi leggeranno il testo in un momento successivo alla sua
realizzazione.

I codici non linguistici: nel parlato, i mezzi ausiliari (mimica facciale,
postura, gesti, ecc.) da un lato completano e precisano il senso delle
parole, dall’altro rispecchiano il livello della comunicazione, più o meno
formale. Mentre nella comunicazione scritta è affidata solo al linguaggio
verbale.

Le deissi: è frequente l’uso di parole strettamente collegate al momento
e al luogo in cui viene messo il messaggio (pronomi personali,
dimostrativi, espressione di tempo ecc.). Nel caso di trasmesso
telefonico sono ridotti i deittici spaziali (qui, qua, li, la) poiché gli
interlocutori non si vedono e non sono nella stessa situazione. Al
contrario, nello scritto gli elementi della comunicazione vanno esplicite,
evitando o limitando i deittici.

Il destinatario della comunicazione: chi parla può ricavare ulteriori
informazioni sul destinatario durante l’interazione diretta osservandone
le reazioni verbali e non verbali (informazioni sulla condivisione delle
idee, sulla comprensione, sugli scopi, ecc.); così può assumere alcune
presupposizioni sullo stesso.
75

Il livello scopistico: nel parlato è più vario perché trasmesso sia dalla
comunicazione linguistica sia dal
non
verbale (più
o
meno
intenzionalmente). Nell’orale molto può essere lasciato implicito,
l’interlocutore-ascoltatore deve perciò ricostruire informazioni e sovrascopi usando la sua capacità di inferenza. Nello scrivere, invece, il livello
scopistico è legato alla comunicazione verbale; con la stessa sono
possibili numerosi giochi scopistici: lo scherzo, l’ironia, l’allusione, ecc.
2.9
PARLARE
Gli studi sociolinguistici si occupano del parlato mettendo in relazione le sue
caratteristiche formali con il parametro di variazione diamesico, ovvero con il
canale comunicativo orale. In questa prospettiva il parlato risulta determinato
da alcuni modalità di codificazione del messaggio che si traducono in una serie
di fenomeni (comuni a tutte le lingue d’uso), quali:
1. Lo stretto legame con la situazione e il contesto extralinguistico:
-
Riferimento a impliciti e conoscenze condivise;
-
Codici non verbali che completano e a volte sostituiscono le parole;
-
Frequente uso di deittici (questo, quello, qui, lì, laggiù ecc. ) e ricorso
a elementi presenti nel contesto in sostituzione dei rispettivi lessemi;
-
Suoni non verbali (risate, colpi di tosse, mugugni) che integrano il
linguaggio articolato fornendo significati aggiuntivi;
-
Modulazione della voce che, grazie al volume, al tono, all’intonazione,
al ritmo, permette di variare lo stile comunicativo (tipici i fenomeni di
‘‘allegro’’ legati al ritmo sostenuto del parlato spontaneo) o connota il
parlante dal punto di vista della sua provenienza geografica;
-
Fenomeni di messa in evidenza di parti del discorso mediante
strategie verbali (dislocazioni e frasi scisse in italiano, inserimento di
76
do in inglese) e paraverbali (innalzamento del tono, rallentamento del
ritmo, intonazione);
-
Fenomeni di allegro (variabilità diatopica, elisioni, apocopi, alterazioni
di suoni);
-
Coesione affidata anche all’intonazione e al ritmo.
2. La testualità è meno coesa dello scritto, dovuta a frequente
frammentarietà formale o tematica:
-
False partenze, pause da esitazione, interruzioni e autocorrezioni,
mutamenti di progetto, frasi lasciate a metà;
-
Prevalere della semantica sulla sintassi;
-
Temi sospesi (sintatticamente ma non semanticamente slegati dal
resto della frase) che mettono in rilievo il centro di interesse del
locutore e facilitano la ricezione (secondo l’ordine ‘‘elemento dato +
‘‘informazioni nuove su quell’elemento’’) ma indicano anche la
difficoltà di pianificare il discorso a breve gittata;
-
Ripetizione delle stesse parole, anche a distanza ravvicinata, per
realizzare la coreferenza, cioè il riferimento al medesimo oggetto, del
discorso;
-
Ripetizione e riformulazione, che permettono di riempire le pause,
rallettando il ritmo della produzione e dando il tempo a chi ascolta di
pianificare il proprio intervento successivo;
-
Ripresa e riformulazione (anche a distanza) degli stessi concetti;
-
Distribuzione delle informazioni meno lineare che in testo scritto
(apparentemente più disordinata, può rilevarsi però funzionale a un
maggiore efficacia comunicativa);
77
-
Code-switching (con slittamenti da una lingua all’altra, dallo standard
al dialetto) con funzione intenzionale e espressiva o per adeguarsi alle
competenze dell’interlocutore;
-
Code-mixing (con inserimento nel discorso di parole in un’altra lingua
o in dialetto) come strategia non intenzionale per colmare vuoti di
competenza del locutore.
3. Il frequente ricorso a segnali discorsivi (appartenenti a categorie
morfologiche diverse) per organizzare il testo o gestire l’interazione,
per esempio:
-
Demarcativi che servono per indicare l’inizio del discorso (allora, beh,
ecco)
-
Segnali fatici che assicurano il contatto con l’interlocutore o
sollecitano pragmaticamente il suo assenso e la sua partecipazione
(guarda, senti);
-
Connettivi diversi da quelli usati nello scritto ( fatto sta che, per
indicare un rapporto causale; che poi, per introdurre una digressione
o una presa di turno; comunque, per riprendere il tema principale
dopo un excursus);
-
Interiezioni cin valore pragmatico (wow per esprimere meraviglia, ehi
che sollecita una risposta dall’interlocutore)
2.9.1
I requisiti del buon parlante
Accanto alla capacità di strutturazione del linguaggio prodotto, entrano in
gioco processi cognitivi e relazionali. La comunicazione è efficace in presenza
di alcuni fattori: un contenuto di pensiero e l’organizzazione delle esperienze
cognitive, strategie di relazione con chi ascolta, stabilite tramite un linguaggio
78
verbale e non verbale, una capacità espressiva in vista di un determinato
scopo.
Insegnare a parlare, nel senso di un uso più socializzato del linguaggio,
vuol dire perciò sviluppare nell’allievo la consapevolezza e la pratica di
competenze linguistiche e di operazioni socializzanti oltre che cognitive. Il
parlante deve essere capace di:
-
Pianificare e organizzare un messaggio;
-
Formulare un enunciato;
-
Controllare il processo comunicativo nella sua realizzazione, verbale
e non verbale. (Rigo, 2005:196).
A proposito di quest’ultima componente, si deve aggiungere che, nella
lingua parlata, la funzione prevalente è stabilire un contatto: l’accordo tra i
soggetti coinvolti in una comunicazione orale è determinato dal principio di
cooperazione e dal decentramento. Questo accordo non riguarda l’argomento,
su cui le opinione possono essere concordi o contrastanti, ma la volontà di
partecipare correttamente alla interazione a cui si prende parte. Secondo Grice
la cooperazione esige il rispetto di alcune regole fondamentali 10:
-
La quantità, necessaria e sufficiente, delle informazioni presenti nel
messaggio;
-
La qualità, delle informazioni che devono essere vere e fondate;
-
La relazione, cioè la pertinenza delle informazioni all’oggetto della
comunicazione;
-
Il modo, vale a dire l’ordine e la chiarezza dell’esposizione per rendere
comprensibile ciò che si dice.
Il parlante inoltre può essere interrotto dall’interlocutore in modi diversi:
verbali (presa del turno fuori luogo, richieste svariate, cambiamenti del tema,
10
Le ‘‘massime’’ di Grice, che traducono il principio di cooperazione, appaiono nel volume di Sbisà
(1978: 199-219).
79
domande, ecc.), ma anche non verbale (gesti, mimica, ecc.). La funzione del
parlare è quindi complementare a quella di ascoltare e osservare. Il buon
parlante controlla anche la strutturazione de discorso tenendo conto di variabili
relative all’interlocutore (sue conoscenze precedenti e richieste del compito),
e al testo orale che deve produrre (struttura del genere testuale, sua
organizzazione specifica, ecc.). Seguirà il principio generale che occorre
esprimersi in modo chiaro e appropriato, soprattutto adeguato al destinatario
e alla situazione. (cfr. Rigo, 2005:171)
2.9.2
Il foreign talk ed il teacher talk :
La lingua con cui i nativi si rivolgono agli stranieri rappresenta una varietà che
in sociolinguistica viene definita foreigner talk e può considerarsi un registro
universale, con caratteristiche comuni a ogni lingua ovvero (Ferguson, 1975,
citato in Villarini, 2000):
-
Eloquio più enfatico;
-
Utilizzo di vocaboli più brevi, più comuni e dal significato più
elementare;
-
Utilizzo di frasi della struttura sintattica piana e trasparente;
-
Tendenza
a
privilegiare
concetti
basilari
rispetto
a
quelli
maggiormente articolati e complessi.
Si tratta di una varietà di lingua che il parlante nativo seleziona dal
proprio repertorio per interagire con un non nativo, soprattutto nelle
conversazioni spontanee, quando si accorge che l’interlocutore dispone di una
bassa competenza linguistica in L2. (Long, 1996). Quindi la caratteristica
fondamentale del foreigner talk è la tendenza alla semplificazione, che
consiste non solo nel ridurre o eliminare dei dati, ma anche nell’usare strategie
di elaborazione. Pallotti (1998: 114-115; Bettoni, 2001: 35-38) riepilogano le
strategie di riduzione e elaborazione della fonologia, della morfosintassi e del
lessico, pragmatico, che qui P. Diadori (2004) le riassume:
80
a) Fonologia

Riduzione: Nessuno

Elaborazione: tono di voce più alto, pronuncia più accurata, ritmo
rallentato; maggiore uso di pause, gamma di intonazioni più; forme
linguistiche complete e non contratte
b) Morfologia e sintassi

Riduzione: enunciati più brevi e meno complessi, più verbi al
presente.

Elaborazione: più enunciati ben formati, più regolarità, ordine
canonico
delle
parole,
relazioni
grammaticali
marcate
più
esplicitamente, più domande polare (sì/no), meno domande aperte.
c) Lessico

Riduzione: ripetizioni, uso di poche forme lessicali, meno espressioni
idiomatiche, lessico ad altra frequenza, meno forme opache (sostantivi
preferiti ai pronomi), parole più comuni.

Elaborazione: uso di sinonimi, parafrasi, scomposizione di concetti di
significato complesso in concetti più semplici.
d) Pragmatica

Riduzione: preferenza per l’allocativo informale, ordini espressi più
spesso con imperativi, scelta di argomenti ancorati al contesto.

Elaborazione: uso di codici cinetici (gesti) per accompagnare il
discorso; maggiore ricorso ai deittici.
Nel caso del docente di italiano L2 le caratteristiche del foreigner talk si
sovrappongono a quella di un’altra varietà di afasica: il teacher talk ovvero la
modalità espressiva che i docenti usano per trasmettere contenuti e sviluppare
competenze negli apprendenti. (cfr. Larsen-Freeman, Long 1999:134-144;
81
Chaudron, 1988; Pallotti, 1998: 277-284; Bettoni, 2001: 39-43). In questo
caso, però, pur dovendo adattare il proprio modo di esprimersi ai destinatari
stranieri semplificando il proprio discorso orale, il docente al tempo stesso
dovrà fornire un modello di lingua comprensibile e sufficientemente corretto,
che permetta anche allo studente di ri-elaborare la propria interlingua e di
sviluppare le proprie abilità di produzione e interazione orale in L2 attraverso
strategie che trasformino l’input in intake.
Chaudron (1988, citato in Pallotti, 1998:284) afferma che entrambe il
foreigner talk e il teacher talk sono accomunati da tratti simili a livello di ritmo,
pause, pronuncia e complessità frasale, ma si differenziano per gli atti
comunicativi utilizzati e per le sequenze conversazionali. Camilla Bettoni
(2001: 35 segg.) ha sintetizzato le strategie di trasparenza e le modifiche
volontariamente realizzati dal docente di italiano L2, che hanno per effetto una
reale maggiore comprensione dell'input:
-
Modifiche a livello fonologico: il tono di voce più alto, il ritmo più lento
e l’articolazione delle sillabe più accentuata, intonazione più marcata,
rinuncia alla contrazione o scomparsa di fonemi;
-
Modifiche a livello lessicale: preferenza per le parole comuni, per le
iperonimi, rinuncia ai colloquialismi, le metafore e le espressioni
idiomatiche;
-
A livello morfosintattico: enunciati più corti, relazioni grammaticali più
esplicite, rinuncia alla frasi incassati;
-
Modifiche a livello pragmatico: preferenza per le forme allocutive più
dirette, ordini espressi con imparativi piuttosto che altre forme verbali
meno dirette.
82
P. Diadori (2004), sottolinea che il teacher talk si differenzia dal foreigner talk
nella misura in cui:
a) Non è mai sgrammaticato;
b) Risulta meno grossolanamente calibrato sulle reali competenze degli
ascoltatori;
c) Utilizza strategie e strumenti pedagogici (immagini, grafici, audiovisivi).
2.10
Il Roleplay
Ho scelto di approfondire una tecnica che è stata adottata piuttosto
recentemente nella didattica della L2 ed è associata allo sviluppo dell’abilità
del parlato. Nata in contesto psicologico, la tecnica del roleplay è stata
introdotta in glottodidattica con l’affermarsi degli approcci comunicativi.
La lingua è un sistema complesso (Rivers & Melvin 1977), che ha una
dimensione molto importante, ossia socioculturale. Essa dipende dal contesto,
poiché ogni espressione potrebbe essere percepita in modo diverso dalla
stessa persona. In altre parole, ogni struttura non corrisponde solo ad un
significato, ma a una varietà di significati dipende da quel contesto. A fronte
di tale problematica, negli approcci comunicativi, gli obiettivi vengono
sposatati dalla forma all’uso della lingua in situazioni comunicative. In
relazione a questo tema, Wilkins (1976) ha introdotto il sillabo ‘‘nozionale
funzionale’’ che cambia la prospettiva di descrizione della lingua: i concetti
tradizionali di grammatica e lessico sono sostituiti da una descrizione
funzionale o comunicativa. La grande sfida dell’insegnante di italiano L2 è
insegnare agli studenti come agire fuori classe, e di stimolare la loro abilità di
saper dialogare e saper parlare. Un tecnica ideale per incoraggiare gli studenti
ad usare la lingua in situazioni simili ad una vita reale, è il Roleplay.
In generale il role playing è una strategia basata su una ricostruzione di
una situazione reale all’interno della quale gli apprendenti sono invitati a
83
impersonare ruoli organizzativi o sociali per sviluppare competenze di tipo
relazionale o capacità decisionali (Bonaiuti, Calvani, Ranieri 2007:212). Cohen
e Manion (1989) hanno definito il Roleplay come ‘‘participation in simulated
social situations that are intended to throw light upon the role/rule contexts
governing real life social episodes’’.
L’obiettivo di questa tecnica è quello di far acquisire comportamenti
operativi e abilità socio-pragmatiche. I vantaggi sono interessanti perché essa
aiuta anche il gruppo a focalizzarsi su un problema comunicativo in modo
coinvolgente e responsabilizzante (Rigo, 2005:256). Secondo Ladousse
(1987), dentro al ruolo gli allievi portano situazioni reali, di vita, sono indotti a
scegliere anche il registro più adeguato alla situazione, usano tecniche
comunicative differenti, sviluppano la fluenza nella lingua.
Quando il docente prepara l’attività del roleplay, deve prendere in
considerazione le esigenze degli studenti. Per esempio, se gli studenti
imparano l’italiano per visitare l’Italia, l’attività di roleplay si deve focalizzare
sul tema del turismo. Ma a livelli avanzati, gli studenti magari imparano
l’italiano per obiettivi più generali; in questo caso, è difficile prevedere le
situazioni che dovranno affrontare nella vita reale; per questo motivo, sarebbe
più adatto fornire gli studenti delle attività che permettono loro di praticare
un’ampia gamma di vocabolari e funzioni.
Prima di presentare il roleplay in classe, l’insegnante deve tener conto
del livello degli studenti. Ogni roleplay richiede un certo livello di competenza
linguistica, culturale e pragmatica e l’insegnate deve usare un roleplay che è
adatto a livello degli studenti. Quindi, il docente deve valutare e insegnare i
requisiti di una particolare attività di roleplay prima che gli studenti la
esercitino nella classe. Prendiamo come esempio una lezione che inizi con un
dialogo ambientato nel supermercato:
A: posso aiutarla?
B: Sì, cerco magliette a righe.
A: Taglia?
84
B: 36.
A: Di che colore?
B: Bianco
A: ne abbiamo queste, eccole.
B: mi piace questa maglietta, potrei provarla?
Il dialogo viene sviluppato nella fase di pratica, per includere la funzione
di chiedere del prezzo ed i materiali (come una revisione di lezioni precedenti).
Tuttavia, l’insegnante ha notato che gli studenti hanno imparato bene questa
parte, e vuole sviluppare l’attività di roleplay per includere anche un’altra
funzione comunicativa: quella di restituire un capo di abbigliamento
acquistato. Le istruzioni o role cards recitano:
Role 1 – Cliente
Tu hai comprato una maglietta ieri, non ti piace adesso. Vai al
negozio per cambiarla o prendere i tuoi soldi.
Role 2 – Commesso
Il/la cliente vuole cambiare un prodotto acquisito, o prendere i
suoi soldi. Aiutalo/la.
85
Se La classe non ha mai imparato prima la funzione di restituire capi di
abbigliamento acquistati, e non è preparata (a livello linguistico e pragmatico)
a fare tale attività,
il roleplay forse avrà un effetto negativo sul processo
dell’apprendimento, avendo come effetto la diminuzione della fiducia degli
studenti in sé stessi.
2.10.1 I Vantaggi del Roleplay:
Il gioco dei ruoli è una tecnica ideale per incoraggiare gli studenti a parlare la
lingua reale è. I vantaggi del roleplay sono stati elencati da diversi autori. In
questa sezione considererò il roleplay come una tecnica ideale per lo sviluppo
dell’abilità orale perché prepara gli studenti a trattare con l’imprevedibilità della
comunicazione nella vita reale, insegna agli studenti come usano la lingua in
modo appropriato nel contesto sociale, ed aumenta la loro fiducia in sé stessi
quando esercitano la lingua fuori classe.
Preparare gli studenti per la comunicazione nella vita reale:
Siamo tutti familiari con i testi e dialogici presentati nei manuali di L2. Ma
non è quello che accade nella vita di tutti giorni, le persone che ci incontriamo
hanno opinioni varie, conoscenze diverse; alcune sono stanche, occupate,
preoccupate, agitate; altre parlano troppo velocemente o troppo lentamente.
Il roleplay prepara gli studenti a tali condizioni.
Il roleplay aggiunge emozioni ai compiti, costruendo atteggiamenti di
disaccordo tra gli studenti, ed insegna loro le caratteristiche soprasegmentali
e paralinguistiche della lingua-target. Nella vita reale non si possono prevedere
le reazioni e le risposte che i nostri studenti avranno. Così, per imitare la vita
reale è importante mantenere l’elemento dell’imprevedibilità, costruire il
disaccordo tra gli studenti attraverso opinioni contrasti.
Inoltre, l’intonazione ed il linguaggio fisico, sono anche esse parti
essenziali del nostro linguaggio quotidiano: è così che le persone dimostrano
se sono arrabbiate, annoiate, o felici. Ricordo qui un esempio presentato al
OKTESOL Conference (Novembre,1992); uno studente ha preso il ruolo di un
cliente che cerca di riprendersi la sua TV rotta dal tecnico dicendo ‘‘Se non mi
86
dai la TV adesso, chiamerò la polizia’’, le parole sono state articolate con tono
uguale. Dopo che lo studente aveva finito il suo ruolo, la classe ha discusso se
il ruolo era stato effettuato con successo o no. Tutti erano d’accordo che c’era
qualcosa che mancava nell’esecuzione, ossia il realismo dell’intonazione: un
cliente arrabbiato non avrebbe mai usato quella voce priva di emozione.
Durante il giorno, i nostri ruoli si cambiano: ad un certo momento siamo
insegnanti, in un altro madre o padre, oppure studente o cliente. I vocabolari
ed i modelli di comportamento che utilizziamo variano secondo il ruolo che
assumiamo, ed il roleplay offre agli studenti la possibilità di praticare questi
ruoli nell’ambito scolastico o universitario: in poche parole, attraverso il
roleplay, gli studenti imparano la lingua-target, come persone reali, non come
robot che riproducono espressioni, dialoghi di manuali e testi senza emozioni.
Insegnare l’adeguatezza:
Le forme linguistiche assumano un significato quando entrano in un particolare
contesto; come accennato sopra, non c’è un significato determinato per ogni
forma linguistica, ma esiste una varietà di significati. La scelta della parola
giusta per trasmettere il significato voluto all’ascoltatore è un compito troppo
difficile per chi parla nella lingua seconda: per questo ci vuole una conoscenza
socioculturale e pragmatica. Il roleplay fornisce agli studenti questa
conoscenza, ed insegna loro come usare la lingua in modo appropriato e
adeguato.
Per esempio, se il verbo (fermare) viene insegnato senza
contestualizzarlo, gli studenti potrebbero decidere di usarlo per chiedere
l’interruzione di una conversazione; invece se l’insegnante ha dato agli studenti
il contesto in cui si usa quel verbo, gli studenti impareranno che c’è una
differenza tra arrestare e chiedere l’interruzione: useranno invece altre
espressione come ‘‘un momento’’. Vale a dire che l’uso del verbo ‘‘fermare’’ è
giusto grammaticalmente, ma non è appropriato.
87
Aumentare la fiducia degli studenti:
La maggior parte degli studi di ricerca hanno verificato che gli studenti
estroversi imparano la lingua straniera con successo (Oxford, 1990; Stern,
1975; Naiman, Forhlich, Stern, e Todesco, 1978; 01 ler, 1977; Brown, 1988;
Scarsa Ila & Oxford, 1992). Come afferma Brown (1988) ‘‘self-confidence is
probably the most pervasive aspect of any human behavior ’’. Nessuna attività
cognitiva può essere effettuata senza un certo grado di fiducia in sé stessi.
Quanto più lo studente è sicuro di sé, tanto più rapido sarà il suo
apprendimento della lingua (Oler, 1977).
Il roleplay, è uno strumento didattico che può aumentare la fiducia degli
studenti, perché evidenzia agli
studenti il
loro successo
istantaneo
nell’apprendimento della lingua straniera, e gli offre un feedback positivo che
aumenta la loro fiducia nell’usare della lingua-target. Come spiega Van Ments,
1983 ‘‘To begin with, students are asked to act an interview for a job, or a
difficult negotiation with a customer, not only to talk about it. Therefore, they
have immediate feedback on the effects of their actions’’. Inoltre il roleplay dà
agli studenti l’opportunità di praticare la lingua-target nell’ambiente sicuro
della classe, e di formulare una esperienza che la useranno nella vita reale.
2.10.2 Gli Svantaggi del Roleplay:
Nel suo libro Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Balboni ha
elencato i svantaggi del roleplay, riassunti qui di seguito:
Difficoltà nella creazione delle coppie
Una coppia formata da due studenti poco bravi penalizza entrambi perché
riduce la qualità dello scambio; ma anche la coppia asimmetrica penalizza
entrambi, perché il meno bravo viene schiacciato, inizialmente, dalla
competenza del compagno più bravo – il quale a sua volta è penalizzato dalla
mancanza dell’interlocutore stimolante. Come si vede, è un circolo vizioso che
non trova altre soluzioni all’infuori di una continua variazione nella logica di
88
creazione delle coppie, in modo che nel lungo periodo ciascun allievo abbia
lavorato con compagni più, meno e tanto bravi quanto lui.
Totale autonomia degli studenti
Le attività di simulazione rompono il rassicurante flusso insegnante-allievo e
lasciano a quest’ultimo la responsabilità della gestione dell’attività; ciò è
difficile per l’insegnante, che abbandona il tradizionale ruolo centrale, e anche
per l’allievo, che di solito non è abituato a gestire in prima persona il proprio
lavoro.
Difficoltà nella gestione della classe
I roleplay si svolgono nel rumore dato dal fatto che più coppie parlano nello
stesso momento; d’altro canto questo è inevitabile se si vogliono far acquisire
lingue vive; uno degli aspetti di autocontrollo da far maturare negli allievi
riguarda appunto il tono di voce da usare nelle interazioni di coppia o di piccolo
gruppo.
Lunghi tempi di preparazione
I roleplay sono difficili da impostare, almeno fino a quando gli allievi non si
sono abituati ad assumere i ruoli senza lunghe contrattazioni tra di loro: anche
in questo senso, mentre contribuisce al lento processo di maturazione ed
autocontrollo degli allievi, l’insegnante può ricorre ad alcune regole di
gestione-classe: ad esempio, quando si hanno dialoghi a due personaggi A e
B, può vigere una regola stabile secondo la quale in ogni banco chi è a sinistra
è A e chi è a destra è B.
Ricorso alla lingua materna
Nei roleplay in lingua straniera spesso gli allievi negoziano in lingua materna
(nel caso di una classe omogenea) i significati che non riescono a esprimere
in lingua straniera: si può tenere sotto controllo tale fenomeno accentuando
89
la valenza simulativa del roleplay, cioè spingendo l’interlocutore a far finta di
non capire la lingua materna, oppure ricorrendo ad un elemento essenziale
dei giochi di regole, cioè alla penalità applicata a chi non esegue fedelmente
le consegne: si va dalla semplice ‘‘denuncia del colpevole’’ di fronte ai
compagni, fino alla decisione di fare tacere tutti e far continuare ad alta voce
solo coloro che sono ricorsi alla lingua materna.
Difficoltà di conclusione dell’attività
I roleplay sono difficili da concludere: le coppie più abili hanno già terminato
la loro interazione (e quindi si distraggono e distraggono i compagni), mentre
quelle più lente stanno ancora discutendo sui ruoli: per ovviare a questo
fenomeno e contemporaneamente insegnare ai più lenti a gestire meglio il loro
tempo, si può bloccare l’attività quando due terzi della classe hanno terminato
e chiedere ad una coppia di recitare per tutti il dialogo provato: in tal modo
non solo si ottiene feedback utile per la valutazione, ma si spingono gli allievi
ad un maggiore impegno durante l’esecuzione in coppia e si consente a tutta
la classe di confrontare la propria esecuzione rispetto ad un modello
alternativo: per segnare la durata del roleplay e far cogliere immediatamente
la sua conclusione si può anche inserire un sottofondo musicale la cui
interruzione indica la fine del tempo concesso per l’attività.
Impossibilità di correzione in itinere
I roleplay non consentono all’insegnante di intervenire ; anzi, l’intervento sia
d’aiuto sia di correzione è comunque inopportuno se viene ad interrompere
una performance. Di conseguenza si deve lasciare correre una quantità di
errori, che comunque l’insegnante può individuare mentre passeggia tra i
banchi ottenendo in tal modo un certo feedback. Dopo l’esecuzione ‘‘pubblica’’
del roleplay da parte di una coppia, l’insegnante può commentare non solo il
dialogo appena recitato ma anche gli errori ascoltati durante le esecuzione.
90
Rapporto tra sforzo organizzato e realizzazione del roleplay
Talvolta, specie nelle prime esperienze, il tempo richiesto dall’organizzazione
del roleplay, è superiore a quello di esecuzione, per cui può sorgere il dubbio
sull’utilità di una tecnica così dispendiosa, anche se in realtà non esiste
un’alternativa che consenta di far parlare tutti. Mano a mano che il roleplay
diviene una consuetudine, tuttavia, il tempo richiesto dall’organizzazione tende
a diminuire e quello dell’esecuzione si dilata, in quanto gli allievi imparano ad
uscire dal seminato reimpiegando materiali linguistici non esplicitamente
richiesti.
2.11
SCRIVERE
La scrittura è una forma di espressione molto complessa, che significa
sostanzialmente tradurre il
proprio
pensiero
in
una
comunicazione
comprensibile per gli altri. È un processo di decodificazione e strutturazione
dei contenuti che utilizza dei segni grafici arbitrari e convenzionali; in altre
parole, ‘‘nella scrittura le esperienze evocate dalla rappresentazione grafica
sono articolate in elementi convenzionali riconoscibili (lettere) sequenziali e
articolati sotto forma lineare’’ (De Ajuriaguerra 1979).
La scrittura è un’importante abilità linguistica la cui esecuzione richiede
l’utilizzo e il controllo di diversi processi cognitivi di
elaborazione
dell’informazione visiva e fonologica, analogamente a quanto viene per la
lettura. Tuttavia, per il suo svolgimento essa necessita anche di un’adeguata
programmazione affinché il soggetto che pratica sia in grado di ottenere
un’esecuzione coordinata di sequenze motorie (Casani, 2014). Dunque,
l’abilità di scrittura è un’abilità altamente complessa, che va considerata
essenzialmente sotto tre diversi aspetti: come gesto grafico-motorio finalizzato
alla produzione delle lettere, come abilità nel trasformare i suoni in lettere
(competenza ortografica) e come abilità di produzione creativa, finalizzata cioè
alla produzione di testi.
91
Vale la pena di ricordare che, ‘‘con i nuovi media, la scrittura è tornata
[…] al centro della comunicazione di massa. Per raggiungere questo scopo,
prima si è spogliata della sua materialità facendosi digitali, poi ha insediato i
domini tradizionali dell’oralità, trasportando l’informazione in tempi vicini a
quelli del parlato. I contenuti che veicola riflettono spesso l’effimero
ancoraggio al momento d’invio, che si tratta di E-mail di messaggi brevi o di
turni di Chat. […] l’dea della permanenza del carattere chiuso e definito del
testo, già messa in crisi dalla videoscrittura, si infrange di fronte a forme di
interazione che hanno un feedback assimilabile a quello del dialogo faccia a
faccia’’ (Pistolesi, 2004:10).
Per scrivere in modo efficace occorre apprendere il codice alfabetico e la
sua traduzione in schema motorio, il codice ortografico, le strutture
grammaticali, l’uso di parole-funzione e connettivi, la struttura del paragrafo,
la struttura dei differenti tipi di testi (descrittivo, espositivo, argomentativo
ecc.) e la pianificazione, la stesura e la riversione del testo (Casani, 2014).
2.11.1 La scrittura: modelli psicologici cognitivi
Dal punto di vista cognitivo, la scrittura assume il carattere di problem solving.
Un modello molto diffuso sulla scrittura come un processo cognitivo, e che ha
avuto maggior seguito nella ricerca sulla produzione scritta, è quello di Hayes
e Flower (1980). Il loro modello esemplifica l’idea di scrittura, individuando tre
blocchi interconnessii: (1) il contesto che definisce il compito, (2) la memoria
a lungo termine, (3) il processo di scrittura. Quest’ultimo consta, asu avolta,
di pianificazione, trascrizione e revisione. Questo modello costituisce il quadro
teorico dal quale l’insegnante può ricavare riferimenti su come avviene l’atto
dello scrivere, sulle azioni che lo scrivente si prefigura per raggiungere il suo
obiettivo. In seguito spiego in dettaglio le componenti del modello di Hayes e
Flower, come esposto in (Insegnare i processi della scrittura nella scuola
elementare, a cura di Pietro Boscolo, 1990, Perugia).
92
Ambiente o contesto del compito:
Con l’espressione ‘‘ambiente del compito ’’ si disegna nella letteratura
cognitivista il problema così come viene definito da chi lo assegna o da un
osservatore esterno: esso comprende tutti i dati del problema nella forma in
cui sono presentati (oggetti da manipolare, simboli, disegni, ecc.).
Dall’ambiente del compito, cioè dai dati del problema, l’individuo costruisce ‘‘lo
spazio del problema’’, ossia ricava delle informazioni che codifica da poterle
interpretare in base alle struttura di conoscenza di cui dispone. L’ambiente del
compito comprende tutti gli elementi esterni allo scrivente che influenzano la
prestazione della scrittura. (Hayes e Flower 1980:12).
Essi sono:
1. Le informazioni relative all’argomento della composizione e al
destinatario, nonché gli elementi del contesto che possono influenzare
la motivazione di chi scrive: così, per esempio, il ‘‘clima’’ della classe in
occasione di una prova scritta può rappresentare un importante
elemento per chi scrive. Scrivere, secondo il modello, equivale risolvere
un problema di scrittura su un certo argomento per un certo
destinatario.
2. Una volta che produzione scritta è iniziata, l’ambiente del compito
comprende anche il testo via via prodotto, in quanto lo scrivente fa
continuo
riferimento
ad
esso
man
mano
che procede nella
composizione.
3. Vanno considerati inoltre gli aiuti di cui lo scrivente dispone: vocabolari
e materiale bibliografico, consigli di persone più esperte, ecc. (questo
aspetto, non considerato nel modello originale, è stato suggerito da Pea
e Kurland, 1987).
93
La memoria a lungo termine
La memoria a lungo termine (il serbatoio delle idee dello scrivente) contiene
sia la conoscenza relativa all’argomento della composizione e al destinatario
sia i piani di scrittura; cioè, le procedure per scrivere un testo. È da tener
presente, a questo proposito, una distinzione ormai fondamentale nella
psicologia cognitivista, e cioè quella tra conoscenza dichiarativa e conoscenza
procedurale . La prima si riferisce al ‘‘saper che cosa’’ mentre la seconda
riguarda il ‘‘saper come’’, Così, le nozioni di cui disponiamo (concetti, schemi,
scripts, e così via) fanno parte della conoscenza dichiarativa che ci serve, per
esempio, quando dobbiamo trattare un certo argomento. Insieme alle nozioni
(le cose di cui parliamo o scriviamo), noi disponiamo nella nostra memoria
anche di conoscenze relative al ‘‘come’’ fare: per esempio, come scrivere una
lettera, come ordinare informazioni in un testo espositivo, come scrivere una
storia, come collegare le frasi e i periodi ecc. È, questa, la conoscenza
procedurale.
I tre processi fondamentali della scrittura
Lo ‘‘scrivere’’ vero e proprio consta di tre processi fondamentali, che a loro
volta possono essere analizzati in vari sotto processi:
1. La pianificazione: può essere definita come un insieme di attività
concettuali complesse che anticipano e regolano il comportamento
(Scholnick e Friedman 1987:3). Nella scrittura la funzione della
pianificazione consiste nel ricavare informazioni della memoria a lungo
termine e dall’ambiente esterno per porre degli obiettivi al compito
della scrittura e per stabilire un piano per raggiungerli. Anche questa
fase consiste di tre sotto-processi:
a) La generazione di idee: cioè il recupero della memoria di
informazioni pertinenti all’argomento da trattare. Si tratta
sostanzialmente di una di una ricerca stimola dall’argomento e
che procede attraverso catene associative, cioè un elemento
94
alla volta. Il recupero di idee può avvenire anche da una
memoria esterna, quale, per esempio, il materiale bibliografico.
b) Il materiale prodotto: nella fase precedente viene poi sistemato
attraverso un processo di organizzazione che seleziona le
informazioni e le dispone secondo un piano di scrittura.
c) Il processo di porre obiettivi: consiste nello stabilire dei criteri
per valutare la produzione che saranno poi usati nella revisione.
Per esempio lo scrivente può porsi l’obiettivo di evitare termini
difficili, o di essere volutamente ambiguo, ecc. Questi obiettivi
emergono con una certa evidenza nel pensiero ad alta voce.
2. La trascrizione: è la fase più direttamente osservabile dello scrivere e
consiste nel tradurre i piani nella fase precedente in una forma
linguistica. Il modello assume che il materiale contenuto nella memoria
sia costituito da concetti e relazione fra concetti, non necessariamente
espressi in forma linguistica. In questa fase lo scrivente deve quindi
fare una serie di opzioni relative all’ortografia, grammatica, al lessico,
e sul piano pragmatico, al rilievo delle prole nella frasi e al rapporto tra
‘‘dato’’ e ‘‘nuovo’’, cioè tra quello che lo scrivente presuppone come già
noto a chi leggerà il testo e l’informazione nuova che vuole
trasmettere.
3. La revisione: ha lo scopo di migliorare la qualità del testo scritto e
consiste in due sotto-processi: Leggere e correggere. Scopo del
correggere è quello di scoprire e correggere gli errori o comunque
violazioni di convenzioni di scrittura in rapporto agli obiettivi posti nella
fase della pianificazione. Hayes e Flower (1980:18) distinguono la
revisione dalla correzione: mentre la prima ha un carattere sistematico
di esame e miglioramento del testo e si svolge generalmente alla fine
della
produzione
scritta,
la
correzione
(editing)
scatta
automaticamente e può aver luogo in brevi episodi che interrompono
il processo di trascrizione.
95
Accanto ai tre processi fondamentali, bisogna inoltre considerare la
funzione di monitoraggio: è una funzione esecutiva che presiede ai processi di
scrittura e consente allo scrivente di decidere quando passare da un processo
al successivo.
Modello del processo di scrittura, Hayes e Flower 1980 (Rigo, 2005:179)
Nella fase di revisione lo scrivente diventa ‘‘lettore di sé stesso’’ e si pone
il problema di come migliorare il suo testo, in sostanza riprocessa ciò che ha
scritto, viene messa in atto una competenza metalinguistica e metacognitiva,
legata anche alla maturazione dell’allievo. Lo sviluppo delle competenze di
revisione dovrà tener conto di alcuni elementi, che Rigo (2005: 188-189) li
riassume in seguito:
-
L’insegnamento esplicito delle strategie di revisione e il ricorso a
strategie facilitanti a sopporto non solo la revisione, ma anche degli altri
sotto-processi.
96
-
Lo sviluppo di una riflessione distaccata dal proprio testo, aspetto
complesso da acquisire, in quanto significa diventare lettori esterni di
se stessi e assumere flessibilità delle procedure testuali in rapporto ai
vincoli pragmatici, in un continuo spostamento dal piano locale a quello
globale del testo; anche qui è possibile ricorrere a tecniche di
facilitazione;
-
La ricorsività della revisione in tutto il processo di scrittura e la sua
integrazione con altre competenze;
-
La gradualità con cui si apprende a rivedere un testo; gradualità in
rapporto agli aspetti da tener presenti contemporaneamente, ai diversi
tipi di controllo del testo (immediato, differito), e gradualità in base alla
maturità degli allievi.
-
Il lavoro su testi brevi (e quindi manipolabile più facilmente), per
esempio su singoli paragrafi o capoversi (Guerrario, 2002b), tratti dagli
elaborati degli stessi studenti, per migliorarne la proprietà linguistica e
l’efficacia comunicativa; queste attività abituano a percepire la
flessibilità e la malleabilità dei prodotti dell’attività di scrittura;
-
L’eventuale utilizzo di sistemi di videoscrittura, che facilitano la
pianificazione e la modifica del testo, e al tempo stesso sostengono la
motivazione.
Agli inizi degli anni ottanta, Carl Bereiter (1980) ha delineato una
sequenza di fasi o tappe, ciascuna caratterizzata da un modo di scrittura: la
sequenza segna la progressione da una scrittura inesperta alla expertise. La
prima fase è quella della scrittura associativa, dominata dalla fluidità di
generazione delle idee e di produzione scritta. È un modo di scrivere
sostanzialmente immaturo, che non tiene conto del destinatario e che non
comporta una elaborazione dei contenuti di conoscenza. A l secondo stadio tale
fluidità è integrata e corretta dalla conoscenza di regole e convenzioni
grammaticali e stilistiche (scrittura performativa). Il terzo stadio è quello della
97
scrittura comunicativa, in cui chi scrive è in grado di tener conto del
destinatario e di adottare piani e strategie in relazione a specifiche intenzioni
comunicative. Al quarto stadio la scrittura è unificata: chi scrive riesce a essere
anche lettore di sé stesso, nel senso che sa staccarsi dal proprio prodotto per
considerarlo criticamente. L’ultimo stadio, infine, è quello della scrittura
epistemica: è raggiunta solo dallo scritture maturo, che usa lo scrivere come
uno strumento di conoscenza. Tale scrittura non è necessariamente quella
stilisticamente migliore, ma è quella attraverso cui l’individuo chi scrive
analizza e elabora la propria esperienza.
Bereiter in collaborazione con Marlene Scardamalia (1982, 1985, 1987)
ha prodotto i contribuiti più significativi sull’evoluzione della composizione
scritta. I due studiosi hanno ripreso il modello di Hayes e Flower per superare
i limiti sopra elencati e per capire quali sono i processi mentali che lo scrivente
attua nel momento in cui è chiamato a redigere un testo. L’obiettivo
fondamentale di Bereiter e Scardamalia era vedere la scrittura dal di dentro,
poiché «scrivere è […] “elaborare conoscenze” […] Nel corso dell’elaborazione,
la mente umana è come una grande rete di credenze [...] o semplici
informazioni che continuamente si ritesse per adattarsi a nuovi contesti
enunciativi e a nuovi processi di scoperta del mondo» (Bereiter e Scardamalia,
1987; trad. it. 1995, p. XXIV). La riflessione sullo scrivere che i due studiosi
hanno maturato è ricondotto ad alcuni punti fondamentali:
1- Scrivere è una attività complessa perché richiede il coordinamento di
molteplice piani e strategie per realizzare gli obbiettivi. Chi scrive deve
tener conto di una serie di vincoli: la scelta delle idee deve rispondere
alle specifiche richieste del compito ‘‘il tema’’, le idee vanno trascritte
in frase grammaticalmente accettabili e formalmente corrette, ciò che
si scrive deve avere una struttura (narrativa, espositiva, descrittiva,
ecc.) e così via. La difficoltà, per lo scrittore inesperto, è presentata
dalla esigenza di tener presenti di tutti questi vincoli ed è tanto più
grave per i bambini in quanto sono abituati a produrre il discorso
oralmente.
98
2- La differenza fondamentale tra uno scrittore immaturo e uno maturo
è che il primo usa la strategia del ‘‘dire tutto ciò che sa’’ ( knowledge-
telling) mentre il secondo trasforma le proprie conoscenze
(Knowldege-transfoming). Il primo partendo dal tema o (l’argomento
su cui deve scrivere), cerca i contenuti e le idee nella memoria, li
sottopone a una valutazione molto semplice di adeguatezza e
conseguentemente li trascrive o li scarta.
Il modello di trasformazione della conoscenza prevede due ‘‘spazi’’ o
aspetti dello scrivere: lo spazio dei contenuti, deputato al recupero e alla
selezione delle idee e dei piani relativi ad un certo argomento, e lo spazio
retorico, che riguarda i modi per raggiungere gli obiettivi della composizione
scritta. Mentre nel modello del ‘‘dire ciò che si sa’’ la composizione è un
processo monodirezionale, in quanto lo scrivente sceglie i contenuti e li scrive,
ma non ritorna su di essi, il secondo modello prevede una interazione continua
tra i due spazi, nel senso che la scelta dei contenuti è in funzione delle
interazioni comunicative di chi scrive di chi scrive, ma queste, a loro volta, si
precisano ed eventualmente si modificano in relazione allo sviluppo dei
contenuti (Bereiter e Scardamalia, 1987:11). Per esempio nel rileggere ciò che
ha scritto, una persona può rendersi conto che una certa idea deve essere
maggiormente chiarita: questa modifica che riguarda lo spazio retorico della
composizione, può a sua volta richiedere una integrazione o una aggiunta di
concetti, che riguarda lo spazio dei contenuti, e una maggiore accentuazione
di certi temi rispetto ad altri, con relativa riformulazione degli obiettivi iniziali
della composizione. È questa dinamica di pianificazione e di verifica, di
produzione di idee e di riflessione sulla loro funzione nel testo, che caratterizza
la composizione dello scrittore esperto: il quale non solo formula un piano
globale di scrittura e si mantiene fedele ad esso, ma anche modifica tale piano
in relazione a quanto viene via via scrivendo.
99
2.12
La correzione del testo scritto da parte dell’insegnante
Per i fini di questa tesi, in cui tratto una tecnica specifica per ognuna delle
abilità che si intendono sviluppare nella L2 attraverso l’approccio comunicativo,
per quanto riguarda la scrittura affronterò le tecniche per la correzione degli
errori.
L’efficacia o meno della correzione degli errori del testo scritto in L2 è
oggetto di molte controversie. Nel 1996, il professore John Truscott ha
pubblicato il suo saggio ‘‘The Case Against Grammar Correction In L2 Writing
Classes’’ in cui conferma che la correzione degli errori non è utile, e non aiuta
gli studenti a sviluppare la loro abilità della scrittura: ‘‘[m]y thesis is that
grammar correction has no place in writing courses and should be abandoned”
(1996: 328). Truscott continua spiegando che gli insegnanti della lingua
seconda, quando danno il feedback correttivo agli studenti, adottano una
semplice visione dell’apprendimento del linguaggio, come se fosse un processo
di trasferire le informazioni dall’insegnante allo studente: ‘‘language teachers
– when providing corrective feedback – adopt a simplistic view of language
learning as essentially the transfer of information from teacher to student’’
(Truscott, 1996:342) invece di prendere in considerazione la complessità e la
gradualità del processo evolutivo dell’interlingua. Inoltre Truscott è in dubbio
se lo studente riesca ad usare il feedback dell’insegnante in modo efficace.
In contrasto con Truscott, Chaudron (1988:133) sottolinea che, dal punto
di vista dello studente, il feedback correttivo potrebbe essere uno strumento
potente per sviluppare l’apprendimento della lingua target: ‘‘ from the learners’
point of view […] the use of feedback may constitute the most potent source
of improvement in […] target language development’’. Vale la pena di
ricordare che altri studiosi e specialisti sostengono l’uso del feedback
correttivo; tra cui, Larsen-Freeman rileva, “[…] feedback on learners’
performance in an instructional environment presents an opportunity for
learning to take place. An error potentially represents a teachable moment”.
Ellis (2009c: 6), a sua volta dice che “[t]here is increasing evidence that CF
(corrective feedback) can assist learning […], and current research has
100
switched from addressing whether CF works to examining what kind works
best […]”.
La correzione può avvenire su varie componenti di natura diversa: gli
aspetti formali, gli elementi strutturali, semantici, pragmatici, ecc. Essa si
distingue in relazione al tipo di rilievo fatto dall’insegnante e soprattutto al tipo
di intervento richiesto all’allievo; potremmo parlare di una modalità diretta e
di una modalità indiretta. (Rigo, 2005:234)
Ferris definisce la modalità diretta della correzione degli errori dicendo
‘‘when an instructor provides the correct linguistic form for students (word,
morpheme, phrase, rewritten sentence, deleted word[s] or morpheme[s]”
(Ferris, 2002:19). Dall’altra parte la modalità indiretta avrà luogo quando ‘‘ the
teacher indicates that an error has been made but leaves it to the student
writer to solve the problem and correct the error ” (Ferris, 2002:19). Roberta
Rigo sostiene che l’insegnate deve usare le due modalità, diretta e indiretta,
in modo integrato, evitando in ogni caso di proporre un approccio ripetitivo
alla correzione o di annullare la risposta dell'allievo rendendolo soggetto
passivo (Rigo, 2005:234).
Rod Ellis (2009:98-99) ha individuato vari tipi del Feedback Correttivo [FC] che
riassumo qui di seguito:
1- FC diretto: l’insegnante fornice allo studente la forma corretta: come
spiega Ferris (2001), il FC diretto ha vari formi; ad esempio,
cancellare le parole, frasi o morfemi non necessari, aggiungere parole
mancante e scrivere la forma corretta sopra o vicino alla forma errata.
Un cane ha rubato un osso da un macellaio, il cane ha è scappato con l’osso
a in bocca.
101
FC diretto ha il vantaggio di fornire gli studenti con indicazioni esplicite
su come correggere i loro errori, soprattutto se gli studenti non possono
correggere i loro errori in modo autonomo ( self-correcting). Ferris e Roberts
(2001) suggeriscono che l’uso del FC diretto è probabilmente meglio dell’uso
di FC indiretto quando si tratta di studenti con basso livello di competenza
nella lingua. Tuttavia, lo svantaggio del FC diretto è il coinvolgimento carente
da parte del discente nel processo della correzione: anche se il FC diretto
potrebbe aiutare gli studenti a produrre la forma corretta quando rivedono la
loro scrittura, non sviluppa l’apprendimento degli studenti a lungo termine.
Una ricerca recente di Sheen (2007), suggerisce che FC può essere efficace
nel promuovere l’acquisizione di alcuni elementi grammaticali.
2- FC indiretto: in questo caso, l’insegnate indica che lo studente ha
commesso un errore senza dare la forma corretta. Si può effettuare
questa modalità sottolineando l’errore, o usando dei segni (cursori)
per indicare che ci sono delle parole o parte mancanti nel testo scritto.
Il docente può mettere un segno al margine della pagina, accanto
alla riga che contiene l’errore, se non intende a mostrare allo studente
la posizione precisa dell’errore.
Un cane X rubato X osso da X macellaio, il cane ha scappato con l’osso a bocca.
X = parola mancante.
__ = un errore.
Come ho accennato sopra, usare il FC indiretto è più opportuno perché
in questa modalità, gli studenti esercitano una attività di problem solving, ed
incoraggia gli studenti alle forme linguistiche: ‘‘ indirect feedback is often
preferred to direct feedback on the grounds that it caters to «guided learning
102
and problem solving»’’ (Lalande, 1982). Per questi motivi il FC indiretto
contribuisce a sviluppare l’apprendimento dello studente ed a formulare la
sua competenza della scrittura a lungo termine. ‘‘For these reasons, it is
considered more likely to lead to long-term learning’’ (Ferris e Roberts, 2001).
Ferris e Roberts sostengono che il FC indiretto, quando la posizione esatta
degli errori non è illustrata, potrebbe essere più efficacie del FC indiretto in cui
viene indicato la posizione precisa degli errori.
3- FC metalinguistico:
In questa modalità, il docente scrive allo studente un commento esplicito sulla
natura degli errori senza fornire la versione corretta. Il commento
dell’insegnante può assumere due forme: Il più comune è l’uso dei codici ( Error
Code): abbreviazioni o etichette metalinguistiche per ciascuna categoria
linguistica coinvolta nell’errore. Le etichette metalinguistiche possono essere
messe sopra il luogo dell’errore o alla fine della riga che contiene l’errore. Nel
primo caso lo studente usa gli indizi metalinguistici presentati dall’insegnate
per correggere l’errore. Nel secondo, invece, lo studente deve individuare
prima il luogo esatto dell’errore e poi correggerlo come in questi due esempi:
V.
Art.
Art.
V.
Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato
Prep.
con l’osso a bocca.
103
V.; Art. x2
Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato
Prep.
con l’osso a bocca.
Ferris e Roberts (2001) hanno rilevato che le etichette metalinguistiche
aiutano gli studenti a sviluppare la loro competenza del self-editing. Il secondo
tipo del FC metalinguistico consiste nel fornire agli studenti spiegazioni
metalinguistiche sui loro errori. Questa modalità consuma molto tempo
rispetto all’uso dei codici degli errori, e richiede dall’insegnante una
conoscenza metalinguistica sufficiente per essere in grado di scrivere
commenti chiari e precisi su una serie di errori.
(1)
(2)
(3)
(4)
Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato con l’osso in
bocca.
(2), (3) – Deve metter un articolo indeterminativo quando introduci qualcuno o
qualcosa di nuovo, di cui non hai parlato in precedenza, o per nominare qualcuno
o qualcosa in modo generico, indefinito.
(1) – il passato prossimo si forma combinando le forme dell’indicativo presente
degli ausiliari avere o essere con il participio passato del verbo da coniugare
(4) - si usa l’ausiliare ‘‘essere’’ con i verbi intransitivi, ovvero con i verbi che non
rispondono alla domanda: chi? che cosa?
4- FC focalizzato e non focalizzato: l’insegnante può scegliere di
correggere tutti gli errori nel testo scritto; in questo caso, il feedback
correttivo non è focalizzato su un aspetto particolare della lingua.
Alternativamente, l’insegnante può selezionare tipi specifici degli
104
errori da correggere (FC focalizzato). Probabilmente, nel caso di FC
non focalizzato, la correzione è più difficile per gli studenti, perché
questa modalità richiede loro di trattare con vari tipi di errori e, quindi,
il discente non è in grado di riflettere su ogni tipo di errore. A questo
proposito, il FC focalizzato potrebbe essere più efficacie perché
l’apprendente può concentrarsi su un solo tipo di errore ed esaminare
tante correzioni relative a quel tipo. Il FC metalinguistico e focalizzato
promuove non solo l’attenzione dello studente su una forma
particolare, ma anche la sua comprensione della natura dell’errore.
Tuttavia, il FC non focalizzato potrebbe non essere efficace quando
si tratta di assistere lo studente ad acquisire una caratteristica
specifica
della
lingua;
tuttavia
potrebbe
dare
risultati
nell’apprendimento a lungo termine.
5- Il Recast o riformulazione: (si chiama anche il lavoro di riparazione)
cioè la riformulazione di tutta o parte della produzione scorretta dello
studente da parte dell’insegnante.
Lyster e Ranta (1997), definiscono il recast come ‘‘reformulation of all or
part of the students’ utterances’’. Long (2007:77) ridefinisce il recast correttivo
come ‘‘a reformulation of learners’ preceding utterance in which non-target-
like item(s) is/are corrected to target language form(s) while the interlocutors’
focus is not on language but on meaning, not language as objects’’ . Il recast,
in generale, è considerato come un FC implicito, in cui l’insegnante riformula
tutta o parte della frase mal-costruita da parte dello studente, senza cambiare
il significato principale (Iwashita, 2003; Long, 1996; Lyster, 1998a, 1998b).
Cohen spiega che nel recast si tratta di fornire un feedback, mostrando allo
studente come i madrelingua avrebbero scritto il suo testo. ‘‘It involves a
native-speaker rewriting the student’s text in such a way as ‘to preserve as
many of the writer’s ideas as possible, while expressing them in his/her own
words so as to make the piece sound native like’’. (Cohen, 1989:4). Alcune
ricerche affermano che il recast che contiene solo un cambiamento è più
105
efficace di quello che contiene una serie di cambiamenti (Philip, 2003; Sato,
2009). In seguito, presento alcuni esempi del recast in italiano in inglese:
NELL’ESEMPIO 1 SOLO IL SECONDO TERMINE ‘COLLEGA’ è UN RECAST
ORTOGRAFICO. L’ALTRO RIGUARDA UNA SOSTITUZIONE DI UN VERBO CON
L’ALTRO
Esempio 1: Recast ortografico
Studente: Ho scambiato due parole con mio colega.
Recast: Ho chiacchierato con mio collega.
Esempio 2: Recast del contenuto
Studente: Ho perso le partite.
Recast: Ho perso tutte le partite.
Esempio 3: Recast grammaticale
Studente: Ho guardato la TV, il mio amico è arrivato.
Recast: Mentre guardavi la TV. Il tuo amico è arrivato?
106
IL RECAST CORTO CONTIENE SOLO UN CAMBIAMENTO
Esempio 4: Recast corto
Studente: I pointed an umbrella.
Recast: Oh, you opened an umbrella
IL RECAST LUNGO, INVECE, CONTIENE VARI CAMBIAMENTI.
Esempio 5: Recast lungo
Studente: I don’t know what should I teach to child then.
Recast: OK, you didn’t know what you should teach to children.
107
Conclusione
Questo lavoro è nato con l’obiettivo principale di approfondire lo sviluppo delle
quattro abilità linguistiche principali nella didattica della L2. L’interesse per
questo settore in glottodidattica nasce con l’avvento degli approcci
comunicativi, che si sono sviluppati a partire dalla nozione di competenza
comunicativa e dall’idea che chi apprende un L2 lo fa per usarla in tutti i
contesti della vita reale. Nonostante questo indirizzo sia nato ormai più di
trenta anni fa (se facciamo risalire le sue origini alla pubblicazione dell’articolo
di Canale e Swain dedicato alla comunicazione comunicativa del 1980 e alla
sua declinazione ai fini dell’insegnamento della L2), la trattazione delle abilità
linguistiche e delle tecniche per favorire il loro sviluppo nella didattica della L2
e studi che ne confermino l’uso e l’efficacia non sono così diffusi. Il lavoro è
dunque il risultato di un’indagine sui modelli cognitivi e psicolinguistici
descrittivi delle varie abilità ed esplicativi del loro funzionamento, associata
alla descrizione di una tecnica specifica per lo sviluppo di ciascuna delle quattro
abilità di base.
Nel passare in rassegna le quattro abilità e le tecniche
didattiche ho cercato di prendere in considerazione sia gli aspetti cognitivi che
socio-linguistici legati ai vari contesti di uso linguistico e alle funzioni
comunicative.
Udire è un’attività naturale per l’uomo, indipendente dalla sua volontà
e connessa alla funzionalità degli organi uditivi. Ascoltare è, invece, un
processo attivo: significa prestare un’attenzione consapevole ai suoni,
collegarli alle situazioni e ai vari contesti. Saper ascoltare e saper parlare sono
abilità che consentono di realizzare la comunicazione. La lingua orale presenta
caratteristiche diverse dalla lingua scritta e cambia in relazione ai diversi
elementi presenti nella comunicazione orale: la collocazione spazio-temporale
in cui avviene la comunicazione e gli atteggiamenti reciproci degli interlocutori.
Saper parlare significa intervenire al momento giusto e nel modo giusto,
stimolando l’interesse e l’intenzione; significa riuscire a farsi capire da chi
ascolta e raggiungere lo scopo di trasmettere il messaggio così come era il
nostro attenzione. Leggere significa prima di tutto saper decodificare i segni
108
che compongono le parole. Saper leggere, però,
non è soltanto saper
decodificare, ma anche comprendere quanto si legge, saper interpretare e
valutare criticamente i contenuti esposti in un testo scritto. Oggi, nonostante
la presenza di mezzi di comunicazione orali e visivi, la lettura continua a essere
uno strumento indispensabile nella comunicazione. Dobbiamo distinguere tra
il saper leggere strumentale e il saper leggere per raggiungere gli scopi per
cui leggiamo: la lettura risulterà corretta ed eseguita con una buona
intonazione solo se si comprende ciò che si sta leggendo. Sapere come leggere
un testo rispetto allo scopo permette di raggiungere la finalità per cui
leggiamo. Non tutti i testi si leggono allo stesso modo: a volte ci limiteremo a
leggere i capoversi e qualche parola qua e là di un romanzo di un paragrafo o
di un libro. Saper scrivere, significa saper produrre un testo corretto, coeso
e coerente, che raggiunga lo scopo per cui è stato scritto e che sia adeguato
alla situazione comunicativa. La scrittura è una forma di espressione molto
complessa, che significa sostanzialmente tradurre il proprio pensiero in una
comunicazione comprensibile per gli altri. Chi scrive applica specifiche
strategie che corrispondono a un metodo di lavoro applicabile in qualunque
situazione di scrittura, per qualunque tipo di testo: pianificazione, trascrizione,
riversione.
Per aiutare lo studente a sviluppare queste abilità, l’insegnante deve
adottare precise tecniche didattiche. In questa tesi ho individuato e discusso
una tecnica per ognuna delle quattro abilità: il cloze test, la domanda di
comprensione, il roleplay, la correzione degli errori rispettivamente per le
abilità lettura, ascolto, parlato, scrittura.
Il Cloze è un testo da cui vengono tolte delle parole, di solito una ogni sette.
L'allievo dovrà inserire la parola appropriata mancante, anche se non si tratta
di quella effettivamente cancellata; per farlo, deve necessariamente cercare di
avere una visione globale del testo, o almeno del periodo o della frase, e su
tale base immaginare che cosa può essere stato detto o scritto nella parola
cancellata. La seconda tecnica analizzata è la domanda di comprensione:
una tecnica utilizzata per guidare la comprensione orale. L’insegnante può
utilizzare questa tecnica per preparare lo studente ad affrontare l’attività di
109
ascolto o per orientare la sua attenzione a qualche forma funzionale e per
verificarne la comprensione. Il roleplay si propone di simulare, per quanto
possibile, una situazione reale, allo scopo di far sperimentare ai partecipanti,
attraverso l’esperienza pratica, le difficoltà e le possibili strategie comunicative
che si attivano durante il processo di comunicazione. Il vantaggio di questa
tecnica sta nel fatto che, a differenza della situazione reale, il processo che si
sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze nella vita reale. Infine, per
quento riguarda l’abilità di scrittura, ho preso in considerazione la correzione
degli errori.
La correzione può avvenire su varie componenti di natura
diversa: gli aspetti formali, gli elementi strutturali, semantici, pragmatici.
Inoltre, essa si può realizzare attraverso i vari tipi di feedback correttivo qui
di seguito elencati: diretto, indiretto, metalinguistico, focalizzato e non
focalizzato e, infine, il recast.
Questo saggio rappresenta un tentativo di sistematizzare e porre in
relazione gli aspetti teorici inerenti le abilità linguistiche nell’insegnamento
della L2 e quelli più pratici legati alla didattica e alle sue finalità di promozione
e sviluppo di queste abilità negli apprendenti, al fine di renderli capaci di agire
con la lingua appresa nelle varie situazioni della vita reale, secondo i principi
dell’approccio comunicativo.
110
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