Università per Stranieri di Perugia Dipartimento di Scienze Umane e Sociali CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN Italiano per l’insegnamento a stranieri Titolo della tesi Alcune tecniche per lo sviluppo delle abilità linguistiche in L2 Laureando Abdelsalam A.A Shanshob Relatrice Correlatore Prof.ssa Piera Margutti Prof. Roberto Dolci A.A. 2015-2016 Indice Introduzione 3 Il primo capitolo: Verso l’insegnamento comunicativo: Teorie e 6 modelli 1.1 Chomsky: il concetto di competenza linguistica 6 1.2 La Competenza Comunicativa 9 1.3 Il modello di Canale e Swain 14 1.3.1 La competenza linguistica (o grammaticale). 15 1.3.2 La Competenza sociolinguistica 17 1.3.3 La competenza discorsiva 19 1.3.4 La competenza strategica 22 1.4 Il modello di Bachman e Palmer 24 1.5 Il modello di Balboni 27 1.6 L’insegnamento comunicativo della lingua 29 Il secondo capitolo: Tecniche glottodidattiche 33 2.1 Una mappa delle abilità linguistiche 34 2.2 Le abilità ricettive: La comprensione orale e scritta 36 2.3 LEGGERE 41 2.3.1 Tipi della lettura 44 2.3.2 La lettura come processo cognitivo 46 2.4 Il cloze test: Origine e definizione 2.4.1 Il cloze test classico e il cloze test mirato: 2.5 ASCOLTARE 54 57 59 2.5.1 L’ascolto è un processo attivo 60 2.5.2 La comprensione orale: strategie di decodificazione 62 2.6 Didattica dell’ascolto in L2 64 2.7 La domanda di comprensione come tecnica didattica 69 2.8 Le abilità produttive 72 1 2.9 PARLARE 76 2.9.1 I requisiti del buon parlante 78 2.9.2 Il foreign talk ed il teacher talk 80 2.10 Il Roleplay 83 2.10.1 I Vantaggi del Roleplay 86 2.10.2 Gli Svantaggi del Roleplay 88 2.11 SCRIVERE 2.11.1 La scrittura: modelli psicologici cognitivi 91 92 2.12 La correzione del testo scritto da parte dell’insegnante 100 Conclusione 108 Bibliografia 111 2 INTRODUZIONE Comunicare è lo scopo principale per cui impariamo e insegniamo la lingua. Dal momento che alcuni insegnanti ancora adottano gli approcci grammaticali o linguistici per insegnare una lingua seconda, ho voluto dedicare il mio lavoro di tesi a mettere in evidenza il fatto che la comunicazione è una operazione assai complessa che non si esaurisce in uno scambio di parole o frasi grammaticalmente giuste. Tale operazione si realizza, infatti, in contesti socioculturali in cui gli interlocutori interagiscono intrecciando frasi, gesti, atteggiamenti, nell’interazione gli uni con gli altri. Per questo motivo, attraverso una serie di riflessioni, nel primo capitolo di questo lavoro presento il dibattito tra il concetto di competenze linguistica di Chomsky e il concetto di competenza comunicativa di Dell Hymes, sottolineando come quest’ultima rappresenti l’uso effettivo della lingua nella dimensione socioculturale. Il capitolo si focalizza poi sulle componenti ed alcuni modelli descrittivi della competenza comunicativa in ambito glottodidattico, come il modello di Canale e Swain (1980) e il modello di Bachman (1990). Alla fine di questo capitolo, presento l’applicazione del concetto di competenza comunicativa nella didattica delle lingue moderne, ossia l’insegnamento comunicativo della L2. Nel secondo capitolo verranno descritte le abilità linguistiche che traducono la competenza comunicativa nel ‘‘saper fare la lingua’’. Questo capitolo, che costituisce la parte centrale di questo lavoro, è dedicato anche alla descrizione di alcune tecniche che l’insegnante può utilizzare per l’insegnamento di abilità linguistiche e comunicative. Per ognuna delle abilità che si intendono sviluppare nella L2 attraverso l’approccio comunicativo si è scelto di illustrare una tecnica specifica. Le tecniche descritte sono il cloze test, le domande di comprensione, il roleplay e la correzione degli errori, rispettivamente per le abilità di lettura, ascolto, parlato e scrittura. Per prima cosa, saranno discussi i modelli che illustrano i processi cognitivi coinvolti nell’esercizio di ciascuna abilità e si darà una definizione del concetto di ‘‘tecnica’’ in glottodidattica. Si discuterà il modello tradizionale o quadripolare 3 delle abilità linguistiche, che divide le quattro abilità in due assi: abilità ricettive (leggere e ascoltare), abilità produttive (parlare e scrivere). Le abilità ricettive sono tradizionalmente le abilità di comprensione orale e scritta, centrali per ogni apprendimento. A queste abilità è dedicata la parte iniziale del capitolo, in cui si porranno in rilievo gli elementi fondamentali del processo della comprensione orale (l’enciclopedia, i processi logici e l’expectancy grammar). Successivamente, saranno illustrate alcune definizioni dell’abilità della lettura e comprensione scritta, ponendo attenzione a ciò che l’accomuna all’abilità di comprensione orale. La lettura e la comprensione dei testi sono abilità fondamentali sia per accedere ai nuovi saperi relativi ai vari ambiti disciplinari sia per interagire in modo adeguato nell’ambiente sociale. Inoltre, la lettura è uno strumento importantissimo, attraverso il quale promuovere la crescita personale degli studenti, tramite la scelta di testi adeguati alla loro età, ai loro interessi e ai loro bisogni. In seguito, si passerà ai vari scopi e tipi di lettura, (lettura per l’apprendimento, lettura per il piacere di leggere ecc.) e verranno trattati nel dettaglio i processi cognitivi e complessi che il lettore compie durante l’atto della lettura. Per questa abilità, la tecnica selezionata è la procedura cloze, intesa come una tecnica d’insegnamento per lo sviluppo dell’abilità della lettura. Se ne illustrerà l’origine e i diversi tipi. La seconda abilità ricettiva trattata è l’ascolto. Saper ascoltare è un’abilità importante ed estremamente utile nella vita. È indispensabile durante il percorso scolastico, nelle varie circostanze personali, è insostituibile nelle relazioni con gli altri, siano essi coetanei, genitori, figli ecc. La comprensione di testi orali si differenzia dalla comprensione di testi scritti per alcuni aspetti specifici del testo orale, quali la fonologia, l’accento, il ritmo, la struttura del discorso. Si farà riferimento ai processi della comprensione orale e le strategie di comprensione: top-down e bottom-up. L’analisi di queste strategie aiuta il docente a capire l’abilità in questione a livello cognitivo e, quindi, a pianificare e organizzare la lezione di ascolto. Si passerà poi alla didattica dell’ascolto in L2: verrà proposto un modello di organizzazione della lezione di ascolto secondo tre fasi (pre-ascolto, durante l’ascolto e post-ascolto) e si illustrerà il 4 ruolo delle ‘‘domande di comprensione’’ come una tecnica per lo sviluppo dell’abilità di ascolto, spiegando con alcuni esempi come l’insegnante può usare tale tecnica nelle fasi accennate sopra. Parlare e scrivere sono abilità di tipo produttivo: chi parla o scrive si impegna a formulare un messaggio con modalità adeguate e contenuti ben organizzati. Sulla base di alcuni parametri verrà illustrata la differenza tra lo scritto e il parlato. Successivamente, si definiranno le caratteristiche del parlato dell’insegnante di L2 (il teacher talk). Una sfida per i docenti di L2 è insegnare agli studenti l’abilità di parlare e dialogare. Una tecnica ideale per incoraggiare gli studenti ad usare la lingua in contesti simili alla vita reale è il roleplay. Nel capitolo verrà offerta una definizione di questa tecnica, se ne illustreranno gli obiettivi didattici, le fasi di preparazione dell’attività del roleplay ed, infine, i vantaggi ed i svantaggi. L’ultima abilità di cui si parlerà è la scrittura: cos’è la scrittura, quali sono i nuovi contesti della scrittura ed i modelli psicologici e cognitivi della scrittura. In particolare, si farà riferimento al modello di Hadey e Flower, Bereiter e Scardamalia (1987). Per quanto riguarda la scrittura, affronteremo la tecnica della correzione degli errori. Si accennerà al dibattito relativo all'efficacia della tecnica della correzione e verranno delineati in dettaglio, con alcuni esempi, i vari tipi di feedback correttivo: diretto, indiretto, metalinguistico, focalizzato e non focalizzato ed infine il recast. L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni. ********************** 5 Il PRIMO CAPITOLO ______________________________________________________________ Verso l’insegnamento comunicativo: Teorie e Modelli 1.1 Chomsky: il concetto di competenza Nel 1975 Chomsky pubblica un’opera, Le Strutture della Sintassi , che rappresenta una vera e propria rivoluzione nella scienza del linguaggio. Lo studioso americano espone una teoria sintattica secondo la quale qualsiasi lingua risulta composta da frasi nucleari e da frasi non-nucleari, complesse, derivabili dalle prime attraverso operazioni che, con un termine di origine matematica, vengono chiamate ‘‘trasformazioni’’. La grammatica deve ‘‘generare’’ tutte le frasi complesse, di una lingua in base alle ‘‘trasformazioni’’ delle frasi nucleari. Chomsky distingue nel linguaggio verbale due distinti livelli: uno più astratto, che costituisce l’oggetto della grammatica generativa, e uno più concreto, costituito dall’effettiva produzione linguistica del parlante reale. Questa dicotomia, ripresa successivamente in Aspetti della teoria della sintassi (1964) è precisata come la distinzione fra ‘‘competenza’’ (competence), cioè il sistema di regole linguistiche generali possedute dal parlante ideale, e ‘‘esecuzione’’ (performance), cioè l’uso effettivo della lingua in situazioni concrete. Il sostantivo “competenza” deriva dal verbo ‘competere’. Questo ultimo, di origine latina cum-petere, indica ‘‘il sistema di conoscenza implicita su cui si basa la produzione e la comprensione degli enunciati di una lingua da parte di un parlante’’1. In altre parole, utilizzando le parole di Desideri 2, possiamo definire la competenza come segue: quel sistema di regole, inteso come apparato di processi e di meccanismi di funzionamento specifico della mente umana, che permette all’individuo di comprendere e produrre un numero 1 AA.VV, 2003, ‘‘Grammatica Insegnarla e impararla’’, Guerra edizione, Perugia.P.235 Paola Desideri, ‘‘Modulo 8, Competenza linguistica e competenza comunicativa; aspetti della pragmatica; atti linguistici’, Università degli studi ‘‘G.D’Annunzio’’, PDF. 2 6 teoricamente illimitato di frasi, anche mai udite prima, ben formate secondo le regole stesse. La ‘‘competenza’’ intesa da Chomsky è un concetto diverso da quello che Ferdinand De Saussure ha definito ‘‘langue’’: questa è un fatto sociale, è ‘‘l’insieme dei segni usati dai membri di una medesima comunità linguistica’’ (Federico, 2015). La langue e la competenza non si equivalgono, dal momento che Saussure concepisce la langue come un fattore appartenente alla collettività, laddove Chomsky stabilisce che la competenza è un fattore individuale, essendo innata e dipendente da un meccanismo cerebrale che Chomsky ha definito LAD (o Language Acquisition Device). Secondo la teoria innatista-cognitivista chomskiana, il LAD (Language Acquisition Device) è il Dispositivo di Apprendimento della Lingua con cui viene denominato il meccanismo innato di acquisizione linguistica, specifico dell’essere umano. Secondo questa teoria, il nostro cervello annovera un apparato di acquisizione del linguaggio e una Grammatica Universale (GU) comuni a tutte le lingue, per cui la struttura della frase e l’ordine che governa i legami tra gli elementi linguistici rispettano una precisa logica interna. In risposta ai dati empirici provenienti dall’ambiente, la mente del bambino crea quindi una grammatica che assegna dei valori a tutti i parametri, producendo una delle lingue umane a disposizione. All’inizio del processo la mente del bambino è aperta ovviamente verso ogni lingua possibile, al termine essa perviene all’acquisizione di una lingua particolare. Il LAD, insomma, è un programma biologico, congenito, utilizzato per apprendere la lingua, una serie di regole relative a una grammatica universale contenente la descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali. L’acquisizione del linguaggio, dunque, secondo Chomsky non avviene per imitazione del linguaggio adulto, ma è un processo attivo di scoperta di regole e di verifica di ipotesi. Le ipotesi di partenza sono in numero limitato e già presenti nel LAD: questo spiega la rapidità con cui si impara a parlare e il fatto che le tappe dello sviluppo linguistico siano le stesse in tutte le culture e le classi sociali. In contrapposizione alla competenza, è l’esecuzione 7 (performance), o “l’uso effettivo della lingua in situazioni concrete” (Chomsky, 1965 [1970: 45]), cioè l’utilizzazione materiale che ogni parlante fa della propria lingua nelle diverse e molteplici circostanze comunicative. Nel suo libro Aspetti della teoria della sintassi, Chomsky sostiene: ‘‘Per studiare l’esecuzione linguistica effettiva, dobbiamo considerare l’interazione di vari fattori, e la competenza sottostante del parlante – ascoltatore non è che uno di essi. […] Facciamo quindi una distinzione fondamentale tra la competenza (la conoscenza che il parlante – ascoltatore ha della sua lingua) e l’esecuzione (l’uso effettivo della lingua in situazione concrete’’ (Chomsky, 1979: 44-45) Nelle esecuzioni effettive, secondo Chomsky oltre alla competenza, intervengono, anche altri fattori come le convinzioni extralinguistiche, il contesto, la struttura cognitiva con le limitazioni mnemoniche e altro. Riprendendo la distinzione di Chomsky, Paprella sottolinea come non sempre l’esecuzione effettiva rispecchi pienamente la competenza acquisita: ‘‘Può accadere, infatti, che un soggetto, pur fornito di un alto livello di competenza linguistica, possa esprimere un performance modesto in certe determinante situazioni di contesto o per effetto di specifiche interferenze emotive o per il richiamo forzato di risorse aggiuntive (dati di memoria, ad esempio). La performance nasce e si definisce a partire da interazione di vari fattori, alcuni anche del tutto contingenti; e la competenza è soltanto uno di questi fattori’’ (Paprella, 2005:168). Il motivo per cui la performance di un parlante – ascoltatore non possa identificarsi con la sua competenza è attribuito a ‘‘false starts, deviations from rules, change of plans in mind-course, and so on’’ (Chomsky, 1965: 4) che rendono un’esecuzione mai perfettamente assimilabile alla competenza3 sottostante. 3 Negli scritti più recenti di Chomsky la distinzione fra competenza e esecuzione è riformulata mediante la distinzione fra ciò che egli chiama ‘‘Lingua interna’’ (I -language) e ‘‘Lingua esterna’’ (Elanguage) (Chomsky 1986; cfr.par.3.5.1). 8 1.2 La Competenza Comunicativa: Il successivo, influente, arricchimento del concetto di competenza è da ascriversi all’ etnologo Dell Hymes, il quale critica il concetto di competenza di Chomsky alla luce del più ampio concetto di ‘‘competenza comunicativa’’ (communicative competence), estende il concetto di competenza chomskiana alla dimensione sociale della lingua e al contesto (competenza d’uso) in cui il fenomeno linguistico si realizza. Nel suo studio, Hymes sostiene che non è possibile analizzare una lingua come un corpo omogeneo e immutabile, riducendola a una semplice combinazione di forma e significato e cercando di spiegare soltanto le relazioni esistenti tra le due dimensioni. È ovvio, quindi, da questo punto di vista, che ‘‘un’adeguata competenza comunicativa […] implica, naturalmente tener conto di certi fattori extralinguistici come il ruolo dei parlanti, il luogo ed il tempo in cui si sviluppa l’atto comunicativo’’ (Lenarduzzi, 1989:238). Ciò è particolarmente evidente quando si analizza una frase grammaticalmente identica che può assumere diverse funzioni (ordini, dichiarazione, richiesta, ecc.) a seconda del contesto e delle intenzioni comunicative. Hymes rappresenta il concetto della competenza comunicativa come la ‘‘capacità’’ del parlante di esprimere giudizi sul proprio enunciato e di scegliere fra tutte le forme linguistiche a sua disposizione quelle «che riflettono in modo appropriato le norme sociali che governano il comportamento in situazioni specifiche» (Hymes, 1972: 270). Ciò è l’insieme delle regole di natura psicologica, sociale e culturale che permettono all’utente di una lingua di produrre messaggi appropriati alla situazione. Per Hymes conoscere una lingua non significa solo avere interiorizzato il sistema di regole che ci permette di produrre e capire un numero infinito di frasi in quella lingua, ma anche possedere la capacità di farne uso nel contesto in cui si trova, e cioè sapere «quando parlare, quando no, per dire che a chi, quando, dove, in che m odo» (Hymes 1972: 277). Il parlante/scrivente quindi conosce anche le regole d’uso che gli permettono di produrre messaggi appropriati alla situazione e di interpretarli in modo adeguato nel contesto in cui li ascolta o legge. 9 Secondo Hymes, qualunque produzione linguistica deve rispondere a quattro requisiti fondamentali: - Deve essere formalmente possibile, ovvero deve essere formalmente corretta. - Deve essere fattibile, cioè strettamente vincolata alla cultura e alle sue regole: si deve poter fare in una certa cultura, deve essere accettata culturalmente. Significa che un locutore deve essere in grado di produrre messaggi non solo grammaticalmente corretti, ma anche culturalmente accettabili. - Deve essere realizzabile in un certo contesto, e si intende che una frase potrebbe essere costruita in modo corretto dal punto di vista grammaticale, ma non essere concretizzabile nel contesto d’uso perché troppo complessa. - Deve essere effettivamente realizzato , rimanda all’ipotesi che qualcosa possa essere possibile, realizzabile, appropriato, ma non trovare necessariamente una sua concretizzazione nel corpus di quella lingua (Hymes 1972: 281-286). Hymes introduce tre elementi di novità rispetto al concetto di competenza linguistica. In primo luogo, sostituisce «l’unità di analisi costituita dalla frase con un’unità più ampia – l’evento linguistico – che chiama in causa tutta una serie di fattori che compongono la ‘situazione sociale’ in cui l’evento ha luogo» (Ciliberti 1995: 149). In secondo luogo, allarga gli ambiti delle conoscenza necessarie a chi usa la lingua: non è sufficiente conoscere il sistema formale della lingua, è necessario ‘conoscere’ le norme sociolinguistiche che governano i rapporti sociali e le interazioni nelle diverse situazioni comunicative. Infine, oltre alle conoscenze, Hymes include nel concetto anche le abilità d’uso: non basta ‘conoscere’ delle regole per essere in grado di comunicare, è necessario avere la capacità di metterle in atto. La competenza comunicativa è una combinazione di ‘‘(tacita) conoscenza è (capacità d’) uso ’’ (Hymes 1972: 282). 10 Dell Hymes, considerato come il fondatore dell’etnografia della comunicazione4 che ha come oggetto di studio l’interrelazione tra cultura e usi linguistici, ha stabilito il rapporto tra le specificità dell’uso linguistico e la comunità attraverso l’evento comunicativo considerato come l’unità d’analisi e dice: Il punto di partenza è dato dall’analisi etnografica del comportamento comunicativo di una comunità. Bisogna determinare che cosa può contare come evento comunicativo, e come suo componente, e non considerare come comunicativo alcun comportamento che non sia definito da un qualche contesto e da una domanda implicita. In tal modo l’evento comunicativo risulta centrale.5 Il termine ‘‘evento comunicativo’’, di cui Hymes aveva in un primo tempo fatto uso fu in seguito abbandonato, ed al suo posto fu introdotto quello di evento linguistico (speech event). Tra gli esempi di eventi linguistici è possibile annoverare il cicaleccio al bar, una lezione, una conversazione telefonica, il dibattito parlamentare, la festa di compleanno, la messa in chiesa, un’intervista, raccontare una barzelletta; si tratta di attività in cui la lingua svolge un ruolo essenziale nella definizione stessa di ciò che sta accadendo – se eliminiamo la lingua, cioè, l’attività non può aver luogo. Le situazioni linguistiche, all’opposto, sono attività nelle quali la lingua gioca un ruolo secondario. Tra gli esempi di situazioni linguistiche possiamo elencare una partita di calcio, una corsa in autobus, una visita ad una galleria d’arte. L’antropologo Dell Hymes ha elaborato uno strumento importante per lo studio della comunicazione in un contesto culturale: il modello SPEAKING, che si rifà in modo esplicito al modello di evento linguistico di Jakobson (aggiungere anno di pubblicazione). Questo modello individua le componenti universali del contesto in cui si svolge ogni forma di comunicazione. SPEAKING è un acronimo formato dalle iniziali di situation, participants, ends, act, 4 L’etnografia della comunicazione individua un campo di ricerca interdisciplinare che ha come oggetto principale l’analisi della comunicazione verbale dal punto di vista degli atti, degli eventi e degli stili linguistici in cui essa si realizza. 5 D. Hymes, Fondamenti di sociolinguistica. Un approccio etnografico (1974), pres. di G. Berruto, Zanichelli, Bologna, 1980, p.8. 11 sequences, key, instrumentals, norms e genres: ‘‘(S) Setting including the time and place, physical aspects of the situation. (P) Participants identity including personal characteristics such as age and sex, social status, relationship with each other. (E) Ends including the purpose of the event itself as well as the individual goals of the participants. (A) act, sequence or how speech acts are organized within a speech event and what topic/s are addressed. (K) Key or the tone and manner in which something is said or written. (I) instrumentalities or the linguistic code i.e. language, dialect, variety and channel i.e. speech or writing. (N) Norm or the standard socio-cultural rules of interaction and interpretation and (G) genre or type of event such as lecture, poem, letter ’’. (Farah, 1998: 126) Situation: indica l’ambientazione dell’evento comunicativo definito dalle coordinate spazio-temporali (setting), e indica la cornice culturale (scene) dello stesso evento; ad esempio un incontro di servizio in una libreria italiana. Participants: nella partecipazione all’evento linguistico si definiscono i ruoli di parlante (speaker) – che può essere solo portavoce -, mittente (addressor) – la fonte del messaggio -, ascoltatore (hearer) e reale destinatario (addressee), ciò è importante distinguere fra chi parla e chi è considerato emittente del messaggio, come fra chi ascolta e chi è considerato il ricevente del messaggio: nel caso dell’incontro di servizio, il commesso può parlare bene di un libro con un collega (ascoltatore), con lo scopo di convincere il cliente (reale destinatario del suo messaggio) a comprare quel libro. Si definiscono i ruoli sociali, che si riflettono in scelta di registro: ad esempio, il cliente e il commesso possono decidere, sulla base dell’età, del sesso, del ragno sociale, di usare il (Lei) o il (tu). Ends: riguardano gli scopi che muovono i partecipanti all’evento, alcuni sono dichiarati, altri restano impliciti; vi può anche essere una discrasia tra lo scopo perseguito (goal) e il risultato effettivamente raggiunto (outcome), come nel 12 caso del commesso che insiste col cliente al fine di fargli acquistare il libro e che ottiene invece il risultato di irritarlo. Act sequences: sono le sequenze di atti che i partecipanti compiono per raggiungere gli scopi che si prefiggono; l’evento può anche consistere di un solo atto linguistico, ma solitamente ne comprende diversi: in libreria, il cliente saluta, chiede informazioni sul libro, ringrazia ecc. Key: è la chiave interpretativa del messaggio (spesso inferibile dai codici non verbali), che ci comunica ad esempio il senso ironico del Troppo gentile! di un cliente che cerca di difendersi da un commesso insistente. Instrumentalities: sono i canali di comunicazione, ma in questa categoria sono anche comprese le diverse forme di parlata (forms of speech) che si possono usare, a seconda delle situazioni Norms: sono le norme dell’interazione, che riguardano sia la produzione che l’interpretazione dei messaggi; anche negli interscambi più informali si rispettano norme (non interrompere l’altro, non sovrapporsi…). Queste possono variare nelle diverse culture, creando spesso problemi di comunicazione. Genres: un genere è un’unità di discorso riconoscibile per particolari caratteristiche formali e contenutistiche; molti sono i generi comunicativi a cui si può ricorrere in un evento linguistico: gli incontri di servizio possono svolgersi anche attraverso telefonate o e-mail; inoltre, nel corso di un interscambio canonico tra commesso e cliente si può utilizzare un diverso genere, per raccontare ad esempio un aneddoto. Dalle intuizioni di Hymes sono derivati in ambito glottodidattico vari modelli che analizzano e descrivono le componenti della competenza comunicativa con lo scopo di costituire schemi di riflessione, e che costituiscono confronto e guida per chi si occupa di definire obiettivi, scegliere percorsi didattici, individuare criteri di valutazione nell’ambito dell’insegnamento della L2. 13 1.3 Il modello di Canale e Swain: Canale e Swain (1980) riconoscono tre componenti della competenza comunicativa: la competenza linguistica, sociolinguistica e strategica. Successivamente) Canale (1983) ne aggiunge una quarta: la competenza discorsiva. Lo scopo di questi autori era di elaborare uno schema teorico che servisse poi all’impostazione del curriculum e alla valutazione dei programmi per l’insegnamento della L2. In seguito, spiego la natura di ciascuna di queste componenti. Canale and Swain (1980) Canale (1983) Grammatical competence Grammatical competence Strategic competence Strategic competence Sociocultural competence Sociocultural competence Discourse competence Il modello di Canale e Swain (1980) e Canale (1983). 14 1.3.1 La competenza linguistica (o grammaticale). In senso stretto, per come il termine è stato usato da Chomsky e dalla maggior parte degli altri linguisti, con ‘competenza linguistica’ si intende quella parte delle conoscenze linguistiche di un parlante con cui abbiamo maggiore familiarità. Si intende, cioè quelle conoscenze e capacità che presiedono alla correttezza grammaticale, che è stata al centro dello studio della L2 per secoli. Questa dimensione della lingua è tradizionalmente illustrata nelle grammatiche descrittive di vario genere, come sostiene Savignon: ‘‘Le grammatiche tradizionali, che forniscono le regole di uso (usage) proprio della lingua scritta, si fondano sulle classi di parole o categorie di significato stabilito per il greco e il latino classici. La grammatica strutturale si è concentrata sulla lingua parlata e fornisce un’analisi delle forme superficiali osservabili e dei loro modelli di distribuzioni. La grammatica generativo-trasformazionale si occupa della relazione esistente tra l’interpretazione grammaticale delle frasi e la struttura superficiale come mezzo per scoprire le categorie universali della grammatica e la natura dei processi cognitivi umani in generali. ’’ (Savignon, 1988: 38). Sebbene le definizioni differiscono, in ciascun caso la meta è un’adeguata descrizione dei tratti formali a livello di frase della lingua. Una grammatica particolare, infatti, rappresenta un tentativo di descrivere come gli elementi della lingua si combinino in maniera sistematica. Il decidere se o no una particolare struttura esiste o è possibile si basa sulla frequenza con cui queste strutture si presentano nel parlare e nello scrivere dei parlanti nativi, in realtà sulle intuizioni dei parlanti nativi con lunga pratica nell’uso della lingua. Questi dati e queste valutazioni poi forniscono al linguista la base per formulare una regola. Naturalmente, nessuna grammatica esistente è completa, poiché il comportamento linguistico è complesso e finora ha eluso una sistemazione soddisfacente. La relazione tra qualsiasi grammatica descrittiva e l’apprendimento linguistico è, tuttavia, un’altra cosa. Gli utenti esperti della lingua possono fornire ai linguisti a dati di cui questi hanno bisogno per formulare le regole 15 linguistiche. Tuttavia gli stessi parlanti nativi nella maggior parte dei casi non sarebbero in grado di formulare essi stessi tali regole. Nessuno di loro ha imparato ad usare la lingua imparando prima le regole. Infatti, le regole sono così complesse che neanche il linguista che le ha formulate potrebbe ricordarle tutte. I linguisti stessi sono stati tra coloro che più apertamente hanno criticato i tentativi di applicare la descrizione linguistica all’insegnamento della seconda lingua. A questo riguardo, le osservazioni fatte da Chomsky durante la Northeast Conference del 1966 sull’insegnamento delle lingue straniere sono importanti: ‘‘Vorrei chiarire fin dall’inizio che partecipo a questo convegno non in qualità di esperto su aspetti dell’insegnamento delle lingue, bensì come qualcuno che si interessa soprattutto delle strutture della lingua e, più in generale, della natura dei processi cognitivi. Inoltre, francamente sono piuttosto scettico circa l’importanza, per l’insegnamento delle lingue, di quelle intuizioni e conoscenze che si sono raggiunte nella linguistica e nella psicologia. Sicuramente l’insegnante di lingue farebbe bene a tenersi informato dei progressi e delle discussioni in questi campi e gli sforzi di linguisti e psicologi per affrontare i problemi dell’insegnamento delle lingue basandosi su principi sono estremamente meritevoli sia da un punto di vista intellettuale che sociale. Tuttavia è difficile credere che la linguistica o la psicologia abbiano raggiunti livelli di conoscenze teoriche tali da permettere loro di sostenere una ‘‘tecnologia’’ dell’insegnamento delle lingue’’ (Chomsky 1966:43). Diventa importante, quindi, stabilire che vi è una differenza tra la conoscenza del sistema grammaticale di una lingua e le sue regole e la capacità di applicarle. La competenza grammaticale, dunque, è ‘‘la padronanza del codice linguistico, l’abilità di riconoscere i tratti lessicali, morfologici, sintattici e fonologici di una lingua e di manipolare questi tratti per formare parole e frasi. La competenza grammaticale non è collegata a nessuna singola teoria della grammatica, né presuppone l’abilità di rendere esplicite le regole dell’uso (usage). Una persona dimostra competenza grammaticale usando una regola, non enunciandola’’ (Savignon 1998: 57). 16 1.3.2 La Competenza sociolinguistica: La competenza grammaticale è stata dominio degli studi linguistici propriamente detti, mentre la competenza sociolinguistica è ‘‘un campo interdisciplinare di indagine che riguarda le regole sociali dell’uso linguistico. In particolare, la competenza sociolinguistica richiede la comprensione del contesto sociale in cui la lingua è usata: i ruoli dei partecipanti, le informazioni che essi condividono e le funzioni dell’interazione ’’ (Savignon, 1988). Soltanto tenendo conto del contesto completo in cui i parlanti interagiscono si possono esprimere dei giudizi sull’appropriatezza di un particolare enunciato nei termini elaborati da Hymes. I parlanti nativi conoscono le regole socioculturali dell’appropriatezza e le usano per comunicare con successo in diverse situazioni. Una delle mete dell’analisi interculturale è di rendere esplicite le regole di una cultura e in tal modo aiutare i non nativi a capire e ad adattarsi più facilmente ai modelli con cui non hanno familiarità. I giudizi di appropriatezza comportano non solo sapere che cosa dire in una certa situazione e come dirlo, ma anche quando rimanere zitti. O, in effetti, quando sembrare incompetenti. Dunque, lo scambio linguistico avviene non nel vuoto ma in situazioni di comunicazioni per le quali non basta il solo criterio della grammaticalità per la verifica degli enunciati prodotti o ricevuti. Condurremo una rapida verifica dell’asserzione esaminando la realità fenomenologica dello scambio in base ad alcuni principi della sociolinguistica. Uno stesso contenuto può essere formulato diversamente facendo ricorso, a seconda della situazione, a differente varietà della lingua. Ad esempio: I. II. Soddisfatti? Graderei sapere se siete soddisfatti? È evidente che con amici si userà preferibilmente la prima formula, mentre con ospiti di riguardo non si dovrà usare la prima ma si potrà usare la seconda. La sociolinguistica insegna che il parlante ha a sua disposizione un vasto spettro di usi (repertorio verbale) che corrispondono ad altrettante varietà di 17 lingua. Riferendoci alla lingua italiana potremmo introdurre una schematizzazione del tipo: Ia = italiano aulico/ricercato, If = italiano parlato formale, Ic = italiano colloquiale informale. Sarà la situazione in cui avviene lo scambio ad imporre come più conveniente l’uso della varietà Ia, If o Ic, o anche il passaggio, a seconda dello stato d’animo dei locutori oppure della dinamica della situazione, da una varietà ad un’altra. ’’ (Freddi, 1993:26-27). Osservato che la stratificazione delle varietà linguistiche ripete all’origine la stratificazione sociale degli utenti della lingua, si rende necessario approfondire il concetto di situazione. In uno studio ormai classico J. A. Fishman distingue nella situazione tre elementi costitutivi: a) Relazione di ruolo (Padre/figlio, insegnante/allievo, superiore/inferiore, guardia/ladro, amico/amica, ecc.); b) Un luogo specifico (in casa, in classe, in ufficio, in prigione, ecc.); c) Un momento specifico, funzionale tanto al punto a), quanto al punto b). La situazione può dirsi congruente, cioè coerente, allorché gli individui interagiscono fra di loro in appropriate relazioni di ruolo, parlando in luoghi e di argomenti appropriati a teli relazioni dal punto di vista della accettabilità sociale (Fishman 1975: 65 -117). La congruenza della situazione rimanda così alla necessità della appropriatezza linguistica, cioè della scelta funzionale delle varietà di lingua adatte alla situazione e alla sua dinamica, il che viene a sottolineare l’angustia e l’insufficienza, agli effetti della comunicazione, del criterio della grammaticalità pura degli enunciati linguistici proposta da Chomsky. 18 1.3.3 La competenza discorsiva: La competenza discorsiva ‘‘ si occupa non dell’interpretazione di frasi isolate ma della concatenazione di una serie di frasi o enunciati tale da formare un tutto significativo’’ (Savignon, 1988). Al pari della competenza sociolinguistica, essa è oggetto di indagine interdisciplinare. La teoria e l’analisi del discorso richiamano molte discipline; per esempio, la linguistica, la critica letteraria, la psicologia, la sociologia, la filosofia, l’antropologia, i mezzi di comunicazione tramite stampa o trasmissione. Riconoscere il tema o l’argomento di un paragrafo, di un capitolo, o di un libro, cogliere l’essenza di una conversazione telefonica, di una poesia, di un annuncio pubblicitario televisivo, di un promemoria per l’ufficio, di una ricetta, o di un documento legale sono attività che richiedono competenza discorsiva. I modelli di organizzazione del discorso differiscono, in relazione con la natura del testo e del contesto in cui esso si manifesta. Tuttavia i modelli effettivamente esistono e rivestono un importante ruolo nell’interpretazione ed espressione del significato, un significato globale che è sempre maggiore della somma degli enunciati o delle frasi individuali che formano un testo. Con grammatica discorsiva (Morgan, 1981) si fa riferimento talvolta a una descrizione delle varie strutture che stanno alla base del discorso. Ciò che fa di una lista di frasi un discorso sono le connessioni, spesso non esplicite, che esistono tra le frasi. Vale a dire, può darsi che non ci sia una palese espressione di un legame tra una proposizione e l’altra. Basandosi sulla conoscenza generale del mondo reale, come pure sulla familiarità con un particolare contesto un lettore/ascoltatore inferisce il significato. Il significato di un testo dipende dai valori, dalle intenzioni, e dagli scopi sia del lettore/ascoltatore, sia dello scrivente/parlante. Gli esempi seguenti illustrano il ruolo dell’inferenza nell’interpretazione del discorso: 1. Chico improvvisamente si voltò e si mise correre perché vide un poliziotto venire lungo la strada. 19 2. Chico vide un poliziotto venire lungo la strada. Improvvisamente si voltò e si mise a correre. (Savignon, 1988). Nell’esempio di periodo (1), la relazione tra le due proposizioni, Chico improvvisamente si voltò e si mise a correre e vide un poliziotto, è esplicita. La nostra conoscenza della grammatica e del significato convenzionale della parola perché ci fa mettere in relazione le due parte del periodo. Nell’esempio di discorso (2), la competenza grammatica da sola non fornire il significato. L’interpretazione richiede la capacità di fare una sensata inferenza della situazione. Potremmo anche interpretare il discorso nel senso Chico si voltò e si mise a correre perché vide un poliziotto venire lungo la strada. Ma per fare ciò è necessario che facciamo certe supposizione su Chico, un poliziotto, la strada, ecc., ossia, creiamo uno scenario nella nostra mente. Inoltre, la nostra interpretazione potrebbe facilmente essere invalidata da fattori contestuali di cui non siamo a conoscenza. Per esempio, l’evento che coinvolge Chico e il poliziotto potrebbe concludersi così: Chico vide un poliziotto venire lungo la strada. Improvvisamente si voltò e si mise a correre. L’autobus della quinta strada gli era appena passato accanto proseguendo la sua corsa ed egli avrebbe fatto di nuovo tardi a scuola! Non c’era tempo di chiedere di Pedro. Forse l’indomani. La relazione di tutte le frasi o enunciati di un testo rispetto a una singola proposizione globale è definita coerenza testuale. La costituzione di un significato globale o argomento per un brano, una conversazione, un libro ecc. interi è parte integrante sia dell’espressione sia dell’interpretazione e rende possibile la comprensione delle frasi o enunciati individuali inclusi in un testo. Connessioni locali o legami strutturali tra frasi individuali forniscono invece ciò che viene talvolta indicato con il termine coesione, una specie particolare di coerenza. Alcuni esempi degli accorgimenti formali coesivi usati per connettere il linguaggio con se stesso sono i pronomi, le congiunzioni, i sinonimi, le ellissi, i paragoni e le strutture parallele. L’identificazione di Halliday e Hasan (1976) dei vari accorgimenti coesivi usati in inglese è ben 20 nota ed ha comunicato ad influire sia nell’analisi testuale sia nei materiali per l’insegnamento e la verifica dell’inglese come seconda lingua. Lo studio di Kaplan (1966) della retorica contrastiva è un esempio dell’analisi discorsiva applicata all’organizzazione dei paragrafi in lingue diverse. I suoi familiari diagrammi illustrano quelli che egli considera essere i modelli dominanti del discorso scritto formale nei maggiori gruppi linguistici. Questi diagrammi cercano di descrivere come sono strutturati i modelli di pensiero nello stile scritto formale. Il loro intento è di segnalare le differenze nello stile organizzativo e di aiutare i discenti nell’interpretazione e nella costruzione di testi di L2. In verità, come osserva Savignon, i modelli proposti possono essi stessi riflettere un pregiudizio culturale in quanto la costruzione dei paragrafi in inglese è rappresentata da un linea retta dalla quale gli altri modelli sembrano divagare. Tuttavia, questi diagrammi costituiscono un tentativo importante di trattare del significato oltre la struttura a livello di frase. Patterns of Written Discourse (Kaplan, 1966:14). Riassumendo, La competenza discorsiva è la capacità di interpretare una serie di frasi o enunciati in modo da formare un insieme significativo e di realizzare testi coerenti che siano pertinenti rispetto a un dato contesto. Il successo in entrambi i casi dipende dalle conoscenze condivise dallo scrivente/parlante e del lettore/ascoltatore, la conoscenza del mondo reale, la conoscenza del codice linguistico, la conoscenza della struttura del discorso e la conoscenza della situazione sociale. 21 1.3.4 La competenza strategica: Non esiste un parlante/ascoltatore ideale di una lingua, una persona che conosca perfettamente la lingua e la usi in modo appropriato in tutte le interazioni sociali. Nessuno di noi sa tutto quello che c’è da sapere del francese o del giapponese o dello spagnolo o dell’inglese. Facciamo l’uso migliore di quanto effettivamente sappiamo, dei contesti di cui abbiamo fatto una esperienza, per trasmettere il nostro messaggio. La competenza comunicativa, nella nostra lingua nativa o nella seconda lingua, è relativa. ‘‘Le strategie che si usano per compensare la conoscenza imperfetta della lingua o i fattori limitativi che intervengono nella loro applicazione come la stanchezza, la distrazione e la disattenzione si possono definire competenza strategica, il quarto componente della competenza comunicativa nello schema di Canale’’ (Savignon, 1988). Esso è analogo alla necessità di strategie reattive o di sopravvivenza identificate in Savignon (1972b). Che cosa si fa quando non viene in mente una parola? Quali sono i modi per tenere aperti i canali della comunicazione mentre ci si sofferma per raccogliere i propri pensieri? Come si fa capire al proprio interlocutore che non si è compresa una particolare parola? O che lui/lei parlava troppo velocemente? A propria volta, come si reagisce quando il proprio messaggio è frainteso? I parlanti nativi adulti abitualmente affrontano una varietà di fattori che, se non sono presi in considerazione, possono portare al fallimento della comunicazione. Le strategie che usiamo per sostenere la comunicazione includono la parafrasi, la circonlocuzione, la ripetizione, l’esitazione, l’evitare e il fare ipotesi, come pure i cambiamenti di registro o di stile. Savignon nel suo libro Communicative competence: theory and classroom practice (metta nota con riferimento bibliografico completo o anno di pubblicazione soltanto) ha presentato alcuni esempi citati da (Savignon 1988), che illustrano l’importanza della competenza strategica: Marito e moglie tornavano a casa da un giro per i negozi ed entrando nel garage passarono accanto ad un gruppo di bambini del vicinato che giocavano sul prato. La moglie, avendo notato un bambino a cui non parlava da un po’ di tempo, casualmente ha chiesto il marito, ‘‘Chissà quanti anni ha Davie? ’’. Al che il marito rispose ‘‘Non lo so. Glielo chiederò’’ 22 MARITO: (Gridando dal garage) How old are you, Davie? DAVIE: Fine. (Ha capito ‘‘How are you? ’’, ossia ‘‘come stai? ’’ C’è somiglianza fonetica tra le due domande). MARITO: Five? (Gli sembra di aver capito ‘‘Five’’ ossia ‘‘cinque’’ per la somiglianza fonetica con ‘‘Fine’’, ma soprattutto perché risposta pertinente alla sua domanda). MARITO: Fine. (È ancora convinto che la domanda iniziale sia ‘‘Come stai? ’’ e alla confermare equivoca anche lui sulla somiglianza fonetica di ‘‘fine’’ e ‘‘five’’). MARITO: How old are you? (Riformula la domanda più distintamente). DAVIE: Six. (L’equivoco è chiarito). ‘‘CENTRALINISTA: C’è una telefonata a carico del destinatario da parte di Sandra. Accetta l’addebito? CATHERINA: Mi dispiace. Lei non c’è ora. CENTRALINISTA: (Modificando atteggiamento di fronte alla voce della bambina all’altro capo della fila). È da parte di Sandra, L’accetti? CATHERINA: Oh … Sì. I parlanti usano strategie per far fronte ai limiti del loro sapere o alle restrizioni nell’uso di quel sapere in una particolare situazione. Questa abilità di comunicare pur in presenza restrizioni include perciò l’abilità di adattare le proprie strategie comunicative in relazione a una varietà di condizioni interpersonali mutevoli e spesso inattese. La riformulazione, la ripetizione, il rilievo, la ricerca di chiarimenti, la circonlocuzione, l’evitare (parole, strutture, argomenti), e perfino il modificare il messaggio, sono tra le strategie che noi usiamo per rispondere alle esigenze della comunicazione in corso. 23 1.4 Il modello di Bachman e Palmer L.F. Bachman e A. Palmer ampliano e approfondiscono il concetto di competenza comunicativa di Hymes, proponendo il nuovo concetto di abilità linguistico-comunicativa. Lo schema di Bachman (1990) evidenzia che chi utilizza una lingua possiede un insieme di conoscenze del mondo e di competenza linguistiche a cui ‘attinge’ per formulare i suoi messaggi, ricorrendo, nello stesso tempo, alla competenza strategica per valutare le variabili della situazione comunicativa e adeguare ad esso il proprio intervento. Il locutore si serve poi di meccanismi psicofisici per realizzare fisicamente il suo messaggio. In altre parole, le componenti dell’abilità linguisticocomunicativa, tutte fra loro interagenti, sono: - ‘‘La conoscenza del mondo costituita da ciò che conosciamo e di cui abbiamo avuto esperienza nella realtà intorno a noi: il ‘sapere’, saper essere’, saper fare, ‘saper apprendere’; - La competenza linguistica: la conoscenza formale della lingua che trova applicazione nella comunicazione; - La competenza strategica: una serie di strategie, derivanti ad esempio dalla conoscenza e consapevolezza del contesto, che permette al locutore di applicare le competenze generali e quelle linguisticocomunicative all’interazione a cui prende parte in un preciso contesto di comunicazione. Chi usa la lingua ricorre infatti alla propria competenza strategica per decidere come interagir, in base alla competenze a sua disposizione (ad esempio la conoscenza del lessico e delle strutture della lingua, le conoscenze dell’argomento che si sta trattando), i rapporti sociali intrattenuti con l’interlocutore, il contesto in cui si svolge la comunicazione ecc. Mentre le strutture di conoscenza e la competenza linguistica sono insiemi di conoscenze, la competenza strategica è costituita invece da strategie, cioè capacità di applicare le conoscenze al particolare contesto comunicativo; 24 - I meccanismi psicofisici: i processi neurologici e psicologici coinvolti nella realizzazione della comunicazione linguistica come fenomeno fisico’’6 Due sono quindi i concetti fondamentali su cui basa il modello: 1- L’abilità linguistico-comunicativa è formata da conoscenze o competenze (generali e linguistiche) e capacità applicare tali conoscenze o competenze in reali situazioni comunicative 2- L’uso di una lingua è processo dinamico, frutto dell’incontro fra conoscenze (o competenze) e capacità di chi usa la lingua è le variabili che intervengono della situazione comunicativa. Il concetto di abilità linguistico-comunicativa è molto complesso, come dimostra anche l’ampio dibattito al riguardo, i numerosi modelli proposti e la conseguente terminologia non sempre univoca. Ad esempio, Bachman adotta la dicitura ‘abilità linguistico-comunicativa’ per descrivere la capacità d’uso della lingua nel contesto, evitando volutamente di servirsi, a questo livello genere le di descrizione, della parola ‘competenza’. Competenza, per lo studioso, equivale infatti a ‘conoscenza’ e copre solo una parte del complesso dell’abilità linguistica-comunicativa. La competenza linguistica viene distinta da Bachman in ulteriori componenti: la competenza organizzativa e la competenza pragmatica. In particolare, la competenza organizzativa riguarda quelle abilità che controllano la struttura formale della lingua per produrre enunciati grammaticalmente corretti, per capire il contenuto di espressioni linguistiche e per organizzare gli enunciati in testi. Comprende quindi a sua volta due tipi di competenze. 1- La competenza grammaticale, costituita da competenze che governano la scelta di vocaboli per esprimere significati specifici, le 6 AA.VV. ‘‘Metodi in classe per insegnare la lingua straniera: Teorie applicazioni materiali ’’, 2006, LED Edizioni Universitarie, P. 445. 25 loro forme, la loro organizzazione in enunciati e la loro realizzazione fisica, cioè suoni o simboli scritti. 2- La competenza testuale, costituita dalla conoscenza delle convenzioni che permettono di collegare fra loro gli enunciati per formare un testo, parlato o scritto. Questo convenzioni includono sia la coesione, cioè la segnalazione dei rapporti semantici fra le parole (per esempio: la referenza, l’ellissi, la congiunzione, la coesione lessicale ecc.), sia l’organizzazione retorica che governa l’ordine di presentazione delle nuove informazioni rispetto a quelle già date. Quest’ultima ha uno stretto legame con l’effetto che il testo produce sull’utente della lingua. La narrazione, la descrizione, il confronto, la classificazione, l’analisi di un processo sono esempi di tipi di testo che seguono precise convenzioni di organizzazione retorica. Infine, la competenza pragmatica si riferisce alla relazione fra enunciati e gli atti o funzioni che gli interlocutori intendono realizzare producendo quei determinati enunciati e alle condizioni che rendono un enunciato appropriato alla situazione. (Bachman 1990: 89). ‘‘ Include due sottocomponenti: 1- La competenza illocutoria riguarda la capacità d’uso del discorso orale e scritto per esprimere una particolare funzione, cioè un particolare scopo o intenzione comunicativa. È quindi in gioco la conoscenza delle convenzioni pragmatiche in modo le quali si producono enunciati per esprimere in modo efficace, cioè con la giusta forza illocutoria, l’intenzione che si vuole comunicare. Riguarda anche la capacità di interpretare in modo corretto la forza illocutoria degli enunciati prodotti da altri. Il concetto di competenza illocutoria si basa sulla teoria degli atti linguistici, in particolare sulla contestazione che non esiste un corrispondenza diretta e rigida fra forma grammaticale e funzione. La competenza illocutoria include la conoscenza di quattro categorie di funzioni linguistiche: ideazionale, manipolativa, strumentale e immaginativa. 26 2- La competenza sociolinguistica riguarda il controllo delle convenzioni d’uso della lingua e cioè la sensibilità alle differenze dialettali e alle differenza di registro, la sensibilità alla ‘naturalezza’ del messaggio (quanto cioè enunciato risulti simile a quello di un locutore madrelingua), la capacità di interpretare i riferimenti culturali e di comprendere le figure retoriche, che hanno origine nelle radici della cultura di una società e quindi fanno parte della competenza sociolinguistica e non di quella grammaticale.’’7 Schema illustra le componenti della competenza linguistica secondo Bachman (1990). 1.5 Il modello di Balboni: P.E. Balboni (1999a) delinea un modello di competenza comunicativa definendola, in termini pratici, ‘‘ciò che una persona deve possedere e padroneggiare per poter comunicare’’ (numero di pagina). Qui Balboni preferisce adottare il modello esemplificato tra gli altri da Widdowson (1989) 7 AA.VV. ‘‘Metodi in classe per insegnare la lingua straniera: Teorie applicazioni materiali ’’, 2006, LED Edizioni Universitarie, pp. 447-448. 27 in cui si distinguono e differenziano i concetti di conoscenza e abilità. Per cui la competenza comunicativa ‘‘può essere visualizzata come una piramide a tre lati, ciascuno dei quali indica un sapere o saper fare’’ (Balboni,1999a:31). Riporto qui di seguito quanto descritto da Balboni: a) Sapere fare la lingua: Si tratta di saper comprendere, leggere, scrivere, fare un monologo (ad esempio tenere una conferenza, fare la presentazione di un progetto, ecc.), partecipare ad un dialogo, oltre ad altre ‘‘abilità linguistiche’’ b) Saper fare con la lingua: Questa faccia della piramide include la dimensione - Sociale: chi sa comunicare deve saper come individuare e rispettare i rapporti di ruolo (o come attaccarli, se è il caso), sa attribuire correttamente lo status sociale e gerarchico ai vari partecipanti all’evento comunicativo, è appropriato nell’uso di appellativi (titoli, Mr./Ms., ecc.), e così via. - Pragmatica: comunicare efficacemente significa raggiungere i propri scopi, vincere la partita; tale obiettivo è perseguito attraverso una serie di atti, cioè di ‘‘mosse’’ intenzionali, mirate ad un effetto preciso; anche la grammatica pragmalinguistica è fortemente connotata culturalmente: come si è detto, atti accettabili in una cultura non lo sono in altre. - Culturale: la grammatica antropolinguistica e quella, più in generale, antropologica di una comunità costituisce il tessuto comune su cui si intrecciano tutti gli eventi in una data cultura; variando le culture, variando queste grammatiche. 28 c) Sapere i linguaggi verbali e non verbali Questa faccia include le grammatiche tradizionalmente indicate con tale nome (per due secoli si è ritenuto che sapere una lingua significasse conoscerne pronuncia, lessico e morfosintassi) e quelle, generalmente trascurate, dei linguaggi non-verbali. Avremo quindi una: c.1. Competenza linguistica di cui fanno parte le componenti lessicale, ad esempio la scelta delle parole, il modo di modificarle e di crearne di nuove, ecc. Morfosintattica, cioè meccanismi quali il singolare e il plurali, il modo di chiedere, di negare, di vietare, di esprimere comparazioni, di parlare del passato e del futuro, ecc. testuale, cioè la serie di meccanismi che garantiscono coerenza logica e coesione formale a un testo, nonché le regole dei vari generi (dialogo, conferenza, barzelletta, lettera, ecc.) fonologica, che riguarda la pronuncia paralinguistica, cioè quella componente (esterna) della competenza fonologica che riguarda il tono di voce, la sottolineatura delle parole, la velocità con cui si parla, e così via. c.2 Competenza extralinguistica: essa comprende le competenze cinesica, cioè l’uso comunicativo del corpo, delle sue posture e dei suoi movimenti. Prossemica, che riguarda l’uso comunicativo delle distanze interpersonali. Vestemica e oggettemica, che consentono di utilizzare per la comunicazione l’abbigliamento e altri oggetti di vario tipo e natura’’ (Balboni, 1999a:32-34). 1.6 L’insegnamento comunicativo della lingua: La linguista americana Savignon descrive la competenza comunicativa come ‘‘the ability to function in a truly communicative setting – that is, in a dynamic exchange in which linguistic competence must adapt itself to the total informational input, both linguistic and paralinguistic, of one or more interlocutors ’’ (Savignon, 1972:8). Secondo la studiosa americana, la competenza comunicativa ha una natura dinamica e ci descrive la conoscenza di una madrelingua che le permette di interagire in modo effettivo con altre persone madrelingue. Savignon sostiene che tale interazione tra le persone 29 native richiede molto di più di una conoscenza di codici linguistici: ‘‘ This kind of interaction is unrehearsed. It requires much more than a knowledge of linguistic code. The native speaker knows not only how to say something but what to say and when to say ’’ (Savignon 1976: 4). Savignon afferma che la comunicazione è ‘‘ dinamica, non statica. Dipende dalla negoziazione di significati fra due o più persone che condividono in qualche modo lo stesso sistema simbolico. […] è legata al contesto. La comunicazione ha luogo in un’infinita varietà di situazioni e la sua efficacia è legata alla capacità di cogliere il contesto e alle cooperazione di tutti partecipanti coinvolti. […] il significato che vogliamo trasmettere, e il significato che trasmettiamo spesso non coincidono. […] Il significato che trasmettiamo dipende dagli altri. ’’ (Savignon 1983: 8-9). Nel 1972 Savignon ha svolto un esperimento in un contesto istituzionale dove ha misurato la competenza comunicativa e quella linguistica di tre gruppi di adulti principianti arruolati in un corso di lingua francese, i tre gruppi ricevono quattro ore di lezioni settimanali. Ad uno dei tre gruppi sotto osservazione viene offerta un’ora in più di attività dedicata ai compiti comunicativi (communicative tasks): questa classe ha risultati migliori dal punto di vista delle abilità comunicative. La superiorità, assai significativa, del gruppo che fu sottoposto ad addestramento nella comunicazione per tutto il periodo del corso conferma l’ipotesi che la competenza comunicativa possa essere insegnata. Risulta, inoltre, che senza tale addestramento gli studenti hanno prestazioni relativamente scadenti nei contesti in cui si richiede un comportamento comunicativo. L’insegnamento della lingua seconda focalizzato sullo sviluppo della competenza comunicativa dello studente si chiama l’insegnamento comunicativo della lingua (ICL), o communicative language teaching (CLT). Berns (1990: 104) ha riassunto le base di (ICL): 1- Language teaching is based on a view of language as communication. That is, language is seen as a social tool, which speakers use to make meaning; 30 speakers communicate about something to someone for some purpose, either orally or in writing. 2- Diversity is recognized and accepted as part of language development and use in second language learners and users as it is with first language users. 3- A learner’s competence is considered in relative, not absolute, terms of correctness. 4- More than one variety of a language is recognized as a model of learning and teaching. 5- Culture is seen to play an instrumental role shaping speakers’ communicative competence, both in their first and subsequent languages. 6- No single methodology or fixed set of techniques is prescribed. 7- Language use is recognized as serving the ideational, the interpersonal, and the textual functions and is related to the development of learners’ competence in each. 8- It is essential that learners be engaged in doing things with language, that is, that they use language for a variety of purposes in all phases of learni ng. Learner expectations and attitudes have increasingly come to be recognized for their role in advancing or impeding curricular change. Sandra Savignon offre un contributo significativo al paradigma comunicativo. Ella definisce il curriculum comunicativo; in pratica, secondo la Savignon, il curriculum è composto da 5 componenti che si integrano e si alternano (5 aree): 1- Area di attività (Language arts): focalizzata sugli aspetti formali della lingua; 2- Area di lingua per uno scopo: prevede l’uso di L2 come lingua franca di comunicazione nella classe; 3- Area di uso personale di L2: mira agli aspetti affettivo-emotivi dell’uso linguistico, e in questo punto Savignon sostiene che un 31 programma di insegnamento deve prendere in considerazione gli aspetti effettivi e cognitivi dell’apprendimento e dice ‘‘ The most successful teaching programs are those that take into account the effective as well as the cognitive aspects of language learning. They seek to involve learners psychologically as well as intellectually.’’ (Savignon, 2003:58) 4- Area della drammatizzazione: si focalizza sull’importanza dei ruoli nell’interazione linguistica. La studiosa immagina che il mondo è un teatro pieno di attori ed attrici, in cui facciamo tanti ruoli, e applica questa idea all’insegnamento della lingua: ‘‘ If the world can be thought of as a stage, with actors and actresses who play their parts as best they can, theater may be seen as an opportunity to experiment with roles, to try things out. As occasions for language use, role-playing and the many related activities that constitute theater arts are likewise a natural component of language learning. The role of the teacher in theater arts is not unlike that of coach, to provide support, strategies, and encouragement for learners as they explore new ways of being. ’’ (Savignon 2003:58). 5- Area oltre la classe: prevede il contatto diretto fra gli apprendenti e L2, che eventualmente può avvenire attraverso i media. 32 IL SECONDO CAPITOLO ______________________________________________________________ Tecniche glottodidattiche In glottodidattica, le tecniche sono delle procedure operative, delle attività, dei modi di fare esercizio e di usare la lingua; attraverso le tecniche le indicazioni del metodo si traducono in atti didattici, sia che questi avvengano in classe, sia che si realizzino in lavoro individuale domestico, con o senza l’ausilio di glottotecnologie. (Balboni 1998:3) Il termine tecnica didattica implica tutte le attività didattiche, stabilite secondo un metodo ed un approccio che mirano a sviluppare le diverse abilità linguistiche. Questo termine include l’attività dell’insegnante che guida e facilita l’apprendimento, e le attività che mirano a sostenere l’apprendimento. Una tecnica è neutra […] non è né ‘‘buona’’, né ‘‘cattiva’’, né ‘‘moderna’’: è solo più o meno efficace nel raggiungere gli scopi di un metodo, presenta solo maggiore o minore coerenza ed armonia con le permesse dell’approccio e della teoria dell’educazione linguistica nel cui ambito è utilizzata (Balboni, 1998:3). Le tecniche non ammettono giudizi di valore in sé (buona/cattiva, tradizionale/innovativa); cioè, quando l’insegnante sceglie una tecnica, deve prendere in considerazione due parametri: la coerenza con l’approccio adottato e se quella tecnica è efficace nel produrre l’effetto voluto. Le tecniche didattiche sono categorizzabile in due grandi famiglie: ‘‘attività’’ ed ‘‘esercizi’’. Le attività glottodidattiche sono quelle in cui si usa la lingua, per raggiungere uno scopo comunicativo, cioè far qualcosa con la lingua, invece gli esercizi sono quelli in cui, come dice la parola, ci si esercita, ci si addestra, sono tecniche senza uno scopo comunicativo. 33 2.1 Una mappa delle abilità linguistiche: Le abilità linguistiche fondamentali sono quattro: ascoltare, parlare in monologo, scrivere e leggere, cui si aggiunge il ‘‘dialogo’’ come quinta abilità di base. Essie si dividono sulla base di un modello che si articola su due assi: da un lato quello della produzione-ricezione e dall’atro quello della scritturaoralità. Parlare è un’abilità produttiva-orale, scrivere è un’abilità produttivascritta, ascoltare è un’abilità ricettiva-orale ed infine leggere è un’abilità ricettiva-scritta. Un diagramma rappresenta il modello tradizionale delle ‘‘quattro abilità’’ (Balboni 1998:12) Esiste un altro gruppo di abilità (parafrasare, riassumere, prendere appunti, scrivere sotto dettatura, tradurre) che fanno interagire abilità ricettive e produttive oppure orali e scritte, sono dette ‘‘abilità integrate’’. Il modello precedente è inadeguato perché descrive solo le abilità linguistiche di base e trascura le abilità integrate, quindi un modello che includa le abilità primarie e 34 quelle integrate pare più adeguato alla descrizione della comunicazione linguistica. Balboni descrive le abilità integrate come abilità di trasformazione linguistica e dice ‘‘Esiste poi un gruppo di abilità di trasformazione linguistica, che spesso sono a cavallo tra i ruoli di ricezione e produzione e tra le modalità scritta e orale: il dettato, il riassunto, la parafrasi e la traduzione di un testo orale o scritto […] la raccolta di appunti scritti partendo da un testo orale o scritto’’ (Balboni 2015:128). Nel suo libro ‘‘Le sfide di Babele ’’ Balboni presenta una mappa che descrive le abilità primarie ed integrate insieme: Un diagramma che rappresenta le abilità primarie e integrate (Balboni 2015:128) Le abilità linguistiche hanno due dimensioni: la prima è la dimensione cognitiva, che sono processi sviluppati/insegnati nella lingua materna come la comprensione o la capacità di selezionare delle informazioni per fare un riassunto o prendere appunti ecc.; la seconda è semiotica, in cui i processi 35 cognitivi si realizzano attraverso la lingua o gesti e così via: saper riassumere è un’abilità cognitiva, che pio si realizza in italiano o nelle lingue stranieri (Balboni 2015). In inglese c’è un doppio termine: ability è la dimensione cognitiva, mentre skill è la realizzazione operativa di quella ability. Nelle scuole per i bambini, l’insegnante di italiano si deve occupare di sviluppare le abilità dal punto di vista anche cognitivo, ma da triennio delle superiori in poi, lo studente ormai sappia comprendere, riassumere, parafrasare ecc. per cui si focalizza sulla dimensione metodologica relativa all’acquisizione delle abilità come skill applicate all’italiano (Balboni 2013). 2.2 Le abilità ricettive: La comprensione orale e scritta Ascolto e lettura sono tradizionalmente le abilità di comprensione che è a sua volta una abilità centrale per ogni apprendimento e lo è a maggior ragione nell’acquisizione di una lingua. La comprensione si basa su tre elementi fondamentali: da un lato quello che conosciamo dal mondo spesso detta ‘‘enciclopedia’’, il secondo pilastro della comprensione è una serie di processi mentali che sono di carattere morfologico, sintattico, testuale e così via, il terzo è la cosiddetta la ‘‘grammatica dell’anticipazione’’: molto di quello che si capisce dipende dal fatto che si sa prevedere che cosa verrà detto, che cosa leggeremo o che vedremo. In seguito spiego i singoli componenti del processo di comprensione orale e scritta: L’enciclopedia: Ognuno di noi organizza la sua esperienza del mondo in ‘‘schemi’’ che classificano la sua esperienza di vita, di lavoro ecc. Uno schema è, dunque, una struttura di dati per la rappresentazione di concetti generici depositati nella memoria. Esistono schemi di 36 rappresentazione della conoscenza per tutti i concetti: quelli sottesi agli oggetti, alle situazioni, agli eventi, alle sequenze di eventi, alle azioni e alle sequenze di azioni. Uno schema contiene in sé la rete di interrelazioni che si pensa esiste normalmente tra i costituenti del concetto in questione. A partire dagli anni Venti fino agli anni sessanta-settanta sono stati definiti due modelli particolari di questi schemi: - Il Frame: secondo Fillmore (1982), non si può capire il significato di una parola o di un’espressione linguistica in genere, senza avere accesso all’intera conoscenza enciclopedica legata a quella parola o espressione. La nostra conoscenza del mondo è strutturata attraverso frame. Citando Fillmore: ‘‘Ogni sistema di concetti legati in modo tale che per capire uno di essi è necessario capire l’intera struttura in cui rientra. Quando uno degli elementi in una tale struttura è introdotto in un testo o in una conversazione, tutti gli altri elementi sono automaticamente resi disponibile’’ (Fillmore 1982). Ad esempio, comprendere la parola fine- settimana evoca un frame che include concetti come ‘‘Settimana’’, ‘‘Giorno’’, ‘‘Sabato’’, ‘‘Domenica’’, ‘‘Lavoro’’ e ‘‘Tempo libero’’. La parola fine- settimana è comprensibile solo se la persona conosce che la settimana è composta da sette giorni, cinque di essi sono giorni lavorativi. (Fillmore 1982:118). Uno dei maggiori nomi legati alla teoria dei frame è Marvin Minsky secondo lui il frame è una struttura che rappresenta alcuni tipi di situazioni stereotipate, come andare ad una festa di compleanno o al ristorante. - Gli Script: sono fondamentali per la generazione di inferenze durante la comunicazione quotidiana e particolarmente utili nella comprensione dei testi. Lo Script è una rappresentazione mentali di eventi organizzati in termini spazio-temporali e causali e si costruisce sulla base dell’esperienza reale, attraverso una successione ordinata in azioni coerenti in un particolare contesto finalizzate a realizzare uno scopo, individuale o socioculturale. (Schank e Abelson, 1977). A differenza del contenitore statico, il frame, qui abbiamo copioni, chiamati talvolta anche scenari, in 37 cui le situazioni tipiche della vita vengono viste come il frutto di grammatiche comportamentali maturate nell’esperienza sociali. (Balboni, 2015). La funzione principale dello script è di favorire la rappresentazione mentale delle procedure abituali: Fare un acquisto in un negozio, andare dal parrucchiere, inserire il rullino nella macchina fotografica, cambiare la gomma bucata ecc. Processi logici: Si tratta di alcuni processi cognitivi che contribuiscono a ‘‘costruire’’ la comprensione. Tale processi legano la fonte esterna di informazioni (il docente che parla, l’autore dei materiali, e i loro testi orali e scritti) con la realtà psichica dello studente che deve comprenderle. (Balboni 2015:161) Il principale ‘‘proposizionale’’, secondo comprendere deve di il questi quale meccanismi la è proposizione necessariamente includere un quello […] predicato e da degli argomenti, i due elementi cardine che la mente va a cercare nelle proposizioni che deve comprendere: i predicati (ciò che si predica di qualcosa) non possono sussistere da soli e la memoria deve per forza cercare un ‘‘argomento’’ cui appoggiarli, costruendo il senso della proposizione. (Balboni 2008:104). Un altro processo è quello legato alla ridondanza sintattica, cioè i ‘‘fili’’ grammaticali che rendono coeso un testo […] e le informazioni che vengono ripetute più volte: sono elementi sintattici che aiutano a separare il sezioni e a legare tali sezioni tra loro. flusso della frase in Ad esempio, nella frase seguente –“Le figure geometriche con tre lati si chiamano ‘triangoli’”, l’articolo le fa prevedere (e collegare a esso) una serie di nomi, aggettivi, pronomi femminili plurali. Basta dunque un indicatore come l’articolo per fornire uno strumento potente per facilitare la comprensione: la mente, dopo aver preso atto di le e delle sue conseguenze, non cercherà genere e numero parole dopo parole (dove numero e genere sono ridondantemente ripetuti), ma potrà 38 concentrarsi sugli aspetti semantici. Il predicato nominale, introdotto da si chiamano in funzione di copula, introduce automaticamente un complemento predicativo denominazione e va ad del aprire soggetto, il frame, che la costituisce cornice delle una figure geometriche a tre lati. (Balboni e Mezzadri 2014: 55-56). La coerenza e coesione testuale, l’inferenza non sono processi complessi in sé ma possono diventarlo se chi ha prodotto il testo ha frapposto ostacoli. La coerenza testuale è il filo semantico e logico del testo; un testo ad alta comprensibilità rende trasparente questo filo. Ad esempio, si possono usare espressione come ‘‘anzitutto’’, ‘‘in secondo luogo’’, ‘‘inoltre’’, ‘‘in conclusione’’, connettore come ‘‘siccome… allora’’, ‘‘se… allora’’, e altri simili. Queste forme di connessione logica rendono più efficace la capacità interpretativa degli studenti. L’inferenza è il processo con il quale da una proposizione accolta come vera si passa a una seconda proposizione la cui verità è derivata dal contenuto della prima, ad esempio, ‘‘l’uomo è mortale e Socrate è un uomo’’ crea un gioco inferenziale semplice: essendo un uomo, assume su di sé quanto è stato predicato dell’uomo in generale, quindi è mortale’’ (Balboni e Mezzadri 2014:56). L’insegnante deve aiutare gli studenti ad individuare le caratteristiche strutturali, logiche dei diversi tipi di testo e di generi testuali. A questo proposito, Propp 1928 ha spiegato implicitamente perché anche il bambino abbia una comprensione precisa della fiabe, la cui natura viene indicata fin dall’inizio con l’espressione tipica ‘‘C’era una volta’’: questo richiama dai frame la possibilità di un mondo particolare, in cui gli animali parlano, in cui nonne vengono mangiate dal lupo ma ne escono vive ecc. 39 Il risultato di tali processi: la creazione di ipotesi (Expectancy Grammar): L’interazione tra ‘‘la conoscenza del mondo’’ ed ‘‘i processi cognitivi’’ attiva la expectancy grammar che è la capacità di creare ipotesi globale su ciò che può essere detto in un dato contesto (cioè la situazione, i partecipanti, l’argomento, il luogo ecc.) e cotesto (le parti che precedono e seguono la singola parola o frase da comprendere). La comprensione viene dunque come un processo globale che reso possibile dalla conoscenza del mondo e da alcuni processi logici cognitivi, e l’interazione di questi due elementi coinvolge l’intero cervello a consente di creare delle ipotesi sui messaggi in arrivo. La percezione del mondo secondo Gestalt, è gestita dal nostro cervello secondo due modalità: globale (contesto) e analitico (cotesto), e con una direzione precisa, dalla percezione globale a quella analitica. La fase della globalità consiste nel primo approccio ad una conversazione autentica tra i compagni, ad una pagina di un libro, ad una canzone e così via. Si tratta di un testo orale, scritto o audiovisivo su cui poi si interviene in maniera analitica. Il passaggio dalla percezione globale a quella analitica, avviene durante i vari passaggi dalla comprensione aver effettuato un’analisi superficiale a più dettagliata ed comprensione superficiale a una profonda, della teoria gestaltica, la sintesi. In quella profonda. Dopo essere passati da una si passa all’ultima fase questa ultima fase si tentare di realizzare una riflessione di ciò che si è appreso permettano all’apprendimento di evolvere in acquisizione. deve che Una delle tecniche che attiva la expectancy grammar seguendo fedelmente il percorso gestaltico globalità analisi sintesi è il cloze test. 40 2.3 LEGGERE La lettura è una delle abilità più studiate a partire da un importante articolo di Goodman, pubblicato nel 1976 dal Reading: titolo a psycholinguistic guessing game, in cui Goodman ha definito la lettura come ‘‘a receptive psycholinguistic process wherein the actor uses strategies to create meaning from text’’. Un concetto evolutivo che considera la lettura non solo un atto di decodifica i simboli, ma un processo di riconoscimento del significato di parole e frasi individuandone il valore che assumano come elementi di un discorso. Urquhart & Weir (1998:22) definiscono la lettura come ‘‘a process of receiving and interpreting information encoded in language form via the medium of ‘‘Comprehension print’’ occur e when Koda the (2005:4) reader sottolinea extracts and che integrates various information from the text and combines it with what is already known’’. Mentre leggiamo e comprendiamo, siamo coinvolti attivamente nella costruzione del testo; di fatto, interagiamo con il testo scritto prevedendo ciò che leggiamo sulla base di ciò che abbiamo appena letto, di ciò che già conosciamo dell’argomento, delle caratteristiche tipografiche nel processo di numerose testo lettura in conoscenze, linguistico. capacità A questo linguistiche riguardano la e intorno modo al efficiente, competenze proposito e conoscenza testo. e Widdowson codice poter condurre lettore deve capacità competenze del il Per non a livello distingue comunicative. e possedere solo (1989) le convenzioni il Le fra prime sociali, le seconde la capacità di sfruttare le risorse della lingua per esprimere significati. La lettura insomma, è una abilità molto complessa che composta da vari processi, e ci vuole una definizione più completa per descrivere tale processo. In seguito elenco alcuni processi che descrivono la abilità della lettura: 41 1. Leggere in modo fluido è un efficiente. Rapido indica un processo rapido e processo di lettura veloce (circa di 250 – 300 parole al minuto) anche se sono materiali professionali e da imparare. Il termine ‘‘efficiente’’ indica la fluidità con cui le abilità (come il riconoscimento rapido ed automatico della parola, analisi sintattica, costruire il inferenza, valutazione significato, critica la ecc.) comprensione, lavorano fare insieme in modo sincronico e senza percepire un stato di fatica. 2. La lettura leggiamo come per un capire processo quello comprensivo: che lo scrittore noi intende a trasmettere tramite la scrittura. Ci sono vari scopi della lettura ma assumiamo che lo scopo fondamentale della lettura è la comprensione. Leggere non significa capire il testo, e noi sappiamo che questi grandi strumentalità e comprensione si articolano temi di ulteriormente: saper leggere strumentalmente che i tecnici lo chiamano decodifica del testo che non implica necessariamente da parte del lettore la comprensione del suo significato. Quindi parliamo di due fase della lettura: la decodifica che è una traduzione grafema – fonema e riconoscimento e denominazione corretta della parola, e la seconda fase è la comprensione che è una fase di costruzione dei significati. Vale a dire che la lettura non è l’unico processo di comprensione comprensivo, e ma anche l’ascolto ci possiamo anche è un processo parlare della interattivo: come comprensione visiva. 3. La lettura come un processo abbiamo notato sopra che nella competenza della lettura si intrecciano vari processi cognitivi in modo sincronico, e questo modo di interazione è necessario per la fluidità 42 della lettura. La lettura si può considerarla come un tipo di interazione tra lo scrittore ed il lettore. 4. Leggere è un processo strategico: il lettore usa tante strategie skills e informazioni, durante anticipare la le lettura: sintetizzare informazioni del le testo, monitorare e correggere la propria comprensione ecc. 5. Leggere è leggiamo, un processo facciamo valutativo: continuamente valutazione: ci piacciono quello interessano le informazioni? noi un che quando processo dice Siamo l’autore? d’accordo l’autore? Vogliamo continuare a leggere? Questo di Ci con pattern di valutazione dei testi interagisce con le nostre emozioni ed atteggiamenti verso il testo. 6. La lettura è un processo linguistico: non è possibile leggere senza fare una traduzione grafemica – fonemica, senza riconoscere le parole e le strutture sintattiche che organizzano le conoscenza parole linguistica o senza avere background o una buona knowledge della lingua del testo. Questi definizione processi completa descritti e sopra complessa in della breve, lettura, ci che danno li una possiamo considerare anche come i suoi componenti, e ci danno una idea dei processi cognitivi esercitati dal lettore fluente durante l’atto della lettura. 43 2.3.1 Tipi della lettura: Dal momento che noi leggiamo per vari scopi, esercitiamo vari tipi di lettura. In seguito elenco alcuni obiettivi della lettura e il tipo di lettura esercitata: 1. Lettura per cercare delle informazioni (scanning and skimming) 2. Lettura che mira ad una comprensione veloce (skimming). 3. Leggere per studio e apprendimento. 4. Leggere per criticare e valutare e usare le informazioni. 5. Lettura per una comprensione globale. 6. Leggere per integrare conoscenze. Questa lista non descrive tutti gli obiettivi della lettura, me sottolinea il fatto che noi leggiamo ai fini diversi. Per trovare un’ informazione specifica nel testo, noi esercitiamo dei processi di ricerca (search processes) che include scanning and skimming (Guthrie, 1988; Guthrie & Kirsch, 1987). Combinare lo scanning (cioè esempio un indentificare forme nome particolare, grafiche specifiche, data, ecc.) con lo come skimming per (cioè costruire una comprensione veloce e semplice del testo) permette al lettore di cercare le informazioni che gli servono. Inoltre, noi usiamo lo skimming technique quando vogliamo scoprire di che cosa parla il testo, e se vogliamo spendere più tempo a leggerlo, oppure quando abbiamo un tempo limito e volgiamo estrarre le informazioni più significate, quando dobbiamo lavorare con più testi e vogliamo capire in quale troviamo l’informazione che ci serve. Lo skimming è utile anche per fare delle revisioni di un testo già letto. Leggere per studio e apprendimento: questo tipo di lettura, rispetto a scanning and skimming, è un processo lento e si effettua spesso nell’ambito accademico e professionale. Noi leggiamo per l’apprendimento, quando consideriamo le informazioni presentate nel testo (manuale accademico o appunti ecc.) importanti, e le 44 impariamo a memoria, magari per recuperale nel futuro vogliamo superare un esame o per effettuare dei task. quando Il lettore integra le informazioni con le conoscenze della sua memoria a lungo termine. Leggere per sintetizzare i integrare contenuti di conoscenze, diversi testi, chiede o di dal lettore di mettere insieme le informazioni significative da varie parti di un testo lungo come un capitolo lungo e complesso di un libro (Perfetti, Rouet, & Britt, 1999). Questo obiettivo, difficile e più cioè integrare complesso informazioni, rispetto a quella rappresenta lettura un per task studio e apprendimento (Chall. 1983 [stage 4]). Il lettore costruisce il suo frame (schema) di informazioni, che può confronto, punti-chiave, problema-soluzione, lista di avere diverse strutture: causa effetto ecc. Lettura per valutare e criticare e usare le informazioni è il tipo più complesso in ambito accademico: si richiedono ai lettori di valutare e criticare le informazioni di vari testi, di decidere quale aspetto del testo è più importante, più persuasivo, meno persuasivo ecc. e di trovare i rapporti tra le informazione di un testo con gli altri testi. Lettura per una comprensione generale: Carver 1992, definisce questo tipo di lettura e dice ‘‘Reading for general comprehension is the most common purpose for reading among fluent readers, and it is the default assumption for thee term reading comprehension’’. È un tipo di lettura estensivo, succede quando leggiamo un buon romanzo che ci piace, una rivista, un articolo sul giornale. William Grabe nel suo libro Reading in a second language sottolinea che il lettore fluente è in grado di prolungare la lettura per molte ore senza percepire qualsiasi comprehension is tipo di also a fatica type e of spiega reading ‘‘Reading that is for general carried out 45 automatically for extended periods of time and with apparently few processing difficulties’’. 2.3.2 La lettura come processo cognitivo: Il lettore compie contemporaneamente più processi complessi, che si suddividono a seconda impegno cognitivo processi lavoro di o basso memoria che coinvolgano: e processi impegno a di cognitivo breve di riconoscimento significato automatico della delle impegno (coinvolgano termine) automatico delle parole, capacità di costruzione alto processi includono: di basso cognitivo. la memoria I di riconoscimento analisi sintattica della frase e frase parole nei suoi include a vari sua livelli. volta Il altre componenti (subskills) che le spiego in seguito: Riconoscimento automatico delle parole: Il riconoscimento delle parole è un’ attività cognitiva fondamentale nella lettura, e la comprensione dipende da una lettura giusta ed effettuata con successo, e la diversità della comprensione nasce dalle abilità diverse della lettura. William Grabe nel suo libro Reading in a second language spiega le sotto abilità necessarie per il riconoscimento fluido delle parole e dice ‘‘ In order for fluent word recognition to occur, a reader must recognize the word forms on the page very rapidly, activate links between the graphic form and phonological information, activate appropriate semantic and syntactic resources, recognize morphological affixation in more complex word form, and access her or his mental lexicon’’ (Grabe 2009:23). A. Processi ortografici: Uno dei processi principali della lettura è il riconoscimento visivo dei grafemi delle parole (Cunningham, Perry, & Stanovich, 2011). Questi grafemi includono lettere, gruppi di lettere, elementi visivi caratteristici dei grafemi. 46 Alcuni studiosi (Pressley2006; Rayner & Pollatesk, 1989) hanno spiegato la relazione tra i processi visivi e la lunghezza della parola: ‘‘ there is a direct correspondence between time needed for visual processing and the length of a word. So letter recognition is an important subcomponent, and the more letters involved, the longer the word-recognition time’’. I processi ortografici sono importanti anche per riconoscere parole più complesse che sono composte da più affissi ‘‘ […] many words are expansions of more basic words through the addition of morphemes’’ (Anglin, 1993; Biemiller, 2005). Conseguentemente, il riconoscimento non è solo grafico ma anche morfologico ‘‘Knowing how words are put together to form derived words contributes directly to vocabulary growth and indirectly to reading comprehension ability. Thus, the recognition of not only graphic forms but also of morphological forms, and how may change meanings, is crucial (Carlisle, 2003; Cunningham, Perry & Stanovich, 2001); B. Processi fonologici: Prima dell’accesso lessicale, l’attivazione dei processi fonologici ha un ruolo primario nel riconoscimento delle parole: ‘‘For the large majority of words that are processed while reading, phonological activation of the form plays a major role’’ (Hulme, 2005; Van Orden & Kloos, 2005). Questo aspetto è universale ed è indipendente dal tipo di ortografia: ‘‘Even readers of Chinese characters make use of the phonological clues in the characters and use phonological information from the initial point of character recognition’’ (Chow, McBrideChang, &Burgess, 2005; He, Wang, & Anderson, 2005; Perfetti, 2003; Perfetti & Tan, 1999). Molti autori hanno sottolineato il ruolo della consapevolezza fonologica, che viene definita come l’abilità nell’elaborare i suoni del linguaggio orale, ovvero come la capacità di analizzare e manipolare la struttura linguistica delle parole, in presenza di adeguati stimoli verbali. Una sotto-componente specifica della consapevolezza fonologica è la consapevolezza fonemica: con questo termine, in particolare, si fa riferimento alla capacità di riconoscere ed utilizzare i costituenti fonemici del linguaggio parlato, cioè di operare con i fonemi. La consapevolezza fonologica, 47 quindi, comprende la capacità di elaborare sia i più piccoli suoni in cui è scomponibile una parola, ossia i fonemi (consapevolezza fonemica), sia le unità più grandi, come sillabe o gruppi di sillabe. La consapevolezza fonologica è un’abilità metalinguistica, in quanto implica la riflessione sulle caratteristiche del linguaggio, ed è generalmente considerata molto importante per il processo di apprendimento della lingua scritta, soprattutto all'inizio del processo di alfabetizzazione (Scalisi, Pelagaggi & Fanini, 2003). Per poter acquisire la corrispondenza tra lettere (grafemi) e suoni (fonemi) è, infatti, importante che il bambino “pensi” alle parole come composte da tanti suoni, che possono essere scomposti e ricomposti, e che sia in grado di riconoscere le somiglianze e le differenze fonologiche tra le parole. La “non consapevolezza” della struttura interna della parola può contribuire alle difficoltà del bambino nell’acquisire la corrispondenza suono-lettera e dunque alla lentezza del processo di apprendimento del meccanismo di decodifica del testo scritto; C. Processi semantici e sintattici: Le informazioni semantiche e sintattiche contribuiscono al riconoscimento delle parole, ma l’effetto dei processi semantici e sintattici è meno evidente, perché l’attivazione semantica è lenta rispetto a quella fonologica e ortografica. Prima dell’accesso lessicale, le informazioni semantiche e sintattiche contribuiscono al riconoscimento della parola attraverso la diffusione dell’attivazione automatica8. Grabe William (2009) spiega il meccanismo della diffusione dell’attivazione e dice: ‘‘According to the notion of spreading activation, words that are recognized or activated spread some activation or energy to their semantic neighbours (collocates, similar meaning) in the lexical network when they are accessed. If a related word is then being accessed, it will be activated by the association with a previously activated word’’ 8 La diffusione dell’attivazione è un metodo di ricerca per reti associativi, neurali e semantiche. 48 ‘‘compa gno, vi ci no, s i mi l e, a more, a mi ci zi a …’’ ‘‘fare l’amico, amico fidato, amico di…, amico di infanzia…’’ ‘‘nemi co, dico, pudico …’’ Attivazione di una parola I processi a ‘‘basso impegno cognitivo’’ Processo sintattico-semantico e accesso lessicale Memoria di lavoro a breve termine: La memoria a breve termine (MBT) si caratterizza per essere un sistema a capacità limitata, nel quale può essere trattenuta una quantità ristretta di informazioni per un breve periodo di tempo. Le unità (singoli elementi o raggruppamenti comunque ricordati come unità) che possono essere ritenute in tale sistema mnestico sono circa sette, più o meno due, come misurato in un famoso lavoro di Miller (1956), e la traccia è soggetta a rapido decadimento, se non interviene un processo di ripetizione. Già negli anni sessanta alcuni Autori (Atkinson e Shiffrin 1968; Hunter 1957; Newell e Simon 1972) sostenevano l’idea che la MBT giocasse un ruolo importante nelle attività cognitive agendo come una memoria di lavoro temporanea in cui l’informazione era mantenuta e manipolata. Tale ipotesi è stata approfondita da Baddeley e Hitch (1974) che, sulla base dei loro studi (in Baddeley, 1995), hanno evidenziato che la memoria a breve termine può essere delineata come una memoria di lavoro, o ( working memory), ossia 49 come "un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell'informazione durante l'esecuzione di differenti compiti cognitivi, come la comprensione, l'apprendimento e il ragionamento" (Baddeley, 1986, p46). Gli autori hanno però rifiutato, sulla base di risultati sperimentali (in Baddeley 1995), il modello di MBT unitario predominante all’epoca e l’hanno sostituito con un modello di working memory a tre componenti (Baddeley e Hitch, 1974; Baddeley, 1986): 1. Un circuito fonologico-articolatorio, deputato al mantenimento dell’informazione verbale e acustica. Tale sistema è costituito da due componenti: un magazzino fonologico, che può mantenere la rappresentazione fonologica dell’informazione per un breve lasso di tempo e un processo di ripasso articolatorio, che permette di rinfrescare la traccia mnestica contenuta nel magazzino fonologico attraverso un meccanismo di rilettura della traccia che poi potrà essere inviata nuovamente al magazzino e così essere mantenuta più a lungo. 2. Un taccuino viso-spaziali, responsabile dell'elaborazione e l'immagazzinamento delle informazioni visive e spaziali. Si ipotizza che tale componente sia anche connessa con la preparazione e manipolazione delle immagini mentali. 3. Un esecutivo centrale, che controlla e coordina i due sistemi sussidiari sopra descritti (il circuito fonologico-articolatorio ed il taccuino visuo spaziale), ha la funzione di integrazione delle informazioni elaborate da questi due sistemi e di elaborazione e selezione di strategie volontarie e coscienti. Numerosi studi hanno riscontrato che la memoria di lavoro, con le sue componenti, risulta implicata a diversi livelli nell’apprendimento della lettura (Siegel, 1994; de Jong & van der Leij, 1999; Meyler & Breznitz, 1998): - Circuito fonologico-articolatorio e lettura. La maggioranza degli studi sulla relazione tra apprendimento della lingua scritta e lettura si è soffermata sul ruolo della MBT fonologica, che nel modello di Baddeley 50 corrisponde al circuito fonologico-articolatorio. In particolare sembrerebbe che tale componente sia importante soprattutto negli stadi iniziali di apprendimento, nei quali contribuirebbe all’apprendimento a lungo termine delle corrispondenze tra grafemi e fonemi (Gathercole & Baddeley, 1993; D’amico, 2000). Un’ulteriore funzione del circuito fonologico-articolatorio che sembra influenzare la capacità di lettura è l’acquisizione di nuove parole e quindi l’arricchimento del vocabolario linguistico (Baddeley, Gathercole & Papagno, 1998) che, a sua volta, è risultato essere un importante predittore della comprensione del testo, soprattutto nelle fasi più avanzate di apprendimento (ad es., de Jong e ven der Leij, 2003). - Taccuino viso-spaziale e lettura. La relazione tra memoria a breve termine viso-spaziale ed apprendimento della lingua scritta è stata scarsamente studiata, almeno negli ultimi anni. Tra gli esigui contributi in tal senso segnaliamo uno studio di Meyler & Breznitz (1998), i quali hanno affrontato il problema in base alla considerazione che la lettura inizia proprio con processi di tipo visivo. Come sottolineato dagli Autori, nella lettura i processi uditivi-fonologici e visivi-ortografici interagiscono a diversi livelli, tanto che i principali modelli di sviluppo della lettura prevedono l’intervento di fattori visivi ai diversi stadi del processo di apprendimento (es. Frith, 1985), quindi in teoria ci si dovrebbe aspettare che le difficoltà di apprendimento di lettura e scrittura siano legate anche a problemi nell’elaborazione visiva di materiale stampato. Gli Autori esaminano la relazione tra la memoria di lavoro (nelle sue componenti fonologica e visospaziale) e la lettura in uno studio longitudinale condotto su bambini della scuola dell’infanzia seguiti fino alla seconda classe. I risultati della ricerca indicano che sia la memoria fonologica che quella visiva sono correlate significativamente con le successive abilità di decodifica. La rilevanza della memoria a breve termine viso-spaziale per l’apprendimento della lingua scritta è confermata in uno studio più recente da Gathercole, Alloway, Wills, 51 Adams (2006). Gli Autori hanno, infatti, riscontrato un deficit in prove di MBT viso-spaziale in bambini con difficoltà di apprendimento della lettura. - Esecutivo centrale e lettura. Gli studi che hanno indagato la relazione tra esecutivo centrale e lettura hanno utilizzato soprattutto compiti di memoria complessi, che richiedono sia l’immagazzinamento sia l’elaborazione dell’informazione in entrata: è stato ipotizzato che la componente di immagazzinamento sia legata al circuito fonologicoarticolatorio o al taccuino viso-spaziale, a seconda della modalità di presentazione dell’informazione, mentre la componente di elaborazione coinvolga l’esecutivo centrale (Baddeley & Logie, 1999; Cocchini, Logie, Della Sala, MacPherson, & Baddeley, 2002). Numerosi studi hanno evidenziato che il punteggio ottenuto a tali prove è un buon predittore della prestazione nella lettura (ad es. Swanson & Howell, 2001). In particolare lo span di memoria di lavoro è risultato avere un’alta correlazione con la comprensione della lettura, così come mostrano numerosi studi condotti su campioni di diverse età e competenze (in Baddeley, 1995). Coerentemente a tali risultati è stato riscontrato, in bambini con difficoltà specifiche nella comprensione del testo, un deficit specifico nella componente esecutiva centrale della memoria di lavoro (ad es. Oakhill, Yuill, & Parkin 1986), anche se uno studio più recente (De Beni, Palladino, Pazzaglia, 1995) su bambini italiani ha evidenziato uno stretto rapporto tra comprensione della lettura e funzionalità della memoria di lavoro in tutte le sue componenti, e non solo nell’esecutivo centrale. Processi ad alto impegno cognitivo: Verso la fine degli anni ’70 si fece un passo avanti nello studio della comprensione testuale, quando si affermò che l’unità di rappresentazione mentale del discorso non necessariamente coincidevano con le strutture superficiali del discorso parlato e scritto. Questo passo avanti avvenne grazie 52 ai lavori di Kinsch nel 1974 all’università di Colorado e successivamente anche grazie a van Dijk. Prima di tutto, Kinsch aveva sostenuto che la preposizione e non la parola e la frase, poteva rappresentare il significato della porzione di testo che rappresenta. Successivamente, nel 1978, grazie alla collaborazione con Teun van Dijk, Kinsch elaborò un modello teorico completo dell’elaborazione dei testi, chiamato il modello semantico-proposizionale 1978. Questo modello spostava l’attenzione dall’elaborazione del significato dalle singole frasi all’elaborazione della proposizione, che a differenza dell’annunciato, e la più piccola unità discorsiva dalla quale si può constatare il suo valore di verità. Fu proprio Kintsch a parlare di interattività. Nel suo primo modello aveva collocato la comprensione nel quadro dell’interazione del testo, il lettore e il processo di lettura, nonostante in questa prima versione del modello avesse messo ancora da parte la realtà psicologica del processo di comprensione. Successivamente e in autonomia da van Dijk, Kintsch ha considerato la proposizione come una relazione tra concetti. Le proposizioni, all’interno del testo, sarebbero organizzate gerarchicamente, più in alto si trovano quelle fondamentali, funzionali a una corretta comprensione del testo, e, in basso, ci sarebbero quelle secondarie. Secondo Kintsch comprendere un testo significa ‘‘costruire un modello mentale in cui le idee espresse nel testo siano interconnesse con la conoscenza a priori e formino con essa un insieme coerente di tipo gestaltico, diverso cioè dalla semplice somma degli elementi percettivi e delle caratteristiche semantiche’’ (Kintsch,1998: 93). Altro livello di comprensione e analisi che il lettore può operare sul testo è il modello situazionale: il lettore si fa circa la situazione rappresentata nel testo utilizzando le inferenze indispensabili per capirlo sulla base delle proprie conoscenze pregresse. Le informazioni del testo vengono integrate con le conoscenze extratestuali possedute dal lettore e suoi legami con il contesto generale. Van Dijk e Kintsch (1983) definiscono il modello situazionale come una rappresentazione cognitiva degli avvenimenti, azioni, individui e della 53 situazione generale evocata dal testo. Il modello situazionale prevale quando un soggetto riesce a fare delle inferenze riguardanti il contenuto del testo, anche se non ricorda il testo stesso; questa situazione si presenta nel caso in cui il lettore conosce talmente bene il tema trattato che, anche se non memorizza il testo che ha letto, riesce a formare un modello situazionale adeguato. Queste situazioni dimostrano che lettori diversi, che di conseguenza hanno conoscenze pregresse, interessi e esperienze diverse, di fronte allo stesso testo costruiscono una mescolanza personale di questi due aspetti della rappresentazione mentale del testo. Il processo di comprensione non avviene quindi solo per decodificare singole frasi o attraverso la capacità di collegare fra loro le singole proposizioni, ma anche attraverso il modello situazionale; vale a dire la rappresentazione mentale del lettore relativa a ciò a cui il testo riferisce. L’attribuzione del significato al testo si realizza attraverso una complessa rete di processi fra loro diversi ma complementare. Da un lato, la lettura implica che il lettore sia in grado di decodificare i diversi livelli linguistici, dalla singola parola alle singole frasi (bottom-up), e di decodificare le informazioni direttamente reperibili nel testo con atteggiamento sostanzialmente recettivo; dall’altro, egli è chiamato a integrare attivamente i dati veicolati dal testo con le informazioni che fanno parte del suo patrimonio personale riguardanti l’universi di significati entro cui si iscrive il testo e mediante la conoscenza delle regole linguistiche (top-down). Il lettore esperto, insomma, utilizza contemporaneamente le informazioni di tipo lessicale, semantico e sintattico di cui espone per giungere ad attribuire il significato più probabile al testo. 2.4 Il cloze test: Origine e definizione Il cloze test è un tipo di tecnica, principalmente usato per i fini della verifica di comprensione, che consiste nella ricostruzione di un brano tramite il rinserimento di alcune parole precedentemente cancellate secondo vari criteri. (Nuccorini 2001: 15). La procedura ‘‘cloze’’ fu introdotta ufficialmente nella 54 letteratura psicolinguistica con il saggio del giornalista Wilson Taylor (Cloze 43-46) come metodo di misurazione della leggibilità dei testi. Una unità cloze viene definita come qualunque occorrenza di un tentativo riuscito di riprodurre accuratamente una parte cancellata da un ‘messaggio’ attraverso la valutazione della parte mancate, basata sul contesto rimanente (Taylor, Cloze 46). Come osserva Stefania Nuccorini, la parola cloze rimanda alla capacità di ‘chiudere’ il test incompleto ricostruendone la sua interezza attraverso una closure. La ricostruzione del ‘‘brano bucato’’, effettua riempiendo i ‘‘vuoti’’ creati, dovrebbe restituire il testo di partenza nella sua interezza originale, pur tenendo presente, a livello di valutazione, la possibilità di considerare corretti anche inserimenti di parole diverse da quelle originarie, ma accettabile secondo vari parametri di natura sintattica, semantica e pragmatico-testuale (Nuccorini 2001:15). Il riferimento iniziale era il legame tra la capacità, nell’ambito della psicologia gestaltista, di finire, ‘‘chiudere’’ in qualche modo una figura incompleta attraverso un processo denominato closure (da cui close e la sua forma contaminata cloze), e l’analogia capacità, nell’ambito degli studi sulla misura della leggibilità, e successivamente, della comprensione di testi scritti, di completare, ricostruire, le parti mancati, di un brano di prosa. (Ivi, p. 16). Il cloze è stato oggetto di vari esperimenti con diverse finalità tra cui: 1. Dimostrarne la validità come prova integrata e pragmatica, secondo la definizione di Oller 1979, un tipo prova, cioè, che verifica più abilità al tempo stesso; 2. Misurarne la correlazione con altri tipi di verifica della comprensione di brani e la capacità di indicare il livello di conoscenza delle lingue straniere (Bormuth, 1967, Heilenman, 1983, Alderson, 1979, Fotos, 1991); 3. Analizzare l’efficacia, soprattutto nei primi tempi, in rapporto alla misurazione delle leggibilità-comprensibilità dei testi (Taylor, 1953, Bormuth, 1968). 55 Il cloze può essere applicato a testi di lingua madre e servire sia come prova di valutazione che come strumento didattico. Elenco di seguito alcuni di questi scopi nel dettaglio: - Strumento diagnostico per individuare globalmente il livello linguistico cognitivo degli studenti - Stimolo alla riflessione linguistica sul piano morfologico, sintattico, lessicale, stilistico - Mezzo per avviare una discussione orale relativa alla riflessione linguistica attivata durante l’esercizio e per fare, quindi, lezioni di grammatica e di lessico - Verifica della comprensione ed apprendimento di determinati concetti o procedure, che sono state oggetto di studio in classe (C. Marello 1989:1). Quando la procedura cloze ha cominciato ad essere usata a fini didattici, l’accento si è spostato dalla misurazione della leggibilità-comprensibilità alla misurazione della comprensione di testi scritti, cioè dalla readability (del testo) alla reading ability (del lettore) […] il passaggio successivo ha visto l’utilizzazione della cloze procedure non più e non soltanto in relazione alla lingua madre (L1), ma anche nell’ambito dello studio di una lingua straniera (L2). (Stefania Nuccorini :18-19). È bene tenere presenti le differenze tra l’utilizzazione di un cloze nell’ambito didattico rispetto al cloze test, cioè una prova di verifica: infatti il cloze viene spesso usato più come una teaching technique che come una testing technique, in quanto molti sostengono che il suo scopo più immediato sia ‘‘one of the language development’’ e più in particolare, ‘‘to develop vocabulary’’ (Carter, 1988, p. 161). 56 2.4.1 Il cloze test classico e il cloze test mirato: Per cloze classico si intende un testo bucato secondo una ratio fissa, cancellando una parola ogni 5 oppure 6, 7, eccetera: ‘‘questa procedura statica, quindi casuale per quel che riguarda la natura delle parole da cancellare, ma al tempo stesso predeterminata per quel che riguarda gli intervalli tra i buchi, […] Per cloze mirato si intende un testo bucato cancellando solo determinate parole, o parti del discorso, ad esempio solo preposizioni, oppure congiunzioni, eccetera, indipendentemente dalla posizione che occupano’’. (Nuccorini:20). 1. Cloze classico: Un cloze classico (in cui le parole vengono cancellate secondo criteri fissati) misura la capacità di comprensione del testo secondo vari fattori, tra cui, ricordo, il contenuto preposizionale del brano, la sua corrispondenza alle caratteristiche testuali relative al tipo del testo prescelto. Tra questi fattori si possono includere anche fattori extratestuali, connessi con i destinatari, relativi a conoscenza enciclopediche, alla familiarità con il cloze test. Di tutti questi fattori, si deve tener conto nella fase di preparazione di un cloze. Normalmente, l’intervallo tra i ‘‘buchi’’ va da un minimo di ogni 5 parole a un massimo di 10, al di sotto di 5 la costruzione del testo sarebbe troppo ‘‘difficile’’, in quanto verrebbero probabilmente a mancare (troppi) elementi chiave sia a livello sintattico che semantico; al di sopra di 10 l’attività di riempimento del testo risulterebbe troppo ‘‘facile’’ per una probabile ridondanza di indizi sia lessicali sia grammaticali. (Stefania Nuccorini 2001:21). 2. Cloze mirato: Il cloze mirato è la stessa tecnica applicata ai casi di completamento di un testo, ma in cui le parole che vengono tolte sono scelte dall’insegnante in base a criteri testuali o grammaticali. Si tratta, cioè, di cancellazioni finalizzate, non casuali, ‘‘mirate’’, appunto, alla verifica di competenze linguistiche di vario tipo. 57 Si può mirare alla verifica della comprensione dei legami logico-strutturali che intervengono in un testo eliminando elementi di tipo (coesivo): connettivi logici o temporali, deittici, sinonimi, elementi di catena anaforica, ecc. Quindi il cloze mirato è una procedura di cancellazione selettiva (cfr. Bachman, 1982, 1985) relativa, in particolare, a elementi di tre tipi: - Di natura sintattica, sia all’interno della clausola che della frase; - Di natura coesiva, tra frasi all’interno del testo. - Di natura strategica extra-testuale. Questo tipo di cloze ha una utilizzazione piuttosto limitata, proprio per la sua estrema selettività. I cloze preparati in questo modo si prestano meglio ad essere utilizzati nell’ambito della didattica, soprattutto per l’insegnamento e apprendimento di una L2 (cfr. Carter, 1987:177). Si può cancellare un numero predeterminato di parole appartenenti alle varie classe grammaticali, ad esempio 5 pronomi, 5 verbi, eccetera. Nel suo libro Le sfide di Babele, Balboni ha riassunto diversi varianti della procedura cloze: a) Cloze classico: si lasciano integre due-tre righe del testo, in modo che il lettore possa creare un minimo di contesto, e poi si toglie una parola ogni sette, che può essere semplice articolo così come un verso essenziale; b) Cloze a crescere: si inizia eliminando ogni settima parola, poi si passa a cancellare ogni sesta o anche ogni quinta parola; c) Cloze facilitato: adatto alle fasi iniziali e con bambini, presenta in calce le parole da inserire (spesso con l’aggiunta di una parola inutile: trovare l’intruso aggiunge un tocco ludico a questa tecnica); d) Cloze meccanici: realizzati con strumenti alternativi all’eliminazione di ogni settima parola, ad esempio: piegando il lato della fotocopia si fa scomparire un centimetro o due del testo, a sinistra o a destra: per correggere la propria esecuzione basterà riaprire la fotocopia e verificare se le proprie ipotesi sono giuste; oppure si può incollare una 58 strisciolina di carta o un nastro adesivo-rimovibile di traverso sul testo, creando quindi un vuoto casuale che va riempito: per correggere, basterà rimuovere la striscia e verificare l’originale; e) Cloze orale: per mezzo del registratore audio o video è possibile eseguire dei inserendo una pausa di quando: lo studente cerca di immaginare non tanto la parola quanto la frase o il concetto che seguiranno; si toglie poi la pausa e la correzione è immediata. (Balboni 2015:164). 2.5 ASCOLTARE In questa sezione ho posto l’attenzione su quella che viene considerata la prima e più elementare delle abilità linguistiche: la comprensione orale. La seconda abilità ricettiva trattata è l’ascolto. Saper ascoltare è un’abilità importante ed estremamente utile nella vita. È indispensabile durante il percorso scolastico, nelle varie circostanze personali, è insostituibile nelle relazioni con gli altri, siano essi coetanei, genitori, figli ecc. La comprensione di testi orali si differenzia dalla comprensione di testi scritti per alcuni aspetti specifici del testo orale, quali la fonologia, l’accento, il ritmo, la struttura del discorso. Per capire un testo orale occorre conoscere i suoni. Ma quando il discorso è veloce, la pronuncia dei suoni può cambiare per l’assimilazione dei suoni o per la loro elisione. Dall’altra parte, in una situazione formale, chi parla tende ad adottare una pronuncia standard e ad articolare meglio i suoni e rispetto a situazioni informali, così come un’informazione importante tende ad essere articolata in modo più chiara rispetto ad informazioni considerate poco rilevanti. L’ascolto, da molti definito la Cenerentola delle abilità (Nunan 2002; Vandergrift 1997). L’ascolto condivide con il parlato una condizione di reciprocità, in quanto il più delle volte nell’interazione quotidiana tra parlanti queste abilità si esercitano una in funzione dell’altra e si adattano l’un l’altra modificandosi continuamente. Nell’insegnamento della lingua orale occorre 59 quindi prestare attenzione a questa condizione di interazione, proponendo attività che presentino situazioni in cui l'ascolto sia funzionale al parlato e viceversa, e si sviluppino competenza relative alla capacità di ascoltare, di adattare e di modificare il proprio discorso in funzione dello scopo comunicativo che si persegue. 2.5.1 L’ascolto è un processo attivo: Sentire (recepire cioè dei suoni tramite il canale uditivo) non equivale ad ascoltare (predisporsi ad un’attività consapevole), né ascoltare è necessariamente sinonimo di comprendere: in realtà, chi ascolta sente un input, cioè il discorso verbale in entrata, solitamente mescolato ad altri segnali sonori come i rumori di fondo, e da questo input seleziona indizi per potersi costruire un modello o rappresentazione mentale del messaggio che il parlante sta cercando di trasmettere (Anderson e Lynch 1988). L’ascolto è un fenomeno piuttosto complesso che si fonda sulla percezione e sulla comprensione di segnali acustici contestuali e socialmente codificati che, a loro volta, attivano processi cognitivi e psicologici a vari livelli. Esso mette in azione un insieme di conoscenze linguistiche, cognitive e pragmatiche attraverso le quali vengono elaborate le informazioni trasmesse dal parlante per trasformarle in comprensione. Il processo uditivo sembra essere caratterizzato da tre fasi distinte: la prima, chiamata della memoria dell’eco, è quella in cui i suoni, riorganizzati in unità significative relativamente alla conoscenza della lingua che ciascun individuo ha, sono ‘‘immagazzinati’’ per breve tempo. Questo non consente però a chi ascolta di compiere la stessa operazione se nuovi suoni continuano ad arrivare. Nella seconda fase, le informazioni vengono processate dalla memoria a breve termine; parole o gruppi di parole sono messi a confronto con quanto abbiamo già a disposizione nella memoria a lungo termine, e attribuiamo quindi significato alle parole. Determinante è, pertanto, la familiarità che si ha con l’ascoltare e che consente di processare più rapidamente e in modo automatico ciò che si è già sentito in altre occasioni. 60 Nella terza fase si elabora e si riassume quanto si è processato e lo si colloca nella memoria a lungo termine, In questa ottica, l’ascolto è veramente un processo sommamente attivo (cfr. Lopriore L. 2011:22-23). L’abilità di ascolto è un processo che include la costruzione di significati, grazie all’integrazione delle conoscenze disponibili da parte di chi ascolta, il “noto”, con l’input sonoro in ingresso. La comprensione è inoltre influenzata da variabili quali il contesto di situazione, chi parla e chi ascolta. Michael Rost (2002) ha individuato le componenti del processo di ascolto: La ricezione di ciò che il parlane dice (orientamento ricettivo); La costruzione e la rappresentazione del significato (orientamento costruttivo); La negoziazione del significato insieme al parlante e l’eventuale risposta (orientamento collaborativo); La creazione del significato attraverso il coinvolgimento e l’empatia (orientamento trasformativo). Durante la comprensione orale si innesca quindi un processo di interpretazione attraverso il quale noi associamo ciò che già conosciamo con ciò che udiamo. Noi mettiamo in atto tutta una serie di conoscenze linguistiche ed extra-linguistiche attraverso la quale elaboriamo il flusso di rumori percepiti dall’udito per trasformarli in comprensione (McDonough & Shaw 2003). Anche O’Malley e Chamot, studiosi delle strategie utilizzate dagli apprendenti di lingue straniere, sottolineano il carattere attivo del processo di ascolto: ‘‘La comprensione orale è un processo attivo e consapevole in cui chi ascolta costruisce il significato usando indizi a partire da informazioni contestuali e da conoscenze esistenti, affidandosi contemporaneamente a molteplici risorse strategiche al fine di portare a termine quanto richiesto dal compito (O’Malley e Chamot 1989:420). L’ascolto è, pertanto, un sistema attivo e dinamico che mette in campo conoscenze linguistiche (fonologiche, grammaticali, sintattiche, semantiche e discorsive) ed extra-linguistiche (conoscenza dell’argomento e del contesto, 61 conoscenze pregresse e esperienziali). L’ascoltatore non riceve il messaggio acustico così com’è, ma ne interpreta il significato a partire dal contesto della comunicazione ‘‘Un buon ascoltatore non è ricettore passivo, ma qualcuno che cerca attivamente di costruire una rappresentazione mentale coerente ed eliminare le incongruenze eventualmente presente in tale rappresentazione’’ (Brown 1986:286). Ascoltare per capire comporta quindi un processo di ricostruzione di significato durante il quale si ricerca di dare senso a un insieme di suoni e di parole. 2.5.2 La comprensione orale: strategie di decodificazione. Durante l’ascolto, che comporta la ricezione e la comprensione di un messaggio (o più in generale di un “testo” orale), si mettono in gioco diversi processi, riconducibili a due macro-categorie: • Top-down (o “dall’alto”), è un approccio di tipo cognitivo o deduttivo (dal generale al particolare), che consiste nel fare previsioni sul contenuto del testo sulla base della propria esperienza o tramite l’osservazione sensoriale di elementi paralinguistici (rumori di fondo, mimesi, cinestesia, gestualità, prossemica). Tramite l’attivazione di questi schemi di riferimento (le cosiddette “conoscenze enciclopediche”) si può quindi tornare ad analizzare il testo nel particolare dell’aspetto linguistico per confermare (o meno) le ipotesi formulate e decodificare il messaggio. • Bottom-up (o “dal basso”), è l’approccio che parte direttamente dalle informazioni in entrata tramite la ricezione della stringa sonora (dal singolo suono alla parola, dalla parola alla frase, etc.) e la sua decodifica. Quindi, tramite un processo induttivo (dal particolare al generale), si arriva alla comprensione del significato più generale del testo (dell’evento comunicativo o del messaggio). 62 Facendo riferimento allo schema di Camilla Bettoni (2001), si comprende facilmente quanto il processo di comprensione all’ascolto sia realizzato tramite un approccio misto bottom-up e top-down in quel percorso di trasformazione dell’enunciato da pura stringa acustica a messaggio compreso: 1. Nel momento in cui riceve fisicamente il messaggio acustico, l’ascoltatore attiva innanzitutto le procedure di ricezione uditiva e riconosce il suono come stringa fonetica. 2. La stringa fonetica viene quindi decodificata in due processi successivi tramite le conoscenze linguistiche (o lessicali). Ad una prima elaborazione fonologica, che decifra la stringa sonora dalle singole lettere alle parole, ottenendone così la struttura superficiale (la “forma”, fatta di caratteristiche fonologiche e morfologiche) segue una elaborazione grammaticale, che riconosce le singole forme come lemmi (con le loro caratteristiche sintattiche e semantiche) e mettendole in relazione le costituisce finalmente come enunciato. 3. L’enunciato così ottenuto viene quindi interpretato tramite l’attivazione delle conoscenze generali (conoscenze enciclopediche, contesto paralinguistico, modelli del discorso, etc.) completando così la comprensione. Secondo questo modello, il processo di comprensione del messaggio parlato si basa dunque su una sequenza di procedure (ricezione, decodifica, interpretazione) che operano sulle conoscenze (linguistiche e generali) dell’ascoltatore. Alcuni studi sul linguaggio e sulle lingue ci dicono che chi apprende una lingua straniera può fare riferimento alle conoscenze che già possiede relativamente alla propria lingua madre (o ad altre lingue straniere apprese), specialmente se l’ultima è tipologicamente simile alla lingua straniera. Soprattutto nelle fasi iniziali dell’apprendimento di una lingua straniera, sono infatti le somiglianze lessicali con la lingua madre che aiutano l’apprendente 63 alla segmentazione dell’input in parole, in particolare se – rispetto all’italiano – nella lingua madre di chi apprende è presente quello che possiamo definire il “lessico comune europeo” di derivazione greca e latina. (cfr. Superti 2010: 69 - 70). 2.6 Didattica dell’ascolto in L2: Quando si insegna l’italiano come lingua straniera, occorre prendere in considerazione le difficoltà che chi non consce bene una lingua straniera può incontrare nell’ascolto di un testo o un interlocutore in una situazione autentica. Motivo d’ansia di chi apprende può essere, ad esempio, l’impossibilità di controllare la velocità con cui si esprimono le persone con le quali si interloquisce o l’incontro con parole sconosciute o la mancanza di conoscenze sull’argomento trattato nel testo. La sensazione di non poter fermare e riesaminare il flusso di parole dell’interlocutore riduce infatti la capacità di comprensione. A volte basta focalizzare l’attenzione e l’ascolto solo su alcune parole oppure attivare le conoscenze pregresse di chi ascolta su un determinato argomento per fare svanire l’ansia e attivare un ascolto positivo. Un ulteriore elemento ansiogeno è la sensazione di avere a disposizione un lessico limitato, e pertanto non riuscire a comprendere cosa si ascolta. Anche in questo caso, o l’attivazione precedente l’ascolto di parole che saranno successivamente udite, o la costruzione di una griglia di ascolto che consenta di focalizzare l’attenzione solo su alcune parole chiave, può ridurre la tensione che deriva dal dovere in qualche modo tenere sempre sotto controllo una grande quantità di parole. (cfr. Lopriore L. 2011:26-27). Gli elementi extralinguistici e paralinguistici sono molto importanti per favorire la comprensione orale dello studente: la mancanza di consapevolezza delle caratteristiche della lingua parlata e di conoscenza di quelli che sono gli elementi che segnalano i passaggi o la successione di argomenti, così come dei segnali che chi parla usa per facilitare l’ascolto, può rendere difficile la comprensione. Al contrario, attività che focalizzano tali segnali riescono poi a 64 far concentrare l’ascoltatore solo sulle parte più importanti del discorso. Vale a dire che se ascoltare senza vedere l’interlocutore può causare problemi in lingua madre, molti di più questa condizione ne causa a chi ascolta in lingua straniera. Non essere in grado di osservare i mutamenti nell’espressione del viso, i cenni di assenso o di diniego, fraintendere poi quelli che sono i segnali paralinguistici tipici di altre culture, quali il noto della voce o le pause, sono tutti elementi che rendono la comprensione di un messaggio orale molto più difficile. Questo tipo di difficoltà può essere affrontata con l’utilizzo di video che diano modo di osservare anche come certe espressioni siano accompagnate da determinati gesti, movimenti o pause, oppure osservare come l’assenza di gestualità di alcune culture non abbia lo stesso significato che essa ha in altre. È in questo senso che attività che espongono a una varietà di modalità discorsive di culture diverse possono sostenere la comprensione. Nella tradizione didattica, quando si parla di lezione, si pensa soprattutto ai metodi espositivi in cui l’insegnante trasmette le informazioni agli allievi. Vi sono diverse modalità tra le quali ci interessa quella più attiva e operativa, in cui gli studenti sono resi più partecipi, grazie alla proposta delle attività ed esercizi. A questo proposito, si ritiene che sia indispensabile accompagnare il testo orale con diverse attività preparatorie e predisporre gli eventuali materiali che saranno utilizzati per eseguirle. Beretta e Gatti (1999) hanno suggerito uno schema che organizza la lezione di ascolto, e divide le attività in diverse tre fasi: Prima dell’ascolto (fase di anticipazione). Lo scopo è costruire le condizioni necessarie per un’adeguata ricezione del messaggio. Si svolgono in questa fase alcune attività per ricostruire il contesto e attivare le conoscenze enciclopediche, al fine di attivare ‘‘schemi e copioni’’ mediante strategie di produzione, anticipazione, formulazione di ipotesi con tecniche di brainstorming9 e mappe cognitive. Le attività in questa prima fase mirano anche a motivare gli studenti, a suscitare 9 È una attività libera, in cui gli studenti buttano giù parole, spezzoni di idee comuni e relative al tema da ascoltare. 65 interesse e creare aspettative nei discenti verso il tema proposto e danno all’insegnante la possibilità di fornire un contesto culturale, situazionale e linguistico per il materiale che verrà presentato. Le attività di pre-ascolto, inoltre, consentono all’insegnante di riflettere e di farsi un’idea sui prerequisiti degli apprendenti per valorizzarli ed impostare al meglio il percorso didattico. (cfr. Leone e Mezzi, 2011:40). Durante l’ascolto. Le strategie di ascolto variano a seconda degli scopi di chi ascolta: vanno da modalità globali e orientative a tecniche di selezione di informazioni specifiche fino alla comprensione dettagliata ed analitica dei contenuti. In questa fase, l’insegnante propone agli studenti varie volte il testo audio e come, di volta in volta l’ascolto debba essere accompagnata da attività diverse da svolgere. Come ho accennato sopra, lo studente non è mai passivo all’ascolto, arriva ad una comprensione graduale formulando ipotesi su quanto ascolta e cercando di combinare, di mettere in relazione gli elementi che man mano comprende. Queste ipotesi vengono poi confermate o meno ogni volta che ascolta il brano. Fondamentale è inoltre che durante l’ascolto l’apprendente non venga mai lasciato solo ‘‘senza fare nulla’’ di fronte al testo da comprendere: ad esempio, si può chiedere semplicemente di fare attenzione alla voce dello speaker, di formulare delle ipotesi su come potrebbe essere (dal tipo di voce che età potrebbe avere, se il suo accento denota una regione di provenienza, se in alcuni punti l’intonazione cambia, se fa una pausa e che cosa questo potrebbe significare, ecc.). Importante è far ascoltare il testo una prima volta per intero in modo che l’apprendente se ne possa fare un’idea generale. Per gli ascolti successivi si può dividere la classe, ovvero fare lavorare i discenti a coppie su diversi compiti. Dopo ogni ascolto, si può dare alle coppie la possibilità di scambiarsi le risposte, di confrontarle e valutare l’esattezza prima di procedere ad una fase successiva. Siccome il testo viene ascoltato varie volte e si lavora in gruppi, si presume che gli apprendenti siano messi in condizione di comprendere anche le parte più difficile del testo. Un’abilità di studio fondamentale nella fase di 66 ascolto è l’ascoltare con penna o matita. Prendere appunti finalizza l’ascolto a selezionare ed organizzare le informazioni in modo sintetico. Ascoltare, capire e scrivere simultaneamente è una attività complessa che richiede concentrazione. Le tecniche di presa di appunti sono svariante: vanno dalla scrittura sintetica lineare a schemi grafici in forma di scalette numerate a mappe. Per non perdere il filo è necessario usare simboli e abbreviazioni. (cfr. Karin Harrich, 2011:330) Dopo l’ascolto. Dopo l’ascolto, oltre alle attività di verificare della comprensione, sarà possibile ampliare il contesto o chiarire gli aspetti linguistici e comunicativi del testo in funzione del percorso didattico. Ad esempio, se durante l’ascolto si è fatta svolgere una attività legata al ‘‘prendere appunti ’’ si può chiedere agli studenti di rielaborare gli appunti presi e di scrivere un testo seguendo un modello dato. In questo modo viene verificata sia la comprensione del testo sia la conoscenza delle caratteristiche di un genere e di una specifica forma testuale da parte dei discenti. Questa fase offre certamente anche la possibilità di ampliare ulteriormente il lessico e di ripassare alcune strutture grammaticali. Se si vuole, si può dare anche spazio ad attività più creative, ad contemporaneamente esempio su aspetti di role-play, prosodici del concentrandosi parlato degli apprendenti. A partire dalla classificazione di quattro tipi di ascolto (attento, intensivo, selettivo e interattivo), Rost (1990:10) ha proposto attività di ascolto diversificate a seconda dello scopo della comunicazione che, tutt’oggi, possono essere utilizzate nella classe della lingua. L’ascolto attento è quello in cui chi ascolta processa rapidamente le informazioni e dà risposte brevi e immediate. Nell’ascolto attento si possono dare a chi ascolta supporti di vario tipo: un supporto di tipo linguistico, con parole chiave su cui attivare l’attenzione, uno di tipo non linguistico, sotto forma di supporti 67 visivi o musicali e uno interazionale, sotto forma di frase ripetute, parafrasi, o segnali di conferma da parte di chi parla. L’ascolto intensivo è quell’ascolto invece che concentra l’attenzione degli studenti sulle forme linguistiche, sulle differenze di suono e lessicali, e su come queste influiscano il significato di ciò che si ascolta. L’ascolto intensivo deve necessariamente collocarsi in un contesto dato che faciliti la percezione dei contrasti e delle differenze. La finalità di questo tipo di ascolto è quella mettere in condizione gli studenti di distinguere e identificare lessico e strutture linguistiche. L’ascolto selettivo aiuta gli studenti a individuare lo scopo della comunicazione, evidenziandone le parole e le informazioni chiave. Questa modalità ricettiva cerca di ridurre la tensione causata dall’impossibilità che molti incontrano nel riuscire a seguire una conversazione in lingua straniera. I compiti di ascolto focalizzano quindi l’attenzione di chi ascolta solo sulle parti più importanti del discorso, in modo che, per inferenza, chi ascolta possa poi ricostruire il significato del brano ascoltato. In queste attività, l’insegnante fa ampio uso di materiale autentico registrato, esplicita lo scopo dell’ascolto e dà un immediato feedback agli studenti dopo l’attività. L’ascolto interattivo aiuta agli studenti ad assumere un ruolo attivo nel controllo dell’interazione, fornendo loro occasioni per intervenire e chiedere spiegazioni. In queste attività gli studenti sono protagonisti dell’interazione, sono in grado di valutare il proprio progresso e di solito lavorano in gruppo si compiti di problem solving . Nel frattempo, l’insegnante può osservare e, eventualmente, registrare le interazioni per poter poi fornire un feedback agli studenti. 68 2.7 La domanda di comprensione come tecnica didattica Quando si parla di domande il pensiero va immediatamente a questo strumento di lavoro inteso come verifica della comprensione, perché, effettivamente, ascoltare un testo orale, e fare domande che lo riguardano sono le modalità che ci permettono di capire se una persona ha compreso ciò che ascoltato o no. Tuttavia, studi e ricerche, condotte sul tema, hanno indicato nell’attività di fare domande una strategia efficace anche per guidare e migliorare la comprensione orale. Le domande possono essere poste oralmente o attraverso un supporto grafico (questionario scritto, ludico su lavagna luminosa ecc.); sono chiuse quando rinviano ad una informazione esplicita presente nel testo orale (domande referenziali); sono aperte quando l’alunno deve utilizzare le informazioni del testo per avanzare nella comprensione (domande inferenziali). Si utilizza spesso per sostenere lo sviluppo della comprensione orale la scelta multipla. Questa tecnica consiste nel proporre a chi ascolta di scegliere tra due o tre o anche più risposte date quella che ritiene corretta in rapporto al testo orale da comprendere. Una prima variante consiste nella scelta tra due risposte sì/no oppure vero/falso; un’altra variante è quella in cui la scelta è fra tre o quattro risposte (una vera, una o due plausibili ma non del tutto coerente con il testo e una falsa). Questa tecnica guida l’alunno a concentrare l’attenzione su specifiche parti del testo (comprensione analitica), a stabilire relazioni tra parti diverse e ricavare informazioni implicite (inferenza). Le domande sono poste generalmente dall’insegnante al singolo studente o al gruppo-classe. Nel primo caso, servono a sostenere il processo si comprensione del singolo in difficoltà (identificare, riconoscere, stabilire relazione, generalizzare ecc.); nel secondo caso servono piuttosto a potenziare la partecipazione degli alunni, a motivare, a coinvolgere nella costruzione corale della comprensione. Nella fase di pre-ascolto, l’insegnante fa domande per preparare lo studente all’attività di ascolto. Qui si possono usare sia domande aperte sia 69 chiuse, per attivare le conoscenze pregresse dello studente rispetto un tema o una situazione. Dunque, le domande di pre-ascolto attivano anche l’attenzione e concentrazione, così che quando verrà il primo ascolto, gli studenti avranno già idea di cosa dovranno fare. Nella fase di pre-ascolto le domande svolgono le seguenti funzioni didattiche e consentono di raggiungere i seguenti obiettivi: 1. Attivare gli schemi di conoscenza dello studente; 2. Contestualizzare il testo orale; 3. Controllare se gli studenti capiscono la modalità con cui si dovrebbe effettuare le attività durante l’ascolto. Il livello di preparazione in questa fase dipende dal livello degli studenti e la difficoltà delle attività. Se il tema del testo orale parla di viaggi per esempio, l’insegnante può fare domande aperte e generali come: D1: Qualcuno di voi è mai stato in Italia? D2: In quale città hai abitato? D3: Potreste raccontare ai suoi colleghi la sua esperienza? D4: Altro? Durante l’ascolto (While-listening section), l’attenzione degli studenti è orientata verso le attività. Le domande in questa fase guidano gli studenti a esercitare un tipo di ascolto specifico, in relazione al tipo di domande sul testo: un ascolto più generale o più selettivo. Gli insegnanti, di solito, fanno ascoltare agli studenti il testo orale due o tre volte: ogni volta l’insegnante fa un tipo diverso di domande. Per esempio, se il nostro testo orale parla del Viaggio di Paolo , l’insegnante potrebbe far ascoltare il testo agli studenti due volte. La prima volta gli studenti esercitano un ascolto globale e l’insegnate chiede agli studenti domande generali; mentre, la seconda volta gli studenti esercitano un ascolto intensivo ed analitico e prendono appunti, e l’insegnante fa domande più precise: 70 Ascolta a Paolo che parla del suo viaggio in Italia D5: Cosa pensi di Paolo, si è divertito? Ascolta un’altra volta e cerca di prendere degli appunti D6: Quale sono le cose che gli piacciono nel viaggio? E quale no? Nella fase di post-ascolto (Post-listening section), le domande sono più estese, aperte e referenziali sul testo orale già ascoltato, per verificare la comprensione del testo orale. In questa fase va verificato anche se le supposizioni e le ipotesi formulate nella fase di pre-ascolto erano giuste ed avevano significato. A volte, l’insegnante vuole focalizzare l’attenzione degli alunni sulle forme strutturali della lingua (per esempio, verbi regolare ed irregolare del passato prossimo); oppure sulle funzioni comunicative (per esempio, come Maria ha chiesto il caffè?). In qualche situazione dove la comprensione del tempo in cui succedono le vicende è fondamentale per comprendere il discorso, è adatto anche fare domande di tipo: Ascoltate la conversazione e dite se Maria guida ancora la macchina rossa. Se si adotta un metodo induttivo nella presentazione della grammatica e degli usi linguistici, si può lasciare lo studente libero di fare inferenze sul significato attraverso il contesto. L’insegnante può fare domande su aspetti pragmatici come: Secondo voi, la sua risposta era cortese? E perché? Dare agli alunni qualche supporto visivo durante l’ascolto, li aiuta a comprendere meglio il testo orale, ed a rispondere alle domande in modo più facile. Supporto visivo significa vedere il parlante per esempio, (guardare un video invece di un audiocassette). In questo caso l’insegnante può controllare la comprensione degli studenti in modo non-verbale: D: Guarda la mappa. Segna il posto in cui il ragazzo ha perso la sua portafoglio. 71 I discenti possono fare un cerchio sulla mappa per dimostrare la loro comprensione. Se gli studenti hanno un livello basso della lingua e non sono in grado di esprimersi in L2 in modo chiaro, l’insegnante può fare domande di Sì/No. Le domande estese e referenziali aiutano gli studenti a sviluppare la loro dimensione culturale, criticale e intertestuale: se nella fase di post-ascolto, facciamo una domanda intesa come in seguito: D: Il plagio è male? a) Sì b) No Noi non sappiamo se il discente ha indovinato la risposta o se capisce il significato del plagio. Quindi è consigliabile far seguire una domanda referenziale per controllare la comprensione: D: Perché il plagio è male? 2.8 Le abilità produttive ‘‘Grammatica’’ è un termine che deriva dal greco grammatiké, ossia arte della scrittura (Lyons, 1968). I greci credevano che la lingua parlata derivasse da quella scritta: la superiorità della scrittura è un concetto che è rimasto predominante per secoli. De Saussure (1915:23-24) sottolinea che il linguaggio e la scrittura sono due sistemi diversi: il secondo esiste per rappresentare il primo ‘‘language and writing are two distinct systems of signs; the second exists for the sole purpose of representing the first. The linguistic object is not both the written and the spoken forms of words; the spoken forms alone constitute the object’’. Bloomfield (1933:21) sostiene De Saussure e spiega che la scrittura è una invenzione recente; esiste solo in poche comunità di parlanti; e in queste comunità, solo una piccola percentuale della popolazione che sapeva scrivere. ‘‘Writing is a relatively recent invention, existing in only a few speech-communities for a long period of time and in 72 these communities only a small percentage of the population has known how to write’’. Alcuni esperti nell’arte del linguaggio, sostengono e evidenziano lo stretto rapporto tra il parlato e la scrittura, e credono che gli studenti debbano sfruttare e utilizzare la loro abilità orale quando esercitano un’attività di scrittura ‘‘Oral language is closely related to written language. Some authorities believe that written expression is simply speech «written down»’’ (Rubin, 1975: 219). D’altra parte, altri studiosi sottolineano la differenza tra il parlato e la scrittura, e dicono che la scrittura richiede abilità nuove; e credono che gli studenti che si affidano all’oralità, lo loro qualità produttiva della scrittura risulta insufficiente ‘‘To encourage pupils, as teachers often have done, to «write as you speak» is to ask the impossible’’. (Harpin, 1976: 32). Invece, nessuna scrittura (anche alfabetica) è una trascrizione fonemica del parlato e, a maggior ragione, non ne costituisce neppure una trascrizione fonetica. Perciò non è giusto affidarsi al parlato per risolvere i dubbi ortografici, specie in assenza di un parlato standard: in Italia le varie pronunce regionali si traducono spesso in grafie fonetiche (esempio: scempiamenti sistematici al Nord, raddoppiamenti indebiti al Sud), cioè in molti degli errori di ortografia più ricorrenti nelle diverse zone o regioni. A livello morfosintattico, nello scritto si usa una gamma più ampia di modi e tempi verbali, si fa un uso maggiore dei modi non finiti, della diatesi passiva, si ha una maggiore varietà pronominale, una gamma più variata di modalità differenti per riportare i discorsi altrui, un’aggettivazione più ricca, si fa un uso maggiore di aggettivi e avverbi e – complessivamente – il lessico è più vario, ricco di sinonimie e di vocaboli più astratti. Viceversa, nel parlato, si semplificano i modi e i tempi verbali (ad esempio, in italiano, si usa sempre più l’indicativo a scapito di congiuntivo e condizionale, il presente a scapito del futuro o, anche, dei tempi del passato). Inoltre, nel parlato, è spesso diverso l’ordine delle parole: l’elemento 73 informativamente nuovo o quello che costituisce il centro d’interesse della frase, il suo focus, è anticipato per essere poi ripreso con un pronome (esempio: quel libro, l’hai letto?), nella cosiddetta «dislocazione a sinistra». In sede didattica è utile riflettere sugli aspetti di confronto tra il parlato e lo scritto, che ci aiuta ad analizzare la comunicazione orale e scritta, e diventa occasione di riflessione sulla lingua. Roberta Rigo (2005:158-161) ha sintetizzato questi aspetti prendendo in considerazione due paramenti: il mezzo e la situazione. Parametri relativi al mezzo: La permanenza del segnale: nel parlato, le parole svaniscono mentre nella scrittura il testo resta tutto intero sotto gli occhi di chi legge. La correggibilità: chi parla può correggere quanto è stato appena detto. Nello scritto è più facilmente correggibile in relazione alla pianificazione in anticipo. Il grado di pianificazione: nel parlato, la pianificazione, rapida, spesso procede di pari passo con il discorso (pianificazione locale), è soggetta ai facili cambiamenti di piano, alle interruzioni e anche ai possibili cambiamenti in tema, dovuti alla compresenza degli interlocutori. Mentre nello scritto, la pianificazione può contare su un tempo più lungo, quindi può essere più accurata, è favorita da particolari circostanze operative: il ritmo autonomo, la permanenza del segnale, la correggibilità. Lo scrivente durante la produzione può muoversi anche sul testo con continui andata e ritorno. I tratti prosodici e paralinguistici: volume, tono, ritmo e intonazione, timbro flusso verbale, ecc. e onomatopee, esclamazioni, ecc. consentono di veicolare il significato del messaggio orale, invece tutti questi aspetti nello scritto sono praticamente bloccati, anche se le strategie tipiche di scrittura possono suggerire i toni della voce. 74 Parametri relativi al contesto: Nel parlato faccia a faccia, gli interlocutori condividono la stessa situazione ed il contesto extralinguistico; per questo gli interlocutori possono contemperare le informazioni verbali e non verbali, gli elementi situazionali e il rapporto con l’interlocutore, le conoscenze condivise o supposte, i principi più o meno impliciti del funzionamento comunicativo. A seguito di ciò, il parlato può essere caratterizzato da presenza di ripetizioni e ridondanza, di richiami di rinforzo, di pausa. Nello scritto, gli interlocutori non condividono la stessa situazione, i destinatari poi leggeranno il testo in un momento successivo alla sua realizzazione. I codici non linguistici: nel parlato, i mezzi ausiliari (mimica facciale, postura, gesti, ecc.) da un lato completano e precisano il senso delle parole, dall’altro rispecchiano il livello della comunicazione, più o meno formale. Mentre nella comunicazione scritta è affidata solo al linguaggio verbale. Le deissi: è frequente l’uso di parole strettamente collegate al momento e al luogo in cui viene messo il messaggio (pronomi personali, dimostrativi, espressione di tempo ecc.). Nel caso di trasmesso telefonico sono ridotti i deittici spaziali (qui, qua, li, la) poiché gli interlocutori non si vedono e non sono nella stessa situazione. Al contrario, nello scritto gli elementi della comunicazione vanno esplicite, evitando o limitando i deittici. Il destinatario della comunicazione: chi parla può ricavare ulteriori informazioni sul destinatario durante l’interazione diretta osservandone le reazioni verbali e non verbali (informazioni sulla condivisione delle idee, sulla comprensione, sugli scopi, ecc.); così può assumere alcune presupposizioni sullo stesso. 75 Il livello scopistico: nel parlato è più vario perché trasmesso sia dalla comunicazione linguistica sia dal non verbale (più o meno intenzionalmente). Nell’orale molto può essere lasciato implicito, l’interlocutore-ascoltatore deve perciò ricostruire informazioni e sovrascopi usando la sua capacità di inferenza. Nello scrivere, invece, il livello scopistico è legato alla comunicazione verbale; con la stessa sono possibili numerosi giochi scopistici: lo scherzo, l’ironia, l’allusione, ecc. 2.9 PARLARE Gli studi sociolinguistici si occupano del parlato mettendo in relazione le sue caratteristiche formali con il parametro di variazione diamesico, ovvero con il canale comunicativo orale. In questa prospettiva il parlato risulta determinato da alcuni modalità di codificazione del messaggio che si traducono in una serie di fenomeni (comuni a tutte le lingue d’uso), quali: 1. Lo stretto legame con la situazione e il contesto extralinguistico: - Riferimento a impliciti e conoscenze condivise; - Codici non verbali che completano e a volte sostituiscono le parole; - Frequente uso di deittici (questo, quello, qui, lì, laggiù ecc. ) e ricorso a elementi presenti nel contesto in sostituzione dei rispettivi lessemi; - Suoni non verbali (risate, colpi di tosse, mugugni) che integrano il linguaggio articolato fornendo significati aggiuntivi; - Modulazione della voce che, grazie al volume, al tono, all’intonazione, al ritmo, permette di variare lo stile comunicativo (tipici i fenomeni di ‘‘allegro’’ legati al ritmo sostenuto del parlato spontaneo) o connota il parlante dal punto di vista della sua provenienza geografica; - Fenomeni di messa in evidenza di parti del discorso mediante strategie verbali (dislocazioni e frasi scisse in italiano, inserimento di 76 do in inglese) e paraverbali (innalzamento del tono, rallentamento del ritmo, intonazione); - Fenomeni di allegro (variabilità diatopica, elisioni, apocopi, alterazioni di suoni); - Coesione affidata anche all’intonazione e al ritmo. 2. La testualità è meno coesa dello scritto, dovuta a frequente frammentarietà formale o tematica: - False partenze, pause da esitazione, interruzioni e autocorrezioni, mutamenti di progetto, frasi lasciate a metà; - Prevalere della semantica sulla sintassi; - Temi sospesi (sintatticamente ma non semanticamente slegati dal resto della frase) che mettono in rilievo il centro di interesse del locutore e facilitano la ricezione (secondo l’ordine ‘‘elemento dato + ‘‘informazioni nuove su quell’elemento’’) ma indicano anche la difficoltà di pianificare il discorso a breve gittata; - Ripetizione delle stesse parole, anche a distanza ravvicinata, per realizzare la coreferenza, cioè il riferimento al medesimo oggetto, del discorso; - Ripetizione e riformulazione, che permettono di riempire le pause, rallettando il ritmo della produzione e dando il tempo a chi ascolta di pianificare il proprio intervento successivo; - Ripresa e riformulazione (anche a distanza) degli stessi concetti; - Distribuzione delle informazioni meno lineare che in testo scritto (apparentemente più disordinata, può rilevarsi però funzionale a un maggiore efficacia comunicativa); 77 - Code-switching (con slittamenti da una lingua all’altra, dallo standard al dialetto) con funzione intenzionale e espressiva o per adeguarsi alle competenze dell’interlocutore; - Code-mixing (con inserimento nel discorso di parole in un’altra lingua o in dialetto) come strategia non intenzionale per colmare vuoti di competenza del locutore. 3. Il frequente ricorso a segnali discorsivi (appartenenti a categorie morfologiche diverse) per organizzare il testo o gestire l’interazione, per esempio: - Demarcativi che servono per indicare l’inizio del discorso (allora, beh, ecco) - Segnali fatici che assicurano il contatto con l’interlocutore o sollecitano pragmaticamente il suo assenso e la sua partecipazione (guarda, senti); - Connettivi diversi da quelli usati nello scritto ( fatto sta che, per indicare un rapporto causale; che poi, per introdurre una digressione o una presa di turno; comunque, per riprendere il tema principale dopo un excursus); - Interiezioni cin valore pragmatico (wow per esprimere meraviglia, ehi che sollecita una risposta dall’interlocutore) 2.9.1 I requisiti del buon parlante Accanto alla capacità di strutturazione del linguaggio prodotto, entrano in gioco processi cognitivi e relazionali. La comunicazione è efficace in presenza di alcuni fattori: un contenuto di pensiero e l’organizzazione delle esperienze cognitive, strategie di relazione con chi ascolta, stabilite tramite un linguaggio 78 verbale e non verbale, una capacità espressiva in vista di un determinato scopo. Insegnare a parlare, nel senso di un uso più socializzato del linguaggio, vuol dire perciò sviluppare nell’allievo la consapevolezza e la pratica di competenze linguistiche e di operazioni socializzanti oltre che cognitive. Il parlante deve essere capace di: - Pianificare e organizzare un messaggio; - Formulare un enunciato; - Controllare il processo comunicativo nella sua realizzazione, verbale e non verbale. (Rigo, 2005:196). A proposito di quest’ultima componente, si deve aggiungere che, nella lingua parlata, la funzione prevalente è stabilire un contatto: l’accordo tra i soggetti coinvolti in una comunicazione orale è determinato dal principio di cooperazione e dal decentramento. Questo accordo non riguarda l’argomento, su cui le opinione possono essere concordi o contrastanti, ma la volontà di partecipare correttamente alla interazione a cui si prende parte. Secondo Grice la cooperazione esige il rispetto di alcune regole fondamentali 10: - La quantità, necessaria e sufficiente, delle informazioni presenti nel messaggio; - La qualità, delle informazioni che devono essere vere e fondate; - La relazione, cioè la pertinenza delle informazioni all’oggetto della comunicazione; - Il modo, vale a dire l’ordine e la chiarezza dell’esposizione per rendere comprensibile ciò che si dice. Il parlante inoltre può essere interrotto dall’interlocutore in modi diversi: verbali (presa del turno fuori luogo, richieste svariate, cambiamenti del tema, 10 Le ‘‘massime’’ di Grice, che traducono il principio di cooperazione, appaiono nel volume di Sbisà (1978: 199-219). 79 domande, ecc.), ma anche non verbale (gesti, mimica, ecc.). La funzione del parlare è quindi complementare a quella di ascoltare e osservare. Il buon parlante controlla anche la strutturazione de discorso tenendo conto di variabili relative all’interlocutore (sue conoscenze precedenti e richieste del compito), e al testo orale che deve produrre (struttura del genere testuale, sua organizzazione specifica, ecc.). Seguirà il principio generale che occorre esprimersi in modo chiaro e appropriato, soprattutto adeguato al destinatario e alla situazione. (cfr. Rigo, 2005:171) 2.9.2 Il foreign talk ed il teacher talk : La lingua con cui i nativi si rivolgono agli stranieri rappresenta una varietà che in sociolinguistica viene definita foreigner talk e può considerarsi un registro universale, con caratteristiche comuni a ogni lingua ovvero (Ferguson, 1975, citato in Villarini, 2000): - Eloquio più enfatico; - Utilizzo di vocaboli più brevi, più comuni e dal significato più elementare; - Utilizzo di frasi della struttura sintattica piana e trasparente; - Tendenza a privilegiare concetti basilari rispetto a quelli maggiormente articolati e complessi. Si tratta di una varietà di lingua che il parlante nativo seleziona dal proprio repertorio per interagire con un non nativo, soprattutto nelle conversazioni spontanee, quando si accorge che l’interlocutore dispone di una bassa competenza linguistica in L2. (Long, 1996). Quindi la caratteristica fondamentale del foreigner talk è la tendenza alla semplificazione, che consiste non solo nel ridurre o eliminare dei dati, ma anche nell’usare strategie di elaborazione. Pallotti (1998: 114-115; Bettoni, 2001: 35-38) riepilogano le strategie di riduzione e elaborazione della fonologia, della morfosintassi e del lessico, pragmatico, che qui P. Diadori (2004) le riassume: 80 a) Fonologia Riduzione: Nessuno Elaborazione: tono di voce più alto, pronuncia più accurata, ritmo rallentato; maggiore uso di pause, gamma di intonazioni più; forme linguistiche complete e non contratte b) Morfologia e sintassi Riduzione: enunciati più brevi e meno complessi, più verbi al presente. Elaborazione: più enunciati ben formati, più regolarità, ordine canonico delle parole, relazioni grammaticali marcate più esplicitamente, più domande polare (sì/no), meno domande aperte. c) Lessico Riduzione: ripetizioni, uso di poche forme lessicali, meno espressioni idiomatiche, lessico ad altra frequenza, meno forme opache (sostantivi preferiti ai pronomi), parole più comuni. Elaborazione: uso di sinonimi, parafrasi, scomposizione di concetti di significato complesso in concetti più semplici. d) Pragmatica Riduzione: preferenza per l’allocativo informale, ordini espressi più spesso con imperativi, scelta di argomenti ancorati al contesto. Elaborazione: uso di codici cinetici (gesti) per accompagnare il discorso; maggiore ricorso ai deittici. Nel caso del docente di italiano L2 le caratteristiche del foreigner talk si sovrappongono a quella di un’altra varietà di afasica: il teacher talk ovvero la modalità espressiva che i docenti usano per trasmettere contenuti e sviluppare competenze negli apprendenti. (cfr. Larsen-Freeman, Long 1999:134-144; 81 Chaudron, 1988; Pallotti, 1998: 277-284; Bettoni, 2001: 39-43). In questo caso, però, pur dovendo adattare il proprio modo di esprimersi ai destinatari stranieri semplificando il proprio discorso orale, il docente al tempo stesso dovrà fornire un modello di lingua comprensibile e sufficientemente corretto, che permetta anche allo studente di ri-elaborare la propria interlingua e di sviluppare le proprie abilità di produzione e interazione orale in L2 attraverso strategie che trasformino l’input in intake. Chaudron (1988, citato in Pallotti, 1998:284) afferma che entrambe il foreigner talk e il teacher talk sono accomunati da tratti simili a livello di ritmo, pause, pronuncia e complessità frasale, ma si differenziano per gli atti comunicativi utilizzati e per le sequenze conversazionali. Camilla Bettoni (2001: 35 segg.) ha sintetizzato le strategie di trasparenza e le modifiche volontariamente realizzati dal docente di italiano L2, che hanno per effetto una reale maggiore comprensione dell'input: - Modifiche a livello fonologico: il tono di voce più alto, il ritmo più lento e l’articolazione delle sillabe più accentuata, intonazione più marcata, rinuncia alla contrazione o scomparsa di fonemi; - Modifiche a livello lessicale: preferenza per le parole comuni, per le iperonimi, rinuncia ai colloquialismi, le metafore e le espressioni idiomatiche; - A livello morfosintattico: enunciati più corti, relazioni grammaticali più esplicite, rinuncia alla frasi incassati; - Modifiche a livello pragmatico: preferenza per le forme allocutive più dirette, ordini espressi con imparativi piuttosto che altre forme verbali meno dirette. 82 P. Diadori (2004), sottolinea che il teacher talk si differenzia dal foreigner talk nella misura in cui: a) Non è mai sgrammaticato; b) Risulta meno grossolanamente calibrato sulle reali competenze degli ascoltatori; c) Utilizza strategie e strumenti pedagogici (immagini, grafici, audiovisivi). 2.10 Il Roleplay Ho scelto di approfondire una tecnica che è stata adottata piuttosto recentemente nella didattica della L2 ed è associata allo sviluppo dell’abilità del parlato. Nata in contesto psicologico, la tecnica del roleplay è stata introdotta in glottodidattica con l’affermarsi degli approcci comunicativi. La lingua è un sistema complesso (Rivers & Melvin 1977), che ha una dimensione molto importante, ossia socioculturale. Essa dipende dal contesto, poiché ogni espressione potrebbe essere percepita in modo diverso dalla stessa persona. In altre parole, ogni struttura non corrisponde solo ad un significato, ma a una varietà di significati dipende da quel contesto. A fronte di tale problematica, negli approcci comunicativi, gli obiettivi vengono sposatati dalla forma all’uso della lingua in situazioni comunicative. In relazione a questo tema, Wilkins (1976) ha introdotto il sillabo ‘‘nozionale funzionale’’ che cambia la prospettiva di descrizione della lingua: i concetti tradizionali di grammatica e lessico sono sostituiti da una descrizione funzionale o comunicativa. La grande sfida dell’insegnante di italiano L2 è insegnare agli studenti come agire fuori classe, e di stimolare la loro abilità di saper dialogare e saper parlare. Un tecnica ideale per incoraggiare gli studenti ad usare la lingua in situazioni simili ad una vita reale, è il Roleplay. In generale il role playing è una strategia basata su una ricostruzione di una situazione reale all’interno della quale gli apprendenti sono invitati a 83 impersonare ruoli organizzativi o sociali per sviluppare competenze di tipo relazionale o capacità decisionali (Bonaiuti, Calvani, Ranieri 2007:212). Cohen e Manion (1989) hanno definito il Roleplay come ‘‘participation in simulated social situations that are intended to throw light upon the role/rule contexts governing real life social episodes’’. L’obiettivo di questa tecnica è quello di far acquisire comportamenti operativi e abilità socio-pragmatiche. I vantaggi sono interessanti perché essa aiuta anche il gruppo a focalizzarsi su un problema comunicativo in modo coinvolgente e responsabilizzante (Rigo, 2005:256). Secondo Ladousse (1987), dentro al ruolo gli allievi portano situazioni reali, di vita, sono indotti a scegliere anche il registro più adeguato alla situazione, usano tecniche comunicative differenti, sviluppano la fluenza nella lingua. Quando il docente prepara l’attività del roleplay, deve prendere in considerazione le esigenze degli studenti. Per esempio, se gli studenti imparano l’italiano per visitare l’Italia, l’attività di roleplay si deve focalizzare sul tema del turismo. Ma a livelli avanzati, gli studenti magari imparano l’italiano per obiettivi più generali; in questo caso, è difficile prevedere le situazioni che dovranno affrontare nella vita reale; per questo motivo, sarebbe più adatto fornire gli studenti delle attività che permettono loro di praticare un’ampia gamma di vocabolari e funzioni. Prima di presentare il roleplay in classe, l’insegnante deve tener conto del livello degli studenti. Ogni roleplay richiede un certo livello di competenza linguistica, culturale e pragmatica e l’insegnate deve usare un roleplay che è adatto a livello degli studenti. Quindi, il docente deve valutare e insegnare i requisiti di una particolare attività di roleplay prima che gli studenti la esercitino nella classe. Prendiamo come esempio una lezione che inizi con un dialogo ambientato nel supermercato: A: posso aiutarla? B: Sì, cerco magliette a righe. A: Taglia? 84 B: 36. A: Di che colore? B: Bianco A: ne abbiamo queste, eccole. B: mi piace questa maglietta, potrei provarla? Il dialogo viene sviluppato nella fase di pratica, per includere la funzione di chiedere del prezzo ed i materiali (come una revisione di lezioni precedenti). Tuttavia, l’insegnante ha notato che gli studenti hanno imparato bene questa parte, e vuole sviluppare l’attività di roleplay per includere anche un’altra funzione comunicativa: quella di restituire un capo di abbigliamento acquistato. Le istruzioni o role cards recitano: Role 1 – Cliente Tu hai comprato una maglietta ieri, non ti piace adesso. Vai al negozio per cambiarla o prendere i tuoi soldi. Role 2 – Commesso Il/la cliente vuole cambiare un prodotto acquisito, o prendere i suoi soldi. Aiutalo/la. 85 Se La classe non ha mai imparato prima la funzione di restituire capi di abbigliamento acquistati, e non è preparata (a livello linguistico e pragmatico) a fare tale attività, il roleplay forse avrà un effetto negativo sul processo dell’apprendimento, avendo come effetto la diminuzione della fiducia degli studenti in sé stessi. 2.10.1 I Vantaggi del Roleplay: Il gioco dei ruoli è una tecnica ideale per incoraggiare gli studenti a parlare la lingua reale è. I vantaggi del roleplay sono stati elencati da diversi autori. In questa sezione considererò il roleplay come una tecnica ideale per lo sviluppo dell’abilità orale perché prepara gli studenti a trattare con l’imprevedibilità della comunicazione nella vita reale, insegna agli studenti come usano la lingua in modo appropriato nel contesto sociale, ed aumenta la loro fiducia in sé stessi quando esercitano la lingua fuori classe. Preparare gli studenti per la comunicazione nella vita reale: Siamo tutti familiari con i testi e dialogici presentati nei manuali di L2. Ma non è quello che accade nella vita di tutti giorni, le persone che ci incontriamo hanno opinioni varie, conoscenze diverse; alcune sono stanche, occupate, preoccupate, agitate; altre parlano troppo velocemente o troppo lentamente. Il roleplay prepara gli studenti a tali condizioni. Il roleplay aggiunge emozioni ai compiti, costruendo atteggiamenti di disaccordo tra gli studenti, ed insegna loro le caratteristiche soprasegmentali e paralinguistiche della lingua-target. Nella vita reale non si possono prevedere le reazioni e le risposte che i nostri studenti avranno. Così, per imitare la vita reale è importante mantenere l’elemento dell’imprevedibilità, costruire il disaccordo tra gli studenti attraverso opinioni contrasti. Inoltre, l’intonazione ed il linguaggio fisico, sono anche esse parti essenziali del nostro linguaggio quotidiano: è così che le persone dimostrano se sono arrabbiate, annoiate, o felici. Ricordo qui un esempio presentato al OKTESOL Conference (Novembre,1992); uno studente ha preso il ruolo di un cliente che cerca di riprendersi la sua TV rotta dal tecnico dicendo ‘‘Se non mi 86 dai la TV adesso, chiamerò la polizia’’, le parole sono state articolate con tono uguale. Dopo che lo studente aveva finito il suo ruolo, la classe ha discusso se il ruolo era stato effettuato con successo o no. Tutti erano d’accordo che c’era qualcosa che mancava nell’esecuzione, ossia il realismo dell’intonazione: un cliente arrabbiato non avrebbe mai usato quella voce priva di emozione. Durante il giorno, i nostri ruoli si cambiano: ad un certo momento siamo insegnanti, in un altro madre o padre, oppure studente o cliente. I vocabolari ed i modelli di comportamento che utilizziamo variano secondo il ruolo che assumiamo, ed il roleplay offre agli studenti la possibilità di praticare questi ruoli nell’ambito scolastico o universitario: in poche parole, attraverso il roleplay, gli studenti imparano la lingua-target, come persone reali, non come robot che riproducono espressioni, dialoghi di manuali e testi senza emozioni. Insegnare l’adeguatezza: Le forme linguistiche assumano un significato quando entrano in un particolare contesto; come accennato sopra, non c’è un significato determinato per ogni forma linguistica, ma esiste una varietà di significati. La scelta della parola giusta per trasmettere il significato voluto all’ascoltatore è un compito troppo difficile per chi parla nella lingua seconda: per questo ci vuole una conoscenza socioculturale e pragmatica. Il roleplay fornisce agli studenti questa conoscenza, ed insegna loro come usare la lingua in modo appropriato e adeguato. Per esempio, se il verbo (fermare) viene insegnato senza contestualizzarlo, gli studenti potrebbero decidere di usarlo per chiedere l’interruzione di una conversazione; invece se l’insegnante ha dato agli studenti il contesto in cui si usa quel verbo, gli studenti impareranno che c’è una differenza tra arrestare e chiedere l’interruzione: useranno invece altre espressione come ‘‘un momento’’. Vale a dire che l’uso del verbo ‘‘fermare’’ è giusto grammaticalmente, ma non è appropriato. 87 Aumentare la fiducia degli studenti: La maggior parte degli studi di ricerca hanno verificato che gli studenti estroversi imparano la lingua straniera con successo (Oxford, 1990; Stern, 1975; Naiman, Forhlich, Stern, e Todesco, 1978; 01 ler, 1977; Brown, 1988; Scarsa Ila & Oxford, 1992). Come afferma Brown (1988) ‘‘self-confidence is probably the most pervasive aspect of any human behavior ’’. Nessuna attività cognitiva può essere effettuata senza un certo grado di fiducia in sé stessi. Quanto più lo studente è sicuro di sé, tanto più rapido sarà il suo apprendimento della lingua (Oler, 1977). Il roleplay, è uno strumento didattico che può aumentare la fiducia degli studenti, perché evidenzia agli studenti il loro successo istantaneo nell’apprendimento della lingua straniera, e gli offre un feedback positivo che aumenta la loro fiducia nell’usare della lingua-target. Come spiega Van Ments, 1983 ‘‘To begin with, students are asked to act an interview for a job, or a difficult negotiation with a customer, not only to talk about it. Therefore, they have immediate feedback on the effects of their actions’’. Inoltre il roleplay dà agli studenti l’opportunità di praticare la lingua-target nell’ambiente sicuro della classe, e di formulare una esperienza che la useranno nella vita reale. 2.10.2 Gli Svantaggi del Roleplay: Nel suo libro Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Balboni ha elencato i svantaggi del roleplay, riassunti qui di seguito: Difficoltà nella creazione delle coppie Una coppia formata da due studenti poco bravi penalizza entrambi perché riduce la qualità dello scambio; ma anche la coppia asimmetrica penalizza entrambi, perché il meno bravo viene schiacciato, inizialmente, dalla competenza del compagno più bravo – il quale a sua volta è penalizzato dalla mancanza dell’interlocutore stimolante. Come si vede, è un circolo vizioso che non trova altre soluzioni all’infuori di una continua variazione nella logica di 88 creazione delle coppie, in modo che nel lungo periodo ciascun allievo abbia lavorato con compagni più, meno e tanto bravi quanto lui. Totale autonomia degli studenti Le attività di simulazione rompono il rassicurante flusso insegnante-allievo e lasciano a quest’ultimo la responsabilità della gestione dell’attività; ciò è difficile per l’insegnante, che abbandona il tradizionale ruolo centrale, e anche per l’allievo, che di solito non è abituato a gestire in prima persona il proprio lavoro. Difficoltà nella gestione della classe I roleplay si svolgono nel rumore dato dal fatto che più coppie parlano nello stesso momento; d’altro canto questo è inevitabile se si vogliono far acquisire lingue vive; uno degli aspetti di autocontrollo da far maturare negli allievi riguarda appunto il tono di voce da usare nelle interazioni di coppia o di piccolo gruppo. Lunghi tempi di preparazione I roleplay sono difficili da impostare, almeno fino a quando gli allievi non si sono abituati ad assumere i ruoli senza lunghe contrattazioni tra di loro: anche in questo senso, mentre contribuisce al lento processo di maturazione ed autocontrollo degli allievi, l’insegnante può ricorre ad alcune regole di gestione-classe: ad esempio, quando si hanno dialoghi a due personaggi A e B, può vigere una regola stabile secondo la quale in ogni banco chi è a sinistra è A e chi è a destra è B. Ricorso alla lingua materna Nei roleplay in lingua straniera spesso gli allievi negoziano in lingua materna (nel caso di una classe omogenea) i significati che non riescono a esprimere in lingua straniera: si può tenere sotto controllo tale fenomeno accentuando 89 la valenza simulativa del roleplay, cioè spingendo l’interlocutore a far finta di non capire la lingua materna, oppure ricorrendo ad un elemento essenziale dei giochi di regole, cioè alla penalità applicata a chi non esegue fedelmente le consegne: si va dalla semplice ‘‘denuncia del colpevole’’ di fronte ai compagni, fino alla decisione di fare tacere tutti e far continuare ad alta voce solo coloro che sono ricorsi alla lingua materna. Difficoltà di conclusione dell’attività I roleplay sono difficili da concludere: le coppie più abili hanno già terminato la loro interazione (e quindi si distraggono e distraggono i compagni), mentre quelle più lente stanno ancora discutendo sui ruoli: per ovviare a questo fenomeno e contemporaneamente insegnare ai più lenti a gestire meglio il loro tempo, si può bloccare l’attività quando due terzi della classe hanno terminato e chiedere ad una coppia di recitare per tutti il dialogo provato: in tal modo non solo si ottiene feedback utile per la valutazione, ma si spingono gli allievi ad un maggiore impegno durante l’esecuzione in coppia e si consente a tutta la classe di confrontare la propria esecuzione rispetto ad un modello alternativo: per segnare la durata del roleplay e far cogliere immediatamente la sua conclusione si può anche inserire un sottofondo musicale la cui interruzione indica la fine del tempo concesso per l’attività. Impossibilità di correzione in itinere I roleplay non consentono all’insegnante di intervenire ; anzi, l’intervento sia d’aiuto sia di correzione è comunque inopportuno se viene ad interrompere una performance. Di conseguenza si deve lasciare correre una quantità di errori, che comunque l’insegnante può individuare mentre passeggia tra i banchi ottenendo in tal modo un certo feedback. Dopo l’esecuzione ‘‘pubblica’’ del roleplay da parte di una coppia, l’insegnante può commentare non solo il dialogo appena recitato ma anche gli errori ascoltati durante le esecuzione. 90 Rapporto tra sforzo organizzato e realizzazione del roleplay Talvolta, specie nelle prime esperienze, il tempo richiesto dall’organizzazione del roleplay, è superiore a quello di esecuzione, per cui può sorgere il dubbio sull’utilità di una tecnica così dispendiosa, anche se in realtà non esiste un’alternativa che consenta di far parlare tutti. Mano a mano che il roleplay diviene una consuetudine, tuttavia, il tempo richiesto dall’organizzazione tende a diminuire e quello dell’esecuzione si dilata, in quanto gli allievi imparano ad uscire dal seminato reimpiegando materiali linguistici non esplicitamente richiesti. 2.11 SCRIVERE La scrittura è una forma di espressione molto complessa, che significa sostanzialmente tradurre il proprio pensiero in una comunicazione comprensibile per gli altri. È un processo di decodificazione e strutturazione dei contenuti che utilizza dei segni grafici arbitrari e convenzionali; in altre parole, ‘‘nella scrittura le esperienze evocate dalla rappresentazione grafica sono articolate in elementi convenzionali riconoscibili (lettere) sequenziali e articolati sotto forma lineare’’ (De Ajuriaguerra 1979). La scrittura è un’importante abilità linguistica la cui esecuzione richiede l’utilizzo e il controllo di diversi processi cognitivi di elaborazione dell’informazione visiva e fonologica, analogamente a quanto viene per la lettura. Tuttavia, per il suo svolgimento essa necessita anche di un’adeguata programmazione affinché il soggetto che pratica sia in grado di ottenere un’esecuzione coordinata di sequenze motorie (Casani, 2014). Dunque, l’abilità di scrittura è un’abilità altamente complessa, che va considerata essenzialmente sotto tre diversi aspetti: come gesto grafico-motorio finalizzato alla produzione delle lettere, come abilità nel trasformare i suoni in lettere (competenza ortografica) e come abilità di produzione creativa, finalizzata cioè alla produzione di testi. 91 Vale la pena di ricordare che, ‘‘con i nuovi media, la scrittura è tornata […] al centro della comunicazione di massa. Per raggiungere questo scopo, prima si è spogliata della sua materialità facendosi digitali, poi ha insediato i domini tradizionali dell’oralità, trasportando l’informazione in tempi vicini a quelli del parlato. I contenuti che veicola riflettono spesso l’effimero ancoraggio al momento d’invio, che si tratta di E-mail di messaggi brevi o di turni di Chat. […] l’dea della permanenza del carattere chiuso e definito del testo, già messa in crisi dalla videoscrittura, si infrange di fronte a forme di interazione che hanno un feedback assimilabile a quello del dialogo faccia a faccia’’ (Pistolesi, 2004:10). Per scrivere in modo efficace occorre apprendere il codice alfabetico e la sua traduzione in schema motorio, il codice ortografico, le strutture grammaticali, l’uso di parole-funzione e connettivi, la struttura del paragrafo, la struttura dei differenti tipi di testi (descrittivo, espositivo, argomentativo ecc.) e la pianificazione, la stesura e la riversione del testo (Casani, 2014). 2.11.1 La scrittura: modelli psicologici cognitivi Dal punto di vista cognitivo, la scrittura assume il carattere di problem solving. Un modello molto diffuso sulla scrittura come un processo cognitivo, e che ha avuto maggior seguito nella ricerca sulla produzione scritta, è quello di Hayes e Flower (1980). Il loro modello esemplifica l’idea di scrittura, individuando tre blocchi interconnessii: (1) il contesto che definisce il compito, (2) la memoria a lungo termine, (3) il processo di scrittura. Quest’ultimo consta, asu avolta, di pianificazione, trascrizione e revisione. Questo modello costituisce il quadro teorico dal quale l’insegnante può ricavare riferimenti su come avviene l’atto dello scrivere, sulle azioni che lo scrivente si prefigura per raggiungere il suo obiettivo. In seguito spiego in dettaglio le componenti del modello di Hayes e Flower, come esposto in (Insegnare i processi della scrittura nella scuola elementare, a cura di Pietro Boscolo, 1990, Perugia). 92 Ambiente o contesto del compito: Con l’espressione ‘‘ambiente del compito ’’ si disegna nella letteratura cognitivista il problema così come viene definito da chi lo assegna o da un osservatore esterno: esso comprende tutti i dati del problema nella forma in cui sono presentati (oggetti da manipolare, simboli, disegni, ecc.). Dall’ambiente del compito, cioè dai dati del problema, l’individuo costruisce ‘‘lo spazio del problema’’, ossia ricava delle informazioni che codifica da poterle interpretare in base alle struttura di conoscenza di cui dispone. L’ambiente del compito comprende tutti gli elementi esterni allo scrivente che influenzano la prestazione della scrittura. (Hayes e Flower 1980:12). Essi sono: 1. Le informazioni relative all’argomento della composizione e al destinatario, nonché gli elementi del contesto che possono influenzare la motivazione di chi scrive: così, per esempio, il ‘‘clima’’ della classe in occasione di una prova scritta può rappresentare un importante elemento per chi scrive. Scrivere, secondo il modello, equivale risolvere un problema di scrittura su un certo argomento per un certo destinatario. 2. Una volta che produzione scritta è iniziata, l’ambiente del compito comprende anche il testo via via prodotto, in quanto lo scrivente fa continuo riferimento ad esso man mano che procede nella composizione. 3. Vanno considerati inoltre gli aiuti di cui lo scrivente dispone: vocabolari e materiale bibliografico, consigli di persone più esperte, ecc. (questo aspetto, non considerato nel modello originale, è stato suggerito da Pea e Kurland, 1987). 93 La memoria a lungo termine La memoria a lungo termine (il serbatoio delle idee dello scrivente) contiene sia la conoscenza relativa all’argomento della composizione e al destinatario sia i piani di scrittura; cioè, le procedure per scrivere un testo. È da tener presente, a questo proposito, una distinzione ormai fondamentale nella psicologia cognitivista, e cioè quella tra conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale . La prima si riferisce al ‘‘saper che cosa’’ mentre la seconda riguarda il ‘‘saper come’’, Così, le nozioni di cui disponiamo (concetti, schemi, scripts, e così via) fanno parte della conoscenza dichiarativa che ci serve, per esempio, quando dobbiamo trattare un certo argomento. Insieme alle nozioni (le cose di cui parliamo o scriviamo), noi disponiamo nella nostra memoria anche di conoscenze relative al ‘‘come’’ fare: per esempio, come scrivere una lettera, come ordinare informazioni in un testo espositivo, come scrivere una storia, come collegare le frasi e i periodi ecc. È, questa, la conoscenza procedurale. I tre processi fondamentali della scrittura Lo ‘‘scrivere’’ vero e proprio consta di tre processi fondamentali, che a loro volta possono essere analizzati in vari sotto processi: 1. La pianificazione: può essere definita come un insieme di attività concettuali complesse che anticipano e regolano il comportamento (Scholnick e Friedman 1987:3). Nella scrittura la funzione della pianificazione consiste nel ricavare informazioni della memoria a lungo termine e dall’ambiente esterno per porre degli obiettivi al compito della scrittura e per stabilire un piano per raggiungerli. Anche questa fase consiste di tre sotto-processi: a) La generazione di idee: cioè il recupero della memoria di informazioni pertinenti all’argomento da trattare. Si tratta sostanzialmente di una di una ricerca stimola dall’argomento e che procede attraverso catene associative, cioè un elemento 94 alla volta. Il recupero di idee può avvenire anche da una memoria esterna, quale, per esempio, il materiale bibliografico. b) Il materiale prodotto: nella fase precedente viene poi sistemato attraverso un processo di organizzazione che seleziona le informazioni e le dispone secondo un piano di scrittura. c) Il processo di porre obiettivi: consiste nello stabilire dei criteri per valutare la produzione che saranno poi usati nella revisione. Per esempio lo scrivente può porsi l’obiettivo di evitare termini difficili, o di essere volutamente ambiguo, ecc. Questi obiettivi emergono con una certa evidenza nel pensiero ad alta voce. 2. La trascrizione: è la fase più direttamente osservabile dello scrivere e consiste nel tradurre i piani nella fase precedente in una forma linguistica. Il modello assume che il materiale contenuto nella memoria sia costituito da concetti e relazione fra concetti, non necessariamente espressi in forma linguistica. In questa fase lo scrivente deve quindi fare una serie di opzioni relative all’ortografia, grammatica, al lessico, e sul piano pragmatico, al rilievo delle prole nella frasi e al rapporto tra ‘‘dato’’ e ‘‘nuovo’’, cioè tra quello che lo scrivente presuppone come già noto a chi leggerà il testo e l’informazione nuova che vuole trasmettere. 3. La revisione: ha lo scopo di migliorare la qualità del testo scritto e consiste in due sotto-processi: Leggere e correggere. Scopo del correggere è quello di scoprire e correggere gli errori o comunque violazioni di convenzioni di scrittura in rapporto agli obiettivi posti nella fase della pianificazione. Hayes e Flower (1980:18) distinguono la revisione dalla correzione: mentre la prima ha un carattere sistematico di esame e miglioramento del testo e si svolge generalmente alla fine della produzione scritta, la correzione (editing) scatta automaticamente e può aver luogo in brevi episodi che interrompono il processo di trascrizione. 95 Accanto ai tre processi fondamentali, bisogna inoltre considerare la funzione di monitoraggio: è una funzione esecutiva che presiede ai processi di scrittura e consente allo scrivente di decidere quando passare da un processo al successivo. Modello del processo di scrittura, Hayes e Flower 1980 (Rigo, 2005:179) Nella fase di revisione lo scrivente diventa ‘‘lettore di sé stesso’’ e si pone il problema di come migliorare il suo testo, in sostanza riprocessa ciò che ha scritto, viene messa in atto una competenza metalinguistica e metacognitiva, legata anche alla maturazione dell’allievo. Lo sviluppo delle competenze di revisione dovrà tener conto di alcuni elementi, che Rigo (2005: 188-189) li riassume in seguito: - L’insegnamento esplicito delle strategie di revisione e il ricorso a strategie facilitanti a sopporto non solo la revisione, ma anche degli altri sotto-processi. 96 - Lo sviluppo di una riflessione distaccata dal proprio testo, aspetto complesso da acquisire, in quanto significa diventare lettori esterni di se stessi e assumere flessibilità delle procedure testuali in rapporto ai vincoli pragmatici, in un continuo spostamento dal piano locale a quello globale del testo; anche qui è possibile ricorrere a tecniche di facilitazione; - La ricorsività della revisione in tutto il processo di scrittura e la sua integrazione con altre competenze; - La gradualità con cui si apprende a rivedere un testo; gradualità in rapporto agli aspetti da tener presenti contemporaneamente, ai diversi tipi di controllo del testo (immediato, differito), e gradualità in base alla maturità degli allievi. - Il lavoro su testi brevi (e quindi manipolabile più facilmente), per esempio su singoli paragrafi o capoversi (Guerrario, 2002b), tratti dagli elaborati degli stessi studenti, per migliorarne la proprietà linguistica e l’efficacia comunicativa; queste attività abituano a percepire la flessibilità e la malleabilità dei prodotti dell’attività di scrittura; - L’eventuale utilizzo di sistemi di videoscrittura, che facilitano la pianificazione e la modifica del testo, e al tempo stesso sostengono la motivazione. Agli inizi degli anni ottanta, Carl Bereiter (1980) ha delineato una sequenza di fasi o tappe, ciascuna caratterizzata da un modo di scrittura: la sequenza segna la progressione da una scrittura inesperta alla expertise. La prima fase è quella della scrittura associativa, dominata dalla fluidità di generazione delle idee e di produzione scritta. È un modo di scrivere sostanzialmente immaturo, che non tiene conto del destinatario e che non comporta una elaborazione dei contenuti di conoscenza. A l secondo stadio tale fluidità è integrata e corretta dalla conoscenza di regole e convenzioni grammaticali e stilistiche (scrittura performativa). Il terzo stadio è quello della 97 scrittura comunicativa, in cui chi scrive è in grado di tener conto del destinatario e di adottare piani e strategie in relazione a specifiche intenzioni comunicative. Al quarto stadio la scrittura è unificata: chi scrive riesce a essere anche lettore di sé stesso, nel senso che sa staccarsi dal proprio prodotto per considerarlo criticamente. L’ultimo stadio, infine, è quello della scrittura epistemica: è raggiunta solo dallo scritture maturo, che usa lo scrivere come uno strumento di conoscenza. Tale scrittura non è necessariamente quella stilisticamente migliore, ma è quella attraverso cui l’individuo chi scrive analizza e elabora la propria esperienza. Bereiter in collaborazione con Marlene Scardamalia (1982, 1985, 1987) ha prodotto i contribuiti più significativi sull’evoluzione della composizione scritta. I due studiosi hanno ripreso il modello di Hayes e Flower per superare i limiti sopra elencati e per capire quali sono i processi mentali che lo scrivente attua nel momento in cui è chiamato a redigere un testo. L’obiettivo fondamentale di Bereiter e Scardamalia era vedere la scrittura dal di dentro, poiché «scrivere è […] “elaborare conoscenze” […] Nel corso dell’elaborazione, la mente umana è come una grande rete di credenze [...] o semplici informazioni che continuamente si ritesse per adattarsi a nuovi contesti enunciativi e a nuovi processi di scoperta del mondo» (Bereiter e Scardamalia, 1987; trad. it. 1995, p. XXIV). La riflessione sullo scrivere che i due studiosi hanno maturato è ricondotto ad alcuni punti fondamentali: 1- Scrivere è una attività complessa perché richiede il coordinamento di molteplice piani e strategie per realizzare gli obbiettivi. Chi scrive deve tener conto di una serie di vincoli: la scelta delle idee deve rispondere alle specifiche richieste del compito ‘‘il tema’’, le idee vanno trascritte in frase grammaticalmente accettabili e formalmente corrette, ciò che si scrive deve avere una struttura (narrativa, espositiva, descrittiva, ecc.) e così via. La difficoltà, per lo scrittore inesperto, è presentata dalla esigenza di tener presenti di tutti questi vincoli ed è tanto più grave per i bambini in quanto sono abituati a produrre il discorso oralmente. 98 2- La differenza fondamentale tra uno scrittore immaturo e uno maturo è che il primo usa la strategia del ‘‘dire tutto ciò che sa’’ ( knowledge- telling) mentre il secondo trasforma le proprie conoscenze (Knowldege-transfoming). Il primo partendo dal tema o (l’argomento su cui deve scrivere), cerca i contenuti e le idee nella memoria, li sottopone a una valutazione molto semplice di adeguatezza e conseguentemente li trascrive o li scarta. Il modello di trasformazione della conoscenza prevede due ‘‘spazi’’ o aspetti dello scrivere: lo spazio dei contenuti, deputato al recupero e alla selezione delle idee e dei piani relativi ad un certo argomento, e lo spazio retorico, che riguarda i modi per raggiungere gli obiettivi della composizione scritta. Mentre nel modello del ‘‘dire ciò che si sa’’ la composizione è un processo monodirezionale, in quanto lo scrivente sceglie i contenuti e li scrive, ma non ritorna su di essi, il secondo modello prevede una interazione continua tra i due spazi, nel senso che la scelta dei contenuti è in funzione delle interazioni comunicative di chi scrive di chi scrive, ma queste, a loro volta, si precisano ed eventualmente si modificano in relazione allo sviluppo dei contenuti (Bereiter e Scardamalia, 1987:11). Per esempio nel rileggere ciò che ha scritto, una persona può rendersi conto che una certa idea deve essere maggiormente chiarita: questa modifica che riguarda lo spazio retorico della composizione, può a sua volta richiedere una integrazione o una aggiunta di concetti, che riguarda lo spazio dei contenuti, e una maggiore accentuazione di certi temi rispetto ad altri, con relativa riformulazione degli obiettivi iniziali della composizione. È questa dinamica di pianificazione e di verifica, di produzione di idee e di riflessione sulla loro funzione nel testo, che caratterizza la composizione dello scrittore esperto: il quale non solo formula un piano globale di scrittura e si mantiene fedele ad esso, ma anche modifica tale piano in relazione a quanto viene via via scrivendo. 99 2.12 La correzione del testo scritto da parte dell’insegnante Per i fini di questa tesi, in cui tratto una tecnica specifica per ognuna delle abilità che si intendono sviluppare nella L2 attraverso l’approccio comunicativo, per quanto riguarda la scrittura affronterò le tecniche per la correzione degli errori. L’efficacia o meno della correzione degli errori del testo scritto in L2 è oggetto di molte controversie. Nel 1996, il professore John Truscott ha pubblicato il suo saggio ‘‘The Case Against Grammar Correction In L2 Writing Classes’’ in cui conferma che la correzione degli errori non è utile, e non aiuta gli studenti a sviluppare la loro abilità della scrittura: ‘‘[m]y thesis is that grammar correction has no place in writing courses and should be abandoned” (1996: 328). Truscott continua spiegando che gli insegnanti della lingua seconda, quando danno il feedback correttivo agli studenti, adottano una semplice visione dell’apprendimento del linguaggio, come se fosse un processo di trasferire le informazioni dall’insegnante allo studente: ‘‘language teachers – when providing corrective feedback – adopt a simplistic view of language learning as essentially the transfer of information from teacher to student’’ (Truscott, 1996:342) invece di prendere in considerazione la complessità e la gradualità del processo evolutivo dell’interlingua. Inoltre Truscott è in dubbio se lo studente riesca ad usare il feedback dell’insegnante in modo efficace. In contrasto con Truscott, Chaudron (1988:133) sottolinea che, dal punto di vista dello studente, il feedback correttivo potrebbe essere uno strumento potente per sviluppare l’apprendimento della lingua target: ‘‘ from the learners’ point of view […] the use of feedback may constitute the most potent source of improvement in […] target language development’’. Vale la pena di ricordare che altri studiosi e specialisti sostengono l’uso del feedback correttivo; tra cui, Larsen-Freeman rileva, “[…] feedback on learners’ performance in an instructional environment presents an opportunity for learning to take place. An error potentially represents a teachable moment”. Ellis (2009c: 6), a sua volta dice che “[t]here is increasing evidence that CF (corrective feedback) can assist learning […], and current research has 100 switched from addressing whether CF works to examining what kind works best […]”. La correzione può avvenire su varie componenti di natura diversa: gli aspetti formali, gli elementi strutturali, semantici, pragmatici, ecc. Essa si distingue in relazione al tipo di rilievo fatto dall’insegnante e soprattutto al tipo di intervento richiesto all’allievo; potremmo parlare di una modalità diretta e di una modalità indiretta. (Rigo, 2005:234) Ferris definisce la modalità diretta della correzione degli errori dicendo ‘‘when an instructor provides the correct linguistic form for students (word, morpheme, phrase, rewritten sentence, deleted word[s] or morpheme[s]” (Ferris, 2002:19). Dall’altra parte la modalità indiretta avrà luogo quando ‘‘ the teacher indicates that an error has been made but leaves it to the student writer to solve the problem and correct the error ” (Ferris, 2002:19). Roberta Rigo sostiene che l’insegnate deve usare le due modalità, diretta e indiretta, in modo integrato, evitando in ogni caso di proporre un approccio ripetitivo alla correzione o di annullare la risposta dell'allievo rendendolo soggetto passivo (Rigo, 2005:234). Rod Ellis (2009:98-99) ha individuato vari tipi del Feedback Correttivo [FC] che riassumo qui di seguito: 1- FC diretto: l’insegnante fornice allo studente la forma corretta: come spiega Ferris (2001), il FC diretto ha vari formi; ad esempio, cancellare le parole, frasi o morfemi non necessari, aggiungere parole mancante e scrivere la forma corretta sopra o vicino alla forma errata. Un cane ha rubato un osso da un macellaio, il cane ha è scappato con l’osso a in bocca. 101 FC diretto ha il vantaggio di fornire gli studenti con indicazioni esplicite su come correggere i loro errori, soprattutto se gli studenti non possono correggere i loro errori in modo autonomo ( self-correcting). Ferris e Roberts (2001) suggeriscono che l’uso del FC diretto è probabilmente meglio dell’uso di FC indiretto quando si tratta di studenti con basso livello di competenza nella lingua. Tuttavia, lo svantaggio del FC diretto è il coinvolgimento carente da parte del discente nel processo della correzione: anche se il FC diretto potrebbe aiutare gli studenti a produrre la forma corretta quando rivedono la loro scrittura, non sviluppa l’apprendimento degli studenti a lungo termine. Una ricerca recente di Sheen (2007), suggerisce che FC può essere efficace nel promuovere l’acquisizione di alcuni elementi grammaticali. 2- FC indiretto: in questo caso, l’insegnate indica che lo studente ha commesso un errore senza dare la forma corretta. Si può effettuare questa modalità sottolineando l’errore, o usando dei segni (cursori) per indicare che ci sono delle parole o parte mancanti nel testo scritto. Il docente può mettere un segno al margine della pagina, accanto alla riga che contiene l’errore, se non intende a mostrare allo studente la posizione precisa dell’errore. Un cane X rubato X osso da X macellaio, il cane ha scappato con l’osso a bocca. X = parola mancante. __ = un errore. Come ho accennato sopra, usare il FC indiretto è più opportuno perché in questa modalità, gli studenti esercitano una attività di problem solving, ed incoraggia gli studenti alle forme linguistiche: ‘‘ indirect feedback is often preferred to direct feedback on the grounds that it caters to «guided learning 102 and problem solving»’’ (Lalande, 1982). Per questi motivi il FC indiretto contribuisce a sviluppare l’apprendimento dello studente ed a formulare la sua competenza della scrittura a lungo termine. ‘‘For these reasons, it is considered more likely to lead to long-term learning’’ (Ferris e Roberts, 2001). Ferris e Roberts sostengono che il FC indiretto, quando la posizione esatta degli errori non è illustrata, potrebbe essere più efficacie del FC indiretto in cui viene indicato la posizione precisa degli errori. 3- FC metalinguistico: In questa modalità, il docente scrive allo studente un commento esplicito sulla natura degli errori senza fornire la versione corretta. Il commento dell’insegnante può assumere due forme: Il più comune è l’uso dei codici ( Error Code): abbreviazioni o etichette metalinguistiche per ciascuna categoria linguistica coinvolta nell’errore. Le etichette metalinguistiche possono essere messe sopra il luogo dell’errore o alla fine della riga che contiene l’errore. Nel primo caso lo studente usa gli indizi metalinguistici presentati dall’insegnate per correggere l’errore. Nel secondo, invece, lo studente deve individuare prima il luogo esatto dell’errore e poi correggerlo come in questi due esempi: V. Art. Art. V. Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato Prep. con l’osso a bocca. 103 V.; Art. x2 Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato Prep. con l’osso a bocca. Ferris e Roberts (2001) hanno rilevato che le etichette metalinguistiche aiutano gli studenti a sviluppare la loro competenza del self-editing. Il secondo tipo del FC metalinguistico consiste nel fornire agli studenti spiegazioni metalinguistiche sui loro errori. Questa modalità consuma molto tempo rispetto all’uso dei codici degli errori, e richiede dall’insegnante una conoscenza metalinguistica sufficiente per essere in grado di scrivere commenti chiari e precisi su una serie di errori. (1) (2) (3) (4) Un cane rubato osso da macellaio, il cane ha scappato con l’osso in bocca. (2), (3) – Deve metter un articolo indeterminativo quando introduci qualcuno o qualcosa di nuovo, di cui non hai parlato in precedenza, o per nominare qualcuno o qualcosa in modo generico, indefinito. (1) – il passato prossimo si forma combinando le forme dell’indicativo presente degli ausiliari avere o essere con il participio passato del verbo da coniugare (4) - si usa l’ausiliare ‘‘essere’’ con i verbi intransitivi, ovvero con i verbi che non rispondono alla domanda: chi? che cosa? 4- FC focalizzato e non focalizzato: l’insegnante può scegliere di correggere tutti gli errori nel testo scritto; in questo caso, il feedback correttivo non è focalizzato su un aspetto particolare della lingua. Alternativamente, l’insegnante può selezionare tipi specifici degli 104 errori da correggere (FC focalizzato). Probabilmente, nel caso di FC non focalizzato, la correzione è più difficile per gli studenti, perché questa modalità richiede loro di trattare con vari tipi di errori e, quindi, il discente non è in grado di riflettere su ogni tipo di errore. A questo proposito, il FC focalizzato potrebbe essere più efficacie perché l’apprendente può concentrarsi su un solo tipo di errore ed esaminare tante correzioni relative a quel tipo. Il FC metalinguistico e focalizzato promuove non solo l’attenzione dello studente su una forma particolare, ma anche la sua comprensione della natura dell’errore. Tuttavia, il FC non focalizzato potrebbe non essere efficace quando si tratta di assistere lo studente ad acquisire una caratteristica specifica della lingua; tuttavia potrebbe dare risultati nell’apprendimento a lungo termine. 5- Il Recast o riformulazione: (si chiama anche il lavoro di riparazione) cioè la riformulazione di tutta o parte della produzione scorretta dello studente da parte dell’insegnante. Lyster e Ranta (1997), definiscono il recast come ‘‘reformulation of all or part of the students’ utterances’’. Long (2007:77) ridefinisce il recast correttivo come ‘‘a reformulation of learners’ preceding utterance in which non-target- like item(s) is/are corrected to target language form(s) while the interlocutors’ focus is not on language but on meaning, not language as objects’’ . Il recast, in generale, è considerato come un FC implicito, in cui l’insegnante riformula tutta o parte della frase mal-costruita da parte dello studente, senza cambiare il significato principale (Iwashita, 2003; Long, 1996; Lyster, 1998a, 1998b). Cohen spiega che nel recast si tratta di fornire un feedback, mostrando allo studente come i madrelingua avrebbero scritto il suo testo. ‘‘It involves a native-speaker rewriting the student’s text in such a way as ‘to preserve as many of the writer’s ideas as possible, while expressing them in his/her own words so as to make the piece sound native like’’. (Cohen, 1989:4). Alcune ricerche affermano che il recast che contiene solo un cambiamento è più 105 efficace di quello che contiene una serie di cambiamenti (Philip, 2003; Sato, 2009). In seguito, presento alcuni esempi del recast in italiano in inglese: NELL’ESEMPIO 1 SOLO IL SECONDO TERMINE ‘COLLEGA’ è UN RECAST ORTOGRAFICO. L’ALTRO RIGUARDA UNA SOSTITUZIONE DI UN VERBO CON L’ALTRO Esempio 1: Recast ortografico Studente: Ho scambiato due parole con mio colega. Recast: Ho chiacchierato con mio collega. Esempio 2: Recast del contenuto Studente: Ho perso le partite. Recast: Ho perso tutte le partite. Esempio 3: Recast grammaticale Studente: Ho guardato la TV, il mio amico è arrivato. Recast: Mentre guardavi la TV. Il tuo amico è arrivato? 106 IL RECAST CORTO CONTIENE SOLO UN CAMBIAMENTO Esempio 4: Recast corto Studente: I pointed an umbrella. Recast: Oh, you opened an umbrella IL RECAST LUNGO, INVECE, CONTIENE VARI CAMBIAMENTI. Esempio 5: Recast lungo Studente: I don’t know what should I teach to child then. Recast: OK, you didn’t know what you should teach to children. 107 Conclusione Questo lavoro è nato con l’obiettivo principale di approfondire lo sviluppo delle quattro abilità linguistiche principali nella didattica della L2. L’interesse per questo settore in glottodidattica nasce con l’avvento degli approcci comunicativi, che si sono sviluppati a partire dalla nozione di competenza comunicativa e dall’idea che chi apprende un L2 lo fa per usarla in tutti i contesti della vita reale. Nonostante questo indirizzo sia nato ormai più di trenta anni fa (se facciamo risalire le sue origini alla pubblicazione dell’articolo di Canale e Swain dedicato alla comunicazione comunicativa del 1980 e alla sua declinazione ai fini dell’insegnamento della L2), la trattazione delle abilità linguistiche e delle tecniche per favorire il loro sviluppo nella didattica della L2 e studi che ne confermino l’uso e l’efficacia non sono così diffusi. Il lavoro è dunque il risultato di un’indagine sui modelli cognitivi e psicolinguistici descrittivi delle varie abilità ed esplicativi del loro funzionamento, associata alla descrizione di una tecnica specifica per lo sviluppo di ciascuna delle quattro abilità di base. Nel passare in rassegna le quattro abilità e le tecniche didattiche ho cercato di prendere in considerazione sia gli aspetti cognitivi che socio-linguistici legati ai vari contesti di uso linguistico e alle funzioni comunicative. Udire è un’attività naturale per l’uomo, indipendente dalla sua volontà e connessa alla funzionalità degli organi uditivi. Ascoltare è, invece, un processo attivo: significa prestare un’attenzione consapevole ai suoni, collegarli alle situazioni e ai vari contesti. Saper ascoltare e saper parlare sono abilità che consentono di realizzare la comunicazione. La lingua orale presenta caratteristiche diverse dalla lingua scritta e cambia in relazione ai diversi elementi presenti nella comunicazione orale: la collocazione spazio-temporale in cui avviene la comunicazione e gli atteggiamenti reciproci degli interlocutori. Saper parlare significa intervenire al momento giusto e nel modo giusto, stimolando l’interesse e l’intenzione; significa riuscire a farsi capire da chi ascolta e raggiungere lo scopo di trasmettere il messaggio così come era il nostro attenzione. Leggere significa prima di tutto saper decodificare i segni 108 che compongono le parole. Saper leggere, però, non è soltanto saper decodificare, ma anche comprendere quanto si legge, saper interpretare e valutare criticamente i contenuti esposti in un testo scritto. Oggi, nonostante la presenza di mezzi di comunicazione orali e visivi, la lettura continua a essere uno strumento indispensabile nella comunicazione. Dobbiamo distinguere tra il saper leggere strumentale e il saper leggere per raggiungere gli scopi per cui leggiamo: la lettura risulterà corretta ed eseguita con una buona intonazione solo se si comprende ciò che si sta leggendo. Sapere come leggere un testo rispetto allo scopo permette di raggiungere la finalità per cui leggiamo. Non tutti i testi si leggono allo stesso modo: a volte ci limiteremo a leggere i capoversi e qualche parola qua e là di un romanzo di un paragrafo o di un libro. Saper scrivere, significa saper produrre un testo corretto, coeso e coerente, che raggiunga lo scopo per cui è stato scritto e che sia adeguato alla situazione comunicativa. La scrittura è una forma di espressione molto complessa, che significa sostanzialmente tradurre il proprio pensiero in una comunicazione comprensibile per gli altri. Chi scrive applica specifiche strategie che corrispondono a un metodo di lavoro applicabile in qualunque situazione di scrittura, per qualunque tipo di testo: pianificazione, trascrizione, riversione. Per aiutare lo studente a sviluppare queste abilità, l’insegnante deve adottare precise tecniche didattiche. In questa tesi ho individuato e discusso una tecnica per ognuna delle quattro abilità: il cloze test, la domanda di comprensione, il roleplay, la correzione degli errori rispettivamente per le abilità lettura, ascolto, parlato, scrittura. Il Cloze è un testo da cui vengono tolte delle parole, di solito una ogni sette. L'allievo dovrà inserire la parola appropriata mancante, anche se non si tratta di quella effettivamente cancellata; per farlo, deve necessariamente cercare di avere una visione globale del testo, o almeno del periodo o della frase, e su tale base immaginare che cosa può essere stato detto o scritto nella parola cancellata. La seconda tecnica analizzata è la domanda di comprensione: una tecnica utilizzata per guidare la comprensione orale. L’insegnante può utilizzare questa tecnica per preparare lo studente ad affrontare l’attività di 109 ascolto o per orientare la sua attenzione a qualche forma funzionale e per verificarne la comprensione. Il roleplay si propone di simulare, per quanto possibile, una situazione reale, allo scopo di far sperimentare ai partecipanti, attraverso l’esperienza pratica, le difficoltà e le possibili strategie comunicative che si attivano durante il processo di comunicazione. Il vantaggio di questa tecnica sta nel fatto che, a differenza della situazione reale, il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze nella vita reale. Infine, per quento riguarda l’abilità di scrittura, ho preso in considerazione la correzione degli errori. La correzione può avvenire su varie componenti di natura diversa: gli aspetti formali, gli elementi strutturali, semantici, pragmatici. Inoltre, essa si può realizzare attraverso i vari tipi di feedback correttivo qui di seguito elencati: diretto, indiretto, metalinguistico, focalizzato e non focalizzato e, infine, il recast. Questo saggio rappresenta un tentativo di sistematizzare e porre in relazione gli aspetti teorici inerenti le abilità linguistiche nell’insegnamento della L2 e quelli più pratici legati alla didattica e alle sue finalità di promozione e sviluppo di queste abilità negli apprendenti, al fine di renderli capaci di agire con la lingua appresa nelle varie situazioni della vita reale, secondo i principi dell’approccio comunicativo. 110 Bibliografia: AA.VV, 2003, ‘‘Grammatica Insegnarla e impararla’’, Guerra edizione, Perugia. AA.VV, 2006 ‘‘Metodi in classe per insegnare la lingua straniera: Teorie applicazioni materiali’’, LED Edizioni Universitarie. AJURIAGUERRA DE J., AUZIAS M, DENNER A. (1979) ‘‘ L'écriture de l'enfant’’, 1°. L'evolution de l'écriture et ses difficultés. Delachaux et Niestle, Paris. Bachman, L.F. (1990). ‘‘Fundamental Considerations in Language Testing’’ . Oxford etc.: OUP. 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