Scarica PDF - La natura delle cose

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Note di Laboratorio
Guido Pegna
Dipartimento
di Fisica, Università
di Cagliari
L’anello saltatore e nuove storie
(Pervenuto il 20.4.2012, approvato il 18.1.2013)
ABSTRACT
The Thomson ring experiment is revisited obtaining higher and higher jumps. The ring’s inductance and
the phase lag between the primary magnetic flux and the current are determined using a new procedure. New configurations that produce an electromagnetic cannon that fires aluminium disks are presented. The structured iron filing patterns in the coil of the cannon indicate a self-organization typical of
dissipative systems.
1. Introduzione
Il creatore di questo esperimento è Elihu Thomson, (1853-1937) inventore,
sperimentatore e fondatore della Thomson-Huston Electric Company; esso è noto
infatti anche come l’esperimento dell’anello di Thomson. Fu eseguito per la prima volta nel 1887 ad un congresso dell’American Institute of Electrical Engineers, e da allora è divenuto uno degli esperimenti più eseguiti quando nelle conferenze e nelle dimostrazioni si deve far vedere un fenomeno di induzione
elettromagnetica. Una di queste fu eseguita da Lord Rayleigh nel 1891 a Londra
ad una riunione della Royal Institution in occasione di una lezione tenuta nel centenario della nascita di Michael Faraday. Infatti l’esperimento dell’anello saltatore, il Jumping Ring, come è universalmente noto, è un concentrato di quei fenomeni elettromagnetici di cui Faraday fu lo scopritore: dalle leggi dell’induzione
alle proprietà magnetiche dei materiali alle forze fra conduttori percorsi da corrente ecc.
Il montaggio è il seguente. All’interno di una bobina di notevole numero di
spire affinché possa essere alimentata direttamente dalla tensione di rete è posto
un lungo nucleo di ferro dolce che sporge dalla parte superiore. Un anello di rame
o di alluminio è infilato nel nucleo e appoggiato sulla bobina. Quando si inserisce l’alimentazione, l’anello salta ad una certa altezza. Se si trattiene l’anello per
impedirgli di schizzare via, esso si pone in equilibrio ad una certa altezza lungo il
nucleo, levitando. L’esperimento dell’anello saltatore, pur così semplice, è all’origine di una sterminata letteratura [1-11] per il fatto che si presta anche a moltissimi altri esperimenti. Come vedremo, la sua spiegazione è di gran lunga più intrigante di quanto appaia a prima vista.
2. La spiegazione
ingenua
Questa spiegazione è ricorrente, fra le tante per esempio in [9]. La corrente alternata che percorre la bobina genera una magnetizzazione variabile del nucleo.
Questa induce nell’anello una corrente di corto circuito che è assai elevata. Essa
genera a sua volta un campo magnetico che per la legge di Lenz si oppone al campo del nucleo. Di conseguenza l’anello si allontana dalla bobina. Il fatto che la
corrente nell’anello è intensa può essere constatato immediatamente: se si impedisce all’anello di allontanarsi dalla sua posizione iniziale, si constata che esso si
riscalda notevolmente.
È questa la spiegazione corretta? La corrente indotta nell’anello è proporzionale alla f.e.m. indotta in esso dalla variazione del flusso magnetico: e = –dΦ/dt,
e quindi è sfasata di 90° rispetto alla corrente primaria, essendo il flusso direttamente proporzionale alla corrente primaria. Queste due correnti, la primaria P e
la secondaria S sono riportate in figura 1. La forza che si esercita fra due conduttori percorsi da corrente è proporzionale al prodotto delle due intensità di corrente, ma come si vede nella figura, ad ogni quarto di periodo esse cambiano direzione reciproca: negli intervalli indicati con C esse sono concordi, e quindi si
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Figura 1. P: corrente primaria; S: corrente secondaria. D: correnti discordi; C: correnti concordi.
eserciterà fra di esse una forza di attrazione, mentre negli intervalli D esse sono
discordi, e la forza sarà di repulsione.
In termini analitici: sia ip = I sin ωt la corrente primaria e ϕv = Φv sin ωt la componente verticale del flusso che essa genera, con ω = 2π · 50 rad/s la frequenza angolare. La f.e.m. indotta nell’anello è, per la legge di Faraday e = –Φv ω cos ωt, e di
conseguenza la corrente circolante nell’anello sarà
Φ
ia = − v cos ω t
(1)
R
dove R è la resistenza di un singolo giro dell’anello. Le forze che si esercitano fra
due correnti sono proporzionali al loro prodotto:
⎞
⎛ Φω
(2)
F ' = K ( I sin ω t ) ⎜ − v cos ω t ⎟
⎠
⎝ R
che con semplice trasformazione e conglobando tutte le costanti nella costante
H diventa:
F’ = H sin 2ωt.
La media nel tempo del prodotto di due funzioni sinusoidali in quadratura è
nulla. In definitiva l’anello vibrerà ad una frequenza doppia della frequenza di
rete, ma non si muoverà. La spiegazione ingenua non spiega il fenomeno.
3. L’esperimento
classico e
tentativo di
spiegazione
Nella figura 2 è riportato indicativamente l’andamento delle linee di flusso del
campo magnetico generato dalla corrente nella bobina primaria e nel nucleo che
attraversano l’anello. Come si vede, il campo magnetico ha componenti sia verticale che orizzontale. La componente verticale è la responsabile della corrente di
corto circuito che circola nell’anello che, come visto sopra, non ha effetto meccanico. È la componente orizzontale la responsabile dell’effetto?
Nella figura 3 è rappresentata la situazione. Secondo la regola della mano sinistra: forza-campo-corrente corrispondenti rispettivamente a pollice indice e
medio, se il campo è orizzontale e radiale, essendo la corrente tangenziale la forza è verticale e diretta verso l’alto per la legge di Lenz. Quando il campo, che è alternato, cambia verso, anche la corrente cambia verso, e la forza mantiene la stessa direzione verso l’alto.
Anche ora la trattazione analitica può rivelare ciò che succede. La componente orizzontale del campo può essere espressa come Bh sinωt, in fase con la corrente primaria. La forza verticale che agisce sull’anello con la corrente data in (1), è
in modulo:
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Figura 3. Forza, campo e corrente nell’anello.
Figura 2. Le linee di flusso devono
essere immaginate distribuite uniformemente per rotazione intorno
all’asse verticale della figura.
⎛ Φω
⎞
(3)
F " = ( Bh sin ω t ) ⎜ − v cos ω t ⎟ L
⎝ R
⎠
dove L è la circonferenza media dell’anello. Questa, come visto prima, diventa di
nuovo della forma:
F” = M sin 2ωt
avendo ancora conglobato tutte le costanti in M. La situazione è in realtà ancora
quella del paragrafo 2, l’anello non si muove. Quindi questa spiegazione è ancora insufficiente. Quella vera è ancora più sottile, suggestiva e quantitativamente
sorprendente.
4. La spiegazione
corretta
Essa richiede il ricorso ad un elemento inaspettato: l’induttanza dell’anello,
come introdotto, fra le altre, per esempio in [10], anche se la spiegazione del fenomeno ivi riportata appare secondo noi incompleta. La corrente indotta che
percorre l’anello, a causa del suo coefficiente di autoinduzione, ritarda rispetto al
campo inducente. Introducendo il ritardo di fase δ nella espressione della corrente nell’anello data dalla (1), la forza sarà la risultante delle due componenti (2) e
(3) calcolate precedentemente nelle quali si deve introdurre il ritardo di fase. Poiché sono formalmente identiche, consideriamo la prima delle due:
⎡ Φω
⎤
F ' = ( I sin ω t ) ⎢− v cos (ω t + δ )⎥ L
⎣ R
⎦
che dopo semplice trasformazione avendo ancora conglobato tutte le costanti in
N diventa:
F ' = N ⎡⎣ (sin 2ω t ) cos δ + cos 2 ω t sin δ ⎤⎦ .
(
)
Il primo termine dentro la parentesi quadra ha media nulla mentre il secondo è sempre positivo. Anche la seconda componente F” ha la stessa forma, e anche per essa il termine utile sarà il secondo. La risultante di queste due componenti sarà alla fine comunque proporzionale a sin δ.
In realtà l’induttanza dell’anello, che è una sola spira, è piccolissima, ma anche la sua resistenza ohmica, essendo piccolissima, potrebbe essere confrontabiNOTE DI LABORATORIO
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le con la sua reattanza induttiva. Infatti essendo tg δ = XL /R, δ potrebbe non essere piccolo come a prima vista si potrebbe pensare.
La valutazione precisa del ritardo è quindi
essenziale, e questo è ciò che ci proponiamo
di fare.
Ci riferiamo ad un caso concreto per il
fatto che le misure effettuate hanno rivelato
un aspetto interessante del fenomeno. L’apparecchio è fotografato in figura 4, ed è quello classico. Quando si chiude l’interruttore
l’anello di alluminio fa un salto di circa quaranta centimetri.
La resistenza dell’anello può essere calcolata con precisione, essendo nota la resistività dell’alluminio: ρ = 2,82 10–8 Ω m e le sue
dimensioni. Con l’anello usato [13], si ha:
R = 1,06 ·10–4 Ω.
Un possibile modo per determinare l’angolo δ richiede di conoscere l’induttanza dell’anello, ma l’espressione da usare per il calcolo dell’induttanza non è univoca. Per
esempio, con la formula data in [6] e in assenza del nucleo di ferro:
Figura 4. L’apparecchio dell’anello saltatore.
L = ½ m0D [ln (8D/d) –7/4]
dove D è il diametro esterno, d la larghezza e
m0 = 4π·10–7 H/m è la permeabilità magnetica del vuoto, si ottiene L = 1,30 mH, e
quindi δ = 75°.
Con la formula fornita in [11], apparentemente altrettanto affidabile, e ancora senza il ferro:
L = 0,01257a [2,303 log10 (16a/d – 2)],
dove a è il raggio di un anello di filo uguale al raggio medio dell’anello e d è il diametro del filo, posto in questo caso uguale allo spessore dell’anello, ambedue
espressi in centimetri, si ottiene L = 0,158 mH, da cui δ = 25°, un valore molto differente dal precedente. La presenza del ferro, di cui non è nota la permeabilità
magnetica, e l’ulteriore complicazione del fattore di riempimento che andrebbe
tenuto in conto, rendono ancora più incerta la valutazione dell’induttanza dell’anello e quindi del ritardo.
Riportiamo qui di seguito una procedura a nostra conoscenza nuova che conduce ad una valutazione assai precisa dell’induttanza dell’anello e del ritardo δ. I
dati di partenza sono i seguenti: la bobina [13] ha 1200 spire e una resistenza di
12 Ω. Si sono effettuate misure dell’induttanza della bobina con i nuclei di ferro
visibili nella fotografia di figura 4 inseriti, la prima senza l’anello in posizione e
la seconda con l’anello posto in posizione di partenza. I risultati sono i seguenti:
Induttanza primaria senza l’anello Ls = 0,331 H
Induttanza primaria con l’anello La = 0,133 H
Con questi soli dati (v. Appendice), è possibile dedurre con precisione tutti i
parametri di rilievo dell’esperimento con considerazioni puramente energetiche.
I risultati sono riassunti nella tabella I.
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Si può inoltre notare come con la tecnica indicata sia possibile determinare il
profilo delle potenze trasmesse all’anello in funzione della sua altezza lungo il nucleo della bobina primaria. I risultati sono riportati nel grafico della figura 5.
5. Prima
variante: come
far fare all’anello
salti più alti in
modo semplice e
lineare
Come abbiamo visto (v. Appendice), la corrente richiesta dalla bobina primaria con l’anello in posizione di partenza è di 5,06 A ma è sfasata in ritardo di 74°
rispetto alla tensione. Il modo più ovvio per avere salti più alti è di aumentare
f.e.m. che agisce nell’anello: e = 0,183 V
Resistenza dell’anello: R = 1,06·10–4 Ω
Intensità della corrente, sfasata di δ rispetto alla f.e.m.: I = 1400 A
Induttanza dell’anello: L = 0,245 μH
Reattanza induttiva dell’anello: XL = 0,77·10–4 Ω
Impedenza dell’anello: Z = 1,31·10–4 Ω
Angolo di sfasamento fra tensione e corrente nell’anello: δ = 36°
Angolo di sfasamento fra flusso primario e corrente nell’anello: 126°
Potenza attiva trasferita all’anello nella sua posizione iniziale: Ptr = 207,2 W
Tabella 1. Dati rilevanti relativi all’apparecchio dell’anello saltatore
l’intensità della corrente primaria. Ciò
può essere ottenuto nel modo più semplice collegando in serie alla bobina un
condensatore di capacità tale che il circuito LC in serie così ottenuto sia risonante alla frequenza di rete (50 Hz in
Europa). Il valore della capacità deve essere tale che la sua reattanza capacitiva
Xc sia uguale alla reattanza induttiva
della bobina. Si trova C = 76 μF. In questo modo il circuito offre alla corrente
alternata solamente la sua resistenza
ohmica, e la corrente sarà: I = 220V/12Ω
= 22 A, e per di più con il grande vantaggio che ora la corrente è in fase con la
tensione.
Lo schema dell’apparecchio è riportato nella figura 6. Poiché la corrente è
ora molto maggiore, per la chiusura del
circuito è necessario un teleruttore. Esso
viene azionato con il pulsante indicato
Figura 5. La dipendenza della potenza primaria in funzione dall’al“FIRE!” nello schema. Un interruttore
tezza dell’anello lungo il nucleo.
permette di escludere o di collegare in
serie alla bobina un condensatore di 40
μF per effettuare i confronti fra le due configurazioni. Con il condensatore inserito l’anello sbatte nel soffitto a circa quattro metri di altezza! Naturalmente la
corrente va inserita per pochi istanti per evitare il surriscaldamento dell’avvolgimento, e occorrerà impiegare molta cautela per ciò che succede.
In realtà la situazione è leggermente più complicata. Quando sotto l’azione
delle forze elettrodinamiche l’anello comincia a sollevarsi, come abbiamo visto
l’induttanza della bobina aumenta fino a raggiungere il valore L = 0,331 H quanNOTE DI LABORATORIO
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Figura 6. Schema dell’apparecchio dell’anello saltatore di figura 4.
do l’anello non c’è più. Questo porterebbe il circuito LC alla risonanza a 50 Hz
con un condensatore in serie di capacità molto minore: C = 30 μF. Per tentativi
ed errori si è trovato che l’altezza massima a cui salta l’anello si ha con una capacità di 40 μF. La dinamica del lancio con il circuito ottimizzato di figura 6 è presumibilmente la seguente: inizialmente il circuito è un po’ fuori risonanza;
l’anello comincia a sollevarsi. Man mano che l’anello si solleva l’induttanza aumenta, il circuito raggiunge la risonanza e la forza quindi aumenta, accompagnando con gradualità il moto dell’anello. In altre parole, sembra più efficace
una forza che aumenta gradualmente rispetto ad un forte impulso iniziale di minore durata.
6. Salti ancora
più alti: forza
bruta ma
spiegazione
esatta ancora
più complicata
Nell’apparecchio della figura 4, si può attuare un’altra strategia, più violenta. In serie alla bobina, che è la stessa del paragrafo precedente, viene inserito
un condensatore di capacità molto maggiore: C = 200 μF. Con il condensatore
inserito il salto può dipendere dall’istante in cui si aziona il comando “FIRE!”.
In alcuni casi si ottengono salti di violenza maggiore di quelli del paragrafo precedente.
Questo esperimento fu creato dall’autore per mostrare almeno qualitativamente un fenomeno poco noto che accade in forte dipendenza dalle condizioni
iniziali e che può evolvere in modo caotico (caos deterministico). Il fenomeno è
conosciuto come “ferrorisonanza” [15].
Una descrizione qualitativa è la seguente. Quando a causa di picchi di corrente il flusso diviene così intenso che il nucleo ferromagnetico raggiunge la magnetizzazione di saturazione, l’induttanza della bobina crolla a valori bassissimi [16],
essendo proporzionale alla permeabilità magnetica relativa del nucleo. Quando
ciò accade, il circuito LC in serie può divenire risonante alla frequenza di rete con
valori della capacità molto maggiori di quelli calcolati nel paragrafo 5. L’energia
scambiata durante il moto di allontanamento dell’anello può essere maggiore
poiché l’induttanza primaria varia molto meno e la condizione di risonanza si
mantiene più a lungo durante il moto di allontanamento dell’anello. Essendo
caotico, il fenomeno si innesca raramente e in condizioni critiche.
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7. Il cannone
elettromagnetico:
salti insuperabili
Si possono ottenere salti molto più violenti da un anello di alluminio con
l’uso di un campo impulsato unidirezionale. L’impulso di campo magnetico indurrà un impulso di corrente nell’anello che a sua volta genererà un impulso di
campo magnetico opposto unidirezionale. Questo impulso è attivo nel far saltare l’anello. Il fenomeno è ora provocato proprio dalla legge di Lenz. L’apparecchio, battezzato dall’autore cannone elettromagnetico per la violenza dei suoi spari,
è fotografato in figura 7 e lo schema è riportato in figura 8. In esso un condensatore di elevata capacità, 2200 μF [17] caricato a circa 320 V, energia immagazzinata circa 100 J, viene scaricato di colpo su una bobina di piccola resistenza e di
piccola induttanza. La corrente ha valori di picco di migliaia di ampere. L’impulso di campo magnetico ha la durata di decine di microsecondi, quindi con un valore enorme di dΦ/dt. La bobina non ha un nucleo di ferro dolce, quindi il picco del campo magnetico non è limitato dal valore del campo di saturazione del
nucleo.
A seguito di un intenso programma di
sviluppo si è constatato che la forma migliore per la bobina è quella di una ciambella piatta, la più simile possibile a quella
del disco di alluminio che deve essere lanciato. La bobina ha un diametro esterno di
90 mm e interno di 55 mm con uno spessore di 3 mm. Essa ha 20 spire di filo di
rame smaltato da 1,24 mm di diametro.
La bobina è completamente impregnata di resina epossidica per evitare i danni
dovuti alle intense forze elettrodinamiche
di compressione e per offrire una base non
cedevole al disco che è appoggiato direttamente su di essa. L’induttanza della bobina è di 11 μH quando l’anello di alluminio
è in posizione su di essa e di 55 μH senza il
Figura 7. Il cannone elettromagnetico. Il disco è fotografato spostadisco. La frequenza di risonanza con la cato per mettere in evidenza la bobina. Il condensatore è il grosso cipacità di 2200 μF è di circa 1 kHz con dilindro nero sulla destra, mentre il teleruttore è in primo piano.
sco appoggiato e di 450 Hz senza disco.
Questo lascia presumere che il fenomeno della scarica del condensatore si esaurisca in tempi dell’ordine del millisecondo.
La figura 9 mostra la forma d’onda della tensione indotta da uno sparo in una
singola spira schermata appoggiata sulla bobina del cannone. Questa sonda dell’impulso di campo magnetico è schematizzata in figura 10 e riportata in fotografia in figura 11. Come si vede la corrente sale in tempi di decine di nanosecondi,
generando quindi rilevanti correnti indotte nell’anello proiettile. Il fenomeno
evolve poi con una oscillazione fortemente smorzata. Gli spari sono rumorosi e
impressionanti. Il disco di alluminio sbatte violentemente contro un soffitto a 4
m di altezza. Il cannone elettromagnetico può sparare altri oggetti, come i dischi
di alluminio ricavati dallo smontaggio di un hard disk, anelli di rame, bobine di
tre o quattro spire di grosso filo di rame in corto circuito.
La classica limatura di ferro è stata utilizzata per visualizzare l’andamento delle linee di flusso al di sopra della bobina. Questa è stata inizialmente distribuita
in modo uniforme sopra la bobina del cannone. Dopo lo sparo la limatura si concentra in corrispondenza delle spire della bobina come mostrato nella fotografia
della figura 12. La bobina si comporta come un magnete ad anello con i poli sulle superfici piane. Il flusso del campo magnetico attraversa tutta e solo la massa
metallica del disco proiettile.
NOTE DI LABORATORIO
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Figura 8. Schema del cannone elettromagnetico. T è un teleruttore con i quattro contatti t1-t4 in parallelo. C.I. è un diodo LED che indica il livello di carica del condensatore. REMOTE CONTROL è il
telecomando, opportuno per motivi di sicurezza.
Figura 9. Oscillogramma della tensione indotta nella sonda dalla variazione di flusso. Scala verticale: 2 V/div; asse dei tempi: 1 ms/div.
NOTE DI LABORATORIO
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Figura 10. La sonda delle variazioni di flusso.
La spira deve essere schermata per evitare
tensioni indotte per accoppiamento capacitivo con le spire della bobina del cannone.
Figura 11. La bobina del cannone elettromagnetico e la spira schermata appoggiata su di essa.
Infine una osservazione accessoria che a nostra conoscenza non è mai stata riportata. In figura 12 si vede come in corrispondenza del centro della bobina, la
limatura di ferro assume a volte disposizioni geometriche regolari che ricordano
le celle di Bénard, un fenomeno di auto-organizzazione spontanea. Appare una
disposizione esagonale. Questo lascia pensare che in quelle condizioni di intensissimo flusso magnetico la limatura sia da considerare come un sistema dissipativo, cioè un sistema termodinamicamente aperto che quando è attraversato da
flussi crescenti di energia evolve verso la formazione spontanea di anisotropia,
cioè di strutture nelle quali l’ordine aumenta e l’entropia diminuisce (neghentropia).
Conclusioni
Scopo del seguente lavoro è stata
l’analisi approfondita dei meccanismi di
funzionamento dell’esperimento dell’anello saltatore di Thomson, per ricavare nuove idee e suggerimenti su strutture
elettromagnetiche adatte ad ottenere salti
sempre più spettacolari.
Nell’esperimento dell’anello saltatore
classico, la spiegazione del fenomeno non
è quella della semplice repulsione secondo la legge di Lenz, ma è molto più sottile e quantitativamente sorprendente. Abbiamo indagato alcune nuove possibilità,
che vanno dall’uso della risonanza alla
frequenza di rete, alla esplorazione delle
possibilità offerte dal poco noto fenomeno della ferrorisonanza per finire con la
NOTE DI LABORATORIO
Figura 12. Distribuzione della limatura di
ferro sulla bobina del cannone elettromagnetico a seguito di uno sparo. Il piccolo
anello sulla sinistra a ore 8 corrisponde ad
uno dei fili della bobina che in quel punto è
verticale.
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realizzazione di un vero e proprio sistema di sparo, che abbiamo chiamato cannone elettromagnetico, basato sulla violenta e rapidissima scarica di un condensatore di alta capacità su una bobina di piccolissima resistenza e induttanza.
Infine con gli enormi flussi impulsivi che si realizzano nel cannone elettromagnetico si è osservata l’apparizione di un fenomeno inaspettato: l’auto-organizzazione spontanea della limatura di ferro, usata per visualizzare la distribuzione
del flusso, in strutture ordinate simili alle celle di Bénard, indice dell’apparizione
di un sistema dissipativo nel senso introdotto da Ilya Prigogine.
Appendice
I dati di partenza, come abbiamo visto, sono i seguenti. Bobina primaria di
1200 spire. Resistenza primaria 12 Ω. Resistenza dell’anello [13] R = 1,06·10–4 Ω.
Induttanza primaria senza anello Ls = 0,331 H; induttanza primaria con anello
La = 0,133 H.
Le reattanze induttive della bobina alla frequenza di 50 Hz senza e con anello sono rispettivamente:
XLs = 2πf
Ls = 104 Ω,
XLa = 2πf
La = 41,7 Ω.
Le impedenze senza e con anello sono rispettivamente:
Zs = (R2 + XLs2)1/2 = 104,6 Ω
Za = (R2 + XLa2)1/2 = 43,4 Ω.
Le rispettive correnti primarie:
Is = V/Zs = (220 V)/(104,6 Ω) = 2,10 A
Ia = V/Za = (220 V)/(43,4 Ω) = 5,06 A.
I fattori di potenza nei due casi:
cos δs = R/Zs = (12 Ω)/(104,6 Ω) = 0,115
cos δa = R/Za = (12 Ω)/(41,7 Ω) = 0,277.
Le potenze attive:
Ps = VIs cos δs = (220 V) (2,10 A) 0,115 = 53,1 W
Pa = VIa cos δa = (220 V) (5,06 A) 0,277 = 308,3 W.
Di conseguenza, se si impedisce all’anello di spostarsi dalla posizione di partenza, la potenza trasferita è Pa’ = Pa – Ps = (308,3 W – 53,1 W) = 255,2 W, ed infatti si constata che esso si scalda molto.
Possiamo calcolare la f.e.m. che agisce nel circuito dell’anello, essendo questo
il secondario di una sola spira di un trasformatore che ha la bobina di 1200 spire
come primario:
fem = 220V/1200 Sp = 0,183V.
Essendo in generale P = V 2/Z, è possibile calcolare l’impedenza:
Z = (fem)2/Pa’ = (0,183 V)2/(255,2 W) = 1,31·10–4 Ω.
Si può ora calcolare l’angolo di sfasamento:
cos δ = R/Z = (1,06·10–4 Ω )/(1,31·10–4 Ω)= 0,809
da cui:
δ = 36°.
NOTE DI LABORATORIO
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E inoltre la reattanza induttiva dell’anello:
XL = Z sin δ = (131·10–6 Ω) · 0,5877 = 0,77·10–4 Ω,
l’induttanza dell’anello:
L = XL /2πf = (0,77·10–4 Ω )/314 = 0,245 μH,
la corrente circolante nell’anello, sfasata rispetto alla f.e.m.:
I = V/Z = (0,183 V)/(1,31·10–4 Ω) = 1400 A
ed infine la potenza attiva trasferita all’anello nella sua posizione iniziale:
Ptr = fem I cos δ = (0,183 V) (1400 A) 0,809 = 207,2 W.
L’angolo di sfasamento trovato è lo sfasamento fra tensione e corrente nell’anello. Poiché la tensione nell’anello, –dφ/dt, è sfasata di 90° rispetto alla corrente primaria e quindi al flusso primario, il ritardo della corrente nell’anello rispetto alla corrente e al flusso primari è:
Ritardo: δ + π/4 = 126°.
Il risultato ottenuto non varia molto per anelli di dimensioni leggermente differenti. Nella trattazione non si è tenuto conto del fenomeno noto come “effetto pelle”, che tende ad aumentare la resistenza apparente dei conduttori in cui
circolano correnti alternate. Essendo esso dipendente dalla radice quadrata della
frequenza, diventa sensibile a frequenze dell’ordine dei megahertz.
Riferimenti
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[13] La bobina è il mod. Phywe cat. n. 06515-01. Il nucleo dell’apparecchio di figura 4 è ottenuto
sovrapponendo due elementi della stessa ditta, cat. n. 06500.00, parti del trasformatore componibile, sezione 29 x 30 mm2 per 101 mm di lunghezza. L’anello di alluminio ha diametri interno di 42,5 mm, esterno di 65 mm e uno spessore di 4 mm.
[14] Le misure di induttanza vengono effettuate creando un circuito risonante LC in parallelo con
un capacitore di capacità nota con precisione, e misurandone la frequenza di risonanza. Il circuito è collegato ad un generatore sinusoidale di frequenza variabile attraverso una resistenza
in serie di 10 kΩ. Si varia la frequenza fino a trovare il valore per il quale l’ampiezza del segnale ai capi del circuito, visualizzata con l’oscilloscopio, è massima.
[15] Una buona trattazione del fenomeno si trova, fra le tante, in: P. FERRACCI, “Ferroresonance”, Cahier Technique N. 190, Group Schneider.
NOTE DI LABORATORIO
La Fisica nella Scuola, XLVI, 1, 2013
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[16] L’andamento di B(H) è quello noto come “curva di isteresi” di un materiale ferromagnetico. Poiché B = μH, quando per alti valori di H si raggiunge la saturazione magnetica del materiale, l’andamento della curva di isteresi è quasi orizzontale e quindi la permeabilità magnetica μ diventa prossima a zero.
[17] Il condensatore da 2200 μF, 385 Vl adatto per scariche rapide (flash) può essere acquistato nel
negozio Original Surplus di Roma ad un prezzo di pochi euro.
Nel 1958 la teoria di Fermi per il decadimento beta era ormai stabilita su basi solide... fino a un certo punto. Il neutrino era
stato scoperto, e il tasso a cui Cowan e Reines rilevavano neutrini negli esperimenti era in ottimo accordo con quello atteso da Fermi. Il fenomeno della violazione della parità richiedeva che alcuni dettagli matematici venissero rivisti, ma le idee
di fondo rimanevano invariate. La teoria di Fermi implicava che la probabilità che i neutrini reagissero crescesse con l’energia. Buone notizie per gli esperimenti con i nuovi acceleratori, ma non mancavano conseguenze assurde. Immaginiamo di
fare esperimenti a energie estremamente elevate, al di là delle capacità tecnologiche del 1958, ma al giorno d’oggi possibili in linea di principio: secondo la teoria, gli eventi potrebbero aver luogo con una probabilità superiore al 100 per cento!
Era illogico. La soluzione era rinunciare all’intuizione di Fermi che le particelle coinvolte si incontrassero tutte in un punto.
La forza elettromagnetica veniva trasmessa da un agente, il fotone; sicché l’idea che, probabilmente, anche la forza debole avesse un agente – un bosone W (come weak, che in inglese significa appunto debole) cominciò a farsi strada. E se ciò
avrebbe evitato assurdità, Gerald Feinberg mise in luce una conseguenza a proposito del decadimento muonico. Il muone
decade in un elettrone e due neutrini con la “mediazione” del bosone W; le leggi della meccanica quantistica implicano che
ci si possa sbarazzare dei neutrini e, pressappoco una volta su diecimila, avere un processo di decadimento del muone in
un elettrone e in un fotone. Tuttavia a quell’epoca erano registrati più di 100 milioni di casi di decadimento del muone e
nemmeno uno riguardava la modalità elettrone-fotone. Feinberg chiarì come in tale argomentazione sia implicito che il neutrino associato al muone e quello che accompagna l’elettrone fossero uguali. Fu questa la prima intuizione che i due neutrini potessero in realtà essere diversi. Toccò a Pontecorvo esprimere tale concetto nella maniera più sofisticata, soppesando ciascuna evidenza, suggerendo controlli sperimentali e mostrando come al crescere delle energie, negli anni a venire si
sarebbero potuti realizzare tali esperimenti, che utilizzano fasci di neutrini. Come è stato notato sopra, Pontecorvo risiedeva a Mosca e scrisse l’articolo in russo, pubblicandolo nel 1959 sul Soviet Journal of Physics; il suo lavoro rimase sconosciuto
in Occidente finché ne apparve la traduzione inglese nel 1960.
Il fatto che il muone non decadesse in un elettrone e un fotone lo affascinava. Dimentichiamo per un istante la questione
se ciò accada una volta su diecimila; il paradosso, per lui, era assai più profondo: perché non succede nella quasi totalità dei
casi? Emettere un fotone deve essere assai più semplice che essere distrutto dalla forza debole! Se non succede – pensò –
deve esserci qualcosa che lo impedisce. Era stato il primo a far vedere che il muone era parente dell’elettrone; ora Pontecorvo era anche il primo a suggerire che il muone fosse più di un semplice “elettrone pesante”: esso possedeva una particolare “muonità”. Oggi la chiamiamo sapore (anche se la sua peculiarità rimane enigmatica).
Pontecorvo prese sul serio questa idea e ne esplorò le più recondite implicazioni: se muoni e elettroni hanno sapori diversi,
perché non dovrebbe essere così anche per i neutrini? Vi sarebbe un’elegante simmetria fra le particelle: un elettrone e un
neutrino “fratello” formano una coppia, mentre il muone e il suo neutrino “fratello” ne formano un’altra. Tali costituenti
hanno poi assunto il nome di “neutrino elettronico” e “neutrino muonico” rispettivamente: nella notazione abbreviata dei
fisici delle particelle, si scrivono ve e vμ (ove v è la lettera greca “nu”). Pontecorvo mostrava anzitutto che se la “elettronità”
e la “muonità” si conservassero in natura, ciò impedirebbe il decadimento del muone in un elettrone e fotone; passava quindi in rassegna alcune opzioni per il controllo sperimentale di tale congettura. Quella più clamorosa partiva della considerazione che il neutrino, oltre a trasportare energia, in qualche modo serba memoria della propria origine. Di conseguenza, se
un neutrino è prodotto insieme con un elettrone (ve ) o con un muone (vμ), allorché colpisce la materia e assume carica elettrica, la sua energia dovrebbe materializzarsi sotto forma rispettivamente di un elettrone o di un muone.
L’idea era chiara; ma poiché la proprietà più singolare dei neutrini era la riluttanza a mostrarsi comunque, qualunque speranza di eseguire misurazioni di precisione per scoprire se si trasformassero in elettroni o in muoni sembrava al di là di quanto si potesse realizzare in pratica. Fu allora che Pontecorvo fece la seconda importante osservazione: il tasso di interazione
dei neutrini cresce al crescere dell’energia, il che significa che essi possono divenire “visibili” purché si riescano a ottenere,
in un modo o nell’altro, neutrini ad alte energie. Ciò condusse lo scienziato a un’ulteriore intuizione: gli esperimenti dovevano essere condotti nei nuovi acceleratori ad alte energie.
La sua idea era creare grandi quantità di pioni a elevata energia sparando un fascio di protoni ad alta energia contro un bersaglio. I pioni decadono in muoni e in neutrini, che viaggiano in direzione del fascio originario. Uno scudo di acciaio assorbirà i muoni, ma sarà quasi trasparente per i neutrini. A parecchi metri di distanza avremo bisogno di un secondo bersaglio
come rivelatore. I neutrini avranno energie elevate, sicché vi sarà una buona probabilità che talvolta un neutrino colpisca
un atomo nel rivelatore, assuma carica elettrica e tradisca la propria presenza. Se tutti i neutrini sono uguali, il numero di
elettroni e di muoni sarà pressoché identico, invece, se appaiono soltanto i muoni, i neutrini possiederanno un’identità: quelli elettronici saranno diversi da quelli muonici.
Trovandosi in Unione Sovietica, a Pontecorvo mancano le opportunità sperimentali, giacché, all’epoca, gli impianti dell’URSS
erano inferiori a quelli in Occidente. Intorno al 1960 sarebbe stato possibile realizzare esperimenti del genere al Brookhaven Laboratory in USA e al CERN di Ginevra, ma non a Dubna, il Laboratorio nei pressi di Mosca. L’attraversamento della
cortina di ferro gli rimase interdetto fino agli anni Ottanta. Altri avrebbero ottenuto il premio che sarebbe spettato a lui.
F. Close, Neutrino, Raffaello Cortina Editore 2012; p. 93: Racconto di due neutrini
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