Indice
1
Flusso: divergenza
1.1 Come nasce il concetto di flusso . . . . . . . . .
1.2 Flusso in un campo vettoriale affine . . . . . . .
1.3 Flusso di un vettore . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.1 Equazione di una superficie . . . . . . .
1.3.2 Integrale di superficie . . . . . . . . . . .
1.4 Nascita di alcuni vettori . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Diversi significati di flusso in fisica . . . . . . . .
1.6 Esempi di flussi in fisica . . . . . . . . . . . . .
1.7 Come nasce il concetto di divergenza . . . . . . .
1.7.1 Divergenza di un campo vettoriale affine .
1.7.2 Divergenza di un campo vettoriale . . . .
1.7.3 Divergenza in coordinate cartesiane . . .
1.7.4 Divergenza in coordinate ortogonali . . .
1.8 Teorema di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.9 Campo vettoriale solenoidale . . . . . . . . . . .
1.10 Teorema di Stokes . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.11 Divergenza del rotore . . . . . . . . . . . . . . .
1.12 Proprietà della divergenza . . . . . . . . . . . . .
1.13 Complesso di de Rham . . . . . . . . . . . . . .
1
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3
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33
34
2
INDICE
Capitolo 1
Flusso: divergenza
Introduzione. Vi sono grandezze fisiche associate a superfici, tipicamente i
flussi. Il flusso uscente dal bordo di un volume è indicativo della presenza di
una sorgente nel volume, come avviene attorno a una sorgente d’acqua. Se
il flusso uscente dal bordo di un volume è nullo vuol dire che nella regione
non ci sono né sorgenti né pozzi: in tal caso, in quella regione, il campo è
solenoidale.
1.1
Come nasce il concetto di flusso
La nozione di flusso nasce dall’idrodinamica: parliamo di efflusso dell’acqua da
un serbatoio o di flusso dell’acqua nelle tubazioni domestiche con il flussometro,
ecc. Il termine è stato poi esteso a indicare una grandezza che si riferisce a una superficie: cosı̀ parliamo di flusso luminoso, di flusso elettrico, di flusso magnetico,
ecc.
b
v
A
Figura 1.1. Il moto di un fluido a pressione entro una tubazione.
Consideriamo il moto dell’acqua in un tubo a sezione costante (Fig. 1.1), supponiamo che il fluido riempia tutta la sezione del tubo 1 e che il moto sia stazionario. La quantità di acqua che passa nell’unità di tempo prende il nome di portata
1
In questo caso parliamo di correnti in pressione o correnti forzate. Si veda Marchi [?, p. 18].
3
4
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
del tubo o flusso e si misura usualmente in m3 /s. È evidente che maggiore è la velocità dell’acqua nel tubo, maggiore è la portata. Una domanda sorge spontanea:
che relazione sussiste tra la portata e la velocità del fluido?
v
v
a)
b)
Figura 1.2. Profili di velocità di un fluido in un tubo: a) moto di un fluido
ideale; b) moto laminare di un fluido viscoso.
Per precisare questa dipendenza supponiamo dapprima che la velocità del fluido sia uniforme in tutti i punti di una sezione retta (Fig. 1.2 a), come nel caso del
moto di un fluido ideale, cioè senza viscosità. Indicata con A l’area della sezione
retta del tubo, con b lo spazio percorso da una porzione di fluido nell’intervallo τ
e con v la velocità del fluido, definiamo
portata = flusso =
volume di fluido che transita A b
=
= Av .
intervallo di tempo
τ
(1.1)
Da questa relazione notiamo che, se la sezione del tubo è variabile, dove diminuisce la sezione deve aumentare la velocità, purché la portata sia la stessa in tutte
le sezioni ossia non vi siano tubi laterali di immissione o emissionee purché il
fluido sia incomprimibile. È questo tipicamente il caso dell’acqua in una condotta
in mancanza di derivazioni o perdite di fluido.
È più realistico il caso in cui la velocità del fluido abbia andamento parabolico
(Fig. 1.2 b), come avviene nei fluidi viscosi in moto laminare (regime di Poiseuille). Immaginiamo di dividere il fluido in tubi concentrici: a causa della viscosità e
della diversa velocità, fra un tubo di fluido e quello adiacente si manifesta una resistenza tangenziale che si oppone al moto. Una resistenza c’è anche nel contatto
tra l’acqua e la parete del tubo.
Per valutare la portata consideriamo dapprima una sezione retta del tubo, come in figura (Fig. ??a). Dividendo la sezione in elementi, indicata con ak l’area
del k - elemento, con Bk il suo baricentro e con vk il modulo della velocità del
fluido nel suo baricentro, la portata sarà
1.1. COME NASCE IL CONCETTO DI FLUSSO
5
n
v ( Bk)
v ( Bk)
Figura 1.3. Poratata di una condotta: a) utilizzo di una sezione retta; b) utilizzo
di una sezione generica.
Φ[S∗ ] =
X
ak vk
(sezione retta)
(1.2)
k
Si tratta di una valutazione approssimata avendo usato la velocià nel baricentro.
Se, invece di una sezione retta, consideriamo un elemento di superficie piana
qualsiasi sk (Fig. 1.4), l’espressione precedente (Eq. ??) diventa
Φk = ak cos(αk ) v(Bk )
sezione generica
(1.3)
essendo ak cos(αk ) la proiezione dell’area ak dell’elemento su una sezione retta.
n k a k
sk
αk
Bk
v k
a k cos ( αk)
Figura 1.4. Per calcolare la portata di un tubo di flusso occorre proiettare l’area
sulla sezione retta.
Se introduciamo il versore ~n normale all’elemento di superficie sk , possiamo
scrivere la portata media come
Φk = ~v(Bk ) · ~n(Bk ) ak
(1.4)
dove il vettore ~v(Bk ) rappresenta la velocità del fluido nel baricentro della sezione
sk . La portata attraverso l’intera superficie S è
X
~v (Bk ) · ~n (Bk ) ak
Φ[S0 ] =
(1.5)
k
Si tratta ancora di un’espressione approssimata, in quanto abbiamo considerato
la velocità del fluido nel baricentro di ogni elemento di superficie. La portata
6
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
attraverso l’intera superficie S è data dal seguente limite
X
def
Φ[S] = lim
Sk →Bk
~v (Bk ) · ~nk (Bk ) ak ≡
Z
~v (B) · ~n(B) dS
(1.6)
S
k
Osservazione. L’assuefazione all’uso dell’analisi infinitesimale ci procura un certo
fastidio di fronte al termine approssimato. Eppure nella pratica non abbiamo una formula
che ci fornisca la velocità in tutti i punti di una regione, per cui l’unico modo di valutare la
portata è quello di effettuare la somma discreta basandoci sul rilevamento sperimentale,
per se stesso approssimato, della velocità in alcuni punti. Del resto dire che la portata
di un tubo è di 98, 76598 ... litri/ora sarebbe significativo? Nell’insegnamento della
matematica ai primi anni occorre rivalutare il termine approssimato.
1.2
Flusso in un campo vettoriale affine
Quanto abbiamo detto finora si riferisce ad un generico campo vettoriale. Se, in
particolare, il campo vettoriale è affine, il calcolo del flusso è molto semplice,
come mostra il seguente
Teorema. Il flusso di una funzione vettoriale affine relativo ad una superficie
piana è dato dal prodotto dell’area della superficie per la componente normale
alla superficie del vettore del campo valutato nel baricentro della superficie.
D. Facendo riferimento alla figura (Fig. 1.5) consideriamo una
superficie piana S e dividiamola in tanti piccoli elementi, ad esempio triangoli.
Consideriamo il baricentro di ogni triangolo che si trova all’intersezione delle sue
mediane. Scelto un polo O sul piano della superficie indichiamo con Bk il baricentro del k - triangolo e con ~rk il raggio vettore con origine in O e termine in
Bk . Indichiamo con ~r(B) il baricentro della superficie. Concependo tale superficie come la faccia superiore di una lamina omogenea di spessore uniforme s, il
baricentro è dato da
X
X
ρ ak s~rk
ak ~rk
k
~rB = X
k
ρ ak s
k
= X
(1.7)
ak
k
Se la superficie è immersa in un campo vettoriale affine, vale la formula
1.2. FLUSSO IN UN CAMPO VETTORIALE AFFINE
z
n A
v
S
7
n
Bk
B
O
y
x
R
Figura 1.5. Un elemento di superficie piana.
~vk = ~vB + H (~rk − ~rB ) .
(1.8)
Il flusso del campo vettoriale relativo ad S è
Φ[S] =
X
X
~vk · ~nak = ~vB + H (~rk − ~rB ) · ~nak = ~vB · ~n
ak + H
k
k


X


 · ~n
~
a
(~
r
−
r
)
k
k
B


k
(1.9)
L’equazione (Eq. 1.7) può scriversi
X
ak (~rk − ~rB ) = 0
(1.10)
k
per cui si vede che il secondo termine dell’equazione (Eq. 1.11) è nullo. Ne viene
Φ[S] = [~v(B) · ~n ] A
avendo posto A =
P
k ak .
(1.11)
Esempio. Dato il campo vettoriale affine


v = +7 + 3x + 2y − 4z


 x
vy = −2 + y + 5z



 v = +5 + 2x − 6y + z
(1.12)
z
e dato un elemento di superficie piana di area A = 4, con il baricentro situato nel punto di
coordinate B(5, 2, 3) e con normale ~n = 4~i − 6 ~j + 2 ~k, determinare il flusso relativo a tale
superficie (Fig. 1.5).
R. Calcoliamo il vettore ~v del campo vettoriale affine nel baricentro B della
superficie
~v(B) = (7 + 3 · 5 + 2 · 2 − 4 · 3)~i + (−2 + 1 · 2 + 5 · 3) ~j
+(5 + 2 · 5 − 6 · 2 + 1 · 3) ~k = 14~i + 15 ~j + 6 ~k
(1.13)
Φ = ~v(B) · ~n A = [14 · 4 + 15 · (−6) + 6 · 2] 4 = −88
(1.14)
e quindi
che fornisce il flusso cercato.
8
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
1.3
Flusso di un vettore
Possiamo estendere la nozione di portata di una condotta a quella di flusso di una
funzione vettoriale attraverso una superficie. Dato un campo vettoriale descritto dal vettore ~v (t, P), congeliamo il campo all’istante generico t e per semplicità
omettiamo l’indicazione dell’istante. Data una superficie S valutiamo la quantità
(Eq. 1.6) che prende il nome di flusso del vettore ~v relativo alla superficie S all’istante t. Cambiando verso della normale l’integrale cambia segno (Fig. 1.6), come
accade per l’integrale di linea.
v
v
n
B
B
b)
a)
-n
Figura 1.6. Il segno del flusso dipende dal verso della normale alla superficie:
a) flusso positivo; b) flusso negativo.
Nel caso in cui la superficie S sia il bordo di un volume V, indicato con ∂V, il
flusso è
Z
~v (B) · ~n(B) dS
Φ[∂V] =
(1.15)
∂V
con ~n sempre rivolto verso l’esterno di V (Fig. 1.7).2
n
n
n
n
n
n
n
n
n
n
n
Figura 1.7. Per convenzione le superfici chiuse sono orientate con le normali
esterne.
2
Nel passato alcuni autori usavano orientare la normale verso l’interno della superficie chiusa.
1.3. FLUSSO DI UN VETTORE
9
Per calcolare il flusso dobbiamo calcolare l’integrale
Z
Z
~v(B) · ~n(B) dS = ~v(~r(u, v)) · ~n(~r(u, v)) dS
Φ[S] =
S
S
Z u2 Z v2 h
i
i h
=
v x~i + vy ~j + vz~k · A x~i + Ay ~j + Az~k du dv
u
v
Z 1u2 Z 1v2
=
(v x A x + vy Ay + vz Az ) du dv
u1
(1.16)
v1
e l’integrale di superficie è cosı̀ ricondotto al calcolo di un integrale doppio.
1.3.1
Equazione di una superficie
Il calcolo del flusso presuppone il calcolo di un integrale di superficie. Vediamo
come fare: per prima cosa dobbiamo precisare la superficie dandone la sua equazione. Cosı̀ come esprimiamo l’equazione di una linea dando le coordinate dei
suoi punti in funzione di un parametro, analogamente esprimiamo l’equazione di
una superficie dando le coordinate dei suoi punti in funzione di due parametri.
Indichiamo questi due parametri con u e v e scriviamo le equazioni parametriche
di una superficie
x = f (u, v)
y = g(u, v)
z = h(u, v) .
(1.17)
z
parallelo
meridiano
di Greenwich
equatore
terrestre
ϕ longitudine
O
latitudine ψ
meridiano
Figura 1.8. Equazioni parametriche di una superficie sferica.
Consideriamo una superficie sferica e indichiamo con ϕ la longitudine e con
ψ la latitudine (Fig. 1.8). Le equazioni parametriche della superficie sono


x = r cos ψ cos ϕ


0 ≤ ϕ < 2π

y
= r cos ψ sin ϕ
(1.18)



−π/2 ≤ ψ ≤ π/2 .
 z = r sin ψ
Le linee a latitudine ψ costante sono i paralleli mentre quelle a longitudine ϕ
costante sono i meridiani.
10
1.3.2
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
Integrale di superficie
Assegnata una superficie mediante le sue equazioni parametriche (Eq. 1.17) possiamo scrivere il vettore raggio ~r nella forma
~r(u, v) = x (u, v)~i + y (u, v) ~j + z (u, v) ~k .
(1.19)
Le linee a u costante e quelle a v costante costituiscono due famiglie di linee che
suddividono la superficie in tanti elementi a forma di parallelogrammi curvilinei.
Spesso le due famiglie di linee si intersecano ad angolo retto, come nella sfera,
nell’ellissoide e nel toro.
Consideriamo due linee della prima famiglia corrispondenti a due valori u e
u + du, nonché due linee della seconda famiglia corrispondenti a due valori v e
v + dv: esse individuano un parallelogramma infinitesimo. Indicati con du~r e dv~r
i due vettori infinitesimi che formano i lati del parallelogramma, abbiamo
"
#


∂~r
∂x~ ∂y ~ ∂z ~



~
d
r
=
du
=
i
+
j
+
k
du

u


∂u
∂u
∂u
∂u


"
#
(1.20)


∂x
∂y
∂z
∂~
r


~
~
~

~
dv
=
i
+
j
+
k
dv
.
d
r
=

v


∂v
∂v
∂v
∂v

Il vettore che caratterizza l’elemento di superficie individuato dal parallelogramma infinitesimo è
~n dS = du~r × dv~r .
(1.21)
Per calcolare le componenti del vettore ~n dS
prodotto vettoriale
~i
∂x
~n dS = du~r × dv~r = ∂u
∂x
∂v
Posto




A x (u, v)










Ay (u, v)












 Az (u, v)
def
=
def
=
def
=
usiamo l’espressione cartesiana del
~j
∂y
∂u
∂y
∂v
~k ∂z du dv .
∂u ∂z ∂v ∂y ∂z ∂z ∂y
−
∂u ∂v ∂u ∂v
∂z ∂x ∂x ∂z
−
∂u ∂v ∂u ∂v
∂x ∂y ∂y ∂x
−
∂u ∂v ∂u ∂v
(1.22)
(1.23)
1.3. FLUSSO DI UN VETTORE
11
possiamo scrivere
h
i
~n dS = A x~i + Ay ~j + Az~k du dv .
(1.24)
Otteniamo l’area dA dell’elemento infinitesimo dS eseguendo il prodotto scalare ~n dS · ~n dS ed estraendone la radice: dall’equazione precedente (Eq. 1.24)
risulta
q
A2x + A2y + A2z du dv .
dA =
(1.25)
Per calcolare l’area di una superficie, ad esempio l’area di un toro o di un ellissoide
o di una sfera, dobbiamo valutare l’integrale
A[S] =
Z
Z
dA =
S
u2
v2
Z
q
v1
u1
A2x + A2y + A2z du dv .
(1.26)
Può capitare che ad ogni punto di una superficie sia associato il valore di una
grandezza scalare ϕ, in tal caso possiamo scrivere
ϕ = f (u, v)
(1.27)
e l’integrale
F[S] =
Z
f (u, v) dA
(1.28)
S
prende il nome di integrale di superficie della funzione f (u, v). Per calcolarlo
basta esprimere dA con l’espressione vista in precedenza (Eq. 1.25): in tal modo
l’integrale di superficie è ricondotto ad un integrale doppio 3
F[S] =
u2
Z
v2
Z
v1
u1
f (u, v)
q
A2x + A2y + A2z du dv .
(1.29)
Come esempio consideriamo una volta sottile di cemento e di spessore variabile h(u, v). Indicando con γ il peso per unità di volume, il peso p di un elemento
di area dA risulta
p = γ h(u, v) dA .
(1.30)
In tal caso f (u, v) = γ h(u, v) e il peso totale P della volta risulta
P=
Z
γ h(u, v) dA =
S
3
Z
u2
Z
du
u1
Si veda Tricomi [?, vol. II, p. 270].
v2
v1
γ h(u, v)
q
A2x + A2y + A2z dv .
(1.31)
12
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
1.4
Nascita di alcuni vettori
Comunemente introduciamo la nozione di flusso di un vettore ritenendo che il
vettore sia assegnato a priori. Spesso, invece, esso è definito a partire dal flusso
che è direttamente misurabile! Esaminiamo questo processo considerando la carica elettrica Qf che fluisce in un intervallo T attraverso un elemento di superficie
piana e
S di baricentro B e normale ~n (Fig. 1.9). La carica Qf dipende:
− dall’intervallo di tempo T;
− dalla posizione del baricentro B;
− dall’orientazione della superficie piana descritta dalla normale ~n;
− dall’area A della superficie piana;
quindi possiamo scrivere Q f (T, B, ~n, A).
La corrente i che attraversa la superficie e
S è data dal limite del rapporto tra la
carica fluita Q f e la durata T dell’intervallo di tempo
Q f (T, B, ~n, A)
(1.32)
T−→I
T
mentre la densità di corrente J nella direzione ~n è data da
i(t, B, ~n, A)
def
.
(1.33)
Jn (t, B, ~n) = lim
S−→B
A
La grandezza J cosı̀ ottenuta rimane sempre associata alla superficie anche se non
dipende dalla sua estensione, mentre è funzione dell’istante t, del punto B e della
direzione ~n. Ruotando la superficie piana e
S attorno al suo baricentro B, la densità
di corrente varia. Esiste una direzione privilegiata ~nmax per la quale la densità di
corrente assume il valore massimo Jmax (Fig. 1.9 b). Istituiamo il vettore
def
i(t, B, ~n, A) = lim
def
J~ (t, B) = Jmax (t, B) ~nmax
(1.34)
che prende il nome di vettore densità di corrente elettrica. Il vettore J~ è sempre associato a una superficie, ma è funzione solo del punto B e dell’istante t.
Introdotto il vettore J~ riscriviamo la sua equazione (Eq. 1.33) come segue
~ B) · ~n(B) .
Jn (t, B, ~n) = J(t,
(1.35)
n
Jmax
J
B
a)
s
B
s
n max
b)
J
B
s
α
n max
J
c)
Figura 1.9. Nascita del vettore densità di corrente: a) densità di corrente che
attraversa l’elemento di superficie; b) giacitura per la quale la densità di corrente
è massima; c) proiezione della densità di corrente elettrica.
1.4. NASCITA DI ALCUNI VETTORI
13
Osserviamo che l’introduzione della densità di corrente Jn , relativa ad una
~ consente di sepagiacitura, e successivamente del vettore densità di corrente J,
rare la dipendenza della corrente i nei due elementi ~n e A.
Se ora vogliamo determinare la carica fluita Qf attraverso una superficie generica e
S in un intervallo T, dobbiamo calcolare l’integrale del vettore densità di
corrente J~ sulla superficie e nel tempo
Z Z
f
~ B) · ~n(B) dS dt .
S] =
Q [T, e
J(t,
(1.36)
T
e
S
Quello che abbiamo illustrato è il modo tipico con cui nasce il vettore densità
di corrente. Da un punto di vista fisico siamo partiti da una corrente per istituire il
vettore densità, mentre da un punto di vista matematico siamo partiti da un vettore
per definire una corrente, che è un flusso per unità di tempo.
L’integrale sulla superficie e
S dà la grandezza globale nello spazio e l’integrale
sull’intervallo T dà la grandezza globale nel tempo. Possiamo integrare nel tempo
tutte le correnti per dare una quantità globale nel tempo (Tav. 1.2). Al contrario il
flusso elettrico, il flusso magnetico e il flusso dei vortici sono riferiti all’istante e
non ha senso fisico effettuarne l’integrazione nel tempo.4
Esempio. Calcolare il flusso del vettore ~v (t, P) = 2 t y~i − (y t − z) ~j + x2 ~k attraverso
la superficie piana delimitata dal circuito OABC (Fig. 1.10).
R. Essendo la superficie piana, otteniamo
Z
ZZ
~v · ~n dS =
~v · ~i dy dz
Φ[I, S] =
S
y
z
ZZ
Z 2
Z
=
2 t y dy dz =
2 t y dy
y z
0
1
(1.37)
dz = 2t
0
da cui vediamo che il flusso si annulla all’istante t = 0.
z
B
C
1
A
O
~i
2
y
x
Figura 1.10. Superficie rettangolare.
4
Le grandezze fisiche associate a linee, superfici, volumi, nonché quelle associate agli intervalli
di tempo, sono grandezze globali. Esse dipendono da un elemento spaziale e temporale dotati di
estensione e quindi, invece di essere funzioni del punto, sono funzioni di dominio. Per questa
ragione gli elementi spaziali e temporali vengono messi entro parentesi quadra anziché tonda, come
è in uso in matematica per i funzionali.
14
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
1.5
Diversi significati di flusso in fisica
Quando uno stesso termine viene introdotto in periodi storici diversi e da persone
che operano in campi diversi, è inevitabile che possa aver assunto significati diversi. In matematica si intende per flusso una grandezza associata ad una superficie
proveniente dall’integrale del prodotto scalare di un vettore per il versore normale
alla superficie moltiplicato per l’elemento infinitesimo di area.
Il fatto di indicare l’integrale di un vettore su una superficie (Eq. 1.15) con il
termine flusso non significa che il senso fisico della grandezza sia quello di attraversamento della superficie da parte di qualcosa. Cosı̀ il flusso magnetico Φ non
esprime l’attraversamento della superficie, ma è semplicemente una grandezza associata alla superficie stessa.5 Possiamo dire la stessa cosa riguarda il flusso dei
vortici, chiamato vorticità e indicato con W: esso è semplicemente la circolazione
del vettore velocità lungo il bordo della superficie.
Anche quando il termine flusso viene riferito effettivamente all’attraversamento della superficie da parte di qualcosa, esso è usato da autori diversi con significati diversi. In fisica, quando ci si riferisce a qualcosa che materialmente attraversa
una superficie (che fluisce attraverso la superficie) è bene utilizzare tre termini
distinti:
− flusso: quantità di qualcosa che attraversa la superficie in un prefissato intervallo di tempo. Si tratta quindi di una grandezza cumulativa. Tali sono la
portata integrale, misura in metri cubi (m3 ), usata nei fluidi,6 nonché il lavoro e il calore, misurati in joule (J), che sono due forme distinte di flusso di
energia; 7
− corrente: quantità che attraversa una superficie nell’unità di tempo. Si tratta
quindi del tasso di una grandezza cumulativa. Tale è la potenza, misurata in
watt (W), che è la corrente di energia. Alcuni autori usano il termine intensità
di flusso in luogo di corrente; 8 i termini flusso luminoso e flusso di energia
sono, propriamente, correnti di energia (W);
− densità di corrente: quantità che attraversa una superficie nell’unità di tempo
e per unità di superficie.9 Alcuni autori usano il termine flusso come sinonimo
di densità di corrente ovvero portata per unità di area.
5
Si veda a pagina ??.
Si veda Marchi [?, p. 19].
7
Si noti che l’espressione flusso di calore, comunemente usata, è impropria perché il calore è
già un flusso di energia.
8
Si vedano: Callen [?, p. 287]; Bird [?, p. 3]; Stratton [?, p. 197].
9
Secondo le norme internazionali [?, p. 6] il termine specifico deve essere evitato e riservato al
significato diviso per la massa: quindi si deve usare potenza per unità di superficie e non potenza
specifica; portata per unità di superficie e non portata specifica.
6
1.6. ESEMPI DI FLUSSI IN FISICA
15
Il lettore deve quindi fare attenzione, quando legge un libro di fisica, al significato che l’autore dà al termine flusso (Tav. 1.1).
Tavola 1.1. Uso e abuso del termine flusso.
termine usuale
termine appropriato
simbolo
unità SI
flusso
flusso elettrico
flusso magnetico
flusso dei vortici
flusso elettrico
flusso magnetico
flusso dei vortici
Ψ
Φ
W
C
Wb
m2 s−1
flusso di calore
flusso di carica
flusso di massa
flusso di entropia
calore (flusso di energia)
flusso di carica
flusso di massa
flusso di entropia
Q
Qf
Mf
Sf
J
C
kg
J/◦ K
Φ
W (= J/s)
W (= J/s)
kg/s
corrente
flusso di energia
flusso luminoso
flusso di massa
corrente di energia
corrente di energia luminosa
corrente di massa = portata
densità di corrente
densità di flusso di energia
densità di corrente di energia
densità di flusso di neutroni
densità di flusso di probab.
densità di corrente di neutroni
densità di corrente di probabilità
densità di flusso di particelle
densità di corrente di particelle
1.6
J~m
J~n
~s
~
Jn
W/m2
m−2 s−1
m−2 s−1
m−2 s−1
Esempi di flussi in fisica
In fisica incontriamo diversi tipi di flusso (Tav. 1.2), vediamone i principali nell’elettromagnetismo e nella conduzione termica.
Nell’elettromagnetismo consideriamo essenzialmente quattro flussi. Indicato
~ B) il vettore densità di flusso magnetico, la quantità
B(t,
Z
e
~ B) · ~n(B) dS
B(t,
unità SI: weber
(1.38)
Φ[I, S] =
S
16
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
è il flusso magnetico.
~ B) il vettore spostamento elettrico, la quantità
Indicato con D(t,
S] =
Ψ [I, e
Z
~ B) · ~n(B) dS
D(t,
unità SI: coulomb
(1.39)
e
S
è il flusso elettrico.
~ B) il vettore densità di corrente, la quantità
Indicato con J(t,
I[T, e
S] =
Z
~ B) · ~n(B) dS
J(t,
unità SI: ampere
(1.40)
e
S
è l’intensità di corrente. Essa è un flusso di carica per unità di tempo.
def
~ la quantità
Indicato con S~ (t, B) il vettore di Poynting, ovvero S~ = E~ × H,
S] =
P[T, e
Z
S~ (t, B) · ~n(B) dS
unità SI: watt
(1.41)
e
S
è la corrente di energia, ossia la potenza, che è un flusso di energia per unità di
tempo.
Nella conduzione termica consideriamo essenzialmente due flussi. Indicato
con ~q(t, B) il vettore densità di corrente di energia, la quantità
Φ[T, e
S] =
Z
~q (t, B) · ~n(B) dS
unità SI: watt
(1.42)
e
S
è la corrente di energia, che è un flusso di energia per unità di tempo.
Indicato con J~s (t, B) il vettore densità di corrente di entropia, la quantità
Φs [T, e
S] =
Z
J~s (t, B) · ~n(B) dS
unità SI: joule/grado kelvin
(1.43)
e
S
è la corrente di entropia, che è un flusso di entropia per unità di tempo.
Ricordiamo anche il flusso di massa nella meccanica dei fluidi, il flusso di probabilità nella meccanica quantistica, il flusso di particelle nella fisica del reattore
nucleare.
I flussi sono essenziali per la scrittura delle equazioni di bilancio: dovunque
compaia un bilancio entra la nozione di flusso.
1.6. ESEMPI DI FLUSSI IN FISICA
17
Tavola 1.2. Principali flussi usati in fisica.
corrente elettrica
densità di corrente elettrica
I[T, e
S] =
corrente di massa
densità di corrente di massa
Im [T, e
S] =
corrente di energia
densità di corrente di energia
S] =
Ie [T, e
Z
~ B)·~n dS
J(t,
e
S
Z
~q(t, B)·~n dS
e
S
Z
~q(t, B)·~n dS
e
S
corrente di entropia
densità di corrente di entropia
Is [T, e
S] =
corrente di particelle
densità di corrente di particelle
S] =
In [T, e
corrente di probabilità
densità di corrente di probabilità
S [T, e
S] =
flusso elettrico
spostamento elettrico
Ψ [I, e
S] =
flusso magnetico
densità di flusso magnetico
Φ[e
I, S] =
flusso dei vortici
vorticità
W[e
I, S] =
Z
J~s (t, B)·~n dS
e
S
Z
J~n (t, B)·~n dS
e
S
Z
~s(t, B)·~n dS
e
S
Z
~ B)·~n dS
D(t,
e
S
Z
~ B)·~n dS
B(t,
S
Z
~ (t, B)·~n dS
w
S
18
1.7
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
Come nasce il concetto di divergenza
Rifacendoci al moto di un fluido incomprimibile, consideriamo il moto di un fluido comprimibile entro un condotto; pensiamo alla pompa di una bicicletta o alla
propagazione del suono nell’aria che avviene per compressione e rarefazione. Il
flusso del fluido attraverso la sezione d’ingresso non è, in generale, uguale a quello nella sezione di uscita perché, all’interno della regione considerata, possiamo
avere accumulo o rarefazione del fluido. La differenza fra il flusso entrante e
quello uscente rappresenta la quantità di fluido accumulato nel volume stesso.
Per descrivere il moto di un fluido incomprimibile, ossia di densità costante, è
sufficiente dare la velocità ~v in ogni punto. Quando invece il fluido è comprimibile
occorre dare anche la densità ρ di ogni punto. Accanto alla velocità risulta utile
introdurre il vettore
~q (t, P) = ρ(t, P)~v (t, P)
(1.44)
che prende il nome di vettore densità di corrente di massa: esso descrive la quantità di fluido che transita nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie piana
situata perpendicolarmente alla velocità
Z
e
~q (t, B) · ~n(B) dS .
Φ[T, S] =
(1.45)
e
S
e possiamo dividere in tre parti la superfiSe consideriamo una regione generica V,
e
e
cie S = ∂V che ne forma il bordo (Fig. 1.18). Indichiamo con S1 la superficie da
dove esce il fluido, con S2 quella da dove entra e con S3 quella tangente alle linee
di campo dalla quale non si ha né entrata né uscita di fluido. Il flusso totale uscente
è uguale alla differenza tra il flusso uscente e quello entrante da ogni superficie
"Z
# " Z
#
e =
~q (t, B) · ~n(B) dS 1 − −
~q (t, B) · ~n(B) dS 2
Φ[T, ∂V]
e
S1
=
Z
e
S2
(1.46)
~q (t, B) · ~n(B) dS
e
S1 ∪ e
S2
e possiamo scrivere
e =
Φ[T, ∂V]
Z
e
∂V
~q (t, B) · ~n(B) dS .
(1.47)
Facciamo il rapporto tra il flusso totale uscente e il volume V: passando al limite
otteniamo la quantità
Z
~q (t, B) ·~n(B) dS
e
Φ[T, ∂V]
= lim ∂V
(1.48)
lim
V−→P
V−→P
V
V
che prende il nome di divergenza del vettore ~q (t, B) all’istante t considerato.
1.7. COME NASCE IL CONCETTO DI DIVERGENZA
1.7.1
19
Divergenza di un campo vettoriale affine
Possiamo facilmente calcolare il flusso attraverso il bordo di un poliedro in un
campo vettoriale affine: esso è la somma dei flussi (Eq. ??) relativi alle diverse
facce del poliedro
X
~v (Bk ) · ~n (Bk ) Ak .
(1.49)
Φ[∂V] =
k
Sussiste un’importante proprietà dei campi vettoriali affini.
Teorema. In un campo vettoriale affine il flusso attraverso il bordo di una
regione generica è proporzionale al volume della regione.
~n 6
z
~v
~ n 3 ~ v3 6
2
6
3
~n2
c
1
4
~ v1
a
~v 2
b
5
x
~ v4
~ n1
~n4
y
~ n5 ~ v4
Figura 1.11. Il calcolo del flusso di un campo vettoriale affine attraverso il
bordo di un parallelepipedo.
D. Il flusso totale uscente da un parallelepipedo di lati a, b, c
(Fig. 1.11) è
X
~vk · ~nk Ak .
Φ[∂V] =
(1.50)
k
Poiché
~n1 A1 = −b c~i
~n4 A4 = +a c ~j
~n2 A2 = +b c~i
~n5 A5 = −a b ~k
~n3 A3 = −a c ~j
~n6 A6 = +a b ~k
(1.51)
il flusso totale è
Φ[∂V] = −bc~i · ~v1 + bc~i · ~v2 − ac~j · ~v3 + ac ~j · ~v4 − ab~i · ~v5 + ab~i · ~v6
= +bc~i · [~v2 − ~v1 ] + ac ~j · [~v4 − ~v3 ] + ab ~k · [~v6 − ~v5 ] .
(1.52)
Ricordando che in un campo vettoriale affine vale la relazione (Eq. ??), possiamo
scrivere
~v2 − ~v1 = a H~i
~v4 − ~v3 = b H ~j
~v6 − ~v5 = c H ~k
(1.53)
20
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
e la relazione precedente (Eq. 1.52) diventa
Φ[∂V] = a b c (~i · H~i) + a b c ( ~j · H ~j) + a b c ( ~k · H ~k) .
(1.54)
Osservando che

 h xx h xy h xz
~i · H~i = [1 0 0]  hyx hyy hyz

hzx hzy hzz
e analogamente
~j · H ~j = hyy
 

  1 
 h xx
  0  = [1 0 0]  hyx
  

0
hzx



 = h xx
~k · H ~k = hkk
(1.55)
(1.56)
otteniamo
Φ[∂V] = a b c (h xx + hyy + hzz ) = V(h xx + hyy + hzz ) .
(1.57)
Il prodotto a b c è il volume del parallelepipedo, mentre (h xx +hyy +hzz ) è la traccia
della matrice gradiente H, cioè la somma dei termini della diagonale principale.
Ne viene che in un campo vettoriale affine il flusso attraverso il bordo di un parellelepipedo è proporzionale al volume dello stesso. Poiché ogni volume può essere
approssimato giustapponendo tanti piccoli parallelepipedi, risulta dimostrato il
teorema. 1.7.2
Divergenza di un campo vettoriale
Se il flusso attraverso una superficie chiusa non è nullo, significa che nel volume
racchiuso dalla superficie abbiamo una produzione o un accumulo della grandezza
che fluisce. Cosı̀ se un gas passa in un tubo e il flusso all’entrata è maggiore del
flusso all’uscita (Fig. 1.12 a), significa che il gas si accumula all’interno approfittando della sua comprimibilità. Analogamente un muro esposto al sole si riscalda
perché il calore entrante è maggiore di quello uscente (Fig. 1.12 b).
aumento energia interna
aria
flusso
entrante
flusso
uscente
calore entrante
termometro
accumulo
di aria
a)
calore uscente
b)
Figura 1.12. a) In un fluido comprimibile il flusso di materia entrante è diverso
da quello uscente da una regione; b) il calore entrante in un muro è diverso da
quello uscente e provoca il riscaldamento del muro.
1.7. COME NASCE IL CONCETTO DI DIVERGENZA
21
Se in un corpo sono presenti sorgenti di calore distribuite in tutta la sua massa, originate ad esempio da reazioni chimiche o da reazioni nucleari, come avviene nelle barre di uranio di un reattore nucleare, il calore uscente da una superficie chiusa è uguale alla differenza tra la quantità di calore prodotta e quella
accumulata nel volume.
Per valutare l’intensità di produzione o di accumulo di flusso, operiamo come
segue: fissato un punto P, consideriamo una superficie chiusa riducibile che lo
contenga, calcoliamo il rapporto tra il flusso attraverso la superficie e il volume
V racchiuso dalla superficie e infine facciamo contrarre il volume V al punto P
passando al limite (Fig. 1.13).
P
V
Figura 1.13. Contrazione di un volume a un punto.
Tale limite, quando esiste ed è finito e non dipende né dalla forma né dal modo
con cui la superficie tende a zero, prende il nome di divergenza del vettore ~v nel
punto P all’istante t e viene indicata mediante la notazione figurata “div”
def
(div ~v )(t, P) = lim
V−→P
Φ[t, ∂V]
V
(1.58)
e, poiché tale limite è un numero, ad ogni punto P del campo vettoriale e ad
ogni istante t viene associato un numero. Definiamo in tal modo il campo della
funzione divergenza che è un campo scalare.
D. Si chiama divergenza di un campo vettoriale ~v (t, P)
il campo scalare il cui valore in ogni punto è il limite del rapporto
tra il flusso del vettore ~v (t, P) all’istante t attraverso una superficie
chiusa riducibile contenente il punto, orientata con normale esterna, e il volume racchiuso, quando la superficie si contrae al punto.
In questo modo a partire da un campo vettoriale si costruisce il
campo scalare della funzione divergenza.
22
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
1.7.3
Divergenza in coordinate cartesiane
Per calcolare la divergenza di un vettore, funzione del punto e dell’istante, dobbiamo eseguire un integrale di superficie, dividere per il volume V e quindi fare il
limite per V −→ P.
È implicito, nella definizione, che la forma della superficie chiusa può essere arbitraria purché, al tendere a zero del volume, corrisponda il tendere a zero
della superficie di contorno. Questo porta ad escludere volumi quali quello di un
cilindro la cui base ha un’area finita e la cui altezza è infinitesima (Fig. 1.14 a).
Il fatto che la forma della superficie chiusa sia arbitraria e che si debba rimpicciolire la superficie facendola tendere a zero permette di esprimere la divergenza
di un vettore mediante le derivate parziali delle sue componenti.
z
A
b
dx
P
Q
tende a zero
a)
V=Ab
tende a zero
rimane finito x
P'
O
b)
R'
dz
Q'
R
dy
y
Figura 1.14. a) Il volume di un solido può tendere a zero anche se la sua superficie mantiene un’estensione finita; b) parallelepipedo per il calcolo della
divergenza in coordinate cartesiane.
Consideriamo un parallelepipedo i cui spigoli siano formati da linee coordinate (Fig. 1.14 b); indicata con h la lunghezza della diagonale maggiore, risulta
Φ[∂V] = +~v (P) ·(−~i) dy dz + ~v(P0 ) ·(+~i) dy dz
+~v (Q) ·(− ~j) dz dx + ~v(Q0 ) ·(+ ~j) dz dx
(1.59)
+~v (R) ·(− ~k) dx dy + ~v(R0 ) ·(+ ~k) dx dy .
Osserviamo che da P a P0 varia soltanto la coordinata x
~v (P0 ) ≈ ~v (P) +
∂~v (P)
dx
∂x
(1.60)
e analogamente per le altre coppie di punti, perciò il flusso totale uscente dal
1.7. COME NASCE IL CONCETTO DI DIVERGENZA
23
volume considerato è
!
∂v x
dx dy dz
Φ[∂V] = −v x dy dz + v x +
∂x
!
∂vy
−vy dz dx + vy +
dy dz dx
∂y
!
∂vz
dz dx dy
−vz dx dy + vz +
∂z
!
∂v x ∂vy ∂vz
=
+
+
dx dy dz .
∂x
∂y
∂z
(1.61)
Ricordando che il limite del rapporto tra due infinitesimi è uguale al rapporto delle
loro parti principali,10 ne viene
Φ[∂V] ∂v x ∂vy ∂v
=
+
+
V−→P
V
∂x
∂y ∂z
(div ~v )(P) = lim
(1.62)
da cui
div ~v =
∂v x ∂vy ∂vz
+
+
∂x
∂y
∂z
(1.63)
che è l’espressione della divergenza in coordinate cartesiane. Possiamo scrivere
tale espressione (Eq. 1.63) nella forma
"
div ~v =
#
~i ∂ + ~j ∂ + ~k ∂ ·(v x ~i + vy ~j + vz ~k)
∂x
∂y
∂z
(1.64)
= ∇ ·~v
che dà la possibilità di far uso dell’operatore nabla anche per scrivere la divergenza.
Osservazione. Come già detto per il gradiente, osserviamo che si può scegliere l’equazione (Eq. 1.63) come definizione della divergenza, come fanno molti libri di fisica.
Tale definizione però non rende ragione del contenuto fisico della divergenza, cioè di essere un flusso per unità di volume. La definizione intrinseca (Eq. 1.58) è più opportuna
per la fisica, inoltre essa si presta a fornire l’espressione della divergenza in un qualunque
sistema di coordinate curvilinee.
10
Si veda il teorema a pagina ??.
24
1.7.4
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
Divergenza in coordinate ortogonali
Possiamo ottenere la divergenza del vettore ~v (P) dalla relazione
Φ[∂V]
.
(1.65)
V−→P
V
Considerando un generico elemento di volume (Fig.1.15), il flusso Φu uscente
dalla faccia passante per B è
h
ih
ih
i h
i
Φu = ~v(B) · ~eu (B) hv (B) dv hw (B) dw = vu (B) hv (B) hw (B) dv dw (1.66)
div ~v = lim
mentre quello entrante dalla faccia opposta e passante per A è
h
i
Φ0u = vu (A) hv (A) hw (A) dv dw .
(1.67)
w
v
D
B
A
P
C
hv (B) dv
u
hw (B) dw
Figura 1.15. Divergenza in coordinate curvilinee ortogonali.
Dal momento che
 

vu (B) hv (B) hw (B) dv dw = + vu (P) hv (P) hw (P) dv dw







du


∂



+
v
(P)
h
(P)
h
(P)
dv dw
u
v
w


∂u
2






vu (A) hv (A) hw (A) dv dw = + vu (P) hv (P) hw (P) dv dw







du


∂



−
vu (P) hv (P) hw (P)
dv dw .
∂u
(1.68)
2
sottraendo otteniamo il flusso complessivo uscente dalle due facce
i
∂h
vu (P) hv (P) hw (P) du dv dw .
∂u
Sommando i contributi delle tre coppie di facce, otteniamo
"
#
1
∂
∂
∂
div ~v =
(hv hw vu ) + (hu hw vv ) +
(hu hv vw )
hu hv hw ∂u
∂v
∂w
(1.69)
(1.70)
che è l’espressione cercata della divergenza in coordinate ortogonali.11
11
Le espressioni specifiche della divergenze nei singoli sistemi di coordinate si ottengono
specificando i fattori di scala: si veda a pagina ?? (Tav. ??).
1.8. TEOREMA DI GAUSS
1.8
25
Teorema di Gauss
In questo libro abbiamo definito la divergenza di un vettore partendo da considerazioni intrinseche, come limite del rapporto tra flusso e volume. In questo modo
è facile dimostrare un’importante conseguenza della definizione di divergenza: il
teorema di Gauss, detto anche teorema della divergenza. Ricordiamo che il flusso
di un vettore su una superficie chiusa è dato da
Z
def
~v · ~n dS .
Φ[∂V] =
(1.71)
∂V
Teorema di Gauss. In un campo vettoriale il flusso del vettore sul bordo di
un volume è uguale all’integrale della divergenza del vettore sul volume.
∂V
V
vk
Bk
v (Bk)
Figura 1.16. Decomposizione di un volume V in volumi vk .
D. Consideriamo un volume V contenuto entro una regione Ω
ove ha sede un campo vettoriale e suddividiamolo in tanti volumi vk (Fig. 1.16)
come se tagliassimo una patata in tanti cubetti. Per la proprietà additiva, il flusso
del vettore ~v(P) attraverso il bordo ∂V è uguale alla somma dei flussi attraverso i
bordi dei singoli volumi vk
X
X Φ[∂vk ]
X
Φ[∂V] =
Φ[∂vk ] =
vk ≈
(div ~v )(Bk ) vk
(1.72)
vk
k
k
k
essendo Bk il baricentro del volume vk . Passando al limite, otteniamo
Z
X
Φ[∂V] = lim
(div ~v )(Bk ) vk =
div ~v dV
vk −→Bk
(1.73)
V
k
avendo utilizzato la definizione di divergenza (Eq. 1.58). Ricordando la definizione di flusso (Eq. 1.71), l’equazione precedente diviene
Z
Z
~v · ~n dS =
div ~v dV
(1.74)
∂V
V
26
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
e in notazione equivalente
Z
∂V
~v · ~n dS =
Z
∇·~v dV
(1.75)
V
che costituisce il teorema di Gauss, detto anche teorema della divergenza. Abbiamo dimostrato i teoremi di Stokes e di Gauss in modo intrinseco. Possiamo ottenere i medesimi teoremi utilizzando direttamente le coordinate cartesiane.
1.9
Campo vettoriale solenoidale
Se consideriamo una regione Ω interamente occupata da un fluido incomprimibile
e nella quale non vi siano pozzi o sorgenti, il fluido che entra è uguale a quello
che esce, quindi non può accumularsi entro la regione. La proprietà di avere
un flusso totale nullo attraverso ogni superficie chiusa è molto frequente in altri
campi vettoriali. Questo ci spinge a istituire una categoria di campi: i campi
solenoidali.12
D. Sia T un intervallo temporale e Ω una regione di
spazio. Un campo vettoriale ~v(t, P) definito in [T, Ω] si dice solenoidale ad un istante t ∈ T se il flusso del vettore relativo ad ogni
superficie chiusa riducibile, in quell’istante, è nullo
Φ[∂V] = 0
(1.76)
essendo V un volume semplicemente connesso rispetto alle superfici. Nelle regioni di regolarità possiamo esprimere la condizione
di solenoidalità in forma locale nel modo seguente
div ~v = 0
(1.77)
A cavallo delle superfici di separazione tra due mezzi diversi (Fig. 1.17), la
condizione di solenoidalità dà luogo alla condizione di raccordo
~v + · (~n dS ) − ~v − · (~n dS ) = 0 −→ v+n = v−n .
12
(1.78)
Il termine italiano sarebbe tubolare. Siccome tale termine non è sufficientemente gradevole,
come non lo sarebbe il termine ferramenta per designare un calcolatore, si ricorre al greco che
denomina il tubo σωλην e quindi tubolare si dice solenoidale. Incidentalmente in inglese il termine
hardware denota sia il calcolatore che il negozio di ferramenta e lı̀ la sgradevolezza non dà fastidio
a nessuno!
1.9. CAMPO VETTORIALE SOLENOIDALE
dS
n
v +
27
v
+
Figura 1.17. Condizione di raccordo a cavallo della superficie di separazione
tra due mezzi diversi.
La maggioranza degli autori definisce, come solenoidale, un campo che soddisfa la condizione puntuale (Eq. 1.77). Tale condizione presuppone che il vettore
del campo sia derivabile, quindi continuo. Orbene, quando nel campo vi sono
materiali diversi, il vettore del campo non è continuo sulle superfici di separazione tra due materiali, per tale motivo non possiamo farne la divergenza. In questo
caso consideriamo un cilindro elementare a cavallo della superficie di separazione (Fig. 1.17) ed esprimiamo il fatto che il flusso del vettore sulla superficie del
cilindro sia nullo. Consideriamo l’altezza infinitesima di ordine superiore al suo
diametro, allora il flusso di ~v sulla superficie laterale è trascurabile; questo dà
luogo alla condizione di raccordo (Eq. 1.78).
Il fatto che siamo costretti ad esprimere la solenoidalità in due modi diversi,
con la condizione puntuale (Eq. 1.77) nei punti di regolarità e con la condizione di
raccordo (Eq. 1.78) sulle superfici di separazione tra due materiali diversi, indica
che la condizione caratterizzante la solenoidalità è di tipo globale ovvero che il
flusso su ogni superficie chiusa riducibile è nullo. Per questi motivi consigliamo
di definire la solenoidalità in forma globale (Eq. 1.76).
Tubi di flusso. I campi solenoidali godono di una importante proprietà. In una
regione, in cui è definito un campo solenoidale, consideriamo una superficie S1
delimitata dalla linea chiusa L1 riducibile (Fig. 1.18): le linee del campo che passano per tale linea formano un tubo di diametro variabile. Se tagliamo tale tubo
con una seconda superficie, intercettiamo una porzione di superficie S2 delimitata
dalle linea riducibile L2 .
Dal momento che la divergenza della funzione vettoriale è nulla in ogni punto,
anche il flusso della funzione vettoriale attraverso la superficie totale del tubo
è nulla (Eq. 1.75). Inoltre il vettore è tangente alle linee del campo, quindi il
flusso uscente attraverso la superficie laterale del tubo è nullo. Ne segue che il
flusso uscente dalla superficie S1 è opposto a quello uscente dalla superficie S2 ,
ovvero il flusso entrante da una base del tubo è uguale a quello uscente dalla base
opposta. Perciò il flusso è lo stesso per ogni sezione del tubo cosı̀ formato: è
quindi spontaneo parlare di tubo di flusso.
28
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
flusso entrante
S3
S1
L1
S2
flusso uscente
L2
Figura 1.18. Tubo di flusso.
Possiamo dividere il dominio di un campo solenoidale in tubi di flusso o tubi di campo. Vale anche la relazione inversa: se un campo vettoriale è formato
da tubi di flusso, il flusso relativo ad una generica superficie chiusa riducibile è
nullo. Facendo il rapporto tra il flusso e il volume e, infine, contraendo il volume
ad un punto, otteniamo la divergenza della funzione vettoriale, che è quindi nulla. Questa proprietà permette di vedere subito che i campi vettoriali a simmetria
azimutale, descritti dalla funzione
~v = f (ρ) ~eϕ
(1.79)
essendo formati da tubi di flusso a forma di toro, danno un campo a divergenza
nulla.13
Pensiamo ad una ciambella e tagliamone una fetta. Se la ciambella rappresenta un tubo di flusso, la fetta è delimitata da una superficie chiusa riducibile formata dalle due facce e dalla superficie laterale. Contraendo la fetta ad un punto,
determiniamo la divergenza nel punto che risulta quindi nulla.
Esempio. Calcolare la divergenza dei seguenti campi vettoriali
~v (t, P) = (x − k t)~i + (zy + h y t2 ) ~j − 3zx ~k
~r
~v (P) = .
r
(1.80)
R. Usando l’espressione cartesiana otteniamo per il primo campo
div ~v =
13
∂
∂
∂
(x − k t) + (zy + h y t2 ) + (−3zx) = 1 + z + h t2 − 3x
∂x
∂y
∂z
Il versore ~eϕ è utilizzato nelle coordinate cilindriche.
(1.81)
1.10. TEOREMA DI STOKES
29
e per il secondo campo


 x ~i + y ~j + z ~k 
~r

= div  p
r
x2 + y2 + z2






 ∂ 
 ∂ 

∂ 
x
y
z
 +  p

=
 p
 +  p
∂x x2 + y2 + z2
∂y x2 + y2 + z2
∂z x2 + y2 + z2
div ~v = div
=
2(x2 + y2 + z2 )
(x2
+
y2
+
3
z2 ) 2
=
(1.82)
2
r
oppure possiamo far uso della identità (Eq. 1.96)
!
!
~r
1
1
1
1
1
2
~r = grad
div ≡ div
·~r + div ~r = − 2 r̂ ·~r + 3 =
r
r
r
r
r
r
r
(1.83)
che coincide con quella appena trovata (Eq. 1.82).
1.10
Teorema di Stokes
Abbiamo definito il rotore di un vettore partendo da considerazioni intrinseche,
ovvero non legate ad uno specifico sistema di coordinate. Esso è stato definito
facendo il limite del rapporto tra la circolazione e l’area per una generica giacitura
e, successivamente, ricercando la giacitura di massimo rapporto. Ricordiamo che
la circolazione del vettore ~v(P) lungo il bordo di una superficie S è
def
Γ[∂S] =
Z
∂S
~v · ~t dL
(1.84)
essendo ~t il versore tangente alla linea L = ∂S in un suo generico punto P ed
essendo dL la lunghezza di un elemento infinitesimo della linea L.
Vogliamo dimostrare una importante conseguenza della definizione del rotore:
il teorema di Stokes.
Teorema di Stokes. In un campo vettoriale la circolazione del vettore lungo
il bordo di una superficie è uguale al flusso del suo rotore sulla superficie.
D. Consideriamo una superficie S contenuta in una regione Ω
ove ha sede un campo vettoriale ~v(P) e approssimiamola con una superficie S0
composta di tante facectte piane sk come fle faccette di un diamante (Fig. 1.19 a).
30
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
∂S
sk
S
S
Bk
n (Bk)
b)
a)
v (Bk)
Figura 1.19. a) Decomposizione di una superficie S in tante tessere; b) generica
tessera sk e relativi vettori.
Per la proprietà additiva, la circolazione del vettore ~v(P) lungo il bordo ∂S è
uguale alla somma delle circolazioni lungo i bordi delle singole tessere sk . Questo vale qualunque sia la forma delle tessere. Essendo ak l’area della tessera sk ,
otteniamo
X
X Γ[∂sk ]
Γ[∂S] =
Γ[∂sk ] =
ak .
(1.85)
ak
k
k
Indicando con Bk il baricentro della tessera sk , con ~n(Bk ) la normale alla tessera
~
(Fig. 1.19 b) e ricordando l’equazione (Eq. ??) che dà la componente del rotore R
in una direzione, otteniamo
Γ[∂S] =
X Γ[∂sk ]
ak
k
ak ≈
X
Rn (Bk ) ak =
X
k
~ k ) · ~n(Bk ) ak
R(B
(1.86)
k
quindi riducendo le tessere e passando al limite
X
Γ[∂S] = lim
sk −→Bk
~ k ) · ~n(Bk ) ak =
R(B
ZZ
(rot ~v ) · ~n dS .
(1.87)
S
k
Ricordando l’equazione (Eq. 1.84), scriviamo la relazione
Z
ZZ
~v(P) · ~t(P) dL =
(rot ~v(B)) · ~n(B) dS
∂S
(1.88)
S
e in forma sintetica
Z
∂S
~v · ~t dL =
ZZ
(rot ~v ) · ~n dS
(1.89)
(∇×~v) · ~n dS .
(1.90)
S
oppure
Z
∂S
~v · ~t dL =
Z
S
1.10. TEOREMA DI STOKES
31
Questa relazione costituisce il teorema di Stokes. Osserviamo che, nella dimostrazione, l’orientazione della linea e della superficie è interna, ma il teorema vale
anche nel caso di orientazione esterna. Per questa ragione gli elementi spaziali L
ed S sono privi sia della barra che della tilde. Inoltre il simbolo ∂S indica il bordo
della superficie S: se questa presenta dei fori, il bordo non è formato da una sola
linea chiusa ma da più linee chiuse (Fig. 1.20).
L1
L3
L2
L3
L1
L2
L
L
Figura 1.20. Una superficie con tre fori ha quattro contorni ed è omeomorfa ad
una canottiera.
Spesso il teorema di Stokes viene scritto nella forma
I
Z
~v · ~t dL = (∇×~v ) · ~n dS .
L
(1.91)
S
Questa scrittura mette in evidenza che la linea L è chiusa, in quanto l’integrale
è attraversato da un circoletto, e sottintende che L sia il bordo di S, cosa che la
notazione ∂S mette subito in evidenza. Non mette, però, in evidenza il fatto che il
bordo possa essere formato da più linee chiuse.
Con riferimento alla (Fig. 1.20), indicata con L la linea che delimita il bordo
esterno, orientata in senso antiorario, e con L1 , L2 , L3 quelle che delimitano i fori,
orientate in senso orario, abbiamo
Z
I
I
I
I
=
+
+
+
.
(1.92)
∂S
L
L1
L2
L3
espressione che mal si accorda con la notazione del primo membro dell’(Eq. 1.91).
Campo magnetico. Consideriamo il campo magnetico attorno a un filo rettilineo percorso da corrente, la cui legge è H = i/(2πr). Già sappiamo che questo campo è irrotazionale, per cui il flusso attraverso la regione anulare è nullo
~ chiamata forza elettromotrice F, calco(Fig. 1.21). La circolazione del vettore H,
lata lungo la circonferenza esterna, orientata in senso antiorario, è pari a i, mentre
quella lungo la circonferenza interna, orientata in senso orario, è pari a −i.
32
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
~
H
i
~
H
-i
Figura 1.21. Regione anulare dotata di orientazione esterna.
Applicando l’equazione (Eq. 1.92) vediamo che la circolazione sul bordo della
corona circolare è nulla: i − i = 0. Questo coincide con quanto afferma la formula
di Stokes per la quale, essendo nullo il rotore del campo, deve essere nulla la
circolazione del vettore lungo l’intero bordo della regione anulare.
~ le linee devono essere
Nel caso del vettore intensità del campo magnetico H,
dotate di orientazione esterna. Per questo motivo possiamo scrivere la relazione
di Stokes, con maggior dettaglio delle notazioni, nella forma
Z
∂e
S
1.11
~ · ~t dL =
H
ZZ
~ · ~n dS .
(rot H)
(1.93)
e
S
Divergenza del rotore
Dato un campo vettoriale entro una regione, se calcoliamo il rotore in ogni punto
della regione otteniamo un campo vettoriale. Se di questo campo vettoriale ne
calcoliamo la divergenza, constatiamo che questa è ovunque nulla. Infatti il flusso
del vettore rotore attraverso una faccia è uguale alla circolazione del vettore lungo
il bordo della faccia. Inoltre la somma dei flussi del rotore attraverso le sei facce
del cubo è uguale alla somma delle circolazioni del vettore lungo tutti gli spigoli
del cubo. Poiché ogni spigolo del cubo è percorso due volte in senso opposto,
le circolazioni si annullano a due a due e quindi la somma delle circolazioni è
nulla. Di conseguenza il flusso del vettore rotore attraverso il bordo del cubo è
nullo ovvero il rotore è solenoidale (Fig. 1.22). Esprimiamo questa proprietà con
l’identità
div rot ~v ≡ 0
.
(1.94)
1.12. PROPRIETÀ DELLA DIVERGENZA
33
z
O
y
x
Figura 1.22. Il flusso del rotore attraverso una superficie chiusa è nullo.
1.12
Proprietà della divergenza
Indicando con λ un numero reale, con ~u e ~v due vettori, con t il tempo e con f una
funzione del posto, valgono le seguenti identità:
!
∂~u
∂
≡
∇· ~u
∂t
∂t
!
∂~u
∂
≡
div ~u
∂t
∂t
div (~u + ~v ) ≡ div ~u + div ~v
∇·(~u + ~v ) ≡ ∇· ~u + ∇·~v
div (λ~u ) ≡ λ div (~u )
∇·(λ~u ) ≡ λ ∇·(~u )
div ( f ~u ) ≡ grad f · ~u + f div ~u
∇·( f ~u ) ≡ ∇ f · ~u + f ∇· ~u
div (~u × ~v ) ≡ ~v · rot ~u − ~u ·rot ~v
∇·(~u × ~v ) ≡ ~v · ∇× ~u − ~u ·∇× ~v .
div
∇·
(1.95)
Dimostriamo la quarta identità
div ( f ~u) ≡ ∂ x ( f u x ) + ∂y ( f uy ) + ∂z ( f uz )
≡ (∂ x f ) u x + f (∂ x u x ) + (∂y f ) uy + f (∂y uy ) + (∂z f ) uz + f (∂z uz )
≡ ∂ x f ~i + ∂y f ~j + ∂z f ~k · ~u + f (∂ x u x + ∂y uy + ∂z uz )
≡ grad f · ~u + f div ~u
(1.96)
34
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
e analogamente la quinta identità
~j ~k ~i
div (~u × ~v ) ≡ div u x uy uz v x vy vz ≡ div (uy vz − uz vy ) ~i + (uz v x − u x vz ) ~j + (u x vy − uy v x ) ~k
≡ ∂ x (uy vz − uz vy ) + ∂y (uz v x − u x vz ) + ∂z (u x vy − uy v x )
≡ +(∂y uz − ∂z uy ) v x + (∂z u x − ∂ x uz ) vy + (∂ x uy − ∂y u x ) vz
+(∂z vy − ∂y vz ) u x + (∂ x vz − ∂z v x ) uy + (∂y v x − ∂ x vy ) uz
≡ ~v · rot ~u − ~u · rot ~v .
(1.97)
1.13
Complesso di de Rham
Un diagramma di Eulero –Venn consiste in una linea chiusa che contiene un insieme di punti chiamati elementi. Gli elementi possono rappresentare numeri,
oggetti, persone, insiemi di oggetti, funzioni, ecc. Lo scopo principale di questi
diagrammi è di mettere in evidenza i sottoinsiemi di un insieme dato e di rappresentare, mediante linee o frecce, le corrispondenze tra i due insiemi. Ad esempio,
considerato che i numeri reali contengono quelli razionali, i quali a loro volta
contengono i numeri interi, possiamo rappresentarli in un diagramma di Eulero –Venn (Fig. 1.23 a). Analogamente, poiché i polinomi sono particolari funzioni
analitiche, ossia funzioni che si possono sviluppare in serie di Taylor, possiamo
rappresentarli come sottoinsieme delle funzioni analitiche (Fig. 1.23 b).
numeri
reali
numeri
razionali
numeri
interi
funzioni
funzioni
analitiche
polinomi
a)
b)
Figura 1.23. Esempi di diagrammi di Eulero –Venn.
Utilizzando i diagrammi di Eulero-Venn possiamo dare una rappresentazione insiemistica dei campi scalari e vettoriali nonché delle relazioni espresse da
gradiente, rotore e divergenza. Il diagramma che ne risulta prende il nome di
complesso di de Rham (Fig. 1.24).
1.13. COMPLESSO DI DE RHAM
35
generici
uniformi
primo livello:
campi scalari
gradiente
generici
irrotazionali
secondo livello:
campi vettoriali
conservativi:
ammettono
potenziale scalare
rotore
generici
solenoidali
terzo livello:
campi pseudo-vettoriali
ammettono
potenziale vettore
divergenza
generici
quarto livello:
campi pseudo-scalari
Figura 1.24. Il complesso di de Rham.
Consideriamo quattro cerchi disposti su quattro livelli con i centri su uno stesso asse verticale: questi sono rappresentati in assonometria mediante ellissi. Contiamo i livelli partendo dall’alto. Il cerchio del primo livello racchiude i possibili
campi scalari; quello del secondo livello racchiude i possibili campi vettoriali;
quello del terzo livello racchiude i possibili campi vettoriali i cui vettori sono di
36
CAPITOLO 1. FLUSSO: DIVERGENZA
tipo assiale, detti campi pseudo-vettoriali. Infine il cerchio del livello più basso racchiude campi scalari il cui vettore è assiale: questi sono chiamati campi
pseudo-scalari. Esempi di campi pseudo-vettoriali sono il campo magnetico de~ e H;
~ il campo delle velocità angolari descritto dal vettore
scritti dai vettori assiali B
~ ; il vettore vorticità w
~ . Esempi di campi scalari assiali sono:
velocità angolare ω
il potenziale scalare magnetico φm , la funzione di Airy χ della meccanica delle
lastre; la funzione di corrente ψ nel moto piano di un fluido. 14
Primo livello. Si passa da un campo scalare ϕ = f (P) ad un campo vettoriale
~u(P) eseguendo il gradiente: ~u = grad f .
Un sottoinsieme dei campi scalari è quello formato dai campi scalari uniformi:
questi campi hanno gradiente nullo. Disegnamo un cono rovesciato che ha come
base il cerchio dei campi uniformi e il vertice nel centro del cerchio del secondo
livello. Tale centro rappresenta il campo vettoriale nullo. Un secondo cono rovesciato, di uguale apertura del primo, ha come base l’insieme di tutti i campi scalari
e il vertice nell’elemento nullo del terzo livello. L’intersezione di questo secondo cono con il piano del secondo livello individua il cerchio dei campi vettoriali
conservativi, ovvero di quelli che ammettono potenziale.
Secondo livello. Si passa da un campo vettoriale ~u ad un campo pseudo-vettoriale
~v eseguendo il rotore: ~v = rot ~u. Se si valuta il rotore di una campo conservativo si
ottiene rot (grad f ) ≡ 0. Questa identità è rappresentata dal fatto che il vertice del
cono proveniente dal primo livello va a finire nel campo pseudo-vettoriale nullo
del terzo livello.
Il cerchio del secondo livello contiene i campi vettoriali generici. Il cono
rovesciato che ha tale cerchio come base ha il vertice nel campo pseudo-scalare
nullo del quarto livello. Un sottoinsieme è costituito dai campi irrotazionali: il
cono rovesciato che ha questo cerchio come base ha il vertice nel campo pseudovettoriale nullo del terzo livello. Un sottoinsieme dei campi irrotazionali è quello
dei campi conservativi, ottenuti eseguendo il gradiente dei campi scalari del primo
livello. Per essi la funzione scalare del primo livello è il potenziale del campo
conservativo.
Il diagramma mette bene in evidenza che non tutti i campi vettoriali sono
conservativi: il non ammettere potenziale scalare può capitare solo quando i campi
vettoriali sono definiti in una regione molteplicemente connessa rispetto alle linee.
14
L’argomento non verrà trattato in questo libro, ma il lettore può consultare il libro di Klein [?]
e le tavole inserite nel sito http://discretephysics.dica.units.it
1.13. COMPLESSO DI DE RHAM
37
Terzo livello. Si passa da un campo pseudo-vettoriale ~v ad un campo pseudoscalare ψ facendo la divergenza: ψ = div ~v. Un sottoinsieme dei campi pseudovettoriali è costituito da campi solenoidali, ovvero quelli la cui divergenza è nulla:
∇·~v = 0. Un sottoinsieme dei campi solenoidali è formato da quei campi pseudovettoriali che ammettono un potenziale vettore: ~v = ∇×~u. Per questi campi non è
stato introdotto un nome specifico, contrariamente a quello che avviene per i campi conservativi. Per questi campi il vettore ~u prende il nome di potenziale vettore.
~ = 0 comporta l’introduzione del
Ad esempio nel magnetismo la condizione ∇· B
~
~ = ∇× A.
~
potenziale vettore magnetico A in modo tale che B
Il diagramma mette bene in evidenza che non tutti i campi pseudo-vettoriali
ammettono potenziale vettore: il non ammettere potenziale vettore può capitare
solo quando i campi pseudo-vettoriali sono definiti in una regione molteplicemente connessa rispetto alle superfici.
I campi pseudo-vettoriali generati facendo il rotore di un campo vettoriale del
secondo livello hanno divergenza nulla: ∇· (∇× ~u ) ≡ 0. Anche questa proprietà
è rappresentata dal fatto che il cono rovesciato che ha come base il cerchio dei
campi vettoriali (secondo livello) e come vertice il campo pseudo-scalare nullo
del quarto livello.
Quarto livello. Nel cerchio del quarto livello rappresentiamo di nuovo i campi
scalari. La divergenza di un campo vettoriale del terzo livello dà luogo a un campo
scalare. In particolare quelli la cui divergenza è nulla sono i campi vettoriali
solenoidali.